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Een penis Ontologia ‘elelelelelé ee Achille C. Varzi le perro Filosofia serie diretta da Tito Magri ‘VOLUN! PUBBLICATI Mautiaio Ferracis ~ Letmeneutica Salvatore Veca ~ La filosofia politica Eva Picard ~ Le teorie del significato Michele Di Francesco ~ La coscienza Piergiorgio Donatelli ~ La filosofia morale Diego Marconi ~ Filosofia escienza cognitiva Nicla Vassallo ~ Teoria della conoscenza Massimo Matcaffa ~ Filosofia della psicologia (Claudia Bianchi ~ Pragmatica del linguaggio Achille C. Varzi Ontologia Qktion: Laterca © 2005, Gins, Laterea & Figli Prima ediione 2005 B views la ipcoduaione, anche arsine, con qulsasi mezzo efferent, compres la forocopia, Snche ad uso interno odidatco Pera Legge icalana Ia foocopia ecta solo pe uso personae part ‘nn denne Panes. Quind ogi Tuocopia che evi Faequisto Aun libro illic e minacein Tnopravrivensa di un modo ai eamettere la conovcena, Chi froopia wo ido, chi merte isposicione i meri pe fotocopiare, chi comungue avorscequesez poste commer wn fsto © opera a dana della cules, roprier leceara riservata Gis, Later & Figli Spa, Roma-Barh nico di stampace pell'aprile 2005 Poligrafico Dehoniano - Sabilimeaco ai Bath per conto della Gius, Latess & Figlt Spa 1 20-7623-3, ISBN 88-420-7623.6 Ringraziamenti Sono molto grato a Enrico Berti, Andvea Borghini, Andrea Bottani, Elena Casetta, Diego Marconi, Luca Morena, Massi- mo Mugnai, Enzo Rossi, Giuliano Torrengo, Alberto Volto nie due lettori anonimi del Sito Web Italiano per la Filosofia (SWIF) per i loro commenti su una prima versione di questo lavoro. Tra le persone che in vario modo mi hanno incorag- giato e aiutato a mettere a fuoco i temi qui affrontati vorrei inoltre ricordare con gratitudine Massimiliano Carrara, Ro- berto Casati, Franca D’ Agostini, Michele Di Francesco, Mau- tizio Ferraris, Daniele Giaretta, Nicola Guarino, Kevin Mul- ligan, Francesco Orilia, Matteo Pericoli, Marco Santambro- gio, Peter Simons, Matthew Slater, Barry Smith, Laure View, Neil Williams e gli studenti dei miei corsi alla Columbia Uni- versity di New York, al Universita Vita-Salute San Raffaele di Millano eall'Universia di Bergamo. Ho infine un debito mol- to particolare e difficilmente esprimibile nei confronti di Sid- ney Morgenbesser, collega ¢ amico insostituibile, alla cui me- moria questo libro & dedicato. Introduzione Si& solitiidentificare Vontologia con quel ramo della filoso- fia che nasce dalla domanda: «Che cosa esiste?».E si soliti precisare che questa domanda ammette due tipi di rsposta La prima risposta ? facile, per non dire banale, e si pud riassumere in un'unica parola: «Tutto». Come ha scritto ‘Quine [1948: 3], esiste tutto in quanto non ha senso parlare di centit inesistenti, e chi la pensasse diversamente manife- sterebbe non gia un disaccordo ontologico, bensi di aver tra- visato il concetto stesso di esistenza, Naturalmente esistono ai elefanti ma non gli unicorni — si diri ~ né i quadratiro- tondi, ma cid non significa che unicorni e quadrati rotondi siano cose che non esistono. Significa semplicemente che non esistono cose del genere. Proprio in quanto sarebbe contraddittorio asserire che ‘qualeosa non existe, tuttavia,asserte che tutto existe ¢tautolo- Bico, cioe privo dicontenuto, quindi privo dinteresse.Se chie- diamo a.un amico che giomo é, non ci accontentiamo della ri- sposta: «Oggir. Se chiediamo a qualcuno dave ci troviamo, non ci accontentiamo della risposta: «Quin. Queste risposte sono tanto corrette quanto inutili Allo stesso modo, se chie- Per pati goad ved dt Pl (1992 valu , & quindi necessario accertarsi prima di tutto di avere identificat il giusto livello di analisi semantica, cio# la struttura logica sottostante. Detta diversa- mente, un conto ¢ limpegno ontologico apparente di un'ss- serzione (o il suo impegno de dicto, nella terminologia di Ju- bien [1974]), un conto il suo impegno effettivo (0 de re), ed 2 evidente che l'ontologia & interessata soltanto al secondo. Del resto la cosa & palese non appena si consideri che lingue diverse possono avvalersi di locuzioni e costruzioni sintatt che differenti per esprimere la medesima proposizione: po- trebbe esserci una lingua in cui il fatto descritto da (1) pud esprimersi soltanto mediante un enunciato sulla falsariga di (1), 0 viceversa, ¢ non vorremmo certo concludere che Fon: tologia dipende fino a questo punto dalla lingua che si parla ‘© meglio, una conclusione di questo tipo sarebbe quanto- meno controversa, sebbene non manchino coloro che la so- stengono (@il caso di queifilosofistrutturalisti e post-moder- ni che siispirano ai lavori di Sapir (1949) e Whorf [1956]. Non @ quindi l'esame del linguaggio parlato in quanto tale che potrebbe rivelarsi uno strumento utile a fini dell'indagi- ne ontologica, bensi la cosiddetta teoria logica del signfics- tol, E cid zende le cose complicate nella misura in cui anche i cultoridi questa teoria sono ben lungi dall’aver messo a pun- to.un insieme soddisfacente ed esaustivo di regole precise. Per ua selesione di testi classic in materia vedi Bonomi [1973] ¢ Bet tani ePenco (1991) 34 Ladifficolta seria perd &un’ltra,e possiamo formularla co- si: posto che non 2 guardando in fiigrana la forma grammati- cale di un enunciato che se ne possono determinare ifattori di veri, quindi limpegno ontologico, come sifa aidentificare ilgiustolivello di analisi semantica? Anche supponendo che un bbl giomo i linguist si mettano daccordo, non & detto che sia, 4queltipo di analisi che serve, altsimentil'ontologiasatebbe dav- vero cosa di poco conto, Se dubbio che la metafisica possa ti- urs alla fisica (per tornareall‘osservazione di Bert), altret- tanto dubbio che Vontologia possa ridursi alla linguistica, an corché intesa come teoria del significato profondo. I problema ese esistano delle alternative ragionevoli Per illustrate il senso di questo dubbio, consideriamo di nuovo i nostri due filosofi, Xe Y, e supponiamo che entram- bi si trovino d'accordo nel ritenere vero un certo enunciato di senso comune, Per esempio, osservando una tela di Lucio Fontana entrambi concordano nellaffermace: (2) Cun taglio in questa tela Ne segue che entrambi debbano condividere una medesima ontologia? Sicuramente no. Indipendentemente dall'analisi logica di (2) che i linguisti possono offrire, @ lecito supporre che X e ¥ potrebbero comungue avere opinioni divergenti. I primo potrebbe ritenere che lenunciato in questione ri- fuardi proprio quelle entita a cui esso fa esplicitamente rife- mento (una tela) 0 su cui quantifica esistenzialmente (un ta tlio), ment il secondo potrebbe pensarla diversamente. Per ésempio, il filosofo Y potrebbe osservare che Penunciato (2) si pud riformulare come (2) Questa tela&tagliata non c¥ bisogno di postulare Vimpalpabile esistenza di un teplio per riconoscere la verita di questasserzione. Una vol. ta riformulato in questo modo - potrebbe dire Y — ci si ac corge che l’enunciato in questione parla soltanto della tela, cioé di un oggetto concreto e palpabilissimo, e ci dice qual. 35 cosa in merito alla sua forma geometrica, al pati di un enun- ciato come 6) Questa tela @ quadeata La presunta entita immateriale a cui si appella X (il taglio) sa rebbe dunque un'allucinazione ontologica, una facon de par- ler, proprio comella differenza d’altezza tra Giovanni Maria. ‘Ora, quest'esempio @ di per sé suscettibile di vatie preci- sazioni ¢ tielaborazioni (vedi Lewis e Lewis [1970, 1996] Casati e Varzi [1994, 2004]), ma evidentemente il punto ge- nerale: ci troviamo dinnanzi a un'affermazione semplicissima € ciononostante & perfettamente ragionevole supporre che due flosofi di orientamento diverso traggano conclusioni di- verse. Entrambi concordano sul fatto che V'affermazione sia vera ma non su che cosa la renda vera. Ed proprio il nesso tra (2) e (2’) a complicare le cose. Se & corretto dite che (2) ud essere riformulato come (2'), & altrettanto cotretto dire che (2) pud essere riformulato come (2). Quale di questi due ‘enunciaticattura meglio la forma logica della veriti che si in tende affermare? Per Y @ corretto dire che c’é un taglio nella tela in quanto la tela & tagliata; per X il discorso & esattamen: te opposto: & corretto dire che la tela & tagliata in quanto '& un taglio nella tela, Se quindi si pud pensare di escludere ita ali dallinventario del mondo parafrasando (2) come (2") (ac cusando X di allucinazione ontologica) si pud altrettanto le gittimamente pensare di doverli includere parafrasando (2’) come (2) (accusando Y di miopia ontologica). Le parafrasi funzionano cosi: le si pud leggere da sinistra a destra ma an che da destra a sinistra. E:non sembra esservi un modo chia ro per decidere quale sia la ditezione giusta basandosi esclu sivamente sull'analisilinguistica 2.1.2. Significato e inferenza Si potrebbe osservare che, in effetti, la situazione non é cosi ‘dcammatica, In filosofia del linguaggio si insiste spesso sul 36 fatto che ilsignificato di un enunciato @ determinato in buo- na parte anche dalle relazioni logiche che lo legano ad altri enunciati E se le cose stanno cosi,allora la teoria logica, in- tesa appunto come teoria del'inferenza, potrebbe rivelarsi lo strumento che accanto all’analisi inguistica consente di af- frontare la questione ontologica su basi pit stabil Supponiamo, per esempio, che i nostri due filosofi Xe Y si trovino d'accordo, non soltanto sulla vert’ di (2), ma an- che su quella di enunciati pid specifici, come (4) C& um taglio diagonale in questa tla. Evidentemente, poiché ¥ @ incline a ritenere che la verita di (2) dipenda solo da come @ fatta la tela, riterra che il caso di (@) non sia diverso. E per giustificare questa tesi offrir’s uun'opportuna parafrasi di (4) in cui si fa a meno del quantifi catore esistenziale: (4°) Questa tla ®tapiata in diagonae Fin qui tutto come prima: ¥ & un eliminativista, X ® un in- troduzionista, A questo punto perd X pud provare a motiva- rela propria posizione appellandosi al nesso logico tra (4) ¢ (2): non solo questi enunciati sono entrambi veri (come stia- ‘mo supponendo); é un fatto innegabile che se (4) & vero, (2) deve essere vero. In altre parole, bisogna rendere conto del fatto che (4) implica logicamente (2). Ora, nell’ipotest in cui Ie forma logica di questi enunciatisirispecchi effettivamente nella oro forma grammaticale, come ritiene X, la spiegazio- ne di questo fatto & banale: (4) dice due cose, cio’ che c’é un taglio nella tela e che quel taglio& diagonale; (2) dice solo una cosa, cioé che c'é un taglio nella tela, E nella comune logica dei predicati 'implicazione tra enunciati di questa forma si verifca in tre semplici passi: climinazione del quantificatore csistenziae, eliminazione della congiunzione, re-introduzio- nedel quantificatore. Per contro —incalzera X —T'potesi pet cui la forma logica dei due emunciati si rispecchierebbe nelle parafrasi offerte da Y, cioé in (4°) c (2 sispettivamente, non 37 consente di rendere conto dellimplicazione: si tratterebbe di due enunciati atomici in cui compaiono due predicati distin ti, ‘tagliata in diagonale’e ‘tagliata’, e non ci sono leggi logi che che instaurano nessi implicativi tra enunciati del genere. Certamente si potrebbe stipulare che lestensione del primo predicato sia sempre inclusa in quella del secondo in virti di lun apposito postulato di significato, Ma in questo modo non sirenderebbe conto del fatto che Vinferenza da (4) a (2) (0 da (4°) 2’) &di natura logica, non semantica: non ci serve pro- prio conoscere il significato preciso delle parole in questione per riconoscere la validita dell'inferenza, tant’8 vero che il nesso logico non cambierebbe se sostituissimo I'avverbio “in diagonale’ con un qualsiasi altro avverbio. Ergo—concludera X—& mealio pensare che la forma logica si rifletta davvero in (2)e (4). Ergo, il quantificatore esistenziale in (2) ¢ (4) va pre so sul serio. Ergo, itegli esistono, non solo de dicto ma anche dere ‘Questo tipo di argomentazione é molto diffusa in lettera- tura, econ riferimento a questi di ben altra portata rispetto a quello di cui ci siamo serviti per illustrarla (vi tomeremo ‘con calma nella sezione 3.1). Per esempio, le argomentazio- nia sostegno di un'ontologia che includa, accanto agli og- {getti, anche le azioni e ali eventi che li vedono partecipi sono state tipicamente condotte proprio in questi termini, con la parte di X recitata da Davidson [1967a] ¢ dagli autori che Phanno seguito, come Taylor [1985] ¢ Parsons {1990]. Un al to esempio é costituito dal dibattto sull’ontologia delle en- tit matematiche, con i realisti nei panni di X: sebbene i nes si inferenaiali di cui si enfatizza Pimportanza possano essere di varia natura, T'idea ricorrente & che per rendere piena- mente conto della logica degli asserti matematici, ¢ quindi del loro significato, si debba postulace lesistenza di entita rnumeriche a cui tal assert si riferiscono (vedi fra tutti i bro di Burgess Rosen {1997]). In un certo senso ritroviamo questo tipo di argomentazione anche nel dibattito pitt tradi ionale concerente lo statuto ontologico degli universali, dove i panni di X sono indossati da filosofi di spirito realista come Pap [1959], Jackson (1977) 0 Loux [1978]. Infine, s0- 38 no proprio argomentazioni come quelle di X che gli avversa- +i della teoria avverbialista della percezione hanno offerto a sostegno dell’esistenza di entita percettive: l'esempio pit dlassico & Jackson £1975]. (Ora la domanda &: si tratta di una strategia convincente? Sicuramente idea per cui Panalisi semantica di un enuncia- tonon pud prescindere dall’esame delle relazionilogiche che Jo legano ad altri enunciati @ importante, Ma non @ affatto chiaro in che misura ci si possa appellare a una non meglio specificatateoria dellinferenza logica. I problema non @tan- to-onnon solo ~ che accanto alla logica classia esistono di- verse logiche «alternative; il problema & che non & nemme- no chiaro che cosa sintenda per logica classica. Pet ritonare al nostro esempio, dinnanzi al ragionamento di X il filosofo climinativista, ¥, pud rispondere nel modo avvio, rfiurando Tipotesi dei postulati di significato e insistendo invece sulla necessita di sviluppare un'opportuna logica degli avverbi che renda conto dell inferenza da (4’) a (2), per esempio in virti del fatto che gli avverbi (oalmeno gli avwerbi di modo, tra cui ‘in diagonale') sono sempre eliminabili. Certamente questo fatto sfugge alla comune logica dei predicati, ma soltanto per- chéla comune logica dei predicati non si occupa in maniera esplicita degli avverbi. Una teoria logica pid potente -manon per questo immeritevole dell'attributo dilogica classica ~ po- ttebbe prendersi cura del problema: vedi ad esempio le teorie che si ispirano ai lavori di Montague [1970] e Clark [1970]. Non mi tisulta che questa risposta sia stata effettivamente for. rulata con rferimento al nostro esempio. Ma nel caso degli venti ¢ delle entita percettive, in cui le argomentazioni in- troduzioniste ricaleano molto da vicino il ragionamento del filosofo X, la risposta 2 stata formulata in maniera esplicta vedi Horgan [1978] e Tye [1984], rispettivamente. 2113. Limpasse Non c’é bisogno a questo punto di approfondire ulterior mente discorso, Lipotesi da cui siamo partiti era che l'ana- 39 lisi linguistica possa essere d’aiuto all’ontologo nel momento in cui questi si appresta ad affrontare la domanda «Che cosa esiste?», ma anche integrando quest'ipotesi con tutta la forza derivante dal ricorso a una teoria inferenziale del significato ci ritroviamo in un vicolo cieco. Posto che la forma gramma- ticale di un enunciato possa essere ontologicamente fuor- viante — e negarlo sarebbe dawvero difficile -, non @ affatto chiaro a quali criteri rivolgersi per determinare se lo sia vera- mente, e quindi quale si il suo effettivo impegno ontologico de re. E se le cose stanno cosi, allora siamo daccapo: possia- mo trovarci daccordo su tutto (cioé sul valore di verita deli cnunciati di cui ci serviamo per patlare del mondo) e ciono- nostante dissentire sul tutto che ci sta sotto (cio® sulle entita da cui facciamo dipendere quei valori di verita). Fare ontolo- gia ¢ meno facile di quello che potrebbe sembrare, a meno di accontentarsi del truismo quineano. 2.2. Altri approcci Concludiamo dunque questa lunga escursione metafilosofica sui problemi dell’ontologia indicando brevemente alcune strategic alternative, o quantomeno alcune forme argomenta- tive che permettano di uscire dal vicolo cieco in cui 'ontolo- gia materiale corre il tischio di finire. Lo possiamo fare ti- chiamandoci a tre distinzioni che sono utili anche per mette- re un po’ di ordine nel complesso panorama filosofico che & vvenuto delineandosi negli ultimi anni, in cui non sempre le metodologie adottate da autori di orientamento diverso sono state enunciate in maniera esplicita 22.1. Rivelare e stipulare Tanto per cominciare, possiamo distinguere tra un’acce- zione «ermeneutica» ¢ un’accezione pit propriamente «sti- pulativan delle parafrasi mediante le quali si cerca di espli- citare I’impegno ontologico di un’asserzione. B una distin. zione che si pud far risalire allo stesso Quine [1960: § 33] 40 ma la cui chiarificazione si deve soprattutto a Burgess ¢ Ro- sen [1997] La prima accezione é appunto quella che ho dato impli citamente per scontata nella sezione 2.1: la parafrasi di un de- terminato enunciato ordinario mirerebbe a esibirne la forma logica - poco idiomatica, forse, ma «intrinsecamente non fuorviante», come diceva Ryle [1932] - ¢ quindi a rivelare le sue effettive condizioni di verita, Per contro, nell'accezione stipulativa il compito della parafrasi non é di rivelare benst di definite le condizioni di verit dell’enunciato,ossia di fis sare la sua forma logica e, quindi, a sua portata ontologica. ‘Ora, abbiamo visto che la concezione ermeneutica ci condu- ce in un vicolo cieco, Ma nella concezione stipulativa le cose cambiano. Lungi dal pretendere di derivare l’ontologia dal- Tanalisi del linguaggio ordinario, si tratterebbe piuttosto di dotare il linguaggio di un'ontologia esplicita. E questo @ un compito che filosofi di orientamento diverso possono legiti- mamente perseguire in maniera diversa. Detta altrimenti, nell’approccio ermeneutico il filosofo impegnato nella ricer: ca della forma logica intende chiarire il «vero significato» che si nasconderebbe dietro la forma grammaticale, significato che pud essere inaccessible a dei parlantifilosoficamente po- ca sofisticati. Nessuno di noi intenderebbe realmente dite cid che dice quando usa certe parole; cid che le nostre paro- le significano davvero 8. ~ ¢ qui segue la parafrasi. E ovvio che questo si risolveri in una lotta senza arbitri tra punti di vista opposti, Nel? approccio stipulativo Vobiettivo dell’ana- lisi&diverso: Pobiettivoé innanzitutto quello di evitare fai tendimenti Si parla come si mangia, esi fa cosi perché cosi richiesto dale pratiche della comunita linguistica a cui si af- ferisce, Ma sotto sotto quello che si dice non ha un signfica- 2 In Vari (2001, 20023] ho seguito Burgess e Rosen alla leet, rife: rendomi alle Seconda concevione come wivolsionariay,o «corretvas si ra tutava di etichette che possono reultae fuorvianti, soprattuto in v- sts di quanto dizemo nelle sezione?-22, mere «stipultiva» mi sembra pi neutral, Ancora dvetsa él erminologia di Seabé [2003], che preferise di stingers tr un'aecezione wemanties» en sccexione «pragmatics. al to preciso ~ il linguaggio ordinario @ «ontologicamente neu trale», dice van Inwagen [1990: cap. 10] ~e spetta anoi chia rire se e quando le cose che diciamo vanno prese alla lette- 1a: cid che davuero intendiamo dire &..~e qui segue la para- frasi. (Ora, @ chiaro che nella concezione stipulativa il rischio di tun‘ impasse non sussiste: il flosofo X pué proporre una certa parafrasi; Y @ libero di sceglierne un’altra. Non solo, E altret- tanto chiaro che sul piano metodologico approccio stipula- tivo & pit onesto: come gi sottolineava Marconi [19792], Vi- potesi soggiacente all’approccio ermeneutico, per la quale la nostra lingua consisterebbe a ben vedere di enunciatil cu si- gnificato reale ci & oscuro, & di per sé sospetta. Per questa strada si finisce non gia col rivelare il presunto impegno ontologico delle nostre asserzioni, ma con limporglisurretti- ite un'ontologia dall'alto. Per contro, se ragioniamo in stipulativi, la questione dell’adeguatezza o meno di tuna parafrasi in quanto tale @ relativa: nella misura in cui la parafrasi mira soltanto a rappresentare V'interpretazione che si intende adottare o nella quale ci si riconosce, poco impor- ta che essa risulti effettivamente equivalente allenunciato or- dinario di partenza; @ sufficiente che fra i due sussista un le- game semantico opportunamente robusto, tale da giustifica- re 'impiego dell’una in luogo dell’altro nel corso delle nostre ‘comuni pratiche conversazionali Purtroppo bisogna riconoscere che Ia tendenza a servirsi dell analisilinguistica nell’accezione ermeneutica é stata for- te, soprattutto per effetto del gia citaro Ryle, che nell’analisi della «forma reale» dei fatti registrati dalle espressioni lin ‘uistiche individuava addirittura «l'unica e 'ntera funzione della filosofia» (1932: 114]. Ma a partire da Quine [1960], appunto, la necessita di un mutamento di prospettiva si fat ta evidente e credo che oggi lineluttabiita della prospettiva stipulativa possa darsi per acquisita’. Naturalmente questo » Con qualche eccezone: vedi ad es. i volume colletaneo a cura di reyere Peter [2002], di per sé reco di contribu interessant ma presenta 2 ron risolve ancora il problema di fondo: resta da chiatire co- ‘me si perviene alle intuizioni ontologiche che siintendono fis- sare mediante la parafrasi. E questo ci porta alla seconda di- stinzione degna di nota. 2.2.2. Prescrivere e descrivere Questa seconda distinzione risale a Peter Strawson [1959] e in tempi recenti ha acquistato una pregnanza particolare so- prattutto dinnanzi agli svluppi della recente svolta cognitiv sta in filosofia si tratta della distinzione tra una concezione “eprescrittiva» (0 «correttivay 0 «revisionista») della metal ca, e prima ancora della questione ontologica, ¢ una sua con: cezione «descrittiva». Secondo la prima concezione, la domanda «Che cosa esi- ste?» interpreta un'jstanza fondamentalmente realista:l'onto: logia mirerebbe ciot a rivelare le categorie basilar in cui si ar ticola la realta, indipendentemente dallmmagine che ce ne facciamo e che traspare nel linguaggio ordinario, eancheaco- sto di tichiedere una revisione radicale di quest immagine. I compito del!’ontologia sarebbe cio® quello di esplicitare che cosa deve esistere affinché le nostre teorie sul mondo filoso- fiche o scientifiche —risultino vere, Esiccome ovviamente cia- scuno dinoi rtiene che le proprie teorie iano vere, vorremmo che anche gi alti le accettassera: ergo, Pattributo wprescritt- vo». (In tempirecenti,esponente pit rappresentativa dique- ‘sta concezione é di nuovo Quine; ma se ne trova traccia un po’ in tutta la storia della filosofia, dai presocratici ai razionalisti: agli empiristi e oltre.) Nella concezione descrttiva, per contro, analisi ontolo- gica si riferisce al’ ossatura del nostro pensiero sul mondo: es sa mirerebbe cioé a studiare la realta esterna esclusivamente attraverso un esame della sua rappresentazione nel nostro si- 'iceppunto, nel quadto dellipotes secondo cui lo sudo della focma logica sogpacenté al inguaggio ordinaro consenirebbe i ervlare la strutura del monde acu linguaggio si leice a stema cognitivo, a prescindere dall’effettiva adeguatezza— se di adeguatezza si pud parlare ~ di quest'ultima. Secondo Strawson,ilvalore di questa concezione risiederebbe nella sua ‘modestia, una modestia in ultima analisi di origine kantiana che siaccontenta di studiareil mondo attraverso un'analisi del nostro apparato concettuale (per Kant, ricordiamolo, Ponto- logia ¢ a metafisia si riducono alla speculazione a priori su (cio’ indipendenti dal soggetto percipiente, come ‘quadrato) e presunte qualita «secondarie» (dipendenti dal soggetto, come dolce), oppure all'opposizione tra quali «ca tegoriali» (cio8 strutturali, come oleoso) ¢ presunte qualita «edisposizionali» (come solubile), 0 ancora all’opposizione tra qualita cognitivamente salienti ¢ «convesse (come r0s50) € presunte qualiti «irregolasi» (che non corrispondono a so- mmiglianze significative tea gli oggetti che le esemplifichereb: bro): si vedano ad esempio i testi di Hacker [1987], Prior et al, [1982] e Gardenfors (2000), rispettivamente. Di proposte ce ne sono molte, e ciascuna riflette un diver- so modo di interpretare il problema rispetto allasse descrit- tivo/prescrittivo su cui si giocano le scelte metodologiche di fondo. Personalmente credo che quest'abbondanza di opzio- ni rifleta una difficolta di fondo che non fa ben sperare. Ma dovendo tirare le somme, direi che allo stato attuale la posi zione pitt interessante (¢, di fatto, maggiormente accreditata) @ quella di Armstrong [1978b], il quale ritiene che la demar- cazione tra i due tipi di predicati non possa fondarsi a priori 1a rappresenti piuttosto Pobiettivo ideale di un processo di ricerea filosofica complesso e ad ampio rageio, durante il quale il realista cerchera di affinafe i propristrumenti e di in- tegrare le proprie ipotesi nel quadro pit ampio di una teoria slobale del mondo. E un perfetto esempio di quello spirito stipulativo e sostanzialmente olista di cui abbiamo parlato nella sezione 2.2.2, che consentirebbe peraltro di affrontare in maniera uniforme non solo il punto (i) richiamato sopra 7 (non tutti predicati disponibili nel linguaggio corrispondo- no a degli universali) ma ance il punto Gi) (non tutti gli uni- versali corrispondono a predicati disponibili nel linguaggio). Ma 2 anche un punto di vista che, come ammette lo stesso Armstrong, @indicativo pid della dificolta del problema che della sua soluzione () Il nominalismo, Dinnanzi a questo stato di cose, non 8 da sorprendersi se la posizione nominalista sia tornata a ‘occupare una posizione di primo piano nel dibattito filosofi- ‘co contemporaneo. Del resto la posizione realista si scontra con altre difficolta di fondo, sulle quali i nominalisti hanno si0co facile ad affilare il proprio rasoio di Occam. Non solo infati il realista & tenuto a chiarire quali universali esistano davvero; occorre anche precisare (i) quali siano le loro con izioni di identitae (i) quale sia il nesso che lega un univer: sale alle entiti che lo esemplificano. Quanto a (i) che cosa di stingue, per esempio, la saggezza dalla stoltezza? Se la rispo- sta risiedesse semplicemente nel possesso di caratteristiche diverse (Ia saggezza & una virt, la stoltezza no), allora il pro blema sarebbe soltanto spostato: le caratteristiche sono a lo- 10 volta delle proprietie si sarebbe dato il via a un pericolo- so regresso allinfinito. Dialtra parte, come ha argomentato Quine [1975], qualsiasialirarisposta sembrerebbe destinata A risultare 0 citcolare o materialmente inadeguata, Allo stato attuale non mi rsulta che questi argomenti siano stati scredi- tati;e sebbene vi siano filosofi che non concordano con il pre- ‘supposto quineano secondo cuiil possesso di un «criterio d'i- dentitin adeguato costituisce un requisito necessario per po- ter inchudere certe entita nell'inventario dell’universo (Straw- son [1976), Jubien [1996], Carrara ¢ Giaretta [2004a]), @ un fatto che pet la stragrande maggioranza si tratta comunque di un requisito importante per valutare Paccettabilita di una qualsiasi posizione ontologica. Per quanto conceme la diff colta (i), che cosa significa dire ad esempio che Giovanni & saggio in quanto esemrplifica la proprieta di essere saggio, © che Giovanni ama il suo violino in quanto Giovanni e il suo violino esemplificano la relazione espressa dal verbo ‘ama’? 58 Lesemplificazione sembrerebbe a sua volta essere una rela zione di qualche tipo, cioé un universale, e anche a questo ri suardo c'é quindt il tischio di un regresso allinfinito. E un problema reso celebre da Bradley [1893], ma che in effetti si ritrova gid nellargomentazione del «terzo uomo» di Platone (Parmenide, 132a-133a). Certamente il realista pud risponde- re che lesemplficazione & un mero «legame non-relazions- Je» (Strawson (1959: 1371), 0 un «nesso primitive» sui gene- ris (Grossmann [1992:20]}. Ma in mancanza di ulteriorispie- gazioni & difficile resistere alla sensazione che si tratt di i- sposte elusive e un po’ ad boc. Sulla scorta di queste considerazioni, dunque, la posizio: ne realista nei confronti degli universali oggi tu’ altro che scontata e per un numero crescente di filosofi si fa strada Pal: ternativa nominalista, Anche in questo caso non si tratta di tuna teoria unica ma di una posizione di fondo che trova espressione in una varieta di teorie classficabili - semplifi- cando un po’ —in due gruppi principali. Da un lato troviamo il nominalismo radicale, eoria che affonda le sue radici nella concezione dei primi nominalisti medievali (soprattutto Ro- scellino di Compiégne) e alla quale si fa solitamente riferi- ‘mento nei libri di testo, sebbene siano pochi gli autori con- temporanei che vi si identificano esplicitamente (a parte Car- nap [1934]). Questa teoria prende alla leteraI'idea a cui si deve il termine stesso «nominalismo», secondo la quale le espressioni predicative di cui ci serviamo per descrivere gli ‘oggetti che ci circondano sono semplicemente parole che re- gistrano le convenzioni e gli schemi concettuali della comu- nit a cui apparteniamo. Asserendo un enunciato come (5), per esempio, non faremmo altro che asserire che Giovanni & ‘una di quelle cose che chiamiamo ‘sagge’,o pit precisamente: 69 Giovanni é tra quelle cose a cui st applicail predicato ‘saggio’ Analogamente per gli enunciati relazionali: asserire (7) signi- fica asserire che (7) Giovanni e il suo vioino sono tra quelle cose cui si applica il predicato relazionale ‘ama’. 59

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