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Storia dell’arte medievale Lettere, curriculum Cultura letteraria dell’ eta moderna e contemporanea, 6 CFU, I, Il anno a.a, 2020-2021 Testi di riferimento: Parte I: lo studente potra utilizzare un manuale in uso nei licei classici, si consiglia in particolar. P. De Vecchi-E. Cerchiari, Arte nel tempo, Bompiani, Milano, edizione aggiomata, vol. I, tomo 2. G. Cricco, F.P. Di Teodoro, Itinerario nell'arte, vol. 2, Dall'arte paleocristiana a Giotto (versione gialla), Zanichelli Editore, Bologna Parte II: E. Castelnuovo, Artifex bonus. Il mondo dell’artista medievale, Roma-Bari 2004, in particolare: Wiligelmo, Lanfranco, Aimone: i costruttori di cattedrali, pp. 64-73 (E. Pagella); Bonanno Pisano: il bronzo e la scultura, pp. 82-89 (A. Milone); Nicolaus de Verdun: il primato degli orafi, pp. 102-109 (B. Castelnuovo); Simone Martini: un pittore “in Paradiso”, fra potenti e poeti, pp. 157-167 (M.M. Donato). M. Pastoureau, Medioevo simbolico, Roma-Bari 2005, il capitolo su Il gioco, pp. 247- 281 Bibliografia aggiuntiva per studenti non frequentanti C. Frugoni, if battistero di Parma. Guida a una lettura iconografica, Torino 2007, pp. 3-93 Rosanna Bianco Michele Bacei Enrico Castelnuovo Marco Collareta Fabrizio Crivello Francesca Dell’Acqua Maria Monica Donato Sylvia Greenup Antonio Milone Alessio Monciatti Roberto Paolo Novello Enrica Pagella Chiara Piccinini Michele Tomasi Artifex bonus Il mondo del artista medievale acura di Enrico Castelnuovo Wiligelmo, Lanfranco, Aimone: icostruttoti di cattedrali di Enrica Pagella Il duomo di Modena é una delle rare architetture medievali di cui si co- noscono i nomi degli autori e le tappe fondamentali dello sviluppo del can- tiere. Le fonti si integrano armoniosamente con le varie fasi dei lavori che portarono all’innalzamento dell’edificio e, successivamente, alla ricostru- zione di alcune sue parti non pid rispondenti al gusto € alle esigenze litur- giche del momento (figg. 1 € 2). I nomi dell architetto e dello scultore re- sponsabili di questa impresa — Lanfranco e Wiligelmo — sono tramandati da due iscrizioni incise, rispettivamente, nel paramento murario dell’absi- de maggiore e in quello della facciata, Entrambe riportano im, portanti no- tizie storiche sulla fondazione della cattedrale, ma restano memorabili so- prattutto per la precociti e l’intensita delle formule elogiative dedicate agli artisti che la realizzarono. Le prime righe dell’iscrizione della facciata narrano le circostanze del- la fondazione dell’edificio: «Dum Gemini Cancer cursum consendit ovan- tes, idibus in quintis iunii sup tempore mensis, mille dei carnis monos cen- tum minus annis, ista domus clari fundatur Geminiani» («Mentre il Can- cro raggiunge il corso dei Gemelli esultanti, il 9 giugno, nell’anno dalla di- vina incarnazione 1099, & fondata questa casa del famoso Geminiano») (fig. 3). I distici Jeonini, incisi in un’elegante capitale romana, sono impa- ginati con regolarita su una tabella sorretta ai due lati dai profeti Enoch ed Elia, secondo un’impostazione derivata da prototipi dell’antichita. Il tono solenne dell’ insieme contrasta perd con Je ultime tre righe, dove la scrittu- ra pid irregolare e l'addensarsi delle abbreviazioni fanno pensare a un’ag- giunta inizialmente non prevista: «Inter scultores quanto sis dignus onore claret scultura nunc Wiligelme tua», ossia «Tra gli scultori, quanto tu sia degno di onore, lo dichiara oggi, o Wiligelmo, la tua scultura». Colpisce il fatto inconsueto che il nome di uno scultore~uno dei primi e dei pi gran- di di tutto il Medioevo ~ si intrecci a quello che potremmo definire un at- to di fondazione ufficiale e, per questa via, anche all. i ita suggetita dalla presenza di Enoch ed Elia i due moter ene a’ , i due profeti che non conobbe- Enrica Pagella Wiligelmo, Lanfranco, Aimone 65 Che l’autore della lastra, come di quasi tutte le sculture della facciata, sia Wiligelmo é fuori discussione, ma non possiamo dire se fu Partista a pretendere di apporre il proprio nome direttamente sulla sua opera, 0 se Timpulso venne invece dai suoi committenti e dal suo pubblico, incantati dalla sapienza senza precedenti di quello stile. / Anche Piscrizione dell’abside suscita incertezze interpretative, che nul- la tolgono, perd, alla schiettezza delle lodi sivolte all’architetto e alla sua opera: «Marmotibus sculptis Domus hec micat undique pulchris» («Que- sta chiesa risplende ovunque di bei marmi scolpiti»); «Ingenio clarus Lan- francus doctus et aptus, est operis princeps huius, rectorque magister» («Lanfranco famoso per ingegno, dotto e capace, principe di quest’opera, rettore e maestro»). Accanto al nome di Lanfranco l’iscrizione tramanda la ‘memoria di altri due personaggi legati al cantiere della cattedrale, Aimone e Bozzalino. I primo compare come autore Gel testo: «Hos utiles facto ver- sus composuit Aimo» («Aimone compose questi versi utili all’occasione»); il secondo é citato nelle due ultime righe, incise con un carattere diverso, pitt francamente gotico: «Bocalinus massarius sancti Ieminiani; hoc opus fieri fecit» («Bozzalino massaro di san Geminiano fece fare questa opera») (fig. 4). Bozzalino @ documentato come amministratore della fabbriceria di San Geminiano dal 1208 al 1225, periodo in cui si realizzarono importan- ti modifiche strutturali nel coro ¢ nella zona absidale. Stando all’interpre- tazione pit: probabile del testo, ¢ a Bozzalino che si dovrebbe l’iniziativa di far incidere la lastra («hoc opus») utilizzando un testo pit: antico, forse composto dal canonico Aimone tra il 1099, anno della fondazione della cattedrale, e il 1106, anno della traslazione del corpo di San Geminiano. Il ruolo di Bozzalino si inquadra infatti nella grande campagna di lavori pro- mossa all’inizio del Duecento e alla quale si devono, tra altro, apertura della grande finestra circolare della facciata, la ristrutturazione del coro e la creazione del finto transetto; Aimone invece, «magischola» della catte- drale tra il 1096 e il 1110, fu tra i protagonisti del cantiere pid antico e te- stimone diretto dell’attivita di Lanfranco e Wiligelmo. C’é un’ultima fonte che non pué essere trascurata, sia per la rarit& ico- nografica delle illustrazioni che la accompagnano, sia per lintensita con cui la narrazione riesce a restituirci gli elementi del contesto politico-so- ciale e financo la temperatura emotiva che accompagnd la nascita della nuova cattedrale cittadina. Si tratta della Relatio de innovatione ecclesie sancti Geminiani, un testo composto probabilmente da Aimone e noto in una trascrizione che si é soliti far risalire agli inizi del Duecento. Quattro piccole scene miniate descrivono momenti della vita del cantiere e della ce- rimonia della traslazione delle reliquie. Tre hanno come protagonista Par- chitetto Lanfranco, raffigurato con la virga del comando nell’atto di diri. gere Pattivita degli operai e, al fianco di Matilde di Canossa e dei vescovi di Modena e Reggio, in quello di scoperchiare il sarcofago del santo pa- 3. Wiligelmo, tabella con V'scrizione che ticorda la fondazione del duomo sorretta dai profeti Enoch ed Elia; marmo, secondo decennio del XII secolo (?). Modena, duomo, facciata, 4, Modena, duomo, abside centrale. Iscrizione metrica in onore dell’ architetto Lanfranco ea ricordo della fondazione del duomo; marmo, inizi del XO secolo, Enrica Pagella Wiligelmo, Lanfranco, Aimone 67 trono. Il fatto che di recente sia stata proposta, per le miniature, un’antici- pazione cronologica al secondo quarto del XII secolo non muta, nella so- stanza, il significato di queste immagini come segno del ruolo centrale svol- to dall’architetto, Larticolazione di queste testimonianze storiche & per se stessa sorpren- dente, ma lo diventa ancora di pitt se decifrata attraverso il mondo delle forme che l’architetto e lo scultore, con il contributo, forse, di un commit- tente — un concepteur o ideatore —, seppero create nei primi anni del seco- lo XII. La polarita est-ovest delle iscrizioni elogiative dedicate a Lanfranco e Wiligelmo pud essere presa come traccia per un’ipotesi di svolgimento in fasi del cantiere, e per capire meglio il rapporto che venne a stabilirsi, sul campo, tra i due creatori. Come era consuetudine nei cantieri medievali, la costruzione inizid dal corpo orientale, dove Lanfranco mise a punto il si- stema di un’architettura dai caratteri originali, per i quali non esistevano, di fatto, precedenti diretti. Un’architettura che, nel progetto delle navate prive di transetto e coperte, in otigine, da capriate lignee, si riallaccia a mo- delli paleocristiani, marcando uno scarto evidente con le sperimentazioni contemporanee dell’area lombarda. II rilievo architettonico della cattedra- le, realizzato tra il 1980 e il 1984, ha potuto anche dimostrare le profonde radici teoriche della cultura del «dotto» Lanfranco, che imposta il rappor- to tra la larghezza e la lunghezza delle navate secondo una delle propor- zioni suggerite dal De Architectura (L = 1+ 1 v2), il celebre trattato scritto da Vitruvio nel I secolo a.C. I richiamo a modelli dell’antichita classica si esprime anche attraverso una serie di scelte che riguardano i materiali, le forme, le tipologie decora- tive. Tra le pit evidenti c’é il trattamento delle murature, rivestite con la- stre di pietra di Vicenza, un materiale che per la duttilita e per il colore chiato si presta a imitare le qualita del marmo. Ma é importante sottoli- neare anche l’aspetto plastico, quasi scultoreo, che governa l’idea architet- tonica di Lanfranco. Tutto il profilo esterno della chiesa é scandito dalla successione ritmica di grandi arcate sorrette da semicolonne che inqua- drano il piano, lievemente arretrato, delle trifore. I diaframmi murari con- sistono nell’articolarsi di pilastri, di colonne, di sequenze di arcate e di ar- catelle, di modanature e di cornici; ogni elemento, anche minimo, é stu- diato nel dettaglio, dalla finitura dei blocchi che formano il paramento, agli archi che marcano la saldatura tra l’abside maggiote e le minori, allo zoccolo smussato su cui poggiano le basi dei pilastri esterni, fino all’a propriata modellatura dei mattoni che disegnano il profilo degli archi e dei pilastri interni. : a Non sappiamo con esattezza in che momento si collochi ’artivo di Wi- ligelmo, ma é probabile che i lavori della facciata abbiano preso il via qua- si contemporaneamente a quelli delle absidi e che Ja costruzione sia poi Artifex bonus 68 : 7 ; la saldatura dei due cantieri lungo le fiancate laterali. Co. proseguita fine 4 tio nella facciata che la scultura si impone con la varieta Paes : spats pai 6 Melle sue narrazioni. opera di Lanfranco e quella di Wili- lei su gelmo scaturiscono da un interesse comune per Pantichita romana, oe Si- ifica anche, nella Modena di quegli anni, riscoperta e recupero di una forte identita cittadina. Ma il loro approccio ha sfumature differenti, do- vute, forse, anche a quella che potremmo chiamare «psicologia | / me- stiere». Il ruolo di Lanfranco é maggiormente legato ai compiti di una mente ordinatrice, preposta al governo dell’impresa; per contro, la ricerca di Wiligelmo ci appare quasi come una ricerca di senso, uno sguardo aper- to oltre le forme, direttamente sulla natura delle cose umane. Da questo punto di vista si pud forse cogliere meglio il tono di rivendicazione e di sfi- da (si pensi alla funzione del «nunc») che traspare dalle righe aggiunte del- [a lastra che, sulla facciata, ricorda la data di fondazione della chiesa. For- se non si tratté di rivalita e di contesa, ma quanto meno di un rapporto dia- lettico che, misurato sul vecchio schema interpretativo dell’«obbedienza architettonica» della scultura romanica, ci appare come segno di una nuo- va éra nel confronto tra architetto e scultore. Anche se volessimo attribuire a Lanfranco Pessenza delle novita messe in campo dal progetto della facciata ~ l’invenzione del protiro e la struttu- ra del portale principale, esemplata sui modelli antichi ~, a Wiligelmo re- sterebbe il merito (0 onore, come precisa Viscrizione) della straordinaria combinazione di temi antichi, di creature fantastiche e di annotazioni rea- listiche che si dispiega negli stipiti, nei capitelli, nelle mensole nelle lastre con le storie del Genesi. A lui dobbiamo probabilmente la reinvenzione dell’antico motivo del tralcio abitato ela scelta di liberare la narrazione dal. Je angustie di archi e architravi per impostarla, con un’inedita larghezza, di- rettamente sullo schermo della facciata; altri maestri, nei portalilaterali, pur imitandolo, opteranno per soluzioni meno radicali (fig. 5). Ma sarebbe sba- gliato vedere nelle lastre del Genesi solo un processo di negazione dell’ar- sontuosita dej Panneggi, cos} Enrica Pagella Wiligelmo, Lanfranco, Aimone 69 sole e archi, i piedi si proiettano oltre gli spessori delle basi e ogni movi- mento sembra voler idealmente prolungare lo spazio nelle tre dimensioni, La sfida tra le leggi della fisica e quelle della natura umana & emblema- ticamente riassunta dalla figura dell’atlante, o telamone, che Wiligelmo ri- propone nella facciata per ben sette volte. In un caso, Pazione accompa- gnata da una scritta che sottolinea ’immane fatica della figura piegata e quasi spezzata dallo sforzo: «Hic premit, hic plorat, gemit hic, nimis iste laborat» (fig. 6). Le isctizioni sono un complemento molto importante delle sculture della cattedrale. Esse espri ‘imono un linguaggio articolato su differenti re- gistri: quello semplicemente denotativo, ad esempio i nomi dei personag- gi («Adam», «Eva», «Lamec», ecc.); quello con valenze dialogiche tifetito alle specifiche relazioni che si instaurano tra i protagonisti della storia («Ubi est Abel frater tuus?»); quello narrativo, che si rivolge al pubblico per chiarire certi passaggi tematici e certe situazioni, come nel caso sopra ticordato del telamone, o della figura di Abele offerente («Primus Abelius defert placabile munus») 0, ancora pid sorprendente, del cartiglio attri- buito a Dio Padre nella seconda lastra, dove é scritto che Dio, in quel mo- mento, stava passeggiando per il Paradiso («Dum deambularet Dominus in paradisum»); quello, infine, della lingua scritta sulle pagine dei libri (nella prima lastra e nella terza lastra). La rassegna, benché meno varia, continua nei rilievi degli ingressi laterali. A sud, nella porta dei Principi, gli episodi tratti dalla vita di san Geminiano sono illustrati da distici incisi sul listello dell’architrave («Scandit equum letus dum tendit ad equora presul; Pastor preclarus mare transit Geminianus [...}»); sul fianco nord, nella porta della Pescheria, le scritte non solo identificano uno per uno i perso- naggi del ciclo arturiano ele raffigurazioni dei mesi, ma danno voce alle in- vocazioni d’aiuto dei telamoni posti alla base del tralcio: «O quam grande fero pondus, succurtite queso» (stipite sinistro). Alcune domande si im- pongono: chi compose questi testi? E soprattutto, per chi? Sulla cultura degli architetti medievali abbiamo molteplici attestazioni, non ultime quel- le modenesi contenute nell’epigrafe absidale e nella Relatio, ma il caso de- gli scultori & diverso perché la loro formazione resta legata, nel Medioevo, alla pratica di mestiere. Il fatto che nella porta dei Principi si verifichi il ca- so di un perfetto coordinamento tra due distinti scultori — uno pid fede- le al linguaggio impostato dal caposcuola, |’ altro pid portato a semplifica- te pud fat pensare all’esistenza di schemi progettuali molto precisi, dove forse gia si impostavano, oltre alle immagini, anche i corredi scritti. Ma an- che se volessimo attribuire a Wiligelmo la ci ultura linguistica indispensabi- le a comporre in versi, quanti, all'interno del suo pubblico e pit in gene- tale della comunita dei fedeli, erano in grado dileggere e di comprendere? Forse, piti che come reale strumento di omunicazione, le iscrizioni vanno intese, nel loro insieme, come un altro aspetto del recupero dell’antico at- Artifex bonus 70 iere modenese. Tra J’altro esse sono il veicolo se esporte ung dal cantier mente variegata, proprio come certi ele. il capitello corinzieggiante, il tela. per Wiligelmo la familiarita con j tuato ig . conoscenza letteraria particolai menti tipologici - Parcata, Ja colonna, mone, ecc. — attestano per Lanfranco € nance lo svolgimento delle storie dei progenitori, dal peccato originale fino alla salvezza dopo il diluvio, rimanda alla versione teatrale del cosiddetto Jew d’Adam, il pit antico esempio a noi noto di dramma se- militurgico, composto tra il 1125 e il 1175 rielaborando testi e tradizioni precedenti, Nelle storie del Genesi la comparsa di motivi iconografici piut- tosto rari, che rimandano alle versioni apocrife del Vecchio Testamento, come la scena dei due progenitori al lavoro, o Puccisione di Caino da par- te del cieco Lamec, indicano che ci troviamo in presenza di conoscenze te- stuali non del tutto scontate. Ma la rassegna delle fonti prosegue nelle scul- tue delle porte laterali. Nella porta dei Principi i versi incisi nell’architra- ve sintetizzano le fasi salienti delle storie del santo patrono seguendo la versione della cosiddetta Vita longior, composta intorno alla meta del se- colo XI. Quanto alla porta della Pescheria, essa rappresenta una sorpren- dente miscellanea di fonti profane (fig. 7). Accanto alle ratfigurazioni dei mesi, ai telamoni ¢ ai motivi di base tratti dai Bestiari, i rilievi degli stipiti e dell’architrave illustrano alcune storie esemplari derivate dal repertorio favolistico dell’antichita classica, diffuso nel Medioevo anche grazie a re- Perot come i on de Renart: tra le altre, la volpe e Paquila, la volpee gna, “be tinta morta, il lupo e la gru. Nell archivolto, invece, si una delle pit fortunate narrazioni ss Oct personaggi e dell episodio narrato Ove € prigioniera una donna di nome Winlogee), la 1 anno € siano quindi il frutto di di qual ‘0 di ate su altri testi, scritti o forse solo recitati Conoscenze fond Ne, se nei capitelli dell. i semi i tature esteme sec Pe € grandi semicolonne che scandiscono le mu- u s ano prevalere temi desunti i ivo ell antichita (i cespi di acanto, i tel: oe gacea o aecor (assalto aun castello d precedano di qualche ies Yamoni, le sfingi, gli arieti, le sirene, ecc.), «anetope>, le immnnsie Ssteemita nord € sud dei salienti del tetto, detti 5. Wiligelmo, prima lastra con storie del Genesi: L’Eterno in mandorla e la creazione di Adamo, La creazione di Eva, Il peccato originale; marmo, inizi del XII secolo. Modena, duomo, facciata. 6, Wiligelmo, terza lastra con storie del Genesi U sacrificio di Caino e Abele; marmo, inizi del XII secolo, Modene, duomo, facciata. 7. Modena, duomo, porta della Pescheria, architrave e archivolto; marmo, 1120-30 circa (?). Artifex Ponus 2 : do an dsego che presuppone competenza della materi teste guendo un dis plemi di trasposizione dei testi in immagini e capacit3 sensibilit per eo di un repertorio molto vasto: i temi dell’Antico Testa. discelta mi vediata Ja vita di san Geminiano e i motivi neotestamentari, aaa loro Smee di salvezza, nella porta dei Principi; le chansons de ge. stes sul lato nord, che forse rimandano all importante tuolo sociale della classe dei milites. Al centro di tutto ce il recupero dell eredita classica, perseguito in vari modi: dal semplice riuso dei materiali a quella che po- tremmo interpretare come una vera e propria «rifondazione» dei valori dell’arte romana, accolti da menti aperte e ben intenzionate a sfrattarne tutte le potenzialita e le risonanze. Il linguaggio «all’antica» di Wiligelmo e di Lanfranco non ha nulla a che vedere con il gusto accademico ~ come in parte accadra, invece, nella produzione dei maestri campionesi -, é piut- fosto strumento efficace per raggiungere determinati fini espressivi. A sua BIBLIOGRAFIA Lanfranco e Wiligel 1984), a EC Hl Duomo di Mod : na 1984, M atl E: Castelnuovo, V Fumagalli @, tl80 della mostra (Modena, 0 ae di . nti, Medese ra - Leonardi, I! Duomo di Modan 5: Settis, Panini, Mode. ligel, Al 8n0 (Modena, 1 Belo e Lanfran " . Atlante Foro, a 1988; 11 domo df Netra dR Buss M4 "Canci2ee Fomanica, at del conve, lena 1999 Mera, 8 cura di C, Boag ov C: Franzoni Panini . . « Frugoni, Franco Cosiz ‘ini, Mode- Osim, Bonanno Pisano: il bronzo e la scultura di Antonio Milone Nel 1180 vennero collocati nella Porta reale, la maggiore della facciata del duomo di Pisa, i battenti in bronzo realizzati da Bonanno. Lopera éan- data perduta in un incendio ma é nota per l’iscrizione con la firma, men- zionata anche nelle Vite (1568) di Giorgio Vasari, che, erroneamente, cre- de l'artista architetto del campanile del duomo, la nota «torre pendente», aprendo la strada alla notevole fortuna storiografica dell artista pisano. La Porta, come recitava lepigrafe, era stata realizzata da Bonanno in un solo anno di lavoro: i complets B port, realizzata con multiforme bellezza [vario constructa de- Core] nell’anno 1180 [secondo il calendario pisano ovvero fra i i marzo 1180], da quando Cristo discese nel f ee | grembo della Vergine. To Bonanno pi- sano completai questa porta gtazie alla mi: izi in a rnp dlogene ne PO 2 perizia [mea arte] in un solo anno al Nell’iscrizione le qualit3 : qualita estetiche dell . . Reato lo splendore ma Soprattutto eae Wopera sono esaltate, ne & sottoli- di chi Paveva realizzata, Himarcate le alte capacita tecniche roz0, per tutto il Medi lo perla sua preziosi Saloevo, ha assunto y a a ; in alt _ impetiale, Gil Carlene as Soprattutto per j dfetinean ate nti ith Con bronzi antichi ea Rene aveva atricchito la Sua capitale, A. an nan bale, si poteva ammi ee Nella piazza del Lateran sede del notere Colosso, che tichi 2 8tuppo di bronai ali | potere p ares amava i Passato impetiale dee la Lupa o j resti del isurarsi ei Cesari ne della citta - misurarsi con Roma accn t © quella dej Papi. Nell € mostrava la con i iene oe w € citta intenzionate a » SU tetti del dy 89 Ticorso ‘CO; a Milano, fin wake Ptovenienza costantino- rte e un 810; a Genova venivano Stande lampadario prove- Supp. Antonio Milone Bonanno Pisano 83 nienti dal bottino della presa di Almeria (1147), mentre nel 1226 venne commissionato a maestro Oberto un grifone nello stesso materiale quale simbolo della citta. Nella metallistica medievale, un posto d’onore tocca proprio alle porte bronzee. In Occidente si realizzano ininterrottamente dall’eti carolingia alle soglie del Rinascimento, mentre nel mondo bizantino non si avverte quasi soluzione di continuita tra la produzione di eta romana e quella ec- celsa che si snoda dal’ etd giustinianea alla caduta dell’Impero. D’altronde, nella chiesa che fu pietra miliare del nascente gotico, Saint-Denis, l’abate Sugerio alla meta del XII secolo fece inserire in facciata un portale dai bat- tenti in bronzo dorato, In nome della teologia della luce dello Pseudo-Dio- nigi, l’ecclesiastico cosi celebra l’opera: Chiungue t sia, se vuoi celebrare la gloria di queste porte, non ammirare né Foro né la spesa, ma il lavoro dell’opera [aurum nec sumptas, operis mirare labo- rem]. Riluce la nobile opera, ma l’opera che nobilmente riluce illumina le menti [Nobile claret opus, sed opus quod nobile claret clarificet mentes] pet modo che es- se possano procedere, attraverso vere luci, alla luce vera dove Cristo é la vera por- ta, Come esista nelle cose del mondo lo dimostra I’aurea porta: Ja cieca mente si innalza al vero attraverso cid che & materiale e da oscurata che era si leva a vede- re questa luce. Nel secolo dell’anno Mille, Europa si ricopre di una «candida veste di chiese», secondo la nota ed efficace immagine del cronista Rodolfo il Gla- bro, e nel contempo si comincia, con una certa frequenza per gli edifici di maggiore prestigio, a far realizzare porte bronzee nello spitito di emula- zione dell’eta antica. Questa storia si apre con due episodi lontani: da una parte le valve fatte fondere dal vescovo Bernoardo a Hildesheim; dall’al- tra, la diffusione nell’Italia centro-metidionale di esemplari costantinopo- litani, per volonta, in particolare, di committenti amalfitani. Dall’esempio di Bernoardo si sviluppa la produzione dell’area germanica, che si fonde con quella di altre aree dell’Europa centro-settentrionale, dando vita ad una tradizione che durera per tutto il XII secolo e oltre, espandendosi dal- la Francia (Parigi é il limite occidentale di diffusione delle porte bronzee, del tutto assenti nel resto di quella nazione e in Spagna) ai territori dell’at- tuale Polonia (Gniezno e Ptock) fino alla Baviera (Augusta) al Nord Ita- lia, come testimoniano alcune delle formelle della porta di San Zeno a Ve- rona. In Italia si individuano tracce di un percorso pitt complesso e mul- tiforme, che tocca alcuni centri nevralgici della produzione artistica e cul- turale del tempo. Una linea, specie dell’ Italia meridionale, si rifa, per gli aspetti tecnici, per gli elementi tipologici e decorativi, alle porte prodotte a Costantinopoli ed esportate anche a Venezia nel corso del XII secolo. Cosi, ritroviamo l’agemina nelle porte del mausoleo di Boemondo a Ca- Artifex bonus ite da Oderi- i ie i ste esegu Melfi, e nelle varie impo: ; : Campania ¢ in Puglia nella prima meta del XI Jesa una tradizione stilistica con maggiort affi- 9 di una delle bot- 84 nosa, opera di Ruggero di sio da Benevento, attivo 1n secolo, Parallelamente si pa! 2 peso a roduzione plastica: € ¢ nita con la contemporanea p p ee ee teghe rintracciabili nelle formelle della porta di San i to. dell’autore della porta del duomo di Beneven ; , In questo quadro si inserisce l'attivita di Bonanno Pisano, tra Pottavo e il nono decennio del XT secolo. La sua produzione st interseca e confron- ta con quella di Barisano da Trani, operoso in tutta] Talia meridion ale ein Sicilia, Si conservano le sue tre porte per le cattedrali di Trani, Ravello (1179) e Monreale, nelle quali l’artista replica gli stessi modelli dal rilievo échiacciato racchiusi entro una vivace riquadratura dalla fitta decorazione vegetale e animalistica mutuata anche dalla tradizione islamica: epigono € virtuoso innovatore nel contempo, per lui possiamo parlare di opera fuso- ria piuttosto che di plastica bronzea. Dall’analisi della produzione italiana, che rivela tracce anche di altre botteghe nella Cappella Palatina di Palermo, nell’abbazia di San Clemen- te di Casauria ¢ nella stessa Roma con i due fratelli Uberto e Pietro, attivi roe Sec. XI, si possono ricavare alcune osservazioni fondamenta- i: la produzione é limitata a centri e aree ben definiti e a it ii tissimo rango, gli unici a potersi perm ini a bearrior-nananl dial- del tempo; le botteghe capaci di Bs ae opere tra le pitt dispendiose peri nomi spesso postin slievo ae eaaiont sono poche, individuabili ri anche per luoghi lontani tra loro, come nel pire, « tpetono gli esempla- Rae pic ae Ren Bion oe ie capacita tecniche, fratto di una t de ossedere innanzitutto salda. Questi elementi sono presenti nell Facizione nell’arte fusoria a citta di Pisa, conosciuta nel mondo arabo per il coy io del es mmer o dell’ EI va l’attivita dei fonditori: Pisa teen tba. Tnoltre, i citta era vi A ¢noltre, in ‘a vi- Pane; ad artefici cittadini si 1 ae a a a di Assisi, a ella cattedrale pisan; i Pe, sana, presso il trans 8 visi poe pronzea, detta di San Ranieri, unica oe, sed ae ae a ay inserita in un portale d, tabilew ee ol ae lel duomo (fig. 1); pertant atabile al te ae ‘mporaneita del; ede wtb itenere che dapprima sia stata malic onenno Per Ta cattedral t la cattedrale. ile una seconda ‘¢ a Bonanno so- ‘Mpo dell’esecuzione citta per chi giun; aan a i da s, ciate del da > ‘empre con- © quindi collocabile tra la Port, quella direzione 4 teale pisana (1179. Antonio Milone Bonanno Pisano 85 80) e i monumentali battenti inviati a Monreale (1185-86) (fig. 2), permet- tendo quindi di ipotizzare una quasi ininterrotta attivita della bottega di Bonanno tra gli ultimi anni del ottavo decennio e la meta di quello suc- cessivo. Nel duomo pisano, prima di Bonanno, era gia presente, in facciata, una porta bronzea, secondo la tradizione donata ai Pisani da Goffredo di Bu- glione nel 1100, «dove era intagliata la vita tutta di Gesii Cristo, nostro Si- gnore, con le figure effigiate di puro argento», vale a dire in agemina, co- me tramanda lo storico pisano cinquecentesco Raffaello Roncioni. Si trat- tava verosimilmente di un esemplare di produzione costantinopolitana, e da esso Bonanno dovette trarre ispirazione per lo schema generale e l’im- postazione per riquadri degli episodi biblici raffigurati — come si vede nel- Ja superstite Porta di San Ranieri ¢ nell’esemplare monrealese ~ ¢ idea delle iscrizioni a caratteri cubitali poste in alto nello sfondo della scena, do- ve tra l’altro si scorgono importanti tracce del coevo volgare pisano (come nelle porte bizantine di San Paolo fuori le Mura a Roma e del santuario di San Michele al Gargano). Dal presunto dono di Goffredo pare provenire inoltre la disposizione delle rosette secondo una sequenza di otto e Putiliz- 20 della cordonatura quale elemento divisorio, e ne deriva, infine, anche la soluzione, poco frequente e presente sia a Pisa che a Monreale, di non in- serire nelle valve bronzee battenti con anelli per lo spostamento delle ante. Bonanno é un caso significativo nel panorama della plastica bronzea romanica. Egli realizzé le sue opere con modi legati, per stile e soluzioni ti- pologiche e formali, alla coeva tradizione scultorea pisano-pistoiese che trova la sua massima espressione in Guglielmo, !’autore del pulpito del duomo di Pisa (1159-62) oggi a Cagliari. La caratteristica pit evidente del modo di lavorare di Bonanno é l’incisione e a modellatura a freddo delle figure, che lo differenzia, ad esempio, dal coevo Batisano. Come é appat- so anche dopo una recente pulitura, tutta la superficie delle formelle mo- stra continue tracce di ritocchi, modellature, e non sono pochi i brani di vera ¢ propria scultura: l’artista, anziché plasmare la cera per la fusione, si tivela piuttosto intento a togliere materia per dare vita ai personaggi come avrebbe fatto uno scultore. La relazione con Guglielmo si palesa nel trat- tamento ¢ nella costruzione delle figure, nella composizione delle scene. I personaggi appaiono racchiusi in vesti dalle fitte striature e con il corpo gradatamente aggettante dal fondo, secondo formule mutuate dalla scul- tura classica e gia sviluppate pienamente nelle opere della bottega del con- terraneo. Anche per l’iconografia, la scelta di accoppiare scene della vita di Cristo con episodi biblici in dimensioni minori (si veda la formella della Porta di San Ranieri con la Cavaleata dei Re Magi e Storie di Adamo ed Eva [fig. 3]) ripete soluzioni presenti nelle opere delle botteghe pisano-pi- stoiesi di poco anteriori, e anche nelle porte appare un’attenta riproposi- 1, Bonanno Pisano, Porta di San Ranieri; fusione in bronzo, tra il 1180 e il 1185. Pisa, cattedrale. 2. Bonanno Pisano, porta principale; fusione in bronzo, 1185-86. Monreale, cattedrale. 3. Bonanno Pisano, Porta di San Ranieri, particolare della Cavaleata dei Re Magi e Storie di Adamo ed Eva; fusione in bronzo, tra il 1180 € il 1185. Pisa, cattedrale, 4, Bonanno Pisano, Porta di San Ranieri, particolare dell’Assunzione della Vergine; fusione in bronzo, tra il 1180 e 1185. Pisa, cattedrale 5. Bonanno Pisano, porta principale, particolare della Trasfigurazione; fasione in bronzo, 1185-86, Monreale, cattedrale. Artifes boyy, 88 a . os dai sarcofagi sparsi per la citta di Pisa, Con, che le soluzioni stilistiche e Xipologich aden ite nella produzione plastica coeya. ono recepite nel IL coeva: aq tate da eae ve cui bottega é attiva tra Pisa Lucca negli stesgj on esempio da 71 f fiemati dall artista troviamo architetture che dominan, i ; architravi firmati dall’artista tr " ni, Negli See e pilastri, trasposizione nel marmo delle forme affusy. Ta scena con opi babile che il prezioso modelo veniss. i rol 0 di Bonanno. E probe ; > ef x piste da-committenti che aspiravano a veder realizzate in indicato i me fusioni in metallo. it ture che apparissero come fu inn Nel 1186 viene collocata nella facciata principale del duomo di Mon. i ig. 2), la pitt monumentale di tutta ’eta medie. es a aor va da - a posta sul bordo dell’opera: «Nel’an. : Na Si ore 1186 indizione terza, Bonanno cittadino pisano mi rea. liz (indizione del 1186 é la quarta; ’errore nasce probabilmente dalla confusione tra la datazione pisana € quella corrente; si potrebbe quindj the del 1185) : Nel 1174 la costtuzione dell’edificio voluto da Guglielmo II (1166-89) era gid iniziata e dalla bolla di papa Lucio I del 1182 apprendiamo che il re, in poco tempo, aveva eretto «templum Domino multa dignum admira- tione»: un’opera simile non veniva fatta daun re dai tempi antichi. La porta di Bonanno, per quanto eseguita a Pisa e montata a Montea- le, rivela notevoli differenze con quella pisana superstite (figg. 4-5). Le fi- gure non sono piti aggettanti ma i corpi sono legati al fondo quasi come appliques. Assistiamo inoltre ad una diffusa normalizzazione iconografica: ticompaiono le aureole, assenti nell’opera precedente dove si ripetevano soluzioni antichizzanti in linea con l’ideologia artistica delle botteghe pisa- ne, le architetture perdono quasi di profondita e appaiono ricoperte di una fitta decorazione di cesello che ne smorza la plasticita. In altre parole, la composizione e le figure del Bonanno siciliano appaiono in un vigore atte- nuato, con un modellato pit piatto per una costruzione della scena bidi- mensionale e ricca di ornati. Queste novit’ fanno suppotre precise indica- tioni da parte della committenza e Pongono in primo piano il confronto ep ie ae bronzea Presente nel complesso, quella firmata da Barisa- inating eet le lain luzionj adottate dall’artista toscan ches Si Possono spiegare le nuove oe ‘©, che mostra di adattarsi alle scelte sti- listiche formali dell. , © scultore pugliese che, d, t rama : che, dal canto - amenti minimi nella composizione della se een ee coe me vi antichi tratti jone di moti tich roprova ditutto cid é il fatto Antonio Milone Bonanno Pisano 89 Nel 1329, a Firenze, si decide di ornare il Battistero, maggiore tempio cittadino, di porte di bronzo; Ja cit ha ormai un ruolo importante nel pa- norama italiano e pud ergersi a emula di Roma, riproponendo nelle opere cittadine il fasto dell’eta imperiale. I committenti, la potente corporazione dei mercanti, deliberano che «le porte della chiesa di San Giovanni si fac- cino di metallo o ottone, pitt belle che si pud e che Piero d’Tacopo vadia a Pisa a vedere quelle che sono in detta citta e le ritragga, € di poi vadia a Ve- nezia a cercare di maestro che le faccia». Lautore, come € noto, sara An- drea Pisano, che impieghera vari anni per portare a termine Vopera; non senza invidia e ammirazione per il suo predecessore Bonanno che, in un solo anno, aveva tealizzato i battenti per la facciata del Duomo. Come quelle di Pisa, anche le valve del Battistero non avranno battagli all’ester- no e ancora un secolo dopo, nel realizzare con Michelozzo le due porte di accesso alla Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, Donatello sembra si sia ri- cordato degli esemplari pisani: appaiono come loro eco la collocazione delle scene per riquadri ¢ altre scelte decorative € tipologiche. Se il Me- dioevo, soprattutto per l’arte del bronzo, non aveva mai abbandonato I’an- tichita, per il rinnovamento promosso nell’eta del Rinascimento non si po- tra prescindere dai modelli degli artefici dell’eta di mezzo. BIBLIOGRAFIA Sulle porte bronzee e sull’opera di Bonanno si segnalano gli ultimi significati- vi contributi: U. Mende, Die Bronzetiiren des Mittelalters 800-1200, Hirmer, Miinchen 1983; N. Gramaccini, Zur Iconologie der Bronze im Mittelalter, in «Sta- del-Jahrbuch», XI, 1987, pp. 147-70; W. Melczer, La porta di Bonanno a Monrea- le. Teologia e poesia, Novecento, Palermo 1987; Le porte di bronzo dall’ antichita al secolo XIII, atti del cofivegno internazionale (Trieste, 1987), a cura di S, Salo- mi, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1990; W. Melczer, La porta di Bo- nanno nel duomo di Pisa. Teologia ed immagine, Pacini, Pisa 1988; La porta di Bo- nanno nel duomo di Pisa e le porte bronzee medioevali europee. Arte e Tecnologia, atti del convegno internazionale di studi (Pisa, 1993), a cura di O. Banti, Baldec- chi e Vivanti, Pisa 1999; C, Baracchini, Bonanno, Porta diS. Ranieri, in Il duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, Franco Cosimo Panini, Modena 1995, pp. 384-98. Per il valote del bronzo si veda anche M. Gramaccini, T. Raff, Iconologia delle mate- rie, in Arti e storia nel Medioevo, vol. UL. Del costruire, a cura di E. Castelnuovo, G. Sergi, Einaudi, Torino 2002, pp. 395-4 16 (398-406). Nicolaus de Verdun; il primato degli oraf; di Enrico Castelnuoyg . > da Nicolaus dj 3 : dica quest’ opera fatta aaa «Ate, Vergine Maria, Werner cee in versi leonini in cui nel 1181 Verdun». Cid si legge in una lunga di Klosterneuburg presso Vienna, par- i iniano c i del monastero agostiniano ee : peter caro alla dinastia dei Babenberg che domin: Hobos ia - onsacrava alla Vergine un’opera suntuosa € ne Spice gione, c i Ni itorna una seconda volta plessa iconografia. Lo stesso nome a Nicole clown De Verdun») sul re- in un’iscrizione («Hoc Opus Fecit Magister $ Speen eae liquiario detto di Notre-Dame, ma in realt& dei santi aa sc Nicest °F ‘ chiesa di Notre-Dame a Tournai. Qui insieme al nome dell’au ors f la ta 1205 si rendono note le misure d’oro e d argento impiegate nella attu- ra dell’opera. E questo tutto cid che conosciamo di uno dei massimi artisti del Medioevo, Nicolaus di Verdun: se di lui tacciono i documenti (almeno quelli a noi noti), lo esalta la presenza del suo nome sulie opere. Dovette essere originario di Verdun ~ un centro dell’alta Lorena posto sulla Mosa, sede di wn grande mercato e importante incrocio di vie fluvia- lie terrestri —, forse pitt tardi prese la cittadinanza di Tournai, citta per la quale aveva eseguito il reliquiario di Notre-Dame. Qui infatti nel 1217 un omonimo Nicolaus di Verdun, maestro vetraio, ottiene la cittadinanza e una diminuzione delle imposte in quanto figlio di un borghese della citta. La prima opera che di lui conosciamo, Paltare di Klosterneuburg, é il massimo capolavoro degli orafi mosani, e uno dei massimi raggiungimenti dell’intera pittura medievale (tav, VII, figg. 1-3). In quel tempo, al sommo elt ferarcia degli artisti (ma questa constatazione non ha pit di un se- spiega come la scoperta di Nicolaus sia relativamente re- cente), erano infatti gli orafi che negli smalti sapevano servirsi di colori sma- Nuovo Test: indi ee i. Le comtisponde indicando ne Pruni i precedenti, gli antetipi dei secon- enze tra i due Testamenti sono tese implicite in un tripli- Enrico Castelnuovo Nicolaus de Verdun 103 ce confronto, in quanto ad ogni episodio attinto dai Vangeli, "epoca «sub Gratia» come indicano le iscrizioni, corrispondono due antetipi -tratti dall’ Antico ‘Testamento, uno del periodo precedente all’instaurazione del- la legge mosaica («ante Legem») uno del periodo successivo («sub Lege»). U ciclo si svolge in quarantacinque scene rappresentate in placche di smal- to che dovevano ornare i fianchi di un pulpito. Nel 1329, dopo i danni pa- titi in un incendio, il priore Stefano di Syrendorf le fece rimontare in forma di trittico apribile e fece eseguire in questa occasione sei placche supple- mentari in cui si volle — un fatto del massimo interesse per la storia del re- stauro e della copia nel Medioevo — seguire l’aspetto e lo stile degli smalti del XII secolo. La realizzazione di un insieme di quest’ampiezza deve aver richiesto un tempo e una collaborazione adeguati. Terminato nel 1181, il ciclo di Klo- sterneuburg dovette dunque essere stato iniziato non dopo il 1177/78; quanto alla collaborazione, essa dovette essere analoga a quella di cui parla Pabate Sugerio di Saint-Denis a proposito dell’esecuzione, qualche decen- nio prima, della grande croce da lui donata alla sua chiesa e oggi scompar- sa, Cui avevano lavorato diversi orafi mosani. Un’unica mente comunque dovette presiedere all’esecuzione di quest’opera straordinaria, al? interno della quale sono state viste chiare trace di una evoluzione stilistica tra le prime storie (V'esecuzione ands da sinistra a destra) come l’Annunciazione e la Nativita ¢ le ultime (il Giudizio Universale) gia fortemente gotiche. Un nuovo vigore, un inedito dinamismo scuote le figure, muove i pan- neggi, agita le scene (Roberto Longhi nel suo Giudizio sul Duecento, in cui addita negli smalti di Nicolaus de Verdun un’apice dell’arte medievale, ha parlato di «pura violenza» e di «energica desolazione») giungendo ad una autentica rottura con la precedente tradizione, in contrasto con il caratte- re conservatore del programma iconografico. Nel corso del XII secolo la regione della Mosa era stata un luogo di ele- zione per l’attivita di orafi e smaltisti, vi si era instaurata una autentica tra- dizione classicheggiante che contrastava con le stilizzazioni e deformazio- ni dell’arte romanica di altre regioni ed era stata teatro dell’attivita di al- cuni grandissimi artisti, da Renier de Huy, autore del fonte battesimale di Liegi datato 1107, a Godefroy de Huy, che verso la meta del secolo aveva lavorato per Wibaldo, abate di Stavelot, uno dei grandi committenti del suo tempo. A questa tradizione e a questi precedenti, unitamente a una co- noscenza di opere bizantine contemporanee, Nicolaus si rifa indubbia- mente, ma la ventata di novita che la sua opera presenta non si spiega solo in questi termini. In qualche modo, dietro al moto dinamico e al fremito espressivo che anima le sue scene e i suoi personaggi, si avverte Teco dei maestti che secoli addietro avevano fatto di Reims uno dei focolai pit vivi dell’arte carolingia: Nicolaus mostra di dialogare attraverso il tempo con illustri antecedenti (Metz e Reims, equidistanti da Verdun, erano stati i due Artifex, bony a crocia i EE Con alty; wiiberta di tratto, De S09 Tecupg su é uno dei fondaty, a : ae oll'ideale classic e€ ; i del ni centtl e modo, ne mass icini. I qualch ; od attuali dell . fui pit ICT aturalistici © «4 su solide basi stilistiche, mg ico. jbuita oe . : » jel nuovo stile goticd ghiviene attrib jono-teliquiatio dei Re Magi, , fi Lopera success seummenttiO é a a tre navate, tempestata di an, iglio ao fi ica senza alcun appisl? ja forma diune Lae culture a sbalzo che ne fanno i j imu : Colonia. Esso st i di stupefacent! Sou ciato (Figg. 4-5). Le tel tichi cammei, digemmee bbia las lle dei santi Na. : Ae ue. es no che ‘Jano, insieme @ qu i" pitt suntuoso scg} te sottratte 4 Milano, t di Federico Barba. ie dei Magi erano sta i : - a ¢ Felice, durante la tes dall’arcivescovo Reinhold von Das. rossa € trasportate a Colonia nel Be risale solo al XVI I secalo r 9 eal sel, Secondo una tradizione, ¢ ae Philipp von Heisberg (1167-91) Je trimenti fondata, il suo success Jiquiatio per la cui decorazione lo sfor- avrebbe depositate in una one di Braunschweig donera, successiva- tunato imperatore guelfo Onsone ione a re dei Tedeschi, corone, gemme mente al 1198, anno della sua elezion “ Lanes dell’opera prese molti anni P rolungandosi per decenni fin ol. A ti é molto discussa. A lungo si & tre il 1220, e la cronologia delle varie part € ‘ore le j ne pensato che i lati Iunghi, che ospitano nel registro superiore € inagii degli Apostoli e in quello inferiore quelle dei profeti ¢ p oe (fig. >), fossero stati eseguiti nel decennio immediatamente successivo al compi- mento dell’altare di Klosterneuburg. Questa datazione é stata perd rimes- sa in discussione, si che ’'unico dato certo é rappresentato attualmente da quel 1198, anno della incoronazione di Ottone IV rappresentato al segui- to dei Magi nella fronte dello scrigno. Si tratta di un termine post quem per il fronte, che reca nel registro inferiore ’Adorazione dei Magi e il Battesi- mo di Cristo, ein quello superiore il Cristo Giudice tra due angeli. Succes- sivamente (verso il 1220) dovette essere realizzato il tergo con le rappre- sentazioni in basso della Flagellazione e della Crocifissione ein alto del Cri- sto ae 'ncorona i santi Naborre e Felice (i cui testi sono anch’essi ospita- re ae 0 sottile Programma iconografico, che mette in relazione nel nore i profeti © 1 patriarchi con la vita terrena di Cristo e in che Nicolaus aveva introdotto nella travolgenti ¢ drammatiche novita Osterneuburg nell’espressi pressi- 1. Nicolaus de Verdun, 17 ritorno da Canaan, particolare delPaltare; oro e smalti, 1181. Klostemeuburg, chiese abbaziale. 2. Nicolaus de Verdun, Elia sul carro di Fuoco, particolare delaltare; oro e smalti, 1181 Klosterneuburg, chiesa abbaziale. 3. Nicolaus de Verdun, L’arca di Noé, particolare dell’altare; oro e smalti, 1181. Klosterneuburg, chiesa abbaziale. Artife, b Ons 106 : i e profondi, sono talmente e Prey _- aaneggi moss! € P rn Oten ina dei volts nei poe asc credere che egli vi abbia a lungo lavorge vil j c x : ; mente Pres” | Magi non é, come Paltare di Klosterneuburg, a Lo Scrign® C™ to, un’opera prevalentemente pittorica, may one ¢malto domina s io di scultura. Al posto di lastre bidimensig, mpi sormo esemip™” a S1On, plastica, u" maltate si trata questa volta di microsculture di a dorate, bul 7 sbalzati, di finissimi fregi traforati. Attraverso j] m to dora tecnica Jo stile tuttavia é il medesimo, Le statuette dj Drofer: mento d 7 trasposizione plastica di certi personage# incisi e smaltatj i (fig. 9) sortile ultime lastre dell’altare di Klosterneuburg. Si pug nin Ae pitt che probabile ’autografia di Nicolaus per tutta la Setie de; a Je cui teste caratterizzate costituiscono, come ha scritto Peter Corn. Pe Claussen, «la pit impressionante galleria di ritratti del pieno Me, dioevo». Ritroviamo nelle figure dei Profeti quello stile dinamico, addirit. tura concitato, estremamente mosso nel Panneggio che avevamo gia Visto a Klosterneuburg, ma che qui in certi casi si distende in un sistema ritmj. co, fluente, equilibrato, che fa di queste statuette dei Compiuti testi gotig; e gli antecedenti pitt diretti e fortemente anticipatori (specialmente se fos. sero databili attorno al 1190) di certe sculture di Chartres e di Reims. Nel. la serie degli Apostoli, situata nel registro Superiore, si possono Tavvisare larghi interventi di bottega che seguono, con qualche esitazione qualitatj- va, questi modelli. Caratteri leggermente diversi hanno le sculture del fronte, databili per ragioni storiche intorno al 1200, Ma Proprio su questo lato si trova un lungo fregio traforato con scene di caccia ¢ di combatti. mento (fig. 4), concepito forse con funzione apotropaica, che dovrebbe spettare a Nicolaus. Si tratta di una sorta di matgine che inquadra le gran. di scene dove la fantasia dell’artista si dispiega alternando soggetti e sche. mi classici a immagini di vera, sconcertante attualita, dove accanto agli Er- coli, ai Sansoni, ai centauri del passato sono guerrieri in torneo 0 villici che cacciano il cinghiale. I personaggi visti di fronte, di profilo, di tre quarti si muovono liberamente in uno spazio nuovo. Mentre la cassa-reliquiario dei Magi di Colonia viene accostata al nome di Nicolaus de Verdun, per tagioni stilistiche — 8 ’opera dove meglio e pit intensamente si avverte e si sviluppa Ja rottura stilistica consumatasi nell’altare di Klosterneuburg -, il reliquiario di Notre-Dame di Tournai, di proporzioni ben pitt modeste, @ debitamente firmato ancorché l’attuale iscrizione sia una copia ottocentesca di quella originale. Le vistose mano- missioni e i restauri subiti dall opera (in particolare quello del 1891) ne hanno alquanto alterato Paspetto, che tuttavia presenta con estrema chia- rezza i caratteri dell’arte di Nicolaus. Le scene illustrano episodi della vita di Cristo mentre sul fronte é rappresentato, come a Colonia, il Cristo giu- dice tra due angeli. : Se Pimportanza e la grandezza di Nicolaus de Verdun — che alla fine 4, Nicolaus de Verdun, Caccia al cingbiale, particolare dello Scrigno dei Magi; argento dorato a sbalzo, 1200-10 circa. Colonia, cattedrale. 5. Nicolaus de Verdun, Nahum, particolare dello Scrigno dei Magi; argento dorato a sbalzo esmalti, 1200-10 circa. Colonia, cattedrale, Artifex bonys ‘0 ai massimi scultori del XT] A i accosta a Gio. xa noi, Otto De 2. Gio ie ente ricon! ute, ) ti del XI seal helangelo- sont ead esempio, spinse gli ago. vanni Pisano e MICH che lo circondano- Cos: 1 ee ane rae na Fe neuburE a rivolgersi ad un ‘reionargli un’opera di tanto een assai lontana da Vienna, per i ee ee ne q fama doveva essere ei E come si svolse la sua formazio. me Godefroy de Huy, rilievo? La sua ae Ll niente conoscamo dil prime 46! decessoti, CO! ne? Certo egli reagi all’arte dei svol oes sai mosani vedeva general. avr fi omatico che ‘i hea Kl invertendo il rapporto cr : sul fondo dorato, e che a Klo. , ; te spiccare c ah re vivacemente colorat " ele esd dis, me tees oppone il fondo smaltato Pazzurto € le en aes 7 at di metallo dorato incise € sottolineate a lege ae Lila see ediombra. D’altra parte in Ni- Ju che creano effetti di luce sue ic tose pret a quelle attribuite a Godefroy de Huy, sono mosse, agitate, frementi, Pelemento grafico increspa le superfic et della tradizione precedente, ’espressivita € prorompente. fal dl = ro il suo rapporto con il classicismo del piti antico Sais uy, ae le- game con certe tecniche e forme compositive. Lo studio di opere tar oan- tiche, in particolare di avori, la conoscenza dei pith recenti sviluppi dell ‘ar- te a Bisanzio contarono certo nella sua formazione, ma cid che lo spinse fu certamente un profondo interesse per una resa viva e naturale delle cose, quell’interesse che sara la molla degli scultori gotici. Altte domande rimangono insolute: risiedette a Klosterneuburg per il lungo petiodo necessario all’esecuzione dell’opera o invid da lontano le placche di smalto per essere montate sul posto? Questa é, per esempio, la convizione di Hermann Fillitz che sottolinea come nessun eco si avverta della Sua permanenza, necessariamente lunga se avesse operato in loco, nell’ambiente viennese ed esclude percid un suo continuato soggiorno. Il fatto perd che il restauro dell’opera abbia portato alla luce mutamenti si- eet, scoprendo al verso di alcune placche composizioni iniziate e quin abbandonate, mutamenti dovuti verisimilmente al’intervento dei 108 ant ‘nier pone acc ile Molinier por dell’Ottocento Emil pid prossimo 4 8 9 unanim ae une citta dove pure operavano orafi eccellenti, j cla Cassa dei Re Magi», quando avrebbe cominciato a lavorarvi quando , Nicolaus fu il princi il : principale e il pitt pre eee eggiante, ii Reais Precoce artefice di qu, A i- Bgl intermediario, pitt che di transizione, tra rom a ant . ‘anico e gotico, Enrico Castelnuovo Nicolaus de Verdun 109 che gli storici hanno chiamato «stile 1200» e che ebbe rapida ¢ vasta dif- fusione nella regione della Mosa, nella Francia del Nord, in Renania e nell’Inghilterra meridionale. La sua influenza é stata grande nell’area mo- sana e in Renania, ma anche nella Francia settentrionale sui maestri vetrai di Laon e di Soissons, sui miniatori e sugli scultori. In tutti i sensi egli ci ap- pare sempre pitt, come ha sctitto Louis Grodecki, uno dei massimi geni dell’arte medievale d’Occidente. BIBLIOGRAFIA Tra i primi ad occuparsi di Nicolaus de Verdun fu il geniale poligrafo A.N. Di- dron, animatore delle «Annales Archéologiques», bandiera det neomedievalisti in Francia, In questa sede (XXII, 1865, pp. 199-202) pubblico una breve notizia sull’attista, allora pressoché sconosciuto, Nicolas de Verdun. Emailleur du XI sié- cle. Un sintetico profilo di Nicolaus, accompagnato da sedici belle riproduzioni a coloti, si trova in E. Castelnuovo, Nicolas de Verdun, Fratelli Fabbri, Milano 1967, tun fascicolo della serie «Maestti della Scultura». Vimportanza europ 4 del mae- stro @ stata ripetutamente messa in luce negli scritti del grande medievista L. Gro- decki (consultabili in Le Moyen Age retrouvé, Flammarion, Paris 1986-91, pas- sim), come pure nelle pagine che gli dedica R, Hamann-Mac Lean riunite in Suikoandel und Personlichkeit. Gesammelte Aufsitze 1935-1982, a Cura di PC. Claussen, Steiner, Stuttgart 1988, pp. 487-984. H. Fillitz, negh Studien zu Nico- laus von Verdun, in «Arte Medieval 70-97, affronta diversi pro- le», IT, 1984, pp. blemi aperti nell’opera dell’artista: dai dubbi sulla sua presenza a Klosterneuburg alla primitiva disposizione delle placche di smalto dell’altare, mentre O. Demus, negli Studies in Byzantium, Venice and the West, 1, Pindar Press, London 1998, pp. 285-311 stadia il suo rapporto con i modelli bizantini. Una messa a fuoco sin- ale voce di enciclopedia re- tetica e recente é contenuta in una eccellente e person: datta da PC, Claussen, Nicholas of Verdun, in The Dictionary of Art, XXII, Gro- ve, London 1996, pp. 97-101. Sull'altare di Klosterneuburg si vedano principalmente: F. Rohrig, Der Ver- duner Altar, Hetold, Wien 1955 (con numerose edizioni successive), una prezio- sa guida alla storia e alla lettura dell’altare, eH, Buschausen, Der Verduner Altar, Tasch, Wien 1980, che studia la sua complessa iconografia nei suoi significati teo- logici e politici. Sulla partecipazione di Nicolaus allo Scrigno det Magi di Colonia ha scritto allinizio del Novecento un saggio illuminante uno dei padri fondatori dello stu- dio delle arti suntuarie, O. von Falke, Meister Nikolaus von Verdun und der nella «Zeitschrift fiir Christliche Dreikonigenschrein im Kélner Domschatz, ti contributi su questa opera eccezio- Kunst», XVIL, 1905, pp. 161-82. Important nale si trovano in Der Meister des Dreikénigen-Schreins, a cura di H. Schnitzler, P. Bloch, Bachem, Kéln 1964, catalogo di una piccola mostra ad essa dedicata. Sui problemi posti dalla sua datazione fail punto R. Kroos, Zur datierung des Dreiké- nigenschreins, in «Kunstchronik», XXXVI, 1985, pp. 290-98. : : ; Simone Martini: un pittore «in paradiso», fra potenti e poeti di Maria Monica Donato Fu(...] quella di Simone grandissima ventura vivere al tempo di messer Fran- cesco Petrarca, e [...] trovare in Avignone [...] questo amorosissimo poeta desi- deroso d’avere la imagine di madonna Laura di (sua) mano. A meta del Cinquecento, nelle Vite di Giorgio Vasari — prima vera sto- ria di artisti -, a Simone Martini da Siena, protagonista della fioritura pit- torica che la sua citta visse nella prima met del Trecento, spetta un ruolo esemplare, quello dell’attefice consegnato all’eternita da un letterato: Pe- trarca, appunto, che Simone frequentd nella citt’ dei papi, dov'era giunto pitt o meno cinquantenne verso il 1335 e dimors fino alla morte, nel ’44. Tl poeta, infatti, ottenuta l’effigie di Laura, «fece di lui memoria in due so- netti [...] [che] hanno dato piti fama alla povera vita di maestro Simone che non hanno fatto né faranno mai tutte Popere sue. Di quella vita - che, ve- dremo, «povera» proprio non fu ~e di quelle opere, peraltro, Vasari sa po- co: ne ignora molti dipinti, gliene riferisce pid d’uno non suo, e, da propa- gandista d’una Firenze ormai capitale del Granducato, fa di quell’«eccel- Iente dipintore», felicemente incline al «ritrarre di naturale», cid che non fu mai: un allievo del fiorentino Giotto, colui che aveva ricondotto la pit- tura sulla via maestra dell’imitazione della natura. A dite il vero, il primo «artista dei letterati» &, semmai, proprio Giotto, Jodato fin da giovane in versi, cronache, novelle, trattati. Eppure, Simone fa a lungo Peartista del poeta» per eccellenza: «il rinomatissimo pittor di madonna Laura», per dirla con un altro padre della nostra storia dell’arte, Luigi Lanzi, che pure, oltre due secoli dopo Vasari, e dopo che alcuni va- lenti eruditi avevano rivendicato 'autonomia d’una «scuola» senese, le de- dica un impegnato capitolo, dove fra l'altro nega che Simone fosse allievo di Giotto. Strana sorte, insomma, quella postuma di Simone, famoso per un’ope- ra che nessuno, salvo Petrarca, sembra avere mai visto, mentre restavano in vista numerosi dipinti suoi in muro, su tavola, su pergamena — riscoper- Artifer, bonny unto, credo, non sta solo helbin, 158 : 7 ne davvero unica di quej : ip »Ortocento. ’ - . 3 rattutto {Pjntonazio! Cale ti, Pee el Petrarca, m4 dai rispettivi prin vers ~ Per mj, ere onterels nse a Simon l’alto concett netti (77 € 78 del 7 re e« ando ginmse a pan Fee ees a . rar Policleto @ Pe del paragone illustre co eta wn’intimita | i Partista ‘tore € PO ta ratificano Farts yelano fra pittor® : : le ci “a oe ue nella letteratura. d’arte medievale non si conosoe yualcosa rofonda, 4 : : : P neppure pet Giotto. tile» era realizzata «in carte, altrove, nepPY nde che I’«opera gent e Dai verst s oP P vcella metallica: un disegno, dunque- . cont aot Pe. con «lo stile», : ae badi, un «ritratto di naturale», mm a Seen Lad trarca non scorge, clea al di la delle apparenze sensibili: Simone ha a. bellezza pit ver®, a, nel «suo bel-viso», la sua anima: la «divina parte», tratto» oan + eta dice di non esser in grado, lui 2 di . Iefigure cen agione dei «plures colores extraor ee gato cout r eon il primo «paradiso» di Simone: ae = regno di ae cate, ma urvelegantissima corte 1h visita ufficiale = cit i ink . nr a eee cddeer dis Jo sguardo e impone a riflessione. Nelle iscrizioni che cor- che polani™ duro monito contro i «potenti», i ma- calce, la Vergine rivolge a : > ima. oa ine minano la pace sociale e il bene comune; € qut il futuro amico di gnal Petrarca incontra il suo primo, anonimo pocta, dantesco e civile: perchéla o, in versi volgari, tessutt sullo schema metrico i! Ja, fatto inaudit rt o scl ic pie aa Eaiversi s’affida anche la memoria dell’artista (resta l’in- aipit: «Se la man di Symone...»): una vera consacrazione per il giovane pit- tore, incisa in finto porfido fra i sigilli del Comune e del Popolo. - nel 1321 Simon La Maesté, manifesto rivolto ai cittadini laici, alfabetizzati e partecipi ella vita pubblica, fonda a Siena un nuovo uso dell’immagine; una pittura civica di cui Simone resta protagonista fino alla partenza per Avignone. E lui, quasi sempre, il «depentore che dipegne in palaggo», cimentandosi an- che su un nuovo registro secolare: temi classici, in linea coi miti d’una citta che sivoleva fondata dai figli di Remo (e ad Avignone Petrarca, che studia- va Livio e meditava un’opera di storia romana, avra appreso con interesse d'un suo Attilio Regolo, purtroppo perduto, exemplum di dedizione al ben comune); ma anche temi attuali, fra cronaca e propaganda. Vasti cartelloni a fresco, quasi un ciclo i progress, fissavano di fronte alla Maestd le tappe dell’estensione del territorio senese, effigiando i castelli via via sottratti ai nobili ghibellini. Tappe, anche, della crescita di Simone come autore di «ti tratti dinaturalen: dei protagonisti, come il capitano di guerra Guidoriccio, ah = eS veridico, sulla piana di Montemassi, ma anche 1 te», a ie aie ie : ee eee «chon uno, cavallo et uno fan no, per poi dipingerle «a tena ‘ Conc 7 eaeoee eCastel del a que, ma anche in esterni, are ed ar alas, and dell Ospedale di Sents Nae Perduti: sulle porte della citta, sulle faccia! : a Maria della Scala e dell Opera del duomo, dove u™* nuova Maestd sovrastava un ‘ritratto urbano’, col di pam ile, € un cartiglio rilanciava la civile im ione: «& ae Le Alculto civieo della Vor vocazione: «Salvet Virgo Senam... a ergine si deve anche la tavola pit costosa di cul abbia notizia a quel t a ye al dicati in Disa empo: l Annunciazione (1333) per uno degli altar! de pid astratta e calli a Senesi; spesso ritenuta un culmine della ve™* come una Laura Ge lite Simone ~ Pietro Toesca leggeva PAnnunci@ A : eram: «non c’é : x ; me in realt non tradisce, nella oe materia che sia ‘all’alma velo” di nitidi e preziosi dettagli, Ja te” Maria Monica Donato Simone Martini 161 ta costante di quell’illusionismo decorativo che resta, fino alla fine, un pro- prium della sua arte. : - 1 La tavola é firmata da Simone assieme 2 Lippo Memmi. E questa ‘a so- Ja attestazione pubblica della sua collaborazione con un artista che lo af- fianca fino dagli anni Dieci: a soli due anni dal compimento della Maesta, Civico di San Gimi- Lippo ne aveva prodotto una tiedizione nel Palazzo \ in gnano, con Vintelligenza anche tecnica di chi conosce il modelo dal ‘in- terno. Ma quel legame, che coinvolge pure il fratello di Lippo, Tederico, € si rafforza col mattimonio di Simone con la loro sorella Giovanna, segna — secondo modalita, pare, flessibili agl’impegni comunt si alternano quelli affrontati in proprio — la carriera intera di Simone, a sua volta associato al fratello Donato. Certo, il sodalizio familiare sara un decisivo veicolo di propagazione della sua pittura, a Siena e negli altri centri per cui lavora, spesso in un in- treccio serrato, che impone un’efficiente articolazione della bottega: atte- stata, questa, almeno dal ’21, quando a «taconciare> la Maestd collabora- no alcuni «discipuli». Ma la gestione della complicata agenda di Simone implica anche un suo elevato potere contrattuale; ad avvalorarlo, un soli- do status economico, garantito fin dagli anni Dieci da rilevazioni fiscali ¢ poi da cospicue transazioni legate al matrimonio (1324), € confermato sen- 2a flessioni fino ai congrui lasciti del pittore, che morira senza figli, ai mol- ti nipoti. Quell’intreccio d'impegni, dentro e fuori Siena, era iniziato presto. A ben vedere, un altro segno del credito goduto dall’artista il fatto, accer- tato dal recente restauro, che un’impresa come la Maeséa sia stata a un cer- to punto interrotta per lavorare altrove. La cosa poteva accadere, ritengo, solo per buone ragioni politiche, rispetto alle quali a Simone sembra spet- tare un ruolo a suo modo «diplomatic»; pid tardi, del resto, il Comune di Firenze si priver’ di Giotto per inviarlo presso il signore di Milano. Simo- ne, invece, sospende il cantiere senese per spostarsi ad Assisi, dove affre- sca nella basilica inferiore la cappella d’un cardinale francescano, Gentile Partino da Montefiore: un uomo chiave per lo schieramento di cui Siena fa parte, che, a non dir altro, aveva contribuito a garantire il trono di Na- poli a Roberto d’Angid, capo dei guelfi italiani, risolvendo una spinosa cri- si dinastica entro il ramo ungherese della casata. Gentile, che passd da Siena nel 1312, pud aver incontrato Simone al la- voro sulla Maesta; il suo ritratto postumo, nella cappella, mal si spiega sen- za un appunto «di naturale» (fig. 2). Si prepara cosi, per il pittore, un ruo- lo decisivo nella politica d’immagine degli Angid, che al termine dei lavori della cappella ne assumeranno la regia, chiedendo la sostituzione di alcune figure gia dipinte con santi della famiglia: Luigi IX di Francia, Elisabetta 1, Simone Martini, Maesta; affresco, 1315 (con rifacimenti del 1321). Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo. 2, Simone Martini, I! cardinale Gentile Partino da Montefiore di fronte a san Martino di Tours; affresco, 1315 circa-1317. Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San Martino. 3, Simone Martini, San Ludovico da Tolosa incorona Roberto d’Angid; tempera su tavola, 1317 Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. 4, Simone Martini, I beato Agostino Novello salva un bimbo caduto da un solaio, pasticolare de Il beato Agostino Novello quattro suoi miracoli, tempera su tavola, terzo decennio del Trecento. Siena, Pinacoteca Nazionale, in deposito dalla chiesa di Sant’ Agostino. 5. Simone Martini, Sacra famiglia; tempera su tavola, 1342 Liverpool, Walker Art Gallery. Artifex bonus 164 : vico da Tolosa. Questi, fratello eo di i itt rigida disciplina fran- is bbracciare la piti rigida discip! to, timunciando al trono per al i piu a ee aveva favorito l’esito politico auspicato € es e, gid ricca di santi, d’una gloria piti recente € popolare. “a = i sit Sine nel ’17, & perno cronologico € pote te il aes eal ae a 1 i Martino, il cavaliere - ella Montefiore — dedicata a san n0, ‘ ee patrono dei monarchi di Francia —, e per altre due imprese di §i i Li a Napoli, consacrava il nuovo santo Simone: la tavola che, in San Lorenzo at ea (fig. 3), e la parata di santi angioini e ungheresi os con s eee Madonna, s’affacciano regalmente, come da.un balcone, nel trans : stro della stessa basilica inferiore. : ae : Il pittore civico, dunque, si fa pittore di corte: il linguaggio raffinatissi- mo e gli exploits «orafi» della Maesta si prolungano ad Assisi e trionfano nel tripudio araldico e nel baluginare d’ornati dell’ancona di Napoli: dove il giovane asceta, che era morto di stenti, siede avvolto in paramenti son- tuosissimi ¢, ricevendo la corona celeste, cede al fratello — puntualmente «ritratto di naturale» - quella terrena. q d’Ungheria, e soprattutto Ludo} Si notera a questo punto come Simone — al pari, ancora, del solo Giot- to —si confronti di continuo con compiti e soggetti in assoluto nuovi. Ad esempio, se la Maesta reinventa un’iconografia inaugurata da Duccio, le storie di san Martino sono un tema pressoché inedito, Nella cappella, do- ve il rapporto fra Parchitetrura reale — una frastagliata «gabbia» gotica—e il sistema delle cornici e delle architetture dipinte & razionalizzato con as- soluta limpidezza, una fitta rete di tispondenze visive rileva i nodi salienti del racconto, ignoto ai pit, e con essi le virtix di Martino: ad esempio, la posa orante del giovane santo, che mentre & fatto soldato dell’Impero é gia soldato di Cristo, é iterata e «inverata» sul Tegistro superiore, dove, vesco- vo, eleva l’ostia consacrata, ' nonizzazione che verrd tre zione anni dopo, Colpisce, in queste opi e erazioni

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