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Atti del Convegno Processi di decentramento e rilancio dello sviluppo

Investimenti pubblici, infrastrutture e competivit Roma, 19 ottobre 2005

Processi di decentramento e rilancio dello sviluppo Investimenti pubblici, infrastrutture e competitivit INDICE
Premessa Saluto del Prof. Giovanni Bazoli, Presidente Banca Intesa Pag. 5 7

Lo stato del decentramento: quali risorse per quali investimenti ? Paolo De Ioanna, chairman Pia Saraceno Mario Canzio Antonino Turicchi Mario Ciaccia Vincenzo Visco Mario Baldassarri Lo sviluppo del mezzogiorno precondizione dello sviluppo del Paese? Ilvo Diamanti, chairman Gregorio De Felice Enrico Letta Gianfranco Miccich Ettore Artioli Alessandro Laterza Tavola Rotonda

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Banca Intesa

Premessa
Banca Intesa, coerentemente con le proprie linee-guida strategiche, prosegue nel cammino gi intrapreso e mirato a concorrere alla modernizzazione e alla crescita del sistema Italia. Per favorire il raggiungimento di tali obiettivi, tra l'altro, sta per nascere un nuovo soggetto dotato di autonomia societaria che, all'interno del Gruppo, concentrer strutture, competenze e professionalit finalizzate ad accompagnare in questo processo di crescita l'intero settore pubblico allargato. In quest'ottica, si promosso un Convegno che ha inteso proseguire il dibattito gi avviato nel 2004, individuando nella difficolt di sostenere un significativo trend di investimenti pubblici il principale ostacolo che il nostro Paese deve superare per fronteggiare adeguatamente la competizione globale. Le risposte all'evento - in termini di interesse e di partecipazione - ci hanno spinto a procedere il pi velocemente possibile nella pubblicazione degli atti contenuti nel presente volume e alla determinazione di istituzionalizzare questo momento di confronto, confermandone lo svolgimento nello stesso periodo anche per il futuro. Ci nella certezza che l'appuntamento di met ottobre sar sempre pi non solo un focus sui temi di maggiore attualit per lo sviluppo del nostro Paese ma anche una testimonianza sull'impegno concreto e quotidiano di Banca Intesa in questa direzione. Mario Ciaccia Responsabile della Direzione Relazioni Istituzionali e della Direzione Stato e Infrastrutture di Banca Intesa

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Saluto del Presidente di Banca Intesa Professor Giovanni Bazoli


Autorit, Signore e Signori a nome di Banca Intesa porgo un cordiale saluto a tutti gli intervenuti, che ringrazio per la loro presenza all'odierna giornata di lavori. Il Convegno riprende i temi sui quali gi lo scorso anno abbiamo avviato una riflessione, incentrata sul processo di riallocazione delle competenze tra Amministrazione centrale dello Stato, Regioni e altri enti territoriali, e sugli effetti che da tale processo si riflettono su tutte le componenti del nostro sistema economico. Il trend del decentramento dei poteri di spesa si sviluppato in Italia a partire dal 1948, ma con cicli alternati di accelerazione e di rallentamento. Infatti, se nel 1970 fu avviata l'esperienza regionale (con il corollario di una nuova attenzione rivolta all'autonomia finanziaria degli enti locali), il decennio successivo fu segnato da un ritorno al centralismo in termini di controllo statale sulle spese regionali e locali. Il percorso verso il decentramento riprese negli anni Novanta: dapprima con una serie di misure disposte con leggi ordinarie e quindi con la riforma costituzionale del 2001, che ha attribuito pari legittimit costituzionale a tutti i livelli di governo e ha introdotto il principio di sussidiariet. Attualmente, come ben noto, all'esame del Parlamento, in seconda lettura, un'altra e assai pi rilevante riforma costituzionale, che tuttavia dovr quasi certamente sottostare ad un referendum costituzionale di esito alquanto incerto. La complessit del panorama richiamato spiega l'avvenuta istituzione di un'Alta Commissione per la definizione dei meccanismi strutturali del Federalismo Fiscale, che la Legge finanziaria per il 2003 ha previsto allo scopo di indicare al Governo i principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione. I lavori di tale Commissione, peraltro, non risulta che si siano ancora conclusi. In occasione dell'odierno convegno si ritenuto opportuno concentrare l'analisi sul versante della spesa per investimenti (variabile chiave del quadro macro-economico). Abbiamo quindi chiesto a tutti i relatori - studiosi, tecnici, politici e imprenditori - di offrire alla discussione il loro punto di vista sulla correlazione fra la riforma in corso dell'assetto istituzionale del Paese e le tendenze che emergono in materia di investimenti pubblici. L'obiettivo quello di verificare, in primo luogo, l'effettiva attivabilit degli investimenti rispetto alle risorse disponibili e agli strumenti finanziari utilizzabili; in secondo luogo, la produttivit degli investimenti stessi, misurata sia con riguardo al rapporto costi/benefici di ogni singola opera sia con riguardo al vantaggio che ne pu trarre la crescita economica del territorio di riferimento. E' per questa ragione - oltre che per raccogliere la sollecitazione rivoltaci lo scorso anno dal Ministro La Loggia - che nell'articolazione dei lavori abbiamo previsto una sessione specificamente dedicata al Mezzogiorno. E' all'interno di questa area, infatti, che le necessit di modernizzazione delle reti infrastrutturali e di ottimizzazione delle risorse disponibili rappresentano un vincolo particolarmente stringente rispetto a qualsiasi ipotesi di sviluppo significativo e duraturo. Anche se attraversiamo tuttora una congiuntura economica non favorevole, non possiamo eludere e neppure rinviare l'impegno di aggredire e risolvere i nodi strutturali che impediscono all'Italia di competere adeguatamente - come sarebbe consentito dalle sue potenzialit - nel mercato globale. La trasformazione in senso federale del Paese dev'essere quindi coerente con le policy in materia di politiche di sviluppo: esigenza, questa, che si accompagna all'auspicio - gi qui espresso lo scorso anno - che qualsiasi modifi-

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ca degli assetti istituzionali della Repubblica proceda senza forzature e ricercando soluzioni, oltre che razionali, il pi possibile condivise. La nuova centralit delle autonomie locali e il loro peso sempre pi significativo nel quadro delle politiche di investimento sono evidenziati dal fatto che gli enti territoriali veicolano quasi il 50% dell'intervento pubblico diretto. Ne deriva l'assoluta necessit - al fine di non generare squilibri e penalizzazioni per i soggetti (cittadini ed imprese) operanti nelle diverse aree del Paese - di adottare meccanismi atti ad assicurare una distribuzione equa ed efficiente di competenze e di risorse fra le istituzioni. Le esigenze qui sommariamente accennate ci hanno indotto a organizzare l'odierno convegno, che rappresenta un'ideale prosecuzione di quello dell'anno scorso. D'altra parte, sono temi e riflessioni che ci chiamano in causa direttamente come banca. Il mondo della finanza e in particolare quello del credito devono infatti dimostrarsi capaci di rispondere ad alcuni pressanti quesiti. Come farsi promotori di impegnativi programmi di investimenti, assicurando nello stesso tempo il rispetto di equilibrate e responsabili politiche di bilancio? Come favorire la costituzione di partnership pubblico-private, capaci sia di garantire il soddisfacimento di esigenze collettive sia di remunerare adeguatamente l'intrapresa? Quali strumenti finanziari e quali forme organizzative proporre per raggiungere tali obiettivi? Negli ultimi anni, anche per effetto di una speciale attenzione dedicata a questi temi, Banca Intesa ha intensificato la sua vicinanza al mondo della Pubblica Amministrazione, chiudendo numerose operazioni di grande complessit e configurandosi ormai, per volumi e per qualit dell'offerta, come uno dei principali player anche in questo settore. Come naturale esito di tale processo, stata progettata nel nostro Gruppo la creazione di una nuova banca, dedicata esclusivamente al settore pubblico. L'incontro odierno potr fornirci utili spunti anche in vista dello start-up di tale nuova societ, che intende concorrere - nella dovuta distinzione dei ruoli - al superamento di alcuni vincoli che storicamente gravano sulla pubblica amministrazione del nostro Paese. La tavola rotonda che si svolger nel pomeriggio ha come tema quello dell'alleanza - che possiamo definire obbligata - fra Istituzioni, banche e imprese. Ho spesso avuto modo di sostenere che il legame di solidariet fra le diverse componenti del sistema Italia dovrebbe rappresentare, soprattutto in un momento di difficolt, il principio guida cui fare riferimento, nel pieno rispetto delle regole del mercato, per affrontare le sfide concorrenziali. Ringraziando ancora tutti i presenti, esprimo l'auspicio che i lavori odierni servano a confrontare proposte e punti di vista fuori dai vincoli e dagli schemi imposti quotidianamente dall'asprezza del confronto politico.

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Lo Stato del decentramento: quali risorse per quali investimenti?


Paolo De Ioanna, Consigliere di Stato, chairman Pia Saraceno, Amministratore Delegato Ref. Antonino Turicchi, Direttore Generale Cassa Depositi e Prestiti SpA Mario Canzio, Ragioniere Generale dello Stato Mario Ciaccia, Responsabile Direzione Relazioni Istituzionali e Direzione Stato e Infrastrutture di Banca Intesa Vincenzo Visco, Deputato Mario Baldassarri, Vice Ministro dell'Economia e delle Finanze

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Paolo De Ioanna
Tocca a me dare avvio ai nostri lavori. Questo incontro offre una straordinaria occasione per mettere a confronto e saggiare nel concreto quello che, a mio avviso, un problema cruciale del nostro tempo: il rapporto tra analisi tecnica e scelte politiche. Alla fine di questa nostra giornata di lavoro ritengo che questo problema verr in evidenza con grande nitidezza: in materia di investimenti, infrastrutture e istituzioni si vede chiarissimamente che questo nesso il problema cruciale dei gruppi dirigenti italiani in questa fase storica. La ricerca che la professoressa Saraceno ci illustrer, in fase iniziale, costituisce uno straordinario esempio di presentazione ragionata e analitica di dati; dati che non portano a conclusioni univoche (questo il mio punto di vista), ma offrono gli elementi conoscitivi per una discussione fondata su basi tecniche solide. Per l'organizzazione dei lavori, forse bene, dopo l'intervento della prof.ssa Saraceno, ascoltare due super tecnici. Abbiamo il piacere di avere il neo Ragioniere Generale dello Stato, al quale mi lega un'antica e profonda stima, e anche una grande amicizia personale e al quale auguro tutte le cose migliori per il futuro, anche se so bene che si trova ad operare in una fase di grande delicatezza per i conti del nostro Stato, fase che richiede grande senso di responsabilit e passione per la trasparenza. Del resto, penso che i grands commis devono servire l'oggettivit, devono servire le l'istituzioni, sono in un certo senso l'interpretazione pratica delle istituzioni, non in ragione di un'etica astratta, ma in ragione di una ragione pratica: perch le istituzioni servono a risolvere problemi complessi , offrendo il massimo possibile di oggettivit alle scelte della politica. Farei poi parlare il professor Turicchi, un importante testimonio e operatore di queste vicende dell'investimento. Darei poi la parola all'amico Mario Ciaccia e a seguire all'onorevole Visco ; farei chiudere, per ovvie ragioni, al vice ministro Baldassarri, che spero ci raggiunga. Naturalmente, il mio interesse per i bilanci pubblici mi spinge a svolgere qualche breve considerazione introduttiva. Aggiungo che per mantenere i tempi che abbiamo programmato, bene che tutti gli interventi, a cominciare dalla prof.ssa Saraceno, si mantengano in tempi ragionevolmente concentrati, non oltre i 12-15 minuti. Il presidente Bazoli all'inizio ha ricordato un legame (che anche a me sembrato di cogliere) tra il seminario dell'anno scorso e questo di quest'anno. Quello dell'anno scorso era sul tema Attuazione e inattuazione del Titolo V della Costituzione. Mi pare che il filo forte che lega i due seminari sia il ruolo cruciale che le istituzioni hanno nello sviluppo economico di un sistema. La Corte Costituzionale, quest'anno, ha posto molti paletti, ha chiarito molte questioni, ha posto l'accento sui problemi del coordinamento finanziario. In un certo senso ha enfatizzato molto il ruolo di coordinamento dello Stato ed ha ricordato che i livelli essenziali di cittadinanza (quelli che danno poi luogo alla partecipazione critica e attiva dei cittadini, che poi sono il sale della democrazia rappresentativa) sono le questioni con le quali la classe politica deve fare i conti, in via prioritaria, nell'attuazione del titolo V. Mi pare che nel dibattito dell'anno scorso, se si riguardano gli atti (io li ho rivisti), queste due questioni erano poste in modo estremamente nitido. Quindi appare molto utile riprendere la discussione proprio dal problema dello sviluppo, perch i livelli essenziali di cittadinanza non sono un dato astratto, ma sono funzione dello sviluppo economico. Riprendere dunque le questioni dello sviluppo economico, partendo dai meccanismi di un federalismo incompleto.

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C' un largo accordo, mi pare, tra gli studiosi e gli operatori sul fatto che lo sviluppo economico generale del Paese dipenda molto dalla sua capacit di sostenere e qualificare lo sviluppo delle istituzioni e dei territori e di valorizzare la vocazione dei territori. In fondo, se la classe politica ha scelto una qualche forma di federalismo, l'ha fatto per valorizzare i territori. Nell'articolo 119 c' questo rilievo della capacit fiscale: la capacit fiscale un riconoscimento delle differenze territoriali. D'altra parte, le differenze devono essere perequate. E qui ci sono tutte le questioni irrisolte: criteri della perequazione, basi della compartecipazione, cespiti su cui realizzare la compartecipazione. Comunque, i territori e le istituzioni sono il luogo a partire dal quale si pu cercare di gestire la complessit del tempo presente. Non voglio fare un ragionamento troppo filosofico. Ma c' un largo accordo tra operatori e studiosi che il tempo presente il tempo che deve integrare specialismi molto diversi: imprenditori, mass media, politici, istituzioni, scienza, tecnica, innovazione. Tutto questo provato. Ci sono ricerche empiriche, ed in un certo senso anche la ricerca che la prof.ssa Saraceno appresta ad illustrare, mostra che tutto questo si integra meglio partendo dalle vocazioni del territorio. Ma, se dobbiamo partire dalle vocazioni del territorio, abbiamo bisogno di stabilit e di chiarezza. Qui c' un problema di fondo (e qui vengo ai miei interessi per i bilanci pubblici) : l'investimento pone un problema di tempo, il tempo si riflette nei bilanci. L'annualit del bilancio un fatto puramente convenzionale, il flusso di entrate e di spese continuo. La convenzione annuale ha una funzione puramente autorizzatoria. Ma, quando rappresentiamo spese per investimento la funzione del tempo entra nei bilanci (i fondi di ammortamento, i fondi di riserva e quant'altro). Noi avevamo immaginato, negli anni passati, i bilanci pluriennali come uno strumento nuovo (non solo in Italia, ma anche in altri Paesi) che dovesse essere la guida, la cornice, lo strumento dentro il quale coniugare scelta di investimento, rischio e composizione degli equilibri finanziari tra entrate correnti e spese correnti. Tutto questo rimasto un po' sullo sfondo. I bilanci pluriennali sono diventati una cosa un po' desueta (a differenza di quello che accade in altre importanti democrazie europee), per la semplice ragione che funzionano (questo vale per lo Stato, vale per le Regioni, vale per i Comuni) nella misura in cui la cornice del mix delle entrate correnti, la pressione fiscale che si pu attivare localmente, la quota di debito che si pu aprire, gli investimenti a livello dei servizi, sono sintetizzati a livello locale in modo trasparente, chiaro e stabile. Noi siamo in una fase di profonda evoluzione , rispetto alla quale il quadro delle scelte istituzionali appare profondamente contraddittorio. Gli investitori locali hanno difficolt a muoversi. I dati della ricerca (mi avvio alla conclusione e passo poi la parola alla prof.ssa Saraceno) dimostrano in fondo una cosa abbastanza banale, a mio modo di vedere: che sono pi attive, fanno pi investimenti, in infrastrutture in particolare, quelle aree territoriali che hanno equilibri di parte corrente pi stabile, pi solida, pi consolidata. Ma, paradossalmente, le aree territoriali che hanno equilibri di parte corrente pi fragile (penso al Sud) sono portate a sperimentare strumenti pi sofisticati, derivati e quant'altro, che vanno a poggiare su una struttura di bilancio obiettivamente pi fragile. Questo un problema che adesso si comincia a vedere, ma pu emergere negli anni a venire, quando i tassi d'interesse si impenneranno. E, al di l del problema dei tassi d'interesse, rivela una questione fondamentale: se l'autonomia finanziaria, il federalismo un modo per rendere pi efficiente il clearing politico, locale, tra livelli dei servizi per i cittadini, indebitamento, investimenti e pressione fiscale attivabile in loco, necessario che la struttura di fondo di questi equilibri dei bilanci locali poggi su un quadro istituzionale stabile, prevedibile e trasparente. Allora, questa legislatura consegna alla responsabilit politica di chi verr (chiunque verr) un quadro oggettivamente molto contraddittorio, dove peraltro il quadro analitico comincia ad essere sufficientemente chiaro (e lo studio della REF ci aiuta molto).

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Ma, a mio modo di vedere, rimane ancora non chiarito il sentiero che la classe politica deve percorrere. E' chiarissimo che si confrontano delle coppie interpretative nitide: mercato verso direzione e indirizzo, dove direzione e indirizzo non sono solo del centro, ma anche delle regioni come luogo di coordinamento regionale verso gli enti locali territoriali; certezza e stabilit verso incertezza, coordinamento verso autonomia. Io credo che il lavoro della Corte Costituzionale (e del Consiglio di Stato, mi si passi un accenno alla casa di cui mi onoro di essere ora parte) abbiano chiarito come un ordinamento giuridico si fondi profondamente sulla certezza e sulla prevedibilit. Questo riguarda i cittadini, riguarda gli operatori economici, ma riguarda, credo, la vita politica; e la vita politica fatta di partecipazione critica, di consapevolezza che - qualsiasi siano i cambiamenti che possono avvenire in un quadro ordinamentale - la reazione delle istituzioni deve essere sufficientemente stabile, sufficientemente prevedibile. Se, invece, il quadro si sgrana e la reazione istituzionale diventa incerta, ci crea un elemento di incertezza, a mio modo di vedere, per tutte le scelte marginali, di risparmio, di consumo e di investimento, che siamo chiamati a fare come cittadini e come operatori economici. Mi fermerei qui, vi chiedo scusa per la lunghezza e do la parola subito alla prof.ssa Saraceno.

Pia Saraceno
1. La ricerca si propone di descrivere come cambiata la struttura dell'intervento pubblico in materia d'investimenti nell'ultimo periodo, anche tenendo conto del condizionamento imposto dalle politiche di risanamento dei conti pubblici e delle modifiche intercorse nei processi decisionali a partire dai diversi fabbisogni infrastrutturali lungo il territorio nazionale. Le problematiche vengono quindi affrontate sotto quattro punti di osservazioni differenti. Partendo dal quadro di finanza pubblica attuale e prospettico si d conto dei vincoli imposti all'autonomia decisionale degli enti territoriali; si valutano le risorse finanziarie che lungo il territorio sono state utilizzate per finanziare il processo d'investimento e lo strumento del debito come fonte di finanziamento; alla luce di un'analisi del ruolo degli investimenti pubblici come strumento per favorire la crescita ed il riequilibrio territoriale si tenta una valutazione dei rischi cui va incontro il Mezzogiorno nell'attuale contesto decisionale. Una proposta correttiva dell'attuale regola di contabilit per regioni ed Enti locali infine elaborata al fine di correggere le distorsioni che l'attuale contesto ingenera e che nella ricerca sono state illustrate. 2. La struttura e la dinamica degli investimenti pubblici e in generale il processo di decentramento sono stati influenzati e continueranno ad essere influenzati dallo scenario incerto della finanza pubblica italiana (slide pag. 4). Nella ricerca del difficile equilibrio tra risanamento e attuazione dell'autonomia degli enti decentrati, il processo ha incontrato diverse difficolt applicative generando conflitti tra istituzioni, vuoti amministrativi, crisi di liquidit e blocco d'investimenti da parte dei soggetti meno autonomi finanziariamente. Un decentramento conflittuale e senza risorse sta alla base dell'aumento dell'irresponsabilit finanziaria degli Enti decentrati: proprio l'opposto di quello che in teoria si voleva perseguire. Alla fragilit dei conti pubblici concorre in modo determinante infatti il depotenziamento del saldo primario delle Amministrazioni Locali che da solo spiega il 50% della riduzione del surplus primario dell'intera PA: dal 5% della fine degli anni novanta, nel 2005 ci si avvicinati ad un azzeramento, il che ha riportato il saldo globale sopra al 4% e il rapporto debito/pil nuovamente su un sentiero di aumento. L'innalzamento della pressione fiscale che si verificato a livello decentrato per far fronte alle maggiori funzioni previste dalle Bassanini non garantisce infatti l'equilibrio finanziario degli enti decentrati. In prospettiva la situazione appare anche pi problematica.

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3. La finanziaria per il 2006 presenta tratti che per molti versi tenderanno ad essere peggiorativi dell'evoluzione fin qui seguita (slide pag. 5). Il risparmio a cui sarebbero costretti gli Enti territoriali risulta superiore a quello facciale presentato nella relazione tecnica perch si applica ad una evoluzione tendenziale che fissa gi il tetto del 2% alla sua crescita. La rigida applicazione del nuovo Patto di Stabilit interna, versione finanziaria 2006, provocherebbe un abbattimento di quasi il 20% dell'intera spesa corrente al netto delle retribuzioni per i Comuni, solo in minima parte compensata dalla maggior spesa in conto capitale: un obiettivo praticamente impossibile oltre che forse non propriamente in linea con l'autonomia riconosciuta dalla Costituzione. I maggiori risparmi imposti agli Enti decentrati coprirebbero solo in parte poi la minore efficacia di altri provvedimenti correttivi previsti. E' facile previsione quella che indica per il 2006 un significativo allontanamento dalle indicazioni della Finanziaria ed un contributo in questa direzione anche da parte degli Enti Decentrati. 4. La struttura e la dinamica degli investimenti ha risentito delle varie fasi che ha attraversato il percorso di risanamento dei conti pubblici nell'ultimo decennio . Il calo degli investimenti associato alla riduzione del deficit della prima met degli anni novanta, stato comune ma pi accentuato a quello in atto anche in altri paesi europei . Il recupero successivo porta, invece in Italia il rapporto investimenti/pil (anche depurato dall'effetto delle dismissioni immobiliari) al di sopra della media europea. La quota d'investimenti realizzata dagli enti decentrati si colloca infine al di sopra del 60% (con una predominanza di Comuni e Province che veicolano il 50% del totale dell'intervento pubblico) contro il 40% della media europea. 5. La rilevanza degli Enti territoriali nel processo d'investimento aumenta andando da Sud a Nord. Gli Enti decentrati spendono di pi in valore assoluto nelle regioni pi ricche e manifestano una dinamica pi accentuata della spesa nell'ultimo quinquennio . La maggior capacit di spesa degli Enti pi ricchi non compensata da politiche di segno contrario delle Amministrazioni centrali, che anzi hanno aumentato gli investimenti dell'80% al Nord contro un aumento del 10% al Sud. Contrasta solo l'azione delle regioni, che tuttavia hanno un peso modesto sul complesso della spesa. Ne consegue che il complesso degli investimenti fissi lordi sul territorio italiano ha visto una crescita del 50% al Nord e del 20% al sud nell'ultimo quinquennio. La crescita dell'autonomia degli Enti territoriali ha significato, in un quadro di risorse comunque limitate, che le diverse dotazioni iniziali hanno inciso sul processo di accumulazione misurato con la spesa per investimenti fissi lordi pro capite, con ci generando le condizioni per ulteriori divaricazioni in futuro. Se dall'analisi degli investimenti fissi lordi si passa all'analisi territoriale di tutta la spesa in conto capitale (slide pag. 8) le gerarchie territoriali in parte si modificano: al sud si concentrano i contributi in c/capitale al sistema industriale e all'artigianato mentre al centro-Nord gli interventi nell'edilizia abitativa e nelle infrastrutture. Vi da domandarsi se la destinazione del mix di risorse sia ottimale dal punto di vista dello stimolo allo sviluppo, visto che non sempre i contributi ai settori produttivi trovano poi una destinazione finale territorialmente definita. 6. Quanto alle fonti di finanziamento, le risorse per investimenti presentano luci ed ombre. Per il complesso della PA il ricorso al mercato in media pari al 50% e si presenta alquanto stabile in dinamica, mantengono una certa stabilit anche le risorse provenienti dai fondi comunitari. Estremamente volatile invece la quota delle risorse proprie il che pone problemi di programmazione e di liquidit, specie nello stato critico del complesso della finanza pubblica italiana: l'aumento delle entrate in conto capitale degli ultimi anni, seguito anche al processo di dismissioni e di finanza straordinaria ha sostenuto negli anni pi recenti il flusso d'investimenti, ma verr meno in futuro. 7. Disaggregando per livelli di Governo si osserva poi come, pur crescendo la rilevanza delle risorse proprie assegnate agli enti periferici i trasferimenti continuano a rappresentare la fonte principale del finanziamento degli investimenti. Il grado di delocalizzazione in materie di risorse risulta alla fine del 2004 ancora piuttosto limitato contrariamente a quanto riguarda la spesa. In un'ottica di federalismo, la disintermediazione finanziaria dello Stato ed il maggior impiego di risorse di mercato degli Enti territoriali tuttavia ine-

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vitabile, e se ne vedono gi tracce nell'andamento recente, anche se le difficolt di attuazione non sono trascurabili ed un coordinamento maggiore tra Regioni ed Enti Locali per sfruttare le economie di scala appare auspicabile. Nel periodo 2000-2004 gli Enti locali hanno realizzato infatti un aumento del 45% del ricorso ai mutui raggiungendo oltre i 4300 milioni di euro nel 2004. Il processo ha interessato tutto il territorio, ma in misura maggiore, trai i livelli di Governo sub-centrale, le realt con minori risorse proprie: in particolare l'indebitamento esploso al sud dove si realizzata la minor dinamica degli investimenti. 8. Alcune correlazioni tra debito e variabili che si suppongono legate (come le entrate e le uscite dell'Ente) mettono in luce che l'apertura della gamma degli strumenti disponibili, stata utilizzata dalle regioni/ realt territoriali con maggiori risorse proprie e che hanno realizzato maggiori investimenti. Si presenta tuttavia una correlazione inversa tra ricorso ai derivati e risorse proprie. La diffusione di derivati ha assunto proporzioni decisamente rilevanti venendo a rappresentare il 38% circa del debito degli Enti locali ed il 43% del totale per le Regioni. Esso pi frequente nelle realt con minori risorse proprie con la presenza di premi per la liquidit (al sud stato swappato il 50% dello stock di debito contro il 27% del Nord). Se da un lato il ricorso ai derivati pu essere utile per ottimizzare le gestione del debito esso introduce elementi di rischiosit per le realt pi fragili se i tassi d'interesse dovessero tornare a crescere. La disintermediazione pu in altri termini aver reso pi fragile il sistema e creato nuovi rischi finanziari 9. Dopo aver affrontato alcuni problemi del federalismo e della finanza pubblica in generale, descritto la struttura della spesa per investimenti ed i problemi relativi al suo finanziamento possiamo porci la domanda di fondo se gli investimenti hanno aiutato la crescita e come i differenziali iniziali e prospettici allo stato dell'arte attuale potranno influire in futuro sulla divaricazione territoriale dei livelli di reddito, e quindi delle risorse per finanziare gli investimenti. Studi numerosi hanno messo in luce come le relazioni sono incerte, tuttavia alcuni fatti stilizzati sembrano relativamente assodati : - Si pu assumere positiva la relazione investimenti crescita. Se ne trovano tracce a livello internazionale ed anche all'interno dell'Italia, che come noto presenta rilevanti differenziali territoriali nei livelli di reddito e d'investimento; - Ma a livello internazionale, esiste anche una relazione positiva tra creazione di infrastrutture e accumulazione di debito pubblico, e quest'ultima si associa a performance economiche modeste quando accompagnata da elevati livelli di tassazione; - Stime econometriche hanno evidenziato inoltre come una unit di capitale in pi generi una crescita superiore nelle regioni pi povere rispetto alle regioni pi ricche (produttivit del capitale decrescente). - Passando all'Italia si tuttavia visto come il processo di accumulazione abbia favorito le regioni pi ricche ma anche come proprio l'efficienza dell'intervento pubblico complessivo (intesa come il grado di trasformazione di investimenti in stock di capitale) sia stata molto pi bassa nel Mezzogiorno. Confermando l'idea che in tali zone si annidino spesso ampie zone di inefficienze. 10.Uno sguardo in particolare al Mezzogiorno permette di individuare come nella struttura duale dell'economia italiana lo scoglio principale per il perseguimento di politiche di riequilibrio anche diverse dal passato sia l'inasprimento del vincolo di bilancio delle Amministrazioni territoriali. L'asimmetrica dipendenza dalle risorse proprie genera capacit di spesa e d'investimento asimmetrica tra le zone territoriali, forzando il sistema verso andamenti divergenti nel processo di accumulazione. Lo scenario che si prefigura per il futuro qualora si accelerino le spinte verso un aumento delle autonomie tender a peggiorare, sia con riferimento alle spese in conto capitale che alla struttura del finanziamento, se non verranno introdotti opportuni incentivi in grado di correggere le tendenze che sono fin qui emerse nei primi anni del federalismo.

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Mario Canzio
Vorrei anzitutto ringraziare Banca Intesa, il suo Presidente, gli organizzatori del convegno per l'invito che mi stato rivolto e che ho accolto con grande interesse. Esso costituisce una positiva occasione di confronto e di approfondimento su una particolare tematica della finanza pubblica, quella del ruolo trainante che gli investimenti pubblici giocano nello sviluppo economico del Paese. Ci tanto pi in questa delicata fase di transizione da un sistema istituzionale fortemente centralizzato ad un sistema caratterizzato da sempre maggiori istanze di decentramento. Il mio contributo alla riflessione comune prende le mosse da alcune osservazioni contenute nella ricerca di Banca Intesa sul finanziamento degli investimenti pubblici sul territorio nazionale, e verte, in particolare, sull'analisi della struttura delle fonti di finanziamento ossia delle forme, delle modalit e degli strumenti mediante i quali si provvede alla provvista finanziaria della spesa pubblica in conto capitale. Le fonti di finanziamento prese in considerazione dalla ricerca sono: - le entrate in conto capitale - il risparmio pubblico - i fondi europei - il ricorso al debito, e, quindi al mercato finanziario. Quest'ultimo ha rappresentato, nel decennio 1995 - 2004, il principale strumento per alimentare la spesa in conto capitale. Un passaggio del documento, in particolare, ha suscitato la mia attenzione. Quello relativo all'analisi della struttura di finanziamento della spesa per investimenti pubblici dei vari enti (Stato, Regioni, Province e Comuni), laddove emerge che il grado di delocalizzazione in materia di reperimento delle risorse piuttosto limitato, contrariamente a quanto succede in materia di spesa, che, invece, risulta maggiormente capillare nel territorio, soprattutto in relazione ai trasferimenti erariali effettuati dal centro alla periferia. Ed in effetti la struttura della spesa pubblica per investimenti nel nostro Paese resta ancora cos caratterizzata: - i trasferimenti agli enti locali per la copertura della spesa pubblica in conto capitale sono ancora preponderanti; - le risorse proprie presentano disponibilit scarse e distribuite in maniera disomogenea sul territorio nazionale; - la dotazione di infrastrutture nelle diverse aree del Paese notoriamente disomogenea. Ne deriva l'esigenza di un maggiore sforzo di programmazione diretta ad una pi efficace ed efficiente allocazione delle risorse nelle diverse aree e settori dell'economia. In questo quadro, cito il documento elaborato da Banca Intesa, sembrerebbe quanto mai opportuna, da un lato, una maggiore autonomia regionale anche dal punto di vista del reperimento delle risorse da approntare per la copertura degli interventi, dall'altro, un potenziamento degli strumenti di coordinamento tra le Regioni e gli Enti locali. Non sta a me proporre soluzioni in tal senso. Mi rendo conto, infatti, che il problema della diversificazione delle fonti di finanziamento e della corretta allocazione delle risorse, da sempre, di estrema delicatezza ed attiene alle scelte di politica economica del Paese. Prima di entrare nel merito dei meccanismi di finanziamento della spesa, mi sembra doverosa una premessa.

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La riforma del titolo V della Costituzione stata caratterizzata da una complessa azione di coordinamento normativo intesa a porre rimedio ai dubbi interpretativi ed applicativi sorti a seguito della ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni. La materia degli investimenti in infrastrutture sicuramente trasversale rispetto a quelle elencate nell'articolo 117 della Costituzione, sia con riferimento alle materie di competenza esclusiva dello Stato, che a quelle a legislazione concorrente. Incidono, inoltre, sul quadro attuativo dell'intervento pubblico in materia di infrastrutture l'applicazione dei principi di sussidiariet e di adeguatezza sotto il profilo della struttura giuridica e finanziaria. Attesa la non completa attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione e, segnatamente del federalismo fiscale, a tutt'oggi, ancora lo Stato che provvede a trasferire, per le materie devolute a Regioni ed enti locali, le relative risorse. Per fornire un dato sull'ordine delle risorse in questione, si consideri che quelle relative alle funzioni conferite alle regioni a statuto ordinario, ai sensi del D.Lgs 112 del 1998, ammontano annualmente a circa 2.329 milioni di euro - destinati a spese riconducibili a materie quali protezione civile, viabilit, trasporti, ambiente e difesa del suolo, incentivi alle imprese per investimenti, agricoltura, salute umana, edilizia - lasciando la programmazione e gestione della spesa all'autonomia regionale. Date queste premesse, mi soffermer su due aspetti pi vicini alla mia esperienza professionale quotidiana riguardanti i meccanismi, a livello statale, di finanziamento della spesa in conto capitale con alcune informazioni di massima sull'ammontare delle risorse destinate a settori di intervento di maggiore rilevanza a legislazione vigente, come integrate dalle previsioni contenute nel disegno di legge finanziaria per il 2006, in corso di approvazione. Lo Stato destina risorse a carico del proprio bilancio per il finanziamento di investimenti pubblici che, pur avendo una collocazione fisica locale, rientrano in una programmazione strategica di livello nazionale, concertata con le Regioni e gli Enti Locali. Tra i pi recenti strumenti di programmazione e di pianificazione del sistema infrastrutturale italiano si colloca la Legge obiettivo che disciplina il Programma infrastrutture strategiche. A differenza di altri strumenti di pianificazione infrastrutturali, stato previsto che la Legge obiettivo sia dotata di finanziamenti specifici (art. 13 L. 166/2002), da determinare annualmente con la legge finanziaria. Per la progettazione e la realizzazione del Programma finora sono stati stanziati circa 7,6 miliardi di euro; di cui 3,6 miliardi assegnati dal CIPE alle Regioni, agli Enti Locali o ad altri soggetti partecipati dai medesimi, principalmente per la realizzazione di linee metropolitane e interventi nel settore idrico. Inoltre, ed l'aspetto forse pi rilevante, si cercato, per quanto possibile, il coinvolgimento anche di risorse finanziarie e gestionali provenienti da privati nella implementazione di interventi infrastrutturali in grado di garantire, ad esempio attraverso l'allungamento della durata delle concessioni, un potenziale ritorno. Il disegno di legge finanziaria per l'anno 2006 (A.S. 3613) prevede per rifinanziare tale intervento, un contributo pluriennale di 200 milioni di euro. Queste risorse vanno ad aggiungersi ai contributi previsti a decorrere dal 2006 ed esposti in tabella F di circa 240 milioni di euro, con conseguente attivazione, nel prossimo triennio, di risorse complessive pari a circa 5 miliardi di euro.

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Legge Obiettivo (legislazione vigente e DDLF 2006)


(migliaia di euro)

2001-2005 Legge obiettivo n. 166/2002 - art. 13 Opere strategiche (L.I. varie decorrenze- portata finanziaria) LF 2006: 1) TAB. F Sett. 27 - Opere strategiche l.i. dal 2006 2) art. 16 - Opere strategiche e piano nazionale idrico - Contributo dal 2007 7.600.000

2006

2007

2008

2009

239.215

239.215 239.215 239.215 200.000 200.000 200.000

Nell'ambito del Programma infrastrutture strategiche, hanno rivestito carattere prioritario gli interventi destinati al settore idrico, sia con riferimento all'implementazione del Sistema Idrico Integrato, che alle opere irrigue e di bonifica. Per il coordinamento degli interventi, realizzati e gestiti a livello locale, stato previsto il Programma nazionale idrico, finanziato con ulteriori contributi dello Stato, che consentiranno l'attivazione di un volume di investimenti, nel triennio 2006-2008, per complessivi 1 miliardo e 400 milioni di euro circa. Il Fondo per le Aree Sottoutilizzate, si affianca, quale strumento della politica regionale nazionale, alla politica di coesione comunitaria nel perseguimento delle finalit contenute nell'articolo 119 della Costituzione, intese alla rimozione degli squilibri economici e sociali. Dal 2003, anno in cui stato istituito il Fondo, lo stesso stato annualmente rifinanziato dalla Legge Finanziaria, per un totale di circa 25 miliardi di euro. Il disegno di legge finanziaria per l'anno 2006 prevede un ulteriore stanziamento di 8 miliardi e mezzo di euro nel prossimo quadriennio.
(migliaia di euro)

FAS Finanziarie 2003, 2004, 2005 DDLF 2006 Tab. D (rimodulata fino al 2009)

2003-2005 8.143

2006 6.398 100

2007 2008-2009 5.590 100 8.300

Totale 8.500

4.838 24.969

Il FAS disciplinato in modo da assicurare un'efficace flessibilit finanziaria. Il CIPE con proprie delibere, consente lo spostamento di risorse tra i diversi strumenti di intervento, ed al contempo, la cooperazione interistituzionale viene garantita attraverso l'impiego degli Accordi di Programma Quadro, attuativi delle Intese Istituzionali di Programma. Si tratta di un metodo di programmazione che consente alle Regioni di concordare con il governo centrale gli obiettivi, i settori e le aree dove effettuare gli interventi infrastrutturali di interesse comune per lo sviluppo del territorio. Per l'intero periodo di programmazione, il CIPE ha destinato al finanziamento dei programmi regionali, attraverso gli Accordi di Programma Quadro, l'80% delle risorse a tutt'oggi ripartite; il residuale 20% stato finalizzato a programmi a carattere nazionale. Nell'ambito del programma di accelerazione della spesa in conto capitale, sono stati stipulati Accordi di Programma Quadro nel Mezzogiorno a carico del Fondo per le Aree Sottoutilizzate. Il CIPE ha assegnato 2 miliardi e 180 milioni di euro per il finanziamento di opere infrastrutturali nel Mezzogiorno. In conclusione, da quanto emerso in questo breve excursus non si pu negare che lo sforzo finanziario dello Stato sia stato significativo, anche se in qualche caso gli effetti, in termini di benefici percepiti dalla collettivit, potrebbero risultare non corrispondenti

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alle attese. La pianificazione degli investimenti pubblici e la programmazione delle risorse disponibili vanno inseriti in un quadro di compatibilit rispetto all'equilibrio del sistema economico, oggi caratterizzato dalle istanze di decentramento. Si passati da un modello fondato su un'attivit di programmazione centralizzata, ad una corresponsabilizzazione delle regioni e degli enti locali nelle decisioni in materia di allocazione di risorse pubbliche, strategicamente rilevanti per la competitivit del territorio. Il positivo effetto del coinvolgimento di una pluralit di soggetti, si tradotto in una maggiore complessit dell'intero procedimento, anche per effetto dell'articolazione delle competenze tra lo Stato e l'Unione europea. In un quadro cos articolato si manifesta la necessit di un passaggio dall'unicit della sede decisionale all'unitariet dell'intero processo, con ci evitando il rischio che la complessa gestione delle fonti di finanziamento e degli strumenti di valutazione si traducano in una mera inibizione della spesa. Tutto ci tenendo sempre conto della fattibilit economica delle scelte di investimento, nonch degli effetti sugli equilibri di finanza pubblica. Aspetti, questi ultimi, che investono anche l'Istituzione che mi onoro di dirigere, impegnata ad adeguare i propri strumenti di monitoraggio e di valutazione della spesa alle evoluzioni del sistema, in linea con i vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione europea e, sotto il profilo interno, dal rispetto dei parametri del Patto di stabilit. Grazie.

Paolo De Ioanna
Grazie ai nostri due primi relatori. Le cose che ho ascoltato fin qui tanto dalla prof.ssa Saraceno che dal dott. Canzio mi sembra rimandino alla prima delle coppie interpretative di questa fase di transizione: coordinamento verso autonomia. Nelle decisioni della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato - e come peraltro era anche emerso nel convegno di Banca Intesa dello scorso anno - si vede benissimo come la recente riforma del Titolo V e, mi pare, anche l'ulteriore modifica in corso, lascino alla riserva di legge ordinaria la soluzione di tutte le questioni fin qui poste. E' il problema a cui faceva riferimento la prof.ssa Saraceno. Qual l'obiettivo del riequilibrio territoriale? Ebbene la soluzione che ad oggi la palla nelle mani della legge. A differenza della costituzione tedesca in cui vi una cornice che protegge l'autonomia costuzionale dei soggetti federati, nel nostro sistema tanto l'attuale che il nuovo Titolo V rimandano esattamente, e forse involontariamente, alla soluzione proposta dal Costituente del 1948. Tutte le soluzioni sono nelle mani del legislatore ordinario, cio della legge statale e regionale e, dunque, nelle mani della scelta politica. La parola adesso al dott. Turicchi

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Antonino Turicchi
In questo intervento quello che vorr sottolineare che molte volte i fenomeni finanziari sono pi veloci a diffondersi rispetto ai fenomeni di carattere economico. E' un po' quello che avvenuto anche per quanto riguarda il decentramento delle competenze dal livello centrale al livello locale in materia di finanziamento degli investimenti. Quando parliamo di autonomia finanziaria degli Enti Locali, dobbiamo innanzitutto vedere la cornice costituzionale nell'ambito della quale questa autonomia finanziaria stata inserita nel nostro ordinamento. Ricordo che la finanza degli enti territoriali era basata, fino alla fine degli anni Ottanta, inizio anni Novanta, sul fondo unico degli investimenti presso il Ministero degli Interni. La dimensione di questo fondo con le connesse modalit di accesso regolava la capacit di investimento degli enti locali. L'affermarsi del principio dell'autonomia finanziaria degli Enti Locali stato sancito, appunto, con la modifica del titolo quinto della Costituzione. L'art. 119 fonda la capacit degli enti territoriali di indebitarsi su quattro princpi fondamentali che sono: il riconoscimento di un proprio patrimonio, che questo patrimonio pu crescere soltanto attraverso gli investimenti, gli Enti Locali possono contrarre debito esclusivamente per investimenti e in fine che il debito degli Enti Locali non garantito dallo Stato. Analizzare la dinamica del debito e verso quali soggetti queste passivit si stanno formando un fattore conoscitivo importante per valutarne la sostenibilit, con la connessa capacit di infrastrutturazione del territorio da parte degli enti locali. In relazione ai soggetti finanziatori si registra un ruolo del mercato obbligazionario crescente anche se la Cassa Depositi e Prestiti continua ad avere un ruolo fondamentale in particolare per gli enti locali medio piccoli. Nel periodo 2001-2004 il tasso di incremento annuo delle spese per investimenti degli Enti territoriali stato dell'8% raggiungendo l'ammontare di 28,5 miliardi. Gli Enti Locali, intesi come Comuni e Province, sono i soggetti che hanno un ruolo trainante rispetto alle Regioni in relazione alla spesa per investimenti. Viceversa, come vedremo successivamente, il ruolo delle Regioni come soggetti che trasferiscono risorse agli Enti Locali evidenzia una dinamica crescente. La Cassa Depositi e Prestiti finanzia investimenti per finalit specifiche, ecco perch il ruolo della Cassa tradizionalmente un ruolo pi importante verso i Comuni e le Province e meno verso le Regioni. Il debito delle Regioni nasce con il finanziamento delle passivit, le prime passivit che le Regioni hanno dovuto finanziare sono state quelle relative ai deficit sanitari. Nel debito delle Regioni attualmente in essere, il finanziamento dei deficit sanitari ha un'importanza molto rilevante e crescente nel tempo. Questo consente di spiegare il peso maggiore che la Cassa ha nel finanziamento del debito dei Comuni rispetto a quello delle Regioni. Gli equilibri di bilancio di questi soggetti li vediamo in questi due grafici dove i Comuni hanno un livello di copertura degli investimenti attraverso le entrate superiore a quello che abbiamo per le Province. Come vedete, le entrate dei Comuni sono classificate in quattro titoli. Velocemente: - entrate tributarie - trasferimenti - ricavi da servizi qualificati come entrate extra tributarie - i contributi in conto capitale. Il fenomeno dei derivati che stato precedentemente menzionato, ha assunto un'importanza crescente nello spiegare la dinamica favorevole delle extra tributarie. La strut-

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tura del debito degli enti locali caratterizzata da finanziamenti a tasso fisso a lunga scadenza, generalmente, a 20 anni. Le operazioni di swap degli enti locali consentono di trasformare il debito da tasso fisso a variabile che, in particolare, in un ciclo di bassi tassi d'interesse hanno determinato un differenziale positivo che viene registrato come entrata extra tributaria. Un rialzo dei tassi di interesse per potrebbe in qualche modo determinare dei problemi di sostenibilit del debito qualora la percentuale di indebitamento a tasso variabile risultasse preponderante. Per le Province invece il livello di autonomia finanziaria minore. Il ruolo delle Province come soggetto che fa gli investimenti legato a due categorie di interventi: le strade, ricordo il passaggio delle strade dal patrimonio dell'ANAS alle Province, l'altro la scuola. Le entrate delle Province sono l'imposta provinciale di trascrizione, la tassa sulle RC e l'addizionale ENEL. Nel determinare lo stock del debito degli enti locali dobbiamo depurare quella parte dei finanziamenti i cui oneri di rimborso sono a carico del bilancio statale. Quest'ultima rappresenta circa il 50% dell'attuale stock del debito. A fronte di un finanziamento pari a 100 come spese per investimenti, storicamente abbiamo avuto che il 50% era a fronte di leggi speciali, quindi leggi a fronte delle quali erano previsti limiti di impegno che gli Enti hanno utilizzato per contrarre finanziamenti a fronte di investimenti. La spesa per investimenti degli Enti Locali a carico diretto attualmente sta crescendo, e la parte che viene coperta dal debito si attesta al 33,5%. Per le Province, questa percentuale pi bassa, il 26,5%. Per quanto riguarda la sostenibilit del debito, misurata attraverso il rapporto servizio del debito (interessi + rimborso del capitale) su entrate correnti. Questo rapporto evidenzia una dinamica crescente, che comporta motivi di riflessione sulla sostenibilit del debito in presenza di un peso crescente nel finanziamento degli investimenti e di una maggiore esposizione a tassi variabili. Per quanto riguarda il dato delle Province, distorto dal fatto che nel 2003 abbiamo avuto a favore delle Province il trasferimento dell'imposta di trascrizione dell'addizionale ENEL e quindi ecco perch l abbiamo una riduzione del rapporto servizio del debito su entrate correnti. Per, con l'aumento del debito anche da parte delle Province, questo rapporto sar crescente. Il ruolo delle Regioni negli investimenti in termini di volumi un ruolo che pu essere marginale, per sempre pi importante per gli Enti Locali in quanto - e questo lo vediamo da questi grafici - i trasferimenti regionali per investimenti a favore dei Comuni hanno un andamento crescente, cos come i mutui che d la Cassa Depositi e Prestiti a Comuni con oneri a carico del bilancio regionale aumenta. Ci sono alcune regioni del Sud i cui Enti Locali, dati i vincoli che il patto di stabilit interno ha introdotto in termini di capacit di contrarre debito, la loro capacit di spesa legata soltanto ai trasferimenti a carattere regionale, ad esempio: le manutenzioni di scuole piuttosto che altri tipi di investimento sono legati ai contributi che danno le Regioni a favore dei Comuni. Quindi il ruolo delle Regioni in termini di spesa per investimento un ruolo molto pi importante, se consideriamo i trasferimenti agli Enti Locali, specialmente nelle Regioni del Sud piuttosto che in quelle del Nord, vista la minore capacit degli Enti Locali del Sud di contrarre debito. Il problema delle Regioni per il livello di sostenibilit del debito e questo lo vediamo negli equilibri dei bilanci regionali. Per le Regioni si avuta anche una riduzione, seppur marginale rispetto a quella che abbiamo visto nei Comuni, dei trasferimenti pubblici. Il problema rilevante che abbiamo per nelle Regioni, e questo si avuto con il congelamento dell'IRAP e dell'addizionale IRPEF, il peggioramento del saldo finanziario delle Regioni. Questi due grafici del 2003, dove rappresentato il saldo corrente e il saldo corrente effettivo quest'ultimo comprende anche il rimborso delle rate in conto capitale. E' molto

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probabile che il dato del 2004 delle Regioni evidenzi che il saldo passato negativo ovvero un saldo negativo della gestione corrente. La gestione in conto capitale risulta anch'essa negativa e quindi le spese per investimento sono legate alla capacit di contrarre debito. Di conseguenza il saldo finanziario negativo ed evidenzia un trend in peggioramento. Questi dati non comprendono il cosiddetto debito legato alla componente sanitaria, debito relativo alle forniture. Questo debito attualmente oggetto di operazioni di cartolarizzazione e non viene riportato nei bilanci regionali. Se si considerasse anche questa componente il debito regionale evidenzia una crescita maggiore di quella evidenziata precedentemente. Il saldo servizio del debito rispetto alle entrate correnti per quanto riguarda le Regioni mostra una dinamica in crescita, cos come lo stock del debito rispetto alle entrate correnti. Qui abbiamo una preoccupazione in pi, la struttura del debito. Le Regioni, stato detto, hanno una struttura del debito dove la componente tasso variabile molto pi rilevante rispetto alla componente tasso fisso, quindi sono quegli Enti territoriali che hanno beneficiato maggiormente di un ciclo di tassi di interesse particolarmente bassi. Se i tassi salissero, queste dinamiche sul bilancio regionale sarebbero sicuramente pi accentuate, con un peggioramento dei saldi di bilancio, a parit di altre condizioni. Concludendo, il debito degli Enti territoriali, come evidenziato dalle statistiche della Banca d'Italia, mostra un crescente ricorso ai prestiti obbligazionari che attualmente hanno raggiunto la cifra di 24 miliardi di euro, senza considerare i finanziamenti attraverso cartolarizzazioni, relativi ai deficit sanitari. In presenza di una situazione di difficolt da parte di un ente, l'effetto contagio, per effetto di una percentuale crescente di debito finanziato da prestiti obbligazionari sicuramente maggiore. Quindi, i regolamenti del Ministero dell'Economia e poi le modifiche del patto di stabilit interno relative alla gestione del debito sono sicuramente positivi al fine di prevenire problemi di sostenibilit. Ricordo a proposito un regolamento del MEF che, nel disciplinare l'utilizzo delle operazioni derivate, ha limitato gli up-front all'1%. Cos come una riduzione del rapporto tra interessi ed entrate correnti limita la capacit di contrarre debito. Sono effettivamente misure che sono dirette a far s che le dinamiche del debito si muovano verso situazioni di sostenibilit. Penso che sar uno degli argomenti pi importanti nell'eventuale rivisitazione del patto di stabilit interno di fronte a una maggiore autonomia finanziaria, avere delle regole nella gestione del debito. In quanto chiudere operazioni finanziarie dicendo che si ottimizza il debito, effettivamente un fenomeno che va qualificato. Ottimizzare non vuol dire aumentare oggi le entrate per lasciare buchi sul bilancio futuro. Ottimizzare rispetto a quella che una struttura di debito sostenibile. E' questa penso la modifica che nell'ambito dell'autonomia finanziaria dovremmo in qualche modo suggerire. Grazie.

Paolo De Ioanna
Mi pare che le osservazioni del dott. Turicchi confermino come in qualche modo la pluriennalit dei bilanci legata alla progettazione di investimenti sia uno strumento per rendere pi trasparente l'elemento del rischio legato alla componente investimento legata ai mercati finanziari. Si torna a quel nesso tra pressione fiscale e servizi di cittadinanza che rappresenta il cuore dello stato fiscale centrale e locale: torniamo quindi al discorso portato avanti dalla Corte Costituzionale e incentrato sul tema dei livelli essenziali delle prestazioni. La parola adesso al dott. Mario Ciaccia.

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Mario Ciaccia
Premessa. Gli autorevoli interventi che mi hanno preceduto costituiscono una conferma dell'utilit di questo incontro che, in prosecuzione ideale con il Convegno dello scorso anno, mira a stimolare ulteriori riflessioni e spunti propositivi sulle tematiche tra decentramento e rilancio delle sviluppo. Anche in questa occasione, in cui viene proposto di passare dal versante dell'autonomia finanziaria delle autonomie a quello della spesa per investimenti, si intende lucrare il prezioso contributo delle diverse esperienze maturate dalle personalit politiche, dagli studiosi, dai tecnici e dagli imprenditori che hanno avuto la cortesia di intervenire. E' passato un anno e non nascondo le mie preoccupazioni sulla situazione di stallo, di incertezza, se non di contraddizione, in cui ancora oggi versano le politiche pubbliche degli investimenti, pubblici e privati, e quelle, in particolare, connesse in varia misura con l'infrastrutturazione, l'innovazione e la ricerca. Politiche che non riescono ancora ad imprimere un avvio deciso a quella ripresa della crescita di cui il Paese ha disperato e urgente bisogno. E, infatti, un anomalo mix tra segnali positivi, innovativi, di vuoto e di allarme non fa che disorientare cittadini, imprese, operatori economici e finanziari. Le preoccupazioni sono aggravate da un'altra criticit: alla frammentaria e spesso contraddittoria disciplina della finanza locale, affidata essenzialmente alle leggi finanziarie, si aggiunto con la manovra finanziaria per il 2006 il pesante taglio per gli enti locali, coinvolti oltretutto nella contrazione della spesa per acquisti intermedi.

2. Le condizioni per la ripresa: certezze, fiducia e rispetto dei ruoli. Il compito delle banche. L'incertezza delle politiche pubbliche solo un riflesso del vero nodo di fondo che attanaglia il Paese. Sono convinto, infatti, che la chiave di volta stia nella certezza delle regole sulle competenze e le sulle modalit di azione delle Amministrazioni nazionali, regionali e locali. Quale che sia il sistema dei rapporti tra Stato e Autonomie territoriali che risulter dalla riforma della seconda parte della Costituzione, quel che si aspettano infatti gli operatori economici la costruzione di un ordine istituzionale che, attraverso una sufficientemente chiara ripartizione delle funzioni ed una effettiva semplificazione delle procedure, fornisca un quadro di certezze e fiducia indispensabile per bene operare. Solo in un sistema a politica stabile mi pare possibile pensare ad una pubblica amministrazione veramente efficiente, come dimostra una ricerca americana di tanti anni fa, pur sempre valida ed attuale. Certamente un federalismo serio non pu realizzarsi in tempi brevissimi: occorrono ancora studi approfonditi, simulazioni e proiezioni adeguate, soprattutto in tema di costi, di coperture finanziarie, di perequazione, di carico fiscale complessivo per i cittadini e le imprese. Un federalismo male attuato pu determinare infatti gravi inconvenienti per la gi compromessa competitivit delle nostre aziende e minare ulteriormente l'attrattivit dell'economia italiana per gli investitori stranieri. In attesa di realizzare tali obiettivi, occorrerebbe, quanto meno, ricercare soluzioni condivise con le Autonomie che, pur nella scarsit delle risorse, garantiscano un livello minimo di investimenti per mandare avanti infrastrutture e innovazione. Per riavviare la macchina produttiva appare indispensabile a questo punto che ciascuno si riappropri del proprio ruolo affinch ne sia garantita la distinzione nel rispetto della reciproca autonomia d'azione e di responsabilit, cui un sistema democratico non pu

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certo rinunciare. Tutte le componenti della collettivit nazionale e le forze sociali dovrebbero sentirsi chiamate a fare la propria parte. Nello svolgimento del proprio ruolo necessario poi che ciascun Soggetto della collettivit senta fortemente di far parte di un sistema unitario. Il discorso giuridico si tinge cos con quello dell'etica: dignit professionale, senso dell'appartenenza e soprattutto coraggio nell'azione da intraprendere, paiono i giusti ingredienti per dare maggiore competitivit al Paese. E' necessaria, a questo punto, anche una politica che abbia coraggio. Coraggio, ad esempio, di rivedere scelte che forse non sono state completamente metabolizzate, malgrado il succedersi dei Governi, e di riproporre forme di federalismo pi funzionali, perch se la catena di comando in tanti aspetti della vita economica e sociale del Paese si allunga, se c' sovrapposizione o peggio duplicazione di competenze, questa complicazione di meccanismi pu di fatto produrre dispersione di risorse e sfasature temporali e diventare un collo di bottiglia, se non in alcuni casi un vero tappo per gli investimenti e per la crescita. Si tratta, in sintesi estrema, di recuperare alcune scelte poco coerenti che hanno creato confusione dei ruoli, affinch gli investitori, nazionali ed internazionali, siano convinti di operare in un sistema moderno in cui conveniente impiegare i propri denari in iniziative ed opere che si sa se e quando cominciano e finiscono. E' anche da auspicare un quadro di adeguate regole di giustizia civile che per tempi e modi non dissuada dall'operare nel nostro Paese. In ordine al rapporto Stato-Autonomie, appare in conseguenza opportuno che si progetti anche una adeguata struttura di coordinamento centrale che risolva il problema delle procedure di raccordo tra Stato, Regioni ed Enti locali, con pratiche di negoziazione e meccanismi di chiusura. Tale strumento, infatti, potrebbe costituire la sede normale per elevare i livelli di competitivit, di credibilit e di immagine del nostro Paese nel mercato europeo, specie nella progettazione e nella realizzazione di grandi opere per lo sviluppo. Detto questo, poich le risorse si stanno rivelando sempre meno proporzionate agli obiettivi programmati, palese come il modo di porsi del sistema finanziario nel gioco dei ruoli abbia acquistato un peso sempre pi determinante per la tenuta del sistema e la realizzazione degli obiettivi. Appare sempre pi chiaro come il sistema finanziario e le politiche pubbliche non siano variabili tra loro indipendenti. In particolare, il ruolo delle grandi banche e specialmente di quelle nazionali, che, consapevoli della propria responsabilit, sono sensibili agli interessi del Paese e, quindi, del territorio nel quale operano, ha assunto ormai i precisi contorni di una componente indispensabile per il funzionamento di qualsiasi modello economico, in specie di partenariato, in una prospettiva che non di mero profitto per le banche ma di crescita della comunit e di servizio alle istituzioni. L'importanza di detto ruolo poi determinante nel processo federale, ove le istituzioni bancarie, in special modo, le grandi banche che operano a livello nazionale con una rete capillare sul territorio, possono porsi in grado di svolgere una importante funzione di coesione e di coerenza del sistema, anche attraverso modelli di intervento uniformi, opportunamente adattati alle diversit del Paese e tali da fungere, sul piano finanziario ed anche sociale, da vero e proprio collante tra le diverse componenti autonome del territorio. 3. Il ruolo di Banca Intesa. Nel raccogliere le idee per esporre il mio punto di vista su queste complesse tematiche, debbo dire che mi sono state di ausilio sia le esperienze di finanza pubblica maturate presso la magistratura contabile, sia, pi specificamente, l'attivit di direzione svolta nel-

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l'ultimo triennio alla guida di una unit funzionale di Banca Intesa, Stato e Infrastrutture, interamente rivolta a supportare la Pubblica Amministrazione nelle sue articolazioni centrali e territoriali. Ritengo che tale unit - la quale diverr presto una banca dedicata con il compito di operare, a mezzo di moduli specifici, quale centro di eccellenza fortemente specializzato, in particolare, nel public finance e dotato di flessibilit e rapidit di decisione - costituisca un osservatorio privilegiato per le riflessioni che qui interessano ed anche un ausilio per concorrere a rendere coeso e coerente il sistema federale. E' noto, poi, come il rilancio dello sviluppo del Paese sia un tema caro, ed un forte impegno insieme, dell'intero Gruppo di Banca Intesa. Impegno riaffermato con forza nel secondo Piano d'Impresa 2005-2007. Piano che ha inteso appunto potenziare uno dei principali elementi distintivi del Gruppo: creare fiducia, oltre che valore, attraverso tutte le iniziative che portano ad innovazione, internazionalizzazione ed aumento della competitivit, nelle componenti sia private che pubbliche, centrali e delle autonomie, e che al di l del mero profitto della Banca favoriscano il riavvio della crescita economica del Paese. In particolare, nel settore delle infrastrutture Banca Intesa ha sviluppato molte operazioni di finanziamento a carattere fortemente innovativo, come quelle riguardanti le opere ferroviarie ad alta velocit ed il Grande Raccordo Anulare di Roma; sta inoltre operando come advisor e arranger in progetti di grande rilievo (tra cui il Passante di Mestre, l'autostrada Brescia- Milano e la Nuova Tangenziale Esterna di Milano). Nel settore idrico e ambientale, sta proseguendo l'attivit di project finance di primarie opere, tra cui l'impianto di gestione integrata dei rifiuti in Sicilia, nelle Province di Catania e Messina ed un termovalorizzatore in Campania. Inoltre, nel settore dei finanziamenti alle pubbliche amministrazioni, ha promosso l'utilizzo delle emissioni obbligazionarie quale strumento alternativo ai mutui da parte dei Comuni di minori dimensioni. Nel settore sanitario, Banca Intesa advisor per la costruzione del Nuovo Ospedale di Niguarda a Milano e quello di Novara nonch arranger per il project finance del Nuovo Ospedale di Mestre; ha realizzato inoltre le prime cartolarizzazioni in Italia dei crediti vantati dai fornitori sanitari, operazioni che hanno consentito di attivare meccanismi virtuosi per la riduzione sia della mole dei debiti pregressi delle Aziende sanitarie, sia dei tempi di pagamento dei fornitori, con conseguente riduzione della spesa pubblica. Diverse tipologie di attivit di supporto a progetti di crescita e di sviluppo delle imprese e, pi in generale, della societ sta poi svolgendo la Banca (in collaborazione con la SACE, rendendo pi facile l'accesso ai servizi ad elevato valore aggiunto anche alle aziende di media dimensione, svolgendo interventi di sostegno alle aziende in fase di ristrutturazione, istituendo un prestito d'onore per gli studenti, investendo nella ricerca, e cos via). In tale quadro, l'Istituto ha lanciato IntesaNova, una apposita iniziativa dedicata alle imprese che investono in innovazione tecnologica, sviluppata in collaborazione con alcune tra le pi prestigiose Universit e istituzioni di ricerca italiane. Ha avviato nei primi mesi del 2005 Intesa Export, iniziativa dedicata alle imprese a forte vocazione esportatrice, sviluppata in collaborazione con SACE. Ha siglato, inoltre, importanti accordi di collaborazione con Asian Development Bank ed African Export Import Bank, per supportare le aziende italiane nelle attivit di import export in altri continenti. Ha istituito, in questi giorni, un nuovo servizio, IntesaEurodesk, per assistere e guidare le imprese nei rapporti con le Istituzioni europee, in modo da assicurare alle aziende italiane tutte quelle occasioni che possono tradursi in crescita, sviluppo e progresso. IntesaEurodesk parte integrante dell'Ufficio di Banca Intesa International and European Affairs, che opera, attraverso societ partecipate dalla Banca anche nei Paesi dell'Europa Centrale ed Orientale. Grazie al network di banche presenti in quei Paesi, Banca Intesa pu fornire assistenza per sviluppare progetti europei, favorendo cos quel carattere partecipativo transnazionale richiesto dai bandi relativi ai programmi comunitari.

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E' stata cos intrapresa sistematicamente una strada maestra per il finanziamento dell'innovazione e la ricerca. La Banca, ad esempio, con INTESANOVA, ha posto a disposizione un miliardo di euro perch le piccole e medie imprese, ancorch non abbiano a disposizione garanzie reali, possano accedere a progetti di ricerca, per i quali richiesto soltanto il supporto di Universit previamente concordato con la Banca. Inoltre, a sostegno della Scuola e dell'Universit, Banca Intesa ha istituito, come accennato, un prestito d'onore (Intesa Bridge) per gli studenti, in convenzione con le principali Universit italiane. Tutto ci dimostra, che si tratta di un Istituto finanziario che sente profondamente la responsabilit di essere una banca per lo sviluppo e la crescita del Paese. In tale missione, ha sinora investito enormi capitali di rischio per favorire gli investimenti, pubblici e privati, l'innovazione e la competitivit delle imprese, mirando agli interessi sia della Comunit, sia dell'Amministrazione. Quest'ultima, in specie a livello delle autonomie territoriali, ha avuto cos anche modo di ottimizzare l'utilizzazione delle risorse pubbliche attraverso la riduzione dei costi e la liberazione di parte delle risorse stesse per ulteriori impieghi. La Banca ha realizzato tutte le importanti iniziative sopra descritte, per molti aspetti anticipando di molto politiche pubbliche perplesse o inesistenti, se non contrastanti, ed assumendosi rischi e responsabilit che vanno molto al di l del comune operare di una banca tradizionale. Ma nella stessa misura in cui le politiche pubbliche hanno bisogno di un sistema bancario funzionante per fare sistema, naturale che le banche, pur se dispongono di un grande potenziale finanziario di intervento da destinare al Paese, come Banca Intesa, hanno a loro volta bisogno di chiare, stabili e ben delineate politiche pubbliche, tali da eliminare o quanto meno ridurre al minimo le criticit ed i rischi esistenti. Se, infatti, la funzione della banca, oggi, anche quella di ritrovare un suo ruolo sociale, capace di aiutare la crescita, in questo ha bisogno, evidentemente, di essere, a sua volta, aiutata dalla politica. Non si pu, in altri termini, lasciare sine die alle banche o ad altri soggetti del mondo economico il compito di indovinare, per ogni operazione a carattere innovativo, dove andranno ad indirizzarsi le politiche pubbliche, senza favorire ulteriormente quella confusione dei ruoli che ora si criticata. A titolo esemplificativo, si pensi solo alle difficolt che ancora si incontrano nel finanziare il project finance ed il general contractor o nel definire le garanzie relative alle grandi infrastrutture. In tema poi di investimenti e, in particolare, di programmati interventi infrastrutturali, emblematico delle numerose criticit emerse lo stallo in cui essi si trovano. E qui, come sempre, sono i numeri a parlare.

4. La spesa pubblica per investimenti. Malgrado il peggioramento dei conti pubblici e l'inizio della fase di stagnazione dell'economia, dal 2001 al 2004 gli investimenti pubblici segnano un incremento costante, anche se non pari a quello degli anni '90, che prosegue il positivo andamento iniziato nel 1995, passando da 30,4 a 39,4 miliardi di euro. E' noto, peraltro, che nel settore dei lavori pubblici c' uno scarto temporale, anche di anni, tra il momento dell'iscrizione in bilancio delle risorse, il momento dell'impegno ed i tempi di realizzazione dell'opera. Cos, alcuni degli investimenti, anche di importo elevato, effettuati tra il 2002 ed il 2004 si legano, soprattutto, all'utilizzo di risorse stanziate in precedenza. Un secondo profilo interessante riguarda la ripartizione della spesa tra Amministrazione centrale e le Autonomie territoriali che vede un'incidenza delle seconde che oscilla mediamente intorno al 50% e che esprime il ruolo di primaria importanza che le autonomie stesse svolgono.

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Un terzo aspetto riguarda la ripartizione per territorio della spesa che, avuto riguardo alla parte in conto capitale, vede al Nord del Paese prevalere le Autonomie con oltre il 50%, mentre la stessa percentuale si riduce al 34% al Sud. Il che esprime una maggiore dipendenza dall'Amministrazione centrale delle Regioni del Mezzogiorno, con il forte rischio che si accentui per quest'ultime il divario per una vera autonomia di spesa. I dati relativi alla crescita degli investimenti a partire dal 2001 esprimono indubbiamente uno sforzo poderoso ed apprezzabile compiuto a tutti i livelli di governo del nostro Paese, dalle imprese e dagli operatori finanziari. Tuttavia, se posti a raffronto con gli obiettivi programmati ed, in specie, con quelli riguardanti la realizzazione delle infrastrutture previste dalla legge obiettivo, appare evidente come i risultati conseguiti siano a dir poco deludenti. Sempre partendo dai dati numerici, si deve osservare che a fronte dei 126 miliardi di fabbisogno complessivo (o meglio dei 232 secondo una recente rivalutazione ai costi effettivi attuali fatta dal Cresme), solo per realizzare le opere gi approvate dal CIPE (che hanno un costo di 69 miliardi) mancano ancora almeno 28 miliardi. Nella legge finanziaria per il 2005 vi sono appena 2,2 miliardi di stanziamenti al riguardo, rispetto agli 8 richiesti dal Ministro per le infrastrutture. N pensabile un miglioramento con la manovra in corso per l'anno 2006 o un ricorso ad Infrastrutture SpA, avendo Eurostat considerato le operazioni relative a tali spese come indebitamento dello Stato. A proposito dei progetti approvati dal CIPE, spesso solo preliminari, va tenuto presente che talvolta vengono definite opere cantierate opere che in realt non hanno ancora cantieri aperti. La battuta d'arresto delle grandi opere ha coinvolto tutto il settore degli appalti, che dopo i primi otto mesi del 2005 cresce solo per il numero degli avvisi, mentre diminuiscono gli importi a base d'asta. Bandi, quindi pi numerosi, ma meno ricchi. Va comunque posta in evidenza - come prima ho accennato - l'importanza delle Autonomie territoriali nella spesa per investimenti, pur nelle attuali, forti difficolt. Vi per il rischio che i tagli previsti nella manovra finanziaria per il 2006 blocchino gli investimenti programmati con tanta fatica dagli enti locali. Un segnale positivo, nell'ambito del complessivo andamento negativo determinato dal crollo delle maxi-opere, sembra emergere dai dati relativi al project financing, che nei primi otto mesi di quest'anno ha registrato un trend di crescita raggiungendo circa 3 miliardi di euro (circa il doppio rispetto al corrispondente periodo del 2004). Sembra un vero e proprio boom, che, peraltro, si spiega - sempre considerando il peso che stanno assumendo le Autonomie territoriali - con alcune gare di rilievo a livello regionale. E' questo dunque un quadro che complessivamente non corrisponde alle aspettative. Non solo la scarsit di risorse pubbliche a generare dei rallentamenti. Specialmente per le grandi opere, la situazione di stasi in gran parte dovuta alla scarsa capacit del sistema di attrarre il capitale privato, a sua volta discendente da diversi fattori. E', comunque, l'intero sistema che ha bisogno di essere ulteriormente affinato perch la macchina prenda a funzionare regolarmente e dia una forte accelerazione alla realizzazione delle prime infrastrutture prioritarie di cui ha veramente bisogno il Paese. La spinta non pu che giungere, in primis, dal legislatore, atteso che, malgrado la legge obiettivo e la normativa satellite, i nodi da sciogliere per le opere strategiche sono rimasti sostanzialmente gli stessi: il consenso sul territorio, l'impatto ambientale, la complessit e la lungaggine delle procedure per il project financing, le garanzie e la debolezza della progettazione. Tra i maggiori punti di criticit che andrebbero subito affrontati con interventi legislativi, vi quello dei passaggi procedurali da semplificare e da rendere maggiormente celeri e trasparenti. Su un pno generale, peraltro, ancora lungo il percorso ad ostacoli della normativa sulla semplificazione che recentemente ha mancato il traguardo alla Camera e fa rinvio ad un serie di deleghe al Governo.

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Un altro aspetto di fondamentale rilevanza collegato alle garanzie che le imprese incaricate della realizzazione di lavori pubblici sono tenute a fornire al committente. Da tempo si riflette infatti sull'opportunit di costituire un organismo ad hoc per il rilascio delle garanzie connesse alla realizzazione delle opere pubbliche, ma anche tale iniziativa si muove con lentezza. Alla complessit ed ai tempi delle procedure degli appalti, si aggiunge poi la debolezza della progettazione, spesso troppo generica per garantirne la seria fattibilit. Le criticit di tale fase costituiscono il vero tallone di Achille del nostro Paese per la esecuzione delle grandi opere. Le possibilit di finanziamento si fondano, infatti, soprattutto sulla validit economica e finanziaria del progetto, che deve essere potenzialmente in grado di generare flussi di cassa positivi, sufficienti a remunerare le risorse ottenute per il finanziamento del progetto stesso. Il nuovo procedimento costituito dal dialogo competitivo introdotto dalla direttiva europea 2004/18/ sugli appalti, consente di inserire nell'ambito delle procedure del nostro ordinamento un sistema maggiormente flessibile rispetto a quello dell'attuale complicato sistema a tre fasi previsto dalla legge Merloni (presentazione della proposta da parte del promotore; valutazione della stessa da parte dell'amministrazione aggiudicatrice; procedura negoziata tra il promotore ed i soggetti presentatori delle due migliori offerte). La pubblica amministrazione potrebbe in tal modo ottenere un sensibile miglioramento dei progetti, utilizzando, sotto il profilo finanziario, tecnico e organizzativo, il potenziale innovativo del contraente privato e supplendo in tal modo alle carenze ed alle difficolt che essa incontra laddove vi maggiormente bisogno di inventiva e di ingegnose soluzioni. Il legislatore italiano dovrebbe pertanto cogliere al pi presto le opportunit che la direttiva unica sugli appalti ha inteso offrire agli Stati membri in ordine alle prospettive aperte con il dialogo competitivo. E' vero che il decreto legislativo n. 189 del 2005 (cosiddetto decreto 190 tris) contiene nuove disposizioni in materia di redazione ed approvazione dei progetti, nonch di risoluzione delle interferenze per le opere strategiche e di interesse nazionale; ma pi che migliorare la qualit della progettazione, tale normativa mira a snellire le intese sulla localizzazione delle opere e, ove prevista, la valutazione di impatto ambientale. Il predetto decreto, inoltre, adottando una politica che appare contraddittoria con la direttiva comunitaria sugli appalti, va in senso contrario al principio del coinvolgimento dei progettisti nel processo di aggiudicazione, insito nel concetto stesso di dialogo competitivo, confermando seccamente il divieto per i progettisti di partecipare alla realizzazione dei lavori. Una conferma della opportunit di introdurre in Italia il dialogo competitivo, anche a livello delle autonomie, data dal fenomeno delle opere incompiute nel nostro Paese, tanto vasto che l'apposito Ufficio istituito presso l'Authority dei lavori pubblici per effettuare un censimento di tali opere ha dovuto, dopo pochi mesi, chiudere i battenti a causa dell'immane compito affidatogli. Cito due vicende agli antipodi, che appaiono emblematiche: ci sono voluti 24 anni per decidere se costruire un carcere a Ristretta in provincia di Messina e 40 giorni per eseguire a Macerata i lavori di risanamento di un ponte, nel rispetto sia della normativa antisismica, sia dell'originaria struttura. Nel secondo caso la gara d'appalto durata poco pi di 15 giorni ed il miracolo avvenuto grazie al dialogo competitivo. Una tempistica che sarebbe stata impossibile se si fosse seguito l'iter tradizionale.

5. I programmi di sviluppo per potenziare la competitivit delle imprese. Trovare il modo di contemperare gli obiettivi di una riorganizzazione del welfare con quelli di una riduzione del carico fiscale ed al tempo stesso di un rilancio del mercato appare un compito molto difficile, anche in relazione ai tempi di realizzazione degli

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obiettivi. Il nostro Paese ha per bisogno urgente di ritrovare la via per crescere. Tutte le analisi convergono su tale esigenza, cos come diffusa la convinzione che per tornare a crescere occorre restituire agli investitori, nazionale ed internazionali un sistema stabile e trasparente in cui appaia conveniente impiegare le proprie risorse finanziarie. Ma quel che pu apparire ovvio, e che ovvio non lo affatto, che per innescare questo processo virtuoso occorre un clima di fiducia e di aspettative favorevoli. La prima serie di azioni da intraprendere dovrebbe tendere, in altri termini, ad una scelta condivisa di programmi di sviluppo che, per il loro aspetto innovativo e per la loro credibilit, siano in grado di avviare la instaurazione di quel clima di fiducia e di fondate aspettative; scelta che appare una pre-condizione necessaria per sciogliere i nodi principali del rebus avente ad oggetto la ricerca di un equilibrio tra mercato e protezione sociale. Ad esempio, un affinamento ed una estensione degli attuali meccanismi di sostegno dell'innovazione in specie per il Mezzogiorno, tale da elevare a sistema e per progetti un effettivo partenariato pubblico-privato nell'ambito di programmi di ampio respiro, potrebbe essere, a breve, un primo stimolo idoneo a creare fiducia ed in tempi medio-lunghi un fattore di crescita capace di incrementare investimenti e reddito, riducendo i problemi di una redistribuzione di quest'ultimo e rendendo quindi anche meno difficilmente affrontabili i problemi del welfare. Ho parlato di affinamento di meccanismi di sostegno all'innovazione, perch ce ne sono gi due molto interessanti in materia di incentivi per l'innovazione tecnologica. Uno il "Fondo rotativo per il sostegno alle imprese", istituito presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa dalla legge finanziaria 2005. Sono previste specifiche convenzioni per regolare i rapporti tra la Cassa depositi e prestiti Spa e i soggetti abilitati a svolgere le istruttorie dei finanziamenti. Muta quindi il ruolo delle banche. Gli Istituti che sottoscriveranno le nuove convenzioni per la gestione delle istruttorie dei progetti di investimento agevolati, parteciperanno alla realizzazione dell'intervento attraverso la concessione di crediti alle imprese promotrici. Le banche saranno chiamate a intervenire direttamente sui programmi di investimento valutati positivamente per l'assegnazione dei benefici pubblici. L'altro meccanismo da prendere a modello riguarda gli interventi in favore del Mezzogiorno e in particolare quelli previsti dalla legge 488/92. La riforma prevede la trasformazione dell'agevolazione attualmente spettante in un finanziamento agevolato cui si aggiunge obbligatoriamente, quale pre-condizione di cantierabilit delle iniziative, un finanziamento bancario. Il conferimento di mezzi propri da parte di operatori privati, come le banche, dovrebbe confortare l'amministratore pubblico sulla realizzabilit dei progetti. Il che pu creare un forte valore aggiunto derivante dalle sinergie tra agevolazioni pubbliche e finanziamento bancario, nonch dal gioco incrociato delle reciproche garanzie. Grandi opportunit per un rilancio della crescita pu offrire, infine, il turismo. Forse oggi il turismo rappresenta la principale industria pesante del Paese che, senza escludere le altre, pu essere uno strumento attraverso il quale creare una filiera per l'indotto, diretto e indiretto. In quest'ambito per, non si pu improvvisare, n si possono inseguire fantasie come quella di costruire nuovi alberghi. Si pensi che in Italia si dispone di un milione di stanze d'albergo che in media vengono utilizzate annualmente poco pi del 40%. E' necessario, invece, un grande progetto industriale, perch appare inutile, come stato fatto anche con l'ultima legge sulla competitivit, creare l'ennesima agenzia o l'ennesima struttura senza preoccuparsi di porre questa nelle condizioni di formarsi una visione industriale del problema.

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Conclusioni Sono fermamente convinto che la realizzazione delle infrastrutture e la promozione degli investimenti per lo sviluppo del Paese non sia ancora una battaglia persa, sol che si abbia il coraggio di rimuovere ostacoli che appaiono oggi insormontabili, ma che possono essere superati con una volont comune. E' chiaro, infatti, che se il partenariato pubblico-privato considerato un elemento di crescita per il Paese, il successo del sistema dipende in parte anche dall'apporto che il privato, il mondo bancario in particolare, in grado di recare. Ma solo in parte perch, come ho detto, occorre l'ausilio delle politiche pubbliche. D'altro canto, non mancano nel nostro Paese grandi capacit imprenditoriali, finanziarie, tecnologiche, culturali ed organizzative. Per la parte che spetta alle banche, necessario per un rafforzamento del sistema. Banca Intesa, sta operando in tal senso: ha, tra l'altro, acquisito una serie di banche cinturate sull'Est d'Europa: in Ungheria, Croazia, Slovenia e Serbia. Di recente ha anche acquistato una banca piccola, retail in Russia, la KMB e, inoltre, ha aperto, sempre l, anche una banca d'affari con l'ottica di accompagnare le nostre aziende. Ma non basta, perch oltre al rafforzamento occorre un gran salto di qualit: i finanziamenti tradizionali non sono pi sufficienti per il rilancio dell'economia. Servono pi investimenti qualitativi, e non solo quantitativi, in innovazione, volti a premiare i progetti migliori, specie delle piccole e medie imprese, anzich continuare a dare soldi a chi ha gi beni da offrire in garanzia. E' necessario comunque recuperare - sempre nel quadro di coesione e coerenza degli interventi sul territorio - quel senso di centralit e di visione unitaria del Paese che deve guidare l'azione delle grandi banche, in assenza delle quali difficile immaginare la realizzazione di importanti progetti strategici di sviluppo che incidano sui diversi settori dell'economia e sulla vita stessa dei cittadini. Non si tratta, infatti, soltanto di decidere qualche decimale di interesse in pi o in meno. Le imprese di oggi hanno sempre pi bisogno di aiuto nell'analisi delle operazioni, nella valutazione economico-finanziaria dei piani, nella scelta di prodotti e di servizi offerti, in una visione che, ricomprendendo anche l'eventuale ausilio pubblico, non pu che essere di sistema. Anche per questo scopo, l'esperienza e la testimonianza di Banca Intesa potrebbero indicarsi come modello, avendo dimostrato che gli obiettivi tradizionali di una banca possono perfettamente integrarsi con quelli di sviluppo, innovazione, ricerca e, al tempo stesso, di coesione sociale sul territorio e che - soprattutto - possibile conquistare ed infondere fiducia anche in momenti impegnativi, come al presente. E ci piace anche poter sognare di vedere presto il nostro Paese in continua veloce crescita. Sognare quasi fino all'utopia, ricordando un antico proverbio magrebino che dice se nessuna carovana ha mai raggiunto l'utopia per l'utopia che fa andare avanti le carovane.

Paolo De Ioanna
Grazie a Mario Ciaccia

E' con vero piacere che do il benvenuto al Vice Ministro dell'Economia Prof. Mario Baldassarri al quale toccher poi chiudere la serie degli interventi, dopo quello, prossimo, dell'On.le Visco. Prima di lasciare la parola ai nostri due ultimi relatori, vorrei solo aggiungere che a mio avviso l'insieme degli interventi fin qui ascoltati ha evidenziato come lo stato di attuazio-

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ne in attuazione della nostra riforma federalista rappresenti una questione cruciale dal punto di vista dell'incrocio e dell'innesto fra investimenti pubblici, infrastrutture e competitivit. Io credo, cio, che l'idea di federalismo e l'idea di perequazione fra i territori che la classe politica chiamata a scegliere e a sciogliere abbia molto a che fare con questa vicenda degli investimenti pubblici, delle infrastrutture e della competitivit. Questo almeno quanto ho tratto io dal dibattito sinora. La parola all'onorevole Visco e poi al Vice Ministro Baldassarri.

Vincenzo Visco
Penso che questo Convegno che ha come tema il decentramento pu essere un'occasione utile per ragionare su quello che stato fatto in passato e su quello che si sta facendo adesso. Domani alla Camera si vota, c' la terza lettura della cosiddetta devolution. Allora, se io devo pensare, riflettere sugli ultimi dieci anni di discussione in materia, devo concludere che sulla questione federalismo, decentramento ecc. c' stata una sostanziale inconsapevolezza dei problemi e uno scarsissimo approfondimento. Quando si discusse del Titolo Quinto, ormai sei anni fa, accadde una cosa singolare, e cio che il Governo fu poco coinvolto nella questione perch c'era stata la Bicamerale, c'era il Parlamento che lavorava su queste cose. In particolare nel Governo furono coinvolti pressocch per nulla gli economisti presenti, fra i quali c'era per esempio un esperto,anzi il massimo esperto italiano di finanza locale e decentrata che il Prof. Giarda. Cos facendo si giunti ad approvare una norma che presenta una serie di incongruit su cui torner subito. In ogni caso, secondo me nell'intero dibattito sul federalismo vi stata una scarsa consapevolezza sul suo significato e sulle sue ragioni, incomprensione che poi ha creato tutte le contraddizioni attuali. Da molti il federalismo veniva visto (o presentato) come un fatto risolutivo, l'occasione per l'affrancamento dalla schiavit imposta da Roma e dal Mezzogiorno; la soluzione che avrebbe garantito una quantit di risorse illimitate a certe parti del paese. E' evidente quindi che questa era una visione chiaramente non particolarmente fondata. Dall'altra parte non c'era consapevolezza che il federalismo che, altro non che un robusto decentramento di compiti e di risorse dal centro alla periferia, che secondo me necessario nel nostro paese, si poneva due obiettivi essenziali: il primo, quello di responsabilizzare la gestione finanziaria delle Regioni e degli Enti Locali, e mettere in primo piano il rapporto tra elettori locali e governanti locali in modo da poter consentire che gli elettori giudicassero periodicamente quello che facevano i governanti. E questo ovviamente era il capovolgimento della logica legata invece a una politica di trasferimenti, logica che rendeva i sindaci e i presidenti di Regione pressoch irresponsabili, perch la responsabilit era sempre del Tesoro. L'altro elemento era quello di uscire da una uniformit assoluta di disponibilit di risorse, funzioni, standards, ecc. e quindi consentire il manifestarsi di diseguaglianze, intese come scelte maggiormente aderenti alle preferenze locali. Allora se questo per definizione il federalismo, evidente che la questione andava affrontata con consapevolezza piena rendendosi conto soprattutto che nella situazione italiana un assetto federale implica una forte politica perequativa e redistributiva che di fatto vanificherebbe non poche delle aspettative miracolistiche di cui parlavo prima. E qui emergono tutti i difetti del modo in cui si proceduto. La prima cosa che vorrei dire, non la dimostrer perch per un economista del tutto ovvio e secondo me dovrebbe essere ovvio pure per i giuristi, che parlare di competenze esclusive per gli enti decentrati un nonsenso. Non esistono competenze esclusive in natura, salvo la fontanella, l'illuminazione delle strade ecc. Esistono competenze relative alla produzio-

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ne di beni e servizi i cui effetti (benefici) sono pi concentrati su una determinata porzione di territorio, il che giustifica la attribuzione di responsabilit amministrativa e finanziaria a quel determinato livello territoriale, ma ci sono sempre sovrapposizioni. Questo dovrebbe essere ovvio sia per chi ragiona in base al principio di sussidiariet, sia per gli economisti che studiano l'articolazione su diversi livelli di governo, facendo riferimento al concetto di bene pubblico, locale, esternalit, ecc.. E' esattamente la stessa cosa, gli economisti dicono: la divisione dei compiti deve essere tale che i beni pubblici locali vengono prodotti a livello locale e finanziati a livello locale, e quelli nazionali a livello nazionale salvo le sovrapposizioni che si creano (spillovers) che richiedono un intervento di sostegno da parte dell'ente sovraordinato. Poi ci sono anche beni pubblici globali di cui si discute negli ultimi tempi, per i quali sarebbero necessari finanziamenti a livello sovranazionale, come in parte ci sono, basta pensare a quando si fa la guerra al terrorismo e cose del genere. Questo cosa significa? Significa che man mano che si va verso livelli superiori ci deve essere un potere di indirizzo, sostegno finanziario, controllo, eventualmente divieto robusto, perch altrimenti la cosa non funziona. E questa consapevolezza stato assolutamente assente nel dibattito, anzi, nella riforma che votiamo domani c' proprio l'apoteosi delle competenze esclusive. L'altro punto quello della perequazione. E' evidente che quanto pi si decentra in un paese diseguale come l'Italia, tanto pi difficile perequare. Intanto perch la cosa diventa molto pi evidente e quindi politicamente pi delicata, ma anche tecnicamente. Qui ho sentito dire da molti che il federalismo fiscale non stato compiuto ecc. e che quindi siamo tutti in attesa. Beh, io devo dire che questa un'altra cosa che non capisco, E' vero, solo nel senso che l'attuale Governo ha fatto un resetting, ha fatto tabula rasa di tutto quello che era stato fatto prima e ha ricominciato, per prima cosa era stato fatto? Era stato fatto quasi tutto. Rimanevano notevoli perfezionamenti da fare, ma la sostanza era gi stata tradotta in norme. Infatti, cos' un sistema federale? Un sistema federale un sistema in cui, a parte la distribuzione dei compiti, e cio l'assetto istituzionale, sul piano finanziario ogni livello di governo dispone di risorse proprie certe. E per l'appunto, con le riforme della passata Legislatura a ogni livello di governo erano state assicurate imposte autonome, sovraimposte o addizionali a tributi erariali e compartecipazione ai gettiti di tributi erariali. Ci vero sia a livello comunale che a livello provinciale, che a livello regionale. E' questa la struttura che era stata disegnata. Struttura che molto pi avanzata di quello che c' per esempio in un paese come la Germania, dove essenzialmente i Lnder sono finanziati esclusivamente con compartecipazioni al gettito di tributi erariali che sono sostanzialmente trasferimenti. La scelta che fu fatta era una soluzione a met tra Stati Uniti e Germania. Dopodich c'era il problema perequazione che fu affrontato col decreto 56/2000 che poi stato malamente applicato - qui rinvio a un libro che ha scritto Giarda in cui spiega tutti gli errori fatti dall'attuale Governo- e che poteva essere integrato, migliorato, rafforzato, comunque l'assetto c'era e anche per quanto riguarda il trasferimento di nuovi compiti alle Regioni dopo l'approvazione del Titolo V era previsto che per il loro finanziamento aumentasse la compartecipazione al gettito dell'Imposta sul Valore Aggiunto; sicch l'autonomia finanziaria possibile era assicurata. Rimanevano altre questioni aperte. Il Dott. Turicchi ha detto giustamente quando il diritto, la legge, l'organizzazione pubblica resta ferma, poi la finanza ci pensa lei e in verit negli ultimi anni c' stato un eccesso di finanza, con pericoli che abbiamo visto nei grafici presentati e in particolare con oneri scaricati sui sindaci futuri da parte di Comuni che hanno fatto swap e altre cose di questo genere, perch la finanza uno strumento bellissimo, ma molto pericolosa, potenzialmente micidiale. Soprattutto perch le banche quando vanno nei Comuni o nelle Regioni a spiegare quello che possono fare, pensano alle provvigioni pi che all'equilibrio della finanza pubblica o del comune medesimo.

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Allora cosa era necessario fare? Era necessaria una riforma del Ministero del Tesoro che non stata neanche immaginata e che comunque urgente. Primo, bisogna conoscere i dati. Al Ministero del Tesoro non c' un sistema informativo adeguato. Adesso si sta facendo il sistema SIOPE che un'ottima cosa, ma tutt'altro che risolutivo. Noi, come tutti i paesi civili, dobbiamo mettere in rete tutti gli enti decentrati di spesa in modo da sapere, se non quotidianamente, quasi, quello che essi fanno. Come succede all'estero e come io avevo cominciato a impostare negli ultimi mesi della mia permanenza al Tesoro. Se non si sa questo non si pu distinguere tra Comune e Comune. I Comuni non hanno bilanci omogenei, non si sa assolutamente nulla di quello che fanno se non a consuntivo per grossi aggregati, mentre noi dobbiamo incominciare a individuare le best practices e valorizzarle e creare l'emulazione di cui si parlava un momento fa tra Comuni. Per fare questo bisogna conoscere e appunto, io per esempio ho molto apprezzato questo rapporto perch io so che fatica ci deve essere stata dietro, nell'elaborare questi dati e cercare di avere qualche informazione, mentre in realt dovrebbe essere roba a disposizione dei cittadini giornalmente. L'altro elemento importante in un sistema decentrato e federale che la struttura organizzata per uno Stato centrale, per giunta ottocentesco, che quello attuale, della Ragioneria ecc. non pi adeguato, quindi deve evolversi e in una parte rilevante il Tesoro dovrebbe svolgere il ruolo che svolge la Commissione europea nei confronti degli Stati membri. E cio andare a monitorare e a dare fastidio quotidianamente per vedere cosa fanno, cosa non fanno. Allora, in una situazione del genere noi possiamo avere l'assetto all'interno del quale anche le banche in modo ordinato possano svolgere il loro compito. Naturalmente noi sappiamo che un assetto federale, inevitabilmente comporta una duplicazione costi, ma non detto che comporti un aggravio di spese, nel senso che se c' recupero di efficienza e se si crea effettivamente una mentalit diversa, per cui ognuno si assume le sue responsabilit l'effetto finale pu essere virtuoso. Insomma, questa era l'idea che c'era dietro il nostro approccio alla riforma al Titolo Quinto, poi andata come andata, fra l'altro incidentalmente, dato che il Presidente Bazoli ne ha parlato, guardate che noi a parte quello che ho detto che la riforma fu fatta senza aver chiarissimo tutto, la scelta fu fatta di votarla a maggioranza non fu condivisa da tutti, e sottolineo il fatto che in Consiglio dei Ministri ci furono almeno due Ministri (chi vi parla e Franco Bassanini) che avevano detto che non si doveva fare quella scelta, esattamente perch non si vota a maggioranza la riforma della Costituzione. Ma l'obiezione fu -ed era valida, molto forte, tant' che poi prevalse- che la scelta era stata fatta dalla Commissione Bicamerale all'unanimit, in pi approvata da tutti i Presidenti delle Regioni, anch'essi all'unanimit. Quindi non c' stata una vera forzatura. Cosa che invece, rispetto alla riforma che voteremo domani non si pu certo dire. Comunque chiaro che noi dovremmo poi, anche questo stato detto, rimettere mano, di nuovo al problema, tenendo presente, per esempio, che nell'art. 119 non sono previsti i trasferimenti dagli enti sovra ordinati a quelli sotto ordinati, un'inutile mutilazione, i trasferimenti ci sono pure negli Stati Uniti, anzi uno dei modi pi importanti con cui il Governo federale esercita il suo ruolo di indirizzo. Per concludere, abbiamo perso molto tempo, temo che ne perderemo ancora e comunque se ci fosse stata in questi anni una capacit di discussione e di ascolto reciproco piuttosto di delegittimazione bilaterale devo dire, di tutto quello che era stato fatto e che veniva fatto, probabilmente per il paese sarebbe stato meglio. Quindi noi viviamo in una fase di eterna transizione in cui poi evidente che il paese stesso tende ad implodere, a fermarsi, che quello che avvenuto. D'altra parte il declino di un paese si manifesta in tanti modi e il modo pi evidente il fatto che la qualit della classe dirigente tende anch'essa a calare.

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Mario Baldassarri
E' innanzitutto doveroso un ringraziamento a Banca Intesa, sia per lo sforzo di analisi del rapporto, sia per l'occasione che ci fornisce di comune riflessione e confronto. Subito un'integrazione e un'informazione. Non conosco il caso del carcere di Messina citato dal dott.Ciaccia, ma conosco il caso altrettanto emblematico del ponte di Macerata, visto che in quella citt sono nato e vissuto e pur mancando da 40 anni ne ho seguito le vicende. Tre anni fa, nel definire le opere della Legge Obiettivo concordate con Comuni e Regioni, si decise di inserire un'opera molto importante non solo per quell'area e per quella regione, ma per l'Italia intera: la trasversale Adriatico-Tirrenica chiamata Quadrilatero. Un'opera del valore di due miliardi e duecento milioni di euro, che ha gi percorso tutta la procedura Cipe e proprio in questi giorni arrivata alla fase della scelta dei due general contractor. In quel progetto stata inserita tutta una rete di infrastrutture minori che ne sono parte integrante, tra cui il collegamento tra le valli del Potenza e del Chienti, che si chiama Intervalliva. Questo collegamento passa sotto la citt di Macerata con un tunnel. Io stesso chiesi al sindaco e al presidente della Provincia, nonch al presidente della Regione, di incorporare quella variante nel Quadrilatero, perch sarebbe stato pi rapido e pi facile realizzarla e finanziarla, con un costo tutto sommato ridotto pari a qualche milione di euro. Quando avevo ancora i pantaloni corti e andavamo in bicicletta al fiume, quel ponte era pericolante, quindi mi fa piacere che in pochi giorni si sia proceduto all'appalto. Quello che mi dispiace che ci siano voluti 30 anni o forse pi per provvedere in modo serio e strutturale. Perch il Comune ha rifiutato di far entrare quel pezzo di strada come parte integrante del progetto Quadrilatero? Perch il sindaco aveva la promessa di un finanziamento da parte della Regione e preferiva farsi l'appalto per conto proprio. Purtroppo la Regione non mantenne fede alla promessa e l'anno successivo il ponte, dopo trenta anni vissuti pericolosamente, stato chiuso dalla Protezione Civile. E anche grazie alla stessa Protezione Civile, che intervenuta rapidamente, si sopperito per quattro mesi con un ponte di barche sul fiume. Non mi pare che questo sia un esempio di buona amministrazione e buon coordinamento tra livelli di governo: centrale, Regione, Provincia e Comune. Non c' stato dialogo. Il sindaco non ha seguito la volont della Provincia (peraltro sono due amministrazioni dello stesso colore politico, centro-sinistra), che aveva espresso parere favorevole all'idea di mettere tutto nel progetto pi grande. E' ovvio che - entrando nel progetto Quadrilatero - l'appalto sarebbe stato affidato al general contractor e non alla scelta del Comune. Chiudo questa parentesi, forse troppo personale, ma che pu essere emblematica di come avvengono i processi tra livelli di governo. Vi propongo invece un paio di riflessioni che propongono un'inversione dell'ordine dei fattori rispetto al ragionamento comune. E in questi due casi, invertendo l'ordine dei fattori, il prodotto cambia sensibilmente. La prima inversione riguarda proprio il titolo di questo incontro, anzi, il sottotitolo: investimenti pubblici, infrastrutture, competitivit. Io credo che la lettura pi corretta sia competitivit, infrastrutture, investimenti pubblici. Partiamo da un dato di fatto. Si parla molto di competitivit, globalizzazione, degrado del sistema produttivo italiano. Ci sono tre o quattro voci che da sole valgono il 50% di minore competitivit dell'Italia rispetto agli altri paesi europei, senza considerare il gap con la Cina o l'India. Limitiamoci solo agli altri paesi europei. Da venti, trenta anni discutiamo delle stesse cose. I governi si succedono e i nodi restano, o forse si aggravano.

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Abbiamo in media un 20-25% di costi in pi dell'energia elettrica; un po' meno per le grandi imprese, un po' pi per le piccole imprese. Studi vari, nel corso degli anni, hanno indicato che c' anche un differenziale di costi per infrastrutture e logistica che sta tra il 10 e il 15%; ci significa ogni nostro prodotto che esce dalla fabbrica, per arrivare sui mercati europei o extra europei, attraverso porti, aeroporti ecc. si carica di un 10-15% di oneri in pi rispetto ai Paesi concorrenti. C' poi il cuneo sul costo del lavoro che un altro 10, 15, 20% a seconda delle condizioni. Ecco come si arriva al 50% di gap competitivo. Negli ultimi due anni e mezzo ci abbiamo anche caricato sopra il 50% di rivalutazione dell'euro, e qualcuno forse dovrebbe spiegare perch ci avvenuto e in base a quali fondamentali dell'economia europea. Questo dimostra che l'ordine dei problemi esattamente l'opposto. Bisogna partire dalla competitivit. Abbiamo il 10-15% di gap competitivo nelle infrastrutture e nella logistica. Dunque, occorre fare le infrastrutture, e quindi bisogna fare investimenti pubblici. La seconda inversione dell'ordine dei fattori riguarda un aspetto che, sorprendentemente, non stato ancora sollevato in questo dibattito. Quando eravamo ragazzini e ci insegnavano economia, c'era un grande dibattito su un punto chiave: il risparmio che genera gli investimenti o sono gli investimenti che generano il risparmio? Mi pare banalissimo ricordarlo, ma mi pare che in questi ultimi tempi si sia dimenticato ci che era stato acquisito e cio che vera la seconda parte della domanda. Non un problema di keinesismo o meno, un problema di fondamentali. Sono gli investimenti che alimentano il reddito ed poi il reddito che genera risparmio. Di tutto questo non si tiene conto, sia nei criteri europei di Maastricht, del patto di stabilit, sia nella politica monetaria della Banca Centrale Europea che confonde lo strumento (i tassi d'interesse) con i suoi effetti, guardando all'inflazione che non c', senza preoccuparsi della crescita, che invece manca. Con le due inversioni che vi ho proposto, le conseguenze dei ragionamenti sul piano dell'analisi economica - a cui seguono di conseguenza quelli sul piano dell'analisi procedurale, amministrativa, istituzionale, e dei livelli di governo - cambiamo radicalmente. Se sono gli investimenti che creano competitivit e quindi generano reddito e risparmio, la crescita determinata dall'impulso sugli investimenti. Il problema quindi non quali risorse per quali investimenti?, ma quali investimenti per quali risorse?. In pi c' questa interpretazione francamente incomprensibile, e questo altrettanto incomprensibile silenzio, da parte di chi per tanti decenni ha cercato di capire l'economia. Enzo Visco non uno di questi, il sottoscritto non uno di questi. Per c' una tendenza trasversale nell'accettare questo gatto che si morde la coda, ovvero la ricerca a tutti i costi della condizione di equilibrio finanziario inteso come saldo di finanza pubblica: il famoso 3% di Maastricht. Spesso si dimentica che quel limite fu stabilito - a mio parere in modo sacrosanto in quel momento - per andare a costruire la moneta unica, ma sulla base di un giochetto aritmetico. Nel 1996 il rapporto debito-pil in Europa era in media del 60%, e si pensava che la crescita reale del pil fosse del 3% e l'inflazione del 2%. Ci significava una crescita nominale del Pil pari al 5%. Il 60% di cinque pari esattamente al 3%. Dunque il parametro del rapporto deficit-Pil fu calcolato in modo tale da stabilizzare il rapporto debito-Pil. Un parametro sacrosanto per fare la moneta unica, ma che ora irresponsabile mantenere alle stesse condizioni, specialmente se si vuole far s che la moneta unica sia strumento di crescita dell'Europa in un quadro di stabilit finanziaria. Non si pu puntare solo sulla stabilit finanziaria, perch questa non pu essere mantenuta senza la crescita. Non a caso, Francia e Germania hanno precorso i tempi, ma in questi ultimi tempi anche altri paesi stanno sfondando il tetto del 3%. La Commissione, l'Unione Europea e anche la stessa Banca Centrale Europea dovrebbero avere un potere di bollinatura, tipo la Ragioneria dello Stato, per evitare trucchi di

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bilancio e dare l'assenso ai progetti (finanziariamente solidi) che si configurano come investimenti infrastrutturali. Non si pu considerare solo il vincolo statistico, senza distinguere se in quel bilancio pubblico, e quindi in quella politica di bilancio pubblico, la spesa destinata alla parte corrente o agli investimenti. Nelle condizioni attuali, invece, non si pu ragionare in questi termini, perch le regole implicano che bisogna coprire finanziariamente gli investimenti nello stesso anno in cui vengono realizzati. E' come se un'impresa dovesse pagarsi un nuovo impianto in un anno o una famiglia dovesse comprare una casa e fosse obbligata a pagarla in un anno. Addirittura con l'Eurostat si discusso per due anni se i limiti di impegno - cio la rata annuale dei mutui pluriennali - dovessero essere considerati non per la quota della rata annuale, ma per l'intero ammontare dell'indebitamento assunto in quell'anno, pur se spalmato in venti anni o in trenta anni. E si dovuto trovare il piccolo escamotage di non chiamarli pi limiti di impegno, ma contributo annuo fisso. E' sicuramente positivo aver superato un problema, ma paradossale che si sia dovuto trovare un escamotage definitorio, al di l del contenuto reale, economico della decisione. Una volta acquisite queste due inversioni nel ragionamento, evidente che uno dei nodi cosa vuol fare da grande l'Unione Europea. Continuare ad usare una politica monetaria che porta l'euro al 40-50% di rivalutazione, con un'economia reale che, dal punto di vista dei fondamentali, non certo coerente con la forza dell'euro? Continuare a definire questi insormontabili parametri, in particolare il 3% di deficit rispetto al Pil, quando molti paesi li superano, per poi permettere loro di sforare per un paio d'anni e poi rientrare? Continuare a non entrare nel cuore di quello che la teoria economica ha gi stabilito da trenta anni - anche qui francamente in modo molto trasversale - e cio che il rigore finanziario si applica alla parte corrente? E' infatti chiaro che il 3% di deficit anche troppo elevato se riferito alla spesa corrente. Ma ciascun paese europeo dovrebbe essere fiero di avere un deficit del 4% l'anno nei prossimi cinque anni, se questa differenza tra entrate e spese fosse dovuta ad investimenti veri, nelle infrastrutture, nella rete logistica, con una politica di vera integrazione del continente europeo. Questo ci che spetta alla responsabilit dell'Unione. E in questo giocano un ruolo anche i singoli governi che, per poter sostenere questo ragionamento in sede europea, debbono avere anche il coraggio di fare scelte concrete all'interno del proprio paese, in termini di rigore e di obiettivi, nelle manovre di rilancio dell'economia. Vengo infine a una terza questione, che potremmo intitolare capitale pubblico, finanza privata, finanza di progetto. Prima di valutare le scelte in questo campo, occorre chiedersi una cosa importante: se l'infrastruttura, cio un'opera pubblica, genera valore - e normalmente la si fa per generare valore - chi cattura questo valore? La tradizione, in molti paesi, compreso il nostro, quella di progettare le infrastrutture, cercare di ricavare risorse da parte del contribuente attraverso la finanza pubblica e realizzare l'opera. Facciamo l'esempio di una strada. Una volta che l'opera realizzata si crea valore e il valore viene catturato dal privato che vive ed opera nel luogo in cui l'opera realizzata. Finora, storicamente, abbiamo caricato al contribuente il costo dell'opera e lasciato al privato (al mercato) il valore creato. La finanza di progetto, al di l del dibattito sulla scelta fra privato o pubblico, in realt semplicemente un accordo ragionevole: un pezzo del valore che si crea con l'opera viene catturato dalla collettivit, in vari modi, e contribuisce a realizzare l'opera. Infatti, inutile attendere che ci siano le risorse pubbliche necessarie a coprire al 100% tutte le opere pubbliche da fare. Come sottolineato anche dal dott. Ciaccia prima di me, si aspetteranno venti anni, perch i soldi necessari non ci sono mai. La finanza di progetto non dunque una questione tecnica; una scelta politica. Proprio per questo appena arrivato al governo, in qualit di segretario del Cipe, ho voluto una

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riforma piccola, ma a mio parere importante: abbiamo spostato l'Unit finanza di progetto del Ministero dell'Economia dentro il Cipe, collegandola con il Ministero delle Infrastrutture e con l'Ispa . Non una grandissima rivoluzione, ma comunque un passo significativo. Il mio scopo stato quello di introdurre un meccanismo di capital rationing nel capitale pubblico. Ogni progetto che viene sottoposto deve avere un'analisi di finanza di progetto e di cattura del valore. Ovviamente deve essere un'analisi indipendente, certificata. Se chi fa l'analisi mi dice che non possibile utilizzare la finanza di mercato, allora si metteranno risorse pubbliche al 100%. Ma se anche fosse possibile un contributo del 10, 20, 30% dei privati, perch non perseguire questa strada e liberare risorse, catturando valore attraverso la finanza di progetto e riducendo la quota delle risorse pubbliche necessarie? Agendo in questo modo, delle due l'una: o a parit di risorse pubbliche riesco a fare pi opere o a parit di opere, queste ultime costano meno al contribuente. Questo lo schema che abbiamo tentato di seguire in questi anni. Vengo alla riforma federale. Enzo Visco ha ragione quando dice che il Titolo Quinto stato fatto senza ascoltare il parere di qualche Ministro competente. Io non posso che essere d'accordo con lui e confermarlo, perch sin dal primo giorno in questo ruolo ho toccato con mano una certa confusione istituzionale. Me ne sono reso conto gi alla prima riunione del Cipe, quando arrivavano le proposte e i rappresentanti delle Regioni alzavano la mano dicendo: eccezione, titolo quinto. Ovviamente ha prevalso il buon senso e, pur nella confusione di responsabilit, si proceduto a fare delibere e ad assumere decisioni, con ragionevolezza da parte del Governo e delle Regioni. Ma se ci fossimo impuntati da entrambi i lati, non avremmo assunto neanche una delibera. Non c'era nessuno spazio, perch le materie concorrenti sono praticamente tutte. E' vero che in astratto, in teoria, non esiste una competenza esclusiva, ma io credo che sia altrettanto vero che la definizione di competenza esclusiva debba essere una trasparente, doverosa decisione politica. Arrivati ad un determinato punto si deve dire se un'opera va oltre l'interesse specifico di quel territorio o di quel comune, con una decisione politica. E' ovvio che la reintroduzione dell'interesse nazionale, la definizione di materie esclusive (cosa di competenza dei governi locali, cosa deve decidere il Governo nazionale) una scelta politica, ma io credo che dal punto di vista dell'efficacia e dell'efficienza della politica nel prendere decisioni, questa scelta sia assolutamente necessaria. Poi si pu discutere se una materia debba essere di competenza delle Regioni o rimanere allo Stato. Per, una volta presa una decisione, la procedura deve essere chiara. Un ultimo elemento che condivido, rispetto a quanto citava l'On. Visco, la totale incertezza dei dati sulla finanza pubblica. Infatti, gi da tre anni sostengo l'idea della necessit di un'Authority sulla spesa pubblica. Non a caso, quando quattro anni fa cominciato il mio lavoro, c'era un'unica esperienza in corso che era il Codice Unico degli Investimenti, portato avanti dall'Ing. Alberto Carzaniga, che era alla cabina di regia. Il Ragioniere dello Stato sa con quanta determinazione, passione, ma anche difficolt ho cercato di allargare quel criterio per estenderlo a tutte le voci della spesa pubblica. Infatti, mentre a livello di amministrazione centrale i meccanismi possono essere pi o meno migliorati, ma funzionano, a livello di amministrazioni locali, i dati veri si conoscono solo ex post e sempre per grandi voci. Sappiamo se la spesa di quell'amministrazione sta crescendo o calando, ma non sappiamo se sta pagando stipendi o se sta comprando matite, se sta fornendo servizi sociali, se sta assumendo personale. Un ruolo fondamentale lo pu avere il progetto Siope. Apparentemente una questione tecnica, da esperti informatici, ma in realt anche questa una scelta politica. E deve essere una scelta politica doverosamente trasversale, perch la completezza e la immediatezza delle informazioni sono beni pubblici collettivi che valgono per la maggioranza e per l'opposizione. Se non ci mettiamo d'accordo su questo e cio sulla necessaria certezza dei dati di finanza pubblica, diventa difficile poter capire, decidere e soprattutto anche comunicare con trasparenza all'opinione pubblica che cosa sta succedendo.

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La codifica di tutta la spesa necessaria e le tecnologie ci consentono di fare passi avanti in questo. E' facile catturare i trasferimenti per via telematica, perch passano per il sistema bancario. Non credo infatti che gli Enti Locali e le altre Amministrazioni paghino molte cose in contanti. Proprio tre anni e mezzo fa fu creato un gruppo di lavoro, con Banca d'Italia, ABI, Istat, Ragioneria dello Stato, cio i soggetti della filiera e credo di poter dire che i risultati veri di questo sistema (avviato nel gennaio del 2005) li vedremo fra un paio d'anni. Intanto, per, sappiamo che tra due anni saremo in grado di sapere quasi in tempo reale se il Comune di Caltanisetta o di Asti, che ha emesso un mandato di pagamento, sta comprando matite o penne e qual la sua situazione finanziaria. Perch faccio riferimento in particolare a questo? Perch c' una voce del bilancio della pubblica amministrazione - pu sembrare un mio pallino quasi maniacale - che si chiama acquisti di beni e servizi lievitata da 96 miliardi a 107 miliardi di euro in quattro anni. Esiste uno strumento, che si chiama Consip, peraltro costituito in modo benemerito nella precedente legislatura, che ho cercato di mettere in funzione in modo pi rapido, ovviamente con ostacoli e resistenze da molte parti, sia dall'opposizione sia dentro la stessa maggioranza. Grazie a questo strumento, con la centralizzazione degli acquisti, si sono avuti risparmi in media del 20%, con punte anche di molto superiori per i telefoni e per l'energia. Certamente non si pu tagliare con l'accetta e bisogna tenere conto delle esigenze delle piccole amministrazioni da una parte e delle piccole e medie imprese dall'altra. Lo strumento va affinato, ma sicuramente funziona. E' infatti necessario trovare le risorse da spostare sugli investimenti contenendo la spesa corrente. E come si fa? Prendiamo una delle voci, gli stipendi: si possono razionalizzare, ma non sono una spesa comprimibile, si pu solo contenerne l'aumento. Poi ci sono le pensioni, per le quali vale un discorso analogo. Gli interessi sul debito pubblico? Dipendono dall'andamento dei mercati. Resta la parte degli acquisti, che deve essere un doveroso impegno comune, per recuperare quelle risorse che servono proprio per fare competitivit, infrastrutture e quindi investimenti pubblici. Mi fermo qui perch credo che su questi temi bene riflettere, partendo certo dall'analisi, dallo studio che Banca Intesa ha messo a disposizione, ma completandolo con i passaggi politici necessari. Bisogna fare scelte trasparenti verso i cittadini, sapendo sempre che in realt non c' un pasto gratis: o paga tutto il contribuente, o paga tutto l'utente o un po' entrambi, oppure paga il valore che si creato. Per dobbiamo uscire da questa perversa situazione nella quale si pretende che paghi sempre il contribuente, mentre il valore creato va a finire e resta al privato. Poi ci sono i vincoli di bilancio, per cui le opere non si fanno e quindi calano gli investimenti pubblici, le infrastrutture, e la competitivit. E torniamo al gatto che si morde la coda: si continua a pensare che sia il risparmio a generare gli investimenti (falso) e che le risorse che non ci sono. Non vero! Ci sono 630 miliardi all'anno di spesa corrente in tutta la pubblica amministrazione in Italia. Spazio per razionalizzare c'. Certamente, se non si modifica la composizione della spesa, non ci si pu illudere di trovare le risorse. Credo che su questi temi ci siano molti aspetti per cui si pu parlare di beni pubblici collettivi: La trasparenza del bilancio della pubblica amministrazione, la trasparenza della scelta fra contribuente e utente sono beni pubblici. I beni pubblici - come ci ha insegnato qualche grande maestro del passato - sono le pietre d'appoggio della democrazia, sopra le quali si fonda una corretta alternanza di maggioranze politiche. Non si pu essere a favore di una cosa quando si a maggioranza e contro la stessa cosa solo perch si all'opposizione.

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Lo Sviluppo del Mezzogiorno Precondizione dello sviluppo del Paese?


Ilvo Diamanti, Direttore Istituto di Sociologia Universit di Urbino, chairman Gregorio De Felice, Responsabile Servizio Studi e Ricerche Banca Intesa Enrico Letta, Segretario Generale AREL - Agenzia di Ricerche e Legislazione Gianfranco Miccich, Ministro per lo Sviluppo e la Coesione Territoriale Alessandro Laterza, Amministratore Delegato Gius. Laterza & Figli Ettore Artioli, Vice Presidente Confindustria

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Ilvo Diamanti
Cominciamo questa seconda sessione di lavori che coniuga il tema generale del nostro convegno, e cio il legame tra processi di decentramento e rilancio dello sviluppo, con il nodo irrisolto della cosiddetta questione meridionale. La questione su cui vogliamo ragionare dunque quella dello sviluppo del Mezzogiorno. Ma esiste oggi una questione meridionale? Mi pare di assoluto interesse il fatto che noi ce lo chiediamo in questo momento, perch per tutti gli anni novanta il Mezzogiorno sembrato non fare pi questione, tanto vero che tutte le difficolt, i conflitti, l'insoddsfazione nei confronti dello Stato parevano essersi spostati, ridislocati dal Sud verso il Nord. In quegli anni sembrava non solo che il Mezzogiorno non rappresentasse pi una questione, ma - in modo particolare dopo il biennio 94/95 - che si fosse realizzata la metafora dello stivale rovesciato, nel quale il maggior grado di innovazione, di trasformazione, di cambiamento e anche di coesione venisse dal Mezzogiorno. Il che quasi paradossale. In realt i primi anni novanta sono gli anni della fine dell'intervento straordinario nei quali si cercato di capire cosa avrebbe fatto questo Mezzogiorno, il cui sviluppo appariva largamente legato all'intervento dello Stato. Invece dopo i primi due anni dalla fine dell'intervento straordinario il Mezzogiorno ha cominciato a manifestare indici di sviluppo classici - quindi di crescita del prodotto, delle esportazioni, di nascita di nuove imprese - a ritmi superiori a quelli del Nord. Certo, non in modo omogeneo, tanto vero che si comincia a mettere in discussione l'idea stessa di Mezzogiorno, di Sud. In questo contesto uno studioso ed autore noto come Gianfranco Viesti, pubblica proprio per Laterza un testo che provocatoriamente si intitola Abolire il Mezzogiorno. Perch abolire il Mezzogiorno? Perch lo stesso nome uno stigma, e noi tendiamo a stigmatizzare ed a costringere a determinati comportamenti non solo le persone, ma anche gli organismi, le realt sociali, semplicemente catalogandole. Allora, usare il termine Mezzogiorno come sinonimo di sottosviluppo significa non vedere ci che avviene nel Mezzogiorno. Poi chiamare Mezzogiorno una realt cos variegata significa non vedere che le cose cambiano. Gli anni novanta sono anche gli anni dei movimenti civili, della reazione e della lotta alla mafia, sono gli anni dell'elezione diretta dei sindaci, come veniva ricordato prima. I sindaci sono importanti in questo quadro, perch di fatto legano tanto la societ che le istituzioni a delle persone e danno visibilit alla voglia, alla domanda di cambiamento. Il tempo dimostrer che le cose sono in realt molto pi difficili, cambiano in modo molto pi lento, ma intanto si scopre che nel Mezzogiorno le cose si possono cambiare, a Napoli come a Palermo, a Catania come a Bari e che le citt possono diventare pi belle e che la societ si muove. Questo, secondo me, un punto importante, anche perch per questa ragione che si comincia a parlare, anche nel Mezzogiorno, del federalismo come di un'opportunit e non soltanto come di un rischio. Si comincia a parlare dello sviluppo e non solo in termini di finanza o istituzionali, ma soprattutto si parla di sviluppo come elemento di un'equazione complessa, all'interno della quale ci sono altri elementi importanti quali la societ civile - con la sua capacit di muoversi, di cambiare, di liberarsi dalle tradizioni -, la politica, soprattutto quella locale e l'impresa. E non basta. Scopriamo che esiste una relazione virtuosa tra questi fattori. Dove c' societ civile c' spirito di mercato, nuova impresa, c' politica e politica buona, giusta e ci sono istituzioni, c' sviluppo dal basso. Gli anni novanta non sono anni in cui la camorra, la mafia e la 'ndragheta spariscono, ma sono anni in cui sicuramente la criminalit organizzata perde consenso sociale e lo stesso Stato d molti segnali del fatto che possibile batterla, isolarla. Tuttavia non si

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pu battere la criminalit soltanto con i mezzi dello Stato di Polizia o di intervento dell'ordine pubblico. Ci vuole una societ che si muove e una societ che si sviluppa. Oggi noi siamo in una fase che critica. Perch - scrivevo questo in una indagine che io stesso ho condotto sull'opinione pubblica delle regioni meridionali - il Mezzogiorno a mezza strada. Oggi le speranze degli anni novanta cominciano a essere meno certe, la delusione a farsi strada. Gli orientamenti dei cittadini cominciano ad essere meno sicuri e si diffonde di nuovo un clima di sfiducia. E tuttavia le indagini pi recenti ci dicono che seppure il Mezzogiorno non sembra cambiato, sono cambiati i meridionali. L'indagine cui accennavo prima - un'indagine di due mesi fa - ci dice che il 60% quasi dei meridionali intervistati, come lavoro preferito per s e i propri figli, pensa al lavoro autonomo o al libero da libero professionista, solo il 18% al pubblico impiego. Capite? Allo stesso tempo, che per battere la criminalit pensano che l'equazione sia certo intervento dello Stato, ma anche e soprattutto sostegno allo sviluppo, sostegno all'economia. E inoltre il 60% dei meridionali oggi si dice disponibili ad andare a lavorare fuori dall'Italia e comunque fuori dalla loro regione. A riprendere a emigrare. Ma in questo caso non sono come i loro nonni, con le valigie di cartone, i poveracci, sono i giovani, sono coloro che hanno studiato. Cio contro gli stereotipi del Mezzogiorno. Siamo in un Mezzogiorno che sta a mezza strada, perch accanto a questi dati vediamo che alcuni indicatori importanti dell'economia e dello sviluppo tendono a decrescere. Questa mattina abbiamo sentito che, per esempio, alcune ipotesi di applicazione di federalismo fiscale possono produrre una sorta di prevedibile, ma temibile, circuito del rafforzamento dei forti e dell'indebolimento dei deboli, perch coloro che sanno spendere meglio le risorse e ne attraggono di pi sono coloro che hanno istituzioni tradizionalmente pi forti e sistemi locali economici forti. Il paese cio corre il rischio di rivedere nuovamente la divaricazione tra il Nord e il Sud. Allo stesso tempo vediamo segnali che ci dicono che il passato non passato e allora qui il momento, il luogo anche per ricordare che oggi si celebreranno i funerali di Francesco Fortugno. Francesco Fortugno era un meridionale, un meridionale che stato ammazzato mentre votava, mentre esprimeva un atto di societ civile. Francesco Fortugno era un amministratore, era un politico, era un uomo del Sud ed stato ammazzato. E nel momento in cui oggi si celebrano questi funerali, noi sappiamo che il percorso ancora lungo, che non finito, e che c' sempre su questo percorso, purtroppo, qualche vittima e qualche eroe che farebbe a meno, lui e la propria famiglia, di essere chiamato come tale. E proprio per questo io, prima di passare direttamente alla fase diretta della discussione, vi propongo semplicemente - e non retorica, ma questo dedicato al Mezzogiorno, questa una giornata particolare - un applauso. Semplicemente perch non si pensi che poi queste stanze sono isolate dal mondo. Non lo sono e noi ci siamo tutti dentro. Io adesso comincerei direttamente a sviluppare questi che sono gli argomenti reali, cio il futuro del Mezzogiorno e il presente del Mezzogiorno attorno a questi quesiti, attraverso dei protagonisti reali e importanti. La parola quindi a Gregorio De Felice, Capo del Servizio Studi e Ricerche di Banca Intesa.

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Gregorio De Felice
Scopo del mio intervento quello di introdurre alcuni temi relativi alla situazione attuale del Mezzogiorno, soffermandomi in particolare sulle dinamiche dell'industria manifatturiera, dei distretti industriali e del turismo. Cercher, infine, di tracciare alcuni spunti relativi alle possibili linee di azione che, in termini di politica economica, andrebbero perseguite nell'obiettivo di ridurre il divario economico tra Nord e Sud dell'Italia. La prima evidenza che normalmente si cita quando si considera il Mezzogiorno l'evoluzione del divario in termini di reddito pro-capite rispetto al resto d'Italia (grafico 1).

Rapporto tra Pil pro-capite del Mezzogiorno e quello dell'Italia


0,73

0,72

0,71

0,70

0,69

0,69

0,67

0,66 1972 1977 1982 1987 1992 1997 2002

Negli ultimi 30 anni, il divario economico tra Sud e Centro Nord non si ridotto. Nel Sud continuiamo ad avere un reddito pro-capite inferiore del 30% circa rispetto a quello medio italiano. Negli ultimi 7-8 anni abbiamo registrato qualche piccolo segnale di miglioramento sulla cui onda sono peraltro emerse alcune tesi sostenute da economisti del calibro di Gianfranco Viesti, nel volume Abolire il Mezzogiorno. Viesti nel 2003 sosteneva che il Mezzogiorno non dovesse avere una legislazione ad hoc ma che i suoi problemi si inquadravano nell'ambito dei nodi strutturali dell'economia italiana. Erano quindi i problemi dell'economia italiana a dover essere risolti piuttosto che continuare ad inserire la questione meridionale nelle agende politiche di ogni governo, seguendo un rituale ripetitivo e noioso. Il grafico richiede poi una precisazione. La presenza dell'economia sommersa nel Mezzogiorno probabilmente molto pi diffusa di quanto non sia nel resto dell'Italia. Tenendo, quindi, conto di questa evidenza, il divario in termini di reddito pro-capite pu certamente risultare leggermente inferiore a quel 30% riportato dalle statistiche ufficiali. Ci, per, non toglie che il divario esiste e che evidentemente, nel complesso, la politica economica degli ultimi trenta anni non stata sufficientemente efficace nell'attenuare questa situazione. Un punto importante accennato dal prof. Diamanti, e su cui vorrei entrare maggiormente in dettaglio, riguarda la crescente differenziazione esistente nel Sud. Io credo che il Mezzogiorno non possa da tempo essere pi considerata un'area unica, con situazioni omogenee tra loro, ma che si stiano creando forti divari: fra le regioni, fra i settori economici, fra i distretti industriali e tra le imprese.

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Cominciamo con i divari tra le regioni. Come si pu osservare dal grafico 2, ci sono alcune regioni (come, ad esempio, l'Abruzzo) dove il divario rispetto alla media italiana, in termini di reddito pro-capite, si quasi annullato. Il reddito pro-capite pari all'85% di quello medio italiano e questa una situazione non molto diversa da quella di qualche regione meno ricca del Centro Nord.

Divario nel Pil pro-capite tra regioni meridionali e Italia


0 90% 85% 80% 75% 70% 65% 60% 55% 50% 45% 40% Abruzzo Basilicata Calabria Campania Molise Puglia Sardegna Sicilia 1980 1980 2004 2004

Se prendiamo, in una situazione opposta, la posizione della Calabria, notiamo invece che, pur in un quadro di lento miglioramento, abbiamo un divario molto accentuato rispetto alla media italiana. Considerando quindi l'insieme delle regioni meridionali, tra la pi ricca e la pi povera c' un'ulteriore differenziazione del 20% in termini di reddito pro-capite. Inoltre, se guardiamo le cose in prospettiva, molte regioni hanno migliorato la loro situazione (l'Abruzzo, la stessa Calabria e, in misura minore, la Campania). Altre regioni, invece, addirittura hanno segnato un peggioramento: il caso delle Isole, ma anche della Puglia. Consideriamo i distretti industriali. Nel grafico si pu osservare la forte crescita delle esportazioni dei distretti industriali del Sud durante gli anni Novanta. Dal 2002, per, la situazione comincia a deteriorarsi e i distretti industriali del Sud subiscono, in misura pesante, l'impatto della crisi di competitivit che attanaglia l'Italia, che poi il problema principale della nostra economia. La forte spinta propulsiva, che aveva permesso un boom delle esportazioni alle regioni meridionali, tende ad attenuarsi e il Sud rallenta in misura maggiore rispetto al resto del Paese.

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Esportazioni dei distretti italiani a confronto (1991=100)

390 Centro Nord-Est 340 Nord-Ovest Sud 290

240

190

140

90 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005

Note: per il 2005 i dati si riferiscono al periodo luglio 2004 - giugno 2005 Fonte: elaborazioni Banca Intesa su dati ISTAT

Ci che va poi sottolineato che anche all'interno dei distretti industriali la situazione completamente differenziata. Nel grafico ne sono presi in considerazione una quindicina ed evidente come, nell'ultimissimo periodo, alcuni distretti industriali abbiano registrato performance molto buone: l'abbigliamento nel nord abruzzese, l'abbigliamento nel Napoletano, la pasta di Fara San Martino, le calzature napoletane. Sono tutti distretti che, in un anno, hanno incrementato le loro esportazioni del 10/15%: risultato sorprendente in un quadro come quello italiano che vede una forte crisi di competitivit e notevoli problemi ad esportare all'estero. Chiaramente, c' il rovescio della medaglia: ci sono distretti che vanno decisamente meno bene (concia di Solofra, scarpe di Casarano, giusto per citare un paio di esempi). Ma in alcuni casi (come, per esempio, con riferimento al distretto del mobile imbottito della Murgia) c' anche un effetto delocalizzazione. Il fatto che alcune imprese (come, tra le altre, Natuzzi) abbiano trasferito all'estero gran parte delle loro produzioni ha un deciso impatto in termini di esportazioni. In ogni caso, mi sembra che anche questa evidenza confermi che la realt del Mezzogiorno una realt molto differenziata anche del punto di vista economico.

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Evoluzione delle esportazioni dei distretti del Sud nel 2005 (var. % nel periodo luglio 2004-giugno 2005 sui dati a prezzi correnti)

Abbigliamento Nord Abruzzese Abbigliamento del Napoletano Pasta di Fara San Marino Calzature Napoletane Mobilio Abruzzese Consegne di Nocera Inferiore Sughero di Calangianus Pecorino di Thiesi Scarpe del Nord Barese Abbigliamento del Barese Abbigliamento Sud Abruzzese Mobile imbottito della Murgia Scarpe di Casarano Concia di Solofra -2 5 % -2 0 % -1 5 % -1 0 % -5 % 0% 5% 10% 15%

Fonte: elaborazioni Banca Intesa su dati ISTAT

Ci sono differenze anche tra le imprese. In Banca Intesa abbiamo svolto una ricerca specifica in cui abbiamo analizzato 650 piccole e medie imprese di tutta l'Italia, di cui una buona parte collocata nel Mezzogiorno. Oggetto di indagine stata la ricerca di una relazione tra la performance in termini di redditivit di queste imprese rispetto ad una serie di parametri quali l'innovazione tecnologica (misurata dagli investimenti in ricerca e sviluppo, dal numero di brevetti, ecc.), le politiche di marketing (brand strategies, innovazioni di prodotto, ecc.), gli investimenti in Information and Communication Technology, il livello di internazionalizzazione. In altri termini, abbiamo voluto valutare se questi parametri avessero un'influenza effettiva nel determinare i risultati reddituali delle imprese del campione.

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Strategie e performance delle imprese vincenti* (Media campione = 100)

Innovazione tecnologica

Design e innovazione di prodotto

Brand strategy In difficolt Vincenti

Dotazione ICT

Internazionalizzazione Produttiva

80

90

100

110

120

*Le imprese vincenti presentano un tasso di crescita del fatturato ed una redditivit superiori a quella mediana del proprio settore. Le imprese in difficolt, all'opposto, presentano risultati di crescita e reddituali inferiori alla mediana.

I risultati dell'analisi sono riassunti in questo grafico dove risulta evidente che le imprese definite vincenti hanno investito in innovazione tecnologica, hanno fatto innovazione di prodotto, hanno avuto delle strategie di marchio importanti, mentre quelle che sono attualmente in difficolt presentano evidenti carenze su queste voci. Quindi, c' una forte correlazione tra l'impegno ad innovare, ad investire in ricerca, a sfruttare le opportunit dell'internazionalizzazione e i risultati aziendali. Il Mezzogiorno non brilla sul fronte della ricerca e dell'innovazione. Le regioni meridionali (Isole comprese) rappresentano il 25% del prodotto interno lordo italiano. Nel Sud e nelle Isole, gli investimenti in ricerca e sviluppo rappresentano per appena il 15% degli investimenti in R&S dell'intero paese. Quindi, sotto questo profilo, possiamo certamente affermare che il Mezzogiorno ha un ritardo importante rispetto al resto dell'Italia.

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Spesa per R&S (mln euro) intra-muros (2003)

16000 14000 12000 10000 8000 6000 4000 2000 0 Sud e Isole ITALIA

Un analogo divario esiste per la spesa in investment and communication technology. La quota del Mezzogiorno pari appena al 12%, la met circa della quota rappresentata dal PIL. Tutto questo contribuisce a farci capire le difficolt delle imprese del Mezzogiorno ad essere competitive sui mercati internazionali e i differenziali di produttivit tuttora esistenti tra le due aree del Paese.

Spesa in ICT (mln euro)


25000 2 Sud e Isole 20000 2 Italia

15000 1

10000 1

5000 5

0 2000 2001 2002

Il settore del turismo Vorrei toccare a questo punto il tema del turismo, che un altro asse portante per quanto riguarda il Sud, di cui si parla spesso quando si individuano le strategie per ridurre il divario tra le due aree del Paese. Il rapporto tra turismo e industria complesso perch costituito da un insieme di relazioni caratterizzate da legami di intensa concorrenza, ma anche di forte complementarit. Industria e turismo insistono sullo stesso territorio e l'attivit industriale non raramente produce esternalit negative per il turismo, ad esempio, nell'ambito ambientale. Per converso, in particolare sul tema delle infrastrutture, che (come vedremo dopo) un tema centrale per quanto riguarda il Mezzogiorno, sviluppo industriale e turistico sono funzionali alla sostenibilit economica delle infrastrutture stesse.

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Di cosa soffre in particolare il turismo nel Mezzogiorno, oggi? Soprattutto di ritardi infrastrutturali, di un basso grado di utilizzo delle strutture ricettive e di dimensioni medie troppo piccole per quanto riguarda l'industria ricettiva. Questi sono problemi di tutto il settore turistico italiano, ma che nel Sud si accentuano. Tassi di utilizzo = Presenze/ (posti letto x giorni di apertura) (Media 2000-2004)
100 90 80 7 70 60 50 40 30 20 10 0 gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic Spagna Portogallo Grecia Italia

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat

Tassi di utilizzo = Presenze/ (posti letto x giorni di apertura) (Media 2000-2004)


80 Francia 70 60 50 40 30 20 10 0 gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov div Regno Unito Italia

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat

Il grafico 8 mostra il tasso di utilizzo delle strutture ricettive, in Italia e in altri Paesi. In Italia le stanze sono utilizzate in media per il 35%, cio il 35% dei giorni di un anno vede le stanze tutte impegnate. In Francia lo stesso dato vicino al 60%, in Paesi a noi simili, come la Grecia, siamo al 53%, in Spagna al 43%, e cos via. Tutto questo nel Sud ancora pi basso: l'Italia al 35%, nel Sud siamo appena al 26%. Che cosa succede al Sud? Se confrontiamo le regioni meridionali con le Baleari e le Canarie, ossia regioni di turismo balneare tradizionale con dotazioni ambientali di pregio e decisamente analoghe alle nostre regioni del Sud, sia il numero medio delle stanze per albergo sia il tasso di utilizzo delle stesse sono enormemente pi bassi. Quindi, al Sud abbiamo strutture alberghiere molto pi piccole e un loro minor utilizzo. Quando le strutture alberghiere sono molto piccole, difficile riuscire ad avere contatti stabili con grandi tour operator in grado di domandare ricettivit anche fuori dalla stagione turistica estiva, ad esempio con convention nel campo business, ecc. Questo contribuisce a determinare una scarsa copertura dei costi fissi e di conseguenza una minor efficienza degli impianti.

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Un'agenda per il Sud Quali politiche specifiche per il Sud? Io credo che intervenire soltanto sui costi non possa essere sufficiente. Si chiede da pi parti, ma in particolare da parte di Confindustria, una fiscalit di vantaggio. Altri aspetti importanti e relativi ai costi riguardano il costo del credito e il costo del lavoro. Sono tutte cose che possono aiutare, ma credo che non bastino. Quello che mette in evidenza il ragionamento che ho cercato di sviluppare e l'analisi che abbiamo svolto, che il Sud ha soprattutto un problema di infrastrutture. Le infrastrutture devono quindi essere la priorit pi importante per quanto riguarda il Mezzogiorno; si tratta di una priorit per tutta l'Italia, ma che nel Sud risulta particolarmente carente. Quando discutiamo di Mezzogiorno con gli imprenditori clienti di Banca Intesa, quasi sempre mettono in evidenza le carenze infrastrutturali, in termini di trasporto (ferroviario e stradale), di logistica e di qualit dei servizi. Tutto questo incide sui costi: una fiscalit di vantaggio quindi utile ma solo per colmare queste carenze. La vera ricetta dovrebbe, invece, essere nel lungo periodo quella di colmare questi gap. Il secondo punto l'innovazione. Abbiamo visto quanto la carenza del Sud sia forte, anche rispetto all'Italia. Quindi le politiche a favore dell'innovazione, pensate per l'Italia, devono trovare un ragione in pi per essere implementate nel Mezzogiorno. Infine, il terzo punto (se vogliamo, la terza i, dopo infrastrutture e innovazione) l'incremento dimensionale. Il fatto di avere al Sud, ma anche in Italia, dimensioni delle aziende troppo piccole, crea un problema per quanto riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo, genera un problema di economie di scala. Quindi, anche in quel campo, provvedimenti a favore di operazioni di fusione e aggregazione tra aziende di piccole e medie dimensioni, devono essere intraprese. Per concludere, mi associo al dubbio messo in evidenza da Pia Saraceno: il federalismo fiscale aiuta o non aiuta a ridurre il divario? Credo che sia fondamentale avere un sistema di perequazione particolarmente efficace. Altrimenti, se commisuriamo il livello di spesa al livello delle entrate, c' il forte rischio che il decentramento fiscale provochi un'accentuazione delle differenze tra le regioni pi ricche e le pi povere del Paese.

Ilvo Diamanti
Ringrazio il dott. De Felice perch il quadro che ha delineato, per quanto sintetico e assolutamente rispettoso dei tempi, apparso molto esauriente, in grado peraltro di sottolineare alcuni dei problemi che di fatto ci portano a dire che esiste ancora una questione meridionale, dal punto di vista non soltanto economico. Il Mezzogiorno appare come una risorsa sottoutilizzata. Questa una cosa che mi pare assolutamente evidente. Rovesciando per un attimo l'ordine che avevo immaginato, passerei a questo punto la parola direttamente a Enrico Letta, al quale, lasciandolo poi libero di sviluppare la questione meridionale come meglio crede, per porrei il problema da cui sono partito e che il Dott. De Felice ha ripreso in modo molto puntuale. E cio, noi abbiamo immaginato negli anni novanta che si riuscisse ad innescare un circuito virtuoso fra societ e quindi mercato, politica, istituzioni, sviluppo. Oggi, non tutti, ma alcuni dei fattori di questa equazione, sembrano inceppati e soprattutto - questo il problema che poi evidentemente affronteranno gli altri, soprattutto penso il Ministro - noi ci troviamo di fronte un problema di progettualit. Noi abbiamo immaginato negli anni novanta che il cambiamento del Mezzogiorno passasse attraverso la massima valorizzazione della risorsa locale. Cio lo Stato come un interlocutore, ma non pi come il grande protettore, lo sviluppo dal basso e non pi lo

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sviluppo dall'alto. E lo stesso progetto federalista aveva questa idea. Diamo forza alle energie locali, alle societ locali. Oggi cominciano ad emergere una serie di dubbi, non tanto sul federalismo in s, ma sul modo in cui praticato, in cui si traduce. E allora io non voglio portarla a discutere di federalismo, anche se uno degli argomenti cardine, per le chiedo oggi c' ancora la questione meridionale? Cio Viesti, quando parla di abolire il Mezzogiorno aveva torto? Stiamo parlando del Mezzogiorno e lo stiamo riconducendo a dei problemi. Questa crisi di identit e di progettualit come la vede reagire insomma? Qual il suo parere su questo?

Enrico Letta
Vorrei articolare questo mio intervento in cinque punti, cinque titoli, che credo mi consentiranno di rispondere non solo alla sua domanda, ma anche al motivo per cui Banca Intesa ha voluto, in questa giornata di riflessione sul tema degli investimenti pubblici, centrare l'attenzione sul Mezzogiorno. Io penso che nei prossimi cinque, sei anni, la questione Mezzogiorno avr un'ultima occasione per essere affrontata. Dopo di che non si riuscir pi a recuperare il ritardo. E questo il motivo per il quale considero tale argomento un tema centrale per le politiche che dovranno essere attuate nella prossima legislatura e, quindi, anche per il dibattito che si svolger in questi mesi, in vista delle elezioni del 9 di aprile. Dico questo perch, invece, mi sembra che il dibattito sul Mezzogiorno sia scomparso dalla questione basilare dello sviluppo del paese. Io invece penso, e spero, che si riuscir a fare nella prossima campagna elettorale, un grande dibattito politico e culturale, oltre che economico, sul futuro del Mezzogiorno. Credo che ve ne siano tutte le condizioni e penso che anche un appuntamento come questo va in quella direzione. 1. Il primo punto che voglio affrontare un'equazione, probabilmente forzata, ma nella cui validit io credo: dal 1996 al 2003 nell'Italia che entrata nell'euro e che poi ha vissuto con l'euro, il Mezzogiorno cresciuto ad un ritmo superiore al Centro-Nord. In questo periodo l'Italia ha avuto tassi di sviluppo che sono sempre stati superiori all'1,5%. Dal 2004, il Mezzogiorno ritornato ad un tasso di crescita inferiore a quello del CentroNord e la crescita complessiva italiana scesa attorno allo 0,2-0,4%. Io faccio un'equazione tra le due vicende. Il rallentamento del Mezzogiorno ha fermato la crescita del paese; questo lo dico perch il fatto che oggi la crescita del paese sia tra lo 0,2 e lo 0,4 per cento non legato a una crisi internazionale, perch tutto il resto d'Europa cresce di pi, compresa la Germania che quest' anno crescer di pi dell'1%. Quindi avere tassi di crescita dello 02-04% annui vuol dire che c' un problema specifico: il Mezzogiorno, che non siamo riusciti a rendere forte, capace di sviluppare le proprie potenzialit e di cogliere tutte le opportunit offerte dalla congiuntura. Se non ci porremo questo problema e se soprattutto non lo affronteremo, la capacit complessiva di crescita del paese sar compromessa. Ecco perch ritengo che questione meridionale non solo esista ma sia una questione chiave per tutti, che sia una questione nazionale. 2. Il secondo punto, l'ha anticipato Ilvo Diamanti prima: noi parliamo di Mezzogiorno, ma qui il problema che pi che di abolire il Mezzogiorno noi dobbiamo declinare i Mezzogiorni. Questo a mio avviso il vero tema che abbiamo di fronte, perch credo che quello che accaduto domenica sera a Locri dimostri che, anche sul terreno della criminalit, la questione Mezzogiorno non pu essere declinata allo stesso modo. La scorsa settimana ero in Sicilia, insieme a quasi tutti i componenti di questo panel, a discutere col Procuratore Grasso di criminalit in Sicilia. La situazione di quella regione una situazione del tutto diversa da quella della Calabria, che a sua volta diversa da quella di Napoli, che diversa da quella della Puglia e, se Dio vuole, della Sardegna e della Basilicata. Insomma,

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affrontare oggi il tema Mezzogiorno con la parola declinata al singolare impossibile. E questo vale per molte delle questioni sulle quali De Felice si intrattenuto prima. 3. In queste settimane noi stiamo combattendo - e quando dico noi intendo il sistema paese unito, il Governo nazionale, ma anche tutto il sistema paese, Confindustria, i parlamentari europei - forse l'ultima battaglia possibile per il mezzogiorno. In queste settimane ci giochiamo, infatti, la possibilit che il prossimo Quadro Comunitario di Sostegno 2007- 2013 (probabilmente ultimo) sia carico di interesse quantitativo e qualitativo. Si tratta di una partita difficilissima e in questo noi ci auguriamo che il Governo ottenga i risultati che tutti speriamo. Perch chiaro che se dovesse prevalere la tesi dei sei tirchi (Francia, Germania, Gran Bretagna, Austria ecc.) noi ci troveremmo in una situazione di grande difficolt, nella quale sarebbe impossibile fare quello che abbiamo fatto in questi anni, quando di fronte alla crisi finanziaria del paese - che per tutti gli anni novanta stata crisi soprattutto di finanza pubblica e che continua anche adesso - e cio usare i fondi strutturali europei in modo vicariale rispetto ai fondi nazionali. E' evidente che noi dobbiamo rovesciare l'approccio ed usare i fondi strutturali europei per ci che servono, ma altrettanto evidente che se queste risorse si riducessero drammaticamente l'effetto sarebbe disastroso. Aggiungo peraltro che alcuni cambiamenti di tipo qualitativo, che verranno introdotti formalmente nel quadro comunitario di sostegno prossimo, ma che in qualche modo erano gi presenti nelle modalit attuative del precedente ed hanno gi avuto un effetto positivo sul Mezzogiorno, rendono quest'ultima occasione a mio avviso molto interessante. Sempre se saremo in grado di coglierla e se, ovviamente, sar raggiunto l'accordo a livello europeo. 4. Il quarto punto che vorrei evidenziare riguarda la continuit degli interventi. A me ha fatto piacere, ma anche un po' di amarezza, sentire il Presidente del Consiglio aprire la Fiera del Levante di Bari ammettere che nel primo biennio di questa legislatura una gestione poco accorta nel cambiamento dei meccanismi degli incentivi al Mezzogiorno ha creato problemi alle imprese ed ha finito per essere un elemento negativo. Perch vero e perch noi, se dovessimo nella prossima legislatura avere un Governo diverso, questo Governo non dovr fare l'errore di smantellare tutto quello che stato fatto oggi e cambiare completamente strada: spesso in Italia si perde un anno, due anni, tre anni a smantellare l'esistente e poi si finisce per non ricostruire. Su molte di queste cose questo quello che accaduto in questi anni e gli effetti, alla fine, sono effettivi negativi. 5. Il quinto titolo, che mi porta a dire che la questione Mezzogiorno sar la questione numero uno nell'agenda della prossima legislatura sul terreno sviluppo, proprio quella che citava Diamanti prima sul federalismo e, quindi, sulle istituzioni. In questi ultimi anni noi ci siamo trovati di fronte - lo dico senza nessuna incertezza - agli effetti negativi della riforma del Titolo Quinto, fatta al termine della scorsa legislatura. Ci troviamo in una fase di transizione, in attesa dell'approvazione della nuova riforma, la devolution, in cui le regioni sono state caricate di molti pesi e responsabilit a cui non sempre corrisponde un'adeguata capacit amministrativa - tanto in termini quantitativi che qualitativi. La conclusione che, come spesso capita, le regioni piccole hanno la capacit di affrontare le questioni, le Regioni grandi si trovano pi in difficolt. Se a questo aggiungiamo i problemi legati, ovviamente alle questioni finanziarie, ma anche legati al rapporto spesso difficile con il centro - con una dialettica in continuo aumento tra il Governo nazionale e gli Enti Locali e le Regioni - credo che ci rendiamo conto di quanto il problema necessiti, anche qui, di un intervento di regolazione complessiva. Un intervento che non pu che avvenire in modo concordato, ma che deve assolutamente avvenire, perch non possiamo immaginare che su temi quali la spesa sanitaria, la promozione all'esterno, il turismo possiamo continuare con una logica che non positiva. Vedo che sul turismo qualcosa in questi ultimi tempi avvenuto e saluto positivamente quello che sta avvenendo con una reciproca buona volont del Presidente la Conferenza delle Regioni e del Ministro delle Attivit Produttive.

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Sulle cose da fare, anche qui per brevit, mi limito ad alcuni titoli ai quali io credo molto e a cui credo si debba dare attuazione concreta e non limitarsi all'enunciazione. Il primo quello della fiscalit di vantaggio. Ci credo perch oggi le condizioni sono diverse rispetto a otto anni fa. Ci credo perch uno dei pochi modi coi quali le imprese e gli imprenditori possono by-passare il rapporto con la pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione riformabile a mio avviso, ma la possibilit oggi di trovare strumenti e modalit con i quali si riesca a by-passare il rapporto delle imprese con la pubblica amministrazione, a mio avviso, di gran lunga la strada da preferire. La fiscalit di vantaggio in questo un punto chiave. Penso che oggi la si possa ottenere. E' ovvio che per ottenerla c' bisogno di comportamenti virtuosi con l'Europa, non si pu fare i furbi con l'Europa sulle questioni di Maastricht, del bilancio e immaginare che l'Europa ci dia il via libera sulla fiscalit di vantaggio. C' bisogno su questo di una seriet reciproca, penso che sia fondamentale e credo che nei prossimi mesi ottenerla sar un obiettivo di tutti. Il tema della legalit e sicurezza l'ho citato prima, non ci ritorno, ma ovviamente la seconda condizioni in questo senso propositiva. Vi una terza questione che riguarda la vocazione dei diversi Mezzogiorni e che legata al fatto che la globalizzazione riporta al centro la geografia. Fukuyama diceva che la storia era finita, io penso che con la globalizzazione invece sicuramente la geografia torna centrale e la geografia in questo caso la coniugo col problema e col tema dell'energia, delle reti. Noi abbiamo una grandissima opportunit. La dico in due parole: il Mezzogiorno nel suo complesso ha pagato il fatto che, per colpa delle tensioni mediorientali e del fatto che l'Africa la parte del mondo che si sviluppata peggio negli ultimi dieci anni, l'area geografica nella quale collocato quella che ha avuto pi difficolt rispetto al Pacifico, rispetto al Sud-Asiatico, rispetto ad alcune aree dell'America Latina. Salvo su un tema: l'energia, nel senso che proprio la sponda Sud del Mediterraneo e proprio il Medioriente, sempre pi sono vitali e centrali sul tema dell'approvvigionamento energetico che, per un paese come l'Italia un tema centrale. Aggiungo anche che noi possiamo essere la piattaforma logistica che porta l'energia in tutta Europa. E questo vale ovviamente anche per il Mezzogiorno. Non possibile che l'energia al Mezzogiorno arrivi dal Nord. Questa una cosa che non ha senso. Noi dobbiamo rovesciare questo meccanismo. Ovviamente questo passa attraverso investimenti, il tema dei gasdotti dall'Algeria alla Sardegna, il tema del raddoppio delle reti che portano il gas in Sicilia, il tema dei rigassificatori. Non possibile che nel nostro paese i No ai rigassificatori, che portano l'energia di cui tutto il paese ha bisogno e di cui anche l'Europa ha bisogno, continuino a venire da amministrazioni locali sia di una parte politica che di un'altra; cito il caso di Brindisi, dove l'alleanza tra il Comune di centro-destra e la Regione di centro-sinistra, blocca e ha bloccato il rigassificatore. E' evidente che sul tema logistica e infrastrutture la questione dei porti l'altra grande questione sulla quale non ho il tempo di sviluppare completamente le mie argomentazioni. Dico solo che su questa questione centrale il discorso della vocazione, nel senso che ogni porto deve avere - e qui soltanto una regia centrale lo pu creare - una sua vocazione specifica perch cos facendo noi riusciamo a creare porti che siano di tale livello, di tale grandezza da competere con gli altri del resto d'Europa. Sulla ricerca e sull'Universit le cose che sono state dette sono efficaci. Su questo l'unico cosa che voglio dire non risolviamo il problema dell'Universit e della ricerca e dell'innovazione aprendo altre decine di Universit di quartiere nel Mezzogiorno. Questo non vuol dire fare pi Universit e pi ricerca e innovazione. Abbiamo bisogno di concentrare su quelle che ci sono punti di eccellenza sempre pi alti e sempre pi attrattivi. L'ultima parola la dico sul turismo perch ritengo anche io che questa tra le vocazioni, la cito per ultima, importante, una delle vocazioni sulle quali c' bisogno di politiche

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settoriali molto nette e molto forti, che hanno a che fare con l'IVA sul turismo, che hanno a che fare con la dimensione delle strutture alberghiere. Noi paghiamo il fatto che in Italia manchi la capacit di garantire al turista quel livello di sicurezza dello standard di qualit, che ad esempio le catene delle tre stelle garantiscono in altri paesi, mettendo cos il turista in condizione di sapere ci che trover una volta giunto a destinazione. Queste sono cose che con impegno, efficienza, si possono assolutamente rovesciare, con l'impegno all'estensione della stagionalit che questione assolutamente chiave. Ho fatto una rassegna di alcuni degli ingredienti che a mio avviso devono completare e costituire una politica che porti la scelta dei Mezzogiorni, come scelta di grande investimento al centro del nostro dibattito. Sono convinto che nella prossima legislatura chi affronter questi temi e soprattutto riuscir a dare delle risposte concrete, non solo far crescere il Mezzogiorno pi del Nord, ma soprattutto far crescere di pi il paese e credo che questo sia un obiettivo che alla fine va bene al Mezzogiorno, ma che serve soprattutto a tutta l'Italia. Grazie.

Ilvo Diamanti
Grazie a Enrico Letta. Nell'ordinare la discussione, io avevo pensato ad una sequenza che era: Alessandro Laterza, Artioli, Letta ed infine Miccich; quest'ultimo stato, per, talmente sollecitato da Enrico Letta che credo sia il caso di modificare l'ordine iniziale e far intervenire subito il Ministro.

Gianfranco Miccich
Ho letto con attenzione la relazione che Banca Intesa mi ha inviato e mi piace. La relazione evidenzia in maniera chiarissima come gli investimenti pubblici siano, di fatto, pi convenienti al Sud. Su questo tema, il mondo degli economisti ha aperto un dibattito attraverso il quale si sono distinte due contrapposte correnti di pensiero e, per quanto mi riguarda, concordo con quella che sostiene che un'unit di capitale pubblico aggiuntivo possa innalzare maggiormente la produttivit al Sud piuttosto che al CentroNord. Sarebbe, oltre che necessario per i vari motivi che conosciamo, addirittura pi utile quindi garantire una maggiore dotazione di risorse al Sud. Nella relazione viene evidenziato, inoltre, come l'ipotetico riequilibrio economico e sociale, che previsto nella Costituzione, sar di fatto reso difficile: le Regioni dovranno investire sempre di pi e, per quanto beneficino di un'alta soglia d'indebitamento, questa vincolata alle proprie entrate. In questo modo vengono favorite le Regioni che usufruiscono di entrate maggiori perch la soglia d'indebitamento sar pi alta e, di conseguenza, anche la capacit d'investire in infrastrutture. Vengono penalizzate, ovviamente, quelle dotate di meno risorse, perch avranno anche una minore capacit di indebitamento. A questo punto la relazione suggerisce d'istituire uno strumento necessario a riequilibrare il divario che, inevitabilmente, si creer in funzione della ricchezza delle regioni del Sud. Sull'argomento mi permetto di precisare che, nonostante quanto affermato da Enrico Letta, noi non abbiamo cambiato proprio nulla delle politiche per il Sud rispetto al pre-

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cedente Governo. E' quasi imbarazzante per me ammetterlo, ma abbiamo modificato un'unica cosa: abbiamo perfezionato e reso pi gestibile il famoso credito d'imposta del Ministro Visco, la cosiddetta Visco Sud. Era una legge meravigliosa, automatica, la usava chiunque e senza nemmeno dover dimostrare d'aver effettuato l'investimento. Si trattava di un'agevolazione senza limiti, senza bisogno di rendicontazione, senza controllo in maniera assoluta da parte dello Stato. Una legge, cio, fatta per lo sviluppo ma non rivolta specificatamente alle imprese, ma a chiunque ne facesse ricorso. Discussi tempo fa, con Sella, Presidente dell'ABI, che il credito d'imposta veniva utilizzato anche dalle banche del Sud, e quando mi lamentai Sella mi rispose che anche la banca un'impresa. Replicai che indubbio ma, se si doveva concedere un'agevolazione per lo sviluppo, le banche obiettivamente non potevano usufruirne. Non solo, quindi, al Sud esiste un problema drammatico legato al sistema bancario che va urgentemente risolto, ma lo Stato, per giunta, finanziava le banche con il credito d'imposta. Allora fu quasi obbligatorio cambiare quella legge, perch era veramente insostenibile. Insostenibile sia dal punto di vista morale che da quello economico e gestionale. Qual stato il nostro errore con il credito d'imposta? Sospenderlo era obbligatorio, perch il Paese sarebbe andato verso la bancarotta. Si registr una crescita esponenziale pazzesca dell'uso del credito d'imposta ed era inimmaginabile continuare ad erogare risorse seguendo criteri non selettivi. Nel giro di 3-4 anni la spesa sarebbe stata di decine e decine di miliardi di euro a fronte di nessun ricavo da parte dello Stato. Abbiamo sbagliato perch, per cambiarlo, abbiamo bloccato, paralizzato il sistema degli incentivi in maniera troppo traumatica. L'errore stato quello di cambiare improvvisamente il sistema per ottenere l'approvazione di Bruxelles, che non era stata ottenuta neanche dalla Visco Sud. L'Italia, in quella circostanza, peraltro, rischi anche l'applicazione di sanzioni da parte della Commissione europea. Abbiamo sbagliato, dicevo, perch abbiamo bloccato radicalmente il sistema degli incentivi alle imprese bloccando, conseguentemente, anche la 488. Mi assumo la responsabilit di quest'errore e se tornassimo al Governo mi guarderei bene dal rifarlo perch uno dei maggiori effetti negativi stato quello di generare un clima d'incertezza. Non si sapeva pi se la legge 488 era in vigore, non si sapeva pi se lo era anche il credito d'imposta e questa confusione ha creato ulteriori disagi alle imprese meridionali. Ce ne siamo resi conto e abbiamo provato ad introdurre un primo cambiamento, l'abbiamo discusso insieme a Confindustria e sindacati ed oggi il problema risolto. Abbiamo limitato le risorse destinate agli incentivi alle imprese per aumentare quelle riservate alle opere infrastrutturali. Da questa relazione emerge, infatti, che nel 2002 c' stato un calo delle risorse destinate al Sud, non rispetto all'anno precedente, ma rispetto a quello che era stato programmato. E' necessario, per, tener conto che il 2002 stato il primo anno in cui sono mancati i fondi strutturali ed il relativo co-finanziamento per due regioni, uscite nel 2000 dall'Obiettivo 1. Avendo trasferito maggiori risorse alle infrastrutture e avendole tolte agli incentivi alle imprese, cosa successo? Le procedure per l'erogazione degli incentivi sono pi veloci di quelle relative alla realizzazione di infrastrutture. Non disponendo di un parco progetti al quale attingere, anzi, avendo trovato un deserto dal punto di vista della programmazione, pur indirizzando molte risorse agli investimenti fissi, siamo stati obbligati a partire da zero, a creare, quindi, una base di progettazione seguendo poi l'iter che prevede l'approvazione del progetto, la gara per gli appalti, i tempi necessari all'assegnazione e quant'altro. Tant' che, se vero che, complessivamente, la percentuale del totale nazionale relativo alla spesa in conto capitale leggermente scesa, pure vero che i dati di cui si dispone sono, onestamente, indiscutibili. Dal 2002 al 2004, infatti, la scala degli appalti tende nettamente a salire sottolineando una crescita enorme. Non si tratta del risultato di analisi del Ministero, ma di dati presentati ad un convegno di Caterpillar. Quest'ultima, avendo come obiettivo quello di vendere le macchine di movimentazione terra e altre attrezzature, molto interessata a conoscere i luoghi e le modalit degli appalti, per cui espone un'analisi molto precisa dei dati raccolti. D'altro canto - secondo i dati ufficiali del Ministero - l'Anas nel 2001 ha

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pubblicato gare d'appalto nel Sud pari 330 milioni di euro, che rappresentano il 15% del totale Anas. Nel 2002 e nel 2003 si arriva a 3 miliardi e mezzo pari al 54% del totale di spesa ANAS. Possiamo quindi affermare che la spesa non e' stata effettuata ma le risorse sono state impegnate. I risultati come ovvio si realizzeranno solo nel medio periodo, a differenza degli investimenti in regimi di aiuto che sarebbero stati, come gi detto, spesi subito. Quanto appena sostenuto uno dei motivi per cui c' stato un leggero calo nella spesa, anche se noi riteniamo che la strategia individuata sia quella giusta, perch siamo convinti che non pu esistere un territorio competitivo se non adeguatamente infrastrutturato. Ci emerge in maniera chiarissima dalla relazione di Banca Intesa. A tal proposito l'OCSE, nel maggio 2005, nel suo rapporto sull'Italia dichiarava: le attuali politiche di sviluppo mirano a potenziare il ruolo del mercato nell'economia del Sud e della dotazione infrastrutturale dell'area, anche attraverso introduzione di sistemi premiali. In gran parte per effetto delle nuove politiche di sviluppo, il Sud ha registrato negli ultimi anni un pi alto tasso di crescita rispetto al centro-Nord. Un record dal dopoguerra. E' la prima volta dagli anni sessanta che l'accumulazione di capitale, la base essenziale dello sviluppo, favorevole al Sud. La qualit dell'attivit amministrativa del Sud appare in miglioramento come conseguenza di una strategia politica. L'anno precedente l'OCSE dichiarava che nel sistema di governo del Sud c' stato un importante passaggio; da una mentalit di contributi a pioggia ad un uso efficiente degli aiuti pubblici. La stessa cosa stata sostenuta dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Commissione Europea. Sono contento di partecipare ad un convegno dove si espongono considerazioni propositive su ci che interessa realmente all'opinione pubblica, cio cosa si fatto e cosa si far per lo sviluppo del Sud. La strategia individuata ha permesso l'aumento della spesa per investimenti fissi rispettando la sostanza costituzionale sul riequilibrio economico, lasciando immutata la quota di investimenti in conto capitale al Sud. Mi piace ricordare che l'art. 119, al comma 5, fa chiarissimo riferimento a quelle risorse aggiuntive speciali, relative al fondo italiano sottoutilizzato, che sono ormai stabilite dal 2002 in circa 8 miliardi di euro l'anno, somma consolidata e rispettata dall'istituzione ad oggi. Riunificando le varie voci presenti ai tempi della Cassa del Mezzogiorno, si data la possibilit di gestire meglio gli investimenti e le spese che si fanno al Sud. Non pi possibile vedere il Mezzogiorno soltanto come una fotografia rischiando di ripetere gli stessi errori del passato. E' infatti evidente che il riequilibrio e l'annullamento del gap tra il Sud e il resto del paese avverr in un considerevole lasso di tempo, motivo per cui mi piacerebbe che, affrontando il problema del Mezzogiorno, si parlasse di un percorso strategico di crescita, ormai delineato. Tornando al ruolo delle Banche, ricordando che Sella sostiene che le banche sono imprese a tutti gli effetti, propongo che le stesse si facciano carico del rischio tipico delle imprese. Ho sentito dire che sta nascendo una nuova banca, una costola di Intesa dedicata alle infrastrutture; mi auguro che non sia una banca che nasce per prestare soldi solo in caso di aumento della possibilit d'indebitamento, ma che sia una banca che abbia la capacit diretta di aiutare la finanza di progetto e che abbia la capacit di individuare, tra i propri clienti, chi pu sostenere lo Stato e specialmente le regioni del Sud. Se infatti con la collaborazione delle banche facciamo nascere infrastrutture in territori poco sviluppati, rendendo queste aree pi competitive, quelle poche imprese esistenti in quelle aree si moltiplicheranno, producendo vantaggi sia per il territorio che per le banche.

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Il Mezzogiorno vive una situazione difficile, nonostante abbiamo lavorato bene. Ad esempio, sulla sicurezza e sulla criminalit organizzata, che oggi pi controllata dallo Stato e dalle forze dell'ordine, siamo riusciti a produrre dei risultati importanti come, ad esempio, il completamento in tre anni della Palermo-Messina che era rimasta incompleta per quarant'anni proprio per motivi legati alla criminalit organizzata. Penso che sia ingiusto nei confronti del Mezzogiorno, soltanto per meri interessi politici, dichiarare falsit all'estero che possano condizionare gli imprenditori stranieri ad orientare i loro investimenti in aree diverse da quelle del nostro Sud. Non condivido, inoltre, che un noto rappresentante di Confindustria faccia il testimonial per il governo francese al fine di agevolare gli investimenti in quel territorio. Bisogna lavorare tutti insieme per il Mezzogiorno, per proseguire quel percorso virtuoso gi intrapreso dal nostro governo. La svolta iniziata, il Mezzogiorno sta crescendo, la voglia di cambiare forte. Non voglio giudicare il mio operato, n l'operato del Governo ma sono convinto che continueremo a fare bene e ad agire nell'interesse del Mezzogiorno anche per i prossimi cinque anni, di conseguenza non ho bisogno di presentare consuntivi. Il Governo ha ottenuto, in questi anni, risultati positivi inaspettati che vengono riconosciuti anche a livello internazionale.

Ilvo Diamanti
Allora, darei la parola al dottor Ettore Artioli. Abbiamo molte questioni che sono state sollevate. Io credo che il fatto che adesso ci si trovi con due imprenditori a chiudere il discorso di oggi sul Mezzogiorno, ci offra delle opportunit per dare una verifica a quanto emerso dalle osservazioni che vengono dal lato della politica e delle Istituzioni. Cio, io le chiedo le cose che in qualche modo avevo posto nella mia apertura. Noi ci troviamo di fronte a un'imprenditorialit che nel Mezzogiorno ha dato il senso, negli anni Novanta, di un cambiamento reale. Il fatto che l'impresa abbia cominciato a funzionare non irrilevante, perch il Mezzogiorno era sinonimo di realt assistita, protetta e pubblica. Invece, esiste un'impresa privata che ha realizzato delle performance assolutamente interessanti. Per, nonostante tutto quanto stato detto dal Ministro (sul quale non voglio neppure intervenire), vero che tutte le indagini di opinione ci dicono che oggi l'opinione pubblica del Mezzogiorno in uno stato di profonda depressione: nel senso che percepisce che il cambiamento si sia fermato, che la qualit della vita sia degenerata, che la sicurezza sia minore e che l'economia non funzioni pi. Tenete conto che, secondo me, questo un segno che il Mezzogiorno una questione nazionale, perch questo lo pensano anche i cittadini del Nord. Oggi, fare impresa nel Mezzogiorno per un'associazione, per un'organizzazione di imprenditori, cosa implica, cosa significa di fronte a sfide come la carenza o il deficit di infrastrutture? Per, allo stesso tempo, di fronte a un'evidente trasformazione, ad esempio, del sentimento sociale e l'emergere di uno spirito imprenditoriale, effettivamente voi cosa chiedete alla politica? E di fronte a ci che oggi fa la politica, vi sentite soddisfatti, assecondati?

Ettore Artioli
Partirei dalla domanda pi facile, l'ultima. Non si mai soddisfatti delle risposte della politica, e quindi dobbiamo inevitabilmente prendere atto che l'impegno di Confindustria per rappresentare le 115 mila aziende associate, nonostante tutta l'attenzione profusa, sempre impari rispetto alla necessit di incalzare e stimolare la politica, e ancor pi di essere propositivi, proiettando in avanti il livello delle aspettative, per poter

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anticipare quelle che saranno le esigenze del futuro. Ma credo che una risposta cos semplice e banale richieda qualche ulteriore precisazione, senza dimenticare tuttavia che la sala ha applaudito alla proposta del nostro Moderatore, e la cortesia ci impone quindi di procedere rapidamente, per non perdere la vostra attenzione e concludere proficuamente la prima parte della giornata. Mi limiter a mettere in luce solo due o tre temi. Parlavo delle 115 mila aziende associate, a ragion veduta. Di queste, soltanto l'8/9% ha sede nelle otto regioni del Mezzogiorno. Lo dico sapendo di fare un torto a me stesso che, essendo vice presidente di Confindustria, con la delega del Mezzogiorno, confesso subito di rappresentare solo l'8-9% dell'organizzazione, ma lo dico volutamente, per dare risalto alla posizione che durante quest'anno Confindustria ha continuamente ribadito. Il problema del Mezzogiorno e della sua crescita, degli investimenti necessari per far rinascere la capacit competitiva e produttiva delle regioni meridionali, non riguardano n i 10-15 mila imprenditori associati nelle otto regioni meridionali, n il vice presidente competente, n gli otto colleghi che hanno la responsabilit delle Confindustrie regionali del Mezzogiorno. E' un problema di tutta la Confindustria. Credo che lo dimostri quotidianamente il nostro presidente Montezemolo, quando non trascura di sottolineare - e non lo trascura mai, anche quando si trova in luoghi lontani dal Mezzogiorno - che il Sud uno degli asset strategici su cui puntare, se vogliamo che il nostro Paese recuperi competitivit. E lo dico sapendo di ridimensionare in qualche misura il mio mandato di rappresentante degli interessi del Mezzogiorno, ma proprio in linea con il tema su cui Banca Intesa ci ha chiamati a ragionare: investimenti pubblici, infrastrutture, competitivit. Non ci sono punti a separare queste parole e non ce ne devono essere. Investimenti pubblici, infrastrutture e competitivit sono meccanismi di un unico ingranaggio, finalizzato a ridare slancio a questo Paese, che ha perso la capacit di essere leader nell'economia globale, capacit che ebbe proprio nel momento in cui forse meno avremmo potuto sperarlo: negli anni Sessanta e Settanta, quando ci appassionava sapere se fossimo al quinto, al sesto o al settimo posto fra i paesi industriali pi importanti. Oggi non dibattiamo pi se il nostro posto il 46 o il 47 nelle graduatorie internazionali di competitivit, anche perch molti di noi hanno ancora un forte handicap, quello di non riuscire a pronunciare nel modo giusto il nome dei paesi che stanno pi in alto di noi in graduatoria, proprio per la scarsa capacit competitiva che questo Paese dimostra, anche nel non mettere in condizione i giovani di parlare correttamente almeno un'altra lingua, oltre all'italiano, ammesso e non concesso che tutti siano effettivamente in grado di parlare bene l'italiano. Io credo che bisogner prima di tutto capire se il Paese intende veramente fare i conti con il problema del Mezzogiorno, o se continua a volerlo delegare ad alcuni professionisti del tema, pochi addetti ai lavori che continuano ad incontrarsi nelle tavole rotonde e nelle diverse occasioni deputate di incontro, sempre gli stessi, incaricati di occuparci dei problemi del Mezzogiorno, nei diversi ruoli della rappresentanza confindustriale e della rappresentanza politica. Vogliamo affrontare questo problema solo come un debito nei confronti di circa due quinti della popolazione e del territorio italiano, o invece il Sud una risorsa su cui l'intero Paese decide di scommettere, per capitalizzare energie, risorse, territori che comunque fanno parte dello Stato, per farne un'occasione di rilancio della competitivit italiana? Se il Ministro Miccich ritiene di dover comunque definire il Mezzogiorno come una rogna - ed esprimo qui un po' di rammarico per il fatto che l'espressione provenga proprio dal Ministro che ha la responsabilit del Mezzogiorno - io credo che lo stimolo offerto da Confindustria quello di affermare che questa grande area, questa grande popolazione, rappresentano una fondamentale opportunit di rilancio, non solo per i meridionali e nell'interesse dei meridionali, ma nell'interesse della capacit competitiva del Paese. Risorse che giacciono ancora addormentate e, ancor peggio, drenano fondi in modo assolutamente improduttivo, perch viene spesa una gran quantit di fondi pubblici per man-

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tenere in questa parte d'Italia la pace sociale (e credo che questo lo Stato italiano sappia farlo molto bene, da sempre), fondi non certo destinati all'oggetto del convegno a cui ci chiamate oggi. Fondi che perpetuano forme di assistenzialismo spesso bieco, e che invece, se bene investiti, anche attraverso un'anticipazione di tipo finanziario concentrata in pochi anni, potrebbero attivare un forte flusso di investimenti, perch il Sud acquisisca non solo i pre-requisiti, ma anche gli elementi strumentali per diventare competitivo. E allora, poich ci rifiutiamo di pensare che il Mezzogiorno d'Italia sia una rogna e non vogliamo rassegnarci a questo stato di debolezza, credo che due o tre riflessioni vadano fatte. Prima di tutto i pre-requisiti. Non pensabile che possa crescere la competitivit in un territorio, se non vi sono alcuni pre-requisiti di fondo, ormai assolutamente necessari ovunque, nel contesto competitivo che la globalizzazione internazionale ci ha imposto. E ce l'ha imposto, ci piaccia o no aprire le dogane, ci piaccia o no accettare che arrivino merci da paesi lontani. La globalizzazione ci invade, ci pervade, e non ci possiamo opporre. Possiamo forse rinviare, possiamo mettere qualche pannicello caldo, per dilazionare alcuni effetti e difenderci qualche giorno, ma dobbiamo rassegnarci al fatto che ormai la velocit con cui viaggiano le merci e la conoscenza, la velocit delle comunicazioni tale che non possibile porvi alcun limite. Spesso mi sembra inutile ripetere che siamo in un momento particolare, che stiamo affrontando una fase difficile, di transizione. Probabilmente non siamo disposti ad ammettere che non possiamo reggere i ritmi che il sistema economico e sociale oggi ci impone. E allora credo che i pre-requisiti non siano pi da discutere. Sono da attuare. La sicurezza, una pubblica amministrazione che funzioni, un sistema educativo, di formazione professionale, di diffusione di cultura sul territorio, di qualit omogenea in tutto il Paese, dovrebbe essere un fatto naturale su cui non si discute. In alcune occasioni, siamo invece chiamati ancora a discuterne. E poi alcuni elementi di competitivit, indispensabili perch l'economia si possa sviluppare normalmente in ogni parte del territorio, anche nel Mezzogiorno, con una capacit di produrre valore, e quindi di generare quel gettito fiscale, che consente di mettere in atto una politica di coesione sociale sul territorio, non imposta dall'urgenza di tamponare situazioni di fragilit sociale, ma come logica ricaduta del normale sviluppo economico. Aziende che lavorino, imprenditori che producano, professionisti che facciano il loro mestiere, pubblica amministrazione che regolamenti, tutto ci deve servire a garantire l'occupazione, lo sviluppo dei giovani, la coesione sociale. Se questo vero, di infrastrutture non dovremmo pi parlare. Eppure ne parliamo, perch alcuni dati continuano ad essere in controtendenza. E' certamente vero quanto illustrato poc'anzi dal Ministro Miccich: stato compiuto un grande sforzo, non soltanto con la Legge Obiettivo, ma anche con molti altri provvedimenti, per far crescere la capacit di progettazione, di appaltare e di realizzare infrastrutture, ma i dati sono inesorabili. Oggi rimaniamo ben lontani dall'obiettivo del 45% di spesa in conto capitale che nel Patto per l'Italia del 2002 avevamo fissato, per gli investimenti strutturali nel Mezzogiorno. Questo dato, certificato dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo del Ministero dell'Economia, persino peggiorato: dal 41,2% del 2001 ad un 38,8% del 2003. Su questo dato, ufficiale, occorrerebbe riflettere e - anche se non voglio limitarmi a lamentare ci che non va - bisogna evidenziare la tendenza negativa, perch chi rappresenta il Governo se ne faccia carico, e si adoperi per trovarvi soluzione. Non possibile portare a compimento i programmi di investimento intrapresi in alcune aree del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, se vengono imposti tetti di spesa agli investimenti e non alle spese correnti, come - credo - tutto il Paese concordemente si aspetterebbe. Pensiamo alla tabella che ci ha mostrato il Ministro Miccich, in cui abbiamo visto che il tetto di spesa posto nella Finanziaria 2006 agli investimenti dell'Anas di 1700 milioni di euro, e probabilmente non consentir all'Anas di sviluppare i suoi programmi di investimento - dopo che gli appalti sono gi stati assegnati - effettuando alle scadenze previste il pagamento degli stati di avanzamento dei lavori nei cantieri. Mi permetto di sottolineare che gli investimenti in infrastrutture sono indispensabili al Mezzogiorno, anche per motivi congiunturali. La massa di denaro immessa in circolazio-

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ne negli anni Sessanta e Settanta, attraverso il rilancio dell'edilizia e delle infrastrutture, di cui ci sarebbe bisogno anche oggi, consentirebbe di inserire liquidit in un circuito economico che soffre di una scarsa circolazione di denaro e che continua quindi a comprimere i consumi. Tutte le manovre tese al rilancio dei consumi si sono rivelate a consuntivo dei modesti palliativi, assolutamente inutili per il raggiungimento dell'obiettivo, e invece dannose per il bilancio dello Stato, che non era assolutamente in grado di permettersi sperimentazioni inutili. Credo che due riflessioni vadano ancora fatte. La prima: se dobbiamo rilanciare la competitivit, bisogna avere il coraggio di scegliere. Credo che questo Paese, nell'ultimo decennio di utilizzo dei fondi strutturali abbia dimostrato ancora una volta un'enorme incapacit di scegliere, di decidere chi sono gli inclusi e chi sono gli esclusi. O meglio, di dire chiaramente chi saranno gli esclusi, perch questi possano riaggiustare il proprio percorso e diventare gli inclusi di domani. Non si pu continuare a fare una politica di sostegno indiscriminato all'economia, senza consolidare una capacit competitiva in alcuni settori prioritari, di cui pure il Mezzogiorno abbondantemente dotato, con la conseguenza che molte attivit marginali continuano a vivacchiare in balia di politiche di incentivo pi o meno altalenanti. Il Ministro Miccich ha ammesso che la politica degli incentivi allo sviluppo negli ultimi anni stata sostanzialmente priva di effetto: un continuo stop and go che di fatto ha messo il sistema in fibrillazione, senza dare garanzie, demoralizzando chi avrebbe potuto scommettere sul Mezzogiorno, tutti coloro che avessero capacit e coraggio per farlo. Bisogna puntare invece su alcune, chiare, linee strategiche. Forse si pu anche rischiare di sbagliare, ma credo che il rischio di sbagliare oggi sia molto ridotto, perch non pi possibile in alcun modo proseguire con politiche di sviluppo industriale di taglio assolutamente generalista. Se il turismo, con la valorizzazione delle risorse naturali, culturali, archeologiche del Mezzogiorno, un asset fondamentale, non dobbiamo pi limitarci a parlarne, ma dobbiamo fare una politica decisa per rilanciare un settore promettente, ma che continua a presentare risultati insoddisfacenti. Pensiamo che nelle regioni meridionali il 45% dei flussi di spesa attivati dall'attivit turistica provengono dalla stessa regione: quindi non valore che si aggiunge alla disponibilit delle regioni meridionali, ma soltanto una modesta circolazione di denaro all'interno delle stesse regioni. Nel Centro Nord l'incidenza della componente locale solo del 20%, mentre la componente del turismo straniero pari al 37% del totale della spesa, il doppio rispetto al 18% del Sud. Ancora, bisogna pensare che turismo significa sviluppo della cultura dell'accoglienza, sviluppo del territorio che deve rendersi accessibile e accogliente. Seconda riflessione. La politica delle grandi infrastrutture oggi un dato acquisito e condiviso nel nostro Paese, credo da destra e da sinistra, oltre che dall'impresa e dalla politica. Nella realizzazione procediamo lentamente, cercando di compensare la carenza di risorse con slogan, perch la ricerca di risorse mediante project financing in definitiva si riduce a slogan nel Mezzogiorno, in quanto l'attuale livello di competitivit del nostro territorio non consentirebbe di ricavare un'adeguata remunerazione dei fondi privati investiti. Ci rendiamo quindi colpevoli di un grande bluff: sanare il gap infrastrutturale non con risorse della collettivit, ma con risorse degli stessi soggetti che operano nel Mezzogiorno. Sarebbe veramente triste pensare che le grandi infrastrutture in altre aree del Paese, in altri periodi, furono realizzate solo con risorse pubbliche e che oggi al Sud si chieda invece ai cittadini e alle imprese di contribuire alla loro realizzazione, perch se la finanza di progetto va avanti, significa che l'infrastruttura viene realizzata con capitali di privati o con capitali di banche che supportano i privati. L'utilizzo dell'infrastruttura dovr essere pagato ogniqualvolta la si utilizza, con un aggravio di costi che ridurr la capacit di competere del cittadino, dell'imprenditore meridionale, rispetto ad altri territori che hanno sviluppato la propria base infrastrutturale attingendo al finanziamento pubblico. Un ultimo elemento va tenuto presente. Non si pu pi aspettare per mille motivi, ma soprattutto perch i giovani non hanno voglia di aspettare. Troppi giovani continuano

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ad andare via dal Mezzogiorno, 500 mila ragazzi sono partiti dal '95 al 2002 verso le regioni del Centro-Nord e verso l'estero e sicuramente, per il tipo di emigrazione che oggi caratterizza i nostri territori, sono quelli pi dinamici, quelli che hanno maggiore cultura, maggiore propensione al rischio. Sono quelli che potrebbero determinare la crescita della nostra terra e che, poich la nostra terra non li mette in condizioni di farlo, decidono di andarsi a mettere in gioco altrove. Chi resta quella parte della nuova linfa che ha meno capacit di rischiare e preferisce in qualche misura essere protetta. Anche per questo credo che il tempo sia scaduto: perdere queste giovani risorse significa perdere la speranza, perdere la possibilit che il Sud trovi in s la forza di scommettere positivamente su se stesso e di iniziare processi virtuosi, indispensabili all'Italia. Grazie.

Ilvo Diamanti
Ringrazio Ettore Artioli che ha sollevato questioni che meriterebbero grande riflessione. Quest'ultima sui giovani, ad esempio, mi sembrata assolutamente importante e mi pare anche un buon aggancio per l'ultimo intervento, per un giovane imprenditore Alessandro Laterza - che appartiene a una famiglia di imprenditori illustri e che hanno proseguito nell'attivit di imprenditori. Peraltro, un tipo di impresa che assolutamente significativa per il Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno noi assistiamo a questa strana contraddizione: ancora l'area dove si legge di meno e si vendono meno giornali e anche libri; eppure un'area nella quale l'imprenditorialit culturale e editoriale ha figure e imprese di questo livello. Intendo dire non solo Laterza, ma anche Sellerio, Donzelli, Liguori e anche giovani come l'Ancora del Mediterraneo. Cio, davvero una realt che produce impresa culturale. Questo ha a che fare con la storia del Mezzogiorno. Quindi io chiederei ad Alessandro Laterza una riflessione su questo. Cio, fare l'imprenditore nel Mezzogiorno, fare l'imprenditore culturale per una casa editrice che ha promosso un libro come Abolire il Mezzogiorno, non contraddittorio? Io credo che il Mezzogiorno dovrebbe essere un luogo che si specifica come tale, come marchio. Dovrebbe esserci e c' una cultura del Mezzogiorno, un modo di fare impresa tipicamente del Mezzogiorno, un modo meridiano di essere imprenditore, cos come c' stato e c' il mito dell'imprenditore del Nord Est. Nella sua esperienza, fare l'imprenditore nel Mezzogiorno, in mezzo a tutte queste difficolt, quindi in una condizione di selezione naturale ancora pi forte, cosa significa e che prospettive pu dare? Siamo davvero all'ultima spiaggia in qualche modo, o di fronte a un momento assolutamente topico, come ci ricordava Artioli poc'anzi?

Alessandro Laterza
Visto che i tempi di svolgimento del convegno si sono dilatati cercher di ridurre ai termini minimi il mio intervento nella fiducia che non mancheranno altre occasioni di discussione e approfondimento. Le mie considerazione sono tre. 1) E' stato citato pi volte un libro Laterza, Abolire il Mezzogiorno di Gianfranco Viesti: un libro che ha suscitato forte dibattito sulle prospettive di una questione meridionale che rischia di diventare un recinto soffocante se non assume le caratteristiche - anche in termini di opportunit di sviluppo - di una grande questione nazionale. Io credo che gi nell'offrire materia di riflessione su queste tematiche ci sia gi una forma di contributo e di militanza della Casa editrice che esprime cos la sua specificit di impresa culturale meridionale e il suo ruolo nel Mezzogiorno. Credo altres che ci sia in linea con un aspetto che - a mio avviso - emerso con molta forza nelle relazioni svolte duran-

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te questa mattinata: i problemi del Mezzogiorno di cui discutiamo sono senza dubbio problemi di natura tecnica, finanziaria, economica, ma sono anche problemi di natura culturale e politica nel senso lato del termine. Il convincimento che alimenta le radici meridionali della Laterza il convincimento che le questioni chiave che riguardano il Mezzogiorno d'Italia siano una declinazione specifica, un'accentuazione, dei punti di debolezza caratteristici del nostro Paese nel suo complesso. Il Mezzogiorno non un mondo a parte. Affrontarne le criticit significa immaginare il futuro di tutta l'Italia e di un pezzo significativo dell'Unione Europea. E ci implica che si affronti una grande battaglia di carattere culturale e politico. Una battaglia di conoscenza. La relazione della Professoressa Saraceno in materia di investimenti pubblici nel Mezzogiorno presenta una serie di dati statistici che - pur nell'asetticit dei numeri - rivela una realt paradossale e drammatica. Per mantenere una metafora idrica cara a noi pugliesi, risulta con tutta evidenza che nel Mezzogiorno c' bisogno di acqua - ovvero di investimenti pubblici - mentre nei fatti, in concreto, piove sempre sul bagnato ovvero altrove: gli investimenti pubblici si concentrano in altre aree del Paese. Vedere documentata e argomentata questa verit elementare ben altra cosa che vederla espressa in termini di opinione epidermica: un passaggio assolutamente importante per ridefinire l'orizzonte dell'azione pubblica ovvero per prendere consapevolezza della radice ultima delle patologie del Mezzogiorno. questo tipo di analisi dello scenario meridionale nel pi ampio contesto nazionale, questo contributo di conoscenza, che dovrebbe divenire perno di una decisione che tutta politica e riguarda la volont o meno di garantire pari opportunit e possibilit alle regioni di tutto il Paese. Lo stesso principio vale per altri temi emersi nelle relazioni di oggi: per esempio, il tema del federalismo. Stabilire che rilevante difendere il principio costituzionale per cui tutti i cittadini italiani hanno diritto ad avere lo stesso standard di servizi non una scelta tecnica, una scelta politica e culturale. E' un chiarimento di questa natura quello che ci occorre ed su questo aspetto che voglio insistere, tanto pi quando siamo in prossimit della programmazione comunitaria 2007-2013: una programmazione che richiede un grande sforzo di visione. Il nostro problema - del Mezzogiorno e di tutta l'Italia - non solo quello di spendere il denaro che ci viene girato dalla Commissione Europea, ma quello di creare un orizzonte strategico e una cornice di idee e di progetti che indirizzino positivamente l'impiego dei fondi. Su questi obiettivi che - lo ripeter sino all'esaurimento - sono di interesse nazionale la Laterza spende e spender il suo impegno e il suo legame col Mezzogiorno: una battaglia di conoscenza e di chiarezza che nel patrimonio genetico e nella tradizione del nostro marchio editoriale. 2) Per quanto riguarda il profilo della Laterza come impresa editoriale (o pi semplicemente come impresa) operante nel Sud, sar molto tranchant. Da un punto di vista squisitamente aziendale, evidente che molti degli elementi che suffragavano l'insediamento nel Mezzogiorno in virt del godimento di agevolazioni e incentivi sono venuti meno. La Laterza non gode di alcuna significativa agevolazione sul costo del lavoro. L'introduzione dell'IRAP stato un colpo duro perch l' attivit editoriale un' attivit ad altissima intensit di lavoro e a bassa redditivit. Ma a questi problemi si messo argine mettendo in campo le pi algide competenze manageriali e, insieme, un alto tasso di creativit e flessibilit organizzativa. Su altri fronti, invece, non nascondo che vi sono difficolt persistenti. Per esempio, la Laterza procede con molta fatica nella costruzione di partnership per lo sviluppo del proprio progetto di editoria elettronica on line. In questo caso il problema non l'insufficienza di risorse - pubbliche e private, proprie o di terzi -, ma la difficolt di aggregare competenze che collaborino a un progetto che sia di ricerca industriale e non solo di ricerca pura. I rapporti con il mondo della ricerca sono ottimi, ma i partners coinvolti spesso sono poco motivati e interessati al conseguimento di un risultato di ricerca che produca, seppure nel tempo, un risultato economico. Mi viene tuttavia da notare che, ancora una volta, non so se questo sia un problema specificamente meridionale o del settore editoriale: penso piuttosto che si tratti solo di uno dei tanti episodi che caratterizzano la perdurante distanza tra imprese e ricercatori sul fronte, delicatissimo, della innovazione tecnologica e della Ricerca & Sviluppo.

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3) L'ultima considerazione riguarda una materia per me - ovviamente - molto importante: la questione meridionale vista dal punto di vista degli indici di lettura e, quindi, della cultura media alla quale i cittadini del Mezzogiorno hanno accesso. Per l'ennesima volta: il problema ha una sua accentuazione specificamente meridionale, ma un problema di carattere nazionale. Di recente stata pubblicata un'indagine della Mondadori che, a distanza di due anni da un analogo rilevamento, ha misurato l'andamento dei comportamenti di lettura in Italia. ben noto che in Italia si legge poco - circa il 60% della popolazione non ha alcuna familiarit con i libri - ma l'indagine Mondadori ha evidenziato che nell'ultimo biennio si sono registrati alcuni significativi progressi. Una buona notizia, dunque. La festa viene per rovinata dalla precisazione che leggono sempre di pi i lettori forti, leggono sempre di meno i lettori deboli. Leggono sempre di pi le persone dotate di maggiore reddito e di pi alto grado di istruzione; leggono meno o sempre meno le persone con basso reddito e minore scolarizzazione. Legge sempre di pi il Nord; legge sempre di meno il Sud. Quindi, come nel caso degli investimenti pubblici, piove sempre sul bagnato. E, quando parliamo di lettura, non parliamo solo di mercato editoriale ma anche del grado di civilt del nostro Paese. Stare e restare al Sud diventa allora, per noi che siamo attivi dal 1885 a Bari, una questione di principio e di impegno civile. Se dovessimo ragionare in termini crudamente commerciali e aziendalistici, dovremmo definirci forse pi una sigla del Centro-Nord che del Sud: nel Centro-Nord che si concentra il nostro mercato. Rimaniamo invece pervicacemente affezionati alla nostra presenza a Bari e in Puglia, convinti che esistano per un'impresa doveri che travalicano i semplici calcoli di convenienza economica. Rimaniamo a Bari e in Puglia per fondare ed esportare in tutta la penisola il movimento dei Presdi del Libro, gruppi di lettori, scuole, biblioteche, associazioni, librerie, che animano progetti di promozione della lettura. Lavorare a Sud e per il Sud pi faticoso e difficile che nel Centro-Nord: bisogna essere pi bravi e pi creativi per vincere i molteplici gap di contesto. Ma a questo fa premio il fatto che riscuotere successo e consenso operando da Sud e nel Sud una componente ormai inscindibile del marchio Laterza. Un marchio che vuole esprimere fedelt a una lunga tradizione, ma anche capacit di innovazione nelle linee editoriali, nell'uso delle tecnologie, nell'individuazione di nuovi canali distributivi. Un marchio che da pi di un secolo sfida quotidianamente gli scogli e gli ostacoli del suo essere a Sud per rinnovare con molta forza e molta convinzione un antico patto di origine.

Ilvo Diamanti
Io provo molta ammirazione per coloro che hanno partecipato a questa discussione e per coloro che vi hanno assistito. Nel ringraziarvi nuovamente vorrei concludere con un mio ricordo. Io ho insegnato per anni sociologia urbana a Urbino e tuttora sono a Urbino. I miei studenti vengono tutti dalla zona adriatica, quindi tra il Nord e il Sud. E per dimostrare l'importanza del territorio dal punto di vista dell'identit e come il territorio sia legato ad un'identit, il primo giorno chiedevo sempre agli studenti: voi da dove venite, dal Nord o dal Sud? visto che discutevamo di meridionale e settentrionale. Allora, certamente fino alla Romagna o le Marche non c'era problema. Il problema cominciava quando gli studenti erano dell'Abruzzo, allora dicevano: be', noi siamo sicuramente del Centro Italia. Avevamo grosse colonie di pugliesi (e tuttora le abbiamo) che non si dicevano del Sud, erano della linea adriatica. I siciliani (ne avevo qualcuno) sono siciliani, non sono del Sud. I sardi, semmai, si dicono del Nord o del Centro Italia. In pratica, il Mezzogiorno si riduceva alla Campania, alla Basilicata e alla Calabria, perch non avevo studenti. Allora, il futuro pu cambiare per il Mezzogiorno nel momento in cui non ci si vergogna di dirsi meridionali.

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Tavola Rotonda Istituzioni, Banca e Impresa: un'alleanza obbligata


Moderatore: Paolo Gambescia, Direttore Il Messaggero Antonio Catrical, Presidente Autorit Garante della Concorrenza e del Mercato Vito Gamberale, Amministratore Delegato Autostrade SpA Corrado Passera, Amministratore Delegato e CEO Banca Intesa

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Paolo Gambescia
Buonasera a tutti. Purtroppo, gli eventi drammatici della cronaca hanno impedito la presenza a questa tavola rotonda di alcuni dei partecipanti previsti. Credo tuttavia che la loro testimonianza attiva in Calabria ne giustifichi ampiamente l'assenza. Nonostante l'esiguo numero dei relatori, sono convinto che emergeranno dal dibattito molti temi di interesse. Prima di cominciare, desidero leggere la lettera che ci ha inviato il Presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, poich essa sintetizza le cause di queste assenze: Mi spiace non poter partecipare al vostro convegno, ma comprender che gli avvenimenti che negli ultimi giorni hanno coinvolto la mia terra e il grave lutto che ha colpito le istituzioni calabresi non mi permettono di allontanarmi dalla Calabria. Volevo comunque far pervenire a tutti i partecipanti il mio saluto. Mi congratulo con voi anche per il valore della vostra iniziativa. Oggi discuterete e vi confronterete su temi importanti, il confronto tra soggetti pubblici e privati necessario per mettere in atto politiche e strategie di sviluppo e di rilancio per il sistema Italia che, oggi pi che in passato, deve affrontare sfide decisive. Una sfida da abbracciare quella che vede il Mezzogiorno, un protagonista imprescindibile dello sviluppo del nostro paese. Auguro quindi a tutti gli intervenuti un proficuo lavoro. On. Agazio Loiero. Questa tavola rotonda tratta di temi che toccano la sensibilit di chi, come me, fa informazione. Perci, non mi limiter a fare il vigile urbano del dibattito, ma mi conceder un'introduzione che, spero, proponga motivi di riflessione. Vorrei partire proprio dagli avvenimenti della Calabria e metterli in relazione con altre tre notizie, apparentemente molto distanti dai primi, poich investono la sfera politico-economica. La prima riguarda la notizia, anticipata oggi dalle agenzie di stampa, e relativa ad alcune misure che introducono mutamenti nell'assetto della Legge Finanziaria, garantendo uno trasferimento di maggiori risorse ai Comuni. Proprio le autonomie municipali, come tutti sapete, si sono lamentate, e qualche volta hanno protestato vivacemente perch i tagli degli ultimi anni - e quelli che si paventavano adesso - avrebbero penalizzato alcuni settori della loro attivit amministrativa sul territorio. Ora si parla di spostamento di alcune risorse ai Comuni e di maggiori tagli alle Regioni. E' un'ipotesi, per ora. La seconda notizia riguarda la devolutione che, domani, dovrebbe essere varata. La terza legata alle grandi differenze, in termini di sviluppo, benessere, legalit e sicurezza, che esistono tra le diverse aree del Paese. Quando noi facciamo la cronaca di singoli fatti o l'analisi giornalistica dei fenomeni ad essi connessi, riassumiamo queste emergenze territoriali e sociali con la definizione generica di zone fuori controllo, e parliamo naturalmente di controllo dello Stato. Poich in queste aree la presenza di consistenti entit criminali condiziona lo sviluppo, la vita pubblica, la corretta amministrazione. Spesso le sintesi giornalistiche e le analisi sociologiche, per esatte e oggettive che siano, non colgono a pieno la condizione di chi in queste zone vive e concretamente opera, gli operatori economici, le amministrazioni. Perch si tratta di condizioni diverse da quelle che normalmente assumiamo come normali. Diverse e difficilmente rappresentabili a chi non le conosca. Per quello che comportano, in termini di impegno individuale e di sfida. Sfida che qualche volta si paga con la vita. E che comunque, anche quando si rivela un successo amministrativo o imprenditoriale, deve affrontare ostacoli inimmaginabili in qualunque altra zona d'Italia. Tutto ci non un problema secondario per questo Paese, se si considera che il Mezzogiorno , o almeno dovrebbe essere, non solo un'emergenza da sanare o da riequilibrare, ma un'occasione di sviluppo. E tuttavia sappiamo che quest'area vasta, piena di potenzialit, spesso penalizzata dalle condizioni particolari che ho descritto e, da

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ultimo, dalla gestione del credito, anch'essa non immune dai condizionamenti e dalle pressioni che gravano sull'attivit amministrativa. Gli imprenditori onesti vivono condizioni difficili, in tutti gli ambiti in cui si esplica la loro attivit e, tra questi, la stessa libert d'impresa e di concorrenza. Non la stessa cosa fare l'imprenditore in Calabria, o in provincia di Napoli, e farlo in Lombardia o in Emilia Romagna. Non la stessa cosa confrontarsi con un mercato illegale di amplissime proporzioni e, comunque, con il lavoro nero, che una costante di questo territorio. Noi guardiamo sempre al lavoro nero - anche da un punto di vista, per cos dire, giornalistico - come a un fenomeno che ha pochi contatti con l'economia. E' invece un problema centrale, perch se si lavora senza regole e c' chi non paga i contributi e chi li paga, chi paga le tasse e chi non le paga, si snaturano le regole del mercato. E la stessa sperequazione la cogli sul credito. Non la stessa cosa finanziare una nuova impresa in Liguria o nelle Marche e finanziarla in alcune zone della Puglia. Credo di conoscere bene il Sud, e so quanta difficolt hanno gli imprenditori onesti. Anche per finanziare un investimento capace di rivelarsi un successo. Non hanno torto molti di coloro che si dimostrano ipercritici nei confronti della gestione del denaro pubblico, delle sovvenzioni statali, dei flussi di contributi che sono arrivati al Sud negli ultimi decenni di storia repubblicana. Ci sono stati sperperi. Le risorse sono state spesso usate per coprire la spesa corrente e per tappare i buchi e non, invece, per alimentare una linea di sviluppo. Per, oltre a guardare al passato, a un certo punto bisogner pure porre mano, mettere un punto e magari ricominciare in una direzione diversa. Ma qual questa direzione? Convegni come questo sono importanti per riflettere sul punto da cui si pu, si deve ricominciare. Ma per farlo, bisogna avere un quadro rigoroso di ci che accaduto. Come quello che ci offre questo interessantissimo studio di Banca Intesa, a proposito dei flussi di denaro. Se non l'avete letto, fatelo. Mi piacerebbe - e qui faccio autocritica - che questi dati fossero conosciuti dai giornalisti che scrivono di materie apparentemente estranee all'economia, eppure cos contigue e ricche di intersezioni con questa. Penso, per fare un esempio, ai cronistri politici, i quali si occupano di devolution, di federalismo. E' in questi ambiti che ritornano luoghi comuni sui vagoni di denaro giunti al Sud, solo o quasi esclusivamente al Sud, mentre al Nord non sarebbero arrivati in misura corrispondente. Se si leggono questi dati, ci si accorge che invece le cose sono andate in maniera diversa: gli investimenti nel Mezzogiorno sono stati il 70% di quelli piovuti sul Nord. Perch Perch al Nord c'erano maggiori occasioni, possibilit di creare infrastrutture, volani per lo sviluppo. E' anche vero che al Sud arrivata comunque una quantit infinita di denaro. Ma servita, in gran parte, per ripianare debiti e coprire sperperi. Allora il problema e la sua soluzione hanno una rappresentazione semantica diversa: non pochi denari, ma quanti denari e per che cosa. E qui si apre il confronto su come mettere insieme e far dialogare i tre soggetti dai quali lo sviluppo non pu prescindere. Il primo il soggetto pubblico, con le sue varie articolazioni e con il policentrismo decisionale disegnato dalla devolution e dal passaggio alle amministrazioni locali di molte delle competenze, anche in termini di raccolta e di spesa. E' un pubblico diverso rispetto a una rappresentazione tradizionale e centralista. E impone ragionamenti diversi rispetto a quelli che abbiamo fatto negli ultimi 50 anni. Non si pu pi concepire il dialogo con il pubblico come vecchia e assistenziale richiesta di aiuti allo Stato. Il secondo soggetto quello bancario: la politica del credito si deve far carico di queste profonde differenze tra aree diverse del Paese. Occorre ripensare una strategia nuova se si vuole ricominciare ad essere fattore di sviluppo.

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Ma neanche il mondo dell'impresa pu chiamarsi fuori. Nelle sue articolazioni centrali e soprattutto locali. Deve pretendere di essere protagonista. E a questo punto devo dire che qui manca, secondo me, un convitato. Avrei visto benissimo in questo dibattito un rappresentante del mondo sindacale. Lo avrei chiamato a interrogarsi su quante resistenze, quante remore il sindacato ha posto spesso quando un nuovo processo di sviluppo poteva aprirsi sulle ceneri di una crisi o su un'idea imprenditoriale valida, ma bisognosa di aperture di credito. Allora io penso che occasioni come questa servono per riaprire il dibattito sul Mezzogiorno, ma in modo rigorosa, non strumentale. Si avvicinano le elezioni. Sapete quante chiacchiere sentiremo? Il Mezzogiorno, la priorit del Mezzogiorno, i fondi glieli abbiamo dati, non glieli abbiamo dati. Nel dibattito e nel confronto politico le schermaglie dialettiche non si contano. Ma noi sappiamo che ci sono regioni, situazioni che non possono aspettare la conclusione di contese politiche estenuanti e inconcludenti. Chi deve operare, si deve rimboccare le maniche. Forte di una condivisione su alcuni punti fermi: a) qual il problema; b) quali sono le regole con le quali affrontarlo. c) chi sono i protagonisti di questo nuovo processo. In parole semplici chi ci sta e chi non ci sta. Forse da conduttore della tavola rotonda mi sono spinto troppo oltre i miei compiti. Perch avverto questi problemi non solo come attore dell'informazione, ma soprattutto come cittadino e come uomo del Sud che vive questa differenza, questo Paese spaccato a met, come un dramma. Con la coscienza che si tratta di un quoziente sprecato dell'Italia. Se riusciamo a mettere a fuoco e a trovare una condivisione sui tre punti che ho qui indicato, sono convinto che si possa vedere una luce. Non mi nascondo che il processo lungo e che, forse, le cose che emergono sono una piccola parte del magma dei problemi esistenti. Ho parlato fin qui del Sud, ma che ci sono anche altre zone d'Italia dove il problema dello sviluppo un'emergenza condivisa. Magari l non c' l'assedio della criminalit, almeno nelle forme cos clamorose. Ma poi si scopre che spesso, in altro modo, le regole della legalit e del mercato sono violate, forzate. Da concentrazioni ambigue, da un deficit di concorrenza. E allora la sfida riguarda il Paese intero, le sue classi dirigenti. Che devono interrogarsi e decidere se possono, se vogliono continuare ad essere i protagonisti dello sviluppo. Se ci stanno oppure no a ripensare tutti insieme un nuovo progetto, una ripartenza, sottraendosi agli slogan e alle chiacchiere, e confrontandosi sulla sostanza dei problemi. Poi, s, arriver il momento delle elezioni e ci saranno i cittadini a dire: m'ha convinto, non m'ha convinto. Ma la cosa peggiore che possa capitare per tutti scegliere di non scegliere. Scegliere di non farsi carico dei problemi e di mediare su tutto. No, ci sono alcune soluzioni necessarie, ci sono alcune iniziative indispensabili. E' questo il momento, se vero ci che dicono alcuni indicatori: forse per la nostra economia si sta per presentare un'occasione di ripartenza. Ci agganciamo, non ci agganciamo all'Europa? Forse s. Abbiamo alcune difficolt maggiori, noi italiani, per via del nostro debito. E per, se si apre di nuovo questa porta e non la imbocchiamo, quando la ritroveremo aperta? Questo un paese ricco. Non ricco in termini monetari, ma ricco di risorse, ricco di inventiva, ricco di possibilit. E' un Paese forse migliore delle sue stesse rappresentazioni. Bisogna che ci facciamo carico, tutti, ci metto anche la stampa, della possibilit che questo Paese diventi migliore. Ci dobbiamo far carico della speranza. Su questo insisto molto.

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Lo faccio di pi da quando sono diventato nonno. Vedo i miei nipoti crescere e mi chiedo: sto facendo tutto il possibile perch il paese che troveranno sia migliore di quello nel quale stiamo vivendo? E' un interrogativo banale, da cittadino comune. Ma stiamo facendo tutto? No. Abbiamo qualche idea per fare di pi? S. Ci vogliamo mettere intorno a un tavolo ideale per decidere se quel percorso pu fortificare questa speranza? Questo banalmente ci che penso leggendo tutti i numeri di questa relazione, tra l'altro straordinariamente efficace: perch i numeri poi bisogna tradurli in comportamenti, in sentimenti. Vorrei dire che ai numeri bisogna dare un'anima. E l'anima credo che consista in questo quesito: come possiamo, partendo da questi numeri, alimentare la speranza? E' la domanda che, credo, riassuma il senso della mia introduzione e su cui vorrei che questa tavola rotonda si confrontasse.

Antonio Catrical
Mi pare che nella Sua introduzione Lei abbia trattato tre temi che sono di grande interesse per l'Antitrust e poi ha disegnato uno scenario, perch c' sullo sfondo questo evento: le elezioni politiche generali di aprile. I tre temi di interesse sono: la finanziaria, la devolution e la diversit Nord-Sud. Tutti e tre temi che vengono dibattuti dal collegio dell'Autorit, anzi, proprio oggi abbiamo parlato della legge finanziaria. Essa conteneva una norma - la tassa sul tubo - che non piaciuta all'Autorit. Peraltro, il Ministro dell'economia si subito dichiarato disponibile a cambiarla o addirittura ad eliminarla, senza compensazioni, il che ci lascia ben sperare, perch effettivamente una tassa sulle reti una tassa che impedisce la crescita delle reti e se le reti non crescono, non possono crescere neanche gli operatori che si servono delle reti. In particolare questo vale per l'energia, sia per l'energia elettrica, sia per il gas e voi sapete quanto il peso dell'energia costituisca un'incidenza troppo forte ed onerosa per far s che i nostri distretti industriali, ma anche le nostre grandi industrie, possano competere anche con i pi diretti vicini, non dico con le economie emergenti della Cina e dell'India. Quindi, sembra che sia venuto meno questo pericolo. Avremmo potuto concentrarci sulla Banca del Sud e sulla Poison Pil, per francamente abbiamo pensato che conveniva in questa fase soprassedere ad entrambe le questioni. Alla Banca del Sud per quello che sta accadendo, per i fatti cos gravi che vedono questo Sud cos penalizzato; e poi forse abbiamo pensato che non c'era un effetto anticoncorrenziale cos forte, se si tratta di dare credito ad imprese che difficilmente otterrebbero credito secondo le normali regole. Sulla Poison Pil in realt la parola stessa non ci piace: una pillola avvelenata, la traduzione questa. E' una forma di golden share, per alla fine quando noi abbiamo trattato il tema di Terna, che aveva un problema di conflitto di interessi in chi l'acquistava cio la Cassa Depositi e Prestiti, che anche proprietaria di un ingente volume, il 10%, delle azioni dell'Enel -, abbiamo pensato che effettivamente ordinare la vendita di questo 10% poteva anche significare che lo Stato avrebbe alla fine potuto perdere il controllo di una importantissima centrale anche di potere, dal punto di vista politico, economico e sociale. Per, il nostro mestiere ci induceva a ritenere che questa variabile non doveva entrare nei nostri pensieri e allora abbiamo ordinato lo stesso, in un periodo congruo di tempo, la dismissione. In realt, se ci fosse stata una norma come questa, l'avremmo fatto pi a cuor leggero, perch probabilmente diventava pi difficile da parte di qualche operatore particolarmente aggressivo prendere il sopravvento sul Governo e sullo Stato, fino a che il

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Governo non avesse invece autonomamente deciso di dismettere e di privatizzare completamente, scelta che vede sempre l'Autorit molto favorevole. Allora abbiamo deciso di soprassedere a questa segnalazione, anche perch abbiamo pensato che poi alla fine la finanziaria dovesse essere ancora vista nel suo complesso. La finanziaria infatti composta del testo che viene mandato in Parlamento, ma composta anche di un maxi emendamento che ormai da tre anni viene confezionato nelle sedi governative e che si presenta poi in Parlamento per l'approvazione. Quindi sulla finanziaria molte delle considerazioni che lei faceva, hanno pesato oggi nel Collegio per dire: soprassediamo, non il momento. C' stato anche un pensiero da parte nostra di non essere i pi cattivi tra tutte le 25 Autorit che sono presenti nell'Unione Europea. Questo perch, mentre noi stiamo facendo una politica estremamente liberista e concorrenziale, senza guardare in faccia a nessuno, per la verit in Francia e in Spagna non assistiamo ad analoghi comportamenti e questo non pu che preoccuparci abbastanza, soprattutto perch questi comportamenti operano proprio in un settore importante come quello dell'energia, dove in Francia assistiamo alla nascita di un nuovo campione nazionale che vede un operatore tutto spagnolo, con l'unione di Gas Naturale con Endesa. Endesa poi sar ripartita a met da Gas Naturale e met Iberdola, ma comunque con un rafforzamento di queste posizioni gi fortissime tanto da rendere non pi aggredibile il mercato spagnolo, ma senza neanche alcun effetto concorrenziale per l'Italia. Lei ha parlato di devolution. Altro tema che interessa molto l'Autorit, perch pu venire qualsiasi forma di devolution, di decentramento, la questione non ci riguarda, ma quello che interessa l'Autorit che anche sui settori che sono particolarmente rilevanti per la concorrenza, la devolution non debba portare a nuovi protezionismi nazionali o locali o regionali. Quello che bisogna fare certamente tagliare, recidere con le forbici quel filo che unisce il potere politico locale con i servizi pubblici locali, perch finora questo potere ha impedito una reale liberalizzazione, un miglioramento di questi servizi. Non parliamo del servizio della nettezza urbana, del servizio dell'illuminazione, dei servizi cimiteriali ecc., ma mi limito semplicemente al pubblico trasporto locale dove stiamo facendo un'indagine conoscitiva e appena abbiamo scoperto questa pentola, abbiamo sentito un cattivo odore che viene da lontano e quindi stiamo cercando di operare per il meglio, ma con tutta una serie di difficolt. Se al potere amministrativo si aggiunge anche un potere regolatorio e normativo molto accentuato e non si spezza questo legame, indubbiamente l'Autorit avr grande difficolt a far passare la cultura della concorrenza in questi settori, che invece sono rilevantissimi per la nostra economia e per la nostra vita sociale. Poi lei Direttore ha parlato del terzo punto importante: la diversit Nord-Sud. Una diversit forte, che oggi sembra incolmabile, forse lo , e del resto non c' Nord senza Sud, non c' Sud senza Nord, normale, nella natura delle cose che ci sia chi va avanti e chi resta indietro. Per nei limiti del possibile, questo gap deve essere in qualche modo ravvicinato, bisogna accorciare le distanze. Ora, laddove lo Stato ha investito bene al Sud, ed ha investito con intelligenza, i frutti ci sono stati, non che non ci sono stati. Io faccio solo un esempio: il polo tecnologico di Catania, che un gioiello, qualcosa che funziona benissimo, stato fatto con l'intervento pubblico, i privati sono venuti dopo. Quel polo mi ricorda molto Torino wireless, cio quell'altro polo tecnologico che sta a Torino, che stato fatto con l'intervento pubblico perch la Regione, la Fondazione, la Provincia, il Comune, le due Casse di Risparmio e poi qualche altra banca, non mi ricordo se c'era proprio Banca Intesa (non vorrei dire una cosa sbagliata sulle banche), per sostanzialmente la parte grossa di Torino wireless era costituita da interventi pubblici. E da questo si sviluppato un nuovo modello che un modello diverso dai nostri distretti industriali, perch i distretti industriali, che sono la nostra forza economica, hanno per una limitazione territoriale molto evidente, che anche un po' la loro debolezza,

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perch non hanno una capacit espansiva e non hanno la capacit di mettersi in rete fra di loro, vista anche la diversit delle nostre produzioni. Mentre invece sarebbe preferibile se fossero un po' pi ampi, quattro o cinque volte la loro attuale estensione , come sono i sistemi territoriali basati sui parchi tecnologici. I distretti industriali, quelli Istat sono 199, invece i nostri sistemi di parco tecnologico sono 22, e sempre per la diversit, stanno quasi tutti al Nord, solo 5 stanno al Sud. Quindi vuol dire che c' una grande differenza anche in questo, per il sistema consente di fare squadra, di fare massa critica, di fare acquisti insieme, di abbassare i costi, di avere economie di scala. Se si investisse ancora al Sud in poli tecnologici, in parchi scientifici, che non siano delle cattedrali nel deserto, ma legati a realt locali come quella di Catania, noi potremmo avere nuovi esempi e da 22 arrivare a 30 sistemi locali e questi otto in pi dovrebbero essere tutti localizzati al Sud. E, secondo me, si pu fare, c' spazio per farlo. Poi lei diceva ci sono le elezioni. Io vorrei aggiungere una cosa. Alcuni obiettivi bisogna raggiungerli al pi presto. Io sentivo sempre dire che l'Italia a un passo dal baratro, un metro, mezzo metro, poi quando mi sono messo a studiare bene la questione, come diceva lei, Direttore, ho trovato che l'Italia un paese ricco. Non c' mezzo metro, ci stanno miglia marine dal baratro, per l'economia va veloce, i nostri concorrenti sono veloci e quindi queste miglia marine possono essere percorse inutilmente o in maniera proficua. Per percorrerle in maniera proficua, su alcune cose sono tutti d'accordo, su alcune piccole riforme: la riforma dei servizi assicurativi, la riforma delle professioni, gli aggiustamenti dei distretti, la politica di maggiore concorrenza, che sono poi a tutti note che servono a rendere pi competitivo il nostro sistema, tutto il sistema paese. Se su questi punti, dove sono tutti d'accordo, che per poi sono punti dolorosi da attuare, ci si mettesse d'accordo prima delle elezioni, chiunque vinca questi quattro obiettivi li raggiunger. Perch poi chi governa avr difficolt a raggiungerli, in quanto mi rendo conto che gli ordini professionali reagiranno e con forza. Sono effettivamente delle realt di cui bisogna tener conto, sia nel paese, sia nel Parlamento. Ma se l'accordo si facesse prima, poi chi governa sarebbe tenuto a farlo e chi all'opposizione sarebbe tenuto a non opporsi. Allora, se i responsabili economici dei partiti si mettessero intorno a un tavolo per dire: chiunque vinca le elezioni, queste quattro cose le faremo, penso che l'Italia avrebbe da guadagnare immediatamente per sfruttare quel periodo che si chiama il viaggio di nozze del Presidente del Consiglio, quando nei primi sei mesi pu fare quello che vuole, perch il paese tutto con lui. Poi cominciano i contrasti e le critiche. Ma in sei mesi, chi vince le elezioni, se c' un accordo prima, pu realizzare queste quattro, cinque cose che sono molto necessarie per la nostra economia, per il rilancio della nostra competitivit. Non dico altro per ora sperando che poi ella mi dar un'altra occasione.

Paolo Gambescia
Vorrei porre subito all'ingegner Vito Gamberale il tema delle infrastrutture. Si dice comunemente che senza infrastrutture il Paese non cresce, facendo riferimento non solo alle infrastrutture classiche, come sono le autostrade, ma anche a quelle che riguardano l'economia dei servizi e perfino a quelle immateriali che sono pilastri nel back ground culturale di una nazione. Perch c' tanta difficolt a rendere omogeneo questo Paese rispetto alla qualit delle infrastrutture? Perch lo sviluppo delle infrastrutture incontra difficolt che nascono da condizionamenti localistici? Perch la progettualit in alcune zone pi facile che diventi realt e in altri invece naufraga tra mille vincoli e ostilit? Perch alla fine questo Paese cos diseguale?

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Vito Gamberale
La ringrazio per avermi fatto una domanda circoscritta al mio ambito professionale, perch mi consente di rispondere in una maniera in cui mi posso sentire meno impreparato, E mi fa piacere che la domanda sia posta in maniera cos chiara: perch c' difficolt a rendere omogeneo il paese? Io penso che ci dobbiamo chiedere quanto il paese sia disomogeneo al proprio interno e quanto il paese sia disomogeneo rispetto all'Europa. Perch poi parliamo di Europa, per in effetti ce la dimentichiamo. Allora, solo in termini autostradali, per esempio, l'Italia ha una media di 113 km per autostrade per milione di abitanti. La media europea 177. Significa cio che in Europa ci sono 64 km di autostrade in pi per milione di abitante; significa che l'Italia deve fare 4 mila km di autostrade per colmare il deficit e stare alla media. Se poi andiamo a vedere la best practice, come si usa dire, che la Spagna con 228 Km per milione di abitanti, l'Italia dovrebbe raddoppiare. Ne ha 6 mila e ne dovrebbe fare 12 mila ovvero altri seimila per arrivare a 12 mila. Ci dobbiamo chiedere perch si creato questo gap in Europa prima di tutto. Io penso che tra le poche colpe che i governi di centro-sinistra hanno avuto, mi permetto di dire, ce ne sono due molto chiare: nel '75 avere varato una legge che vietava di fare le autostrade e poi negli anni ottanta aver condannato l'energia nucleare. Per, per rimanere nel campo che mi compete, nel '75 fu varata una legge che vietava le autostrade. E' equivalso, a livello di cultura del paese, a ci che port l'avvento del khomeinismo in Iran quando disse che tutte le donne dovevano andare col chador. Perch poi sono passati trenta anni e questa legge non stata rimossa, stata rimossa solo recentemente. Allora in un paese dove per trenta anni vige la legge che vieta la costruzione di autostrade, si crea la convinzione collettiva che fare le infrastrutture - di cui le autostrade sono un aspetto, per sono l'aspetto pi visibile, pi vistoso - significa dire che le infrastrutture sono una violenza al territorio e che il territorio non pu assolutamente sopportare questa violenza. In trenta anni si costruisce una classe dirigente che oggi al governo del territorio, perch oggi al governo del territorio ci sono per la maggior parte quelli che vanno dai trenta ai cinquanta anni, quindi c' chi allora aveva venti anni e chi allora era nato. Tutte queste generazioni sono state alimentate dal concetto che le infrastrutture rappresentano la violenza al territorio. Questo ha reso veramente complesso e difficile fare le infrastrutture. Prima si faceva l'esempio della Francia e della Spagna, ora io capisco che forse dire che 120 sono le infrastrutture, quando uno ha acquisito un aspetto fisico da carestia, dire che 120 sono le infrastrutture necessarie forse troppo. Dobbiamo dire le prioritarie. Ma sulle prioritarie bisogna creare, a livello di istituzioni centrali, una logica per cui le decide il centro e il territorio le fa fare. Ora, per un governo quasi facile dire bisogna fare quelle infrastrutture, poi quando si va a livello regionale la Regione condivide queste priorit, per quando si va sul Comune, il Comune ha difficolt. Ma ha difficolt obiettive perch poi sono tanti gli interessi, per cui sono contro. In Francia e in Spagna, quando si decide un'opera prioritaria, al territorio non gliela fanno nemmeno sapere. Gliela fanno. Poi compensano localmente. Quindi, il primo problema avere il coraggio di dire che le opere prioritarie vanno fatte e vanno fatte in tempi rapidi, per essere competitivi. Si parla di competitivit: in Spagna, ad esempio, a Madrid hanno fatto una metropolitana che corre perifericamente alla citt come il raccordo anulare corre attorno a Roma, 63 Km di metropolitana, 23 stazioni. L'hanno fatta in quattro anni. Saremo capaci con la legislazione italiana di fare in quattro anni una metropolitana di 63 Km? Assolutamente no. Perch le infrastrutture creano quotidianamente il confronto di competitivit con gli altri paesi. Allora c' da superare questo problema. Poi, qual la difficolt di esecuzione? C' senz'altro la mancanza di risorse pubbliche, perch un altro concetto venuto fuori, che mentre prima i governi investivano in opere pubbli-

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che, adesso i governi non hanno le risorse per investire in opere pubbliche. Quindi bisogna coinvolgere i privati per farli investire in opere pubbliche. E questo stato fatto, sono state privatizzate delle infrastrutture e si sono create le condizioni, in queste societ, per potere avviare dei giganteschi programmi di investimento, per poi ci si pentiti di aver fatto queste privatizzazioni, come se questa massa, questa energia investitoria che si sviluppata, fosse stata un qualche cosa che miracolosamente si sviluppato, che poteva essere sviluppato nel campo pubblico e che invece andato a finire nel campo privato. In campo pubblico non si sarebbe mai sviluppata. In campo privato si sviluppata, stata messa in campo. Allora come si fanno le opere? Si possono modernizzare le esistenti, realizzarne di nuove o candidarsi a ulteriori privatizzazioni. Ammodernare le esistenti. Noi abbiamo un programma di 11 miliardi di euro di investimento, abbiamo i soldi, ma lo dico senza arroganza, lo dico proprio per dire la realt, abbiamo i soldi, abbiamo difficolt a poter fare queste opere perch di sicuro la velocit di realizzazione delle opere senz'altro nettamente inferiore a ci che la progettualit pronta pu consentire, a ci che la finanza disponibile pu finanziare. Ne dobbiamo eseguire di nuove, perch abbiamo detto che c' un gap. Abbiamo presentato cinque project financing, di cui tre con Banca Intesa. Il paese deve anche capire che cos' un project financing. Un project financing, perch lo si pronuncia all'inglese, allora significa che c' finanza disponibile per qual si voglia cosa. Un project financing un vestito di cui chi si assunta la responsabilit di realizzarlo, i soci e le banche, hanno tarato le dimensioni. Ma il vestito deve essere quello, perch poi questo vestito si deve reggere sui quattro pilastri del costo, delle tariffe e del traffico e dell'eventuale limitato contributo. Se all'improvviso poi chi deve dare le autorizzazioni, uno di questi quattro pilastri, che sono come quattro gambe di un tavolo, dice: no, guarda, questa gamba si deve raddoppiare perch l'investimento non pi 700, ma 1400, il tavolo cade, perch gli altri tre non stanno in equilibrio. E l'opera non si fa. Sto parlando, tanto per essere chiari, di Brebemi, sto parlando della TEM, sto parlando della Pedemontana Lombarda, sto parlando della Pedemontana Veneta, faccio esempi concreti. Ultima cosa, candidarsi a privatizzazioni e qui vengo in parte al Sud. La Salerno-Reggio Calabria. Racconto una storia reale. Autostrade stata privatizzata nei primi mesi del 2000, quindi fino al 2001 c' stato un governo di centro-sinistra e poi un governo di centro-destra. Con entrambe i governi ci siamo candidati a partecipare alla privatizzazione della Salerno-Reggio Calabria. Nessuno ci ha risposto. E' sembrato che sia all'uno che all'altro dessimo fastidio, tant' che poi noi con quei progetti e quei programmi che volevamo fare, abbiamo sviluppato enormemente l'azienda e abbiamo creato le condizioni finanziarie per poterli realizzare sulla nostra rete. Mi permetta, Direttore, di concludere con ultime due considerazioni. Questo paese ha bisogno anche di benedire il profitto, perch il profitto visto come un peccato e io penso che alla base dell'evasione fiscale ci sia anche il concetto che il paese concepisce il profitto come un peccato. Perch le aziende che fanno profitto in questo paese vengono guardate male. Viene guardato bene chi sta male, chi ha bisogno di aiuto, chi sgangherato e ha bisogno di essere tenuto in piedi, ma chi fa profitto e ne pu fare di pi viene guardato male. In Italia c' stata negli ultimi anni - e spero sia finita perch quelle due battute che ha fatto il presidente dell'Antitrust mi fanno sperare benissimo - la criminalizzazione delle grandi imprese, perch la grande impresa stata vista come un mostro che ostacolava gli altri, che occludeva gli altri. Si parlato di conflitti di interesse impropriamente, si parlato di posizione dominante impropriamente. Si inteso il concetto della liberalizzazione in maniera stolta, perch si inteso che la liberalizzazione significava fare a fette le grandi imprese italiane, mentre all'estero c'era in corso un grande programma di con-

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centrazione di grosse imprese e il Presidente dell'Antitrust, prima, ci ha ricordato ci che sta accadendo in Spagna e in Francia. Quindi, per fare le infrastrutture che cosa serve? Prima di tutto volerle fare e far capire che le infrastrutture non sono la violenza al territorio. Poi c' da supplire alla finanza pubblica dando spazio alle sane risorse private e poi c' da dire che tutto questo pu farlo solamente chi fa profitto e chi fa profitto, fa etica, non fa peccato. Perch il profitto uno dei valori attorno a cui un paese pu crescere e che la grande impresa un bisogno del paese, perch il concetto, il sinonimo di piccolo bello, lo slogan di piccolo bello con cui siamo vissuti, uno dei pi banali e stolti perch piccolo bello. Un'economia fatta di piccoli, un'economia nana. Il piccolo ha ragione di esistere solamente a fianco del grande. Perch al fianco del grande viene alimentato, ma senza il grande rimane piccolo e rimane nano. Quindi penso che bisogna diffondere, oltre al valore delle infrastrutture, il valore del profitto e dei grandi gruppi, di cui il paese dovrebbe cominciare a essere orgoglioso. Grazie.

Paolo Gambescia
Credo che nell'ultima parte della sua risposta, quando Gamberale dice ci vuole il grande e accanto ci vogliono i piccoli, ci sia un primo spunto di riflessione. Piccolo bello non , a mio avviso, uno slogan ideologico in s, dipende in che contesto quest'affermazione si colloca. E' vero che spesso il piccolo muore per asfissia, e in tal caso l'inventiva, la qualit non riescono ad emergere. Ma c' un' altra indicazione che l'intervento di Gamberale offre a questa tavola rotonda, quando egli sostiene che non si va da nessuna parte se, progetti finanziabili e finanziati, sui quali in linea di massima si d'accordo, si bloccano perch ci sono piccole resistenze locali. Mi chiedo tuttavia se queste resistenze non siano alimentate da una sfiducia collettiva dei cittadini sulla sorte che il denaro destinato ai finanziamenti pubblci ha avuto in passato. E se questa sfiducia - di natura psicologica - non si traduca anche in ostacoli amministrativi. E' vero, c' tra gli ostacoli allo sviluppo delle infrastrutture un ecologismo col paraocchi. Per esso si alimenta con un dubbio collettivo non del tutto infondato che si riassume nelle seguente domanda: e poi facciamo delle cose che chi sa a chi servono e chi sa quali sono gli interessi che ci sono dietro. Di fronte a questo modo di ragionare dobbiamo chiederci: si tratta solo di dietrologia a buon mercato? Eppure, se lo stesso Catricala nel suo ragionamento riconosce che tutto lo Stato, le sue strutture si devono muovere nella direzione giusta per rassicurare i cittadini che si pu fare senza sperperi, senza tangenti e senza violare le regole, non vuol dire che su alcune questioni giusto che le popolazioni dicano la loro? Oppure, come dice Gamberale, lo Stato decide e poi... E' per chiaro che molte resistenze delle popolazioni nascono dal fatto che l'esperienza ha dimostrato che non sempre si fatto quello che era prioritario e quello che era giusto. Allora, sviluppiamo queste sollecitazioni con Corrado Passera.

Corrado Passera
Su questo tema Le rispondo subito. Vorrei per anche riprendere il Suo ragionamento iniziale, che quanto mai stimolante per cercare di rispondere ai quesiti posti. Per ognuno dei problemi che ha posto che fare concretamente?

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Ma parliamo prima delle resistenze. Le resistenze - l'ha detto Lei - certe volte sono giustificate, certe volte no. Per attenzione: dato il numero di opere urgenti che dobbiamo realizzare, se chiunque pu bloccarle, dobbiamo sapere fin d'ora che non le realizzeremo mai. E' giusto chiarire le regole, giusto definire i parametri, giusto coinvolgere il pi possibile. Per attenzione: se accettiamo la regola che i termovalorizzatori vanno fatti, certo, ma a patto che non siano nel mio comune, finita! Dopodich non possiamo sorprenderci se abbiamo ancora le discariche gestite dalla camorra o i treni che vanno verso il Brennero carichi di immondizia! Sul fatto che le opere importanti una volta decise, debbano poi essere realizzate, ha ragione Gamberale. L'errore metodologico di fondo forse deriva dal fatto che siccome le singole specifiche decisioni non sono inserite in un quadro complessivo condiviso come diceva Catrical - dove urgenze, priorit, alternative, sacrifici e benefici siano appunto condivisi e chiariti, ognuno si sente come l'unico che deve fare sacrifici e allora la reazione automatica: il sacrificio lo faccia un altro!. Manca cio il ruolo della grande politica che crea consenso intorno a un programma di scelte e decisioni anche difficili ma complessivamente convincenti ed eque. Siamo in una situazione, come ha detto anche Lei, non disperata, tutt'altro. L'Italia un paese dove potenzialmente c' tutto: capitali, cultura, imprenditorialit, tecnologie, per dove il sistema va sfilacciandosi. Si sfilaccia perch probabilmente non stiamo facendo abbastanza, ma soprattutto non abbiamo sviluppato una visione condivisa nella quale ci riconosciamo sia sul tipo di societ che auspichiamo, sia sui modi in cui vogliamo giocarcela a livello mondo. Quasi tutti gli altri Paesi a noi paragonabili hanno definito una strategia per cavalcare la globalizzazione: noi no. Se vogliamo una societ che assicuri l'acqua a tutti - e oggi non cos - dovremo costruire gli acquedotti. Se l'ecologia non un'opinione, dovremo sostituire le discariche con i termovalorizzatori. Ogni quanti abitanti ce ne vuole uno? Un milione? In ogni provincia se ne dovr costruire uno e se entro un certo periodo non sar fatto, si mander un commissario e lo si far in quel modo. Questa sicuramente non di per s la soluzione per tutto, ma se questo fosse il metodo prescelto aiuterebbe molto. Noi stiamo andando nella direzione opposta! Mi collego al Suo riferimento alla devolution, alla differenza e alla divaricazione fra territori. Come Italia siamo un pezzo di un pi vasto sistema continentale - la UE - che deve competere a livello mondo con regioni altrettanto o ancora di pi grandi e agguerrite. Noi in Italia cosa stiamo facendo? Ci inventiamo la competizione fra regioni! Invece di fare economia di scala e di scopo, ogni regione si fa la sua sanit? 20 sistemi sanitari? Ma stiamo scherzando? Dobbiamo fare le autostrade che si inseriscano in corridoi continentali e spacchiamo il processo decisionale in mille fasi, per cui ciascuno dei cinque livelli, dall'Europa al Comune attraverso Stato Regione e Provincia, e ciascuno dei livelli decisionali orizzontali - il famoso concerto tra ministeri - pu creare un problema e bloccare tutto. Tanto vale decidere fin da subito che da noi le grandi opere non si faranno e infatti il Paese da questo punto di vista si sta fermando o comunque sta accumulando enormi ritardi. Questo non vuol dire che vogliamo ritornare ad accentramenti o a dirigismi superati o antistorici, per dobbiamo prendere atto che l'enorme potenziale che pu venire dal decentramento sta invece diventando - a causa del modo in cui realizzato - un enorme rischio di impaludamento: se tutti si occupano di tutto, se nessuno alla fine risponde di nulla, si crea una matrice decisionale impazzita dove chiunque pu dire senza rischio di sanzione: fermi tutti e quindi ... siamo sempre fermi! Quello dei processi decisionali un tema molto importante: se andiamo a cercare le ragioni per cui l'Italia riceve cos pochi investimenti diretti esteri ci accorgiamo che non ci viene imputato un costo del lavoro pi alto di quello della Francia, o una rigidit superiore a quella della Germania. La ragione che viene addotta per preferire altre destinazioni spesso proprio la palude decisionale, dove l'impresa che vorrebbe venire a inve-

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stire in Italia non sa con chi deve parlare, non sa chi e quando decider. Se poi ci aggiungiamo il tema della criminalit, almeno due punti dell'agenda li abbiamo individuati. Non che possiamo dire: c' la criminalit e prenderne semplicemente atto! Noi la dobbiamo estirpare! Ma chi che andr a investire in un posto dove si ammazzano giudici, politici e imprenditori che non pagano il pizzo? Con tutto il mondo che offre aree industriali attrezzate e sicure, incentivi semplici da richiedere, tu vai a investire in un posto cos lontano dallo stato di diritto? Tutti noi - credo - vogliamo sapere da entrambe le coalizioni che cosa propongono su questo tema, perch se ne parla da troppo tempo e i risultati sono troppo modesti malgrado il fatto che - notoriamente - come capacit di contrasto della malavita ci siamo dimostrati in molti casi pi bravi di altri Paesi. Stiamo dando abbastanza risorse alla Magistratura, alle forze di Polizia, a chi deve rappresentare la legge e lo Stato nelle regioni a rischio? Oppure accettiamo la situazione attuale come inevitabile? Non chiediamoci per allora perch non arrivano gli investimenti esteri! Ci chiedeva cose da fare: potenziare la lotta alla criminalit una di queste. Veniamo al tema del credito e al Sud. Non accetto pi di sentir parlare di Sud in maniera generica, perch il Sud non esiste, come non esiste il Nord: il Sud fatto di tantissime situazioni diverse! Ci sono fior di zone sviluppate e ci sono zone degradate e tuttora senza prospettive. Il Sud ha dimostrato in tanti casi di non aver niente da invidiare al Nord. In banca da noi le regioni del Sud nel loro complesso stanno crescendo pi di quelle del Nord, come richiesta di credito. Nel Sud la nostra banca ha gi oggi pi impieghi che depositi, quindi basta anche con il luogo comune che nel Sud le banche del Nord raccolgono depositi, ma non fanno investimenti. Ci sono tante banche come noi che mantengono anche nel Sud un buon equilibrio tra impieghi e depositi. E attenzione anche ai giudizi affrettati sui tassi: ciascuna controparte della banca ha un rating - questo uno degli aspetti positivi di Basilea 2 - e a un dato rating corrisponde un determinato tasso d'interesse, senza discriminazioni regionali. Non diamo per scontato che gli stereotipi, che probabilmente sono stati veri nel passato, lo siano ancora oggi: i fatti dimostrano fortunatamente spesso il contrario. E ripeto, ci sono tante zone del Sud che stanno crescendo e stanno investendo pi di molte zone del Nord. Ruolo del pubblico. Il ruolo del pubblico fondamentale sempre, ma ancora di pi nei momenti di crisi economica, e soprattutto nelle zone dove mancano quelle cose sulle quali il privato stenta a impegnarsi. Il discorso vale per le autostrade, ma vale per i depuratori, vale per le bonifiche, vale per i termovalorizzatori. Queste sono cose che comunque dobbiamo realizzare se vogliamo essere un paese civile e in un momento di crisi economica, nel momento in cui il problema numero uno la crescita, investire in infrastrutture vale doppio. Un'altra area dove il ruolo del pubblico fondamentale quella degli investimenti in Ricerca e Sviluppo: su questo tema ci siamo presi impegni precisi quando abbiamo sottoscritto l'agenda a Lisbona. Cosa fare l'abbiamo gi detto, deciso e concordato. Semplicemente non lo facciamo. Ci siamo impegnati a portare le spese di Ricerca e Sviluppo al 3% del Pil, e invece siamo andati nella direzione opposta e oggi siamo non lontani dall'1% (prendendo per buono il metodo di calcolo che incorpora tra le spese di Ricerca e Sviluppo molti costi dell'Universit, che con la vera ricerca non hanno molto a che fare). Negli ultimi venti anni l'Italia ha accumulato, rispetto alla sola Germania, 500 miliardi di minori spese in Ricerca e Sviluppo! Un milione di miliardi di vecchie lire di ricerca e sviluppo in meno. Finanziaria dopo Finanziaria questi temi non vengono affrontati, ma rimandati: cos non stiamo costruendo il nostro futuro. E siccome ogni anno, anche in questa sede, ci diciamo pi o meno le stesse cose, il momento di riflettere sul fatto che apparentemente concordiamo su tutto, ma poi non siamo capaci di trasformare obbiettivi in azioni concrete.

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Una cosa giustissima che hanno gi detto tutti gli altri relatori: bisogna lavorare insieme e questo particolarmente vero nel campo della ricerca e della costruzione del futuro: Stato, imprese, fondazioni, universit. Una delle iniziative pi belle che abbiamo vissuto in questi mesi stato il faticoso, ma efficace lancio di una forma di finanziamento della ricerca e dell'innovazione nelle piccole e medie imprese: Intesa Nova. Le piccole e medie imprese non hanno le spalle finanziarie della grande impresa, non sono in grado di mobilitare le garanzie che sono inevitabilmente da richiedere quando si presta denaro a medio e lungo termine: la ricerca e l'innovazione sono sempre impegni a medio/lungo termine. Allora cosa ci siamo detti? Prendiamo le aziende innovative che hanno progetti validi, ma non hanno patrimoni sufficienti, coinvolgiamo una ventina delle migliori Universit di ricerca italiane, abituiamo queste aziende ad andare a presentare a queste Universit i loro progetti, che noi come banca non siamo in grado di valutare tecnologicamente. Se le Universit certificano che si tratta di buoni progetti, Banca Intesa disponibile a finanziarli a lungo termine senza garanzie, a tassi particolarmente vantaggiosi. Ad oggi le imprese finanziate sono gi oltre 300 e il numero sta crescendo velocemente. Per ora abbiamo stanziato un miliardo di Euro, ma siamo pronti a incrementare questo importo se sar necessario. Questo un modo per fare sistema in pratica, non solo in teoria. Ho fatto l'esempio di Intesa Nova - ma potrei farne altri - per dimostrare che fare sistema si pu e, anzi, in molti casi si deve per risolvere problemi altrimenti insolubili. La banca pu in molti casi fare da ponte tra mondi che avrebbero difficolt a dialogare e collaborare. Noi diciamo s alla collaborazione, sappiamo che dobbiamo fare sempre di pi e meglio, ma ci stiamo impegnando concretamente in questo senso. Dobbiamo per dirci che il declino del nostro Paese - assolutamente evitabile - per dietro l'angolo se continueremo a non fare quasi nessuna delle cose che sappiamo di dover fare, che ci siamo impegnati a fare e che i paesi simili a noi stanno facendo. Paesi che investono sul loro futuro - anche se molto simili a noi per costo dei fattori - riescono a mantenere la propria quota del commercio internazionale, riescono ad attirare investimenti esteri e riescono a difendere il proprio sistema di protezione sociale. Perch non solo a rischio il nostro benessere, oggi potrebbe cominciare ad essere a rischio la tenuta complessiva della nostra societ, se il welfare dovesse essere troppo indebolito per mancanza di risorse. Il welfare una delle grandi conquiste della nostra civilt, non una zavorra come viene considerato da taluni ideologi un po' superficiali. Va riformato e ammodernato, ma guai a indebolirlo troppo. Altro che fiducia! Ritorneremmo all'homo homini lupus! Scusate il tono un po' acceso, ma trovo sempre pi insopportabile che, pur sapendo e concordando su molte delle cose da fare, poi non le si faccia e si continui ad accumulare ritardi.

Paolo Gambescia
Io ho qualche dubbio che sappiamo che cosa fare. Forse, tutto non sappiamo, alcune cose le sappiamo. E vediamo di capire cosa: vi chiedo di indicarmi cinque scelte indispensabili per non perdere la partita. Presidente Catrical

Antonio Catrical
Allora, la prima la riforma delle libere professioni. Le libere professioni gravano in maniera ordinata, direi, su quella che l'attivit produttiva, ma in maniera disordinata su alcune che secondo me sono attivit di punta della nostra economia e soprattutto della nuova economia, laddove possiamo essere pi competitivi. Le libere professioni

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gravano per l'8% come incidenza dei costi sulle attivit tecnologicamente pi avanzate, informatica, produzione di apparecchi elettromedicali, fibre ottiche, telefonia e tutto ci che sostanzialmente ci pu candidare come un paese di avanguardia. L bisogna fare qualcosa, e poi non sono neanche grandi sacrifici che si chiedono. Il problema che la concorrenza come il pilone dell'autostrada ed come il termovalorizzatore, cio tutti dicono che vanno fatti, ma non a casa mia, lontano da casa mia. Non che bisogna fare grandi cose: si deve consentire che le tariffe abbiano solamente un massimo e non un minimo perch questo minimo deve essere necessariamente derogabile. I professionisti dicono che togliere il minimo alle tariffe significa avvilire la professione, ma questo non assolutamente vero; si devono ammettere le societ dei professionisti, superando la vecchia legge del '39, che poi era anche una legge di ispirazione razziale, non completamente libera. Bisogna inoltre consentire un po' di pubblicit comparativa nelle libere professioni. Questo permetterebbe alle nostre imprese, soprattutto alle piccole e medie, di far gravare di meno l'incidenza di questo costo: basterebbe portarlo al 5,5% perch diventi un costo tollerabile. E questa una cosa che va fatta. Occorre poi scendere con il prezzo del gasolio e il prezzo della luce elettrica. Sono assolutamente intollerabili. Non parlo per i consumatori (perch io stesso sono consumatore e so che se voglio un po' pi di luce la devo pagare), ma parlo per le imprese. Le imprese non possono competere con questo costo dell'energia, con questa mano legata, mentre gli altri hanno due, tre pugni e danno anche colpi bassi. Quindi, sostanzialmente l'energia un punto sul quale bisogna assolutamente intervenire. Bisogna intervenire anche sul settore del credito, non perch c' sul credito qualcosa che non vada bene: la concorrenza non al massimo nel nostro sistema, una concorrenza ancora in nuce. E' vero che ci sono molte imprese, anzi, forse sono anche troppe, qui pi che mai vale il nanismo delle nostre imprese. Quindi non a dire che l'Antitrust vuole occuparsi di banche per impedire le concentrazioni, non vero, noi le favoriremmo probabilmente le concentrazioni, perch c' materia per concentrare. La verit che ci sono intese che le banche per forza di cose fanno e che non sono valutate con la giusta sensibilit. Ecco perch l'Antitrust si candida per questo mestiere, perch ha una sensibilit pi spiccata verso questo tipo di azioni che in qualche modo vengono a turbare sia i risparmiatori, sia le imprese che hanno necessit di fidejussioni, di mutui, di finanziamenti e hanno l'esigenza di avere schemi diversi. Invece l'ABI fa schemi uguali per tutti. L'ultimo quello sulla fidejussione omnibus, che uno strumento al quale gli imprenditori fanno continuo ricorso, molto richiesto dal mercato, e l'ABI ha fatto uno schema di fidejussione omnibus che lontanissimo dai desiderata e l'impresa solo vicina alle banche. Noi abbiamo fatto una segnalazione, ma questa riguarda anche altre cose, i conti correnti, i costi, le chiusure, quanto costano. Tutto ci necessita di un intervento pi forte, di un'attivit pi sensibile verso gli interessi dei consumatori, dei risparmiatori e delle imprese. Capisco che le banche hanno dei grandissimi meriti. Sono stato capo di Gabinetto di due delle persone che stanno qui - Maccanico e Urbani -, sono stato tanti anni al Ministero della Ricerca Scientifica, sono stato ultimamente alla Presidenza del Consiglio, non che nasco all'Antitrust. So bene che le banche hanno dei meriti incredibili per l'economia e lo sviluppo di questo paese. So quante volte il Governo le ha chiamate a firmare dei finanziamenti che probabilmente un banchiere straniero non avrebbe firmato. Lo so bene. Per pure vero che bisogna misurarsi con un'altra realt. Una volta la Banca d'Italia faceva bene ad occuparsi di concorrenza perch non c'era la concorrenza bancaria. Erano tutte banche pubbliche, la politica veniva tutta quanta fatta al Ministero del Tesoro, il tasso di sconto veniva definito in Banca d'Italia, e quindi dov'era la concorrenza? Oggi non ha pi senso, soprattutto dopo la legge del '93, successiva alla legge sull'Antitrust che invece del '90, perch nel '93 le banche hanno avuto la possibilit di fare altre cose, oltre alla raccolta del risparmio e la gestione del credito, e soprattutto i servizi assicurativi e i servizi finanziari. Quindi, oggi tenere separata questa cosa contro la storia ed contro l'economia del paese.

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So che c' momento politico e momento politico, forse non questo il momento politico perch l'Antitrust si possa occupare a pieno titolo, ma prima o poi questa riforma dovr essere fatta. E queste sono solo tre delle cinque cose che Lei mi ha chiesto, ma per me sarebbero gi sufficienti. Aggiungerei poi una riforma dei servizi pubblici locali veri, centralizzata, dando solo delle direttive su requisiti minimi essenziali che devono essere garantiti dalle autorit locali e, se possibile, un potenziamento delle attivit dell'Antitrust, nel senso che l'Autorit potrebbe anche essere sentita dalle autorit locali che hanno potere di regolazione, quando si devono occupare di materie che sono sensibili per l'antitrust. Lo dico sinceramente, quando sento parlare di dinamismo, da una parte sono contento, dall'altra sono preoccupato, perch i nostri grandi gruppi monopolisti soffrono un po' della sindrome di Gulliver, sono dei giganti in Italia e poi all'estero sono invece piccoli piccoli e non riescono a competere. Per in Italia sono dei giganti. E allora devono evitare di soffocare i bambini nella culla. L'Antitrust che sente parlare di accordi tra i grandi, di concentrazione tra i grandi, un po' come il cane pastore che sente l'odore del lupo. Si preoccupa molto e quindi io qualche preoccupazioncina ce l'ho quando sento parlare di monopolisti che vogliono espandersi. Bisogna avere anche le garanzie per i nostri piccoli, almeno fino a che i nostri piccoli non siano grandi, non abbiano le loro reti la capacit di crescere e andare vanti da soli. Fino a che questo non accada, e in Italia ancora non pu accadere perch da troppo poco c' liberalizzazione e concorrenza in Italia, il nostro compito quello di vigilare affinch nessuno cresca troppo e chi sta invece in una situazione di nanismo e tende a crescere, quello debba essere aiutato. Quindi una simmetria di simpatie che noi necessariamente dobbiamo avere per i pi piccoli.

Paolo Gambescia
Gamberale, Berlusconi e Prodi non hanno ancora un programma elettorale. Che cosa metterebbe lei dentro al loro taccuino? E guardando alla lunga scadenza, dico a dieci o a vent'anni, questo Paese dove dovrebbe investire?

Vito Gamberale
Rispondo volentieri a questa domanda, per non considerandomi un tuttologo, ma solamente una persona che parla di ci di cui si occupa, risponder nel ristretto perimetro del mio orizzonte, perch penso che l'orizzonte delle infrastrutture un orizzonte che pu coprire in parte quello che tu dici. Quindi tra le 5 cose da fare subito un concreto piano delle infrastrutture pu rappresentare il volano per rilanciare effettivamente l'economia del paese, e non una banalit quella che riscopriamo; infatti rilanciando forzatamente le infrastrutture il paese si rimette in moto, ma soprattutto, le componenti di investimenti in questo settore creano un valore aggiunto totalmente nazionale. Le materie prime sono nazionali, i trasporti sono nazionali, il lavoro nazionale, quindi una ricchezza che si investe nel paese e rimane nel paese. Allora io penso che alcune cose andrebbero riviste, prima di tutto: Rivedere la legge Merloni; perch nata in un periodo di emergenza in cui tutti erano ladri e bisognava evitare i ladri; adesso invece dobbiamo evitarla perch la Merloni basata sul massimo ribasso e sta creando dei problemi enormi nella gestione degli appalti, nella gestione reale degli appalti.

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Definire poche priorit nelle opere e centralizzarne le decisioni; tali decisioni devono essere portate al CIPE (di sicuro il territorio non pu essere ignorato) gli va dato un periodo di tempo limitato per approvarle, nel senso di migliorarle, ma tali opere prioritarie vanno eseguite. Favorire le aggregazioni tra le imprese di costruzioni, perch quando il presidente dice che i grandi in Italia sono piccoli in Europa, vuol dire che grandi in Italia sono comunque piccoli, altrimenti un paradosso. In effetti la pi grossa impresa di costruzioni italiana non nemmeno la ventesima in Europa. Quindi vuol dire che qualcosa non c'. Se noi prendiamo la pi grossa impresa di costruzioni in Italia e prendiamo la pi grossa impresa della Francia, stanno nel rapporto di uno a otto; se lo stesso paragone lo facciamo con una impresa spagnola tale rapporto di uno a quattro. In Spagna di queste grosse imprese ce ne sono quattro, in Francia tre, da noi parliamo di una che grossa, ma in Europa piccolissima. Favorire quindi le aggregazioni delle imprese di costruzioni importante perch penso che l'Italia, che ha la popolazione della Spagna, quasi la popolazione della Germania, non pu avere la mortificazione di imprese di costruzioni che sono molto pi piccole di quelle della Spagna, che ha il 60% della nostra popolazione o anche della stessa Austria, che ha appena il 12% della nostra popolazione. Chiarire i programmi pubblici per le opere , perch i governi devono dire che cosa io posso investire in opere pubbliche e che cosa devono fare i privati. Posso investire poco ma anche il poco lo si deve proiettare in dieci anni, perch giustamente le opere pubbliche non sono una bevuta di un bicchier d'acqua, ma si devono proiettare in un arco temporale di almeno dieci anni. Dunque capire che cosa posso mettere a disposizione per le opere pubbliche e chiarire il ruolo dell'Anas, che un player e una istituzione troppo importante perch un decreto oggi approvato, domani decade, poi si modifica, poi non si sa. Ripensare allo spezzettamento delle utilities che c' stato in Italia, perch l'Enel ad esempio stat spezzata in tre. La testa diventata GRTN, lo scheletro diventato Terna e poi la pelle rimasta in parte Enel e in parte stata venduta. In quale paese successo questo? Adesdso stanno tentando di rimettere la testa sullo scheletro, che rimane sempre fuori dal corpo. A me pare veramente una follia, perch in nessun paese al mondo successa una cosa del genere. Come pure folle l'eccesso di concorrenza nelle utilities e telecomunicazioni comprese; solo l'Italia ha interpretato la concorrenza come la possibilit che ogni condominio potesse farsi l'operatore telefonico. Se uno qui in sala dice: quale il secondo operatore telefonico inglese? Pochissimi diranno Cable & Wireless che si sta fondendo con Enervis, pochissimi. In Italia ce ne sono quattro. Quanti sono gli operatori mobili francesi? Tutti diranno France telecom, il secondo nessuno lo conosce, del terzo non se ne ha memoria. Allora dobbiamo fare come fanno gli altri, per questo io accetto la battuta del presidente ma penso che anche i grandi in Italia sono piccoli in Europa e quindi dobbiamo fare uno sforzo di aggregazione, avere il coraggio di creare dei grandi campioni nazionali, perch i grandi campioni nazionali sono la bandiera del paese nel mondo, visto - e sottoscrivo pienamente quello che diceva il Dott. Passera - che l'Italia un pezzettino del mondo e deve vedersela con il mondo e non con le province d'Italia.

Paolo Gambescia
Passera, lei forse stato chiamato in causa da Catricala, in quanto rappresenta il soggetto bancario. Vuole rispondere alla provocazione?

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Corrado Passera
Antonio Catrical, per quanto mi riguarda, pu essere nominato nostro controllore, anche ad honorem se necessario. Non avrei nulla da obbiettare se tra i poteri dell'antitrust il Parlamento dovesse decidere di aggiungere anche taluni controlli sulle banche! Deve essere chiaro che le banche italiane - o quanto meno quelle che mi sento di rappresentare, che si sentono banche italiane e banche europee - non chiedono n protezione, n limitazione alla concorrenza. Perch? Ma perch siamo piuttosto bravi e quindi ci sentiamo di competere ad armi pari con chiunque. Sono stati fatti un paio di accenni a accuse che ritengo assolutamente superate per moltissime banche italiane. Per esempio il costo dei conto correnti: il nostro Conto Intesa prevede spese di chiusura pari a zero e costa quanto un caff alla settimana, pur essendo tutto incluso. E in taluni casi si pu arrivare al costo di soli due caff al mese: a me non sembra esoso e non mi ritrovo con le cifre che sono state fatte circolare. L'Italia stato l'unico tra i grandi paesi europei continentali che ha privatizzato le Casse di Risparmio. In Francia, in Spagna e in Germania il 30-40% del mercato bancario ancora non contendibile. Il 90% degli attivi bancari in Italia sono quotati in Borsa! Questi sono fatti. Si pu fare di pi, si pu fare di meglio, ma questo Paese, in questi ultimi dieci anni - e lo dico a merito dei banchieri e della Banca d'Italia - ha fatto in questo campo un grande lavoro. In Germania, ogni volta che ci vado, mi sento chiedere: ma come avete fatto? Se prendiamo le prime cinque banche italiane, il dato della concentrazione degli attivi assolutamente coerente con quello delle banche francesi e spagnole ed il doppio di quelle tedesche. Non dimentichiamo che negli ultimi dieci anni ci sono state pi operazioni di consolidamento bancario in Italia che in qualsiasi altro paese europeo. Se togliamo le Casse Rurali - quelle che hanno un unico sportello in un paese - siamo ormai a meno di cento tra gruppi bancari e singole banche ancora indipendenti. Non che stiamo parlando di un Paese che ha dormito! Non per niente, tre fra le prime tredici banche della zona Euro sono italiane. C' qualche altro settore industriale che pu dire la stessa cosa? Mica tanti. Sottoscrivo totalmente le affermazioni fatte sulla concorrenza. Tutto quello che si pu fare per accentuarla bene accetto, anzi, proprio il momento in cui dobbiamo favorire coloro che ce la mettono tutta e accettano la sfida della concorrenza e scoraggiare invece coloro che cercano rendite di posizione. Detto questo, possiamo fare di meglio e quindi dobbiamo fare di pi. Se il Parlamento decider di dare all'Antitrust la responsabilit di svolgere taluni controlli sulla concorrenza bancaria, ne saremo felici, come saremo felici se decider per un altro soggetto. Intendiamoci per! Questo un settore dove la concorrenza gi fortissima e basta sfogliare i giornali per trovare ogni giorno le pubblicit di ogni genere di offerte: oggettivamente non credo siano molti i settori per i quali si possa dire altrettanto! Mi ha chiesto cinque cose da fare subito. E' un momento in cui l'Italia sta pagando un forte deficit di produttivit rispetto a molti Paesi nostri concorrenti: il momento quindi di premiare fiscalmente in maniera fortissima gli investimenti. Chiunque metta soldi in tecnologia, ammodernamento, informatica, ricerca, innovazione, deve avere un forte aiuto fiscale, una super-Tremonti! L'abbiamo fatto in periodi di minor urgenza, sarebbe strano se non lo facessimo oggi. Secondo dobbiamo sbloccare il meccanismo decisionale, rompere la situazione di stallo che ci sta bloccando, chiarire chi fa che cosa ai cinque livelli: Bruxelles, Roma, Regione, Provincia e Comune, rendere responsabile delle proprie azioni, o non azioni, chi sta a questi cinque livelli, toglierci da questa situazione in cui tutti fanno tutto e tutti possono bloccare tutto.

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Dobbiamo avere il coraggio di investire molto di pi in Ricerca e Sviluppo, anche considerato che abbiamo fior di centri di ricerca, fior di aziende che fanno ricerca, e Universit di punta. Dobbiamo assicurare a quei ragazzi, a quelle ragazze che hanno il coraggio di fare Universit difficili in campo scientifico e ne escono particolarmente bene, uno sbocco garantito di tre/cinque anni dopo la laurea - di studio, ricerca o lavoro. Dobbiamo premiare di pi le persone che costruiranno il nostro futuro: non devono sentirsi costrette ad emigrare per mettere a frutto la preparazione che abbiamo dato loro. Infine, non dobbiamo dare tregua alla criminalit. Queste sono alcune delle cose da fare. *** Tutto questo detto, recuperando i panni di Amministratore Delegato di Banca Intesa, voglio ringraziare tutti Voi che avete seguito i lavori e in particolare tutti i relatori che hanno contribuito. E' stato un bel convegno. Io ne ho seguito solo una parte, ma mi hanno riferito che stato interessante in tutte le sue sessioni. E' diventato un appuntamento annuale, del quale andiamo orgogliosi. Nel settore della finanza pubblica e delle collaborazioni pubblico-privato abbiamo una struttura molto forte, di gente molto appassionata. Questa struttura della nostra banca si trasformer a breve in una vera e propria banca per lo Stato, per le infrastrutture, per tutto ci che servizio pubblico, per tutto ci che lungo termine e quindi futuro del nostro Paese. E' un piacere, una responsabilit bella quella di governare una banca come Banca Intesa in un momento in cui sappiamo che tutti dobbiamo fare di pi per il nostro Paese. Ci stiamo impegnando, non stiamo lasciando indietro nessuna opportunit e sappiamo che abbiamo ancora molto spazio per migliorare. Stiamo vivendo un momento critico: l'Italia sta rischiando di entrare in una fase di declino ma, tutti insieme, possiamo evitarlo. C' un enorme potenziale di crescita, di miglioramento, di qualit sia nel pubblico che nel privato, cos come nel terzo settore. Noi ce la metteremo tutta per fare la nostra parte. Grazie mille ancora a tutti e arrivederci all'anno prossimo.

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