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I colori nella storia

dell’Uomo
• la preistoria
• gli Egizi
• il mondo greco-romano
• l’Oriente
• il Sudamerica
• il Medioevo
• il Rinascimento
• l’era moderna
• l’era contemporanea
Arte preistorica
L’arte preistorica è diffusa in tutte le parti del
mondo e sotto varie forme, dalle statuette alle
pitture rupestri ai monumenti megalitici. Il
termine preistorico indica che la cultura che ha
prodotto l’opera d’arte è priva di linguaggio
scritto
Nonostante questo, le testimonianze che ci sono
giunte dalla preistoria sono spesso sorprendenti
da molti punti di vista, non ultimo quello
tecnologico. Esempi notevoli sono i monumenti
megalitici di Stonehenge, le linee di Nazca in Perù
e le pitture rupestri di Lascaux, in Francia
Il periodo di riferimento è suddiviso come segue:
• Paleolitico medio e inferiore: 750.000-40.000 BP
• Paleolitico superiore: 40.000-10.000 BP
• Mesolitico: 8.000-6.000 BP
• Neolitico: 6.500-1.500 BP
L’inizio dell’uso del colore
Per individuare l’inizio della storia del colore dobbiamo presumibilmente
fare un salto indietro di almeno 400.000 anni. A tanto potrebbe infatti
risalire il primo uso culturale del colore: la decorazione del corpo. I popoli
di Neanderthal e di Cro-Magnon usarono l’ocra rossa per riti funebri o di
fertilità. Probabilmente questa sostanza rappresentava il sangue e quindi
l’inizio e la fine della vita. Il componente base dell’ocra rossa, l’ematite
(Fe2O3), deve il suo nome alla parola greca hema che significa appunto
sangue
Per sottolineare l’importanza di questa
sostanza nelle culture paleolitiche, basta
considerare il fatto che in ogni località in
cui furono scoperti siti preistorici, è
possibile tracciare rotte commerciali
verso depositi di ematite
L’uso dei pigmenti per la decorazione del
corpo è ancora vivo al giorno d’oggi, per
esempio presso gli Aborigeni, uno dei
popoli più antichi della terra
400.000 anni fa…
È chiaro che per fissare una data di inizio ci si può basare soltanto sulle
evidenze archeologiche, sfruttando i sistemi di datazione disponibili. Non
possono esistere sorgenti di informazione scritta, a differenza di quanto
avviene per gli studi sull’epoca Romana o medievale. I più recenti studi
archeologici suggeriscono che esseri umani appartenenti all’Età della
Pietra media abbiano impiegato pigmenti a scopo rituale almeno 400.000
anni fa: è quanto risulta dagli scavi del Prof. L. Barham dell’Università di
Liverpool, che nel corso di campagne effettuate alla fine degli anni ’90
presso le caverne di Twin Rivers, nello Zambia (Africa centrale), ha
rinvenuto centinaia di frammenti
di pigmenti dai vari colori, con
evidenze di raccolta sistematica e
lavorazione del materiale roccioso
Le fasi mineralogiche identificate
sono state principalmente ossidi e
idrossidi di ferro (ematite,
specularite - sx - limonite,
arenaria ferruginosa) e diossido di
manganese
Il primo pigmento: ocra rossa
Se i ritrovamenti di Twin Rivers sono forse i più antichi, nel seguito dell’Età della
Pietra sono numerosissime le evidenze dell’uso del colore da parte degli uomini
preistorici; emerge però tra tutti l’impiego dell’ocra rossa. Esempi di ritrovamenti
di ocra rossa si hanno in siti paleolitici di tutti i continenti, a dimostrazione che il
suo impiego per rituali funebri era diffuso in tutto il mondo. Il motivo è
probabilmente legato alla grande disponibilità e stabilità del composto

Sito Data Pigmenti


Terra Amata, Francia 300.000 75 frammenti di ematite
Maastricht-Belvedere, Olanda 285.000 macchie rosse nel terreno
Achenheim, Francia 250.000 1 frammento di ematite levigato
Becov, Repubblica Ceca 220.000? 1 frammento di ematite striata, polvere d'ocra
Hungsi, India 300.000? ciottoli di ematite, 1 striato
Nooitgedacht, Sudafrica > 200.000 1 frammento di ematite macinato
Kabwe (Broken Hill), Zambia 300.000? 1 frammento di ematite
Kalambo Falls, Zambia 200.000? pigmenti non specificato
Twin Rivers, Zambia 400.000 302 frammenti di vari colori
Kapthurin Formation, Kenya > 285.000 75 frammenti di ocra rossa
I pigmenti a base di ossidi di ferro

L’ocra rossa appartiene ad un gruppo di pigmenti di grandissima


importanza nel corso della storia dell’arte. Il termine corretto per
definire questo gruppo è pigmenti a base di ossidi di ferro, (in
inglese iron oxide pigments) comprendendo in ciò materiali
naturali e sintetici che possono contenere miscele di ossidi e
idrossidi di ferro
Si tratta di pigmenti aventi caratteristiche notevoli dal punto di
vista tecnico: eccellenti sono il potere coprente, l’intensità di
colore e la permanenza per valutare la quale basta considerare
quanto siano rimasti brillanti i colori delle pitture rupestri
risalenti a migliaia di anni fa
Per quanto riguarda l’applicabilità, risultano compatibili a tutti i
mezzi leganti e quindi impiegabili in tutte le tecniche pittoriche.
Sono specialmente adatti alla tecnica dell’affresco
I pigmenti a base di ossidi di ferro hanno diffusione
amplissima e si trovano in molte tonalità, dal giallo al
marrone scuro passando per il rosso e il porpora
All’interno di questo gruppo le varianti sono molteplici e la terminologia
con cui esse sono note è estremamente variegata, fin da epoche remote.
Sicuramente sono tra i primi pigmenti citati su fonti scritte: ci sono
termini che si riferiscono a terre rosse e gialle nelle tavolette cuneiformi
Assire, nei geroglifici Egizi e in testi antichi dell’India, della Cina e del
Giappone
Al di là delle numerose sostanze che possono essere presenti (argilla,
ossidi di manganese, ecc.), in tutti questi pigmenti il colore è determinato
per lo più dai composti di ferro e in particolare dal suo stato di
ossidazione. I composti possono essere ossidi, con stechiometria FemOn,
oppure idrossidi, con stechiometria FeO∙OH. Il ferro può essere
presente come Fe2+ (ossido ferroso), Fe3+ (ossido ferrico) o entrambi (es.
nella magnetite, FeO·Fe2O3). I principali composti sono i seguenti:
• l’ematite, a-Fe2O3, che impartisce colore rosso
• la magnetite, FeO·Fe2O3, ossido misto di colore nero
• la maghemite, g-Fe2O3, occasionalmente presente nelle ocre rosse
• la goethite, a-FeO∙OH, che impartisce il colore giallo alle ocre
• la lepidocrocite, g-FeO∙OH, di colore più tendente al marrone
Il contenuto di ossidi e idrossidi di ferro è variabile dal 20 al 99%. Tra le varie
opzioni, le più importanti e citate nel corso della storia dell’arte sono:
• le ocre, miscele naturali di ossidi o idrossidi, minerali argillosi e quarzo;
• le terre, termine più generico che sottintende una provenienza comunque
naturale
• le terre d’ombra, caratterizzate da un contenuto discreto di ossido di
manganese (MnO2), con colore tendente al marrone, più scuro nella varietà
bruciata ottenuta dalla naturale per arrostimento; il termine risale al XVI
secolo, ma l’uso è probabilmente precedente
• le terre di Siena, ricavate dalle colline intorno a Siena, sono più ricche in
ossidi di ferro rispetto alle altre terre; la varietà chiamata naturale
contiene ossidi e idrossidi gialli di ferro, mentre la bruciata, ottenuta dalla
prima per arrostimento, contiene ossidi rossi, quindi composti anidri. Il
colore varia tra l’arancio e il marrone; il termine risale al XVIII secolo
• la terra verde, una miscela di silicoalluminati di ferro, magnesio e potassio di
colore, appunto, verde
• l’ematite, minerale molto diffuso composto da Fe2O3
• il caput mortuum, chiamato anche rosso Indiano, sostanzialmente un ossido di
ferro abbastanza puro con tracce di silice e allumina. Il suo colore varia dal rosso
chiaro al porpora fino al violetto
• i cosiddetti colori di Marte, ossidi e idrossidi sintetici creati dal XIX secolo
Esempi di composizione delle varianti (dati espressi in ossidi). Si
noti che le percentuali possono essere alquanto variabili

Elemento Fe Al Si Ca Mn
caput mortuum 91.9 0.4 3.0 0.2 0.02
ematite 92.3 0.2 0.8 0.3 0.5
ocra rossa 24.9 16.7 54.9 1.0 0
limonite 90.5 0.02 6.9 0.2 0.01
ocra gialla 32.7 29.0 32.5 0.4 0
terra di Siena naturale 65.9 2.7 25.9 0.2 0.2
terra di Siena bruciata 89.6 0.06 3.9 0.07 0.2
terra d’ombra naturale 51.4 6.1 22.9 3.9 7.7
terra d’ombra bruciata 36.4 4.7 15.7 11.2 6.9
Nonostante le differenze di colore dei vari pigmenti citati, che possono
andare dal giallo al marrone scuro fin quasi al nero, è importante
sottolineare che il meccanismo di formazione del colore è il medesimo in
tutti: si tratta del trasferimento di carica dai leganti O2- o OH- allo ione
Fe3+. Per questo motivo gli spettri di riflettanza dei vari pigmenti sono
simili, caratterizzati da un punto di flesso che varia a seconda della tinta
e da un tailing positivo nella regione del rosso

80
70
60
50 ocra rossa
R%

40 ematite
30 ocra gialla

20
10
0
400 450 500 550 600 650 700
nm

Oltre al meccanismo descritto, il colore di questi pigmenti può essere


influenzato dalla dimensione delle particelle e dalla presenza di fasi
minerali accessorie o di impurezze metalliche (manganese e cromo)
Oltre alla classificazione tecnica descritta in
precedenza, esistono numerosissime varianti con cui
questi pigmenti sono stati chiamati nel corso della
storia dell’arte, soprattutto in base all’origine
geografica della materia prima o del sito di lavorazione.
Perciò altri nomi possono essere sinopia, rubrica (nomi
di epoca Romana), rosso Inglese, rosso Indiano,
marrone di Spagna, rosso Veneziano (nomi del ‘700 o
‘800), terra di Pozzuoli, rosso di Pompei (terre di
origine vulcanica) e innumerevoli altre
A seconda dell’origine geografica della materia prima,
del processo di raffinazione e produzione, sono
possibili, a parità di tipologia, differenze anche
notevoli nella concentrazione di ferro e quindi nel tono
Va sottolineato che alcuni di questi composti sono ottenibili sia
per via naturale sia per via sintetica, riscaldando opportunamente
altre sostanze e ottenendo generalmente un viraggio di colore
L’ematite si può ricavare dall’arrostimento della goethite tra 140
e 500°C, processo che causa la perdita d’acqua:

2a-FeO∙OH  a-Fe2O3 + H2O


giallo rosso

Il corrispondente passaggio da lepidocrocite a maghemite è:

2g-FeOOH  g-Fe2O3 + H2O

Questi processi erano probabilmente già noti agli uomini del


Paleolitico, che riscaldando ocra gialla ricavavano ocra rossa
Oltre all’arrostimento degli ossidi idrati, un altro
materiale di partenza per avere l’ematite è il solfato
ferroso o vetriolo. Riscaldando tra 500 e 750°C il
vetriolo si ottiene la seguente reazione:

2FeSO4 + ½O2  a-Fe2O3 + 2SO3


celeste rosso

Il prodotto così ottenuto era chiamato colcothar, un


nome di origine araba così come, come ogni probabilità,
è araba la tecnologia. La produzione di colcothar è nota
almeno dal XVI secolo d.C.
Le ocre
Tra i pigmenti a base di ossidi di ferro, i più diffusi
sono senza dubbio le ocre. Si tratta di miscele di silice,
argilla e ossidi e/o idrossidi di ferro
Dal punto di vista geologico le ocre sono depositi
secondari formatisi per erosione da rocce di vario tipo,
che si sono arricchiti
di particelle a base
ferrosa. Queste
impartiscono un
colore intenso e
permanente, in virtù
delle loro dimensioni
ridotte
L’ocra è gialla quando l’ossido di ferro è
idrato, cioè contiene molecole di acqua come
nella goethite (sotto) oppure rossa quando
l’ossido è anidro come nell'ematite (sopra)

Composto Concentrazione
SiO2 12 %
Al2O3 35 %
Fe2O3 40 %
CaO 0.5 %
MgO tracce
TiO2 tracce
LOI* 12 %
* loss on ignition, ciò che resta
Il contenuto di ossido di ferro (II dopo riscaldamento a 550 °C
o III) può variare dal 20 al 70% (per lo più sostanze organiche)
Nella foto a sx pani di
ocra rossa messi a
seccare dopo lavaggio
per rimuovere le
impurezze

Una coloratissima cava


di ocra gialla a Gargas,
nei pressi di Avignone
L’inizio dell’arte
Mentre il semplice impiego del colore è databile ad almeno
400.000 anni fa, l’uso del colore in senso artistico è curiosamente
molto posteriore. Gli archeologi associano il cosiddetto
comportamento moderno allo sviluppo del linguaggio e dell’arte: la
creazione di espressioni artistiche è considerata indicare un
avanzamento nello sviluppo culturale di
una popolazione
Le conoscenze sull’arte paleolitica
erano state rivoluzionate negli anni ’40
con la scoperta delle pitture rupestri
nelle grotte di Lascaux (Francia
meridionale)
Le pitture, risalenti ad almeno 30.000
anni fa, segnavano l’inizio di forme
evolute di espressione simbolica: l’arte
Il primo disegno
Secondo recenti scoperte, l’inizio dell’uso del colore a scopo artistico sarebbe però
ancora più antico e risalirebbe a circa 80.000 anni fa. Durante una campagna di
scavo presso la caverna di Blombos (Sudafrica) un equipé di paleontologi ha
rinvenuto due pezzi di ocra rossa apparentemente decorati con motivi geometrici
La datazione delle rocce le farebbe risalire ad almeno 77.000 anni fa, cioè 35.000
anni prima di qualunque altra testimonianza artistica
finora rinvenuta. Le rocce appaiono lisciate in modo
da presentare una superficie piana, che l’artista
paleolitico ha decorato con un complesso insieme
geometrico di linee incise

L’ocra sarebbe stata


prelevata a circa 30
km di distanza
Le pitture rupestri
Al di là dei graffiti di
Blombos, le prime e
più importanti
espressioni artistiche
sono senza dubbio da
considerare le pitture
rupestri, create nelle
stesse grotte che,
con ogni probabilità,
costituivano il rifugio
degli autori. Esse
appartengono ad un
insieme temporale che
si estende da 30.000
a 10.000 anni fa

Di esse esistono molte testimonianze in Europa e in particolare nelle regioni


attorno al Golfo di Biscaglia, relativamente alle quali l’abate e paletnologo francese
Breuil aveva creato all’inizio del ‘900 la classificazione in ciclo aurignaziano-
perigordiano (di cui l’esempio più importante è Lascaux) e ciclo solutreano-
magdaleniano (Altamira), valida più dal punto di vista stilistico che temporale
Tipi di immagini
Un approccio stilistico alla
classificazione delle immagini è stato
utilizzato dall’archeologo francese
Leroi-Gourhan che stabilì codici grafici
per le figure, suddividendole in
rappresentazioni animali, segni e
rappresentazioni antropomorfi
Stencil ante litteram
Tra le più antiche immagini
identificabili nelle pitture rupestri ci
sono le impronte di mani, molto
numerose a Gargas (Haut-Pyrenees,
Francia) ma anche a Peche-Merle, a
Font-de-Gaume (Perigord) oltre che
in Argentina nella Cuevas de las
Manos
Le impronte risultano effettuate con
due tecniche diverse, producendo
immagini positive o negative. Le
positive (sotto - Gargas) sono
ottenute premendo il palmo della
mano imbrattato di ocra, le negative
(sopra - Chauvet) invece si ottengono
usando il palmo come uno stencil, cioè
appoggiandolo alla parete e spargendo
attorno il pigmento, forse mediante
cannule ossee o vegetali
Monocromie, bicromie e policromie
Le pitture rupestri più antiche
sono in monocromia (rosso o nero) o
in bicromia, mentre le pitture più
evolute (Altamira) sono in
quadricromia o, più correttamente,
in policromia, in quanto le tonalità
ottenibili dalle ocre variano in
relazione alla percentuale di ferro
e all'associazione di altre fasi
mineralogiche. Si possono quindi
rinvenire tinte variabili dal rosso al
giallo passando per l'arancio e il
marrone, in cui il pigmento è sempre un ossido di ferro, a volte in
miscela con ossido di manganese (MnO2) che impartisce
colorazione scura
Varianti di ossidi
Pur essendo limitato il numero di colori espressi, è invece notevole il
numero di composti utilizzati per esprimere questi colori. Evidentemente
ciò riflette la varietà mineralogica dei territori circostanti. Alcuni
studiosi francesi, analizzando i dipinti rupestri della sola regione
francese, hanno identificato sulle superfici non meno di quindici tipi di
pigmenti, tra i quali numerose varianti di ocre. Queste ultime sono
composte prevalentemente di ossidi di ferro anidri o idrati (idrossidi e
ossiidrossidi aventi formula generica FenOmHm); tra questi composti si
possono citare l’ematite (Fe2O3) e la magnetite (Fe3O4) tra gli ossidi
anidri e la goethite (FeO·OH) e la limonite (idem + acqua assorbita) tra gli
ossidi idrati
Numerosi varianti si hanno tra gli ossidi di manganese, impiegati come
pigmenti neri: sono stati identificati ossidi semplici, come la manganite
(MnOOH), la pirolusite (MnO2), la bixbite (Mn2O3) e la hausmannite
(Mn3O4) oppure ossidi con il bario e altri cationi, a stechiometria più
complessa: BaMn9O16(OH)4 (romanechite), BaxMn2O10·2H2O, BaMn8O16,
(un composto noto come hollandite), BaFeMn7O16 (hollandite ferrica),
BaK2Mn8O16·nH2O (hollandite potassica), Al5Mn13O28·8H2O
La tavolozza dell’Homo Sapiens
Da quanto si è detto finora risulta evidente che l’inizio dell’uso del colore è basato
sui quattro colori primitivi:
• il rosso, ottenuto dalle ocre
• il nero, ottenuto da minerali trovati nelle
grotte come ossido di manganese (MnO2), dalla
fuliggine o da legna combusta
• il giallo, ottenuto anche esso da ocre
• il bianco, ottenuto dal gesso, dalle crete e
dalle argille
Miscelando l’ocra rossa e un nero si otteneva
anche il marrone

Questa sequenza identifica anche una probabile cronologia cromatica, con il rosso
in posizione più remota e il bianco in quella più recente. Solo successivamente sono
stati introdotti i verdi, i blu, i porpora. Occasionalmente sono state notate tinte
rosso-violetto e malva, ma potrebbero trattarsi più probabilmente di prodotti di
degradazione
I neri di carbone
I pigmenti a base di carbone formano un gruppo di materiali pittorici tra i più usati
nel corso della storia dell’arte. Il colore di questi pigmenti varia tra il nero e il
marrone scuro, passando per il grigio
Il termine neri di carbone in realtà costituisce un cappello sotto il quale sono
presenti numerose forme accomunate dalla prevalente natura carboniosa. Le
principali sono le seguenti:
• nero di vite e altri neri vegetali: probabilmente i primi ad essere impiegati
dall’uomo, provengono dall’arrostimento di materiali vegetali, come tralci di vite o
legno di altra origine
• grafite, noto anche come nero piombo: è un materiale cristallino con struttura
planare, ottenuto dal minerale omonimo o per via sintetica riscaldando carbone
amorfo a 3000°C; si impiega come pigmento ceramico almeno dal V millennio a.C.
• nerofumo o fuliggine: si tratta del materiale carbonioso volatile che si deposita
su una superficie fredda in seguito ad arrostimento su fiamma di sostanze
organiche; usato almeno dal III millennio a.C. Il bistro è una versione ricca di
sostanze bituminose, in seguito ad arrostimento incompleto
• nero d’ossa e nero d’avorio: sono di origine animale, caratterizzati dalla presenza
di fosfati essendo il materiale di partenza un’apatite, Ca5(PO4)3(OH,F) si
ottengono anche essi per arrostimento. L’uso potrebbe risalire al III o II
millennio a.C.
L’arrostimento del materiale vegetale o animale causa
in entrambi i casi la degradazione di macromolecole
organiche a carbone secondo la reazione seguente:

D
CxHyOz  C + nH2O

Il prodotto finale ha quindi un colore dominato dalla


nuova fase carboniosa, anche se il materiale di
partenza è pigmentato o bianco, come nel nero d’ossa
Per quanto riguarda la composizione di questi pigmenti, si possono individuare tre
classi di sostanze presenti:
• carbonio elementare in varie forme: la
composizione dei neri di carbone è dominata
dal carbonio elementare, presente in forma
cristallina come grafite (dx) o in varie forme
non cristalline, in realtà non totalmente prive
di un ordine strutturale ma difficili da
rappresentare
• composti organici: sono presenti sostanze
bituminose formatesi per incompleta
carbonizzazione. Tra esse si possono citare gli
idrocarburi policiclici aromatici (fenantrene,
antracene, ecc.), fenoli, eterocomposti di
ossigeno, zolfo e azoto. Alcuni pigmenti sono preparati in modo da sfavorire la
presenza di queste sostanze, es. l’inchiostro Cinese, a base di fuliggine raccolta
lontano dal punto di arrostimento; altri, es. il bistro, contengono invece un’alta
percentuale di sostanze bituminose
• composti inorganici: i costituenti di natura inorganica sono differenti a seconda
dell’origine del pigmento. Nei neri animali c’è abbondanza di idrossiapatite e
solfato di calcio, residui incombusti del materiale di partenza. Nei neri vegetali
sono presenti carbonati di metalli alcalini o alcalino-terrosi (le ceneri della
carbonizzazione), ma la loro presenza nel pigmento è indesiderata e solitamente
sono rimossi per dilavamento
Le caratteristiche tecniche di
questi pigmenti sono ottime: si
tratta di materiali ad alta
stabilità chimica, permanenza,
potere coprente e intensità di
colore. In quanto tali, sono
impiegabili in tutte le tecniche
pittoriche, per esempio nel
carboncino (dx, Leonardo da
Vinci, Vergine con bambino,
Sant'Anna e San Giovanni
Battista)
I neri animali e il nero di vite sono
sconsigliati nella pittura a fresco,
a meno che non siano purificati, in
quanto le eventuali impurezze
possono formare efflorescenze in
ambiente alcalino
I bianchi
Per ricavare pigmenti bianchi gli uomini preistorici avevano
diverse possibilità. Molte sostanze inorganiche che non
contengano ioni metallici di transizione sono infatti bianchi
Nelle pitture rupestri il colore bianco è meno comune rispetto al
rosso e al nero. Nei pochi casi analizzati è stata evidenziata la
presenza dei seguenti pigmenti:
• calcite, CaCO3, e rocce In alcuni casi sono stati
calcaree identificati composti di
colore bianco la cui presenza
• caolinite e rocce silicee
non è intenzionale: si tratta
• gesso, CaSO4 · 2H2O di prodotti del metabolismo
di alcuni licheni, che vivono
• anidrite, CaSO4
sulla superficie delle pitture
• talco, Mg3(Si4O10) · (OH)2 rupestri. Tra essi:
• rutilo e anatasio, TiO2 • whewellite, CaC2O4 · H2O
• weddellite, CaC2O4 · 2H2O
Tra i pigmenti bianchi il gruppo dei materiali calcarei è quello più
importante. Le rocce calcaree sono state ampiamente impiegate
fino dal Paleolitico, in virtù della grande diffusione sul territorio
La fase minerale principale in queste rocce è il carbonato di calcio,
CaCO3, nelle forme calcite e aragonite. Sono poi presenti varianti
come la magnesite, MgCO3, la dolomite, (Ca,Mg)(CO3)2, e la
huntite, Mg3Ca(CO3)4. In generale si tratta di pigmenti con scarso
potere coprente, perciò erano usati sia puri, sia soprattutto
addizionati ad altri pigmenti oppure come imprimitura. Dal punto
di vista chimico sono sensibili agli acidi ma stabilissimi in ambiente
alcalino
Tra le varie versioni, una delle più note è il bianco di Sangiovanni,
ricavato dalla calce per macerazione in acqua in modo da
allontanare il più possibile l’idrossido di calcio. Si tratta di un
pigmento molto adatto alla tecnica dell’affresco
Altro gruppo importante di pigmenti bianchi è quello dei solfati di
calcio, tra cui il gesso, CaSO4∙2H2O, il più noto, e l’anidrite,
CaSO4. Come le rocce calcaree, si tratta di sostanze di ampia
disponibilità. Chimicamente sono più stabili, es. in ambiente acido.
Il gesso ha indice di rifrazione piuttosto basso, da cui deriva un
potere coprente scarso, tale da limitare l’uso come eccipiente. Più
che come pigmento puro, infatti, il gesso era usato per la
preparazione delle superfici pittoriche, soprattutto su tavola. Un
tipo di preparazione molto diffuso era la trasformazione in gesso
di Parigi per calcinazione a 150-200°C

D
CaSO4·2H2O  CaSO4·½H2O + 3/2H2O

Il gesso di Parigi è un composto denso e plastico, facilmente


spalmabile, che in seguito a reidratazione generava la fase iniziale
diidrata
Evidenze di lavorazione
Se è vero che la maggior parte dei pigmenti utilizzati nel
Paleolitico erano materiali di origine minerale o vegetale che
venivano trasformati meccanicamente, in alcuni casi ci sono
evidenze di processi di trasformazione più sofisticati, che
testimoniano una conoscenza tecnologica insospettata. Un caso
interessante è quello dell’ematite (a-Fe2O3). Questa sostanza può
essere ottenuta dal minerale presente in natura oppure per
riscaldamento a 250°C della goethite (a-FeOOH), minerale giallo
che sottoposto a riscaldamento tende a deidratarsi e a
trasformarsi nell'ematite secondo la reazione

D
2a-FeOOH  a-Fe2O3 + H2O
Questa reazione era nota ai Romani, descritta in una
ricetta per preparare un pigmento rosso. Tuttavia,
evidenze archeologiche in alcuni siti, come
l’associazione tra ossidi di ferro e tracce di
combustione, suggeriscono che questo cambiamento di
colore (giallo  rosso) fosse conosciuto già nel
Paleolitico, il che farebbe presumere una certa abilità
dei nostri antenati preistorici nel reperire risorse
naturali, selezionando quelle più opportune allo scopo, e
nel trattarle fisicamente
Le evidenze archeologiche sono state supportate da analisi effettuate con le
tecniche XRD, SEM e TEM, mediante le quali si è verificato sperimentalmente che
pigmenti rossi rinvenuti nelle grotte di Troubat (Francia sudoccidentale), risalenti
ad 8.000-10.000 anni fa, potevano derivare sia da ematite naturale, sia da ematite
ottenuta per riscaldamento di goethite. Una questione di difficile risoluzione è se
il riscaldamento sia stato intenzionale oppure no: nel sito paleolitico di Troubat,
sono stati individuati strati di ematite corrispondenti ad entrambe le tipologie
descritte. Un'ipotesi plausibile è che l'ematite ottenuta per riscaldamento avesse
impieghi particolari, per esempio rituali o magici


Peraltro la conversione potrebbe avvenire anche senza combustione in condizioni
climatiche estreme, come si ipotizza sia avvenuto su certe pitture rupestri
australiane esposte a clima caldo e secco
Ci sono evidenze analitiche di trattamenti simili anche su ossidi di manganese neri:
si può supporre che l’arrostimento facilitasse la macinazione del minerale,
analogamente alla selce, permettendo di ottenere una polvere più semplice da
usare. Non bisogna poi sottovalutare l’aspetto rituale e simbolico del fuoco
Applicazione dei pigmenti
Le analisi effettuate sui pigmenti mostrano che questi potevano
essere miscelati a sostanze varie, come argilla, calcite, quarzo,
resti di ossa, talco, feldspato potassico, che avevano lo scopo di
migliorare la stesura del pigmento. Come si è detto in precedenza,
è inoltre ipotizzabile che alcuni pigmenti fossero soggetti a
trattamenti preliminari per migliorarne la lavorabilità e l’adesione
alle superfici
Analogamente alle tecniche pittoriche posteriori, i pigmenti
dovevano essere dispersi in un opportuno mezzo legante. Il
legante più semplice e comune era probabilmente l’acqua, ma ci
sono evidenze dell’uso di oli o succhi vegetali, saliva, urina, grassi
animali, midollo osseo, sangue e albume. I pigmenti aderivano alla
parete in parte rimanendo intrappolati alle porosità della
superficie, in parte perchè il legante, seccando, ne permetteva
l’adesione
Pennelli paleolitici
Gli storici ipotizzano che i pigmenti fossero applicati in vari modi:
spennellando, spalmando, tamponando o spruzzando. Il metodo più
semplice prevede l’uso delle dita o del palmo della mano, e ci sono
numerosissime evidenze di ciò. Pennelli preistorici potevano
essere ottenuti da crini di cavallo. Cuscinetti di licheni o muschi
potevano essere adatti a
spargere pigmento su zone
ampie. L’applicazione a spruzzo
è ipotizzabile con ossa cave o
tubicini vegetali, oppure
sputando direttamente dalla
bocca come fanno tutt’oggi gli
Aborigeni australiani
Alcuni esempi di pitture

È sorprendente il fatto che sia i colori citati (rosso,


nero, giallo in primis), sia i pigmenti impiegati per
ottenere questi colori, siano comuni a tutte le civiltà
paleolitiche: si può dire che i pigmenti a base di ossidi
di ferro e manganese e di carbone costituissero la
tavolozza-base degli artigiani preistorici, in Europa
come nelle altre civiltà, dall’Egitto all’India alla Cina
Le espressioni artistiche più elevate nella Preistoria
sono collocabili presso le grotte di Lascaux (Francia) e
Altamira (Spagna), mentre le più antiche sono
probabilmente a Chauvet (Francia)
Le più antiche: Chauvet
Le pitture scoperte nel 1994
nelle grotte di Chauvet (valle
dell’Ardeche, Francia del Sud)
sono probabilmente le più
antiche al mondo. La
datazione, effettuata con la
tecnica del 14C su tracce
carboniose, attribuisce alle
pitture un’età di circa 31.000
anni BP

Le pitture di Chauvet sono sorprendenti per molti motivi: in primo luogo


per la natura e la varietà del bestiario rappresentato: ci sono 14 specie
animali diverse, tra cui rinoceronti, leoni e orsi, anzichè soltanto animali
da preda come si era soliti vedere più comunemente; in secondo luogo per
l’uso della prospettiva e dell’ombreggiatura che contrasta con l’età
remota delle pitture, almeno fino a quanto era a noi noto prima di questa
scoperta
Pigmenti a Chauvet
Le pitture di Chauvet non presentano la
varietà policromatica di Lascaux: in
esse si individuano il rosso, a base di
ocra rossa, il nero a base carboniosa
(fuliggine o nerofumo) e, soltanto in
due casi, il giallo, ancora a base di ocra
Ci sono dei particolari tecnici notevoli:
nella figura a destra è mostrata quella
che sembra la sagoma di un bisonte o
un rinoceronte, impressa con una
tecnica simile al puntilismo di Seurat
(fine ‘800), ovvero apponendo numerosi
punti ravvicinati di colore. Secondo una
ricostruzione al computer, l’immagine
sarebbe stata eseguita dall’artista
paleolitico con la solo mano destra
Questa tecnica è individuabile anche in
alcune pitture di Peche-Merle (Lot)
Lascaux
Situate nelle regione della Dordogna (Francia
sudoccidentale), le grotte di Lascaux sono
probabilmente le più importanti al mondo
insieme a quelle di Altamira in Spagna per
quanto riguarda le pitture murali. Le pitture
risalgono ad un periodo compreso tra 30.000
e 10.000 anni fa. Per il valore artistico e
simbolico delle opere rinvenute all’interno,
queste grotte sono state definite la Cappella
Sistina della Preistoria

Le grotte sono state scoperte


negli anni ’40. Negli anni ‘60,
per preservare l’enorme valore
delle pitture, l’accesso dei
turisti alle grotte fu vietato e
fu creata una copia esatta in
un sito vicino chiamato Lascaux
II, riproducendo alla
perfezione le opere murali
Per quanto riguarda i leganti utilizzati, è stato dimostrato che l’acqua
delle caverne, ricca di calcare, agiva da legante precipitando calcite sulle
pareti; i cristalli di questo minerale imprigionavano gli ossidi di ferro e
manganese (colori rossi e neri) garantendone una buona conservazione nel
corso dei millenni
Altamira
Il titolo di Cappella Sistina della Preistoria è rivendicato anche dalle grotte di
Altamira, site nella regione Cantabrica (Spagna del Nord). I dipinti che si trovano
nelle varie sale sono espressione di un’arte molto raffinata. Si pensa che i pigmenti
siano stati apposti con una cannuccia cava, il primo pennello della storia dell’arte
Analisi di pigmenti preistorici
Il valore inestimabile delle
pitture rupestri e la loro grande
fragilità sfavoriscono la
possibilità di prelevare campioni
per effettuare analisi. Quindi,
nonostante la difficoltà di
portare strumenti nelle grotte
per eseguire analisi in situ,
questa è spesso l’unica
possibilità concessa per avere
informazioni. Negli ultimi anni, analisi effettuate con tecniche portatili
hanno fornito buoni risultati nell’identificazione dei pigmenti impiegati
nelle pitture rupestri.
Le tecniche impiegate
sono state la
spettrometria Raman
(sopra) e la
spettrometria XRF
(sx)
Esempi di analisi

Disegno riproducente le pitture del pannello noto come Black Frieze, nella
grotta di Peche-Merle (Lot, Francia sudoccidentale) nelle pitture
rupestri. Le analisi Raman e XRD, eseguita su campioni prelevati nei punti
indicati, forniscono l’identificazione sia di ossidi di manganese (hollandite
e romanechite) che di nerofumo nei tratti pigmentati in nero

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