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168 cosi non dovremmo avere la ininima tentazione di dire «I fatti non sono cose-nel-mondo» «I fatti sono affermazioni vere». Infine, TIT), ¢8 um altro uso ancora di «cid che segnal TID), incora di ei® cl amon 0 i «ci che segnaliamo &» dove wid che segnaliamo» non S né sempre x, oe in 1) 2), né sempre x0 non x, come in 3) 4). In questo uso 5) — cid che segnaliamo @ ora rosso, ora verde, ora porpora ~ cid che affermmiamo’ ora che F ora che G, ora che H. Per riassumere, quindi: Tfatti sono cid che le affermazioni vere affermano «I bersagli sono cid che i segnali corretti segnalano». Il primo non tende a provare che i fatti siano A pid ci fatti siano pseudoentita pid di quanto il secondo tenda a provarlo dei bersagl.F se vogliamo dive che une det due ® definito nei termini dell altro, dovremmo dire il eontrario. Oppure: dai due ineccepibili 1) Affermava un fatto 2) Affermava che F possiamo certamente inferire «Cid che affermava era un fatto «Cid che affermava era che F», Ma non possiamo in nessun modo inferime cose del tipo di Un fatto? che Fo che G, ece (cosa che la farebbe apparire una pseudoentith) porché «cid che afer ava» non ha lo stesso significato nelle due premesse. 8 ‘Una crusriricazions PER LE ScUSE! L?argomento di questo saggio, le Scuse, non pud essere trattato, ma solo introdotto in un saggio. B, o potrebbe essere, il nome di un’intera bran- ca, anche di una branca ramificata, della filosofia, o almeno di un tipo di filosofia. Proverd, quindi, prima a stabilire qual & l'argomento, perché merita dessere studiato, ¢ come pud essere studiato, ¢ tutto cid a un Ii- vello spiacevolimente alto. Ilustrer®d quindi, in dettaglio, cosa pitt confa~ cente, ma non troppo ordinatamente, alcuni dei metodi che vanno usa- ti, con iloro limiti, alcuni risultati inattesi che c”é da attendersi e alcune lezioni che vanno imparate. Gran parte del divertimento, ¢ di cid che simpara, lo si ricava, indubbiamente, andando a stanare la microlin- ‘gua, insequendo le minuzie, cose alle quali posso solo incitarvi, Ma de- vo riconoscere che questo argomento mi ha offerto per tanto tempo cid di cui si pensa la filosofia sia priva, e di cui la si priva: la gioia della sco- perta, il piacere della cooperazione, ¢ la soddisfazione di raggiungere Vaccordo. Qual 8, dunque, argomento? Uso qui la parola «scuse».come etichel- ta, ma sarebbe poco saggio attaccarci subito a questo nome.¢ al verbo che gli corrisponde: in effetti per qualche tempo m’ero messo a usare invece «(éiredstanze) attenuanti», Tuttavia, nell’insieme, «scuse» & 1 -Ristampate dai Precedings ofthe Aristtian Soi, 1956-7, per gentile conceasione de 170 probabilmente il termine centrale ¢ piti comprensivo di questo campo semantico, dove perd ce ne sono altri pure imaportanti — «difesa», «giu- stificazione», € cosi via. Quando, dunque, «scusiamo» la nostra condot tao quella di qualcun altro? Quando si offrono delle «scusen? In generale, quando qualcuno & accusato di aver fatto qualcosa, 0 (se sembra pitt pulito) quando qualcuno & deto aver fatto qualcosa di male, di sbagliato, di inadatto, che non & stato ben accolto, o che non va i uno qualunque dei numerosi modi possibili. Allora Paccusato, o qual- cuno in vece sua, cercher’ di difendere cid che ha fatto o di tirarsi (ti Jo) fuori dai pasticci. In una situazione del genere si pud ammettere semplicemente che lui, X, ha effettivamente fatto cid, A, ma sostenere che era una buona cosa da fare, 0 la cosa giusta o sensata, o tna cosa permessa, in generale 0 almeno in quelle circostanze speciali. Seguire questa linea & giustificare Pazione, dare delle ragioni per compierla: se non addirittura, per van- tarsene sfrontatamente, gloriarsene, ecc. Diversamente si pud ammettere che non cra una buona cosa da fare, ma sostenere che non & giusto o corretto dire «X ha fatto An © basta, Possiamo dire che non & giusto dire che X Pha fatto: forse era sotto Pin- fluenza di qualcuno, 0 aveva ricevuto una spintarella, O non & giusto dire che ha fato A e basta: pud essere stato uno sbaglio accidentale, 0 inintenzionale, O, non & giusto dire che ha fatto semplicemente A: sta- va facondo in realt& qualcosa di diverso ¢ A era solo incidentale, 0 con- siderava 'intera questionc in modo assai diverso, Naturalmente, queste argomentazioni possono essere combinate, sovrapporsi o convergere inaspettatamente. Nel primo caso, per farla breve, accettiamo la responsabilita, ma ne- ghiamo che ci fosse qualcosa di male; nel secondo, ammettiamo che c'e- ra qualcosa di male ma non accettiamo di averne la piena responsabili- 4, 0 non accettiamo addirittura di averne alcuna responsabilita. In complesso, le giustificazioni possono essere tenute distinte dalle scuse, e non sono affatto ansioso di parlarne, perché hanno goduto pid attenzione filosofica di quanto meritassero. Ma le due possono certa- mente essere confuse, ¢ pud sembrare che si avvicinino molto Puna all’al- tra, benché forse non sia effettivamente cos. Hai rovesciato il vassoio del t@: Gerto, ma era in prossimita di una tempesta emotiva; o, Si, ma Cora una vespa. In ciascun caso la difesa insiste, giustamente, su una descrizione pitt comprensiva dell’ evento nel suo contesto: ma la prima & una giustificazione, la seconda una.scusa. Oppure, se Pobiczione ri- | : im guarda P'uso di un verbo che connota negativamente quale «assassina- re», la difesa pud essere basata sul fatto che I’atto di uccidere & avvenuto in battaglia (giustificazione) o sulla base del fatto che & stato accidentale per quanto avventato (scusa). $i pud sostenere che non usiamo i termini giustificazione e scusa facendo sufficiente attenzione: ma ci sono diversi termini, anche meno chiari, come eattenuante», «palliativo» ¢ «prete- sto», che sono, in difficolta, sospesi fra giustificazione parziale e scusa parziale. E comunque quando dichiariamo, per esempio, d’esser stati provocati, ©’ un’incertezza o un'ambiguith genuina circa cosa inte diamo — lui @ parzialmente responsabile perehé ha fatto insorgere in me un impulso 0 un moto violento, ¢ dunque non agivo veramente 0 semplicemente «di mia iniziativa» (scusa)? O piuttosto, avendomi offe 80 cosi, avevo diritto di contraccambiare (giustificazionc)? Questi dubbi rendono semplicemente pitt urgente chiarire l'us0 di questi diversi ter- mini, Ma che le difese che ho per convenienza etichetiate rispettiva- mente «giustificazionin e wscuse» siano di principio distinte non pud es- sere messo in dubbio, Questa dunque @ Ia situazione che dobbiamo considerare parlando di «scuse». Desidero soltanto sottolineare ancora quanto vasto & il campo che coprono, Dobbiamo, infatti, considerare anche Popposto delle scuse — le espressioni qggravanti del tipo di udeliberatamente», «di propositon, ‘¢ cosi via, se non altro perché una scusa spesso porta a escludere un’ag- gravante del genere, Ma abbiamo da considerare anche un gran numero di espressioni che a una prima occhiata pit che a scuse assomigliano ad accuse — «goffagginen, «mancanza di tatto», «senza pensarci sitm, ecc Gi si deve sempre ricordare che poche scuse ci traggono completamente @imbarazzo: Ia scusa media, quando la situazione non ® un gran che, ci tira fuori dalle braci per metterci nella padella — pur sempre, indubbia- ‘mente, una padella sulle braci. Se ti ho rotto il piatto o Pincanto, pud darsi che Ia miglior difesa a mia disposizione sia la goffaggine. Perché, s¢ questo & cid che sono Ie «scuse», dovremmmo affaticarci a studiarle? Si potrebbe pensare innanzi tutto che una ragione sufficiente sia il fatto che produrle ha sempre avuto cost tanta importanza fra le at~ tivitt umane. Ma studiarle potra inoltre fornire contributi di tipo spe~ ciale, in particolare alla filosofia morale, sia positivamente: per svilup- pare una coneezione prudente ¢ aggiornata di come comportarsi, sia ncgativamente per correggere teorie pitt vecchie ¢ un po’ affrettate. In cetica si studia, penso, il bene ¢ il male, cid che & giusto e cid che & sbagliato, e questo deve essere fatto in gran parte in connessione, in 172 qualche modo, con la condotia e col fare azioni. Tuttavia, prima di con- siderare quali azioni sono buone o cattive, giuste o sbagliate, sarchbe sgiusto considerare che cosa s'intende con le espressioni «fare un’azio ne» o «fare qualcosa», che cosa non s’intende con esse, che cosa ® indu- s0 sotto di esse e che cosa non lo’. Queste espressioni sono prese me ancora troppo poco di per sé ¢ per quanto meritano, cosi come la nozione generale di «dire qualcosa» é tuttora tralasciata con troppa leg- gerezza in logica, Si ha certamente sullo sfondo l’idea vaga, ¢ confor- tante, che, dopo tutto, in ultima analisi, fare un’azione deve ridursi a fare dei movimenti fisici con parti del corpo: ma questo @ vero quanto & vero che dire qualcosa deve ridursi, in ultima analisi, a fare dei movi- ‘menti con Ie lingua Gi si comincia 2 mostrare pid sensati, se non addirittura saggi, quan- do ci si rende conto che #fare un’azione», cosi com’ usato in filosofia®, 2 un’espressione molto astratta ~ qualcosa che fa le veci di qualsiasi (0 i quasi qualsiasi?) verbo con soggetto personale, nello stesso modo in cuit «cosa» fa le veci di qualsiasi (0 quando ci ricordiamo di quasi qual- siasi) sostantivo, ¢ «qualita» fa le veci dell’ aggettivo, Nessuno, possia- ‘mo starne cert, conta su queste espressioni di paglia indefinitamente mplicitamente. Tuttavia, com’t noto, possibile costruire una metafi- sica ipersemplificata, © ricavarne lo spunto, a partire dall’ossessione con le scoses ¢ Ie loro «qualiti», Analogamente, ma in modi di cui non ci accorgiamo altrettanto bene neppure in questi tempi scmisofisticati, aderiamo al mito del verbo, Trattiamo lespressione «fare un’azione» non piti come qualcosa che fa le veci di un verbo con soggetto persona Ie, com’® senza dubbio usata alle volte, come potrebbe essere usata anche pitt spesso se l’insieme clei verbi non resta non specificato, ma co- me una descrizione autoesplicativa, fondamentale, che mostra bene le caraiteristiche essenziali di cid che, a un semplice esame, cade sotto di essa. Stentiamo a notare anche le eccezioni o le difficolt® pitt patenti (pensare qualcosa, dire qualcosa, o provare a fare qualcosa sono fare un’azione?), cosi come siamo turbati, nell’orasse der grandes profondeurs, da se le fiarame siano cose 0 eventi, Cosi arriviamo a pensare al nostro comportamento in qualsiasi momento, e alla vita nel suo insieme, come r Questo uso ha poco a che fare con il slorsere, pil com i pied in terra, i seion parlare ordinario. be 173 al mondo come a qualcosa che consiste di questa, quella ¢ quell’altra so- stanza o cosa materiale, ciascuna con le sue proprieta, Tutte le «azioni» sono, in quanto azioni (¢ cosa s’intende con cid?), uguali, fare wn rom- bo ¢ accendere un fiammifero, vincere una guerra e stamutite. E, an- cor peggio, le assimiliamo tutte quante ai casi che riteniamo pit facili ¢ pid ovvi, come I’impostare una lettera 0 muovere Ie dita, cost come as- sitniliamo tutte le «cose» a cavalli o a leti Se dobbiamo continuare a usare questa espressione, ed essere filosofi sobri, ° bisogno di chiederci cose come: Starnutire & fare un’ aaione? O lo? respirare, 0 vedere, 0 dar scacco matto, o ciascuna di innumere- voli altre? In breve, di quale insieme di verbi «fare un'azione» fa le v Gi, € in quali oceasioni? Cosa questi hanno in comune, e cosa manca ai parecchi che restano esclusi? Abbiamo bisogno di chiederci come deci- diamo qual il nome corretto per «la» azione che qualcuno fa — ¢ quali sono, in effetti, le regole per usare «la» azione, «una (articolo indeter- minativo) azione, «una» (numero cardinale) azione, una «parter 0 una «fase» di un'azione, ccc. Inoltre ’@ bisogno che ci rendiamo conto che anche le «pitt semplici» azioni nominate non sono cosi semplici — cer- tamente non sono il semplice fare dei movimenti fisici ~ ¢ dobbiamo chiederci cosa allora e’@ in pitt (intenzioni? convenzioni?) ¢ che cosa non c’é (motivi?), e quali sono i dettagli del complesso meccanismo in- terno che usiamo nell’«agiren — il raccogliere informazioni, il valutare Ia situazione, Pinvocare dei principf, il pianificare, controllare l’esccu zione cil resto. In due modi, principalmente, lo studio delle scuse pud gettare luce su ‘queste questioni fondamentali, Primo, esaminare le scuse & esaminare i casi in cui ©’ stata qualche anormalita 0 qualche fallimento: ¢ come molto spesso accade, l'anormale getta luce sul normale, aiutandoci a penetrare il velo accecante della facilitt ¢ dell’owvietd che nasconde i meccanismi dell’atto naturale che riesce. Diventa subito chiaro che i ‘guasti segnalati dalle diverse scuse sono di tipi radicalmente diversi, ¢ che tiguardano parti o stadi diversi del meccanismo, che le scuse dun- «que scovano e distinguono per noi. Inoltre, ne emerge che non agné sba- glio si da in connessione con ogni cosa che potrebbe essere chiamata ‘un’cazione», che non & che ogni scusa sia adatta ad ogni verbo ~ tut- taltro, in veriti. E questo cf fornisce unico mezzo per introdurre una qualche classificazione nell’ ampia miscellanea delle «azionin, Se le clas- sifichiamo a seconda della particolare selezione di guasti cui ciascuna & suscettibile, questo dovrebbe assegnarle il loro posto in qualche gruppo 174 © in alcuni gruppi di azioni, o in qualche modello del meccanismo del- Vagire. In questo modo, lo studio filosofico della condotta pud avere un'ay- vio nuovo ¢ positive. Ma, nel far questo, negativament solvere ¢ rimuovere un certo numero di problemi diffi Primo fra questi il problema della Libert’. Mentre la tradi sentato questo come il termine «positivor che richiede clucidazione, non vi sono molti dubbi sul fatto che dire che abbiamo agito «libera- mente» (nell’us0 filosofico, che & solo debolmente collegato all’ uso quo- tidiano) significa dire solo che abbiamo agito nun non-liberamente, nel Vuno o nell’ altro dei molti modi eterogenei in eui si agisce cosi (sotto co- strizione, o altre cose del genere). Gome ereale», «libero @ usato solo per escludere anche Pidea di qualcuna o di tutte le sue antitesi ricono- sciute, Come «verit&» non & il nome di una caratteristica delle asserzio- ni, cosi «liberty non é il nome di una caratteristica delle azioni, ma il nome di una dimensione lungo ta quale le si valuta, Nell’esaminare tut- tii modi in cui ciascuna azione pud non essere wliberas, cio’ i casi in cui non bastera dire semplicemente «X ha fatto A», possiamo sperare di di- sfarci del problema della Liberta. Aristotele & stato spesso rimproverato perché parla delle scuse o delle giustificazioni e trascura «il vero proble- may: io invece ho cominciato a interessarmi delle scuse, da principio, ‘quando ho cominciato a capire che quest’ accusa era ingiusta. ‘Mettendo da parte la tradizione filosofica, molte cose parlano a favore dell’idea che la Responsabilita sarebbe un candidato migliore per il ruolo qui assegnato alla LibertA. Se il linguaggio ordinario ha da essere la no- stra guida, @ per sfuggire la responsabilita, o la piena responsabilita, che spessissimo facciamo delle seuse, ¢ io stesso ho usato, sopra, la. patola in questo. modo. Ma in effetti neppure «responsabilitay sembra realmente adatta a tuiti i casi: non sfuggo propriamente le mie respansabilit’ quan- do confesso la mia goffaggine o la mia mancanza di tatto, ¢ neppure, spesso, quando confesso che Pho fatto controvoglia ¢ con riluttanza, € ancor meno se confesso che in quelle circostanze non avevo scelta: ero costretto ho una scusa (0 una giustificazione), tuttavia accetto la re- sponsabilita. Pud essere, allora, che ci sia bisogno di almeno due termini fe, Libert® ¢ Responsabilith: la loro relazione non ® chiara, e si pud sperare che lo studio delle scuse contribuisca a chiarificarla’. 2 Un alto cavallo ben frutato in questa gara il Biasimo, Sembra che si confondano al- ‘meno due cose sotto questo termine. Qsalche volts, quate biasitua 3 peach ha fatto As per 175, ‘Tanto basta, dunque, per i modi in cui lo studio delle scuse pud get: tar luce sull’etica. Ma ci sono altre ragioni del perché @ un argomento attracnte da un punto di vista metodologico, almeno se prendiamo le mosse dal «linguaggio ordinario», ciob dall’esame di cosa divemmo quan- do, e quindi perché ¢ cosa intenderemmo nel dirlo. Forse questo meto- do, almeno in quanto & un metodo filosofico, non richiede oggi una giu- stificazione — 2 fin troppo evidente che 8 dell’ oro in quelle colline scl- vatiche. Sarebbe piti opportuno avvertire che per non cadere in discre- dito ha bisogno di essere applicato con attenzione, senza tralasciare nul- Ja. Comunque, lo giustificherd molto brevemente. Primo, Le parole sono i nostri strumenti, e, come minimo, dovrem- ‘mo usate strumenti puliti: dovremmo sapere che cosa significano ¢ cosa non significano, e dovremmo premunirci contro le trappole che il Tin- ‘quaggio ci prepara. Secondo. Le parole non sono (se non nel loro ango- lino) fatti o cose: abbiamo bisogno quindi di separarle dal mondo, ¢ te- nerle separate da esso € contrastarle con ess0, cost da poterci rendere conto delle loro inadeguatezze e arbitrarieta, ¢ poter poi guardare di nuovo al mondo senza paraocchi. Terzo (il punto pitt promettente). Il nostro comune assortimento di parole incorpora tutte le distinzioni che ii uomini hanno considerato meritasse tracciare, ¢ le connessioni che hanno considerato meritasse mettere in evicenza, nella vita di molte ge- nerazioni: dato che hanno superato il lungo esame della sopravvivenza, del pid adatto, queste sicuramente sono probabilmente pid numerose & valide, ¢ pitt sottili, almeno in tutte le questioni pratiche ordinarie, i qualsiasi altra che voi o io si abbia la possibilita di pensare stando ill pomeriggio in poltrona — che @ il metodo alternative di gran lunga pre- ferito Dato il prevalere dello slogan «il linguaggio ordinario», ¢ di nomi quali filosofia «linguistica» 0 «analitica» o «analisi del linguaggio», c una cosa che bisogna enfatizzare per prevenire fraintendimenti. Quan- do prendiamo in esame cosa diremmo quando, quali parole useremmo in quali situazioni, badiamo non semplicemente alle parole (o ai «signifi- atin, qualunque cosa possano essere), ma anche alle realta per parlare ‘sempioporché ha roto i vaso, a questione 8 semplicemente,osopratinto, lama disapro- Sarone di rompers vaso cova chenon © question sate fata ca X;macqualbe vlia Gocstone b putonto, semplicemente nsopesturo, quanto rtengo X responsable dt A, Cn cho non e& questone t una com etiva. Quind, se gualeuno die che {Gualcona, poso napondere dando una pasting, perehé seta dapprovare {htt oppre pose dareuns vs, percht neta tenerm responsable, almene soto ogn ‘spehinteramente responsi, dell avert fat 176 delle quali usiamo le parole: usiamo una consapevolezza affinata delle parole non come arbitro finale per decidere dei fenomeni, ma per affi- nare la percezione che ne abbiamo, Per questa ragione penso sarcbbe meglio usare, per questo modo di fare filosofia, qualche nome meno fuorviante di quelli citati sopra — per esempio, «fenomenologia lingui- stica», se solo non riempisse un po’ troppo la bocca, Usando questo metodo, # chiaramente preferibile indagare un campo in cui il linguaggio ordinario & ricco e sottile, come quello delle Scuse, che sono un problema pratico pressante, ma come certamente non 2, per esempio, un altro problema come il Tempo. Nello stesso tempo p: feriremmo un campo non troppo calpestato, nei pantani o nei sent dalla filosofia tradizionale, perché in quel caso anche il linguaggio «or dinario» sara rimasto spesso infettato dal gergo di teoric estinte, coin- volgendo anche fin troppo prontamente, e spesso insensibilmente, i no- stri stessi pregiudizi, come sostenitori o imbonitori di opinioni teoreti- che. Anche qui, le Scuse sono un tema mirabile: possiamo discutere la goffaggine, ola distrazione, o la sconsideratezaa, ¢ perfino la spontanei- £2, senza ricordare cosa pensava Kant, e cost progredire per gradi fino a discutere la deliberazione senza ricordare una volta tanto Aristotcle o Vautocontrollo senza Platone. Goncesso che il nostro argomento é, co- me s'® gia sostenuto, nelle vicinanze, analogo, o rilevante in qualche modo, rispetto a qualche fonte di difficolta filosofiche, allora, una volta soddisfatti questi due ulteriori requisiti, dovremmmo essere certi di cosa ndiamo in cerca: un luogo adatto per fare lavoro sul campo in filosofia. Qui infine dovremmo essere capaci di iniziare il disgelo, allentare qual- che nodo ¢ arrivare a essere d’accordo sulle scoperte, per quanto picco- le, ea essere d’accordo su come raggiungere l’accordo*, Quanto sarcly- be auspicabile che un lavoro sul campo di questo genere fosse intrapreso presto anche, per esempio, in-estetica: se solo potessimo dimenticare per un momento il bello e scendere invece al delicato e al malinconico. Gi sono, lo 50, 0 si suppone che ci siano, degli ostacoli nella filosofia slinguistica», che coloro cui non ® molto familiare trovano, alle volte non senza gioia o sollievo, scoraggianti. Ma la cosa da fare con gli osta- coli, come con Ie ortiche, ® afferrarli ~ © passarci sopra. Ne men: 1 due in particolare, circa i quali lo studio delle scuse pud servirci a in coraggiarci. II primo & I’ostacolo dell’ Uso Approssimativo (0 Divergen- vege Conta ne sotenute da Sorat, ado per prim memo alla sta delle Po 177 tc o Alternativo), ¢ il secondo ® I’arduo problema dell’ Ultima Parola. Diciamo tutti le stesse, ¢ solo le stesse cose, nelle stesse situazioni? Gli usi non differiscono? E, perché cid che tutti ordinariamente diciamo do- vrebbe essere l'unico modo, 0 quello migliore, 0 quello definitive di mattere le cose? Perché mai poi dovrebbe essere vero? Bene. Gli usi della gente effettivamente variano, ¢ effettivamente parliamo approssimativamente, ¢ diciamo effettivamente cose diverse ‘con apparente indifferenza. Quando arriviamo a casi (specifici), traspa- re che la maggior parte delle volte cid che avevamo pensato fosse voler dire cose diverse del stessa situazione ¢ nella stessa situazione, non era in realta questo ~ avevamo semplicemente immaginato la situazione in modi leggermente diversi: cosa anche fin troppo facile, perché indubbia- ‘mente nessuna situazione (e abbiamo a che fare con situazioni immagi- descritta «completamente». Pid immaginiamo la situazione faglio, sullo sfondo di una storia ~ ¢ vale la pena di impiegare i mezzi pit idiosincratici c, alle volte, noiosi per simulare ¢ disciplinare la nostra misera immaginazione — meno ci troviano in disaccordo su co- sa dovremmo dire. Ciononostante, alle volte alla fine non ci troviamo daccordo: alle volte dobbiamo concedere che un uso, benché spavento- 50, tuttavia in effetti si da; alle volte dovremmo genuinamente usare Vuna o Paltra o Puna e Paltra di due descrizioni diverse. Ma perché questo ci dovrebbe scoraggiare? Quanto accade & del tutto spiogabile Se i nostri usi non vanno d’accordo, allora voi usate «Xo mentre io 60 «Y», 0, com’® pitt probable (¢ pid imbarazzante) il vostro sistema con- cettuale @ diverso dal mio, anche se ® verosimilmente altrettanto coe- rente e utile: in poche parole, possiamo trovare perché non andiamo Waccorde — voi scegliete di classificare in un modo, io in un altro. Se uso ® approssimativo, possiamo capire la tentazione che conduce a es- s0, ¢ le distinzioni che rende confuse: se ci sono descrizioni «altemati- ven, allora la situazione pud essere descritta o pud essere «strutturatay in due modi, o forse una in cui, per gli scopi presenti, le due alternati- ve si riducono alla stessa cosa. Un disaccordo circa cosa dovreramo dire non & qualcosa da evitare, ma qualcosa cui attaccarsi: spiegarlo infatti difficilmente pud non riuscire illuminante. Se c’imbattiamo in un elet- trone che ruota nel verso sbagliato, questa & una scoperta, un portento da sfrattare, e non una ragione per smetterla con la fisica, Lo stesso tratto rendc un parlante genuinamente approssimativo o eccentrico un cesemplare raro ¢ da apprezzare. Per far pratica nel maneggiare questo spauracchio, per imparare i 178 punti essenziali, difficilmente potremmo trovare un esercizio pid pro- mettente dello studio delle scusc. Questo &, sicuramente, proprio quel sgenere di situazione in cui la gente dira «qualsiasi cosa (0 quasi)», per- ché @ agitata, o ansiosa di cavarsela. «B stato un errore», «E stato acci- dentale» — & facilissimo che queste espressioni possano apperreindiffe- renti, € perfino essere usate insieme. Ma bastano una stoziella 0 due, ¢ chiunque non solo sara d’aecordo sul fatto che sono completamente di verse, ma scoprira addirittura da sé qual ? la differenza ¢ cosa ciase significa, Passiamo alla questione dell’ Ultima Parola, Certamente il linguag- sic ordinatio non pretende di essere l'ultima parola, se "8 una cosa del genere, Incorpora, in effetti, qualcosa di meglio della metafisica dell’ E- {8 della Pictra, perché, come s'era deito, ci trasmetteI'esperienza e I'a- came di moite generazioni di uornini. Quell’acume & stato cancentrato primariamente sulle question pratiche. Se una distinzione fanziona be- ne per gli scopi pratici della vita ordinaria (an’impresa non da poco, perehé anche la vite ordinaria & piena di casi difficili) allora deve co- sliere qualcosa, evidenziera qualcosa ¢ non nulla: tuttavia & probabile che questo non sia il modo migliore di sistemare le cose s¢ i nostri inte- ressi sono intellettuali o pit ampi di quanto non siano ordinariamente. Inolire, quella ® un’esperienza ricavata esclusivamente dalle fonti di- sponibili agli uomini ordinari per la quasi totalith della storia civilizza- ta: non stata alimentata dalle risorse del microscopio e dei suoi succes sori. Eva anche aggiunto, che superstizioni, errori c fantasie di tutti generi vengono eflettivamente incorporati nel linguaggio ordinario e talvolta superano il test della soprawvivenza (ma, quando lo superano, petché non dovremmo scoprirlo?). Certamente, quindi, il linguaggio ordinario non & ultima parola: di principio pud essere dovunque inte- sgrato e migliorato e superato. Ma ricordate, éa prima parolat Anche sotto questo aspetto il campo delle Scuse si rivela fruttuoso Qui la questione & tanto controversa quanto importante praticamente, aut rete pata prelate sg cage, pan een «Per sbaglio»? O saccidentalmenten? mate - Possiamno? a f altvacurions domands, «it vero? 179 cosicché il Tinguaggio ordinaxio & attento: inoltre, ha avuto per molto tempo sulla schiena una grossa pulee che ’ha morso, sotto le forme del Diritto, ed entrambi hanno ultimamente attirata Pattenzione di wn'al- tra pulve ancora, una che a dire poco cresce in salute, nelle forme della psicologia. Nel diritto '® un flusso costante di casi reali, pid novi e pid tortuosi di quelli che Pimmaginazione da sola riuscirebbe a conecpire, che si deve artivare a dezidere ~ cio, per cui si devono trovare dei modi di formularli per arrivare a una sentenza. Quindi, & necessario innanzi tutto prestare attenzione al linguaggio ordinario, ma anche essere bru- tali ¢ torturarlo, alterarlo e passarei sopra: questa volta ? una faccenda che non possiamo eludere o dimenticare, (Nella vita ordinaria lasciamo perdere i rompicapo che saltano fuori a proposito del tempo, ma non possiamo farlo indefinitamente anche in fisica). La psicologia analoga- mente produce nuovi casi, ma anche nuovi metodi per riuscire a osser- vare e a studiare i fenomeni; inolize, a differenza del diritto, ha un inte resse scevro da pregiudizi per ciaseuno di essi e non ha urgenza di giun- gere a una decisione. Di qui il suo bisogno tutte speciale e costante di integeare, rivedere e superate sia le classificazioni del linguaggio ordi- nario che quelle del dirito. Abbiamo, dunque, un vasto materiale per far pratica nel maneggiare lo spauracchio dell’ Ultima Parola, in qua- junque modo vada maneggiato Supponiamo quindi di cominciare a studiare le scuse, quali sono i 1etodi ele tisorse inizialmente disponibili? II nostro oggetto é immagi- nare la variet delle situazioni in cui facciamo delle scuse, ¢ esaminare le espressioni che usiamo nel farle. Se abbiamo un’immaginazione vi- vace, oltre, forse, a una vasta esperienza di manchevolezze, arriveremo lontano, ma ci serve un sistema: non so quanti di voi tengano una lista dei modi in cui si ingannano. E consigliabile usare dei sussidi sistemati- i, Ge ne sono almene tre, che élenco in ordine di accessibilitA per I'uo~ smo della strada Per:prima cosa, possiamo usare il dizionario ~ va bene anche uno piccolo, ma va usato metiolosamenie. Due metodi si propongono da soli, sono entrambi leggerimente noiosi, ma ci ricompensano. Uno & leggere Vintero dizionario, elencando tutte le parole che sembrano rilevanti. La cosa non tichiiede tanto tempo quanto, spesso, si crede. L'altro metodo & cominciare con una scelta piuttosto ampia di termini ovviamente rile- vanti, ¢ consultare il dizionario per ciascuno di essi: si scoprira che, nel- le spiegazioni dei diversi significati di ciascun termine, si trova un nu- ‘mero sorprendente di altri termini, anch’essi rilevanti anche se senza 180 dubbio spesso non sinonimi, Andando a controllare questi altsi, se ne ricavano dalle adefinizioni» altri ancora, che si mettono in borsa. Se si continua per un po’, in generale si scopre che il cerchio comincia a chiudersi, finché, da ultimo, & completo e ci s’imbatte solo in ripeti- zioni. Questo metodo ha il vantaggio di raggruppare i termini in ag- glomerati convenienti — ma certo molto dipende dall’ampiezza della nostra scelta iniziale, Lavorando col dizionario & interessante scoprire che un’alta percen- tuale dei termini connessi con le scuse sono avverbi, un tipo di parola che non ha goduto altrettanto largamente della scena filosofica come Ic parti nominali, sostantivo 0 aggettivo, ¢ il verbo: questo @ naturale perché, come s’era detto, il tenore di moltissime scuse @ che Pho fatto si ma ta un certo modo, ¢ non che l'ho fatto e basta — cio’ il verbo ha bisogno d’essere modificato, Oltre agli avverbi ci sono, comunque, al- tre parole di tutti i generi, inclusi numerosi nomi astratti, «acciden- te», «proposito», e simili, ¢ anche alcuni verbi, che spesso hanno una posizione chiave per raggruppare, a un livello alto, le scuse in classi («Non potevo farci niente», «Non intendeva», «Non te n’eri accorto», © anche «Intendon, e «Tentoy). Un’altra classe di parole, connesse ai nomi, risulta cospicua, le preposizioni. Non solo ® molto importante ‘quale fra molte preposizioni viene usata con un dato sostantivo, ma le preposizioni meritano inoltre d’essere studiate per proprio conto, In- fatti, questa domanda si pone automaticamente: perché i nomi di un gruppo sono governati da «sotto», quelli di un altro da «su», quelli di tun altro ancora da «pers 0 «per via» o «da» 0 «cons, ece.? Che delu- sione se si dimostrasse che non ¢i sono buone ragioni per questi rag- gruppamenti La nostra seconda fonte sara naturalmente il diritto, Ci fornira wna miscellanea immensa di casi in cui qualcosa va storto, e inoltre un'u- tile lista di scusanti accettate, insieme a un buon numero di analisi entrambe. Chi mette questa risorsa alla prova non resta a | aubbio, penso, circa il fatto che Ia legge comune, e in particolare il di- ritto concemente gli illecti, & il deposito pit ricco; i crimini e i con- ‘ratti aggiungono un contributo speciale, ma giiilleciti offrono nell'in- sieme un materiale pid completo e pit flessibile. Ma anche qui, e an- cor piti con una branca del diritto cost veechia e consolidata come il diritto penale, c’t bisogno di molta cautela davanti alle argomentazio- ni degli avvocati ¢ alle affermazioni o alle decisioni dei giudici: per quanto acute siano, ci si deve sempre ricordare che, nei casi legali 181 1) 8, dominante, esigenza di raggiungere una decisione, relativa- mente bianca o nera — colpevole 0 non colpevole ~ a favore de! quere- ante 0 del convenuto; 2)’ I’esigenza generale che i capi d’accusa o il procedimento e i me- delle parti siano ricondotte a categorie e procedure arrivate nel corso della storia a essere accettate dai Tribunali, Benché numerose, quelle sono poche ¢ stercotipate in confronto alle accuse ¢ alle difese che isi rivolge nella vita quotidiana, Inoltre, molte controversie sono «al di sotto» del diritto, perché troppo banali, 0 al di fuori, perché puramente morali — per esempio, 1a sconsideratezza; 3) c’@ V’esigenza generale che si argomenti rispettando i precedenti ¢ a partire da esti. Il valore che questo ha nel diritto non pud essere messo in discussione, ma pud certamente portare a distorcere credenze € espressioni ordinarie, Per queste ragioni, fra loro owviamente strettamente connesse ¢ che derivano dalla natura e dalla funzione del ditto, i giuristi e gli avwocati praticanti mon sono affatto cosi attenti come potrebbero a dare alle no- stre expressioni ordinarie i significati e le applicazioni ordinarie. Ci so- no speciali seappatoie ¢ scusanti, stiracchiamenti € can forza; inolire s"inventano termini teenici, o sensi teenici per termini comu Giononostante, & sempre una sorpresa, e una sorpresa salutare, scopr re quanto si pud imparare dal diritto; e va aggiunto che se una distin: Zione tracciata & eorretta, anche se non & ancora accettata ne! diritto, si ud contare sul fatto che un avvocato ne prendera nota, perché pub es- sere pericoloso non farlo — se non Jo fa lui, pud farlo il suo avversario, Infine, la terza fonte @ la psicologia, nella quale includo studi quali Pantropologia e il comportamento animale. Ne parlo con ancor mag- gior trepidazione che del diritto, Ma & chiaro almeno che in psicologia sono state osservate e classificate alcune varieti di comportamento, al- cuni modi d’agire 0 spiegazioni del fare azioni, che non sono state os servate e nominate dagli uomini ordinari né consacrate dal linguaggio ordinario, benché forse spesso avrebbero potuto esserlo se fossero state di maggior importanza pratica. E. pericoloso il disprezzo per il «gergo» della psicologia, quando questo comincia a integrare, ¢ alle volte anche quando comincia a soppiantare, il linguaggio della vite ordinaria, Gon queste fonti, ¢ con Paiuto dellimmaginazione, sari dura non riuscire a cogliere il significato di un gran numero di espressioni ¢ a comprendere e a classificare un gran numero di «azioni». Comprende 182 remo danque chiaramente molte cose di cui, prima, facevamo solo un uso ad foe, Le definizioni, e, vorrei aggiungere, le definizioni esplicative dovrebbero essere le nostre mire pid alte: non basta mostrare quanto siamo abili mostrando quanto ogni cosa é oscura. Anche la chiarezza, lo so, s"@ detto che non basta: ma forse sar bene curarsene quando siamo 2 una distanza ragionevole dal raggiungere chiarezza su qualche argo- mento, Basta con le chiacchiere. Restano da fare alcune osservazioni, in un ordine, temo, non molto cocrente, sui tipi di risultati significativi che si possono conseguire con Jo studio delle scuse, ¢ sulle lezioni pid. generali cche se ne possono trarre, 1. Nessuna modificazione senza aberrazione. Quuando si afferma che X ha fat- to A, si ha la tentazione di supporre che data una qualche, ¢ invero for- ie data qualsiasi, espressione che modifichi il verbo siamo autorizzati a Inserirla, o a inserire la sua negazione, cio’, a chiederci, qualcosa come «X ha fatto A Memente 0 non Memento?» (per esempio, «X ha assassi- lnato Y volontariamente 0 involontariamente?»), e rispondere Puna o VYaltra cosa. © come minimo si suppone che se X ha fatto A ci debba es- {sere almeno ana espressione che si pud, modificatrice, inserire, giustfi- ccataiente ¢ informativamente, nel sintagma verbale. Nella grande ‘maggioranza dei casi nell’ usare la grande maggioranza dei verbi (was sassinare» forse non apparticne alla maggioranza) queste supposizioni sono largamente ingiustificate. L’economia naturale del linguaggio sta- ilisce che per il caso standard coperto da qualsiasi verbo normale — ¢ “non, forse, da un verbo «sinistro» come wassassinare», ma da un verbo come «mangiaren o «calciare» o «respingere con le mani» ~ non & ri chiesta © ncppure permessa alcuna espressione modificatrice, Solo se facciamo Pazione nominata in circostanze o modi speciali, diversi da quelli naturali (¢, senza dubbio, tanto la normalita quanto l'anormalita differiscono a seconda di qual ¢ il verbo particolare in questione) si ri- chiede che ci sia un’espressione modificatrice, 0 @ addirittura una rego- la che ce ne sia una, Sono seduto nella mia sedia, nel modo solito — non sono né inebetito né minacciato o simili: non funziona né il dire che sono seduto intenzionalmente né che non sono seduto intenzionalmen- te?, né che mi ci sono seduto automvaticamente o per abitudine, ece, E * Caveat: indubbiamente possiama dire «Not mi ci sono seat ‘intensionatment semplicemente come medo pet respingee i miggerimento che mie a sed intensona: 183 ora di andare a letto, sono solo, sbadiglio: ma non sbadiglio involonta- riamente (o volontariamente!), e neppure deliberatamente. Sbadighiare 1 uno qualsiasi di questi modi peculiari proprio non proprio sbadi- gliare. 2, Limiti di applicazione. Le espressioni che modificano verbi, tipicamen- te gli avverbi, hanno domini d’applicazione limitati, Ciot, dato un qualsiasi avverbio di scusa, come «inconsapevolmente», «spontanea- mente» «impulsivamentes, si trovera che non ha senso attaccarlo né a qualsiasi, né a tutti, i verbi di eazione» in ogni contesto: invero, spesso si applica solo a un dominio relativamente ristretto di verbi. Qualcosa nella faccia del ragazzo rivolta all'insi lo attrasse e gli gettd un mattone — aspontaneamente»? C’interessa quindi seoprire perché alcune azioni possono essere scusate in quel modo, e altre no, e forse soprattutto que- st'ultima cosa, Questo chiarisce ampiamente il significato della scusa, € nello stesso tempo illumina le caratteristiche tipiche del gruppo di aazionin che contraddistingue; molto spesso getta luce su qualche detta~ glio del meccanismo dell'«azione» in generale (si veda il punto 4), 0 su- gli standard di condotta accettabili (si veda il punto 5), E importante specialmente per qualcuno dei termini preferiti dai filosofi o dai giuristi realizzare che almeno nel parlare ordinario (se si trascura l'infiltrazione dei gergo) essi non hanno un uso né cost universale né cost dicotomico, Prendiamo, per esempio, avolontariamente» ¢ «involontariamentes: possiamo arruolarci o fare un regalo volontariamente, possiamo sin- ghiozzare 0 fare un piccolo gesto involontariamente. Se consideriamo altre azioni che potrebbero naturalmente esscr dette fatte nell’uno o nell altro di questi modi, le due classi diventano sempre pitt circoscritte ¢ dissimili Puna dall’altra, fino a portarci addirittura a dubitare che ei sia un qualche verbo per cui entrambi gli avverbi vadano ugualmente bene. Forse ce n’é qualcuno, ma a volte quando pensiamo di averne trovato uno @ un’illusione, tn’eccezione apparente che in realt& confer- ma la regola. Posso forse «rompere una tazza» volontariamente, seo faccio, per csempio, come atto di autoimpoverimento, ¢ posso forse romperne un’altra involontariamente, se, per esempio, faccio un movi- mento involontario che la rompe. Chiaramente, i due atti descritti cia- scuno come «rompere una taza» sono in realt& molto diversi: uno & si- © Tf, a yolte non siamo cos bravi allosservare ef che nom possiamo dive come nel ‘osservate cid che potsinmn cre, anche sla prima cosa regolarmentela pit rivelatic. 134 mile agli atti tipici della classe di atti «volontarin, V'altro a quelli tipici della classe di atti «involontati» eee 3, L’importanca delle Negazioni e degli Opposti. «Volontariamente ¢ «invo- ontariamente», insomma, non sono opposti nel modo ovvio i resi tali in filosofia o giurisprudenza. L’«opposton, o piuttosto gli wop- postin, di «volontariamente» potrebbe essere sotto (qualche genere di) costrizione», minacciato, obligato, influenzato?; Popposto di «invo- Iontariamente» potrebbe essere «deliberatamenten 0 «di propositon 0 qualcosa di simile. Questa divergenza di opposti indica che «volontaria~ mente» ¢ «involontatiamente», a dispetto della loro apparente connes- sione, sono fili di due matasse molto diverse. In generale, per quanto ri- guarda le negazioni e gli opposti sara conveniente non prendere nulla er scontato 0 come ovvio. Non conviene assumere che una parola deb- ba avere un opposto, 0 un unico opposto, sia che sia una parola «posit va» come «volutamente» 0 una parola negativa come «inavvertitamen- te», Piuttosto, dobbiamo porci domande come: perché non c’@ alcun uso per Pavverbio wavvertitamente»? Soprattutto, non va bene assume- re che la parola «positivay sia quella che porta i calzoni: comunemente Ja parola (che pare) «negativa» evidenzia Panormalita (positiva), men- tre la parola positiva, se esiste, serve scmplicemente a escludere il sugge- rimento di quell’anormalita, naturale, di fronte a quanto s'era detto sopra in 1), che non esista in alcuni casi la parola «positivay, Faccio un atto A; (per esempio, schiaccio una chioceiola) inavvertitamente se, nell’e- seguire muovendo delle parti del mio corpo qualche altro atto Ay (per escmpio, nello scendere per il pubblico sentiero) non riesco a esereitare un controllo sufficientemente meticoloso di questi movimenti come bi- sognerebbe per assicurarsi che non comportassera evento spiacevole (in questo caso, la collisione con Ja chiocciola)"*, Sostenendo che A, era stato fatto inavvertitamente, lo collochiamo su un livello speciale, cui implichiamo appartenga, in una classe di avvenimenti incidentali che 2 Masi zoe, quando io un aso nonnalmente, non bo faci né solos Te O analogamente facio un at A (je exerpio, divalg le mia ct, oininuoc bugando), inwverticamente se, ell eer quaehe altro ste Ay (per iemgie seoedends . sede quale alto atta A, (per ewmpo,Hcordando soi fel mio savin mie drat gs) ueande une cz carhansone non tiesco a eserei lo sulla seelta ¢ il modo di disporre i segni di cul surebbebisogno perasicurare che, Etmeresante ote come questi gover eeedsrane ‘te paraele, ana in conneasione con Ie azion’fsche (col wfues}e alta in commessons con Bint comune alse); qualche volte neoaneninae on la operon 185 coccorrono nel fare qualsiasi atto fisico, Per togliere l'atto da questa clas- se abbiamo bisogno dell’espressione «non... inavvertitamente», che possediamo: «avvertitamente», se usato a questo proposito, suggerireb- be che, se ’atto non era fatto inavvertitamente, allora doveva essere stato fatto notando cosa stavo facende, il che & ben lungi dall’essere ne- cessariamente il caso (per esempio, se l'ho fatto distrattamente), o al- meno che e’@ qualcosa in comune fra i modi di fare tutti gli atti che non sono fatti inavvertitamente, e non @ neppure questo il caso. Non c’® al- cun uso per «avvertitamenten allo stesso livello di «inavvertitamente, nel passare il burro non urte il bricco della panna, ma urto (inavvertita- mente) il bricco del t# — ma non evito il bricco della panna avvertitamen- te. A questo livello, al di sotto del controllo del dettaglio, gualsiasi cosa facciamo ®, se preferite, fata inavvertitamente, anche sc la diciamo cost fatta, ¢ invero la diciamo qualcosa che abbiamo fatta, solo se c"® qualco- sa che non va. Un ulteriore elemento d’interesse nello studiare i cosiddetti termini «negativin @ il mado in cui si formano, Perché le parole di un gruppo si formano con in- 0 non-, quelle di un altro con s- (svogliato, sbadato, sconsiderato, ecc.), ¢ quelle di un altro con dis- (xdisinteresse», «lisco- noscimento», adisordine», ece.)? Perché noncurante ma disattento? For- se la cura e Pattenzione, cost spesso collegate, sono cose assai diverse Ecco alcuni esercizi remunerativi 4. I meccanisma delazione. Le espressioni avverbiali non solo distinguo- no classi di azioni, ma distinguono anche i dettagli interni del meccani- smo del fare azioni, o le parti nelle quali si organiza il lavoro del fare azioni, Ct per esempio lo stadio in cui abbiamo effettivainente da ese- _guire Pazione in cui ci imbarchiamo — dobbiamo, per esempio, fare certi movimenti fisici 0 fare un discorso, Nel fare effettivamente queste cose (nell’intesserle) dobbiamo prestare (quaiche) attenzione a cid che stiamo facendo ¢ avere (una certa) cura nel guardarci da (probabili) pe ricoli, possiamo aver bisogno di usare giudizio o tatto, dobbiamo eserci- tare un controllo sufficiente sulle parti del nostro corpo, ¢ cost via. La disattenzione, la trascuratezza, gli errori di giudizio, la mancanza di tatto, Ia goffaggine, sono alcuni dei difetti che (con le scuse correlative) riguardano tutti uno stadio specifico del meccanismo dell’azione, quello dell esecuzione, Io stadio in eui ciechiane. Ma ci sono ancora molte altre parti di questo lavoro, ciascuna delle quali va rintracciata ¢ deseritta per mezzo del suo agglomerato di verbi ¢ avverbi appropriati. Owvia- 186 mente ci sono queste altre parti: quella della raccolta delle informazio- ni, quella in cui si pianifica, quella della decisione, quella in cui ci si ri- solve ad agire, ¢ cosi via, Parlerd tuttavia in particolare di una, spesso trascurata, dove le difficolta e le scuse abbondano. Ci succede, nella vi- ta militare, di avere raccolto informazioni eccellenti, di essere consape- i possedere principt eccellenti (le cinque regole d’oro per vincere), € di escogitare tuttavia un piano dazione che ci porta al disastro, Qu sto pud accadere per un difetto nello stadio della valutazione della situa zione, cio’ nello stadio in cui ci si richiede di mettere le nostre eccellenti Informazioni in una forma tale che, articolate in questi punti ¢ attri Duendogli questo peso, i nostri principt ugualmente cccellenti possano essere messi appropriatamente in riferimento a esse, in modo da pro- dure la risposta giusta!!. Cosi anche nella vita reale, o meglio nella vita civile, nelle questioni pratiche, 0 morali, possiamo conoscere i fatti e tuttavia giucicarli in modo sbagliato 0 perverso, o non valutare o realiz zare appieno qualcosa, 0 perfino non comprenderlo affatto. Molte 0 in questo stadi ‘espressioni di scusa indicano che ¢’ stato un di particolarmente ingannevole: forse anche Pirviflessi tezza, la mancanza d'immaginazione, sono meno wn difetto dinforma~ zione o di pianificazione di quanto si potrebbe supporre, e pid un difet- to nel valutare la situazione, Basta un corso di K.M. Forster per vedere Je cose in modo diverso, senza tuttavia saperne di pit o essere pid bravi, 5. Standard di inaccettabilita. B. caratteristico delle scusc essere «inaccetta~ bilin: per quasi tutte le scuse, suppongo, ci sono casi di un tipo tale o di una tale gravith che «non le accettiamo». H interessante scoprire gli standard e le regole cui ci richiamiamo nel fare cost, TI grado di control- lo che esercitiamo sull’esecuzione di un atto qualsiasi non pud mai esse- re illimitato, ¢ di solito ei si aspetta cada entvo limiti abbastanza ben de- finiti (ala cura ¢ Pattenzione dovate») nel caso di atti di un tipo genera- le, anche se fissiamo limiti molto diversi nei diversi casi. Possiamo di fenderci dichiarando che abbiamo calpestato inavvertitamente la chioc- iola, ma non un neonato ~ dovete guardare dove mettete i yostri pie- doni. Certo, se volete, ’avevamo fatto (davvero) inavvertitamente, ma quella parola costituisce una scusante che non @ consentita dai nostri standard. E se provate a usatla, vi trovate a sattoscrivere standard cost 4 Sappiamo tuto su come caleslare un’ equation quaratica,sappiseno tutto cid che ser- vesu tub, cistern, ore cidranlie: ma oteniarn a isposta 03 uomninte t/t, Now Heino se scx dae al fata forma matematia core, 187 come stavate all’inizio. D’altra par terribili che alla fine state peggio d te, fissiamo standard diversi, ¢ accettiamo scuse diverse, per atti che so- no governati da regole, come il compitare, ¢ che ci si aspetta assoluta- mente che non sbagliamo, rispetto a quelli che fissiamo e accettiamo per azioni meno stercotipe: un errore nella compitazione pud essere una pa- pera, ma difficilmente é accidentale; si pud ferire leggermente un batti- tore in modo accidentale, maé difficile che farfo sia una papers. 6. Gombinacioni, dssociazioni ¢ complicazioni. Credere agli opposti ¢ alle dicotomie incoraggia, fra le altre cose, la cecitd alle possibili combina- zioni e alle dissociazioni di avverbi, e perfino a fatti ovvi come quello che possiamo agire immediatamente d'impulso ¢ intenzionalmente, 0 che possiamo fare un’azione intenzionalmente ma con tutto cid non de- liberatamente, ¢ ancor meno di proposito. Camminiamo lungo la sco- glicra, ¢ provo un improvviso impulso a spingerti git, cosa che pronta- mente faccio: ho agito dimpulso, ma certo intendevo spingerti git, ¢ potrei anche aver escogitato un piccolo stratagemma per riuscirci, ep- pure anche se & cosi non ho agito deliberatamente, perché non mi sono fermato a chiedermi se fario o meno. Vale la pena di tenere a mente, anche, la regola generale che non dobbiamo aspettarci di trovare etichette semplici per casi complicati. Se uno sbaglio produce qualcosa di accidentale, non serve chiedersi se quello» era qualeosa di accidentale o uno sbaglio, o pretendere una de- serizione pitt breve di «quello». Quii agisce l’economia naturale del lin- ‘guaggio: se le parole gid disponibili per i casi semplici bastano, combi- nandole, a descrivere un caso complesso, ci vogliono ragioni speciali per inventare una nuova parola per il caso complesso. Inoltre, per quanto il linguaggio sia ben equipaggiato, non pud mai premunirsi in vista di tutti i casi che possono presentarsi ¢ richiedere d’essere descrit- tis i fatti sono pit ricchi delle parole. 7. Regina as. Finney, Spesso la difficolth ¢ la complessita di un caso sono considerevoli. Citerd il caso di Regina 2s. Pinney'*: Corte d”Assise di Shrewbury, 1874 12 Cox 625 ‘ero fu imputato dell’emicidio di Thomas Watkins, nie in un manicomio, Dovendo custodire un mat- U prigi Tl prigioniero era inservi 12 Un caso dolorosn favorito nel corso che ho tenuto con Hart nei primi anni dopo a gue va. Leorevi ono mie 188 to, che stava facendo il bagno, ape acqua calda nel bagno, ein questo mo- do Pastiond a morte. I fatti sembravano essere stati exposti secondo verita nella dichiaragione resa dal prigioniero al giudice istruttore, come segue: eAvevo fatto il bagno a Watkins, ¢ avevo svuotato la vasca. Intendevo repara- ren bagno puto, echiesi a Watkins di uscire fuor. In quel momento la mia attenzione fu attratta sul bagno vieino dal nuovo inserviente, che mi foee tuna domanda, e la mia attenzione si distrasse dalla vasca dove si trovava ‘Watkins, Abbassai la mano per aprire I'acqua nella vasca dove era Thomas Watkins. Now intendevo aprireaoquacald, ho sbaglato rubinzto. Non sapeco co- sa aoevo fatto fino a quando seni Thomas Watkins gridare, e non ho seperta il mio sbagli fro a guando vidi il vapore. In questo bagno non si pud avere ac- qua quando chiamano acqua nellaltro bagno, ma altre volte, quando gi al- ‘ti bagai non vengono usati, spara come un eannone ad acqua...». Gi provd che il mat aveva un posseso sulficente delle proprie capacith per eapire cosa gli era stato detto, © per uscire dalla vasea). ‘A. Young (in difesa del prigioniero). La morte ¢ stata acidewale. Non cera da parte del prigioniero quella colpeoele neligenea che giustifica Pimputazione. Uno sbagiocolpooe, o un certo grado di clpeooe negligence, causa della mor- te, non basta per sostenere tn'accusa di omicidio, a meno che la ngligensa son sia. cost enorme da essere sconideata(R. vs. Noakes.) Lush, J Per considerare una persona responsabile di ngligenza nel compimento dl propria doere'l grado di colpevolezza deve essere pari a una ngligenzaenor- nada parte sua, Se accettate le dichiarazioni dello stesso prigioniero, non vi troverete un grado di negligenza che la faccia rientrare in questa definizio- ne, Neppure i piccolo paso fal 0 uno sbaglio per attribuire a un wome tale responsabilita. Bra dovere delPinserviente non far entrare aequa calda nella vvaica mentre eera dentro il paziente. Ma stando al resoconto dello stesso prigioniezo, eg am creda di stat facendo entrare acqua calda mente il de- funto se ne rimaneva li. Il pazzo era, l'abbiamo sentita, un uomo eapace di uscire da sé e di capire cosa gli era stato detto. Gli era stato detto di uscite. Un nuovo inserviente che era artivato quel giomo, era nel bagno adiacente «distasseVattensione dl prgionire. Ora, se il prigioniero, sapendo che I’ vomo cera nella vasca, avesse aperto il rubinetto, ¢ avesse aperto Pacqua calda ine vece della fredda, avremmo dovuto dire che ’era una negligenza madorna- Te, Ma nel suo stesso resoconto risulta che aveva detto al defunto di uscive, & che pouaua che fesse wile. Se pensate che cid dimostei una trascuratezza ‘enonne, allora dovreste considerate il prigioniero colpevole i omicidio. Ma se pensaze che il fare qualcosa inavvertitamente non equivalga a colpevolez~ za ~ ciot, che sia cid che si chiama propriamente un acidente ~ allora il p gioniero non responsabile. Verdetto: Non calpevele. Vortei trarre due morali da questo caso: i) Sia Pavvocato difensore che il giudice usano con molta libert’ un gran numero di termini di scusa, usandone parecchi come se fosscro, 0 189 addirittura affermando che siano, equivalenti, mentre non Io sono, presentando come alternativi quelli che non lo sono. ii) E difficile essere sicuri di quale atto possa esscre qualificato da qua- Ic espressione di scusa stando a quanto suggeriscono P'avvocato difenso- re oil giudice. Le istruzioni conclusive del dotto giudice sono un paradigma di que- sto genere di manchevolezze"®, Finney, invece, spicca con evidenza co- me un maestro di lingua. E esplicito rispetto a ciascuno dei suai atti ¢ stati, fisici e mentali: usa avverbi diversi, ¢ quelli corretti, in connessio~ ne a ciascuno, e non fa nessun tentativo di tagliar corto. 8, Piccole ¢ anche grandi distinzioni. Non ci dovrebbe essere neppure biso- gno di dire che i termini di scusa non sono equivalenti, ¢ che & impor- tante qual & quello che usiamo: abbiamo bisogno di distinguere il fare qualcosa inavvertitamente non semplicemente da cose come gli sbagli ¢ lenti, ma anche da vicini pitt prossimi quali, per esempio, i di- le distrazioni. Immaginandoci dei casi con vivacita e pienezza dovremmo essere capaci di decidere i termini precisi per descrivere, per esempio, Pazione di Miss Primsoll nello scrivere, con tanta cur: «Dairy» sal suo bel quaderno nuovo. Dovremmo essere in grado di d stinguere fra uno sbaglio bello € buono, puro e semplice, e il fare qual- cosa inawvertitamente. Ma sfortunatamente, almeno quando alle prese col pensicro, non facciamo fiasco solo di fronte a questi pitt ardui osta- coli: trattiamo come equivalenti perfino ~ ’ho visto fare — «inavverti- famente» ¢ eautomaticamente»: come se dire che ti ho calpestato i piedi inavvertitamente significasse dire che ’ho fatto automaticamente, O crolliamo, cedendo alla tentazione, perdendo il controllo di noi stessi ~ davvero una brutta toppa"! 2 Ciononsane since poabint comune ce nt ein un mode nellliro. I gine serbrano aegusite praca nel comumicare ct che tendon, eperfing tal uptre convincant usando un linguaggi elias ce tiv non haleterament alae toignfesto, Denderandoditnguereil aso di sparace sum posto di sentinella creend che {Gatun nemico, come ronunetetatvon dl tal prendee un portafogtio wot recendo the cntenga del denaro, che un sentavon, i ghuice spega che nella sporare al pow Sehtinella'uomo non st mal af facendo quesa cons ‘t'Placone, suppongo, e dopo dial Aratotee ct ateovrono quests confasione, cttiva suo modo i sun teupi come lap renente, e gotcac,confasone fra deolerea morale ¢ {Rhoteea dll volont: Ho un debole per eat, e viene seve uno sucoto divs fete, fina per ciacuna dle persone a tavola, Sono tonto i ervnmense de fete eo faci, ce Lado coli tentasione ey oncepiblmente (ae perdnénecemarcamente?),andando contro {ine prinelph Maho pers ilcontolo i me stesso? Mangioeoa voracta? Alter i boeoot Au puto elf civoro, impermeable ala coseraasione dete caleght No, peeniente Spee So cham ale entation con elma e agar addiriture ca le 190 ‘Tutto questo non é tanto una lesione da ricavare dallo studio delle scu- se quanto propriamente il suo oggetto. 9. Liespressione esatta e il suo posto nella frase, Non & sufficiente, neppure, badare semplicemente alla parola «chiave»: ci si deve anche occupare della forma esatta dellintera espressione usata. Nel considerare gli sba gli, dobbiamo considerare uno dopo Valtro «per sbaglion, «a causa di uno sbaglion, «é stato uno sbaglio», «fare uno sbaglio in o su o riguardo aa», wessersi sbagliato riguardo a», ecc. Nel considerare i propositi, dob- biamo considerare «di», «col», «per il proposito», ecc., oltre a «avere il propositon, «senza propositox, ecc. Queste varie espressioni possono funzionare assai diversamente, ¢ di solito lo fanno ~ perché dovremmo altrimenti caricarci di pit di una di esse? Gi si deve anche prendere cura di osservare la posizione precisa di un’espressione avverbiale in una frase. La posizione dovrebbe indicare quale verbo modifica. Pitt che per questo, la posizione pud essere rile~ vante pet come modifica il senso dell’ espressione, cio® per il modo in cui modifica quel verbo. Si confrontino, per esempio: af Hlamaldestramente calpestato la chiocciola. @2 Maldestramente ha calpestato la chiocciola. 61 Ha calpestato maldestramente la chiocciola. 62. Hacalpestato la chiocciola maldestramente, Qui, in af e a2 , descriviamo il suo calpestare quella creatura tutto inte- ro come un pezzo di goflaggine, incidental, suggeriamo, al suo com- piere un'altra azione. Ma con 61 ¢ 62 calpestarla®, molto probabilmen- te cid cui mira, il suo piano, ¢ cid che critichiamo 2 l’esecuzione dell’im- presa!5, Molti avverbi, anche se certo non tutti (per esempio, non «ap- posta») sono usati tipicamente in questi due modi diversi 10, Lo stile dellesecuzione, Con aleuni avverbi la distinzione fra i due sen- si cui s'@ fatto riferimento nell’ultimo paragralo viene portato uno sta dio pid in 1A ancora. «Ha mangiato la sua minestra deliberatamenten pud significare, come «Ha deliberatamente mangiato la sua minestram, che il suo mangiare la sua minestra era un atto deliberato, uno che pen= 15 Di fato, a magpor parte di questi esempi pub estere capita nelaltro modo, speci mente concen infession| el tono dicey ego, o content pub essere i= ‘alone poctcad fy qsecon delle vegoeteintorsoswmaldestramcnien, ote Teusatbal postodiay eco, Tuavia, idue sens soe chieamenteditinguii 191 sava avrebbe forse infastidito qualeuno, come sarebbe successo normal- monte se avesse deliberatamente mangiato la mia minestra, c che ha de- tio di fare: ma spesso significa che ha eseguito Patto di mangiare Ia sua minestra in un modo 0 con uno stile degno di nota ~ facendo una pausa dopo ogni boccone, con una scelta accurata del modo di mettere il cuc- chiaio in bocca, succhiandosi i baffi, e cost via. Significa che ha mangia- to con deliberazione piuttosto che dopo aver deliberato. Lo stile dell’ese- cuzione, Ienta e senza fretta, & comprensibilmente detta «deliberata» perché ciascun movimento ha Vaspeto tipice di un atto deliberato, ma ron ai dice che il fare ciascun movimento ® un atto deliberato o che egii sta «letteralmente» deliberando. Questo &, dunque, un caso pit estre- mo di quello di emaldestramente», che in entrambi gli usi descrive let- teralmente un modo dell’esecuzionc. BE bene fare attenzione a quest’ uso secondario quando si esamina una qualsiasi espressione avverbiale: se davvero non esiste, vale la pena di indagarne la ragione, Qualche volta & molto difficile essere sicuri che sista o che non esista: esiste, si penserebbe, con «inaccuratamente>, € non esiste con «inavvertitamente», ma esiste 0 no con edistrattamente» © con «senza alcuna mira»? Tn aleuni casi una parola distinta dall’av- verbio originario, ma simile, viene usata per questo ruolo speciale, cioe per descrivere uno stile dPesccuzione: usiamo «con intenzione» in que- sto modo, na mai «intenzionalmente». 11, Cosa modifica cosa? Il giudice, in Regina vs, Finney, non chiavisee qual & Pevento che viene scusato né in che modo viene scusato «Se pensate che cid indichi una trascuratezza enorme, allora... Ma se pensate che il fare qualcosa inavvertitamente non equivalga a colpevolezza — cio’, che sia cid che si chiama propriamente un accidente — allora...». In- tende dire, apparentemente, che Finney pud aver aperto il rubineto del- Vacqua calda inavvertitamente'®: intende dire anche che il rubinetto pud essere stato aperto accidentalmente, 0 piuttosto che Watkins pu) essere 15 GiB che Finney dice diverso; dice di waver sbaglito nubinetion, Questo uso base di sasboglaves, doves ven modo che non @ neceseariamente spiegable, ana cosa sembra onal> {tn Finney’ ora dh spiegare il suo sbaglio, icendo che la sua altenzione exa stata dstrata [Miacupposiamo che lordinesiaePianco dest!» eche fo vol a sinistra: senza dubbio i aergen echaisuern che ero distratp, oche non poss distinguere la destra dalla sinstra ~ maxon ero ‘fatrate sposso distinguerle:& stato uao sbaglio puro e semplice. Come spesso accade, NE io infil enppate soteniamo che sa tate accidental, o che sia stato fatto in qualche modo inav~ Verttamente. Se Finney aveeteaperto fl rabiaeto del sequa ealda inavveritamente, alors avrchbe urate, per eseanpi, nel cerease di arivare a quello dell equa fred: eu’ alira | | | | | 192 stato ustionato ¢ ucciso accidentalmente? Ec’ stata trascuratezza nella prite il rubinetto o nel pensare che Watkins fosse uscito? Molte dispute circa quale sia la scusa appropriata da usare sorgono perché non ci sia ‘mo dati da fare per stabilie esplicitamente cosa si scusa. Farlo & vitale perché, di principio, ci® sempre aperta, in varie manie~ re, la possibilita di descrivere o riferirci a «cosa ho fatto» in tanti modi diversi, Questo ® un tema troppo vasto per affrontarlo qui in modi ela~ borati. A parte i problemi pid ovvi e pit generali dell’uso di termini de- scrittivi «tendenziosi», ci sono molti problemi specifici del caso partico- lare delle «azioni». Dovremmo dire, per esempio, che le ha preso il de- naro, 0 che I’ha derubata? Che ha urtato Ia palla che @ caduta poi in una buca, o che le ha dato un colpo sapiente, da grande giocatore? Che ha detto «Fatto» o che ha accettato un’offerta? Fino a che punto, civ’, i ‘motivi, le intenzioni e Ie convenzioni devono essere parte della deseri- zione delle azioni? E pit in particolare qui, che cos’® una (articolo inde terminativo), une (numero), la azione? Infatti, possiamo in generale suddividere cid che potrebbe essere detta un’azione (di numero) in pa- recchi modi diversi, in sequence, fasi 0 stadi, Gli stadi son gid stati men- rionati: possiamo smontare il meccanismo dell’agire, ¢ descrivere (e seusare) separatamente Ja raccolta delle informazioni, la valutazione, Ia pianificazione, Ja decisione, V'esecuzione, e via coal, Le fasi sono diver- se: possiamo dire che ha dipinto un quadro o combattuto una campa- gna, oppure possiamo dire che ha dato prima questa pennellata poi quella, che prima ha partecipato a quest'azione (bellica) ¢ poi a quella. Le sequenze sono diverse ancora: un singolo termine che descriva cosa hha fatto pud esser fatto coprire una sequenza pid piccola o una pid gran- de, gli eventi esclusi dalla descrizione pit ristretta si chiameranno allora sconseguenze>, «risultatin o effetti» del suo atto, o qualcosa di simile. Cosi qui possiamo descrivere I’atto di Finney 0 come I’aprire il rubinet- to dell’acqua calda, cosa che ha fatto per sbaglio, col risultato che Wat- kins stato ustionato, 0 come ustionare Watkins, cosa che nan ha fatto per sbaglio, B evidentissimo che i problemi delle scuse ¢ quelli delle serizioni delle azioni sono in tutto ¢ per tutto legati gli uni ag iverse de- 12, Sreuendo le nuvole dell’timologia. Sono queste le considerazioni che ci fanno arrestare forzatamente di fronte ad alcune delle parole pid difficili. della storia delle Scuse, parole quali «tisultato», «effettor, © «conse- guenza», oppure quali «intenzione», «proposito» «motivo», Citerd } 193 due punti di metodo che Pesperienza mi ha convinto essere ausilii indi- spensabili a questi livelli. ‘Uno @ che una parola non si libera mai ~ 0, meglio, quasi mai — della propria etimologia e del modo in cui s"t formata, La vecchia idea persiste, a dispetto dei mutamenti, delle estensioni ¢ delle aggiunte di significati, 0 invero semmai permeandoli ¢ governandoli. In un. acci dente qualcosa accade; per sbaglio una cosa sembra un’altra; un errore fa perdere la strada; quando agisci deliberatamente agisci dopo aver soppesato (non dopo aver escogitato i modi ¢ i mezzi). Vale la pena di chiederci se conosciamo letimologia di «risultato» 0 di «spontancamen- te», ¢ vale la pena di ricordare che «controvoglia» ¢ «involontariamen- te» vengono da radici assai diverse. ‘Un secondo punto # connesso con questo. Ritornando indietro nella storia di una parola, molto spesso fino al latino, ritorniamo di solito a immagini 0 a moddli di come le cose accadono 0 vengono fatte. Questi rmodelli possono essere abbastanza sofisticati o pith recenti, come forse sono quelli di «motivo» e di «impulso», ma uno dei tipi pitt primitivi pitt comuni di modello & quello che @ pitt adatto a confonderci proprio per la sua naturalezza e semplicit. Prendiamo un’azione molto semplice, come colpire un sasso, ustalmente come fatta e vista da noi stessi, ¢ Ja usiamo, con i tratti in essa distinguibili, come modello nei cui termini parlare delle altre azioni e degli altri cventi, ¢ continuiamo a fare cosi, senza rendercene conto, anche quando queste altre azioni sono diverse € per conto loro forse molto pit interessanti di quanto non lo siano mai stati gli atti usati originariamente per costruire il modello, e anche ‘quando il modello distorce in realta i fatti piuttosto che aiutarel a osser- varli, Nei casi originari possiamo riuscire a vedere chiaramente le diffe- renze, per esempio, fra «risultati», «effetti», € «consoguenze», scopri- re perd che queste differenze non sono pitt coal chiare, ¢ che quei termi- ni stessi non ci servono in realta pit, nei casi pit complicati, dopo averli usati con Ja massima libertk. Un modello deve essere riconosciuto per quello che &, «Causare», suppongo, fosse una nozione che un uomo traeva dalla propria esperienza di fare azioni semplici, ¢ I’ uomo primi- tivo costruiva ogni evento nei termini di questo modello: ogni evento ha tuna causa, cio’ ogni evento & un’azione fatta da qualcuno ~ se non da ‘un uomo, da un quasi tomo, da uno spirito. Quando, successivamente, i siamo accorti che ci sono eventi che non sone azioni, abbiamo conti- nuato a dire ancora che devono essere «causatin, ¢ la parola ot inganna: Jottiamo per assegnarle un significato nuovo, non antropomorfico, ma, 194 nel lavoro di analisi, dissotterriamo costantemente, e reincorposiamo, i lineamenti dell'antico modello. Come # accaduto anche a Hume, ¢ di conseguenza a Kant. Esaminando questa parola storicamente, possia- ‘mo scoprire facilmente che & stata estesa a casi che hanno una relazione ‘ormai troppo tenue con il caso modello, che @ una fonte di confusione di superstizi C’E anche un altro pericolo nelle parole che invocano modelli, mezzo dimenticati o meno, Gi si deve ricordare che non c’é alcuna necessit’. che i diversi modelli usati nel creare il nostro vocabolario, primitive 0 recente, debbano combinarsi tutti insieme bellamente come parti di un unico modello o schema totale, per esempio, per il fare azioni. Epo bile, e altamente probabile, certo, che il nostro assortimento di modelli ne includa alcuni, o molti, che si sovrappongono, sono in conflitto, 0 pitt in generale sono semplicemente disparati"”. 13. A dispetto dell’ampia ¢ acuta osservazione dei fenomneni dell incorporata nel parlare ordinario, gli scienziati moderni sono stati capa- ci, mi scmbra, di rivelarne l’inadeguatezza in numerosi punti, se non altro perché hanno avuto accesso a dati pits completi li hanno studiati ‘con un interesse pid aperto e spassionato di quanto non abbiano avuto occasione di fare l'uomo ordinario 0 perfino Pavvocato. Concluderd con duc esempi L’osservazione del comportamento animale mostra che regolarmen- te, quando un animale che s’t imbarcato in un comportamento la cut forma ? riconoscibile incontra nel fare quello che fa un ostacolo insupe- rabile, si dedica a un’ attivita di tipo selvaggio, energica, ma del tutto ir- relata, come stare ritto sulla propria testa. Quésto fenomeno viene chia- mato «comportamento dislocato» ed? ben identificabile, Se ora, alla lu- ce di questo, torniamo alla vita umana on vyediamo che il com: Portamento dislocato ne occupa wna parte cospicua: tuttavia apparente- * Questod, in loot, una specie i ammonimento generale. Sembra anche che s eeu sma in oppo prottament ie ae solo potest scoprte dyeroigafcnto i Siasoan termine bun agelomeratod termini chav i salitotermiai store, che usiame in ute caps Patticolae (come, per etempi, in cea, suston, «buono» el resto), allora dovecbbe ink feutiiimente asparice ce caste tovers i uo poate in an unico schema amos coe fstene, Noo elo none" neasuna ragione per muiereucso, masancaeate cao tate le probabil contrarie, specialments uel caso aun lingunggoterivato da cit con diverse comela nosira. Possiam ware allegramente,e con ponderazion, termini che nos von ate incontratofrontale quanto semplicementedparsi, che non slo non trovanoil posts ndatio athe non neervaroneppretina Bropiocome sieeve dlagramente osu la raza di esere erat da eal isparst ~ perché dav cover consepe un'aaignasn, 1 Vita Buonaper Wome? a is a | 195 mente non abbiamo alcuna parola, almeno nessuna parola chiara semmplice, per esso. Se, quando veniamo frustrati, stiamo a testa in git 0 muoviamo le dita dei piedi, allora non stiamo proprio esattamente a testa in gitt, lo sai no?, nel modo ordinario. Ma c’e un’ espressione avverbiale conveniente che possiamo inserire per ottenere leffetio voluto? «Dispe- ratamenter? Oppure, prendiamo il comportamento «coatto», comunque lo defini- scano esattamente gli psicologi, prendiamo per esempio il lavarsi coat- to. Ci sono indubbiamente cenni nel parlare ordinario al fatto che fac- ciamo cose in questo modo ~ «sentivo proprio di dover», «non mi sarei sentito a mio agio se non facevo», e simili: ma non c’é alcuna espressio- ne avverbiale soddisfacente, come ecoatto», che abbia «diritto di prela- zione». Questo 8 comprensibile, dato che il comportamento coatto, co- me quello dislocato, non arrivano ad avere in generale grande impor- tanza pratica. E qui vi lascio raccomandandovi questo argomento,

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