Immaginate. La macchina su cui viaggiate, un vecchio fuoristrada un po' scassato,
sta procedendo lungo una strada sconnessa e polverosa. D'un tratto arrivate a un incrocio senza alcuna indicazione. Non un cartello, niente. Il GPS non funziona. Voi venite da un lungo viaggio da Addis Abeba e dovete arrivare al confine col Kenya e poi a Nairobi. Non avete però idea da che parte dovete girare. Per fortuna c'è un chiosco, a bordo strada, dove un uomo vende bibite fresche. Ne comprate una e sporgendovi dal finestrino gli chiedete "Per Nairobi a sinistra?" L'uomo sorride, annuisce, indica a sinistra e dice "Si" Voi ringraziate e ripartite. Dopo una cinquantina di chilometri vi accorgete di aver sbagliato strada, e che avreste dovuto girare a destra. Maledite l'uomo del chiosco e guardando il GPS cercate di capire come recuperare la situazione. Che cosa è successo? È successo che in molte culture, fra cui diverse in Africa, ad una domanda posta come quella che avete fatto voi, che richiede solo una conferma, è ritenuto scortese rispondere negativamente, smentendo così l'interlocutore. Quindi chiunque vi risponderà sempre di sì per non mancarvi di rispetto. Questa abitudine è diffusa, ad esempio, anche in Cina, e per questo molti dirigenti occidentali si trovano in difficoltà quando chiedono ai loro dipendenti se hanno fatto un determinato lavoro, o se trovano giusta l'idea che hanno appena avuto. Un'altra scena. Siete un europeo, magari di un paese del nord, e vi hanno invitato a parlare ad un convegno negli Stati Uniti. Vi apprestate a salire sul palco. Il presentatore prende il microfono e vi annuncia. Rimanete sorpresi, e un po' spiazzati quando lo sentite dire che siete un grandissimo esperto, uno dei più grandi specialisti del settore, una mente geniale. Adesso sì che siete nervosi, con tutte queste aspettative. Ribaltiamo la situazione: siete americani, siete a una conferenza in Europa. Il presentatore vi annuncia. Dice chi siete, qual è il vostro percorso accademico, le vostre pubblicazioni e poi vi lascia il microfono. Come, non siete un genio? Il più grande esperto di tutti? Siete delusi. Niente di grave. È semplicemente accaduto che, mentre negli Stati Uniti è normale esagerare, descrivendo cose e persone con superlativi, o come i migliori, "the best”, di tutti, in Europa, soprattutto al nord, è comune, essere molto più moderati.
Potremmo descrivere altre mille situazioni simili: provate a ricordare a un
mussulmano che “Allora ci vediamo domani alle 9:00”. Probabilmente vi risponderà "Inshallah" (se Dio vuole). E voi penserete: “No, abbiamo fissato ora e luogo. Devi esserci!” Come vedete, dunque, le possibili faglie su cui si possono generare dei terremoti culturali sono pressoché infinite. Ma come si fa, allora, ad evitare questi incidenti. Ci sono alcune competenze fondamentali che tutti possiamo sviluppare: 1. Saper osservare: l’osservazione deve essere un’attività intenzionale tramite cui ci distacchiamo sia dai nostri valori che dalla situazione stessa, per contemplarla in modo oggettivo. 2. Saper relativizzare: dobbiamo capire ogni comportamento cosa mette in gioco e come esso è percepito nel sistema di valori dell’altro. 3. Saper ascoltare: ovvero ascoltare attivamente, cercando di capire perchè comportamenti per noi irragionevoli sono per l’altro assolutamente normali. 4. Saper comunicare emotivamente: riconoscere le emozioni proprie e dell’altro, e saperle comunicare ed ascoltare è fondamentale. 5. Saper negoziare i significati: forse l’abilità principale. una volta messe in pratica tutte le precedenti, è necessario saper costruire, assieme all’altro un sistema comune di valori e significati condivisi. La grande opportunità che, quindi, ci offre la comunicazione interculturale è quella di conoscere gli altri e, attraverso di loro, scoprire anche noi stessi.