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Atti del Convegno Processi di sviluppo e autonomia finanziaria degli enti territoriali

Le prospettive del sistema Italia e il nuovo partenariato pubblico- privato Roma, 19 ottobre 2004

Banca Intesa

Processi di sviluppo e autonomia finanzairia degli enti territoriali. Le prospettive del sistema Italia e il nuovo partenariato pubblico- privato

INDICE
Premessa .........................................................................................Pag. 3

Saluto di Giovanni Bazoli, Presidente Banca Intesa .....................................5 Saluto di Marcello Pera, Presidente del Senato................................................7

Il nuovo scenario della finanza locale: le risorse per il federalismo e il partenariato pubblico- privato
Cesare Mirabelli, chairman.............................................................................11 Antonio Maccanico.........................................................................................12 Piero Giarda ...................................................................................................16 Paolo De Ioanna.............................................................................................32 Pia Saraceno..................................................................................................45 Francesco Tufarelli.........................................................................................52 Mario Ciaccia..................................................................................................57

Enti territoriali e mercato dei capitali


Gregorio De Felice, chairman.........................................................................62 Maria Cannata Bonfrate .................................................................................69 Marco Cecchi de Rossi..................................................................................78 Giovanni Gorno Tempini ................................................................................89

Conclusioni di Corrado Passera Amministratore Delegato e CEO di Banca Intesa...........................................................................................98

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Premessa
Banca Intesa, che si propone come Banca per il Paese e come Banca per il territorio, sente la responsabilit di dover concorrere, ponendosi al servizio delle Istituzioni, delle imprese e dei cittadini, allefficientamento e allammodernamento del sistema Italia, per favorirne la crescita. A tal fine ritiene di dover agevolare il dialogo tra i diversi soggetti che svolgono un ruolo nellaccompagnare i processi di riforma in corso nel Paese, facendosi promotrice del modello di partenariato pubblico-privato e approfondendone ogni criticit. In tale quadro, pertanto, ha ritenuto opportuno organizzare un Convegno, dedicato ai processi di sviluppo e autonomia finanziaria degli enti locali, di cui qui si pubblicano gli atti relativi alle sessioni tecniche.

Mario Ciaccia Responsabile Direzione Relazioni Istituzionali e Direzione Stato e Infrastrutture di Banca Intesa

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Saluto del Presidente di Banca Intesa Professor Giovanni Bazoli

Signor Presidente del Senato, autorit, signore e signori

porgo, a nome di Banca Intesa, un cordiale saluto a tutti gli intervenuti, che ringrazio per aver accolto il nostro invito. Abbiamo promosso lodierno convegno per offrire un contributo attraverso un confronto fra studiosi, operatori e rappresentanti delle istituzioni al dibattito in corso nel nostro Paese intorno al processo di riallocazione delle competenze tra Amministrazione centrale dello Stato, Regioni e altri enti territoriali. E evidente che questo processo interessa, oltre che tutti i cittadini, anche il mondo economico. Il sistema bancario (e tanto pi un Istituto come il nostro, che ha una presenza cos diffusa su tutto il territorio nazionale) si sente quindi direttamente coinvolto. In questa sede non intendiamo dibattere largomento dal punto di vista politico, n sotto il profilo giuridico-costituzionale. Io mi limiter, in termini generali, a formulare alcuni rilievi di ordine metodologico. Il primo rilievo muove dal riconoscimento che, se vero che nellattuale frangente storico si presentano alcuni nodi istituzionali da affrontare e risolvere sollecitamente, altrettanto vero che, in materie di grande rilevanza costituzionale, sempre raccomandabile procedere senza forzature, ossia perseguendo le pi ampie convergenze possibili. In altre parole, mi pare che si debba concordare nellauspicio che la riforma progettata, toccando delicati equilibri del sistema democratico, non porti a mettere in discussione quei principi e valori comuni in cui il nostro popolo si riconosciuto nei momenti pi significativi della sua storia. Solo a questa condizione la riforma potr approdare a risultati positivi per il Paese. Una seconda esigenza da richiamare quella di per s stessa elementare che qualunque progetto di valorizzazione delle autonomie territoriali, a tutti i livelli, va impostato e realizzato in forme gestibili. Anche sotto questo profilo, dunque, essenziale che si ricerchino soluzioni, oltre che razionali ed efficaci, il pi possibile condivise. In particolare, agli operatori economici che occorre fornire un quadro di certezze. Un reale miglioramento dei servizi e il rilancio stesso delleconomia non potranno avvenire se la costruzione di un ordine istituzionale non assicurer una chiara ripartizione delle funzioni tra Stato ed autonomie, insieme ad uneffettiva semplificazione delle procedure. In terzo luogo opportuno rammentare sempre sul piano metodologico che le trasformazioni istituzionali devono bens mirare a rendere le pubbliche amministrazioni pi vicine ai bisogni dei cittadini e delle imprese, ampliando quindi la sfera di autonomia e la capacit di autogoverno delle entit territoriali, ma preservando nel contempo lomogeneit in tutto il Paese del livello minimo dei servizi pubblici essenziali. Posso dire che sono proprio le esigenze qui sommariamente accennate che ci hanno suggerito di promuovere lodierno convegno.

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In che modo ci chiediamo il sistema bancario pu essere soggetto attivo nel favorire ed accelerare le dinamiche di progressiva responsabilizzazione delle autonomie, in ordine alla gestione delle risorse e della spesa? Come il sistema stesso deve attrezzarsi al fine di divenire unistituzione realmente capace di promuovere lo sviluppo economico del territorio? Quali sono i diversi strumenti finanziari a cui fare ricorso? A queste domande confido che risponderanno gli autorevoli relatori nel corso delle diverse sessioni di lavoro. Concludo questo breve intervento di saluto esprimendo la ferma convinzione che, tra le sfide e le responsabilit che attendono limpresa del credito, occupa un posto centrale il compito di contribuire alla crescita economica e sociale del contesto in cui essa opera. In tale ottica siamo gi intervenuti sullorganizzazione e sui processi interni della nostra banca, per rispondere alle necessit di un mondo quello della pubblica amministrazione la cui complessit richiede interlocutori con appropriate competenze specialistiche (che prima dora il sistema bancario non era attrezzato ad offrire). Aggiungo che per sviluppare ulteriori proposte innovative, coerenti con le accresciute esigenze del settore pubblico, noi ci attendiamo di ricevere dallodierno incontro suggerimenti e idee che ci aiutino a completare la trasformazione che abbiamo avviato. Ringrazio ancora tutti i presenti, e in particolare il Presidente del Senato, per il significato che il loro intervento attribuisce alla nostra manifestazione. A tutti un augurio di buon lavoro e lasciatemi ripetere: con lauspicio che la riflessione comune contribuisca ad avvicinare diversi punti di vista e sensibilit su argomenti cos importanti per il futuro del nostro Paese.

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Saluto del Presidente del Senato Senatore Marcello Pera

Cari amici, Porto volentieri il mio saluto a questo Vostro convegno e Vi ringrazio per avermi invitato a farlo. La Vostra iniziativa cade in un momento cruciale e l'eco di questo convegno - per la qualit dei relatori e l'autorevolezza di chi l'ha organizzato potr essere utile al dibattito che tra breve si riaprir in Senato sulla riforma costituzionale giunta ormai alla terza lettura. Non entrer nella sostanza dei temi che Voi oggi trattate, e, ancor meno, mi permetter di condizionare il Vostro dibattito con considerazioni di merito. Vorrei limitarmi ad una breve riflessione di tipo metodologico, perch sono convinto che, qualora essa non dovesse essere tenuta nel debito conto, la discussione correrebbe un duplice rischio, quello dell' astrattezza e quello del pregiudizio in base a considerazioni estranee al merito della riforma. Questo rischio io lo vedo emergere da alcune analisi giornalistiche e anche accademiche, dedicate alla riforma. Persino i commenti pi recenti - quelli che hanno fatto sguito alla conclusione della seconda lettura dell'ipotesi di riforma - non sono riusciti a sottrarvisi. Vi sono due criteri per affrontare l'argomento. Il primo criterio quello di considerare i modelli nella loro struttura teorica. Si sceglie l'opzione preferita, la si specifica, se ne traggono le conseguenze o, pi precisamente, le conseguenze desiderate. noto infatti che nessun modello ha conseguenze univoche. Non tutti i sistemi centralisti sono uguali e tanto meno lo sono quelli federali. Proprio i molti modi in cui pu realizzarsi il federalismo fiscale mettono bene in luce la pluralit di soluzioni possibili all'interno di una medesima forma di Stato. Siccome questo criterio parte dalla teoria e sacrifica la storia e l'esperienza, esso proprio quello che incorre nel rischio dell'astrattezza. Credo che dovremmo evitarlo. La teoria conta, perch evita contraddizioni e incongruenze, ma altrettanto contano lo stato del sistema su cui si interviene, l'evoluzione che esso segue spontaneamente, l'origine da cui deriva e la mta che si vuole raggiungere. Meglio allora l'altro criterio. Se partiamo dalla concretezza della vicenda storica del nostro Paese, dobbiamo in primo luogo renderci conto che oggi non ci troviamo a scrivere il primo capitolo di una storia ancora tutta da svolgere. La Costituzione repubblicana entrata in vigore nel 1948 non si presenta a noi nel suo testo originario. Al di l di alcuni aggiustamenti congiunturali precedenti, essa, sul finire della legislatura scorsa, stata profondamente emendata attraverso la riforma del suo Titolo V. cambiata la forma di Stato: da un modello essenzialmente centralistico, seppure mitigato attraverso la previsione di ampi poteri riservati all'autonomia territoriale, si passati ad una forma di Stato federale, almeno nelle intenzioni. L'articolazione federale , nel testo vigente, cos programmaticamente spinta che l' art.114 Cost. assegna allo Stato la stessa dignit istituzionale del comune pi piccolo. Esso dice: la Repubblica costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Citt metropolitane, dalle Regioni, e dallo Stato.

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Questa torsione federalista avvenuta creando problemi che oggi sono davanti a tutti. Essa stata caratterizzata da una serie di "senza". Si cambiato sensibilmente la forma di Stato senza cambiare la forma di governo. Si sono attribuiti poteri legislativi importanti alle Regioni senza prevedere un luogo di compensazione - una "istituzione di chiusura" come tante volte l'ho definita - delle istanze delle Regioni e delle autonomie. Si sono divise le competenze per materie fra Stato e Regioni con una riserva notevole di "materie concorrenti" e perci sovrapposte, senza che si fissasse il tetto superiore della unit giuridica ed economica della Repubblica. Si attribuito alle Regioni un diritto di appropriazione di materie esclusive dello Stato senza una effettiva garanzia che tale unit fosse preservata. Si introdotto il federalismo fiscale senza che esso entrasse realmente in vigore. La riforma ha generato problemi istituzionali e costi. I primi sono ben rappresentati dagli oltre 200 ricorsi pendenti di fronte alla Corte Costituzionale, provenienti dallo Stato o dalle Regioni senza che vi abbia peso la colorazione politica dei governi centrale e regionali. I costi, su cui un' indagine approfondita ancora manca, si sono manifestati, in modo diretto, attraverso una maggiorazione della spesa corrente; e, in modo indiretto, attraverso una perdita secca della certezza del diritto, che ha negato al cittadino, ed ancor pi all'imprenditore e all'investitore, la possibilit di valutare preventivamente la cornice giuridico-legale nella quale la sua azione viene a cadere. Credo sinceramente che sia inutile recriminare, ritorcere, polemizzare. Dire: "io l'avevo sostenuto" non serve a niente. Dire: "io sono ancora sicuro di me" non serve a niente. E a niente serve anche dire: "io l'ho sostenuto ma ora ho cambiato idea". Il problema che abbiamo di fronte quale idea nuova dobbiamo perseguire. Questa idea nuova non pu essere realisticamente il ritorno alla vecchia forma dello Stato centralistico. Il federalismo in corsa e non si arresta. Del resto da nessuno - nemmeno dagli oppositori della riforma oggi in discussione - stata mai avanzata l'ipotesi di abrogare in toto l'attuale Titolo V al fine di tornare al vecchio assetto o a un pi blando assetto regionalistico. L'idea nuova deve andare nel solco gi tracciato. E allora il nostro problema oggi quello di completare e correggere, colmare i "senza" e raddrizzare le storture. Dobbiamo salvaguardare alcuni beni costituzionali e politici, l'unit della nazione, l'equilibrio fra Stato, Regioni e autonomie, l'armonia fra i poteri, l'alternanza delle coalizioni al governo, la stabilit dei governi, l'efficienza dell'iter legislativo. Quanto al federalismo, dobbiamo aver chiaro che, quale che sia la forza della sussidiariet, della solidariet, della perequazione fiscale e delle risorse, esso, per sua natura, comporta dosi crescenti di competizione, di sfida, di emulazione. L'analista e il commentatore dovrebbero partire da questa storia, da questa cornice, da questi problemi, da questi prevedibili sviluppi. Ci, evidentemente, non impone loro il dovere di parlare n bene n male della proposta di riforma in discussione. Impone altri obblighi. L'obbligo di non caricare sulle spalle di una riforma in itinere gli effetti di una riforma vigente. L'obbligo di non confondere il dibattito sui modelli con quello sui modi concreti per ricondurre l'attuale forma di Stato dentro una pi equilibrata razionalit costituzionale. L'obbligo di esaminare serenamente i problemi che abbiamo di fronte senza trasformare la discussione sulla riforma in strumento per altri fini. Sono certo che il Vostro convegno a questi obblighi si atterr. Per questo sono certo che esso sar utile a tutti.

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Il nuovo scenario della finanza locale: le risorse per il federalismo e il partenariato pubblicoprivato

Cesare Mirabelli, Presidente emerito della Corte Costituzionale, chairman Antonio Maccanico, Deputato Piero Giarda, Professore di Scienza delle Finanze, Universit Cattolica del sacro Cuore di Milano Paolo De Ioanna, Consigliere di Stato Pia Saraceno, Amministratore Delegato Ref. Francesco Tufarelli, Capo di Gabinetto del Ministro per le Politiche Comunitarie Mario Ciaccia, Responsabile Direzione Relazioni Istituzionali e Direzione Stato e Infrastrutture di Banca Intesa

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Cesare Mirabelli
Grazie a voi tutti, innanzitutto per la vostra presenza in una giornata di lavori intensa, che si aperta con un quadro introduttivo completo e complesso. Pu apparire singolare che una grande banca inviti e solleciti alla riflessione su temi istituzionali, oltre che su temi economici e finanziari. Ma mi pare singolare ed apprezzabile perch significa che ci si fa carico di offrire un luogo di riflessione per i problemi del Paese e ci si sente parte attiva di un sistema, non fuori da un sistema, rispettando peraltro ruoli, competenze, funzioni. E questo sottolineato gi dallintitolazione, direi centrata, del nostro convegno Processi di sviluppo ed autonomia finanziaria degli enti territoriali. Le prospettive del Sistema Italia e il nuovo partenariato pubblico-privato. Sono le linee portanti di questa giornata di lavori che gi, ripeto, stata introdotta con un quadro preciso dai due interventi, ben pi che saluti, che abbiamo ascoltato. Per parte mia, sono in una posizione di ascolto come voi, non c nessuna introduzione, che stata gi fatta, sottolineo soltanto che i processi di sviluppo che stanno sullo sfondo non sono, e non possono essere, solo una speranza ma una necessit e che per questi processi di sviluppo, veramente ogni soggetto, ogni luogo di decisione, coinvolto. Sullo sfondo un sistema complesso e che si va necessariamente complicando, il sistema delle autonomie che gi di per s, lo abbiamo ascoltato, terreno di discussione, di dibattito, perch no, di conflitto, di approfondimento, ma anche questa non unopzione politica nel suo fondamento. Direi che uno sviluppo del principio autonomistico - larticolo 5 della Costituzione - e su questo dobbiamo costruire, cercando di individuare le soluzioni organizzative necessarie in una situazione di sempre maggiore complessit, tanto nella sfera pubblica che nella sfera privata; e rilevando come tutto questo si innervi poi con mutamenti che vanno al di l del piano nazionale. Perci che cosa fare dal punto di vista organizzativo? E quali sono le ricadute sullo sviluppo, sul mondo delleconomia? Gi abbiamo ascoltato come il diritto ha una ricaduta diretta sullo sviluppo economico, o meglio una ricaduta meno visibile ma non meno diretta. E daltra parte, mi pare si vadano attenuando distinzioni tra pubblico e privato da una parte, mentre con apparente contraddizione si vanno individuando quelle che sono le differenziazioni, quale il DNA proprio del pubblico e del privato e come, senza reciproche invasioni di campo, si pu rispondere ad una logica di sistema. Di queste cose, di molte di queste cose e di altro ancora sentiremo ora parlare in questa tavola rotonda che seguir negli interventi lordine indicato nel programma. Iniziamo subito con una competenza straordinaria che ci viene offerta, quella di Antonio Maccanico, non solo osservatore e studioso delle istituzioni, ma anche attore e protagonista con una sensibilit politica e istituzionale e con un senso del Paese che oggi per noi un dono.

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Antonio Maccanico
Anzitutto, sono estremamente grato a Banca Intesa per linvito a partecipare a questo convegno, che considero straordinariamente importante. E importante per almeno due ragioni; la prima, per largomento in s, che assolutamente vitale ai fini di una politica di sviluppo: il ruolo delle autonomie locali e regionali, cio la forma di Stato. Ho visto una recente inchiesta americana, che cercava di isolare quali erano gli elementi comuni dei Paesi che hanno avuto, negli ultimi dieci anni, il pi alto tasso di sviluppo. Il primo degli elementi comuni che avevano questi Paesi era lefficienza del sistema amministrativo e del sistema politico. Quindi, parlare di forma di Stato, nel quadro di una politica di sviluppo, a mio avviso opportuno e giusto. La seconda ragione il momento che stato scelto per questo convegno. Cio, esso avviene allindomani dellapprovazione alla Camera dei Deputati della riforma della seconda parte della Costituzione, della quale la riforma del Titolo V, Regioni, Province e Comuni, un capitolo centrale. A me pare che sia particolarmente opportuno valutare, con animo sereno, quello che avvenuto in questo campo. Poich mi toccato di parlare per primo, mi limiter ad alcune considerazioni generali. La prima questa. Nel corso del dibattito, e delle polemiche che hanno accompagnato la discussione in Parlamento, sulla stampa e anche fuori, emersa una posizione che definirei fortemente critica dellindirizzo - che si affermato agli inizi degli anni Novanta - di rafforzamento considerevole dellorganizzazione autonomistica della Repubblica, che andata configurandosi come un assetto particolare di decentramento legislativo e amministrativo, come una forma originale di federalismo. Questa posizione critica, che si via via irrobustita, ritengo che sia errata. La questione della forma di Stato, nella costruzione dello Stato unitario, stata sempre assai problematica e centrale, dalle origini ai nostri giorni. La scelta operata dalla destra storica, di un modello di Stato fortemente centralizzato, sullesempio francese, a mio giudizio giusta, lunica allora realistica e appropriata, non fu mai del tutto pacifica e accettata senza riserve. Il fascismo port questo modello allesasperazione, cancellando anche le pi timide riforme di autonomia locale, e con il suo crollo si determin anche la fine di questo modello. Alla caduta del fascismo e alla Costituente emerse fra tutte le forze politiche una forte concezione autonomistica, sancita nellarticolo 5 della Costituzione: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali. Il Titolo V della Carta deline i lineamenti del nuovo ordinamento statale, fondato sullautonomia politica e amministrativa delle Regioni. La potest legislativa delle Regioni nella Carta costituzionale del 48. Una pagina bianca fu la definizione di Massimo Severo Giannini di questo testo. Voleva significare che solo le leggi di attuazione di quella normativa costituzionale potevano dare una configurazione precisa di quella riforma. Le rigide attuazioni vennero, ma con grande ritardo, negli anni Settanta, fra cui la fondamentale legge 281 del 70 e il decreto 616 del 77 sullordinamento finanziario delle Regioni, ma esse furono del tutto inadeguate. I trasferimenti di funzioni non furono accompagnati dal trasferimento delle risorse umane e finanziarie necessarie.

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Si cre un sistema di finanza derivata, con trasferimenti a finalit vincolate e, quindi, poco funzionali e mortificanti dellautonomia delle Regioni. Si pu dire che lattuazione dellordinamento regionale fu un vero fallimento. Quindi, noi ci troviamo di fronte a due fallimenti: lo Stato centrale e lo Stato regionale delineato dalla Costituzione. E da questo fallimento che nata lesigenza di riconsiderare a fondo il ruolo dei governi locali, non solo attraverso il conferimento e lattribuzione di competenze, ma anche con il rafforzamento degli strumenti autonomi di finanziamento. E stato un processo graduale, culminato nel corso della passata legislatura, prima attraverso la legislazione ordinaria a Costituzione invariata: il cosiddetto federalismo amministrativo (in particolare la legge 59 del 97 e i successivi decreti attuativi che hanno operato un robusto trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni); poi con le riforme costituzionali, in particolare con la modifica del Titolo V della Costituzione che ha dato copertura costituzionale ai provvedimenti di decentramento ricordati. Si pu dire, inoltre, che la nuova forma di Stato in costruzione stata una necessit storica, comune a quasi tutti i Paesi europei (Gran Bretagna, Spagna, la stessa Francia), i quali hanno tutti imboccato la strada dellordinamento a pi forte autonomia e si sono allontanati dal modello centralistico e verticalizzato. Che si discuta il modo di attuare il nuovo ordinamento, giusto e doveroso. Che si operi in questo campo con prudenza e gradualit, certamente consigliabile. Ma che si esprima una condanna pregiudiziale dellassetto a forte autonomia territoriale, a me sembra un vero errore.

Seconda considerazione generale. Nella riforma approvata dalla Camera, dellintera seconda parte della Costituzione, di pochi giorni addietro, sulla quale lo scontro politico stato molto duro (io stesso ho dato un giudizio assai severo su quel testo), sono stati, tuttavia, confermati alcuni punti della riforma del Titolo V approvata nella passata legislatura, che a me sembrano di grande importanza e che considero particolarmente qualificanti della forma autonomistica nel suo complesso. Intanto, stata confermata la distinzione tra competenze proprie dello Stato e competenze concorrenti Stato - Regioni. Si volevano inizialmente cancellare le competenze concorrenti, in realt sono rimaste. E vero che sono state riconsiderate e in parte ridotte (vedi le grandi reti di trasporto e navigazione, lenergia), ma bilanciate da competenze esclusive in tema di sanit e di organizzazione scolastica, non facilmente conciliabili con la competenza statale in materia di norme generali sulla tutela della salute e sullistruzione. Si voluto inserire questo aggettivo esclusive che a me sembra del tutto improprio: nel momento in cui costruiamo lUnione Europea competenze esclusive non ne esistono pi. Ma il fatto importante che questa distinzione stata mantenuta e ci comporta che sia dato seguito alla normativa della legge 131 del 2003 (la legge La Loggia), che ha previsto una delega per la determinazione dei principi fondamentali della legislazione concorrente. Gran parte del contenzioso costituzionale su questi temi derivata proprio dalla difficolt di enucleare i principi fondamentali della legislazione concorrente dalla legislazione vigente, in assenza di una normativa ad hoc. Il secondo dato estremamente importante costituito dal mantenimento, senza alcuna variazione, della normativa di cui allarticolo 119, che delinea lautonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, ed il vero elemento innovativo della

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riforma del Titolo V, il pilastro del nuovo assetto dei governi locali. Ora, poich la riforma approvata, nelle parti che riguardano la forma di governo (il Senato federale, i nuovi procedimenti legislativi), ad attuazione ritardata (e cio al 2011, al 2016), la normativa di quellarticolo 119 sar quella che comunque da considerare acquisita. Qualunque sia la sorte complessiva della riforma, infatti, questa normativa rimarr ferma, perch comune al testo vigente del Titolo V e a quello riformato. Credo, perci, che la discussione debba avere al centro le implicazioni di questa normativa, che la vera Costituzione economica del nuovo ordinamento autonomistico. Larticolo 119 il fondamento dellautonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, e al tempo stesso del principio di coesione che deve dominare tutto lordinamento. Le sue implicazioni devono essere valutate anche in relazione alla norma dellarticolo 117, che riserva allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, e in relazione a quella che, sempre nellarticolo 117, affida alla competenza concorrente larmonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Aggiungerei la necessit di una normativa che renda effettiva e credibile la disposizione secondo cui le Regioni possono ricorrere allindebitamento solo per finanziare le spese dinvestimento. E lo Stato che su questo tema deve dare chiarimenti e paletti precisi. In estrema sintesi, lattuazione concreta del modello di finanza regionale e locale, definito dallarticolo 119: autonomia di entrate e di spesa dei Comuni, delle Province e delle Regioni, comporta alcune conseguenze che io cerco di enumerare rapidamente: a. b. c. d. e. f. tributi propri in armonia con la Costituzione, secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al loro territorio; fondo perequativo, senza vincolo di destinazione, per le Regioni a minore capacit fiscale; possibilit di risorse aggiuntive per finalit di sviluppo e per promuovere la coesione sul territorio nazionale e la solidariet sociale; fissazione dei livelli essenziali dei servizi attinenti ai diritti politici e sociali dei cittadini; le risorse di cui alle lettere a), b) e c) devono servire a finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

Mi pare assolutamente evidente che la condizione per realizzare tutti questi postulati sia soprattutto la fissazione dei livelli essenziali dei servizi attinenti ai diritti politici e sociali dei cittadini. Questa la chiave di volta. Il presidente Pera diceva: nel sistema di tipo federale naturale una certa competizione. E chiaro che questa norma non cancella la competizione: assicura i diritti essenziali, ma chiaro che le Regioni pi efficienti potranno dare servizi migliori e pi ampi. Come evidente, si tratta di un complesso di adempimenti strettamente connessi reciprocamente, che rendono la realizzazione concreta del nuovo ordinamento assai ardua e problematica. Non si comprende, dato che non era nelle intenzioni

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del Governo e della maggioranza cambiare limpianto dellarticolo 119, per quale ragione non si sia operato per procedere al pi presto ai provvedimenti attuativi, visto che anche il primo tentativo di attuazione (il decreto legge 56 del 2000) si era rivelato inadeguato. La legge finanziaria del 2003 ha istituito lAlta Commissione di Studi a questo scopo, Commissione che, purtroppo, finora non ha prodotto alcun risultato apprezzabile. E augurabile che si operi al pi presto perch questo eccessivo ritardo sia finalmente colmato. Non si nega la necessit di procedere con cautela e gradualit, tenendo fermamente presenti le esigenze di controllo dei conti pubblici, perch questo un obbligo europeo, e in armonia con le Regioni e gli enti locali. Ma non dimentichiamo che ruit hora: non pensabile un rilancio della politica di sviluppo senza la costruzione di un assetto stabile, trasparente ed efficiente, dellorganizzazione complessiva del nostro sistema amministrativo e politico. Credo che se la maggioranza e lopposizione si concentreranno su queste specifiche tematiche, che - come ho posto in rilievo - non vedono contrasti insanabili, ma anzi alcune significative convergenze, si farebbe opera assai utile alla crescita economica e democratica del Paese. Grazie.

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Cesare Mirabelli
Grazie ad Antonio Maccanico. Dunque lesperienza europea ci richiama tutti ad una linea di sviluppo delle autonomie, uno sviluppo che al fondo del nostro sistema costituzionale, una pluralit di modelli che sono in campo, e mi pare anche unapertura al dialogo e alla discussione per lapprofondimento di questi modelli. Ci troviamo di fronte ad un pluralismo istituzionale che ormai realt necessitata, e questo ci pone nuovi problemi, nuove difficolt se vero, lo ricordava il Presidente Pera, che il contenzioso tra Stato e Regioni aumentato notevolmente a livello costituzionale. Ricordava il Presidente della Corte Costituzionale che lanno scorso il 50% delle sentenze ha riguardato questo tipo di controversie, il che baricentra lattivit della Corte pi su una funzione arbitrale, che su una funzione di difesa dei diritti, e questo manifesta una certa patologia. Da una parte limpostazione pluralistica impone usiamo impropriamente questo termine- di ingegnerizzare le istituzioni, vedere come dal punto di vista organizzativo ci possono essere modelli che rispondono e dallaltra, con un pizzico di mea culpa per i giuristi, la necessit di elaborazione di nuove tecniche di espressione normativa. Ascoltavamo prima come la difficolt si avverta nellenunciazione dei principi fondamentali dellordinamento. Quali strumenti sono adeguati a questo e quali possono essere gli sviluppi verso i quali ci muoviamo. Credo che a questo tipo di problema, le linee di evoluzione, potr dare risposta, come ad altri problemi, lintervento di Piero Giarda, non solo come studioso ma anche per la ricchezza della sua esperienza nelle istituzioni.

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Piero Giarda Il federalismo italian style: il ripetuto pasticcio delle recenti riforme costituzionali.
Il trend del decentramento dei poteri di spesa si sviluppato in Italia dal 1948 ad oggi con grandi cicli di stasi, accelerazione e rallentamento. Una lunga stasi fino al 1970, poi dieci anni di sviluppi contraddittori, con lavvio dellesperienza regionale nel 1970 contrastata con la centralizzazione prodotta dalla riforma tributaria del 1971 e, a partire dal 1978, il rinascimento finanziario degli enti locali. Il decennio degli anni Ottanta si invece caratterizzato per la ripresa di un forte controllo statale sulle spese regionali e locali. A partire dal 1992, il Parlamento italiano ha ripreso un percorso a tappe verso il decentramento con numerosi interventi attuati con leggi ordinarie. Maggiori tributi propri a Regioni e enti locali. Trasferimento di compiti e funzioni. Ipotesi e proposte di schemi e formule di perequazione. Ricordo le tappe principali: nel 1992 vennero istituite lICI, laddizionale comunale allIRPEF, trasferiti alle regioni i contributi sanitari e le tasse di circolazione. Nel 1995 ridisegnati i trasferimenti alle regioni compattandone una parte in un unico fondo e disegnato uno schema esplicito di perequazione finanziaria. Nel 1997 sostituiti i contributi sanitari con lIRAP, resuscitata laddizionale IRPEF per i comuni (morta subito dopo il suo apparire nel 1993), trasferito alle province il gettito dellimposta sui premi assicurativi, avviato il trasferimento delle funzioni amministrative e delle risorse a regioni ed enti locali. Nel 1999 approvata la delega per la riforma dei trasferimenti finanziari alle regioni concretizzatasi nel d.lgs. 56/2000, con importanti innovazioni concettuali nelle regole di perequazione interregionale.1 Poi la riforma costituzionale del 2001 che oggi seguita da una ulteriore proposta di riforma. Nel paese si parla di costruzione di uno stato federale. La parola federalismo sulla bocca di tutti, insieme allaltra orribile parola, la devolution. Soffia il vento del federalismo, con le sue varie qualificazioni di federalismo tout court, federalismo amministrativo, federalismo regolatorio e federalismo fiscale. E come il phoen, un vento pieno di contraddizioni, nordico e caldo allo stesso tempo; come il libretto del Trovatore, affascinante e incomprensibile. In questo intervento tratter solo dei temi del federalismo fiscale, intendendo con questa espressione riferirmi per sintesi ai contenuti dei soli articoli 117 e 119 della Costituzione e limitatamente a quelle materie o attivit pubbliche che comportano attivit di spesa e il suo finanziamento. Non mi occupo quindi delle attivit di regolazione. E opinione diffusa alimentata da politici, costituzionalisti e anche da qualche collega economista che i due articoli 117 e 119 possano essere considerati separatamente; il primo dal Ministro per gli affari regionali, il secondo da qualche futuro Ministro delleconomia; che non ci sia una stretta connessione tra i due articoli. I due lati del bilancio (lallocazione delle responsabilit politiche della spesa tra centro e periferia e il sistema di finanziamento della spesa) sono strettamente collegati. E la visione del liberalismo sociale di Luigi Einaudi, con due proposizioni complementari: (i) non si
1 Per un esame della evoluzione di lungo periodo del sistema di relazioni tra centro e periferia nel nostro paese si veda P: Giarda Decentralization and intergovernmental fiscal relations in Italy: a review of past and recent trends lavoro presentato al 60 Congresso dello International Institute of Public finance, Milano, Universit Bocconi, 23-26 agosto 2004.

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costruisce un buon sistema di democrazia di bilancio se le regole di finanziamento non sono fissate in relazione alle spese e, (ii) lefficienza delle decisioni di spesa richiede un buon sistema di finanziamento. Cercher anche di mostrare che n la nostra Costituzione attuale n quella che in fase di votazione contengono tutti gli elementi necessari per il disegno di un buon sistema di federalismo fiscale. Non posso dilungarmi in questa sede, ma si pu dimostrare che la nuova Costituzione contiene elementi forti di contraddizione. In particolare lart. 119 ora incompleto, ora contraddittorio, ora omissivo.2 Mi concentrer, per brevit, solo sulle carenze ignorando le contraddizioni interne del testo. Prima di avviarmi a discutere delle regole finanziarie del federalismo fiscale, utile riprendere un po di semantica sul federalismo come processo, nelle sue due estreme e diverse tipizzazioni storiche: come espressione di un processo di accentramento di funzioni e come risultato di un processo di decentramento di funzioni.

Il federalismo come accentramento o come decentramento In generale, gli stati federali si sono costruiti per aggregazione di stati indipendenti. Nel fare ci, i singoli stati che confluiscono nella federazione precedentemente sovrani e differenziati luno dallaltro nelle loro scelte e nei loro ordinamenti rinunciano a una parte dei propri poteri, affidandone lesercizio al governo federale. Nel sistema pubblico vengono quindi introdotte regole di uniformit che riguardano (a) le attivit svolte direttamente dal governo federale, (b) le limitazioni allautonomia degli stati federati che il governo federale pu emanare in virt dei poteri che gli sono stati assegnati. Conseguenza della creazione della federazione, sempre dal solo punto di vista della produzione di beni pubblici, una riduzione delle diversit di trattamento tra i cittadini che esistevano quando gli stati non erano federati. Ho usato la parola riduzione e non eliminazione delle diversit: non tutte le funzioni vengono accentrate; le diversit di scelta nelle materie lasciate alla competenza degli stati continuano a sussistere. E corretto che sia cos: se gli stati federati avessero voluto generare un sistema di piena uniformit avrebbero creato uno stato unitario e non una federazione. Ci chiediamo ora se ci sia qualche analogia tra il processo sopra descritto e il processo per il quale uno stato unitario, originariamente orientato a principi generali di uniformit e di uguaglianza, si orienta attraverso il decentramento di poteri, compiti e funzioni pubbliche a favore di enti sub-nazionali di rappresentanza politica verso un sistema di federalismo. In termini astratti, un buon sistema di federalismo fiscale (linsieme della mappatura dei poteri di spesa e di tassazione sui diversi livelli di governo) ha le stesse caratteristiche sia quando risulta da un processo di accentramento di funzioni prima svolte dalla periferia, sia quando risulta da un processo di decentramento di funzioni prima svolte dal governo centrale. I due processi, di accentramento e decentramento, hanno in comune unidea di organizzazione efficiente nella struttura delle decisioni pubbliche: il governo centrale decide sui beni pubblici di interesse nazionale e sul loro finanziamento, mentre gli enti decentrati si occupano delle decisioni in materia di beni pubblici di interesse regionale o locale e del loro finanziamento. Il governo centrale si occupa anche
2 Gli istituti dellart. 119 sono diffusamente trattati in P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale nellarticolo 119: un economista di fronte alla nuova costituzione, Le Regioni, anno XXIX no. 6, dicembre 2001, pp. 1425-1483.

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delle circostanze in cui le autonome decisioni dei singoli governi decentrati entrano in conflitto tra di loro o hanno bisogno di una attivit di coordinamento superiore. La forza dellidea federalista che questo assetto valorizza preferenze individuali e responsabilit degli organi politici a livello decentrato ed in grado di generare una organizzazione pi efficiente nella produzione di beni pubblici. Sembrerebbe quindi del tutto naturale che la creazione di uno stato federale attraverso il decentramento di poteri si ponga come obiettivo di generare un sistema di differenze analogo a quello che sopravvive nei processi di creazione di uno stato federale per accentramento. La questione non cos semplice ed necessario un detour prima che la si possa affrontare. Diversi obiettivi di politica economica. Per discutere delle possibili analogie tra i due processi si deve considerare che lefficienza non lunico grande obiettivo dellazione pubblica. Le politiche economiche e sociali si orientano anche sulla base di qualche nozione di giustizia distributiva. Negli schemi astratti di federalismo fiscale al governo centrale (sia esso nazionale o federale) viene assegnato il compito di intervenire, con una variet di strumenti, per ridurre le disuguaglianze, prodotte dalla storia e dalloperare del mercato, nella distribuzione personale del reddito e nella distribuzione regionale del reddito prodotto. Si supponga che, per effetto dellutilizzo dello strumento della progressivit e dellimposta di successione, la politica tributaria possa riuscire a ridurre nella misura desiderata le disuguaglianze nella distribuzione del reddito personale dopo le imposte. A queste condizioni, un sistema di federalismo fiscale pu correttamente accettare che si formino diversit nella fornitura di beni pubblici nei diversi territori. Poich i redditi dopo limposta dei cittadini nei diversi territori non presenterebbero grandi differenze, corretto che se i cittadini di un comune o di una regione vogliono pi beni pubblici locali avranno imposte locali e regionali pi elevate, se vogliono pi consumi privati avranno imposte locali e regionali meno elevate. Se il governo nazionale si fatto carico di generare una accettabile e ridotta disuguaglianza nella distribuzione personale dei redditi, non ci sarebbe ragione di preoccuparsi delle diversit nel mix consumi pubblici-consumi privati che si generano nei diversi punti del territorio nazionale. Le differenze esprimerebbero solo diversit delle preferenze e delle scelte individuali filtrate dai rispettivi governi locali o regionali. La diversit sarebbe lindicatore di una organizzazione efficiente del settore pubblico. Poche o nessuna Costituzione tra quelle a me note ha adottato un obiettivo esplicito di eliminazione delle disuguaglianze interpersonali dei redditi. La Costituzione italiana propone il principio della progressivit del sistema tributario, un principio quanto mai elusivo e sfuggente sia in via teorica che in via pratica. Lidea della progressivit, dopo il suo grande periodo di fulgore durato pi di 150 anni stata messa in crisi dalla globalizzazione dei mercati che ha generato limpossibilit pratica di includere i redditi da capitale nella base imponibile dellimposta personale sul reddito e dallavvento al governo, nelle democrazie occidentali, delle classi pi ricche che hanno nei confronti della progressivit una avversione molto spiccata. La Costituzione del 1948 i suoi estensori forse consapevoli dei problemi di gestione di una imposta progressiva sul reddito ha scelto di affermare che gli obiettivi di giustizia distributiva si realizzano anche attraverso la politica della spesa pubblica, diretta alla equalizzazione delle opportunit di accesso al consumo di alcuni beni meritori. Le disparit nei consumi personali per abitante (e quindi nel grado di benessere individuale) dovrebbero essere attenuate o corrette dalla imposizione di canoni o regole di uniformit sui consumi per abitante di beni

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ai quali la politica o le Costituzioni assegnano un particolare rilievo sociale. Ci avvenuto attraverso la definizione di un sistema di diritti (i cosiddetti diritti civili o sociali) la cui tutela deve essere garantita dallintervento pubblico nei corrispondenti settori di spesa. Lesistenza di queste dichiarazioni costituzionali molto importante per il disegno di un buon sistema di federalismo fiscale; essa costituisce un forte vincolo alle strutture del federalismo che si possono ricavare con gli strumenti dellanalisi economica. Qualche propriet e indeterminatezza della Costituzione del 2001. La riforma del 2001 ha definito una espansione dei poteri legislativi e amministrativi di regioni e enti locali. Nella stessa direzione vanno le proposte di riforma appena approvate (almeno per la parte che riguarda gli articoli 117 e 119). Pi poteri legislativi alle regioni implicherebbero che nella prospettiva federalista sopra ricordata il paese dovrebbe avviarsi a un sistema di offerta di servizi pubblici pi differenziata sul territorio, pi differenziata rispetto a quanto risulterebbe dalla applicazione delle regole che sono proprie di uno stato unitario. Parlo ovviamente di uniformit in senso formale e non di sostanza perch noto che, in pratica, il livello effettivo della offerta di servizi pubblici nel nostro paese ha forti connotati territoriali: luniformit formale ha lasciato il campo a profonde diversit sostanziali nei diversi punti del territorio. La riforma in fieri ha cambiato qualcosa nella distribuzione dei poteri tra centro e periferia rispetto al testo del 2001, ma non moltissimo. Ha chiarito qualche punto oscuro del testo 2001 ma ha anche introdotto qualche pasticcio aggiuntivo.3 La nuova Costituzione ha anche costruito, insieme al decentramento dei poteri di spesa, istituti finanziari compatibili con una offerta differenziata di beni e servizi pubblici (con il decentramento dei poteri di spesa). Nellarticolo 119, al terzo comma, introduce il criterio della perequazione della capacit fiscale come regola generale per il finanziamento di regioni ed enti locali. Si tratta di un criterio tipico degli ordinamenti degli stati federali che in Germania, in Australia, in Canada si caratterizza per una incompleta equalizzazione delle differenze che originano dalle differenze nei valori delle basi imponibili per abitante nelle diverse regioni: la perequazione riduce le conseguenze delle differenze ma non le elimina.Le regioni ricche avranno sempre qualcosa in pi, per abitante, delle regioni povere. Lo stesso articolo 119 indica, in modo pressoch tassativo, che le risorse statali alle regioni non devono comportare vincoli di destinazione. Si tratta di una indicazione fortemente orientata in senso autonomista che per economicamente scorretta quando applicata al finanziamento delle spese che discendono dal regime di competenza concorrente nel quale rientrano peraltro tante future spese regionali. Un regime di competenza concorrente richiede per necessit logica che le risorse destinate al finanziamento delle relative spese comportino vincoli di destinazione. Regime di competenza concorrente e assenza di vincoli di destinazione sono tra di loro incompatibili.
3 Due sono i principali. Il primo riguarda la straordinaria spaccatura dei compiti e poteri pubblici tra tutela della salute assegnata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e assistenza sanitaria affidata alla competenza esclusiva delle regioni. Chiss come si riuscir a districarsi da questo bipolarismo. Nella costituzione attuale la tutela della salute indicata come materia affidata alla competenza concorrente delle Regioni che, per un bene quale la tutela della salute, esattamente dove dovrebbe stare: autonomia regionale da esercitare entro limiti definiti dalla legge nazionale. Considerazioni analoghe valgono per listruzione. Il secondo riguarda lapproccio illiberale che ha portato ad avviare lattuazione delleffettivo trasferimento delle funzioni nelle nuove materie assegnate alla competenza legislativa delle Regioni e allo stesso tempo rinvia a data lontana la costruzione delle regole effettive per il finanziamento delle spese connesse alle funzioni trasferite. Una violazione di una regola aurea della democrazia di bilancio.

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Ancora, lart. 119 assegna un peso maggiore di quanto non facesse la Costituzione del 1948 ai tributi propri come strumento di finanziamento dellattivit regionale. La Costituzione del 2001 e ancora pi le proposte in discussione sembrano quindi indicare che il paese dovrebbe assumere almeno uno dei caratteri di uno stato federale, quello per il quale le regioni (o gli stati) possono proporre modelli di spesa pubblica diversi nelle diverse regioni e possono disporre livelli di prelievo diversi in relazione alle preferenze dei cittadini per il mix tra beni pubblici e beni privati. La nuova Costituzione italiana, al pari di quelle di molti altri stati federali, certamente consente che, attraverso lautonomia tributaria, si possano determinare livelli di attivazione dei servizi diversi nelle diverse regioni. Le Costituzioni di molti stati federali non si limitano per a tutelare questo tipo di differenziazione riconducibile alle differenze nelle preferenze dei cittadini. Esse tendono a tutelare anche, attraverso listituto della perequazione incompleta (o della equalizzazione parziale), una parte delle differenze nei livelli di spesa per abitante che sono riconducibili a differenze nei livelli di reddito pro-capite nelle diverse regioni. La questione particolarmente rilevante perch la progressivit del sistema tributario cui era affidato il compito di ridurre le disuguaglianze nei redditi disponibili dei cittadini ormai uno strumento perduto nella globalizzazione e nella impossibilit pratica di assorbire i redditi di capitale nella base dellimposta personale progressiva sul reddito. La equalizzazione delle risorse finanziarie dei governi decentrati divenuto uno strumento alternativo allintervento diretto sulla formazione del reddito disponibile delle famiglie. Questa la ragione per cui, nella vulgata, federalismo fiscale e riduzione del carico tributario sono spesso considerati congiuntamente. Quale la posizione assunta dalla nuova Costituzione del 2001? Diversamente dalla Legge fondamentale tedesca, essa non si esprime sulla questione di fondo: quale sia lentit delle differenziazioni ammissibili nei livelli di attivazione dei servizi e dellintervento pubblico su base regionale. Essa non precisa in quale misura la perequazione debba correggere i differenziali nei potenziali di spesa riconducibili alle diversit della capacit fiscale per abitante nelle diverse regioni. Sarebbe sorprendente che una riforma costituzionale, originata per quanto riguarda gli articoli 117-119, da una lunga tradizione regionalista del centrosinistra, abbia abbracciato una visione favorevole allemergere di una offerta pubblica differenziata nelle diverse regioni, ove la differenziazione sia basata anche sui differenziali di reddito per abitante delle singole regioni. In effetti non cos. Nel corso dei passati 56 anni si gradualmente costruita una visione non necessariamente la stessa a cui pensava lAssemblea costituente del 1946 sulla tutela dei diritti civili e sociali secondo la quale gli obiettivi di giustizia e di redistribuzione del reddito reale a favore delle classi meno abbienti sono da realizzarsi preferibilmente consentendo a tutti laccesso universale e a titolo gratuito (o quasi gratuito) a prestazioni predefinite ed uguali per tutti i cittadini di alcuni grandi servizi pubblici, assistenza sanitaria, istruzione, assistenza in determinate condizioni di bisogno (disoccupazione, vecchiaia, ed altri ancora). La nuova Costituzione, ispirata al federalismo, non venuta meno a questa visione: essa ha invero rafforzato i diritti-doveri del governo nazionale di operare in modo che sui beni e servizi il cui consumo diretto a garantire i diritti civili e sociali, i livelli delle prestazioni siano definiti su valori coerenti con la tutela dei diritti stessi e siano messi a disposizione di tutti i cittadini dovunque essi risiedano sul territorio nazionale, in tutte le regioni. Questo il contenuto della

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lettera m) del secondo comma dellart. 117 che non viene toccato nemmeno dalle proposte di riforma appena approvate alla Camera dei Deputati. La lettera m) non solo una vaga indicazione diretta a realizzare livelli minimi di prestazione che le singole regioni possono integrare4. Usa una espressione molto forte, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale, che porta alla uniformit di trattamento su tutto il territorio nazionale. Si pu discutere a lungo su quale preciso significato attribuire a questa espressione, ma non si tratta comunque di materia opinabile o di proposizione leggera. Essa si applica a materie che appartengono sia al regime della competenza concorrente, sia al regime della competenza residuale o esclusiva delle Regioni. I livelli essenziali delle prestazioni potranno riferirsi a livelli individuati dalla legge nazionale, il cui valore dovr essere misurata, oltre che sulle risorse finanziarie, sulla tutela che i livelli scelti garantiranno ai diritti civili e sociali. Comunque lo si interpreti, la nuova Costituzione (quella del 2001) ha rafforzato e non ridotto i poteri di ingerenza del governo nazionale sulle pi importanti delle materie affidate alla competenza legislativa (esclusiva o concorrente) delle Regioni. Le proposte di riforma approvate alla Camera non toccano questa impostazione. Ne rendono forse pi complessa lattuazione. Siamo quindi in presenza di un sistema di federalismo fiscale che decentra il potere di spesa, decentra il potere di tassare, ma mantiene in capo al governo nazionale, sui due pi importanti servizi pubblici che vengono trasferiti alla periferia, poteri rafforzati di determinazione dei livelli di attivazione che le singole Regioni devono rispettare. Si pongono quindi una variet di questioni che dovranno essere risolte in futuro dal legislatore nazionale quando vorr dare attuazione sia alleffettivo trasferimento delle competenze legislative alle regioni, sia alla definizione delle nuove regole di finanziamento delle spese corrispondenti alle materie assegnate alla competenza legislativa (esclusiva o concorrente) delle Regioni. Non posso in questa sede trattarle tutte e devo rinviare in particolare a un mio precedente lavoro dove ho discusso e proposto uno schema di disegno di legge delega per lattuazione dellart. 119.5 La prima come si dovranno finanziare in modo efficiente le spese corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni. Se questi sono determinati dallo Stato evidente che lo stato dovr pagarli. E anche possibile che vorr accertarsi che i soldi dati siano spesi per realizzare quei livelli delle prestazioni e non siano invece destinati a altri settori dellattivit regionale.. La conseguenza naturale del tutto coerente con la teoria del federalismo fiscale che ci richiederebbe trasferimenti erariali vincolati nella loro destinazione. Come ho richiamato sopra, lart. 119 non prevede, tra le forme di finanziamento delle Regioni, trasferimenti a destinazione vincolata. E questo un caso dove lincompletezza del testo costituzionale deve essere integrata da considerazioni prese da altre fonti, siano

4 Il ruolo della lettera m) del secondo comma dellart. 117 e i suoi rapporti con le regole di finanziamento dellart. 119 sono trattati in P. Giarda, Sullincompletezza del sistema di federalismo fiscale proposto dalla nuova Costituzione: ci sono rimedi ? Rivista Internazionale di scienze Sociali, Anno CIII n. 2, (Giugno 2003), pp. 160-181. 5 Vedi P. Giarda, Quale modello di federalismo fiscale nella nuova Costituzione italiana?, Rivista Italiana degli economisti, Anno VIII, n. 1 (Aprile 2003), pp. 21-56, la cui appendice allegata al presente lavoro.

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essi i riferimenti ad altri paesi o alle indicazioni della teoria economica. In ogni caso una questione di non facile soluzione. La presenza del vincolo della lettera m) mette in discussione anche il rilievo dellautonomia tributaria delle Regioni e il ruolo dei tributi propri. Per sanit e istruzione si potrebbe anche non porre il problema di assegnare fonti di entrata propria alle Regioni. Non avrebbe molto senso trasferire potere tributario se poi (a) il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni ha un suo andamento nel tempo che potrebbe non coincidere con landamento del gettito dei tributi assegnati alle Regioni e, (b) il gettito dei tributi propri nelle singole regioni potrebbe essere definito, nella fase inziale, in modo corretto solo per una Regione, presumibilmente la Regione pi ricca, mentre per tutte le altre 14 dovrebbe essere integrato da trasferimenti statali. Si pu argomentare che se una regione vuole dare prestazioni pi elevate dovr avere il potere di agire sui tributi propri. Questo vero, ma per ottenere questo risultato necessario solo un piccolo tributo a gettito relativamente modesto che pu essere o no attivato per acquisire risorse aggiuntive. Non posso non rilevare come lAlta Commissione sul federalismo fiscale che si sta occupando di tanti grandi tributi per le Regioni non si fatta unidea precisa delle connessioni che esistono tra larticolo 119 e altri articoli della Costituzione, un classico della separatezza tra i due lati del bilancio. La seconda questione riguarda il finanziamento delle spese che rientrano nelle competenze legislative su materie alle quali non si applica la lettera m) del secondo comma dellart. 117, siano esse nel regime della competenza concorrente o della competenza esclusiva. Non si tratta forse di grandissimi importi. Per finanziare queste spese gli attuali tributi regionali, se liberati dallobbligo di finanziare tutte le future attivit regionali nelle materie non coperte dalla lettera m), sono pi che sufficienti. La terza questione riguarda il ruolo della perequazione. Il terzo comma dellart. 119 impone tuttavia lobbligo della perequazione della capacit fiscale a favore dei territori ove la stessa minore. Quindi il fondo perequativo dovr assegnare risorse solo a quelle regioni che hanno capacit fiscale inferiore a qualche livello definito politicamente (per esempio inferiore alla media nazionale o alla media delle tre regioni pi ricche). E forse opportuno distinguere tra materie che rientrano nella competenza concorrente di Stato e Regioni e quelle che rientrano nella competenza esclusiva delle Regioni. Per le prime, in particolare quelle non rientranti nella applicazione della lettera m), la perequazione dovrebbe essere molto forte, nel senso che il fondo perequativo dovrebbe correggere drasticamente (o addirittura eliminare) le conseguenze delle differenze nelle basi imponibili dei tributi regionali. Questo criterio si pu ricondurre al fatto che gran parte delle materie assegnate al regime della competenza concorrente, riguardano interventi pubblici i cui effetti non ricadono solo sui cittadini residenti, ma hanno implicazioni anche per i cittadini di altre regioni. E questa la ragione per cui lo Stato si riservato di limitare gli spazi dellautonomia regionale. Da essa, la teoria del federalismo fiscale fa discendere proposizioni importanti sulle differenze ammissibili e anche sui caratteri dei trasferimenti statali che determinano il fondo perequativo. Relativamente alle spese che discendono dal regime di competenza esclusiva delle Regioni, la perequazione potrebbe essere dichiaratamente incompleta. Dopotutto il regime di competenza esclusiva echeggia un principio di sovranit e, come noto, tra soggetti sovrani non necessariamente devono applicarsi regole di solidariet. La nostra Costituzione impone la perequazione, ma la considerazione della diversa natura delle spese che devono essere finanziate

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suggerisce che la perequazione pu (o dovrebbe) avere intensit diversa in relazione alle diverse responsabilit e poteri dello Stato centrale sulle diverse materie. In conclusione, si pu dire che le proposizioni della nuova Costituzione (e delle proposte di riforma) tendono ad essere parziali ed incomplete perch nessuno dei due testi precisa, in modo esplicito, quei giudizi di valore che un sistema di federalismo fiscale richiede per essere concretamente costruito. N la riforma del 2001, n le modifiche approvate dalla Camera dei Deputati (sempre riferendomi solo agli articoli da 117 a 119) hanno fatto passi significativi per trasferire il paese da uno stato nazionale a uno stato federale che, lo ricordo, ha tra i suoi elementi fondativi caratteri di differenziazione formale. Un paese pu svilupparsi e i suoi cittadini vivere felicemente indipendentemente dalla forma di governo, sia esso uno stato federale o uno unitario. Resta per da chiedersi perch mai lItalia si avventurata a costruire una strada nuova (la riforma costituzionale) prima di avere costruito un progetto politico sul suo punto di arrivo. Il percorso delle riforme cosiddette federaliste che questa e la precedente legislatura hanno intrapreso rimane, ad avviso di chi scrive, inspiegabile, vista la indeterminatezze dei suoi contenuti e pu essere considerato uno degli incidenti che a volte caratterizzano lo sviluppo di una societ democratica. Dopo lanalisi, non guasta per una qualche nota di ottimismo. Un buon sistema di federalismo fiscale pu essere costruito nonostante i silenzi e gli errori del testo della Costituzione del 2001. Si pu fare, a tre condizioni: - che la politica metta sul tappeto le questioni fondamentali proprie di un sistema di federalismo fiscale cercando di darvi una soluzione; - che gli agenti interessati (Regioni e Stato) smettano di alla Corte Costituzionale su tante piccole ed irrilevanti stanno forzando la Corte a decisioni che, malgr lui, progressivamente gli spazi disponibili per costruire federalismo fiscale; darsi battaglia di fronte questioni pratiche che tendono a restringere un buon sistema di

- che il testo Costituzionale venga guardato e utilizzato nel suo complesso, con una interpretazione di buona fede, immaginando che i suoi estensori volessero indicare una soluzione e non proporre un ingestibile pasticcio espressivo. Per costruire un buon sistema di federalismo fiscale bisogna utilizzare i contributi noti ed acquisiti che sono nella common knowledge della ricerca scientifica e delle precedenti esperienze compiute dal nostro paese nella regolazione dei rapporti finanziari tra centro e periferia. Operando con prudenza nella costruzione di un sistema convincente, possibile che una futura Corte Costituzionale riconoscendone la bont complessiva possa anche adattarsi a interpretazioni un po forzate del testo Costituzionale e accettare soluzioni pratiche alle contraddittorie e incomplete indicazioni del testo Costituzionale. Sar sempre un federalismo debole, costruito con riferimenti annche allesperienza di altri paesi. Lalternativa sarebbe quella di lasciare operare le contraddizioni del testo vigente (o di quello proposto per la riforma) che porterebbero, di fatto, al mantenimento dello status quo, una soluzione possibile che pi duno preferirebbe.

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Tracce per una legge delega su: Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, autonomia finanziaria di regioni ed enti locali, regole di perequazione
Il testo che segue presenta una proposta di soluzione ai problemi connessi alla attuazione dellarticolo 119 della Costituzione. Si basa sul giudizio che, a regime, la riforma costituzionale dovr essere compatibile con il formarsi di qualche differenziazione formale nei caratteri dellofferta pubblica, nel trattamento dei cittadini ed anche nei livelli di spesa per abitante nelle diverse regioni. Per le materie che rientrano nella applicazione della lettera m) dellarticolo 117, la differenziazione potr emergere solo in relazione a risorse acquisite da singole Regioni con aumenti della pressione tributaria decisi nellesercizio della propria autonomia tributaria. Per le materie assegnate alla competenza esclusiva delle Regioni, la differenziazione potr presentarsi anche nellipotesi di uniformit del prelievo tributario, in relazione alle diversit nei livelli di reddito per abitante nelle diverse Regioni; viene infatti proposta una perequazione delle capacit fiscali molto elevata ma non tale da equalizzare completamente le risorse per abitante. Per le materie assegnate al regime della competenza concorrente ma non coperte dalla garanzia di cui alla lettera m), viene ipotizzato che il fondo perequativo possa utilizzare anche il criterio del fabbisogno in riferimento ai contenuti del comma 5 dellart. 119. Sviluppa anche la tesi che le indicazioni costituzionali in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario non sono incompatibili con la attribuzione di un ruolo significativo alle Regioni nella gestione di alcuni parametri dellordinamento tributario degli enti locali e delle regole di perequazione della finanza locale. Sottolinea la necessit che lesercizio dellautonomia tributaria e la definizione delle regole di perequazione si rivolgano, in via di principio, agli enti le Regioni ai quali affidato il potere legislativo di definire i contorni dellintervento pubblico, pi che non agli enti in primis i Comuni ai quali sar affidato lo svolgimento dei compiti amministrativi. Indica tuttavia che lattuazione dellordinamento finanziario dovr essere gestito in connessione stretta con le decisioni in materia di assegnazione delle funzioni amministrative ai sensi dellarticolo 118. Richiama infine la necessit che il nuovo ordinamento sia attuato in modo graduale, con tempi sufficientemente lunghi per passare dal finanziamento in base alla spesa storica a quello previsto dallo schema di disegno di legge per la soluzione a regime. Propone che per lattuazione degli obiettivi connessi alle regole del patto di stabilit e crescita (pareggio di bilancio), venga costruito un mercato dei diritti allindebitamento in modo da contemperare flessibilit nel ricorso individuale al debito per finanziare le spese dinvestimento con il vincolo macro-economico del pareggio di bilancio.I parametri quantitativi indicati nei vari articoli, soprattutto negli articoli 7 e 11 della proposta di disegno di legge sono indicativi ed esprimono solo una valutazione personale; non hanno alle spalle le indagini necessarie per arrivare ad una corretta e concreta formulazione di scelte politiche. La proposta che segue tratta da P. Giarda Quale modello di federalismo fiscale nella nuova Costituzione italiana?, Rivista Italiana degli economisti, Anno VIII, n. 1 (Aprile 2003), pp. 21-56.

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Proposta di legge delega

ART. 1 (Contenuti) 1. Il Governo delegato ad emanare entro 18 mesi dalla entrata in vigore della presente legge uno o pi decreti legislativi aventi per oggetto lattuazione dellordinamento finanziario di Regioni, Province, Comuni e Citt Metropolitane, che disciplinino: a) le regole di coordinamento della finanza di Stato, Regioni, Province, Comuni e Citt metropolitane in relazione ai vincoli posti dalla Unione Europea e dai trattati internazionali; b) le regole di coordinamento del sistema tributario, con lassegnazione, per lintero o in parte, degli attuali tributi erariali, regionali e locali allo Stato, alle Regioni ed agli enti locali in relazione alle competenze e alle funzioni loro attribuite; c) i caratteri e la misura dellautonomia tributaria di Regioni ed enti locali; d) la definizione della distribuzione dei poteri legislativi tra Stato e Regioni in materia di tributi locali; e) le regole di assegnazione delle risorse finanziarie a Regioni ed enti locali; la determinazione delle entit e delle regole di crescita dei fondi perequativi di rispettiva pertinenza delle Regioni e degli enti locali, ivi incluse le aliquote delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali eventualmente assegnate a Regioni ed enti locali; f) le modalit di integrazione delle nuove regole finanziarie con quelle definite dalla legislazione vigente, sia per le Regioni che per gli enti locali; g) i criteri di assegnazione, alle singole Regioni ed enti locali, delle quote del fondo perequativo basate sui criteri che discendono dai commi 3, 5 e 6 dellarticolo 119 della Costituzione; h) i tempi di entrata in vigore della nuova normativa, in relazione alla assegnazione delle funzioni amministrative a enti o livelli di governo diversi da quelli cui spetta la competenza legislativa. 2. I decreti delegati si attengono ai criteri e principi direttivi di cui ai successivi articoli da 2 a 12.

ART. 2 (Il coordinamento della finanza pubblica) 1. In relazione al coordinamento della finanza pubblica: a) Regioni ed enti locali adottano come fondamento della propria politica di bilancio le regole e i criteri del patto di stabilit e crescita, siano essi riferiti ai saldi di bilancio che a singole poste degli stessi. b) La struttura formale, le regole di registrazione delle poste di entrata e di spesa, i criteri di formazione dei bilanci delle Regioni, degli enti locali e delle aziende strumentali consolidate nei conti della pubblica amministrazione, sono armonizzati ai criteri rilevanti per losservanza del patto di stabilit e crescita.

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c) Nei prospetti di bilancio sar evidenziato anche il concorso di ciascun ente agli indicatori rilevanti per losservanza del patto di stabilit e crescita, in particolare il saldo inteso come differenza tra entrate sulle quali Regioni, enti ed aziende hanno potere di determinazione autonoma e spese finali. d) Il saldo complessivo di bilancio di ciascuna Regione ed ente locale, definito come differenza tra entrate finali e spese finali, solo occasionalmente pu presentare un valore negativo, mai comunque superiore in valore assoluto al livello della spesa per investimenti diretti. Gli eventuali valori negativi devono essere recuperati entro il termine di 5 anni. Tali vincoli devono essere rispettati in sede di conto consuntivo, sia in termini di competenza che di cassa. e) Le Regioni possono, con proprie leggi, adattare per gli enti locali del territorio regionale le regole e i vincoli indicati dal legislatore nazionale, al fine di promuovere lefficienza nella gestione dei bilanci locali, differenziando le regole di evoluzione del saldo di bilancio dei singoli enti in relazione alla diversit delle situazioni finanziarie di partenza. f) Al fine di garantire che le decisioni dei singoli enti siano compatibili con gli obiettivi finanziari assegnati a ciascun livello di governo, lo Stato e le Regioni assegnano annualmente plafonds di ricorso al debito rispettivamente alle singole Regioni o ai singoli enti locali del territorio regionale. Tali plafonds possono essere scambiati tra i singoli enti per assicurare flessibilit nelle decisioni relative alle spese in conto capitale e alle spese per infrastrutture. Ogni singolo ente deve poter riacquistare la disponibilit dei plafonds ceduti entro il secondo anno dopo la cessione.

I RAPPORTI FINANZIARI STATO-REGIONI Art. 3 (Il coordinamento del sistema tributario e lautonomia tributaria delle Regioni) 1. Alle Regioni sono assegnati tributi propri in grado di finanziare quote significative delle spese derivanti dallesercizio delle funzioni nelle materie a competenza esclusiva e concorrente. Per tributi propri si intendono: a) i tributi regionali previsti dallordinamento vigente (quali ad esempio lIRAP, la tassa di circolazione, ecc.); b) le aliquote riservate sui tributi erariali che lordinamento vigente assegna alle Regioni (laddizionale regionale IRPEF e laccisa regionale sulla benzina); c) i tributi applicati su basi imponibili autonomamente determinate dalle Regioni; d) i nuovi tributi regionali che risulteranno inizialmente dalla ripartizione tra Stato e Regioni dellaliquota dellattuale imposta personale sui redditi e dellaliquota dellattuale imposta sui redditi delle societ. Le attuali basi imponibili di questi tributi sono definite come basi imponibili condivise. Laliquota assegnata alle Regioni sar inizialmente computata in base ai criteri di cui al comma 2. Il debito dimposta gravante sul contribuente sar, a regime, la somma delle aliquote applicate dallo Stato e delle aliquote autonomamente applicate dalle Regioni. 2. Le aliquote regionali dei tributi di cui alla lettera d) del comma 1 sono inizialmente definite su valori uniformi per tutte le Regioni e sono stabilite in modo che il gettito complessivo delle future imposte regionali sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle societ sia pari alla differenza, che si rileva nella Regione dove tale differenza minima (minore di tutte le Regioni), tra la spesa complessiva e il gettito dei tributi di cui alle lettere a) e b) del comma 1.

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3. Ai fini di quanto previsto al comma 2, per spesa complessiva si intende il volume della spesa storica effettuata dallo Stato nello svolgimento delle funzioni amministrative relative alle materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni. Per gettito dei tributi di cui alle lettere a) e b) del comma 1, si intende il gettito valutato ad aliquote uniformi in tutte le Regioni e pari a quelle fissate come aliquote di riferimento dalla legge statale. 4. Per i tributi propri di cui alle lettere a) e c) del comma 1 le Regioni possono definire in autonomia i presupposti, i soggetti passivi, le basi imponibili e le aliquote; per i tributi di cui alle lettere b) e d) del comma 1 possono, successivamente alla ripartizione iniziale, variare solo laliquota loro assegnata. 5. Al fine di consentire la corretta formulazione delle regole di perequazione: a) per i tributi propri derivanti da riserve di aliquota di tributi erariali di cui alle lettere b) e d) del comma 1, le Regioni non possono modificare le basi imponibili, le detrazioni o le deduzioni, n introdurre scale regionali di progressivit. b) per i tributi propri di cui alle lettere a) e c) del comma 1 lo Stato, dintesa con le Regioni, determina i gettiti standardizzati per le singole Regioni, in base ai valori medi dei parametri adottati nelle diverse legislazioni regionali.

Art. 4 (Integrazione con il D. Lgs. n.56/2000) 1. Per il finanziamento delle attivit regionali in essere al xxxx, valgono le regole di finanziamento disposte dal d.lgs. n.56/2000 opportunamente adattate alle nuove caratteristiche dei tributi propri regionali. Tali regole si applicheranno progressivamente alle materie trasferite alle Regioni ai sensi delle leggi 59/1997 e d.lgs. 112/2000. 2. A partire dal xxxx le regole del d.lgs. n.56/2000 saranno assorbite dalle regole di cui ai successivi articoli 5, 6 e 7.

Art. 5 (Competenza legislativa, regole finanziarie e compiti di amministrazione) 1. Le disposizioni di cui agli articoli 3, 6 e 7 sono dirette a coprire i trasferimenti sostitutivi delle spese statali nelle materie che larticolo 117 assegna alla competenza legislativa, esclusiva e concorrente, delle Regioni, indipendentemente dallente o livello di governo al quale sono o saranno affidate le funzioni amministrative. Esse si applicano a decorrere dal 1 gennaio successivo allanno in cui viene definito il trasferimento delle relative funzioni amministrative. 2. Le regole e i criteri da utilizzare per il finanziamento delle funzioni amministrative che fossero assegnate, in applicazione dellarticolo 118 della Costituzione, a enti diversi dalla Regione, sono trattate nei successivi articoli 11 e 12.

ART. 6 (Il fondo perequativo e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali) 1. Il trasferimento delle funzioni amministrative in materie di competenza legislativa regionale, esclusiva e concorrente, che prevedono la prestazione di

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servizi al cittadino o alle imprese o la erogazione di somme a favore di cittadini, imprese o enti, comporta: a) la cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa nel bilancio dello Stato; b) la riduzione delle aliquote dei tributi erariali e la corrispondente costituzione di tributi regionali di cui alla lettera d) del comma 1 dellart. 3; c) la costituzione nel bilancio dello Stato di un fondo perequativo a favore delle Regioni con minore capacit fiscale per abitante alimentato dalla compartecipazione regionale al gettito dellImposta sul valore aggiunto. 2. La somma del gettito delle nuove entrate regionali di cui al comma 1, lett. b) e dello stanziamento per il fondo perequativo di cui alla lett. c) deve essere non inferiore al valore degli stanziamenti di cui alla lettera a).

Art. 7 (Le quote regionali del fondo perequativo) 1. La determinazione delle spettanze di ciascuna Regione sul fondo perequativo tiene conto delle capacit fiscali da perequare, dei vincoli che risulteranno dalla legislazione emanata in attuazione della lettera m) del secondo comma dellarticolo 117 della Costituzione, nonch degli speciali criteri per il finanziamento delle spese associate alle finalizzazioni di cui al quinto comma dellarticolo 119 della Costituzione. 2. Per le spese derivanti dallo svolgimento di funzioni nelle materie regolate dalla citata lettera m) del secondo comma dellart. 117, le quote regionali saranno assegnate in relazione al costo dei livelli essenziali delle prestazioni definiti dal legislatore nazionale. 3. Per le spese rientranti nelle finalizzazioni di cui al quinto comma dellarticolo 119 della Costituzione, le quote regionali saranno assegnate in relazione ad indicatori di bisogno propri di ciascuna finalizzazione o anche in base ad indicatori generali degli squilibri economici e sociali. 4. Per le spese diverse da quelle previste dai commi 2 e 3, il riparto avverr in base ai seguenti specifici criteri: a) le Regioni nelle quali il gettito per abitante dei tributi propri supera per pi del 20 per cento la media nazionale dei gettiti regionali per abitante non partecipano alla ripartizione del fondo perequativo; b) il riparto tra le altre Regioni avverr in relazione allobiettivo di ridurre di almeno il 90 per cento le differenze interregionali nel gettito delle entrate tributarie regionali per abitante; c) nel computo delle quote spettanti alle singole Regioni, si dovr fare riferimento a indicatori di capacit fiscale che non considerino il maggiore o minore gettito rispetto ai valori medi o standard nazionali derivante dallesercizio dellautonomia tributaria regionale. 5. Nel primo triennio, le quote del fondo perequativo di cui al comma 2, possono essere assistite da vincolo di destinazione.

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LA FINANZA DEGLI ENTI LOCALI, I RAPPORTI FINANZIARI STATO-ENTI LOCALI E REGIONI ENTI-LOCALI Art. 8 (Coordinamento e autonomia tributaria degli enti locali) 1. La legge statale individua i tributi locali e ne stabilisce le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale. 2. Le leggi regionali fissano i limiti entro i quali gli enti locali dispongono di autonomia tributaria. Tali limiti non si applicano agli enti locali che non partecipano al riparto del fondo perequativo di cui al successivo art. 9. Il potere degli enti locali di intervenire sulla individuazione dei soggetti passivi, sulle regole di determinazione delle basi imponibili e sulla uniformit delle aliquote sulle diverse categorie di contribuenti pu essere esercitato subordinatamente al computo degli effetti sul gettito prodotti da tali modifiche. 3. Gli enti locali dispongono di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti su richiesta di singoli cittadini. 4. Entro due anni dalla adozione delle leggi regionali di cui al comma 2, ciascuna Regione pu assegnare ai Comuni del proprio territorio una compartecipazione al gettito statale dellIRPEF nella misura pari all1% della base imponibile dello stesso tributo. I trasferimenti statali ai Comuni della Regione sono ridotti in misura pari alla perdita di gettito per lerario. Art. 9 (I rapporti finanziari tra Stato ed enti locali) 1. Fino alla assegnazione delle funzioni amministrative ai sensi dellarticolo 118 della Costituzione, lo Stato concorre al finanziamento delle attivit di Province, Comuni e Citt Metropolitane attraverso un fondo perequativo il cui importo fissato inizialmente in misura pari alla somma di tutti i trasferimenti a favore degli enti locali come risultano dal bilancio di previsione dello Stato per lanno xxxx. La legge finanziaria determina lentit del fondo perequativo per gli anni successivi. 2. La distribuzione delle risorse del fondo perequativo agli enti locali, in relazione alla natura dei compiti svolti dagli stessi, avviene in base a tre distinti criteri: (a) la perequazione delle capacit fiscali, con peso pari al 20 per cento; (b) i fabbisogni standard connessi alle funzioni svolte, con peso pari al 70 per cento; (c) il concorso finanziario alle spese per investimento, con peso pari al 10 per cento. 3. La capacit fiscale dei singoli enti misurata con riferimento al gettito che arebbe prodotto da un ordinamento tributario nazionale di riferimento, uniforme per tutti i Comuni. Per consentire la corretta formulazione delle regole di perequazione, gli enti locali non possono introdurre scale locali di progressivit per i tributi propri derivanti da riserve di aliquota di tributi erariali. 4. I fabbisogni standard sono basati su una quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto delle caratteristiche territoriali, demografiche, sociali e produttive dei diversi enti. 5. Il concorso finanziario alle spese dinvestimento commisurato ai bisogni di infrastrutture nei principali settori di intervento degli enti locali (ad esempio, viabilit, acquedotti, scuole e fognature, ecc.)

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Art. 10 (Il ruolo delle Regioni nel sistema di finanza locale) 1. La legge regionale pu dettare particolari criteri per il riparto, tra gli enti locali situati nel territorio regionale, delle risorse finanziarie che lo Stato ha complessivamente assegnato agli stessi enti locali a titolo di fondo perequativo nellanno xxxx. Pu precisare i criteri di determinazione dei fabbisogni standard di cui allarticolo 9, comma 4, e i criteri da utilizzare per il sostegno degli investimenti. Non pu modificare i pesi indicati al comma 2 del precedente articolo 9 e i criteri per la misurazione della capacit fiscale. In mancanza della legge regionale il riparto avviene sulla base di legge nazionale. 2. Gli uffici statali attuano materialmente il trasferimento delle risorse finanziarie a favore degli enti locali, anche nel caso che le assegnazioni siano definite sulla base di criteri fissati dal legislatore regionale.

Art. 11 (Funzioni amministrative: assegnazione e finanziamento) 1. Le risorse finanziarie e le relative decisioni allocative per lo svolgimento delle attivit pubbliche e delle funzioni amministrative attribuite in attuazione dellart. 118 della Costituzione sono di propriet dello Stato o delle Regioni, in relazione alle rispettive competenze legislative. Fanno eccezione le risorse finanziarie statali destinate alle attivit di competenza degli enti locali al 1 gennaio xxxx. 2. Il finanziamento delle funzioni amministrative assegnate agli enti locali si attua, in via prioritaria, con lassegnazione di quote dei tributi propri dello Stato o delle Regioni. Se, in una determinata materia, le funzioni amministrative sono distribuite in modo non diffuso o non continuo sul territorio nazionale o regionale, il finanziamento pu assumere la forma tecnica di trasferimenti a carico del bilancio dello Stato o dei bilanci regionali.

Art. 12 (La fase transitoria) 1. I criteri di computo delle quote del fondo perequativo di cui ai commi 2 e 4 dellarticolo 7 si applicano a regime dopo lesaurirsi di una fase di transizione diretta a garantire il passaggio graduale dai trasferimenti finanziari iniziali basati sulla spesa storica sostenuta dallo Stato nelle singole Regioni nel xxxx ai trasferimenti determinati in base al costo dei livelli essenziali delle prestazioni o alla perequazione della capacit fiscale. Per le quote di cui al comma 2, lutilizzo dei relativi criteri di assegnazione avverr a partire dallanno successivo a quello in cui avviene leffettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali di prestazione, con una gradualit di applicazione estesa su un periodo massimo di x anni. Per le quote di cui al comma 4, lutilizzo dei relativi criteri di assegnazione avverr a partire dal secondo anno successivo a quello in cui avviene leffettivo trasferimento delle funzioni amministrative precedentemente svolte dallo Stato, con una gradualit di applicazione estesa su un periodo massimo di x anni.

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Cesare Mirabelli
Lintervento di Piero Giarda ci ha introdotto sulle risorse, sulle prestazioni, sullautonomia, leguaglianza, la tutela dei diritti civili e sociali, problemi fiscali e di spesa. Proseguiamo su questa strada, ascoltando ora Paolo De Ioanna.

Paolo De Ioanna Il titolo V della Costituzione: livelli essenziali e perequazione. Note e spunti alla luce della recente giurisprudenza costituzionale.
1. Lautonomia federalista materia molto delicata, da trattare in modo freddo, con un certo distacco che prescinda dalla nostra scala di valori; una questione che affonda le radici nel sentire profondo di una comunit, nella sua stessa ragione sociale. Punto cruciale di intersezione tra tecnica e politica: a mio modo di vedere lunico approccio possibile quello che muove da una rigoroso senso delle istituzioni democratiche. Al contempo occorre considerare che in questa fase di globalizzazione della rete economica laccento viene posto sullefficacia delle scelte di politica economica, allinterno delle singole economie; e tale efficacia viene posta in correlazione diretta con la fluidit , la chiarezza e la trasparenza del processo decisionale, a livello politico legislativo e a livello amministrativo.. La possibile linea di soluzione di questo conflitto latente tra integrazione democratica della ragione sociale ed efficacia del funzionamento delleconomia sta forse , come ci indicano una serie di recenti filoni di ricerca sul funzionamento delle istituzioni , nella ricerca della trasparenza, nella condivisione e nella responsabilit che devono segnare regole, procedimenti e metodi. Nella mia sintesi mi fermer su tre punti: a) un rapido esame della caratteristica strutturale della riforma costituzionale del 2001, che, a mio avviso, rimane inalterata, anzi si aggrava, nelle riforme in itinere: si tratta della scarsa protezione dellautonomia fiscale dei soggetti del sistema autonomistico e lutilizzo della formula della riserva di legge relativa ( legge dello Stato e legge della Regione) come luogo di soluzione di ultima istanza dei conflitti; b) le indicazioni che emergono dalla giurisprudenza della Consulta del biennio 2003-2004 ed i punti forti del processo di unificazione del sistema; c) le questioni che sarebbe bene affrontare nel prossimo futuro, a mio avviso, con legge ordinaria e con un confronto ispirato a quella leale collaborazione che deve attraversare, come un lubrificante costituzionale, tutti i meccanismi e gli snodi decisionali del sistema. La mia conclusione che al punto in cui siamo conveniente continuare ad operare , come ci indicava saggiamente il Costituente del 1947, con la formula della riserva di legge, integrandola con una robusta dose di accountability: trasparenza, responsabilit, condivisione e controllabilit dei metodi. E qui il Parlamento ha un ruolo cruciale da giocare.

2. I piloni di acciaio a cui va ancorato questo tema sono nella prima parte della Costituzione sono gli artt: 3 ( uguaglianza); 23 ( principi di legalit dei tributi); 53

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(capacit fiscale e progressivit). Si aggiunge lart. 81 ( equilibrio e copertura) che sta nel sistema di produzione della legge. Il Costituente aveva trattato questo tema con molta sapienza e realismo; aveva disegnato alla fine, col titolo V, una prospettiva dalle ampie potenzialit di decentramento fiscale, che poteva essere realizzata con la gradualit richiesta dal processo di coesione e convergenza del nostro sistema economico, fortemente duale. Le alterne vicende dellapplicazione del principio di copertura (81 Cost.), legate alla dinamica delle fasi politiche, hanno gi condotto, soprattutto a partire dal 1988, verso una forte razionalizzazione dei processi di decisione fiscale, rafforzando considerevolmente lindirizzo e la presenza del Governo in Parlamento.

3. Il federalismo amministrativo: un incipit promettente. A partire dal 1996 prende avvio nel nostro paese un processo di ripensamento e revisione delle formule e delle esperienze di autonomia, finanziaria ed amministrativa; disponiamo ora di un orizzonte temporale sufficientemente ampio per cercare di capire meglio che cosa si mosso e che cosa ancora alla ricerca di un punto di sintesi e di soluzione. Si accumulano aspettative: economisti; istituzionalisti; sociologi del diritto. Dalla programmazione ( anni 70) , al principio di sussidiariet ( anni 90); dalla prevalenza di un criterio di direzione dei processi, alla prevalenza di un criterio di coordinamento delle forze spontanee del mercato. Tra il 1997 ed il 2000, dopo il varo della tornata delle leggi delegate che attuavano il c.d. federalismo amministrativo (a costituzione invariata): l. 59/1997; dlg n. 112/1998; dlg. n. 56 del 2000, soprattutto tra gli ambienti pi innovativi che fanno impresa e finanza, laccento venne posto con forza sulle potenzialit riformatrici che questo processo apriva nelle direzioni dellinnovazione, della trasparenza e dellefficacia dellazione amministrativa; la legge n. 97 del 1999 sulla struttura del bilancio statale ed il decreto delegato n. 286 del 1999 sulla tipologia dei controlli, sembravano poter costituire la base di una ritrovata coerenza ed integrazione tra amministrazione attiva e gestione dei conti pubblici, la cui divaricazione era indicata da molti autorevoli studiosi come una delle cause di fondo della nostra crisi amministrativa. Con un approccio micro, si cercava di analizzare leffetto leva di queste possibili innovazioni amministrative; laccento viene posto sulla nuova organizzazione dei poteri che segner il processo di decentramento amministrativo; sul valore dei prodotti e dei processi immateriali legato allimpatto delle nuove tecnologie informatiche; e soprattutto viene posto sulla dinamica legata ai processi del partenariato istituzionale, processi che sembrano idonei ad incentivare la formazione di una nuova classe dirigente locale fortemente legata alle risposte concrete da dare ai bisogni espressi dalle collettivit e dalle imprese locali. Personalmente ero e rimango convinto che questo approccio, che definirei graduale e micro (dal basso), fosse molto realistico ed adatto ad aderire ai problemi reali del nostro sviluppo economico.

4. I compiti del presente. Per ragioni che gli storici poi ci spiegheranno, sul finire della predente legislatura e poi in questa, la classe politica italiana, di centro sinistra e di centro destra, si convinta che occorresse dare una base costituzionale a questo processo che si era avviato in modo promettente a costituzione invariata. Ora tocca ai gruppi dirigenti del nostro paese il compito di indicare in modo concreto e specifico che cosa si attendono dallo svolgimento del disegno costituzionale del titolo V in

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vigore. La nuova devoluzione in discussione davanti alle Camere mi sembra risponda ad un esercizio che complica e aggrava ulteriormente i problemi sul tappeto. Le riforme costituzionali (come le codificazioni) richiedono: tempi storici propizi; una classe politica in sintonia con i tempi; una classe di giuristi, istituzionalisti, economisti allaltezza del compito (R. Badinter, 2004, Le plus grand bien, Fajard). I costituenti del 1947, alla prova dei fatti, si sono mostrati del tutto allaltezza del loro compito storico. Il tempo ci dir se la riforma federalista, introdotta tre anni fa ed oggi manipolata, assolva alle tre condizioni prima indicate. E tuttavia innegabile che dopo tre anni di applicazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 ci troviamo di fronte ad un quadro complessivamente assai deludente sintomo di evidente incertezza e confusione dei modelli istituzionali ed autonomistici. A livello legislativo, non solo non sembrano emergere significativi mutamenti rispetto al periodo precedente nella produzione legislativa sia a livello statale che regionale, ma al tempo stesso la divaricazioni di opinioni fra Stato e Regioni evidentemente tanto accentuata da aver prodotto un significativo aumento del contenzioso costituzionale. (U. De Siervo, 2004). Le tecniche della legislazione fiscale ( entrata - spesa) dello Stato e delle Regioni sono rimaste del tutto invariate perch la base fiscale di questa legislazione non solo rimasta invariata ma ha fatto segnare un certo processo di neo accentramento, per cercare di governare la grave crisi della nostra finanza pubblica. Aggiungo che, a mio parere, tale aumento del contenzioso non tanto prodotto, come potrebbe apparire ad una prima lettura della giurisprudenza della Corte Costituzionale, sulla quale torner dopo, da una questione di mancanza di chiarezza nel riparto delle competenze legislative, questione che pure esiste, quanto invece da una permanente incertezza sul cuore di ogni sistema federale: lassetto fiscale. Incertezza che a mio avviso trae origine, in sostanza, dalla non scelta fatta dallart. 119 della Costituzione, in ordine alla struttura del finanziamento dei soggetti del sistema autonomistico, non scelta che permane del tutto immutata anche nella nuova tornata di revisioni costituzionali in discussione, anzi in un certo senso risulta sensibilmente aggravata, in ragione delle ulteriori competenze esclusive assegnate alle Regioni ( sanit, pubblica istruzione) in materie che toccano direttamente la struttura dei livelli essenziali , civili e sociali. Tale non scelta, uso questo termine perch non ho saputo trovarne di migliori, costituita dalla riproposizione mera della stessa tecnica e sostanzialmente degli stessi contenuti della riserva di legge relativa del precedente art. 119 Cost.; ed in materia fiscale ben noto che il carattere relativo della riserva di legge apre uno spazio delicatissimo ai regolamenti , alle circolari interpretative , alle direttive amministrative. La partita della definizione concreta dello schema generale di finanziamento del nuovo quarto comma dellart. 119 (compartecipazioni, tributi propri e fondo perequativo) rimessa alla mediazione-conflitto tra il legislatore statale e quello regionale, con alcune complicazioni di non poco momento, legate alla circostanza che il sistema di riparto delle competenze resta molto macchinoso e a volte oscuro: a) la perequazione e i livelli essenziali delle prestazioni di cittadinanza sono, come logico, collocati nella competenza esclusiva dello Stato; b) lo schema di finanziamento del quarto comma deve servire a finanziare, senza esclusioni, tutte le funzioni attribuite, in modo ordinario e corrente; c) il coordinamento dei bilanci pubblici e degli assetti plurilivelli del fisco, configurato come materia concorrente, nella quale lo Stato pu porre solo i principi generali; d) il Governo centrale responsabile nei confronti della UE del mantenimento degli obiettivi di convergenza europea; e) le Regioni tuttavia si possono indebitare

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per fare spese di investimento; f) il potere regolamentare , di norma, spetta alle Regioni e quello amministrativo, di norma, spetta ai Comuni. Un bel rebus. Tuttavia, occorre governare il presente e cercare di rendere pi efficiente e responsabile politicamente la spesa delle Pubbliche amministrazioni; la nuova dinamica istituzionale del titolo V comunque in marcia, e la Corte Costituzionale ce lo ha ben ricordato con una serie di importati decisioni, nel corso del 2003 e di questo 2004, rispondendo a questioni poste dalle Regioni. Chiarire quale sia il federalismo possibile e conveniente per il nostro sistema paese un compito pratico al quale i gruppi dirigenti non possono pi sottrarsi, avendolo a lungo, un poco retoricamente, molto auspicato e declamato e poco praticato. Questa situazione di sospensione delle scelte stata in un certo senso cristallizzata dallart 3, comma 1, della finanziaria per il 2003 che , come noto, nel sospendere lapplicazione delle addizionali Irpef a favore degli enti locali, ha fatto rinvio ad un futuro accordo tra Stato, Regioni ed enti locali sulle forme ed i modi dellattuazione dellart. 119, terzo comma della Cost.; cio dei modi di attuazione del federalismo fiscale. Nella presente riflessione cercheremo di mettere a fuoco quelle che ci sembrano essere le linee forti della pi recente giurisprudenza costituzionale in questa delicata materia, con specifico riferimento alle due questioni dei livelli essenziali e della perequazione: ci sembra il modo pi concreto per trovare conferme o smentite ad alcune indicazioni interpretative che sono emerse nei mesi successivi al varo della riforma del titolo V Cost. E per cercare di mettere a fuoco i compiti pi urgenti che pone la situazione presente.

5. Gli elementi costitutivi: modalit del prelievo obbligatorio e processi di innovazione normativa (teoria delle fonti). Il fatto realmente nuovo dellUnione Europea come istituzione il riconoscimento del diritto costituzionale (Convenzione europea e costituzioni nazionali) e delle posizioni giuridiche soggettive da esso riconosciute come regole giuridiche attivabili e tutelabili davanti ad una giurisdizione. La politica, in sostanza, limitata dal diritto e la Costituzione costituisce il diritto ed la regola suprema di una societ democratica. (L. Favoreu, La politique est saisie par le droit, Economica, Paris, 1988). Il federalismo, come abbiamo fatto cenno, una cospicua ed articolata teoria economica; ma soprattutto una concreta esperienza storica. La teoria spiega bene vantaggi e rischi del federalismo; lesperienza storica sembra dimostrare, a mio modo di vedere, soprattutto due cose: a) il federalismo attiene costitutivamente alle modalit del prelievo obbligatorio (tasse, imposte e contributi) ed alla distribuzione tra i livelli territoriali del relativo potere normativo ed impositivo: b) tale modalit si conforma sulla base di procedimenti di innovazione dellordinamento giuridico: legge e regolamento. Il federalismo, a prescindere dagli orientamenti valoriali impliciti in ogni posizione, sta allincrocio di questi due elementi: assetto del fisco e delle procedure di innovazione normativa. Ora, nel caso italiano, la Costituzione lascia ancora alla fonte legislativa ordinaria (riserva di legge relativa) la scelta dei criteri con i quali attuare lo schema di finanziamento generale dei soggetti federati: regioni, comuni, province e citt metropolitane (art. 119, quarto comma); mentre di regola attribuisce il potere regolamentare alle Regioni, intestandolo allo Stato solo per le materie di competenza esclusiva; mentre il potere di amministrare viene di norma intestato ai Comuni, alle province ed alle citt metropolitane. In questo contesto, quali che possano essere gli obiettivi di riforma che ogni soggetto politico legittimamente associa a questa revisione costituzionale, linterprete chiamato a porre alcuni

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paletti ragionevolmente chiari e condivisi. E chiamato a risolvere il rebus. Questo lavoro specialistico, possibilmente da condurre secondo modalit non enigmistiche, lavoro che limita i politici e le giurisdizioni, fatto dalla Corte Costituzionale. In conclusione, lorganizzazione del procedimento legislativo ordinario, statale e regionale, articola e imprime contenuti allo schema di finanziamento dei soggetti del sistema federale; in questa distribuzione di piani legislativi e di determinazione dei possibili contenuti dellautonomia normativa, la Costituzione e la sua interpretazione devono comunque poter porre alcuni principi limite. Si tratta, in definitiva, di comprendere quali sono gli interessi socio economici profondi che tendono a far coincidere o comunque ad avvicinare le responsabilit politico decisionali relative al prelievo tributario ed alla spesa pubblica. Le domande alle quali occorre cercare di rispondere, per capire la reale natura di un assetto ispirato al federalismo fiscale, sono probabilmente queste: a. quale il livello di organizzazione politico-rappresentativa al quale vengono stabiliti i presupposti giuridici (autonomia normativa) che configurano lobbligazione a pagare le tasse, le imposte e i contributi (area del prelievo obbligatorio); b. quale il livello di organizzazione politico-rappresentativa che stabilisce in che modo debbano essere utilizzate le risorse coattivamente prelevate dalla collettivit; c. il livello politico-rappresentativo che mixa entrate e spese pu anche fissare in modo discrezionale il livello del disavanzo e, quindi, la quantit di risorse che chiede in prestito ai circuiti monetari (a breve) e finanziari (a medio/lungo termine). Purtroppo le soluzioni incorporate nel titolo V vigente non danno soluzioni univoche a questi nodi. Sostanzialmente rimettono alla sintesi della legge ordinaria, ed alle maggioranze che esprimono di volta in volta questa sintesi le possibili soluzioni unificanti. In un sistema maggioritario con deboli garanzie costituzionali, per le autonomie territoriali e per le opposizioni, come oggi il nostro, questa situazione mi sembra che non migliori la competitivit della nostra economia sotto il profilo della trasparenza e della fluidit del processo decisionale. Lunica concreta applicazione fin qui apprezzabile di criteri di federalismo fiscale (il dlg n. 56), assai tormentata e controversa, mi sembra dimostri a pieno la complessit di questi temi. N mi sembra che i molteplici, complessi ed intrecciati livelli di produzione legislativa previsti dalla riforma costituzionale in discussione semplificano le cose: appare compito assai arduo affidare la tutela costituzionale delle posizioni autonomistiche dei soggetti del federalismo non ad una chiara definizione delle basi imponibili di riferimento ( modello tedesco), ma allo schermo di una tipizzazione degli iter delle diverse tipologie di leggi ordinarie della Repubblica, tipologie che dovrebbero garantire iter coerenti con i diversi piani di competenze. Soluzione assai complicata e comunque elusiva in ogni caso della questione fiscale, che sta al fondo di ogni sistema di autonomia federale. E puro esercizio nominalistico definire plurale o duale un sistema fiscale nel quale, sia pure attraverso iter legislativi assai complicati, il Governo e la sua maggioranza possono in ultima analisi riprendersi tutti i poteri. Nella presente riflessione si cercher di riprendere il nesso, sistematico ed interpretativo, che si instaura tra il nuovo titolo V e la restante parte del testo costituzionale, con specifico riferimento alle questioni: a) dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il

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territorio nazionale; b) delle modalit con cui viene garantita la perequazione delle risorse finanziarie: art. 117, comma secondo, lettere e) ed m). In estrema sintesi, la tesi che si sostiene, anche alla luce degli orientamenti della Corte Costituzionale, che i processi di unificazione del sistema positivo posto dal vigente titolo V sono certamente trattabili con meccanismi di interpretazione giuridico costituzionale: obblighi derivanti dallordinamento comunitario;

riparto plurilivello delle materie ed individuazione delle c.d. materie non materie e delle competenze finalistiche che designano non loggetto della competenza, ma i fini o gli obiettivi che si intendono raggiungere; unit dellordinamento giuridico ed economico; materie di competenza esclusiva statale.

Tuttavia questi strumenti di unificazione della prassi interpretativa, che vanno utilizzati e valorizzati sulla base del fondamentale insegnamento della Consulta, non sono del tutto risolutivi. Infatti, la questione cruciale resta quella dellattuazione dellart. 119 della Costituzione; resta quella fiscale, nei termini che prima indicavo. In questo contesto, il coordinamento finanziario richiamato dall'art. 119 Cost, deve essere svolto attraverso la concreta articolazione dei livelli essenziali e della perequazione, prima richiamati; e lo svolgimento di questi criteri, a sua volta, va continuamente attualizzato e risolto sulla base dei principi dell'equilibrio generale dei bilanci pubblici e della responsabilit del decisore politico (Governi nazionale e regionali - Parlamento - Consigli regionali) nell'utilizzo delle risorse prelevate coattivamente dalla collettivit; ritorna cos in gioco lart. 81 Cost., quale norma sulla produzione di norme, rivolta alla organizzazione del procedimento legislativo con effetti, diretti e valutabili, sugli equilibri di finanza pubblica: si torna quindi anche per questa via alla questione della funzione della riserva di legge e dellorganizzazione del sistema delle fonti normative. Infine, il coordinamento va letto ed ancorato ai diritti di libert e di solidariet sociale, che costituiscono la struttura giuridica che fa da base a tutta la costruzione costituzionale, secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale.

6. Le indicazioni della recente giurisprudenza costituzionale. La Corte Costituzionale, con una serie di decisioni adottate tra il 2003 ed il 2004, tutte provocate da ricorsi proposti dalle Regioni, ha iniziato ad indicare i contorni entro i quali deve svolgersi il lavorio interpretativo del legislatore per dare attuazione al titolo V. Partiremo da un rapido esame dei punti salienti di queste pronunce in materia di interpretazione dellart. 119 Costituzione per poi tornare alla questione dei metodi e dei contenuti da adottare per la determinazione dei livelli essenziali. Questa linea forse ci consente di porre subito le questioni pratiche che sono sul tappeto e con le quali deve fare i conti il governo nazionale e tutta la classe politica. I passaggi di fondo di questo insegnamento possono forse cos riassumersi: a) i poteri normativi delle regioni (legge) e degli enti locali (regolamenti) in materia fiscale risultano sterilizzati fino a quando lo Stato, con legge di principio, non avr determinato i criteri generali del coordinamento (nn. 296/2003; 297/2003; 311/2003; 241/2004); in questa fase transitoria rimane precluso alle

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Regioni la potest di legiferare su tributi esistenti, istituiti e regolati con legge dello Stato (37/204); b) le funzioni pubbliche regionali e locali devono essere integralmente finanziate attraverso i proventi dello schema generale stabilito dal quarto comma dellart.119 (compartecipazioni, tributi propri e fondo perequativo); i finanziamenti speciali ( di natura perequativa), di cui al comma quinto, sono costituiti da risorse eventuali ed aggiuntive che non devono interferire con lo schema di finanziamento dellesercizio normale delle funzioni trasferite; (370/203; 16/204; 49/2004); dunque, gli interventi speciali previsti dal quinto comma debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale delle funzioni normali e riferirsi a finalit di perequazione e di garanzia diverse dal normale esercizio e debbono essere indirizzati a determinati enti o categorie di enti locali. c) A regime lossatura del nuovo sistema tributario dovr prevedere per ciascun livello di governo un mix tra risorse proprie, compartecipazioni e trasferimento dal fondo perequativo, assumendo come guida il parallelismo tra responsabilit della disciplina e responsabilit finanziaria (n. 17/204). Si tratta in sostanza della interpretazione sostanziale del principio di copertura finanziaria responsabile, a cui abbiamo prima fatto riferimento. d) I poteri di coordinamento che costituiscono il riflesso interno dei vincoli comunitari (Patto di stabilit interno) consentono notevoli e penetranti poteri di intervento al livello centrale (n. 376/2003), anche se vanno evitati interventi marcatamente dirigistici e lesivi dellautonomia (n. 4 e 36 del 2004). Di conseguenza sono inibite forme di legislazione statale che si configurino come finanziamento diretto (per esempio attraverso un fondo iscritto nel bilancio statale) di funzioni riconducibili alla competenza ordinaria delle regioni e degli enti locali; In particolare (vedi sent. n. 241 del 7 luglio 2004), la Corte ha ribadito che premessa necessaria affinch lart. 119 Cost. possa essere attuato il previo intervento statale: la legge statale, al fine del coordinamento della finanza pubblica, dovr non solo fissare i principi generali ai quali i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche definire gli spazi ed i limiti entro i quali potr essere esercitata la potest impositiva, rispettivamente di Stato, Regioni ed enti locali, definendo altres i criteri entro i quali dovr svolgersi la fase transitoria. Si tratta della stessa linea chiaramente indicata nella sent. n. 37 del 2004. Non ammissibile - osservava la Corte - in materia tributaria una piena esplicazione di potest regionali senza la normativa statale di coordinamento, senza la quale precluso alle regioni di intervenire, se non nei limiti gi attualmente riconosciuti. Fermo peraltro il divieto di procedere in senso inverso, cio di sopprimere, senza sostituirli, spazi di autonomia gi riconosciuti dalle leggi statali in vigore. e) Quanto poi alla linea interpretativa dellart. 119, commi terzo, quarto e quinto, la Corte ha chiaramente indicato che gli interventi previsti dal comma quinto, con finalit di perequazione speciale, non solo devono risultare aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale delle funzioni spettanti ai soggetti del sistema federale, ma devono riferirsi a finalit specifiche, diverse dal normale esercizio delle funzioni, ed essere indirizzati a categorie ben determinate di soggetti.

7. La perequazione Il contesto della pi recente giurisprudenza costituzionale, sommariamente ricostruito,consente di tornare sul tema della perequazione. La perequazione ha come scopo quello di eliminare o ridurre (il punto cruciale ai fini ricostruttivi ) le differenze nella capacit fiscale per abitante. Si osservato che la perequazione sembra ora non essere pi condizionata ai bisogni delle

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regioni, per adempiere le loro funzioni normali, ma alla eliminazione-riduzione delle differenze nella capacit fiscale degli abitanti delle diverse regioni. Se si accetta la tesi della riduzione (e non della eliminazione) della diversa capacit fiscale, si dovrebbe concludere che le funzioni pubbliche attribuite alle regioni possono essere assolte con diversit di offerta, maggiore nelle regioni pi ricche, minore in quelle relativamente meno dotate . Il comma quarto dellart. 119 Cost. stabilisce, come abbiamo visto,che le funzioni attribuite alle regioni (e ai comuni, alle province ed alle citt metropolitane) devono essere integralmente finanziate con: a) tributi ed entrate propri; b) compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio;

- c) assegnazioni, senza vincoli di destinazione, a valere sul fondo perequativo istituito per (ridurre o eliminare) le differenze nelle capacit fiscali per abitante. Secondo le indicazioni della richiamata giurisprudenza costituzionale, le funzioni normali attribuite alla competenza, concorrente ed esclusiva, delle regioni, (ed alla competenza degli altri enti territoriali), devono trovare integrale finanziamento nella somma delle tre fonti prima indicate. E tali funzioni normali comprendono i livelli essenziali ma si riferiscono anche a tutte le funzioni attribuite. A contrario, il fondo perequativo concorre al finanziamento di tutte le funzioni attribuite e non solo al finanziamento dei livelli essenziali : diversamente si annullerebbe la natura non finalizzata e indistinta del fondo. Il fondo perequativo funziona o dovrebbe funzionare in modo diverso dal vecchio fondo: secondo alcuni, il gettito dei tributi propri e delle compartecipazioni dovrebbe essere assegnato direttamente alle regioni dove i gettiti sono prodotti, anzich affluire ad un fondo accantonato sul bilancio statale. Sembra invece pi coerente con la formula perequativa, prevedere che lassegnazione delle risorse compartecipate alla disponibilit dei bilanci regionali avvenga solo dopo lapplicazione di una formula di perequazione che le renda nette di quella quota che va a finanziare direttamente il fondo di perequazione. In particolare, appare ragionevole sostenere che i tributi propri, che tendenzialmente vanno a coprire le competenze esclusive delle regioni, vengono riscossi e resi disponibili immediatamente per lattivit di spesa delle regioni. Sono le compartecipazioni ai tributi erariali che vanno ripartite secondo una formula che tenga conto del maggior gettito prodotto nelle regioni pi ricche e che incorpori direttamente una funzione di perequazione, che dovr far affluire parte di queste risorse al fondo perequativo, dal quale verranno poi assegnate alle regioni, senza vincolo di destinazione. Si delinea sul modello tedesco, una formula di perequazione che sta a met strada tra quella orizzontale e quella verticale. La perequazione non orizzontale perch non avviene attraverso trasferimenti diretti tra le regioni; non interamente verticale, in quanto ci sono entrate proprie che vanno direttamente ai bilanci regionali ed il diritto delle regioni a vedersi attribuita la compartecipazione ai tributi erariali costituisce la ragione che giustifica lintervento della perequazione statale. Tuttavia tale perequazione opera a monte, anche della assegnazione delle risorse in compartecipazione alle regioni: e dunque per questo che anche sotto il profilo tecnico, la perequazione deve rimanere un compito dello Stato. In sostanza, il meccanismo perequativo opera allo scopo di realizzare l'integrale finanziamento delle funzioni attribuite alle Regioni e tale finanziamento include, in via normale, la garanzia dei diritti essenziali civili e sociali, secondo la formula del 117, secondo comma, lett. m. In altri termini, le risorse finalizzate ed aggiuntive, di cui al comma quinto del 119, giocano come elemento aggiuntivo, a fronte di

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situazioni particolari che richiedono l'intervento della fiscalit generale, ma non entrano a comporre l'effetto normale della perequazione che rimane un compito esclusivo della legge statale proprio perch deve fare da cerniera con i livelli essenziali e dunque con la restante parte della Costituzione. In altri termini ancora, la perequazione deve servire proprio a garantire, in via fisiologica, anche i "livelli essenziali". Il riferimento al profilo territoriale indica che deve esservi un qualche rapporto chiaramente ricostruibile tra il gettito compartecipato e le basi imponibili regionali da cui il gettito trae origine; ci pu evidentemente consentire differenze, anche di un certo rilievo, nella componente compartecipazione tra le diverse regioni, ma non implica che tale componente debba rimanere esclusa dal meccanismo della perequazione. La formula di attribuzione dei tributi in compartecipazione pu ben scontare, quale prius operativo, una formula di perequazione che tenga conto delle diverse capacit fiscali, e contribuisca direttamente alla alimentazione del fondo perequativo; con un meccanismo del tipo dello scorporo attuale della quota dell'IRAP che va ad alimentare il fondo di perequazione della spesa sanitaria. Il punto sta nello stabilire se la formula di perequazione deve solo ridurre o deve eliminare le differenze nella capacit fiscale per abitante. In sostanza, il testo costituzionale in esame sembrerebbe aprire la strada, secondo alcuni, sia ad un modello di federalismo descritto come forte, e dunque tendenzialmente aperto ad una rilevante divaricazione tra le prestazioni pubbliche e il suo correlato della spesa pubblica per abitante, divaricazione che riflette ed amplifica le diversit nella capacit fiscale delle diverse regioni, sia ad un modello di tipo cooperativo o solidaristico, che mira ad assicurare in via prioritaria una (pi o meno) elevata eguaglianza fra i cittadini, indipendentemente dalla regione di residenza, attraverso una robusta azione perequativa dei gettiti fiscali: solo dopo che questo obiettivo stato raggiunto possibile garantire differenziazioni locali6.

8. La soluzione costituzionale quella del federalismo solidale. Sono possibili differenze nella capacit fiscale, e dunque nella offerta pubblica tra le regioni, ma solo dopo che leffetto combinato dei tributi propri, delle compartecipazioni ai tributi erariali e delle assegnazioni dal fondo perequativo, consentano a tutti gli abitanti di tutte le regioni di godere delle prestazioni essenziali concernenti i diritti sociali e civili che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. In altri termini, la competenza esclusiva dello Stato in materia di livelli essenziali e di perequazione finanziaria, rende possibile un coordinamento concorrente della finanza pubblica, tra Stato, regioni ed enti locali che incorpori diversit nellofferta

6 Lart. 8 della legge n. 281 del 1970 (che attuava il vecchio art. 119 Cost.) prevedeva che le quote dei tributi erariali affluissero ad un fondo nazionale e che questo fondo - un vero e proprio fondo perequativo - venisse ripartito per 6/10 in proporzione alla popolazione residente, per 1/10 in relazione alla superficie e per il restante 3/10 in base al tasso di disoccupazione, al tasso di emigrazione ed al reciproco del reddito regionale per abitante. In effetti, nei primo anni il riparto dei tre decimi del fondo avvenuta ponendo molta attenzione alla distribuzione regionale della spesa storica, corrispondente alle funzioni statali trasferite a far corso dal 1972. Il decreto delegato n. 56 del 2000 ha stabilito una formula di assegnazione delle risorse statali alle regioni che d un peso pari al 60 per cento alla perequazione delle capacit fiscali, con un coefficiente di riduzione delle riduzioni delle differenze nei gettiti dei tributi propri regionali pari al 90 per cento e un peso del 40 per cento allindicatore dei bisogni sanitari, con una lunga fase di transizione per labbandono del modello di spesa storica esistente nel 2001.

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regionale e locale di servizi pubblici, ma solo dopo che il sistema fiscale nel suo complesso risulti conformato in modo da garantire i livelli essenziali. I contributi speciali, ai sensi del quinto comma dellart. 119 Cost., sono esterni a questo meccanismo ordinario di perequazione e riguardano situazioni ed aree territoriali per le quali permane storicamente una situazione economica e sociale di svantaggio. Dunque, i livelli essenziali sono la chiave di volta del sistema e giocano in modo preventivo ed esterno rispetto alla determinazione dei meccanismi di perequazione e coordinamento tra Stato, regioni ed enti locali. In altri termini, la compartecipazione ai tributi erariali e la perequazione devono operare a valle delle determinazione dei livelli essenziali. La compartecipazione e la perequazione non possono essere realizzate in modo da compromettere o addirittura da non rendere possibile lesercizio delle funzioni assegnate alla competenza esclusiva dello Stato e che attengono alle garanzie di uguaglianza e degli inderogabili doveri di solidariet (art. 2 e 3 Cost.). Le regioni possono autodeterminare il livello delle funzioni loro attribuite nelle materie concorrenti, ma dentro un vincolo di equilibrio finanziario posto dalla preventiva definizione di formule di compartecipazione e di perequazione idonee a consentire il preventivo finanziamento, a carico della finanza statale dei livelli essenziali" su tutto il territorio nazionale. Lo spazio per possibili divaricazioni nel livello delle funzioni e dei servizi resi dalle regioni nelle materie a competenza esclusiva o concorrente correlato inversamente alla ampiezza (qualit e quantit) dei livelli essenziali: cio al nucleo di diritti di cittadinanza che si ritiene debbano dare corpo e sostanza alla comune appartenenza ad una stessa comunit pubblica. E lo Stato rimane il garante della concreta articolazione e attuazione di questi diritti sociali e di libert e del loro reciproco: lobbligazione tributaria. E il sistema fiscale dello Stato che deve essere comunque conformato in modo da garantire questo assetto di diritti e doveri di solidariet, pur in una articolazione fortemente decentrata nei profili di autonomia impositiva e normativa. Il ruolo di coordinamento dello Stato entra in gioco solo dopo e in quanto l'ordinamento finanziario nel suo insieme sia in condizione di assicurare la sostenibilit finanziaria dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale. Ed per assicurare tale sostenibilit finanziaria (quella che abbiamo chiamato una condizione necessaria di interpretazione dell'art. 81 Cost.) che restano alla competenza esclusiva dello Stato le materie di cui abbiamo discusso. Ancora di recente, anche a livello governativo, stata sottolineata con forza l'esigenza di una forte unit e coesione interpretativa nelle regole che presiedono all'equilibrio dei bilanci degli enti che compongono il settore Pubblica Amministrazione, nella versione dei conti europei. Si detto che un assetto di tipo federale in un certo senso richiede un maggior grado di rigore e di coordinamento nell'applicazione delle regole di copertura finanziaria, ai sensi dell'art. 81 Cost. Si tratta di affermazioni del tutto condivisibili, e del resto da tempo gi sviluppate: ma esse, per essere coerentemente svolte, richiederebbero la definizione di un quadro stabile, organico e chiaro di regole di coordinamento, in qualche misura un poco al riparo dai mutevoli cambi di indirizzo nelle maggioranze del governo nazionale: in altri termini, le regole di fondo sul coordinamento e sulla trasparenza e sulla confrontabilit dei bilanci degli enti territoriali ad autonomia finanziaria costituzionalmente protetta, dovrebbero trovare una sede normativa tendenzialmente stabile, in una legge cornice, di tipo organico. Come abbiamo gi osservato, sostanzialmente questa la ragione per la quale nellart. 117 Cost. armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento fiscale

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sono insieme e formano un blocco di materie unitariamente assegnato alla competenza concorrente. Una mera definizione di un meccanismo procedurale e legislativo che rinvii dal Documento di programmazione economico finanziaria , votato dalle Camere, alla annuale legge finanziaria dello Stato, ribattezzata per loccasione legge di stabilit, appare un artificio nominalistico: si evoca il nomen della legge di stabilit della Repubblica federale di Germania, ma si immagina un ennesimo strumento di semplificazione e riduzione delle complessit che intimamente in contraddizione con la funzione di garanzia e di equilibrio istituzionale che una legge cornice dovrebbe assolvere in materia concorrente. Nella Repubblica federale di Germania la legge di stabilit opera come cornice federale, interposta tra la legge fondamentale e le annuali leggi di bilancio, ed assolve proprio alla funzione di dettagliare i precetti costituzionali, a protezione e stabilizzazione delle aree di competenza statale e di quelle di competenza dei Laenders, dei Comuni e delle altre comunit territoriali.

Una conclusione ( molto) provvisoria. Il coordinamento materia concorrente: diviene cruciale declinare il limite tra larea del coordinamento generale, che spetta alla Stato, e che si aggancia ai principi generali del sistema, e larea del coordinamento che residualmente spetta alle Regioni, anche nei confronti degli enti locali operanti sul suo territorio. Ora, a mio avviso, coglie nel segno quella linea di pensiero ( Fantozzi, 2004) che situa la funzione politico istituzionale della riserva di legge ( art. 23) sulla frontiera del principio democratico per cui la disciplina del tributo demandata alla collettivit locale alla copertura delle cui spese il tributo concorre : le due riserve di legge ( art. 23 e art. 81 Cost. : legalit dei tributi e copertura finanziaria) , hanno una stessa convergente funzione politico istituzionale . Ma se cos, tutti i tentativi di declinare in astratto i contenuti delle due aree del coordinamento, per quanto utili a far evolvere ed assestare il sistema, non riusciranno ad esprimere rilevanti contenuti di limitazione normativa fino a quando il principio di auto imposizione non si misurer nel concreto, con le scelte di attuazione dellart. 119 Cost. Solo alla luce di tali scelte potr risultare in concreto possibile capire a quale livello di tipicit/ rigidit (dettaglio/ analiticit) deve intervenire il comando legislativo statale nei confronti di quello regionale e quello regionale nei confronti della fonte regolamentare affidata allente locale: comune, provincia e citt metropolitana. In altri termini, il carattere relativo della riserva di legge dellart. 23 , assume una sua concretezza di lettura, nel doppio versante Stato-Regioni e Regioni- Comuni, solo dopo che si scioglier la scelta delle basi imponibili da compartecipare e della funzione del fondo di perequazione. In sostanza, mi sembra confermato che la tecnica della riserva di legge del nuovo art.119 riproponga la stessa metodologia del vecchio art. 119 Cost; tuttavia lo strumento formale questa volta chiamato a dirimere un problema di soluzione dello schema di copertura di funzioni pubbliche non derogabili le cui dimensioni quantitative sfiorano il 40% della spesa pubblica finale, al netto delle operazioni finanziarie, e la cui attribuzione ai diversi livelli di potere appare ancora alquanto problematica; in questo contesto, la prudenza e la cautela della Corte Costituzionale mi sembrano segno di grande saggezza istituzionale; soprattutto se si considera che la ventilata riforma della riforma ampia le funzioni esclusive delle Regioni, lasciando immutato lart. 119 Cost; dunque aggiunge problemi a quelli tuttora irrisolti. E soprattutto la Consulta indica con chiarezza che i due limiti interni al sistema che dovrebbero aiutare ad individuare le basi imponibili pi appropriate sono: a) luguaglianza del livelli essenziali; b) la funzione della

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perequazione che deve intrinsecamente tendere a livellare le capacit fiscali. Mi sembra questo il senso della giurisprudenza della Corte Cost. al quale bene ancorarsi viste le perduranti incertezze ed i conflitti assai rilevanti ancora aperti ed irrisolti. In sostanza, a livello costituzionale ( norma ed interpretazione sistemica) si tratta di chiarire bene i seguenti profili: a) con riferimento a quali basi imponibili la nuova autonomia finanziaria che si intende riconoscere agli enti territoriali italiani (regioni, comuni, province, citt metropolitane) intreccia autonomia impositiva ed autonomia normativa; (legge, statale e regionale e regolamenti); b) in che modo questa autonomia protetta dalle inevitabili oscillazioni degli indirizzi delle maggioranze prevalenti; in altri termini quale disponibilit abbiano le maggioranze degli assetti normativi che danno corpo all'autonomia fiscale di cui discutiamo, e che costituisce il cuore del federalismo; c) se e con quali strumenti il sistema delle autonomie possa pesare e far valere i propri interessi nella elaborazione delle normative statali (meglio "repubblicane") che coordinano interessi generali della Repubblica ed interessi territoriali; d) quali nessi, interpretativi e pratici, legano le soluzioni disegnate nel Titolo V alla restante parte della Costituzione, che rimasta invariata e che fa perno sul carattere sostanzialmente democratico degli istituti repubblicani e sulla ampia, strutturata e profonda articolazione di diritti individuali e sociali, di libert ed economici.

Nel nostro sistema una tale operazione andrebbe condotta a livello di legge ordinaria dello Stato, svolgendo in modo unitario e coordinato tre ordini di questioni: - una rivisitazione delle procedure di formazione e di rappresentazione contabile dei documenti di bilancio dello Stato , raccordata con i bilanci delle regioni e degli altri enti territoriali; un diverso formato della decisione crea le condizioni di base per ladeguamento dello stesso formato tecnico della legislazione di entrata e di spesa; ( prime indicazioni della giurisprudenza costituzionale e consultiva del Consiglio di Stato); - una disciplina dello schema generale di finanziamento di questi soggetti: compartecipazione; tributi propri; fondo perequativo; - una ricognizione delle modalit con le quali la legge statale definisce ed adegua dinamicamente i livelli essenziali delle prestazioni di cittadinanza. Rimane sullo sfondo la questione della disciplina di una sede politico rappresentativa, di coordinamento e concertazione, dove le Regioni possano far valere i propri interessi, superando lattuale assetto del sistema delle conferenze, del tutto inadeguato a gestire la dinamica dei conflitti tipica di un sistema di decentramento federale. Anche qui mi sembra pi saggio partire da una forte valorizzazione delle Conferenze unificate e della apposita Commissione bicamerale permanente per le questioni regionali, nella composizione voluta dallart. 11 della legge cost. n. 3 del 2001.

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Cesare Mirabelli
Grazie a Paolo De Ioanna che ci consegna tra laltro alcuni interrogativi. Ci muoviamo verso un sistema semplice e definito, come sarebbe da auspicare, o complesso e indefinito? Complesso non significa complicato, al di l dellassonanza delle parole, i contenuti sono diversi. Quali gli strumenti di raccordo finanziario tra bilancio dello Stato e bilancio delle Regioni? Ci muoviamo adesso su una linea che verr sviluppata da Pia Saraceno, che vedr come possibile rendere coerente la fiscalit locale con le competenze assegnate agli enti territoriali.

Pia Saraceno Le risorse per il federalismo: quali prospettive?


1. Lattribuzione di pari legittimit costituzionale attribuita a tutti i livelli di Governo e la previsione in Costituzione del principio di sussidiariet, evidenziano come con la riforma del Titolo V lautogoverno degli enti decentrati assuma un ruolo decisamente pi ampio rispetto al quadro istituzionale precedentemente in vigore. La devoluzione quando assume proporzioni rilevanti pone tuttavia un serio problema di discontinuit istituzionale che per le ragioni stesse che hanno portato ad un sistema decentrato si accompagna a conflitti distributivi e di attribuzione, di cui solo in parte le nostre Istituzioni sono parse consapevoli e preparate. Conflitti che risultano nei fatti amplificati dalla mancanza di studi sugli esiti prevedibili ex ante e da una preparazione e discussione seria ed approfondita delle conseguenze possibili del percorso intrapreso. Ci ha reso pi complesso il percorso di attuazione della riforma, mentre le ambiguit dimpostazione, le eredit dellassetto di finanza pubblica e la difficile implementazione dei meccanismi perequativi predisposti prima della riforma costituzionale hanno di fatto sospeso il decentramento gi avviato prima della riforma del 2001, smantellando i margini di autonomia che erano stati concessi.

2. A tre anni dallapprovazione del nuovo dettato costituzionale restano ancora aperte, tra le altre, le questioni che riguardano: - la conoscenza dellammontare di spesa in gioco e la sua distribuzione tra le regioni. Il problema della mancanza di basi informative affidabili ancora alla base di continui equivoci tra: i) costi della devoluzione (della transizione verso una diversa organizzazione dello Stato ed eventualmente dei maggiori costi di coordinamento che il decentramento della spesa comporta) su cui non stata tentata in via preliminare non solo nessuna stima quantitativa ma nemmeno nessun ragionamento da parte dei decisori politici, e ii) ammontare delle spese devolute, su cui le valutazioni e stime abbondano, ma sono non omogenee e spesso discordanti tra loro; - il grado di uniformit che si vuole garantire e, quindi, se con la devoluzione si vuole giungere ad una certa differenziazione delle prestazioni che gli enti offrono ai loro cittadini ed in base a quale processo essa pu essere determinata; - il grado di autonomia finanziaria conseguentemente che pu essere assegnato agli enti periferici, che dovrebbe essere correlato al grado di differenziazione

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accettabile nella fornitura dei servizi che rientrano nelle competenze degli enti decentrati; - la ricerca del punto di equilibrio del trade-off tra art. 119 (che stabilisce lautonomia finanziaria degli Enti decentrati) e art. 117 (che assegna allo Stato il compito di definire i livelli essenziali di prestazione per le prestazioni che passano alla competenza degli Enti decentrati, ma che rientrano nei diritti costituzionalmente garantiti). La ricerca di un punto di equilibrio risulta tanto pi difficile in quanto il carattere dualistico delleconomia italiana rende particolarmente ampio il divario tra le capacit di finanziamento dei diversi enti territoriali.

3. I problemi dimplementazione del nuovo assetto organizzativo dello Stato, nato con lapprovazione del nuovo Titolo V, non erano imprevedibili anche perch alla domanda di fondo se la scelta costituzionale di un assetto federale fosse adatta alla realt italiana, dove persiste un forte dualismo delleconomia, non mai stata data una risposta. Ed anche la teoria del resto ci aveva messo in guardia: il federalismo politico e fiscale di principio pu avere una valenza democratica superiore solo se inserito in ambienti sociali evoluti ed in economie prive di un dualismo esteso e profondo, dove lo status di cittadinanza nazionale vincola lautonomia degli enti decentrati. Quando il processo mal disegnato e conflittuale, sono probabili fughe in avanti, nelle decisioni prevalgono issues circoscritte e locali, sostenute dalla pressione di gruppi dinteresse. Se non vengono chiariti i termini dellequilibrio del trade- off tra sussidiariet e diritti di cittadinanza e se le istituzioni operano in assenza di regole, il vuoto decisionale indotto dal moltiplicarsi dei centri decisionali allontana dallobiettivo ed aumentano i costi sociali del cambiamento.

4. La riforma della riforma costituzionale nellultima versione oggi in discussione in parlamento (la terza) non affronta il cuore del problema. Con lattribuzione alle regioni in materia di istruzione ne amplifica anzi la portata. AllAlta commissione il compito di fare chiarezza e proporre soluzioni sulle questioni cruciali: cifre in campo, strumenti idonei per garantire il finanziamento e lautonomia finanziaria, strumenti idonei per garantire il controllo del rispetto degli equilibri finanziari. E un percorso a ritroso che assegna ex-post ad un organo tecnico il compito di valutare le conseguenze delle decisioni politiche, in uno spazio tuttavia sovradimensionato di vincoli. Ci si attende per almeno una dimensione quantitativa pi affidabile ai numeri in campo ed indicazioni sui margini di manovra possibili.

5. Le eventuali proposte non potranno comunque prescindere anche dalla lettura delle esperienze straniere dove sono in corso riforme non marginali. Alcune evidenze potrebbero dare alcune linee guida per inquadrare le possibili soluzioni. In particolare alcune risultati dalla ricerca condotta da REFORME hanno segnalato come: - nella maggior parte dei paesi europei (unica eccezione Olanda e paesi nordici) vi sia una generale crescita della spesa periferica e la diminuzione del peso delle entrate autonome necessarie per finanziarle; - pur nella diversit, vi un esteso e profondo accentuarsi della dimensione cooperativa e della sovrapposizione di funzioni (cooperativismo verticale del federalismo e accompagnata dalla diffusione di agenzie funzionali e dallaumento delle dimensioni degli enti locali);

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- un grado intermedio di decentramento sarebbe il pi opportuno per la crescita. Risultato non nuovo e di buon senso: con laumentare del decentramento crescono infatti le ragioni che richiedono lintervento nazionale ed i costi di coordinamento tra i diversi livelli di Governo; - vi da affrontare il trade-off di difficile ma non impossibile soluzione: se lattivit decentrata limitata la si pu finanziare con prelievi autonomi. Se elevata sembra conseguente una certa perdita di autonomia e lo strumento pi appropriato diventa la partecipazione a grandi imposte nazionali; - allaumento delle funzioni decentrate una parte della perequazione dovrebbe essere svolta da trasferimenti verticali per compensare specifiche carenze locali di infrastrutture e servizi.

6. In attesa di basi informative pi affidabili sullammontare della spesa da devolvere e sulle modalit operative con le quali si dar attuazione, qualche ragionamento sulla complessit del tema possiamo tentarla a partire dai dati oggi noti. Un giudizio sintetico del resto facilmente desumibile da dati di fatto: la capacit delle attuali risorse nel soddisfare le esigenze della devoluzione piuttosto modesta. Il potenziamento della discrezionalit locale possibile infatti solo attraverso lespansione dei prelievi minori e della discrezionalit su quelli compartecipati; mentre la radicalit della riforma del 2001 prefigura un consistente trasferimento di competenze che attengono a funzioni di welfare (quindi tutela dei diritti di cittadinanza). Vediamo per sommi capi dindividuare motivazioni e possibili vie di composizione.

7. La fattibilit di un processo di devoluzione che si accompagni ad una crescente autonomia fiscale deve essere valutato con riferimento a: differenziale del prelievo sul territorio; coerenza tra evoluzione del prelievo e della spesa locale, stabilit dinamica dei prelievi. Su tutti e tre gli aspetti la situazione si presenta problematica. Confrontando il prelievo pro capite delle diverse forme di tributo, vi forte disomogeneit sul territorio per tutte le imposte, nazionali ed anche dellIrap, che attualmente prelevata su base regionale. Inoltre tale disomogeneit permane anche in prospettiva, giacch non in atto una sostanziale convergenza delle basi imponibili. Dal punto di vista prospettico non vi infine sempre coerenza tra dinamica delle entrate prevedibile e dinamica della spesa di competenza regionale, di cui l80% spesa per il welfare. Quanto alla manovrabilit, leventuale applicazione di aliquote differenziate o assegnazione della gestione del tributo a livello regionale potrebbero amplificare i fenomeni di disomogeneit nella distribuzione regionale delle risorse.

8. Se la distribuzione delle risorse lungo il territorio pu essere associata a problemi di equit, il grado di autonomia effettiva (manovrabilit) delle regioni costituisce lelemento di efficienza dellimpianto federalista. Linesistenza di un vero tributo proprio locale di dimensioni non trascurabili un dato di fatto. Tutti i grossi tributi esistenti infatti presentano degli inconvenienti. Si tratta di scegliere il miglior secondo. LIVA avrebbe alcune caratteristiche che la renderebbero pi adatta di altre, anche se ha il grave problema di insistere su una base imponibile delicata, soggetta a forti vincoli europei che ne impediscono uno sdoppiamento di aliquota (una statale e una regionale). Per questo vale la pena di ragionare su quali adattamenti sarebbero possibili.

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Il grafico nella slide 2 mostra chiaramente come la distribuzione delle vendite al dettaglio sembrerebbe garantire una pi omogenea ripartizione dellIva. Sembrerebbe, perch le vendite al dettaglio qui sono una proxy del gettito sullIva al consumo di cui, viceversa, non si ha nessuna ripartizione regionale. Per almeno la proxy confortante....almeno per lAlta Commissione che ha a cuore questa ipotesi. Anche lipotesi di utilizzare una semplice compartecipazione allIva, ma esclusivamente quella sulle vendite al dettaglio rivolte a soggetti non Iva, richiede degli accorgimenti a volte onerosi: modifica delle dichiarazioni Iva per evidenziare la componente incassata al dettaglio. Tuttavia, questa modifica potrebbe migliorare le caratteristiche dellIva come imposta regionale, sia come distribuzione sia per grado di manovrabilit (si pu infatti ipotizzare che le Regioni possano avere un ruolo maggiore nellinfluenzare le vendite al dettaglio rispetto ai consumi delle famiglie rilevati dallIstat, che costituiscono lattuale base di ripartizione).

9. Laltro aspetto della difficile realt italiana con cui il progetto federalista si deve confrontare che i fabbisogni standard dalle nostre prime stime sembrerebbero acuire il problema Nord-Sud, gi grave secondo la spesa storica. La quota obbligatoria (i LEP) della spesa standardizzata, infatti, che costituisce circa l80% del totale, presupporrebbe una sostanziale redistribuzione di risorse in termini standard rispetto ai valori storicamente osservati. I LEP sono stati valutati secondo la spesa storica da noi standardizzata nella gi citata ricerca di REFORME con parametri oggettivi (struttura della popolazione e del territorio e dimensione regionale). In poche parole, le regioni pi povere, pur spendendo gi di pi di quello che dispongono, avrebbero diritto ad ottenere maggiori risorse qualora si applicassero criteri di oggettivit nella determinazione dei fabbisogni essenziali e qualora la costituzione continuasse a tutelarne il loro finanziamento lungo il territorio nazionale (diritti di cittadinanza o interesse nazionale che si voglia).

10. Sintetizzando le problematiche test elencate in un semplice esercizio aritmetico, dove si mettono a confronto le esigenze finanziarie con le migliori relative dotazioni, si ottiene una misura (e un immagine) dello sforzo necessario a perequare le differenze presenti nel Paese: i residui fiscali, ovvero la differenza tra entrate e spese regionali. Come logico attendersi, le somme da perequare (somma dei residui fiscali di segno negativo o positivo) sono tanto maggiori quanto pi elevato il grado di garanzia che si vuole dare allinteresse nazionale, ovvero il riconoscimento dei LEP. Considerando le sole regioni a statuto ordinario, solo la spesa per LEP e le risorse pi uniformemente distribuite lungo il territorio, lammontare del fondo perequativo (che ci d una misura sintetica del problema di composizione degli interessi di regioni eterogenee) passa da 5 a 8 miliardi di euro (pari al 10% del totale delle risorse/spese considerate), a seconda che si voglia garantire il 60%, oppure l85% dei LEP.

11. Lampiezza delle garanzie si riverbera anche sullefficienza, ovvero sullautonomia effettiva concessa alle regioni. Essendo infatti le risorse manovrabili limitate, quanto pi elevate sono le spese garantite e quindi le risorse

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da assegnare, tanto pi diluito il ruolo (incidenza) dei tributi propri, aumentando necessariamente limportanza delle compartecipazioni. Nel grafico della slide 5, si noti, sono state ipotizzate manovrabili una parte dellIva e delle imposte relative ai giochi e scommesse, oltre ad unaddizionale Irpef del 7%. Di fatto, tutto ci ancora non esiste, e quanto riportato nella figura pu essere considerato come un limite teorico cui si potr pervenire in futuro.

12 . Tornando prima di concludere al confronto con lesperienza internazionale, che ha messo in luce come vi sia una estesa tendenza al decentramento di funzioni, si nota dai numeri di qualche anno fa (slide 6) come: - vi sia un diffuso grado di cooperativismo verticale e molti overlap di funzioni tra diversi livelli di governo; - vi siano limiti al grado di autonomia nella struttura del finanziamento che dipendono da diversi fattori, tra cui: la difficolt di individuare prelievi locali con caratteristiche appropriate e dimensione congrua; le differenze nei bisogni e nei potenziali fiscali tra regioni ricche e regioni povere; la necessit di compensare per le esternalit; - vi sia la necessit di mantenere una adeguata dimensione di entrate nazionali per lesercizio della politica discrezionale dello Stato. Larticolazione tra obiettivi e vincoli determina come in media il 45% dei finanziamenti delle autonomie locali sia a compartecipazione, ma la quota delle entrate manovrabili varia dal 8.3% dellOlanda al 68% della Svezia che hanno un modello di riferimento comune del decentramento (modello nordico che non ha regioni ma estensione di funzioni a livello locale). Ma il grado di autonomia non dipende dal modello di decentramento pi o meno esteso come messo in luce dallindicatore di autonomia tributaria della Germania, dove ad una elevata spesa decentrata corrisponde il pi basso livello di autonomia. LItalia in questo contesto si trovava prima della riforma del titolo V in una situazione intermedia quanto ad ammontare di spesa decentrata e grado di autonomia. E con la costituzione attuale su livelli in linea con la media europea ( nellintorno del 38%), e con livelli di autonomia ancora non lontani dalla media europea ma molto differenziati tra regioni. Si torna cos al nodo essenziale del nostro disegno federalista che rappresentato dalla dimensione e dai criteri di evoluzione del fondo perequativo. Il decreto 56/2000 fissa criteri che sono risultati conflittuali e comunque non appaiono adatti al nuovo dettato costituzionale.

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Grazie a Pia Saraceno che ci ha messo di fronte ai fatti, ai numeri che ci sono ed ai numeri che non ci sono ed alla complessit dei problemi non nel disegno ma nella realt. Ascoltiamo ora la voce del Ministero delle Politiche Comunitarie che non manca, pur in assenza di Rocco Buttiglione, affidata a Francesco Tufarelli.

Francesco Tufarelli Il Libro Verde relativo ai Partenariati Pubblico-Privati ed al diritto comunitario degli appalti publici e delle concessioni.
Il fenomeno del partenariato pubblico-privato in realt non definito compiutamente a livello comunitario e dunque una sua preliminare trattazione ad oggi contenuta solo nel Libro Verde presentato dalla Commissione europea il 30 aprile 2004 [COM (2004)327]. Alle domande poste da tale Libro Verde, secondo la procedura comunitaria, in attesa della redazione di un successivo e solo eventuale Libro Bianco, i diversi Stati nazionali e le parti interessate hanno risposto entro il termine del 30 luglio, e proprio in questi giorni, in sede comunitaria, presso la competente Direzione Generale del Mercato Interno, si sta compiendo una prima valutazione del materiale pervenuto. Sulla base dei diversi contributi, la Commissione europea valuter lopportunit di proprie conclusioni e di dare un seguito alla trattazione della materia. Stante, dunque, lattuale avanzamento dei lavori, il presente contributo si concentrer, con la concisione che il tempo limitato consente, fondamentalmente sui contenuti del Libro Verde. Il Partenariato pubblico-privato (dora in poi PPP) viene generalmente riferito a forme di cooperazione fra istituzioni pubbliche e mondo industriale tese a garantire il finanziamento, la costruzione, il restauro, la gestione, la manutenzione di una infrastruttura o la fornitura di un servizio. Quattro sono gli elementi fondamentali che normalmente tendono a caratterizzare una operazione di PPP: 1) la durata lunga o medio-lunga della collaborazione, che caratterizza una cooperazione tra i due partner, vale a dire quello pubblico e quello privato, in relazione a diversi aspetti e diverse fasi di un progetto da realizzare; 2) le modalit di finanziamento del progetto, assicurato spesso dal settore privato tramite relazioni complesse fra diversi soggetti. Al riguardo tuttavia da notare che tale regola subisce forti eccezioni nei casi in cui, e ve ne sono stati spesso, quote di finanziamento pubblico si aggiungono ai finanziamenti privati; 3) la divisione dei compiti fra gli operatori; infatti, alloperatore privato che partecipa alle diverse fasi di progettazione, realizzazione, attuazione e finanziamento, si affianca il ruolo del partner pubblico, a cui spetta normalmente la definizione degli obiettivi da raggiungere in termini di interesse pubblico, di qualit dei servizi offerti, di politica dei prezzi e di garanzia del controllo del rispetto di questi obiettivi;

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4) la ripartizione dei rischi, i quali vengono normalmente divisi in funzione della capacit delle parti di valutare, controllare e gestire gli stessi. Normalmente, a causa della peculiarit dellistituto, si considera che al privato vengano trasferiti rischi di solito a carico del settore pubblico, ma anche in tali casi la regola presenta diverse eccezioni. Dagli anni 90, il PPP si sviluppato in diversi settori pubblici, probabilmente anche a causa delle diverse restrizioni di bilancio cui i diversi Stati membri hanno dovuto far fronte. Inoltre, indubbio che la collaborazione consente al settore pubblico di beneficiare del know-how e dei metodi di lavoro del settore privato, inquadrandoli in una logica di pubblico servizio. Lesplosione dello strumento, inoltre, non pu essere considerata disgiuntamente dalla generale evoluzione del ruolo dello Stato nella sfera economica, che passa da un ruolo di operatore diretto, ad un ruolo di organizzatore, di regolatore e di controllore. I settori nei quali le operazioni di PPP sono maggiormente perseguite da parte delle autorit pubbliche riguardano il campo dei trasporti, della sanit pubblica, dellistruzione e della sicurezza pubblica. Un esempio per tutti riguarda, a livello europeo, la realizzazione delle cosiddette reti transeuropee di trasporto, che ha subito forti ritardi a causa di una insufficienza di investimenti (cfr. Comunicazione della Commissione del 23 aprile 2003 Sviluppare la rete transeuropea di trasporto: finanziamenti innovativi, interoperabilit del telepedaggio [COM (2003)132] e la relazione del gruppo ad alto livello sulla rete transeuropea di trasporto del 27 giugno 2003. Sulla necessit di aumentare tali investimenti si soffermato il 12 dicembre 2003 il Consiglio europeo di Bruxelles sotto la Presidenza italiana. Seppure loperazione attuata attraverso ladozione del PPP pu offrire sensibili vantaggi dal punto di vista microeconomico, consentendo unottimizzazione del rapporto qualit-prezzo, mantenendo gli obiettivi di pubblico interesse, questa non pu sicuramente essere evocata come una soluzione fissa e miracolosa destinata a bilanci soggetti a restrizioni. E infatti importante su ciascun progetto valutare se ladozione del PPP presenti vantaggi rispetto ad un appalto di tipo tradizionale. E appena il caso di notare che nel febbraio 2004 Eurostat ha preso una decisione (STAT/04/18) relativa al trattamento contabile nei conti nazionali dei contratti firmati da imprese pubbliche nel quadro di partenariati con imprese private. In sostanza la decisione raccomanda che gli attivi legati ad un PPP siano classificati come attivi non pubblici e non siano dunque registrati nel bilancio delle PP.AA. qualora siano realizzate due condizioni: che il partner privato si assuma il rischio della costruzione e che lo stesso partner si assuma almeno uno dei due rischi tra quello della disponibilit e quello legato alla domanda. Sono ad oggi disponibili nei Paesi dellUnione diversi strumenti di coordinamento e di promozione del PPP, miranti a diffondere buone pratiche su scala europea. Le maggiori criticit si attestano oggi sulle diverse tappe su cui articolare il PPP, sulla scelta del partner privato, sulla ripartizione dei rischi, sulla scelta adeguata delle clausole contrattuali e sullintegrazione di finanziamenti comunitari. E appena il caso di notare che una gran parte delle esperienze diretta oggi a garantire la gestione di servizi pubblici in particolare a livello locale ricorrendo a strutture di partenariato con il settore privato (gestione dei rifiuti e distribuzione idrica). Al riguardo vale la pena di citare il Libro Verde sui servizi di interesse generale [COM (2003)270], il quale prevede esplicitamente che quando una autorit pubblica decida di assegnare la gestione di un servizio ad un terzo, obbligata a rispettare il diritto degli appalti pubblici e delle concessioni, anche se questo servizio considerato di interesse generale.

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Non prevedendo ad oggi il diritto comunitario un regime specifico per i PPP, questi vengono ancora nel Libro Verde analizzati alla luce del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni e, pi in generale, delle norme del Trattato. Tra queste, da evidenziare quelle che concernono la libert di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 43 e 49 del Trattato CE). Dallapplicazione di tali articoli discende la necessit del rispetto dei principi di trasparenza, di parit di trattamento, di proporzionalit e di mutuo riconoscimento. Ad oggi il regime applicabile alla selezione di un partner privato dipende innanzitutto dal tipo di relazione contrattuale che questultimo intrattiene con un organismo aggiudicatore; evidente che nelle operazioni di PPP i partner pubblici sono in primo luogo gli Enti nazionali, regionali e locali, nonch organismi di diritto pubblico creati al fine di compiere missioni di interesse generale sotto il controllo dello Stato. Nonostante, comunque, le basi rimangano gli articoli del Trattato, non si possono disconoscere i passi avanti compiuti negli ultimi anni e comunque, sicuramente, quelli compiuti dalla Comunicazione interpretativa della Commissione del 2000 (2000/C121/02). E infatti da tale comunicazione che deriva la nuova procedura denominata: Dialogo competitivo che permette alle autorit pubbliche di discutere con le imprese candidate al fine di individuare le soluzioni suscettibili di rispondere alle loro necessit. Tuttavia ancora oggi molti rappresentanti degli ambienti interessati ritengono che le norme comunitarie applicabili alla scelta delle imprese destinate a cooperare con unautorit pubblica nel quadro di un PPP, cos come le loro conseguenze sulle relazioni contrattuali che disciplinano lesecuzione del partenariato siano insufficientemente chiare e manchino domogeneit tra i vari Stati membri. Tale situazione causa incertezza fra i diversi soggetti comunitari, creando ostacolo ad una affermazione dei PPP a scapito del finanziamento di importanti infrastrutture e dello sviluppo dei servizi pubblici di qualit. E importante notare a questo riguardo che il Parlamento europeo, andando oltre i contenuti del Libro Verde, ha gi invitato la Commissione a valutare la possibilit di adottare una proposta di Direttiva volta a regolamentare in maniera omogenea il settore delle concessioni o di altre forme di PPP (Parere del Parlamento europeo in prima lettura sulla proposta della Commissione COM (2000)275 del 10 maggio 2002), e in tal senso va segnalata una analoga iniziativa del Comitato economico e sociale (Parere CES 2001/C14/01 e Parere CES 2001/C193/01). Proprio sulla base di tali stimoli, la Commissione, nella sua strategia per il mercato interno 2003/2006 [COM(2003) 238], ha segnalato fra le priorit la pubblicazione di un Libro Verde sul PPP e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, al fine di avviare un dibattito sul migliore modo di garantire che i PPP possano svilupparsi in un contesto di concorrenza efficace e di chiarezza giuridica. Il Libro Verde, oltre ad essere previsto nel quadro delliniziativa europea della crescita [COM(2003) 690], figlio anche di alcune richieste formulate nel corso della consultazione pubblica sul Libro Verde sui servizi di interesse generale. Il Libro Verde, in realt, si concentra sulle norme da applicare quando si decide di affidare una missione o un incarico ad un terzo, si colloca dunque a valle di una scelta economica e organizzativa gi effettuata da un ente locale o nazionale, e dunque non esprime un apprezzamento riguardo alla scelta di una possibile esternalizzazione della gestione dei servizi pubblici, poich tale scelta compete esclusivamente alle autorit pubbliche. Daltra parte, il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni non si esprime relativamente allopzione degli Stati membri se garantire un servizio pubblico attraverso i propri stessi servizi o se affidarli, invece, ad un terzo. Nello specifico, il Libro Verde mira a valutare la portata delle norme comunitarie applicabili alla fase di selezione del partner privato ed alla fase successiva, al fine di individuare possibili incertezze e di

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valutare se il quadro comunitario adeguato alle sfide e alle caratteristiche specifiche dei PPP. Nel Libro Verde non vi sono opzioni predeterminate, ma si apre semplicemente una consultazione. In tal senso importante ricordare la molteplicit degli strumenti a disposizione per migliorare lapertura delle operazioni di PPP alla concorrenza in un contesto giuridico chiaro. A titolo esemplificativo si possono citare: strumenti legislativi, comunicazioni interpretative, azioni miranti ad un migliore coordinamento delle pratiche nazionali, scambio di buone pratiche tra Stati membri. La Commissione, da parte sua, ha gi attuato alcuni interventi, oltre quello sopraccitato, relativi, ad esempio, al trattamento nei conti nazionali di contratti sottoscritti da unit pubbliche nel quadro del partenariato con imprese private, alla recente applicazione dello Statuto della societ europea, che, inevitabilmente, faciliter lattuazione di PPP transeuropei (Regolamento CE n. 2157/2001 del Consiglio 8 ottobre 2001). A fini assolutamente classificatori, si propone di tracciare una distinzione fra due categorie di PPP: i PPP di tipo puramente contrattuale, nei quali il partenariato tra settore pubblico e settore privato si fonda su legami esclusivamente convenzionali, e i PPP di tipo istituzionalizzato, che implicano una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato in seno ad una entit distinta. I PPP di tipo puramente contrattuale riguardano un partenariato basato esclusivamente su legami contrattuali fra i vari soggetti. In tali casi alcuni compiti pi o meno ampi (progettazione, finanziamento, realizzazione, rinnovamento o sfruttamento di un lavoro o di un servizio) vengono affidati al partner privato. Al riguardo il modello pi conosciuto quello concessorio, caratterizzato dal legame diretto preesistente tra il partner privato e lutente finale: il partner privato fornisce un servizio al pubblico in luogo ma sotto il controllo del partner pubblico. Il modello caratterizzato in questo caso anche dal tipo di retribuzione del cocontraente, consistente in compensi riscossi presso gli utenti del servizio, se necessario completata da sovvenzioni versate dall autorit pubblica. In altri casi, il partner privato destinato a realizzare o a gestire uninfrastruttura per la P.A. ( scuola, ospedale, centro penitenziario, infrastruttura di trasporti). Lesempio pi tipico di questo modello il Private finance iniziative, un programma del Governo britannico che permette lammodernamento delle infrastrutture pubbliche con lausilio del ricorso al finanziamento privato (il PFI ha ispirato lo sviluppo del Betreibermodell in Germania). In tali casi la retribuzione del partner privato non avviene in forma di compensi versati dagli utenti del lavoro o del servizio, ma in forma di pagamenti regolari ricevuti dal partner pubblico. (Nei casi di frequentazione dellopera si confronti il caso dei pedaggi virtuali in Portogallo, Spagna, Finlandia e Regno Unito). Nel caso di PPP di tipo istituzionalizzato, si verifica la creazione di unentit detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato. Tale soggetto comune ha quindi la missione di assicurare la fornitura di unopera o di un servizio a favore del pubblico. Negli Stati membri le autorit pubbliche ricorrono, talvolta, a queste strutture, in particolare per la gestione dei servizi pubblici a livello locale (ad esempio per i servizi di approvvigionamento idrico o per la raccolta di rifiuti). Tale soluzione permette al partner pubblico di conservare un livello di controllo relativamente elevato sullo svolgimento delle operazioni e di sviluppare unesperienza propria riguardo alla fornitura del servizio in questione, pur ricorrendo al sostegno di un partner privato. La creazione di un PPP istituzionalizzato pu avvenire sia attraverso la creazione di unentit detenuta congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato, sia tramite il passaggio a controllo privato di unimpresa pubblica gi esistente.

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Grazie a Tufarelli. Conclude questa prima parte dei lavori lintervento di Mario Ciaccia. A lui dobbiamo la responsabilit ed anche il merito dellideazione e della realizzazione di questa iniziativa. Egli rappresenta personalmente, per il suo percorso professionale, forse il senso profondo di questo convegno, perch una testimonianza non solo di inquietudine intellettuale, il che positivo perch significa vivacit, ma di osmosi di ruoli al servizio di unidea, di un progetto: il passaggio dal pubblico al privato nellottica di un nuovo rapporto tra pubblico e privato. Ecco perch lo ascolteremo molto volentieri su quella che la situazione attuale, sul partenariato e il ruolo delle banche e sulle impostazioni che egli riterr di dare.

Mario Ciaccia Il ricorso alle partnership pubblico-private nel nostro Paese: il ruolo del sistema bancario.
Premessa Gli interventi che mi hanno preceduto hanno evidenziato sotto profili diversi quanto il modello costituzionale delle autonomie gi definito ed in via di riesame, sia capace di incidere sui processi di sviluppo del Paese. Lautonomia finanziaria degli Enti territoriali costituisce a sua volta lo strumento indispensabile per poter svolgere le funzioni che agli Enti sono attribuite, nel rispetto di un principio di corrispondenza tra funzioni esercitate e risorse necessarie al loro funzionamento. Orbene, poich le risorse si rivelano spesso insufficienti, latteggiamento del sistema finanziario non indifferente per la tenuta del sistema. In particolare, il ruolo delle grandi banche e specialmente di quelle nazionali, che consapevoli della propria responsabilit, guardano al Paese e, quindi, al territorio con un ottica non di mero profitto ma di crescita e di servizio alle istituzioni e di conseguenza ai cittadini, indubbiamente prezioso. Non ci sono modelli che possano funzionare se non c un sistema finanziario adeguato in grado di accompagnarli. La Banca che sente la responsabilit di essere una Banca per il Paese non pu sottrarsi al compito di favorire lottimizzazione delle risorse pubbliche, perch i risultati per la collettivit possano essere massimizzati. In tal modo si concorre alla crescita, in assenza della quale la ragione stessa dellesistenza e della utilit delle Istituzioni finanziarie viene messa in discussione. In questo quadro si deve inserire un sempre pi frequente e virtuoso rapporto di Partenariato Pubblico e Privato che si riferisce alla gamma di modelli di cooperazione (finanza di progetto, varie forme di leasing, operazioni di cartolarizzazione, etc.) in cui lo schema comune costituito dal vantaggio che da tali strumenti deriva ad entrambi i settori: il privato fornisce le proprie capacit manageriali nella progettazione, finanziamento, costruzione di infrastrutture e gestione di servizi a fronte di un ritorno economico; il settore pubblico trae

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beneficio dallottimizzazione dei costi, dalla possibilit di liberare risorse pubbliche da impiegare in altri settori, dalla riduzione dellimpegno finanziario complessivo, dal miglioramento qualitativo nella gestione dei servizi erogati, nonch da una migliore allocazione dei rischi. Il Partenariato per non si pu ancora dire che funzioni al meglio. Vediamo perch.

Lesperienza italiana del partenariato ai livelli centrale e locale. Un tentativo di spiegazione dellesperienza italiana non pu che partire dalla analisi dei dati numerici, che passo a riassumere in sintesi estrema. Se focalizziamo lattenzione sulla parte relativa agli interventi infrastrutturali, troviamo che a livello centrale le opere programmate dal CIPE in base alla legge Obiettivo ammontano a circa 126 mld di euro (rivalutate a circa 232 miliardi dal Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l'Edilizia e il Territorio CRESME). Tuttavia, dei 222 progetti infrastrutturali presentati nellaprile 2004, il CIPE ne aveva approvati 45, per un costo pari a 39.1 miliardi di euro, di cui lammontare complessivo delle risorse pubbliche pari a 17 miliardi di euro, mentre i restanti 22 sono da reperire. Segnali in parte contraddittori pervengono poi di recente, relativamente ai primi otto mesi di questanno. Pur nella misura in cui i dati possono ritenersi omogenei e comparabili, sembrano far registrare un avvio alla crescita nelle operazioni di Finanza di Progetto, mentre si assiste per contro ad un calo di domanda pubblica per i servizi di ingegneria ed architettura. Inoltre, una flessione nella promozione di opere ha interessato Comuni, Province e Regioni tra gennaio e settembre 2004. In tale periodo, le opere promosse dai Comuni segnano un calo in valore di oltre il 12 % rispetto al corrispondente periodo del 2003; le Province scendono per l8 %; le Regioni toccano il minimo storico con il 58 %. Non pu nascondersi infine il rischio che il tetto previsto nel disegno di legge finanziaria per il 2005 blocchi gli investimenti programmati dagli enti locali, nonch i pagamenti alle imprese per opere gi avviate. Il Partenariato non si esaurisce solo nelle opere infrastrutturali, perch spazia anche in altri settori, ad esempio in quello dei servizi che, soprattutto in quei segmenti quali la sanit o lidrico, necessitano di massicci interventi migliorativi, a fronte di elevati investimenti, per i quali solo da qualche anno si incomincia ad intravedere qualche iniziativa concreta. E un quadro che non corrisponde certo alle aspettative. Nel complesso sintomatico della persistenza di una certa difficolt nel rapporto pubblico privato. Tuttavia lesperienza acquisita pu servire, oltre che da esempio, anche da stimolo per colmare il gap.

Le cause del ritardato sviluppo del partenariato e le condizioni essenziali per il suo sviluppo. Tra le cause del ritardato sviluppo del partenariato vengono spesso invocate difficolt di tipo istituzionale e, cio, da una parte, limpatto di una disorganica proliferazione normativa, non priva anche di vistose lacune (ad esempio per il leasing immobiliare), la lungaggine e la complicatezza delle procedure, le cosiddette semplificazioni normative, che talvolta divengono complicazioni, dallaltra linsufficienza degli incentivi pubblici.

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Occorre comunque prendere atto che una serie di norme, emanate nel corso della manovra di finanza pubblica per il 2004 ha cercato di rendere pi velocemente percorribile la corsia preferenziale riservata alla realizzazione delle grandi infrastrutture. Ci malgrado permangono ancora serie difficolt. Tra i maggiori punti di criticit che andrebbero subito affrontati con interventi legislativi, vi in primo luogo quello dei passaggi procedurali da semplificare e da rendere maggiormente celeri e trasparenti. Ci notoriamente vero per i provvedimenti autorizzativi e concessori previsti dallart. 13 della legge 1 agosto 2002 n. 166, che si sono rivelati eccessivamente lunghi. Un altro aspetto di fondamentale rilevanza collegato alle garanzie che le imprese incaricate della realizzazione di lavori pubblici sono tenute a fornire al committente e alle modalit che possono essere studiate per facilitarne il relativo rilascio. Si pensi alle cauzioni provvisorie, necessarie per partecipare alle gare dappalto; alle cauzioni definitive, a carico dellesecutore dei lavori; alle polizze assicurative a carico dellesecutore dei lavori, quelle a carico dei progettisti ed i procedimenti di verifica dei progetti; alla garanzia globale di esecuzione. Non sono poche le difficolt registrate dagli operatori al riguardo, messe in evidenza anche da talune banche e riconducibili essenzialmente al significativo indebitamento delle imprese incaricate della realizzazione di opere, allentit finanziaria delle operazioni ed al conseguente rapido saturarsi delle linee di credito concedibili a dette imprese. Oltre che sul piano legislativo, vi molto da fare anche attraverso una opportuna semplificazione dei procedimenti in via amministrativa, laddove possibile, o in via interpretativa attraverso circolari o anche con atti amministrativi, quali ad esempio quelli che si ipotizzano in questi giorni per evitare lo stallo degli incentivi al Mezzogiorno in attesa della riforma (Es. atti amministrativi per mutui bancari anzich incentivi a fondo perduto). Leliminazione delle discrasie legislative non sembra peraltro condizione sufficiente per il rilancio del partenariato. Appare infatti indispensabile un serio recupero della capacit politica di assumere decisioni strategiche e, nella sostanza, un ritorno alla fondamentale missione della pubblica amministrazione. E chiaro che spesso si tratta di un gioco di forza tra gli attori che prendono parte alla finanza di progetto o ad operazioni di partenariato in genere. Se in una determinata operazione la parte che dovrebbe prendere la decisione politica lascia che altri in qualche maniera si surroghi in tale importante funzione, il rischio che lamministrazione pubblica non consegua compiutamente la missione per la quale chiamata e, a maggior ragione, che non riesca ad innescare quei processi di sviluppo che producono effetti di volano sul territorio. Emblematica di tali forme di supplenza appare la miriade di iniziative poco comprensibili e dispersive rispetto a gravi problemi infrastrutturali, quali la mancanza di strade e di parcheggi. Appare indispensabile perci che ciascuno si riappropri del proprio ruolo affinch ne sia garantita la distinzione nel rispetto della reciproca autonomia dazione e di responsabilit.

Il rapporto banche-imprese- Autonomie territoriali. In Italia servono banche pi vicine ai cittadini, alle imprese ed alle Autonomie; occorrono istituzioni finanziarie

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che agiscano con una maggiore presenza e trasparenza sul territorio, in particolar modo nel Mezzogiorno, ove il tracollo di grandi gruppi ha lasciato vuoti pericolosi ed un certa latitanza del sistema bancario per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo.

Le banche dovrebbero adottare modelli di presidio del territorio, coerenti con un miglioramento dellefficienza e tali da consentire una riduzione dei costi ed il potenziamento delle professionalit necessarie per una valutazione dei progetti oltre che dei rating.

Occorre, in particolare, incrementare quei meccanismi che favoriscono lerogazione del credito alle piccole e medie imprese che elaborano progetti innovativi. E auspicabile al riguardo una sempre pi stretta collaborazione tra banche, Universit e centri di ricerca per favorire il trasferimento tecnologico dagli Atenei alle imprese, attraverso la concessione di crediti agevolati alle imprese che presentano progetti innovativi ritenuti meritevoli. Intesanova, strumento recentemente lanciato da Banca Intesa si muove proprio in quella direzione. Una grave carenza sul territorio riguarda, infatti, il finanziamento degli investimenti per la ricerca e lo sviluppo, in Italia assai poco adeguati rispetto agli altri Paesi pi avanzati. Laccordo di Lisbona fissa com noto, al 3% del PIL lobiettivo di ricerca e sviluppo. Il sistema italiano fermo a poco pi dell1% del PIL, cui partecipa per il 51% il settore pubblico e per il 49% quello privato, mentre la Svezia al 4,27%, la Germania al 2,52%, la Francia al 2,23% e gli Stati Uniti di America al 2,67%.

Il ruolo delle imprese. Le imprese per parte loro, dovrebbero compiere ogni sforzo per migliorare i processi interni, produttivi e strutturali, ivi compresi i profili di trasparenza, per facilitare lapprezzamento da parte delle banche. Il "Sistema Aziende" deve intraprendere vie sicuramente pi complesse rispetto al passato, assumere rischi imprenditoriali maggiori e proporre innovazioni continue e servizi di elevata qualit per rispondere prontamente alle esigenze dei mercato.

Fondamentale per il "Sistema Aziende" lo studio delle modalit associative maggiormente idonee a realizzare quella suddivisione dei rischi che costituisce una delle pi rilevanti caratteristiche della finanza di progetto.

Il ruolo delle autonomie territoriali. E prevedibile che le Amministrazioni locali, nel quadro di un ricorso sempre pi ampio ed attento al capitale privato ed agli strumenti di finanza innovativa e del conseguente maggior impegno nelle attivit di analisi, di programmazione e di valutazione degli investimenti, si accingano a por mano alla costruzione di modelli di sviluppo locale fortemente partecipativi, in cui, tra i protagonisti del territorio, vi sia la presenza attiva delle banche che intendono prestare in loco la loro collaborazione.

Il ruolo delle banche. In tale quadro una funzione fondamentale delle banche non pu non comprendere il compito di assistere le Autonomie territoriali, evitando di proporre loro operazioni rischiose o azzardate, anche in relazione ai limiti di indebitamento. Soprattutto, specie in sede di ristrutturazione del debito e di derivati dovrebbe essere scrupolosamente esclusa leventualit di aggravare gli equilibri finanziari dei bilanci futuri. Una visione ristretta del profitto, infatti, non

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solo riuscirebbe difficilmente a dare un contributo apprezzabile allo sviluppo del Paese, ma, puntando poco sulla fiducia della clientela, non faciliterebbe nemmeno la crescita economica della stessa banca. Al contrario, in tema di emissione di Buoni ordinari comunali (BOC) e provinciali (BOP), un grande vantaggio per i piccoli Comuni che non hanno un rating potrebbe essere dato dalla possibilit di condurre insieme con la Provincia una negoziazione unitaria nei confronti del mercato. Favorire un processo del genere pu costituire, ad esempio, unutile forma di collaborazione da parte delle banche per consentire il raggiungimento di masse critiche adeguate al mercato per emissioni obbligazionarie, collaborazione finalizzata alla realizzazione di strutture ad uso pubblico. Anche se non sono ancora note tutte le variabili (specialmente in ordine alla struttura del finanziamento dei soggetti del sistema autonomistico), occorre preparare per tempo il sistema bancario al grande processo di cambiamento in atto nellordinamento giuridico e nel sistema socio-economico, in modo che accanto alla devoluzione delle competenze alle Autonomie possa favorirsi lo sviluppo di banche particolarmente dedicate al territorio. Nel complesso rapporto banca-impresa necessario quindi un gran salto di qualit per innescare meccanismi innovativi di sviluppo. Anche perch laccordo di Basilea 2, per la parte riguardante i requisiti patrimoniali delle banche, investir direttamente tale rapporto e sar necessario accompagnare le piccole e medie imprese nel processo di riequilibrio della loro struttura finanziaria. In tal modo, le banche, ed in special modo i grandi gruppi, potranno contribuire anche sotto tale specifico profilo alla crescita ed al rinnovamento del Paese, mantenendo fede a quello che nella sostanza il loro ruolo fondamentale. Da parte delle banche una soluzione potrebbe essere quella di valutare la possibilit di uno spostamento dellindebitamento a breve delle PMI in direzione di passivit a medio o lungo termine. Da parte del settore pubblico, una sede opportuna per garantire il sostegno delle PMI potrebbe essere quella dellimportante strumento di sviluppo costituito dal patto territoriale, che sicuramente nel nuovo sistema costituzionale dovr essere rivisitato in chiave completamente innovativa.

C poi il tema, ancora tutto da affrontare, di sviluppare prodotti finanziari, con tecniche di finanza di progetto, rivolti a sostenere iniziative le cui esigenze, per importo del finanziamento e per ritorno di immagine, rimangono spesso trascurate da parte delle istituzioni creditizie. Oltre alle grandi opere di interesse strategico elencate nella Legge Obiettivo, vi infatti un ampio numero di opere pubbliche di dimensioni pi modeste, di valore unitario inferiore ai 50 milioni di euro, che concorrono a formare la tessitura fine della dotazione infrastrutturale del territorio, dello sviluppo urbanistico e della qualit urbana e che rappresentano larea dove maggiore il ritardo accumulato dal nostro Paese. Si tratta molto spesso di progetti che, per tipologia e natura, sono caratterizzati da un ampio consenso del territorio, percorsi autorizzativi snelli e, conseguentemente, tempi di esecuzione rapidi. A differenza delle opere maggiori, inoltre, lo sviluppo territoriale di queste iniziative risultato distribuito sullintero territorio nazionale, con una forte rappresentanza nelle regioni centrali e meridionali.

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Alla realizzazione di questultimo tipo di progetti che richiederebbe un livello annuo di spesa di circa 3,5 miliardi di euro, devono poter partecipare anche piccole e medie imprese, che, pur vantando competenze tecniche e strutture organizzative pi elastiche rispetto alle grandi aziende, restano spesso escluse dal processo di sviluppo infrastrutturale per difficolt di reperimento di finanziamenti. A causa della modesta capitalizzazione del sistema industriale, la capacit di sostenere i nuovi investimenti attraverso lottenimento di nuovi crediti su basi corporate sta infatti esaurendosi e rischia di costituire un serio limite alle possibilit di realizzazione del programma di sviluppo infrastrutturale auspicato dallEsecutivo. Uno strumento utile per ridurre la distanza tra gli attuali livelli di investimento e il fabbisogno consiste nel maggiore utilizzo di forme di finanziamento innovativo, che, superando il tradizionale ricorso ai finanziamenti corporate, consentano allintero sistema industriale di giocare in prima persona un ruolo importante per il rilancio del Paese. La strutturazione di finanziamenti di tipo Project, infatti, attraverso la costituzione di societ di scopo, permetterebbe al sistema industriale di reperire nuovo credito su base non recourse, allentando i requisiti patrimoniali richiesti a fronte di unattenta valutazione delle prospettive reddituali delle iniziative che si intende sviluppare.

Conclusioni Avviandomi verso le conclusioni, mi sembra doveroso rimancare come lo sviluppo del Partenariato non sia tanto un problema di risorse, quanto di una sufficiente conoscenza tecnica, da parte delle amministrazioni pubbliche, delle operazioni da affrontare in partnership con i privati, affinch sulla scorta di detta conoscenza le amministrazioni stesse possano correttamente adottare in piena autonomia le decisioni di tipo politico che loro competono. Per poter giungere, nellimmediato, a questo risultato, una strada percorribile potrebbe essere quella di munire le amministrazioni (in specie gli enti territoriali minori) di serie consulenze sulle valutazioni di redditivit e sulla credibilit dei progetti. Criteri di economicit potrebbero suggerire addirittura la costruzione di progetti standard per tipologie di interventi. Affinch i risultati siano tangibili appare indispensabile che ciascuno si riappropri del proprio ruolo affinch ne sia garantita la distinzione, nel rispetto della reciproca autonomia dazione e di responsabilit. Infatti, se fuor di dubbio che il rapporto Pubblico Privato rappresenta un elemento di crescita per il Paese, non possiamo far dipendere il successo del sistema esclusivamente dallapporto che il privato, il mondo bancario in particolare, in grado di fornire. Perch il circuito inizi a girare per il verso giusto occorre superare difficolt che, come credo fermamente, non sono insormontabili se c alla base una volont comune. Abbattere gli ostacoli significa dare maggiori certezze per rafforzare lo spirito imprenditoriale. Creare un sistema capace di ispirare maggiore fiducia e coraggio e che faccia da collante fra gli attori del processo di crescita. Insomma possiamo farcela. Possiamo essere competitivi ma dobbiamo riscoprire la capacit di fare sistema. Dobbiamo dimostrare la capacit di costruire un progetto-Paese che guardi allo sviluppo. Dobbiamo, consentitemi e concludo, riscoprire anche la capacit e la grande professionalit delle banche italiane che, senza nulla togliere al rispetto dei principi di concorrenza, non sono meno brave di quelle straniere.

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Cesare Mirabelli
Grazie a Ciaccia. Direi una nota faticosamente ottimistica, in un disegno cooperativo nel sistema e del sistema. Che possono fare le banche? Appunto cooperare, pi che assistere le autonomie sul piano finanziario per una corretta gestione del debito. Ascoltandolo mi veniva in mente lesperienza triste di un grande Paese dellAmerica Latina, nel quale le province a corto di risorse emettevano titoli o assegni che immettevano nella circolazione e che venivano chiamati patacones; un nome che agli Italiani che li ricevevano suonava abbastanza infido o strano. Sul piano degli investimenti le banche possono fare molto per lo sviluppo, e con un pizzico di nazionalismo e di appartenenza, anche per la ricerca e la formazione, come premessa e condizione per lo sviluppo di lungo periodo. Questo intervento chiude la prima parte della mattinata e ci traghetta sulla seconda parte dal titolo Enti territoriali e mercato dei capitali.

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Enti territoriali e mercato dei capitali


Gregorio De Felice, Responsabile Servizio Studi e Ricerche Banca Intesa, Chairman Maria Cannata Bonfrate, Dirigente Generale Debito Pubblico, Dipartimento del Tesoro, Ministero dellEconomia e delle Finanze Marco Cecchi de Rossi, Amministratore Delegato Fitch Italia Giovanni Gorno Tempini, Amministratore Delegato Banca Caboto

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Gregorio De Felice
Largomento della sessione che mi trovo a presiedere rappresenta un tema innovativo per la realt italiana: fino a una decina di anni fa, infatti, difficilmente ci si sarebbe trovati a discutere del rapporto fra Enti territoriali e mercato dei capitali visto che il ricorso al mercato dal parte delle amministrazioni locali era sostanzialmente inesistente. Nellultimo decennio, invece, abbiamo assistito a radicali mutamenti nelle modalit di finanziamento dei governi locali e proprio da questi cambiamenti deriva linteresse per la discussione odierna. In questo intervento introduttivo, vorrei focalizzare lattenzione sul nuovo rapporto fra governo locale e mercato dei capitali in Italia, concentrandomi essenzialmente su quattro punti. Il primo riguarda il mutamento nelle strategie di finanziamento degli Enti territoriali verificatosi a partire dalla seconda met degli anni Novanta nel nostro Paese, ovvero il passaggio da un sistema di finanza derivata ad un sistema di finanza autonoma. In secondo luogo, intendo illustrare rapidamente la dinamica pi recente dellindebitamento delle amministrazioni locali per poi evidenziare le nuove regole per il ricorso al mercato dei capitali stabilite dal decreto 389 del 2003 e dalla recentissima circolare esplicativa. Infine, presenter alcuni spunti per le prospettive del rapporto Enti territoriali mercato dei capitali.

Fino a met anni novanta il finanziamento delle spese correnti e delle spese in conto capitale degli Enti territoriali era strettamente legato ai trasferimenti erariali. Per finanziare le spese di investimento Regioni, Province e Comuni ricorrevano anche allindebitamento, prevalentemente attraverso i mutui offerti dalla Cassa Depositi e Prestiti e da altri istituti pubblici (Inpdap e Istituto per il credito sportivo). Lutilizzo del credito bancario risultava limitato e subordinato, peraltro, al previo diniego del mutuo da parte della Cassa Depositi e Prestiti (fino al 1990). Sostanzialmente nullo era poi il ricorso a emissioni obbligazionarie da parte delle amministrazione regionali, che avrebbero invece potuto emettere titoli fin dal 1970. Il sistema di finanziamento delle autonomie locali risultava quindi fortemente accentrato sia per le entrate fiscali sia per il ricorso al mercato dei capitali. Dalla seconda met degli anni novanta si assistito ad un radicale mutamento nella struttura del finanziamento delle competenze decentrate. Il ruolo dei trasferimenti viene ridimensionato (-26% tra il 1994 e il 2003 a prezzi costanti) e in parte sostituito da nuove entrate tributarie assegnate alle amministrazioni locali (lintero gettito ICI viene attribuito ai Comuni nel 1994; nel 1997 viene istituita lIrap che rappresenta il principali tributo regionale; nel 1999 si assegna alle amministrazioni provinciali il gettito della RCauto). Nel complesso le entrate tributarie locali sono salite del 140% a prezzi costanti tra il 1994 e il 2003.

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Decentramento del prelievo fiscale e grado di autofinanziamento delle Amministrazioni locali 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Quota delle entrate tributarie locali sul prelievo complessivo Quota delle entrate tributarie locali sul totale delle uscite locali Entrate tributarie locali sul Pil Fonte: Elaborazioni Banca Intesa su dati Istat

Il notevole sviluppo delle entrate tributarie locali lo si evince anche dallanalisi dellincidenza dei tributi locali sul Pil che passa dal 3,1% al 6,7%, nonch dallesame dellincidenza del prelievo tributario effettuato direttamente dalle amministrazioni locali sul prelievo tributario complessivo (dal 12,6% al 24,2%). A seguito della aumentata autonomia finanziaria, si amplia notevolmente il grado di autofinanziamento delle amministrazioni locali: nel 1994 solo il 24,3% delle uscite delle amministrazioni locali veniva finanziato attraverso entrate tributarie locali, mentre nel 2003 la capacit di autofinanziamento si attesta al 46,3%. Tuttavia, la crescente autonomia finanziaria dei governi locali si realizza sono in parte con una maggiore discrezionalit degli Enti decentrati. Infatti, buona parte delle risorse proprie delle Regioni continua a essere gestita, accertata, riscossa e successivamente erogata (spesso con ritardo) dallamministrazione centrale, con ripercussioni negative sulla capacit di programmazione delle Regioni. Inoltre, il reale potere fiscale degli Enti territoriali risulta contenuto: nellultimo biennio, a seguito del congelamento delle aliquote Irap e Irpef, gli Enti territoriali avrebbero potuto intervenire su meno di un quarto delle entrate tributarie complessive.
R e ale a u to n o m ia d e g li E n ti te rrito ria li
Anno S ve zia D a n im a rc a B elg io S pa g n a G e rm a n ia R e g n o U n ito P ae si B a ss i 1995 1995 1995 1995 1995 1995 1995 Im p o s te lo c a li % su % su to ta li P il 3 2 ,6 1 5 ,5 3 1 ,3 1 5 ,5 2 7 ,5 1 2 ,4 1 3 ,3 4,4 2 9 ,0 1 1 ,1 3 ,9 1,4 2 ,7 1,1 P o te re d is c re z io n a le * A u to n o m ia fis c a le **

100 9 5 ,1 5 7 ,9 6 6 ,6 1 2 ,8 100 100

1 5 ,5 1 4 ,7 7 ,2 2 ,9 1 ,4 1 ,4 1 ,1

Ita lia

2 0 03

2 3 ,6

6 ,7

2 4 ,9 4 2 ,9

1,7 2,9

(*) P e rce n tuale de lle im po s te lo cali su c ui il go ve rn o lo c ale go de di disc re zio n alit n el fissa re aliq uo ta e /o b a s e im p on ibile (1 00 = pie n a disc re zio n alit di a liquo te e di b a se im p o n ibile p e r tu tte le en trate trib uta rie lo c ali); (**) P ro do tto fra im p o ste loc ali in te rm in i di P il e po te re dis crezion a le F o nte : O c se e elab o ra zio n i B a nc a In te sa s u da ti Ista t

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Nel corso degli anni novanta, si introducono anche nuove modalit di indebitamento e aumenta la discrezionalit delle amministrazioni locali nella scelta del canale di finanziamento delle proprie spese di investimento. Il ruolo delle amministrazioni locali sempre stato rilevante nella realizzazione degli investimenti pubblici e, negli ultimi anni, si ulteriormente ampliato fino ad incidere per circa i sugli investimenti complessivi. Non mutata solo la rilevanza dellintervento locale, ma anche la sua natura: a partire dalla legge 142 del 1990 e poi con le Leggi Bassanini la responsabilit di programmare gli investimenti sul territorio , infatti, stata progressivamente decentrata e gli Enti territoriali dispongono oggi di una ampia autonomia e discrezionalit sulle modalit e decisioni di intervento. Volendo sintetizzare quanto fino a qui evidenziato, si pu sostenere che nel corso degli anni novanta si assistito ad un processo di disintermediazione del settore statale nel finanziamento degli Enti decentrati sia per quanto riguarda le entrate correnti sia per quanto concerne le entrate in conto capitale. Con riferimento alla capacit e possibilit di indebitamento, si prevedono nuove modalit e agli Enti territoriali viene riconosciuta la possibilit di accedere direttamente al mercato dei capitali.

Passando ora al secondo tema del mio intervento, intendo evidenziare come le trasformazioni evidenziate si siano rispecchiate nellandamento dellindebitamento dellamministrazione locale che segna un incremento e una modificazione nelle modalit. Con riferimento alla dinamica, il debito delle amministrazioni regionali e locali cresciuto nel periodo 1999-giugno 2004 di oltre il 60%, al netto dei debiti contratti con la Cassa Depositi e Prestiti. La dinamica del debito locale ben pi marcata di quella registrata a livello nazionale e, infatti, lincidenza del debito degli Enti territoriali sul totale del debito pubblico, che era pari al 2,6% nel 1999, si attesta ora al 3,9%. Aumenta anche lincidenza rispetto al Pil: dal 2,9% al 3,9%. Con la privatizzazione della Cassa Depositi e Prestiti del dicembre 2003, i debiti contratti nei confronti della Cassa devono essere inclusi nelle consistenze complessive. Ai 50,4 miliardi di euro, vanno sommati i 20 miliardi di euro relativi a mutui presso la CDP: a giugno 2004, il debito complessivo quindi pari a oltre 73 miliardi di euro, pari al 5% del debito pubblico complessivo.

Incidenza dl debito locale sul debito pubblico complessivo


5,5% 5,0% 4,5% 4,0% 3,5% 3,0% 2,5% 2,0% lug-99 gen-00 lug-00 gen-01 lug-01 gen-02 lug-02 gen-03 lug-03 gen-04 incluso il debito verso la CDP

Fonte: elaborazioni Banca Intesa su dati Banca d'Italia

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Per quanto riguarda le modalit di finanziamento, la componente pi dinamica del debito delle amministrazioni locali risulta essere quella legata allemissione di titoli obbligazionari, che passano da 4,3 a 17,8 miliardi di euro dal 1999 al giugno 2004. I titoli obbligazionari rappresentavano solo il 7% del debito complessivo delle amministrazioni locali nel 1999 (incluso il debito nei confronti della CDP) e arrivano a costituire il 24% del debito complessivo degli Enti territoriali nel 2003.

Evoluzione del mercato obbligazionario legato ad emissioni di enti territoriali


20.000 18.000 16.000 14.000 12.000 milioni di euro 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 gen-99 giu-99 nov-99 apr-00 set-00 feb-01 lug-01 dic-01 mag-02 ott-02 mar-03 ago-03 gen-04 giu-04

Fonte: Elaborazioni Banca Intesa su dati Banca d'Italia, 2004

Nel 2003, le altre fonti di finanziamento per Regioni, Province e Comuni sono il sistema bancario, che eroga varie tipologie di mutui e in termini di stock detiene circa il 44% del debito locale e la Cassa Depositi e Prestiti che detiene oltre il 28% del debito consolidato delle amministrazioni locali e si finanzia prevalentemente attraverso risparmio postale.

Composizione del debito locale al 31 dicembre 2003

mutui presso CDP 28,4%

titoli obbligazionari 23,9%

cartolarizzazioni 3,5% mutui presso sistema bancario 44,2%

Per quanto in crescita, il livello del debito delle amministrazioni locali non deve creare allarme almeno per tre diversi ordini di motivi.

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In primo luogo, va evidenziato che i dati presentati includono anche il debito locale a carico dellamministrazione centrale. Nel 2003 quasi la met del debito regionale risulta essere a carico dello Stato; pertanto il debito locale effettivamente a carico degli Enti decentrati inferiore ai dati appena evidenziati. Inoltre, il rapporto fra debito ed entrate correnti decisamente contenuto: nel 2002, risulta inferiore al 35% in media e per le Regioni pari al 15%. Infine, il confronto con gli altri paesi europei indica che lindebitamento dellamministrazione locale italiana (5,4% a fine 2003 incluso il debito verso CDP) allineato con quanto registrato in Francia e in Spagna (7% e 6,5% rispettivamente). Decisamente pi rilevante il debito locale in Germania (22% del Pil). Se la dinamica e lentit del debito locale non sono fonte di preoccupazione, tuttavia due elementi potrebbero rivelarsi critici. In primo luogo, la limitata autonomia finanziaria degli Enti decentrati potrebbe implicare una accelerazione del ricorso allindebitamento anche per soddisfare esigenze amministrative ordinarie. Nel grafico seguente, riportata sullasse delle ascisse la variazione nella capacit di riscossione delle Regioni ordinarie fra il 2001 e il 2002. Il 2002 stato un anno critico per le Regioni italiane a causa del cattivo funzionamento dellapparato legislativo previsto dal d.lgs 56/2000 e la capacit di riscossione in media peggiorata di 20 punti percentuali (era pari al 95% nel 2001 e si ridotta al 74,2% nel 2002). Sullasse delle ordinate si evidenzia la variazione percentuale degli oneri per il servizio del debito a carico delle Regioni ordinarie tra il 2001 e il 2002. Il fatto che la dinamica degli oneri sul debito sia direttamente correlata alle difficolt di riscossione segnala una comune esigenza da parte delle Regioni di evadere determinate richieste in termini di offerta di servizi, investimenti nel territorio e oneri di gestione. Di ci opportuno tenere conto per le conseguenze che si potrebbero avere sulle tendenze della finanza pubblica locale e nazionale.

Capacit di riscossione (*) e oneri finanziari (**) nelle Regioni ordinarie


50% 40% 30% (**) Oneri per il servizio dei mutui, var. % 2002/2001, escluse Marche e Umbria 20% 10% 0% -10% -20% -80

R2 = 0,319

-60

-40

-20

20

40

(*) Capacit di riscossione (riscossioni/previsioni in conto competenza), variazioni assolute 2002/2001, escluse Marche e Umbria
Fonte: Elaborazioni Banca Intesa-Ref. su dati Corte dei Conti

Una seconda criticit riguarda i rischi legati alla dualit del sistema economico italiano. Basi imponibili e reddito disponibile sono, infatti, distribuiti in modo sperequato e pertanto lautonomia finanziaria attuale e prospettica risulta alquanto differenziata a livello territoriale. Significative differenze potrebbero emergere anche nel funzionamento del mercato del debito locale. Ad oggi la distribuzione degli Enti dotati di rating risulta fortemente squilibrata fra le diverse aree del Paese: ancora limitato risulta il numero di Enti rated del Mezzogiorno e, inoltre, differente appare anche il merito di credito delle amministrazioni locali (i rating assegnati agli Enti del Sud sono in genere inferiori

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a quanto rilevato nel Centro-Nord). Dato che la capacit dellente territoriale di raccogliere capitali a costi bassi anche legata alla notoriet sui mercati, si potrebbe determinare un rilevante rischio distributivo.

Il mutato contesto, le mutate esigenze hanno implicato anche la necessit di riformulare il quadro normativo in tema di ricorso al mercato dei capitali. Senza ripercorrere le varie fasi di adeguamento della normativa, ricordo solo brevemente che la possibilit per Comuni e Province di emettere titoli obbligazionari stata prevista dalla legge 142/90 e ha trovato una puntuale disciplina negli art. 35 e 37 della legge 724/94 e nel decreto del Ministro del Tesoro 420 del 1996. Le Regioni avrebbero potuto emettere bond fin dalla loro costituzione nel 1970, ma di fatto il mercato si aperto solo dalla seconda met degli anni Novanta sia per le Regioni che per gli Enti locali. Lart. 41 della legge 448/2001 ha rimosso i principali ostacoli al ricorso al mercato dei capitali da parte degli Enti territoriali italiani, prevedendo fra laltro la possibilit di emettere titoli con rimborso alla scadenza e la possibilit di effettuare emissioni con scarto allemissione. Il Decreto 389/03 e la circolare del Ministero dellEconomia e delle Finanze del 27 maggio 2004 danno attuazione e chiariscono la modalit di attuazione dellart. 41. Il quadro normativo si andato chiarendo e semplificando e le esigenze degli Enti si sono progressivamente avvicinate al mercato dei capitali. Tuttavia il quadro normativo non pu definirsi ancora compiuto e, fra i tanti, due aspetti mi sembrano critici. Nellattuale contesto non si adeguato il regime delle responsabilit e manca qualsiasi sistema sanzionatorio per omissioni e illeciti. E evidente la rilevanza di tali lacune per la reale applicazione delle norme. Inoltre, il decreto prevede che le Regioni possano modificare le norme in materia di fondo di ammortamento e utilizzo dei derivati, le Regioni potranno infatti disciplinare largomento non soggette ad alcun tipo di vincolo. Questa impostazione ha effetti potenzialmente dirompenti in fatto di differenziazione normativa tra Regioni.

Il processo di disintermediazione del settore statale nel finanziamento degli investimenti locali e il crescente e significativo ruolo delle amministrazioni decentrate nel realizzarli porter inevitabilmente alla crescita del mercato del debito locale. La modalit di sviluppo e la struttura dellindebitamento locale risultano strettamente legati a diverse variabili. In primo luogo, risulter cruciale la congiuntura della finanza pubblica e la necessit del rispetto del patto di stabilit da parte degli Enti territoriali. Rilevante e determinante sar anche levoluzione e la definizione del quadro normativo. Ma non solo. Da un lato le amministrazioni locali dovranno affinare le proprie strategie di provvista per conseguire lefficienza finanziaria; dallaltro, il mercato dovr garantire condizioni di accesso competitive e lefficienza. Infine, di non poco conto sar il funzionamento dei meccanismi perequativi necessari per superare il forte dualismo della struttura economica del nostro Paese. Per concludere ritengo utile sottolineare che il rapporto fra amministrazione locale e mercato dei capitali ha ancora notevoli spazi di consolidamento e sviluppo. In questi primi anni, si assistito ad esperienze molto diverse e lincertezza del quadro normativo ha di fatto permesso che in alcuni casi le scelte fatte non fossero le pi idonee a garantire la sostenibilit e la solidit del sistema.

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Per quanto questa fase si possa considerare conclusa, di certo significativi rimangono gli spazi per la definizione di un modello compiuto di relazione che da un lato sia in grado di evitare un utilizzo non sufficientemente ponderato degli strumenti innovativi a disposizione degli Enti territoriali, tutelando in primo luogo la solidit del sistema paese ma che, dallaltro lato, riesca anche a dettare in modo univoco regole certe e condivise da parte di tutti gli operatori finanziari, in modo da evitare pericolose fughe in avanti da parte di alcuni operatori.

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Maria Cannata Bonfrate La gestione del debito degli enti territoriali


1. Introduzione Il decentramento fra i diversi livelli di governo del territorio ha dato luogo, negli ultimi 10 anni, ad un ampio e delicato processo di ridefinizione dei rapporti tra Stato centrale ed autonomie locali, concretizzatosi in successive riforme dellimpianto normativo sulla struttura dello Stato che, recentemente, hanno investito la stessa Costituzione della Repubblica Italiana. Il nuovo profilo di tali rapporti rimane, peraltro, inserito in un contesto normativo generale preesistente, che ha a tuttoggi comportato, e maggiormente comporter nel futuro, lesigenza di un efficace coordinamento tra finanza centrale e finanza locale. Infatti, con il passaggio da un sistema di finanza derivata, basato sui trasferimenti dallo Stato, ad uno di finanza decentrata, in cui occorre assicurare agli enti territoriali un adeguato margine di autonomia impositiva e finanziaria, la finanza locale ha assunto un ruolo crescente, divenendo proprio per questo sempre pi corresponsabile dellequilibrio complessivo della finanza pubblica. Daltra parte, il processo sopra citato si accompagnato con lentrata in vigore, a partire dal 1994, del Trattato di Maastricht che, allarticolo 104, prevede che gli Stati membri debbano notificare semestralmente alla Commissione Europea i dati richiesti dalla procedura di controllo dei disavanzi eccessivi. Tali dati sono relativi allo stock di debito ed al disavanzo dellaggregato Amministrazioni Pubbliche considerato nella sua globalit: comprensivo, cio, dellamministrazione centrale, della amministrazioni locali e degli istituti pubblici di previdenza. Gli impegni assunti con ladesione allUnione Europea attribuiscono allo stato membro nella sua interezza la responsabilit del rispetto dei parametri di finanza pubblica e spetta allamministrazione centrale, in quanto titolare della rappresentativit nei rapporti internazionali, il compito di porre in atto i relativi impegni e trasmettere i dati del monitoraggio. Presupposto di tale notifica dovrebbe essere la disponibilit di un archivio sempre aggiornato relativo a tutte le operazioni di indebitamento effettuate dalle Pubbliche Amministrazioni cos come individuate dal sistema europeo dei conti nazionali e regionali (SEC 95). Delle buone statistiche vengono da tempo elaborate dalla Banca dItalia circa il livello dindebitamento degli enti territoriali, ma si tratta di informazioni raccolte per via indiretta, attraverso le segnalazioni del sistema bancario, principalmente orientate ai fini del rispetto delle norme di vigilanza del sistema creditizio. Sussisteva, per, allepoca dellavvio del monitoraggio europeo e in parte ancora sussiste - una carenza di conoscibilit circa la titolarit del debito dei singoli enti territoriali, tale da poter ricostruire con esattezza nel tempo levoluzione del fenomeno, e soprattutto non si disponeva di una base dati attinta direttamente alla fonte, ovvero al soggetto debitore. Lesigenza di sviluppare una base informativa dettagliata e completa della situazione debitoria degli enti territoriali fu presto percepita come fondamentale allinterno del Ministero del Tesoro, tanto vero che, nellambito di un pi complessivo progetto di riorganizzazione delle competenze a seguito della fusione con il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, con D.M. del 6 giugno 1999 fu creato un ufficio in seno alla Direzione del Debito Pubblico le cui competenze includevano il Monitoraggio dellindebitamento degli enti facenti parte della Pubblica Amministrazione, ai fini della predisposizione di statistiche esaustive del debito consolidato della P.A., valide per la definizione del corrispondente parametro di Maastricht ed il rispetto dei criteri di convergenza nellambito del

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Patto di stabilit. Tuttavia, senza una norma che sancisse lobbligo per gli enti territoriali di fornire i dati con regolarit, lattivit di questo ufficio soffr non poco nella sua fase di avvio, dovendosi fondare esclusivamente, oltre che sullintraprendenza del responsabile dellufficio stesso, sulla buona volont e capacit di cooperazione degli enti contattati. La maturazione progressiva di una pi acuta sensibilit alle esigenze di trasparenza della finanza pubblica, che si accompagnata allevoluzione istituzionale citata in apertura di questo contributo, ha infine portato allinserimento nella legge finanziaria per il 2002 (Legge 28/12/2001, n. 448) di un articolo (il 41) che ha dato forza ed impulso allattivit di monitoraggio. Il sistema per la rilevazione dei dati di mutui ed emissioni degli enti territoriali, precedentemente avviato cercando di superare con gradualit i problemi legati alla molteplicit dei soggetti coinvolti, ha potuto sostanziarsi nella creazione di una banca dati in via sperimentale, in attesa del Regolamento di attuazione dellarticolo 41, che avrebbe definito nel dettaglio le modalit di rilevazione.

2. La situazione attuale della ricognizione di dati

Linsieme dei dati raccolti dopo lentrata in vigore della legge finanziaria per il 2002, ma prima dellemanazione del relativo regolamento attuativo7, aveva rispecchiato alcune delle caratteristiche peculiari della struttura del debito degli enti territoriali gi note e osservabili anche attraverso le rilevazioni della Banca dItalia presso il sistema bancario, ovvero una composizione del debito contrassegnata dal netto predominio dei mutui rispetto ai titoli. Le ragioni di ci risiedono in fattori diversi. Il primo di carattere normativo: gli enti locali sono stati autorizzati ad emettere titoli obbligazionari solo nel 1994, quindi, fino a quel momento, lunica forma di indebitamento alla quale gli enti avevano accesso era quella del mutuo bancario. Per le regioni, invece, la possibilit di emettere titoli obbligazionari era stata introdotta nel 1970 insieme a quella di contrarre mutui, ma ugualmente il canale di raccolta di riferimento era quello dei mutui bancari. Infatti la normativa ha sempre vincolato lindebitamento degli enti territoriali al finanziamento di spese per investimento. La struttura tradizionale del mutuo, che prevede un piano di ammortamento, lo rende, rispetto ad altre forme di indebitamento, maggiormente conforme al finanziamento di un investimento, soprattutto nei casi in cui lo stesso genera dei flussi positivi. Le entrate derivanti dallo sfruttamento del bene prodotto o del servizio prestato, infatti, possono, anche solo parzialmente, coprire il rimborso del debito nel tempo. Laltro aspetto di carattere tecnico: unemissione obbligazionaria deve soddisfare alcuni requisiti minimi imposti dal mercato, il primo dei quali consiste nella dimensione dellammontare emesso che deve assicurare un livello di liquidit tale da rendere il titolo attraente per gli investitori. Pertanto solo le autonomie territoriali con una notevole capacit di investimento possono accedere al mercato obbligazionario e beneficiare del minor costo che lo caratterizza. Con lemanazione del Regolamento attuativo dellarticolo 41 e lapprovazione delle tabelle di rilevazione dei dati, formalizzata fin dallo scorso aprile dalla Conferenza Unificata, si dispone, ad oggi di una base giuridica ormai completa. Ci si

7 D.M. di concerto Ministeri Economia e Finanze e Interno del 1 dicembre 2003, n. 389, pubblicato sulla G.U. del 4 febbraio 2004.

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riflesso in una forte accelerazione del processo di raccolta e censimento dei dati. I risultati del lavoro compiuto sono visualizzabili nelle tabelle riportate in allegato. Tali dati, peraltro, sono ancora parziali: infatti, nonostante si registrino costanti progressi, su un totale di 8.222 enti, hanno comunicato dati 5.019 enti dei quali 2.153 hanno mutui esclusivamente con la Cassa Depositi e Prestiti.

Tuttavia, in termini di ammontari, presente nella banca dati circa l83% del debito totale delle amministrazioni locali8. In particolare coperto circa l87% dellindebitamento delle regioni e circa il 69% di quello di province e comuni, al netto dei mutui con la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.. Con riferimento alle emissioni obbligazionarie, quasi l87% del volume di titoli emesso dagli enti territoriali attualmente censito nella banca dati (pi del 95% per quanto riguarda i titoli emessi dalle regioni e quasi il 67% per quelli emessi da province e comuni). Dalla pubblicazione del Regolamento e delle tabelle di rilevamento, il numero di comunicazioni degli aggiornamenti trimestrali di nuovi mutui ed emissioni si triplicato (come noto lultimo aggiornamento era dovuto il 15 agosto u.s.) ma, considerato il numero totale degli enti interessati, si ritiene che non costituisca ancora una raffigurazione esaustiva della realt. Per quanto riguarda, invece, le comunicazioni degli enti che non avevano ancora effettuato alcuna segnalazione, si osservato un incremento notevole delle comunicazioni da parte delle Province: infatti, su 74 province che hanno inviato i dati, 61 li hanno comunicati dopo il Regolamento; su 4825 Comuni non capoluogo, soltanto 713 hanno ottemperato dopo il Regolamento, mentre mancato un incremento di risposte per i Comuni capoluogo che non avevano ottemperato precedentemente ed erano stati gi sollecitati. Per quanto riguarda, invece, le comunicazioni relative ai contratti di swap, si riscontrato un notevole incremento, riguardante sia contratti stipulati antecedentemente che posteriormente alla pubblicazione del Regolamento. Infatti, mentre prima di tale pubblicazione solo 124 enti avevano comunicato di aver effettuato operazioni derivate, dopo la pubblicazione, nello stretto arco temporale di un semestre, 145 enti hanno segnalato operazioni derivate. Ad oggi, su un totale di 381 operazioni di swap complessivamente comunicate, 36 sono i contratti stipulati post regolamento, di cui un solo swap di ammortamento. Sono comunque allo studio, ed in parte in fase di attuazione, una serie di iniziative per effettuare controlli incrociati, da un lato con i dati forniti dalla Banca dItalia, alla luce di quanto previsto dallarticolo 3, comma 14, della legge finanziaria per il 2004, dallaltro con quelli in possesso dellUfficio Italiano Cambi e di Montetitoli, in modo da palesare eventuali mancate o incomplete comunicazioni.

3. Il coordinamento dellaccesso al mercato

Nel contesto del coordinamento tra la finanza centrale e quella locale, cui si fatto riferimento nellintroduzione, si deve collocare il coordinamento dellaccesso al mercato da parte degli enti territoriali, anchesso contemplato dallarticolo 41. Il

8 Per la determinazione di queste percentuali di copertura si sono presi a riferimento i dati della Banca dItalia

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sistema delle autorizzazioni che discende da tale norma stato delineato dal DM n. 389 del 2003 e si affianca a quello preesistente stabilito dal T.U. Bancario. Data la molteplicit degli enti che ricorrono al mercato per collocare il proprio debito, si sentita lesigenza di evitare che il sovrapporsi di pi emittenti su uno stesso segmento di mercato possa riflettersi in un peggioramento delle condizioni di finanziamento, soprattutto per gli enti pi deboli in termini di percezione del merito di credito da parte del mercato. Il Dipartimento del Tesoro, dunque, deve rilasciare unautorizzazione allaccesso al mercato agli enti territoriali. La procedura si basa su un meccanismo di silenzio assenso i cui termini scadono dopo dieci giorni dal ricevimento della richiesta di autorizzazione. Gli enti hanno un termine di ulteriori dieci giorni per chiudere loperazione sul mercato. Il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, invece, continua ad emettere un provvedimento di autorizzazione sulle emissioni delle Regioni a statuto ordinario, verificandone la rispondenza ai presupposti di legge. I termini della relativa procedura sono quelli stabiliti dallart. 129 e, per la procedura durgenza, dallart. 3 del T.U. Bancario. Solo per le emissioni obbligazionarie delle Regioni si ritenuto opportuno, in via di prassi, unificare le due procedure di autorizzazione, derogando agli automatismi dei complessivi venti giorni ai fini del collocamento: il provvedimento del CICR, che comporta lautorizzazione ad emettere, contiene anche lautorizzazione allaccesso al mercato acquisita dal Dipartimento del Tesoro.

4. La disciplina dei derivati

Altro aspetto fondamentale della nuova normativa quello relativo allutilizzo degli strumenti derivati da parte degli enti territoriali: il Regolamento individua, tra quelle attualmente presenti sul mercato, le operazioni derivate che gli enti possono concludere al fine di ridurre i rischi ai quali i propri bilanci sono esposti. Considerata la particolare complessit della materia, stato necessario predisporre una circolare interpretativa del Regolamento (emanata il 27 maggio e pubblicata il 3 giugno in G.U.) per fornire a tutti gli operatori coinvolti - enti territoriali, banche ed intermediari finanziari una chiave di lettura delle norme contenute nel Regolamento stesso e della ratio cui tali norme sono improntate, vale a dire la finalit di una prudente gestione dei rischi connessi con lattivit di gestione del debito. Sono stati forniti, ad esempio, dettagli sui criteri di individuazione degli intermediari per la conclusione dei contratti relativi alla gestione del fondo o dello swap di ammortamento previsti dallart. 2 del Regolamento e sullindividuazione dei soggetti emittenti i titoli conferiti nel fondo. La preoccupazione a tal proposito deriva dalla sensazione che buona parte degli enti ai quali viene rivolta la proposta di unemissione bullet non abbia ancora maturato una chiara percezione dei rischi creditizi assunti nella conclusione di uno swap di ammortamento. Sono stati inoltre forniti chiarimenti sul contenuto dellarticolo 3 del Regolamento, concernente le operazioni ammesse ed i limiti entro cui operare nel rispetto del Regolamento. Si scelto di privilegiare, da un lato, la protezione dai rischi di mercato in unottica di medio-lungo periodo, dallaltro la semplicit delle strutture, in modo tale da assicurare la comprensibilit delle operazioni derivate da parte dei

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responsabili del settore finanziario degli enti. Il pricing degli strumenti derivati complessi, infatti, non facilmente verificabile dalla maggior parte degli enti facenti parte delluniverso a cui rivolto il Regolamento, in quanto richiede lapplicazione di metodologie quantitative molto sofisticate. Tali operazioni, quindi, debbono essere effettuate nella forma c.d. plain vanilla, vale a dire nella forma pi semplice e priva di qualsiasi opzionalit o meccanismo di leva che possa esporre lente ad ulteriori rischi finanziari conseguenti a movimenti dei tassi di interesse. Linterpretazione in chiave prudenziale delle disposizioni del Regolamento stata apprezzata in particolar modo dagli enti territoriali di medie e piccole dimensioni, per i quali pi forte lasimmetria informativa rispetto ai propri interlocutori, gli intermediari bancari e finanziari. Per tale categoria di enti, infatti, dotarsi di personale specializzato, di strumenti informativi e di modelli di pricing necessari per un corretto utilizzo degli strumenti derivati complessi, avrebbe un impatto sul bilancio in termini di costi troppo elevato, anche in relazione alla limitata frequenza con cui gli enti stessi accedono al mercato.

5. Alcuni spunti di riflessione sulle future evoluzioni normative: la Legge Finanziaria per il 2005

Alla luce dellesperienza maturata negli ultimi anni, si rilevata lesigenza di integrare la normativa esistente in materia di finanza e contabilit degli enti locali, per fornire strumenti adeguati ad una maggiore flessibilit nella gestione del debito degli enti territoriali. A tal fine, il disegno di legge finanziaria per il 2005 (dora in poi, ddl) introduce, fra gli strumenti a disposizione degli enti, ulteriori fonti di finanziamento (aperture di credito e prestiti congiunti), nuovi strumenti di gestione del debito (rinegoziazione dei mutui con oneri a parziale o totale carico dello Stato), oltre a disposizioni che agevolano lapplicazione della normativa relativa al fondo di ammortamento delle emissioni obbligazionarie.

5.1 Le aperture di credito Il ddl prevede lintroduzione nel testo unico degli enti locali, tra le forme di indebitamento, della contrazione di aperture di credito a medio-lungo termine. Questo strumento si caratterizza per una maggiore elasticit e quindi pi efficiente, rispetto al mutuo tradizionale, per finanziare talune forme di investimento la cui realizzazione richiede pi pagamenti in un arco di tempo pluriennale. Attualmente, infatti, lente costretto a contrarre contestualmente lintero importo del mutuo, pur in presenza di un piano di spese per linvestimento distribuite nel tempo. Il piano di ammortamento del mutuo entra dunque in vigore per lintero ammontare, a prescindere dalleffettivo utilizzo da parte dellente delle somme mutuate. La contrazione di unapertura di credito consente allente di indebitarsi per ammontari esattamente equivalenti alle esigenze di finanziamento, in funzione dello stato di avanzamento dellinvestimento. Lobiettivo la riduzione della spesa per interessi: con una maggiore corrispondenza tra la dinamica del debito e quella dellinvestimento si evita il pagamento di interessi da parte degli enti sullintero importo del mutuo quando ancora non stato necessario effettuare la spesa per lintero ammontare previsto per linvestimento. Inoltre, alla fine del triennio previsto per i tiraggi, lente pu cristallizzare un importo inferiore a quello potenzialmente previsto.

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Le aperture di credito sono soggette a tutti i vincoli normativi previsti per il debito degli enti. In particolare sono soggette al monitoraggio da parte del MEF ex-art. 41 legge 448/21. Sempre nellottica di aumentare la flessibilit di cui gli enti dispongono nella gestione del proprio debito, la normativa relativa ai mutui passivi viene razionalizzata con riferimento ai termini dellammortamento. Ad esempio lente pu usufruire, nella contrazione di un mutuo, di un periodo massimo di preammortamento di due anni, in luogo di inferiori e pi rigidi limiti imposti dalle norme correnti.

5.2 I prestiti obbligazionari congiunti

La normativa attualmente vigente in materia di emissione di prestiti obbligazionari da parte degli enti locali e territoriali prevede che tali enti possano emettere prestiti obbligazionari anche in forma consorziata o di unioni. In particolare, larticolo 35 della legge n. 724 del 1994, prevede: lobbligo di autorizzazione allemissione da parte degli enti che fanno parte del consorzio; che la data di estinzione del prestito sia precedente quella di scioglimento dellunione o del consorzio tra gli enti; la verifica del rispetto delle condizioni contabili cui subordinata la possibilit di emissione in generale per gli enti locali. Il decreto n. 420 del 1996, di attuazione dellart. 35, invece, stabilisce che la delibera del prestito emesso dal consorzio o dallunione di enti deve obbligatoriamente fare riferimento alle singole autorizzazioni rilasciate da ciascun ente partecipante e che deve essere altrettanto obbligatoriamente prodotta la certificazione dellultimo rendiconto della gestione del consorzio, da un organo interno se si tratti di consorzio senza rilevanza economica, ovvero da un organo di revisione esterna. Il ddl introduce nel Testo Unico degli enti locali una integrazione dellart. 207, originariamente relativo al rilascio di garanzia fidejussoria per le operazioni di indebitamento dei comuni e degli altri enti locali. Tale modifica prevede che, a fronte di operazioni di emissione di prestiti obbligazionari effettuate da pi enti locali congiuntamente, venga istituito un sistema incrociato di garanzie fidejussorie tra un ente del gruppo, individuato come capofila, che garantisce linsieme delle operazioni del pool, e gli altri enti partecipanti, ciascuno dei quali rilascia singola garanzia fidejussoria a favore dellente capofila. Ai fini del rispetto dei limiti previsti per le operazioni di indebitamento garantite con fidejussione, la garanzia prestata dallente capofila concorre solo per la quota parte dei prestiti di propria competenza. In tal modo, lente capofila non consuma pi tutta la capacit di indebitamento che gli consentita per il solo fatto di essersi sobbarcato questo ruolo. La ragione della proposta di integrazione del T.U.E.L. risiede, dunque, nella volont di agevolare forme di ricorso al mercato, quali lemissione in pool, particolarmente indicati per quegli enti locali di medie e piccole dimensioni, per i quali occorre creare presupposti giuridici che consentano di rendere le operazioni proponibili sul mercato, in termini di competitivit e convenienza, attraverso uno

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strumento in grado di dare spessore alle operazioni stesse, senza incidere negativamente sui limiti di indebitamento dellente capofila. Una possibile criticit connessa alla creazione del sistema di garanzie delineato dalla nuova legge finanziaria potrebbe essere rappresentata dalla eventuale incompatibilit di tale sistema con le clausole di programmi internazionali di emissione (es. MTN) sotto legislazione diversa da quella nazionale (Negative Pledge). Comunque, il problema stato appena prospettato e non escluso che, anche su questo fronte, non si possano in futuro individuare soluzioni in grado di ovviare a tale incompatibilit; tuttavia, anche qualora cos non fosse, gli enti avranno comunque a reale disposizione unulteriore modalit di accesso al mercato.

5.3 La rinegoziazione dei mutui

E previsto limpegno per lo Stato e per le autonomie regionali e locali a valutare la convenienza della rimodulazione del proprio debito in relazione allandamento del mercato. Gli enti possono convertire in titoli obbligazionari o rinegoziare i mutui con oneri di ammortamento a totale o parziale carico dello Stato, analogamente a quanto gi stabilito dallart. 41 legge 448/2001 per il debito a carico degli enti stessi. La condizione che deve essere sempre soddisfatta quella della riduzione del valore finanziario delle passivit totali, avendo preso in considerazione anche le commissioni, vale a dire le eventuali penali per il rimborso della passivit originaria e le commissioni per il collocamento di quella nuova. Naturalmente il beneficio della rinegoziazione andr ripartito fra gli enti che sopportano leffettivo onere del debito. Si ritenuto opportuno, per facilitare gli enti nellapplicazione della norma, definire una soglia per lattivazione del processo di rimodulazione: tasso swap di mercato, con scadenza pari alla vita media residua del mutuo, inferiore al tasso fisso originario del mutuo di 1 punto percentuale. Nel caso in cui la rimodulazione del debito avvenga mediante lemissione di un titolo obbligazionario bullet, sar sempre necessario costituire un fondo o concludere uno swap di ammortamento secondo quanto disposto dal regolamento (art. 2 DM 389/2003).

5.4 Il fondo di ammortamento

Gli enti locali vengono svincolati, per quanto attiene al fondo di ammortamento del debito ex-art. 41 legge 448/2001, dal principio di accentramento dei propri attivi presso il tesoriere stabilito nel TUEL. Prevarr infatti il requisito delladeguato merito di credito, certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale, stabilito dal regolamento (DM 389/2003) per gli intermediari che possono svolgere lattivit di gestione del fondo. La circolare 228/2004 esplicita ulteriormente questo requisito riconducendolo ad un livello minimo del rating pari a BBB/Baa2/BBB (nel caso di rating difformi, si prende in considerazione quello inferiore). Questo tipo di operativit, infatti, richiede competenze finanziarie e capacit gestionali piuttosto sofisticate.

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Nel ddl, infine, stato cancellato, nellart. 41 della legge 448/2001, il riferimento alla contrazione di mutui bullet, per i quali era prevista, in analogia ai titoli obbligazionari bullet, la costituzione di un fondo di ammortamento o la conclusione di uno swap. La scelta di circoscrivere la forma di rimborso del capitale in unica soluzione a scadenza solo alle emissioni obbligazionarie motivata dal fatto che la forma tecnica del mutuo consente allente di ottemperare allobbligo di ammortamento delle proprie passivit senza concludere ulteriori transazioni. Il processo di creazione di un fondo o di conclusione di uno swap, infatti, trova giustificazione per i prestiti obbligazionari nella preferenza che il mercato generalmente attribuisce alla struttura bullet. Nel caso dei mutui la forma bullet, peraltro mai registrata, avrebbe lunico effetto di incrementare il costo del debito.

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Appendice normativa

Pubblicazione sulla GU del 20/07/04 delle tabelle relative al rilevamento dellindebitamento, che conferisce completezza giuridica alla attuazione dellarticolo 41 della legge 448/2001. Circolare del 27/5/2004 pubblicata su GU del 3/6/2004

Regolamento di attuazione dellart. 41 decreto dell1/12/2003 n. 389 ( GU 4/02/04) Legge 24/12/2003, n. 350, (Legge finanziaria 2004), art. 3, comma 14. Legge 28/12/2001, n. 448, (Legge finanziaria 2002), art. 41. delle leggi

Decreto Legislativo 18/8/2000, n. 267, Testo Unico sullordinamento degli enti locali, Titolo IV, articoli da 199 a 207.

D.M. 8/6/1999 (successivamente modificato dai D.M. 19/12/2000 e D.M. 16/7/2003). D.M. 5/7/1996, n. 420 Regolamento recante norme per lemissione di titoli obbligazionari da parte degli enti locali. Legge 23/12/1994, n. 724 articoli 35 e 37.

Legge 16/5/1970, n. 281 Provvedimenti finanziari per lattuazione delle Regioni a statuto ordinario, art. 10.

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Marco Cecchi de Rossi Enti territoriali tra vincoli e opportunit

Lo scenario attuale: i vincoli Pressione dal centro Contesto istituzionale in evoluzione Contesto istituzionale e impatto sugli enti territoriali: rating oltre il sovrano? Economia debole Debito locale in aumento Lo scenario attuale: quale impatto sugli enti?

Lo scenario attuale: le opportunit Nuovi sviluppi gestionali Le aree di opportunit Esempi di operazioni innovative in Italia

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Lo scenario attuale: i vincoli Pressione dal centro

Riduzione supporto finanziario. Ritardi trasferimenti di cassa. Congelamento flessibilit fiscale in 2003 e 2004. Patto di Stabilit Interno, nuove regole per 2005. Maggiori responsabilit trasferite. Regole su investimenti, indebitamento, operazioni in derivati. Tetto alla spesa/obbligo di tagli alla spesa. Partita sanit Stato-regioni: ancora aperta.

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Lo scenario attuale: i vincoli Contesto istituzionale in evoluzione

Situazioni di partenza: uno Stato centralizzato. Inizi anni 90: prima scossa al sistema. In seguito forte decentramento. accelerazione del processo di

Rallentamento in 2003 e 2004.

Oggi

SISTEMA in EVOLUZIONE

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Lo scenario attuale: i vincoli Contesto istituzionale e impatto sugli enti territoriali: rating oltre il sovrano?

Autonomia finanziaria riconosciuta costituzionalmente

Relazioni istituzionali stabili

Condizioni

Elevata qualit creditizia stand alone

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Lo scenario attuale: i vincoli Economia debole e debito locale in aumento Bassa crescita economica tra il 2002 e il 2004

Riduzione risorse dallo Stato


+

Maggiori responsabilit
+

Fabbisogno pi elevato di debito

Fabbisogno infrastrutturale

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Lo scenario attuale: quale impatto sugli enti? Pressioni sulle performance di bilancio degli enti italiani mitigate da: Un sistema istituzionale che garantisce cambiamento controllato e che ancora protegge. Impatto economico ancora moderato sugli enti territoriali. Buona reattivit locale ai cambiamenti di sistema. Prudenza (anche normata) nella gestione dei bilanci e dellindebitamento.

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Lo scenario attuale: le opportunit Nuovi sviluppi gestionali

Cambiamenti gestionali nellente territoriale

Area operativa

Area finanziaria

Efficienza gestione operativa

Attiva gestione del debito

Utilizzo finanza innovativa

Razionalizzazione spese, ottimizzazione entrate

Es. strumenti derivati, rinegoziazioni

Es. cartolarizz.ni, PPP/PFI

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Derivati: approccio di Fitch

Regolamentati. Fitch non assegna i rating alle operazioni in derivati. Benefici, ma anche rischi.

Finanza innovativa: approccio di Fitch

Passivit certe, garantite o indirette

Debito indiretto

Debito garantito

Debito assimilabile debito diretto

al

Bassa

Alta

Probabilit di intervento ente territoriale

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Lo scenario attuale: le opportunit, quali le aree?

Patrimonio immobiliare: -Fondi immobiliari ad apporto pubblico -Cartolarizzazioni immobili -Sale and Lease Back

Utilities/ settore pubblico allargato: -enti case popolari -ex municipalizzate Crediti: -Cartolarizzazioni di residui attivi (tributi e tariffe) -Cartolarizzazione crediti sanitari

Ente territoriale

Derivati:swap

Finanza di progetto: -PPP/PFI

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Lo scenario attuale: le opportunit, quali le aree?

Regione Umbria (Terremoto bond EURO 487 mln Novembre 2002)

Regione Siciliana (Crediti sanitari EURO 655 mln, Gennaio 2003)

Regione

Lazio

Regione Friuli Venezia Giulia (Immobili EURO 51 mln, Maggio 2004)

(Sale& Lease Back, EURO 1.2 mld, Marzo 2003)

Cartolarizzazione di trasferimenti dallo Stato

Cartolarizzazione di trasferimenti dalla Regione Siciliana

Cartolarizzazione di Cartolarizzazione canoni di leasing immobili regionali (prima operazione in Italia)

Effetto de-consolidante

Effetto non de-consolidante

Effetto non de-consolidante

Effetto non deconsolidante

Fitch non lo ha considerato come debito regionale

Fitch lo ha considerato Fitch lo ha considerato Fitch lo ha considerato come debito garantito debito regionale debito regionale regionale

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Giovanni Gorno Tempini


Il ricorso al mercato da parte degli Enti territoriali italiani in crescita. Le nuove esigenze finanziarie, derivanti dalle responsabilit e dai compiti decentrati, e la crescente autonomia hanno implicato lutilizzo di strumenti finanziari innovativi da parte delle amministrazioni locali. In prospettiva tale rapporto destinato a consolidarsi e a svilupparsi ulteriormente, essendo il decentramento e il federalismo ancora in attesa di una definizione compiuta. In questa fase di transizione di assoluto rilievo il contesto normativo, ovvero le regole che definiscono il rapporto e lutilizzo di strumenti gi consolidati da parte di nuovi utilizzatori con specifiche esigenze e particolarit, gli Enti territoriali. Ma cruciale anche la rilevanza e la centralit che il mercato deve assumere. Il mercato crea importanti opportunit per i governi locali ma a tali opportunit si affiancano dei rischi che devono essere riconosciuti, compresi e tenuti sotto controllo.

La mia presentazione sar strutturata in tre punti. In primo luogo vorrei cercare di fare il punto sul mercato del debito locale in Italia, evidenziandone le principali tendenze recenti e le pi importanti caratteristiche. In secondo luogo intendo aprire una breve parentesi sullesperienza degli altri paesi europei, alcune esperienze possono rappresentare, infatti, un utile benchmark per il nascente mercato domestico. Infine, evidenzier i limiti, le opportunit e i rischi che il ricorso al mercato da parte degli Enti territoriali comporta.

Il processo di decentramento ha portato a una crescente responsabilit finanziaria da parte degli Enti territoriali italiani, che basano le proprie scelte di finanziamento sempre pi sulla ricerca dellefficienza finanziaria. Negli ultimi anni si ampliata la gamma degli strumenti a disposizione delle autonomie locali; Regioni, Province e Comuni hanno oggi a disposizione una pluralit di strumenti e a loro spetta la scelta di quale utilizzare in maniera pi opportuna. Fra gli strumenti pi utilizzati vi sono le emissioni di bond, le cartolarizzazioni e il project finance. Negli ultimi anni si assistito a una veloce diffusione delle operazioni di cartolarizzazione effettuate dalle amministrazioni locali e nel 2003 le operazioni facenti capo a Enti territoriali hanno rappresentato circa il 20% delle operazioni di cartolarizzazione complessive. Sempre pi rilevante e in crescita risulta il ricorso al project finance, che, dopo aver scontato significative difficolt iniziali dovute alla novit dello strumento e a un quadro normativo non ancora compiuto, in questi ultimi anni viene utilizzato con crescente intensit. Tuttavia, tale strumento pu essere utilizzato solo per alcune categorie di investimenti e non per la generalit delle opere pubbliche essendo imprescindibilmente legato alla capacit di generare reddito dellinfrastruttura realizzata. La novit pi importante nella finanza degli Enti territoriali italiani il crescete ricorso al mercato obbligazionario. Negli ultimi anni si evidenzia una consistente accelerazione nei volumi emessi. Prima del 1996 non risulta nessuna emissione di bond regionali, per quanto tali amministrazioni avrebbero potuto emettere titoli fin dalla loro costituzione. Dal 1996 il ricorso alle emissioni cresciuto progressivamente registrando lapice nel 2002, quando le nuove emissioni hanno raggiunto quasi 6 miliardi di euro. Il 2002 il primo anno di applicabilit dellart.

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41 della legge 448/01 che rimuove i principali ostacoli allutilizzo di bond da parte degli Enti territoriali italiani, prevedendo fra laltro la possibilit di emettere titoli con rimborso alla scadenza e di fare emissioni sotto la pari. Inoltre, il 2002 stato un anno difficile per le amministrazioni regionali che hanno riscosso molto meno di quanto previsto a causa del malfunzionamento del d.lgs 56/00 e quindi si sono trovate con problemi di liquidit.

Con riferimento agli emittenti, le Regioni rappresentano lemittente pi significativo in termini di volumi, rappresentando nel periodo cumulato 1996agosto 2004, il 78% delle emissioni totali. Rilevante risulta anche il numero di Comuni che hanno emesso bond. Per quanto il mercato si sia consolidato e sia cresciuto negli ultimi anni, gli spazi di sviluppo appaiono ancora rilevanti. Fra i limiti pi importanti che segnalano la parziale immaturit del mercato vi sono la dimensione media delle emissioni, la durata dei bond e lassenza di mercato secondario. Le emissioni sono, infatti, di dimensioni decisamente modeste. Lemissione di maggiore dimensione stata fatta dalla Regione Umbria nel maggio del 2000 (1.018 milioni di euro), segue lemissione in dollari della regione Lombardia dellottobre 2002 per un valore di 1.014 milioni di euro. Numerosissime sono per le emissioni di piccolissima dimensione. La dimensione media di un Bor pari a 306 milioni di euro, di un Bop a 12,7 milioni, di un Boc a meno di 10 milioni di euro. In genere i bond hanno durata elevata (uguale o superiore ai 15 anni). Per legge i titoli locali non possono avere una durata inferiore ai 5 anni. Infine, risulta molto bassa la liquidit del mercato secondario dato che i titoli sono in genere sottoscritti a fermo, in base ad un approccio di tipo buy and hold .

Una ulteriore opportunit per lefficienza finanziaria offerta dallutilizzo da parte della amministrazioni locali delle tecniche di Asset and Liability Management. In generale lobiettivo dellALM non quello di eliminare il rischio, ma di gestirlo. Il problema principale dato dal trade-off tra rischio, rendimento e liquidit. La gestione della liquidit sta assumendo una rilevanza crescente nelle amministrazioni locali. Al momento attuale la maggior parte degli Enti impiegano la liquidit in P/T e pertanto gli spazi per migliorare la gestione finanziaria sono considerevoli.

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Attraverso la gestione attiva dellindebitamento gli Enti possono trasformarne le caratteristiche, sfruttando condizioni ed opportunit presenti sui mercati, in modo da realizzare molteplici vantaggi fra cui un risparmio in termini di oneri finanziari e/o una copertura del rischio di rialzo dei tassi di interesse. Lutilizzo degli strumenti derivati da parte dellamministrazione locale stato ampio: in base ai primi dati disponibili, gli Enti che hanno effettuato operazioni di swap sono 230. Il crescente ricorso al mercato obbligazionario e agli strumenti derivati sono stati affiancati dalla progressiva definizione del quadro normativo. La possibilit di utilizzo da parte degli Enti territoriali di strumenti derivati stato regolamentato nel 2001 (art. 41 legge 448/01) e dal successivo decreto 389 del 2003. Il decreto del 2003 specifica lelenco delle operazioni in derivati ammesse, chiarendo che sono autorizzati a concludere simili operazioni solo intermediari dotati almeno di un merito di credito pari alla BBB. Inoltre, si prevedono alcune limitazioni allutilizzo dei derivati da parte dellamministrazione locale. Con riferimento alle emissioni obbligazionarie, si sono via via chiarite le modalit di ammortamento del debito, prevedendo anche in questo caso che solo intermediari dotati di rating almeno pari a BBB possono gestire il fondo di ammortamento e che tale fondo possa investire solo in titoli obbligazionari di Enti pubblici e societ pubbliche europee. Tuttavia, alcuni dubbi (significativi) rimangono. Il quadro normativo si andato chiarendo ma il quadro complessivo continua a caratterizzarsi per le sue luci ed ombre e sar necessario tempo per valutare compiutamente i risultati di questa normativa di recentissima emanazione. Fra le diverse criticit vorrei sinteticamente proporre alcuni interrogativi, che valuto come pi urgenti e maggiormente contradditori. Inizierei proprio dallultimo punto evidenziato, ovvero dal limite posto alla diversificazione della tipologia di investimento del fondo di ammortamento. Credo, infatti, che su questo punto andrebbero meglio chiarite le priorit del legislatore. Tale vincolo non sembra, infatti, avere lobiettivo prioritario di limitare il rischio in capo allente pubblico, quanto quello di contenere immediatamente limpatto dellindebitamento degli Enti territoriali sul debito complessivo della Amministrazione Pubblica (ci che per unamministrazione rappresenta una passivit, rappresenta unattivit per unaltra). In questo modo, per, non detto che linvestimento sia in grado di generare flussi reddituali capaci di far fronte allesposizione debitoria, visto il limite imposto alla diversificazione. E ancora. Attualmente i fondi di ammortamento possono essere costituiti esclusivamente presso il Tesoriere dellEnte locale (art. 221 del T.U.E.L.) e i dati ci dicono che molto scarso risultato il ricorso alla costituzione del fondo, avendo le amministrazioni locali, nella maggior parte dei casi, optato per lo swap per lammortamento del debito. I due aspetti, letti insieme, indicano la difficolt nellattuale assetto normativo che la corretta e prudenziale gestione del fondo incontra. Su questo punto il legislatore ha intenzione di intervenire nella finanziaria 2005, prevedendo di superare tale limite. Infine, unulteriore criticit riguarda la scelta a favore dellelencazione delle operazioni in derivati ammesse, compiuta nella circolare. Faccio fatica a credere che questo approccio sia adeguato vista la flessibilit degli strumenti finanziari di nuova generazione e la loro continua evoluzione. Per quanto la circolare provi a chiarire i numerosi dubbi del regolamento, il risultato ancora parziale e sulla possibilit di fare alcune specifiche operazioni il quadro risulta ancora ambiguo.

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Passando ora al secondo punto del mio intervento vorrei presentare alcuni dati sul mercato dei bond locali in Europa per poi evidenziare un secondo modello di finanziamento dei governi locali, che in alcuni paesi europei si sta rivelando estremamente interessante.

Le emissioni dei governi locali nei principali paesi emittenti 45.000 40.000 35.000 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000 0 1999 2000 Germania 2001 Italia Spagna 2002 Francia 2003 set-04

Mln di euro

Fonte: elaborazioni Banca Intesa su dati Bloomberg

Il ricorso al mercato obbligazionario da parte delle amministrazioni locali europee appare ancora limitato: tra il 1999 e il maggio 2004 sono stati complessivamente emessi titoli per un valore di poco pi di 172 miliardi di . Le emissioni di bond di governi locali europei hanno rappresentato circa il 2,5-3% delle emissioni complessive annue. Lunico emittente significativo la Germania, che rappresenta oltre il 50% delle emissioni; in accelerazione risultano i mercati italiano e spagnolo: tra il 1999 e il settembre 2004 hanno complessivamente emesso pi di 17 miliardi di euro ciascuno, registrando tassi medi di crescita annui nei volumi superiori al 30%. Tuttavia, rilevanti appaiono le differenze fra i due mercati emergenti. La dimensione media dei bond locali spagnoli cinque volte superiore a quanto registrato in Italia (nel 2003, 136 milioni contro 29 milioni di ).

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la durata dei prestiti sensibilmente inferiore: il 37% dei bond locali spagnoli ha una scadenza pari o inferiore ai 5 anni e meno del 2% superiore ai 15 anni.

I b o n d lo c a li in S p a g n a e in It a lia
7 .0 0 0 6 .0 0 0 5 .0 0 0

v o lu m i in m ln d i

4 .0 0 0 3 .0 0 0 2 .0 0 0 1 .0 0 0 0 1999 2000 2001 2002 2003 38231

Ita l i a

Spagna

Valori emessi per scadenza del prestito


100% 80% 60% 40% 20% 0% pi di 30 anni 26-30 anni 21-25 anni 16-20 anni 11-15 anni 6-10 anni meno di 5 anni

Spagna

Italia

Fonte: Elaborazioni Banca Intesa su dati Bloomberg

I Governi locali di alcuni paesi europei possono indebitarsi presso il sistema bancario a condizioni vantaggiose grazie alla possibilit concessa agli istituti di credito di emettere covered bond, ovvero obbligazioni collaterizzate dal pool dei mutui e dei prestiti concessi alla PA locale. Il paese di riferimento ancora la Germania (Pfandbriefe), ma anche in Francia (Obligations Foncires) e Spagna (Cdulas) il mercato si sta sviluppando seguendo il modello tedesco. In Germania sono autorizzati a emettere covered bond gli istituti di credito ipotecario e le 18 banche pubbliche. Dal 1995 stato introdotto il JumboPlandbriefe, che si caratterizza per lelevata standardizzazione e liquidit. Ma cosa sono i covered bond? Sono strumenti di raccolta bancaria diretta o on balance sheet funding, in cui una parte dellattivo della Banca emittente viene dedicato alla garanzia esclusiva di queste obbligazioni. In genere si tratta di strumenti altamente standardizzati, perci con un mercato secondario liquido. Linvestitore tutelato attraverso una doppia garanzia: pu rifarsi in via esclusiva sul pool di asset segregati e sul resto del patrimonio della banca. Inoltre, i covered bond sono soggetti ad una regolamentazione favorevole in termini di impegno di capitale per le banche che investono in questi prodotti (risk weighting).

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Il mercato dei titoli garantiti da prestiti alla pubblica amministrazione o agli Enti locali (public loan-backed covered bond) ha superato i 60 mld di euro. Nel grafico seguente sono rappresentati sinteticamente i 20 public loan- backed attualmente quotati al mercato Eurocredit (gruppo MTS) e per questo pi liquidi e maggiormente appetibili agli investitori istituzionali. La dimensione media delle emissioni supera i 3,3 mld per le emissioni che hanno come sottostante prestiti alla pubblica amministrazione e/o agli Enti locali. Il maggiore emittente rimane la Germania con oltre l85% delle emissioni. Il costo del finanziamento paragonabile a quello degli Stati Sovrani, con eccezionali episodi di cedole inferiori a quelle dei titoli di stato di pari scadenza dovuti o alla rarit delle emissioni o a particolari andamenti favorevoli dei tassi dinteresse. In generale linteresse del mercato per i covered bond elevato; i maggiori investitori sono fondi pensione e banche. Il pool di potenziali investitori varia molto tra le singole emissioni, in media le emissioni di public-loan backed covered bond vengono acquisite da: Banche Tedesche (35-40% dellemissione in parte destinato alla clientela al dettaglio). Banche Benelux e Scandinavia (circa 20-25% dellemissione). Banche Francia e UK (circa 10%). Fondi Comuni (la quota cresce se la scadenza inferiore ai 10 anni)). Fondi Pensioni (la quota cresce se la scadenza superiore ai 10 anni). Assicurazioni. Banche centrali che le comprano come strumenti di investimento. Alcune emissioni possono essere anche utilizzate per le operazioni di pronti contro termine. Tendenzialmente le emissioni delle banche tedesche hanno una maggiore diffusione internazionale perch sono i prodotti di pi lunga tradizione e quindi pi conosciuti. Le Pfandbriefe tradizionali sono anche diffuse tra i piccoli risparmiatori tedeschi con una strategia di tipo buy and hold.

Emissioni negoziate all'Eurocredit (MTS) e spread v. Government bonds 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Germania Francia 2,4-4 anni Germania 4-8 anni Germania Francia 8-12 anni Spagna mld Spread in punti base rispetto ai titoli di Stato 15 25 25 25 -20 -6

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Quali prospettive quindi per lo sviluppo del mercato domestico? Per cogliere le opportunit e far fronte ai rischi che il mercato inevitabilmente offre alle amministrazioni locali cruciale sar il ruolo dellassetto normativo. Saranno infatti in primo luogo le regole a definire e regolare il rapporto fra Enti territoriali e mercato dei capitali. Importante sar anche lintroduzione di nuovi strumenti e quindi di nuove opportunit. Attualmente i principali limiti normativi riguardano la sostanziale assenza di strumenti volti a standardizzare e aumentare la dimensione media delle emissioni. Continuano inoltre a persistere alcune rigidit: durata non inferiore ai 5 anni individuazione di un preciso progetto di investimento incertezze sulla retrocessione delle ritenute fiscali

Lintroduzione dei covered bond nellordinamento italiano e laffinamento delle norme sulle emissioni in pooling creerebbero nuove opportunit. Lemissione in pooling prevede la stipula di una convenzione ai sensi dellArt. 30 del D.Lgs. 267/2000 finalizzata alla negoziazione unitaria delle condizioni di emissione. Tale strumento stato utilizzato in Emilia (capofila il comune di Reggio Emilia) e nel Lazio (Comuni dei Castelli Romani, capofila comune di Ciampino). I principali vantaggi si riferiscono al conseguimento di economie di scala nel processo di gara, alla possibilit di accedere al mercato anche per i Comuni pi piccoli, al pricing favorevole in particolare per i Comuni di dimensioni minori e a tassi di interesse contenuti. La Finanziaria 2005 prevede la modifica dellart. 207 del d.Lgs. 267/2000 e la possibilit di rilasciare fideiussioni per altri Enti con un meccanismo di contro garanzie in modo da non considerare le stesse ai fini della capacit di indebitamento. Per quanto riguarda i covered bonds, lunico soggetto abilitato ad emettere tale tipologia di obbligazioni attualmente la Cassa Depositi e Prestiti. Da tempo il mercato in attesa dellapprovazione del disegno di legge che prevede la possibilit di emettere covered bonds o obbligazioni bancarie garantite da parte di altri istituti di credito. Tale modifica potr essere introdotta grazie ad una modifica della legge 130/1999 (cartolarizzazione dei crediti), del diritto fallimentare e del Regio Decreto n. 2440 del 1923 (Nuove disposizioni sull'Amministrazione del Patrimonio e sulla contabilit generale dello stato). Tuttavia dopo lapprovazione della legge, il Ministro dellEconomia e delle Finanze dovr emanare le disposizioni di attuazione del nuovo strumento finanziario e, ai sensi dellart. 53 del Testo unico bancario, dovr essere predisposta ulteriore normativa secondaria da parte della Banca dItalia; questo inevitabilmente creer ulteriori ritardi per gli emittenti italiani.

Per concludere, vorrei sottolineare nuovamente che il mercato dei capitali rappresenta per gli Enti territoriali italiani una importante opportunit ma daltro lato implica inevitabilmente dei rischi che devono essere limitati e monitorati. Le opportunit sono rappresentate da maggiore flessibilit a disposizione degli Enti, da una significativa disponibilit di fondi e dallo sviluppo dellefficienza finanziaria. I rischi sono invece legati alla complessit del mercato e degli strumenti, alla loro novit per linterlocutore ente territoriale e alla volatilit dei mercati. Per far fronte

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ai rischi e per cogliere le opportunit offerte cruciale risulter lo sviluppo di nuove competenze e conoscenze da parte sia delle amministrazioni locali che del sistema finanziario. Il mercato del debito locale ormai aperto, ma le opportunit non ancora pienamente sfruttate. A fronte delle nuove esigenze finanziarie degli Enti territoriali urgente che da un lato Regioni, Province e Comuni finalizzino le proprie scelte al perseguimento dellefficienza finanziaria, e per fare questo risulta fondamentale il consolidamento e lo sviluppo di nuove competenze e conoscenze; dallaltro il sistema finanziario deve adeguare la propria offerta, affiancando al tradizionale ruolo di tesoriere una proposta completa, alla luce delle specifiche esigenze e della specificit del cliente-amministrazione locale. Infine, credo non si possa prescindere dalla valutazione e dalla considerazione delle regole del mercato, dalla necessit che a fronte di una crescente offerta di titoli locali vi debba essere un significativo interesse da parte degli investitori per garantire il conseguimento delle migliori condizioni.

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Conclusioni

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Corrado Passera Amministratore delegato e CEO Banca Intesa

Ci tengo a ringraziare i partecipanti perch stato un ottimo convegno sia dal punto di vista tecnico, che dal punto di vista politico. Il merito non certo nostro, di Banca Intesa, ma di tutti coloro che stamattina e oggi pomeriggio si sono susseguiti al microfono. Alle autonomie locali affidata una responsabilit enorme sia in termini di crescita economica, sia in termini di qualit di vita dei cittadini. Dalle autonomie locali dipendono gran parte degli investimenti che portano competitivit (il 75% degli investimenti pubblici sono fatti da comuni, province, regioni) e se si parla di coesione sociale il welfare sostanzialmente affidato al mondo delle autonomie locali. Queste sono le ragioni concrete per le quali oggi siamo qui a discutere per trovare il modo migliore per far s che lintero sistema possa supportare le autonomie locali. Non c dubbio che lItalia oggi in un momento di grande sofferenza. Le ragioni sono molteplici, per la ragione fondamentale che cresciamo troppo poco, siamo forse il paese in Europa che cresce meno. Se guardiamo alle nostre quote di mercato dellexport mondiale, la situazione ancora pi grave perch non vero che noi abbiamo, come tutti, perso proporzionalmente in funzione del ruolo assunto da Cina e India. No, noi abbiamo perso in maniera pi significativa: da quattro e mezzo a tre per cento vuol dire un terzo della nostra quota di mercato. Non successa la stessa cosa a Francia e Germania che non hanno certo costi del lavoro inferiori ai nostri. Ma lindicatore che a me fa pi impressione quello degli investimenti esteri. Non un tema di costi perch, ripeto, ci sono paesi pi costosi di noi che attirano pi investimenti. Perch gli investimenti stranieri in Francia sono percentualmente rispetto al PIL il triplo di quelli italiani o in Spagna il quadruplo? In Spagna ci pu essere anche una piccola componente che riguarda i costi, ma sicuramente non per la Francia. Noi non riusciamo ad attirare investimenti esteri per tutta una serie di ragioni, ma sostanzialmente perch siamo troppo complicati e perch siamo difficili. Crescita insufficiente, mancanza di attrattivit per investimenti esteri e generale sensazione di mancanza di fiducia che si percepisce sia nelle famiglie che nelle imprese: tutto ci ci deve spronare a fare di pi, a non lasciare che un declino che solo, per ora, un rischio diventi una realt. Quali sono i principali motori che si sono ingrippati, i motori della crescita? Certamente il motore dellinnovazione, il motore della ricerca. Sullagenda di Lisbona siamo, a parole, tutti daccordo: da uno e mezzo dovevamo passare al 3% di ricerca e sviluppo sul PIL: da uno e mezzo, nella realt, siamo passati ad uno. E una responsabilit congiunta di privati e pubblici, ma un segnale orrendo. Se un Paese come il nostro accumula in 10 anni 200 miliardi di euro di ritardo in ricerca rispetto alla Francia o 400 miliardi di euro di ritardo rispetto alla Germania, rischia di non riuscire pi a recuperare. Quindi un fortissimo richiamo a tutti, e in particolare al Governo di trovare nella Finanziaria quei pochi miliardi di euro che possono fare la differenza perch il processo della ricerca non rallenti ulteriormente, anzi riacceleri. Noi, come banca, abbiamo messo a disposizione pi di un miliardo perch le piccole e medie imprese, insieme ad alcune universit eccellenti, con i soldi della banca possano attivare nuovi processi di investimento.

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Il motore delle infrastrutture. Ottima la Legge Obiettivo: 125 miliardi di euro di opere previste, ma siamo per in ritardo. Se non ricordo male su 45 opere approvate, per un costo complessivo di 39 miliardi di euro, risultano finanziate solo 17 miliardi di euro. Sappiamo quanto difficile mettere in moto queste opere, per la distanza tra quello che potremmo e dovremmo fare e che stato giustamente impostato e quello che praticamente viene realizzato, ancora troppo ampia. Altri motori sono sicuramente listruzione e la formazione, dove certamente stiamo perdendo terreno rispetto ad altri paesi paragonabili a noi, piuttosto che le privatizzazioni e le liberalizzazioni. A proposito di queste ultime, certamente in passato abbiamo fatto alcuni passi importanti nella giusta direzione anche per merito dellUnione Europea. Oggi rischiamo addirittura di andare nella direzione opposta e accenno solo al caso dei servizi pubblici locali. Il declino, malgrado il rallentamento dei motori della crescita, non inevitabile, per dietro langolo. Questo la classe dirigente, cio tutti noi, devono averlo ben chiaro. Il convegno ha dato una serie di stimoli, ha identificato una serie di esigenze forti legate al tema del decentramento, al tema del federalismo, al tema di cosa fare per far funzionare meglio le autonomie locali. Lesigenza numero uno, lhanno praticamente detto tutti, quella di far chiarezza sul chi fa che cosa. E gi stato sicuramente fatto un passo avanti in tema di chiarezza sulla sussidiariet verticale, ma soprattutto in tema di legislazione concorrente bisogna fare molto di pi. Idealmente ogni tematica amministrativa dovrebbe avere un preciso responsabile, qualcuno che ne risponda ai cittadini: stato o regione, o provincia, o comune. Siamo sicuramente ancora lontani. Ci sono ancora duplicazioni di responsabilit, duplicazioni di meccanismi decisionali e quando il meccanismo decisionale porta a blocchi o contenziosi, le modalit per uscirne sono spesso molto lunghe e complesse. Non possiamo continuare a vivere di contenziosi davanti alla Corte Costituzionale. Lesigenza numero due, che il tema principale del convegno, quella della coerenza tra impegni e risorse. Grandi responsabilit, grandi impegni alle autonomie locali, ma risorse, non solo finanziarie, solo in parte sufficienti per far fronte a questi impegni. Di fronte a questa situazione, per, da persone adulte dobbiamo scegliere: o diminuiscono gli impegni o aumentano le fonti per farvi fronte, certamente non possiamo illuderci che asimmetrie tanto evidenti possano perdurare. Quando si parla di risorse per far fronte agli impegni che le autonomie locali devono soddisfare, non dobbiamo dimenticarci le competenze. Forse questo tema non stato menzionato, ma affrontare i problemi senza averne le competenze pu portare a guai maggiori della carenza di soldi. Decentrare competenze complesse in 20 regioni, avendone poche anche al centro, pu condurre a gravi delusioni: ci sono delle regioni di straordinaria capacit, ci sono delle regioni assolutamente non allaltezza del compito che viene loro affidato. Quindi il tema delle competenze specialistiche, delle risorse umane, della formazione del personale, un tema di grande importanza. Lesigenza numero tre stata fin troppo menzionata perch io ci ritorni. E il tema della semplificazione, il tema della velocizzazione. Si ripetuto da parte di tutti che lo sportello unico c, ma che non c dappertutto, e certamente potrebbe funzionare meglio. Lautocertificazione diffusa viene auspicata, sia da destra che da sinistra, e c quindi da chiedersi perch non sia ancora la regola. Questa la singola, principale ragione per cui gli stranieri non investono in Italia: la complessit dei meccanismi di funzionamento della nostra burocrazia. Se adesso su alcuni temi moltiplichiamo per venti la legislazione nazionale, la complessit potrebbe trasformarsi in paralisi. Sono piuttosto daccordo sul fatto che il calcolo dei costi o dei ricavi derivanti dal federalismo debba essere molto pi sofisticato di quello che spesso si legge sui giornali, per certo che se la complessit amministrativa dovesse aumentare anche solo per due e non per venti, una gi bassa propensione degli investitori esteri ad operare in Italia potrebbe diventare del tutto nulla. Lesigenza numero quattro quella di rendere pi efficace la collaborazione tra pubblico e privato. Un meccanismo tipico in cui pubblico e privato danno il meglio

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di loro stessi, se lavorano insieme, quello del project financing, sia nel finanziamento di progetti grandi, sia nel finanziamento di progetti piccoli. Abbiamo la possibilit di dare un acceleratore a questa importante attivit. Dobbiamo semplificare i processi autorizzativi lunico riferimento che faccio, ma ce ne sono parecchi, alla 166 del 2002 ma lo stesso vale per le procedure di aggiudicazione, di inizio lavori, di progettazione, di esecuzione, di collaudo. Tutte queste regole terribilmente lunghe e complesse ce le siamo date noi e adesso dobbiamo correggerle perch rendono difficilissimo fare le cose. I 125 miliardi della Legge Obbiettivo diventano solo 17 anche perch di mezzo c tutta questa selva di procedure. Poi c un altro problema enorme che con un tratto di penna potremmo risolvere: il tema delle garanzie. Le procedure sono fatte in modo tale per cui tra cauzioni provvisorie per partecipare alle gare dappalto, cauzioni definitive a carico dellesecutore dei lavori, polizze assicurative a carico dellesecutore dei lavori, polizze assicurative a carico dei progettisti e ai procedimenti di verifica dei progetti, garanzia globale si arriva talvolta al punto che chi fa i lavori deve farsi rilasciare garanzie e, quindi, si deve indebitare 3-4-5 volte. Questo vuol dire che le sue linee di credito finiscono presto, questo vuol dire che molto operatori che potrebbero fare molto di pi e molti lavori che si potrebbero fare molto pi in fretta, non si fanno per i meccanismi eccessivi che ci siamo voluti dare. Forse sarebbe utile anche individuare un nuovo organismo che affianchi banche e assicurazioni nellattivit di sostegno assicurativo alle grandi opere. E qui vado a finire per dire che il nostro impegno come banca, anche in questo campo, forte. Non saremmo qui se non avessimo una Direzione Stato e Infrastrutture che si occupa esattamente di tutte queste tematiche. Mario Ciaccia il responsabile di questa Direzione e ha con s una squadra di collaboratori di primordine. Se siamo qui perch questo e altri convegni come questo ci servono per raccogliere suggerimenti, per rappresentare quello che vogliamo fare attraverso persone, risorse e grande impegno dedicato per il mondo della Pubblica Amministrazione, delle Autonomie locali, delle infrastrutture. Ultimissima considerazione, da cittadino, sul federalismo, sui cui stato detto gi tutto durante il convegno. Il coinvolgimento delle autonomie locali nella gestione del territorio sicuramente e potenzialmente uno strumento formidabile: se mal inteso, per, o se mal realizzato pu essere una picconata gravissima alla nostra competitivit e alla nostra capacit di attirare investimenti dallestero. I rischi sono ovvi, sono quelli dellesplosione dei costi e dellindebitamento, della esasperazione delle differenze tra regione e regione. In questo senso, il ruolo dello Stato rimane molto importante in quanto perequante, per non c dubbio che il meccanismo, se lasciato a se stante, pu farci fare molti passi indietro invece che avanti nella costruzione del Paese che abbiamo costruito in questi decenni. E dietro langolo c sempre la corruzione che, in meccanismi non sufficientemente ben organizzati di decentramento, pu ritornare a fare capolino. Decentrare vuol dire avere sistemi di controllo pi forti, vuol dire avere sistemi di pianificazione pi forti, vuol dire evitare, per esempio, di fare 20 sanit diverse anche se con obiettivi comuni, 20 piccole sanit meno efficaci e meno efficienti a causa della perdita di economie di scala e di scopo. Questo dobbiamo dircelo perch, lo ripeto, il federalismo da una parte pu essere una opportunit, dallaltra pu essere un grandissimo, grandissimo rischio. Sintesi: in mano alle Autonomie Locali ci sono gran parte delle leve che determinano la crescita e la qualit della vita dei cittadini perch in mano loro gran parte delle infrastrutture, della ricerca, della sanit, dellacqua, della gestione del territorio, dellecologia, dei trasporti, eccetera, eccetera. La collaborazione tra pubblico e privato una delle chiavi per realizzare il bene comune e, in mezzo, noi ci impegniamo come banche al servizio sia del pubblico, che del privato. E soprattutto dei progetti che vogliamo realizzare insieme.

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