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Revista Portuguesa de Filosofia

La Teleologia dello Sviluppo Umano in KantAuthor(s): FEDERICA TRENTANI


Source: Revista Portuguesa de Filosofia , T. 75, Fasc. 1, Ética e Política Contemporânea:
Ressonâncias Kantianas / Contemporary Ethics and Politics: Kant Resonances (2019), pp.
231-246
Published by: Revista Portuguesa de Filosofia

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Revista Portuguesa de Filosofia, 2019, Vol. 75 (1): 231-246.
© 2019 by Revista Portuguesa de Filosofia. All rights reserved.
DOI  https://doi.org/10.17990/RPF/2019_75_1_0231

La Teleologia dello Sviluppo Umano in Kant


FEDERICA TRENTANI *

Abstract
Kant outlines the distinctive feature of ethics through two ends which are at the same time
duties: the perfecting of the self and the happiness of others. How should we interpret this
thesis within Kant’s moral theory as a whole? In the Tugendlehre we find an overlap of a
deontological moral theory (based on formalism) and a teleological moral theory, which
provides a content to the prescriptions of ethics. My interpretation arises from the semantic
complexity of the concept of humanity, here conceived as a dynamic notion that implies the
idea of a progressive development of the human sphere; on this basis, I will try to suggest
an interpretation which points out the elements of continuity between the Tugendlehre
and previous Kantian works. The core of the question analysed in this paper concerns the
following idea: the ends of the actions done out of duty arise from a reflection on how to
realize the principle of morality: therefore, these ends are not exactly given a priori, they are
rather determined by the activity of practical Judgment, which identifies the aspects of the
context of action that are relevant for the realization of the moral law.
Keywords: ethics, Kant, human development, humanity, teleology.

1. I fini dell’etica nella Tugendlehre

I
n questo paragrafo introduttivo verrà analizzata la tesi in cui Kant
delinea la specificità dell’etica attraverso due fini che sono allo stesso
tempo doveri: il perfezionamento di sé e la felicità altrui.1 Come inqua-

* Università degli Studi di Padova (Italy).


 federicatrentani@gmail.com
1. Per un’introduzione complessiva alla Metafisica dei costumi cfr. Kant’s Metaphysics
of Morals: Interpretative Essays, ed. Mark Timmons (Oxford: Oxford University Press,
2002); Kant’s Metaphysics of Morals: A Critical Guide, ed. Lara Denis (Cambridge:
Cambridge University Press, 2010); Alice Ponchio, Etica e diritto in Kant: un’inter-
pretazione comprensiva della morale kantiana (Pisa: ETS, 2011). Sulla Dottrina della
virtù cfr. Kant’s Tugendlehre: A Comprehensive Commentary, ed. Oliver Sensen, Jens
Timmermann, and Andreas Trampota (Berlin, New York: de Gruyter, 2011). Sulla
storia dell’idea di ‘metafisica dei costumi’ in Kant cfr. Claudio Cesa, “Una metafisica
della morale?,”, in Kant e la morale: a duecento anni da La metafisica dei costumi, ed.
Silvestro Marcucci (Pisa: Istituti Editoriali Poligrafici Internazionali, 1999), 17-40. Cfr.
anche Stefano Bacin, “Sulla genesi della Metafisica dei costumi di Kant,” Studi sette-
centeschi 25-26 (2005-2006): 253-279.

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drare questa tesi rispetto alla teoria morale kantiana nel suo insieme? La
domanda si pone per almeno due ragioni: la prima è che nell’opera del
1797 siamo di fronte alla sovrapposizione tra una morale deontologica
radicata nel formalismo e una morale teleologica che fornisce invece un
contenuto alle prescrizioni dell’etica;2 la seconda ragione è che la sintesi
tra i concetti di dovere e di fine sembra porre un problema di continuità
tra la Dottrina della virtù e le Grundlegungsschriften, caratterizzate da una
netta separazione tra il piano meramente formale dell’imperativo cate-
gorico e quello dei fini soggettivi contenuti nelle massime. La questione che
intendo esaminare non mette in discussione il nesso strutturale tra morale
e teleologia in Kant,3 ma riguarda piuttosto il ‘ridurre’ la prospettiva tele-
ologica kantiana ai due fini proposti nella Tugendlehre.
Per argomentare in favore della continuità tra quest’ultima e le altre
opere di Kant, alcuni interpreti fanno riferimento alla formulazione
dell’imperativo categorico legata al concetto di umanità come fine in sé:4
non ritengo di poter condividere questa lettura e, per superare questa
impasse, proverò a ridefinire il significato del concetto di umanità, in modo
da collegarlo a una prospettiva teleologica che sia più ampia di quella
presentata nella Dottrina della virtù e che connetta il contenuto dell’etica
alla questione della Bestimmung des Menschen. Il nesso tra umanità e
finalità non verrà quindi negato, ma semplicemente ampliato. Il punto da
cui muove la mia interpretazione concerne infatti la ricchezza semantica
del concetto di umanità, il quale sarà inteso come una nozione dinamica
che implica l’idea di uno sviluppo progressivo della sfera dell’umano, una
sfera che è caratterizzata non solo dalla razionalità, ma anche dalla Kultur

2. Tra coloro che sostengono che la Tugendlehre presenti un’etica teleologica cfr. Gary
Banham, Kant’s Practical Philosophy: From Critique to Doctrine (London, New York:
Palgrave Macmillan, 2003), 182. Auxter fa notare che nella Tugendlehre la formulazio-
ne delle massime è guidata da un modello di ragionamento teleologico: cfr. Thomas
Auxter, Kant’s Moral Teleology (Macon: Mercer University Press, 1982), 2-3. Anche
Wood sottolinea che il ragionamento morale basato sul concetto di dovere di virtù è
volto al perseguimento di fini: cfr. Allen Wood, Kantian Ethics (New York: Cambridge
University Press, 2008), 261-262.
3. Per un’analisi del nesso strutturale tra morale e teleologia in Kant cfr. Gerardo Cunico,
Il millennio del filosofo: chiliasmo e teleologia morale in Kant (Pisa: ETS, 2001), 185-214.
4. Sala e Schmucker, ad esempio, intendono mostrare che i due fini dell’etica possono
essere derivati dalla seconda formulazione dell’imperativo categorico: cfr. Giovanni
Sala, “Der Formalismus in der Ethik Kants. Überlegungen zu einer alten Kontroverse,”
Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie 52 (2005): 213-214; cfr. anche Josef
Schmucker, “Der Formalismus und die materialen Zweckprinzipien in der Ethik
Kants,” in Kant und die Scholastik heute. Pullacher philosophische Forschungen 1, ed.
Johannes Lotz (Pullach: Berchmanskolleg, 1955), 191-197.

Vol. 75
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e dalla socievolezza; sarà così possibile individuare un percorso interpre-


tativo che faccia emergere gli elementi di continuità tra la Tugendlehre e le
precedenti opere kantiane.
Per introdurre il tema dei fini dell’etica, è opportuno ricordare il
significato complessivo della Metafisica dei costumi, tenendo presente che
le opere kantiane degli anni ’90 mettono a fuoco due tematiche parallele
che nelle Grundlegungsschriften sono quasi assenti: la realizzazione della
morale nella sfera mondana e gli aspetti concreti dell’esperienza morale.5
Sulla base del nuovo orientamento delle proprie riflessioni Kant intende
dare un contenuto alle prescrizioni dell’etica: nella Metafisica dei costumi
viene infatti proposto un tentativo di conciliazione tra il piano della deter-
minazione formale dei principi e la concretezza dell’agire morale, la quale
implica il riferimento a fini da perseguire.6 L’applicazione dei principi puri
della morale all’esperienza umana (ovvero il tema portante dell’opera del
1797) pone Kant di fronte ad alcuni problemi che nei testi precedenti non
erano stati analizzati a fondo; se la continuità della teoria morale kantiana
sembra dunque venir messa a dura prova nella Tugendlehre, questo fatto
deve essere ricondotto alla nuova prospettiva che emerge negli ultimi
scritti di Kant sulla morale, sul diritto e sulla storia.
Nella Dottrina della virtù Kant presenta la sfera dell’etica sottoli-
neando che si tratta di una dimensione teleologica che va oltre il forma-
lismo della Rechtslehre: è proprio questo il nuovo elemento teorico che fa

5. Riguardo a questo punto di vista interpretativo che vede nella Metafisica dei costumi
un interesse per la realizzazione della morale nel mondo umano cfr. Luca Fonnesu,
“Kants praktische Philosophie und die Verwirklichung der Moral,” in Recht-Geschichte-
Religion. Die Bedeutung Kants für die Gegenwart, ed. Herta Nagl-Docekal and Rudolf
Langthaler (Berlin: Akademie Verlag, 2004), 53-59. Cfr. anche Luca Fonnesu, Per una
moralità concreta. Studi sulla filosofia classica tedesca (Bologna: il Mulino, 2010), 51-
56. Cfr. anche Wood, Kantian Ethics, 266-267.
6. Tafani ritiene che in relazione al tema del fine della volontà buona la teoria kantiana
vada incontro a un riassestamento che ne modifica la struttura complessiva: cfr.
Daniela Tafani, “Il fine della volontà buona in Kant,” in Etica e mondo in Kant, ed. Luca
Fonnesu (Bologna: il Mulino, 2008), 145-159. Secondo Tafani l’etica proposta nella
Metafisica dei costumi è incompatibile con l’impostazione delle Grundlegungsschriften,
motivo per cui la Tugendlehre sembra costituire una prova del fallimento della morale
critica: cfr. Daniela Tafani, Virtù e felicità in Kant (Firenze: Leo S. Olschki, 2006),
53-73. Anche Ludwig ritiene che la Dottrina della virtù vada oltre i limiti della teoria
morale proposta nella Critica della ragion pratica: cfr. Ralf Ludwig, Kategorischer
Imperativ und Metaphysik der Sitten. Die Frage nach der Einheitlichkeit von Kants Ethik
(Frankfurt a.M.: Lang, 1992), 299. Il fatto che la Tugendlehre presenti alcuni aspetti di
discontinuità rispetto agli scritti di fondazione è stato notato negli anni ’20 da Georg
Anderson, “Die Materie in Kants Tugendlehre und der Formalismus der kritischen
Ethik,” Kant-Studien 26 (1921).

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da spartiacque tra la dimensione pura della morale e la sua applicazione


al mondo umano. Quanto sostenuto nella Dottrina del diritto riguardo ai
doveri giuridici, ossia riguardo a quei doveri che non implicano alcun rife-
rimento alla materia della volontà, sembra non essere sufficiente a rendere
conto della complessità della sfera etica.7
La specificità dell’etica viene così individuata nel riferimento a
fini, ovvero in una dimensione che era stata espulsa dalla filosofia pura
pratica in quanto eteronoma e limitata all’ambito della razionalità tecni-
co-pratica. Nella Metafisica dei costumi il riferimento a fini morali viene
invece presentato come quell’aspetto che permette alla ragione pura di
essere una facoltà pratica: Kant evidenzia infatti il vero e proprio bisogno
della ragione pura di indicare alla volontà un fine. Nonostante la capacità
di porsi fini sia radicata nella stessa facoltà razionale da cui scaturisce
l’imperativo categorico, la sintesi tra i concetti di dovere e di fine sembra
però costituire il problema teorico più controverso della Dottrina della
virtù.
Attraverso il principio della dottrina della virtù Kant vorrebbe
ampliare il campo applicativo della legge morale, considerando non
soltanto la forma delle massime, ma anche la determinazione del loro
contenuto (cosa impensabile all’interno della teoria presentata nelle
Grundlegungsschriften). Per determinare la materia delle massime, Kant
ricorre dunque al principio della dottrina della virtù che prescrive di agire
«secondo una massima di fini, avere la quale può essere per ciascuno una
legge universale»;8 tuttavia, va notato che in questo modo non viene fornita
alcuna indicazione riguardo a quali siano i fini da perseguire: anche il
principio della dottrina della virtù è infatti un criterio meramente formale.
Il nucleo problematico che vorrei inquadrare in questo contributo
concerne il fatto che i fini delle azioni compiute per dovere emergono da
una riflessione sul come realizzare il principio della moralità: questi fini
non sono quindi dati a priori, ma vengono invece determinati dall’attività
del Giudizio pratico, il quale individua gli aspetti del contesto d’azione
che sono rilevanti per la realizzazione della legge morale. Il problema
del contenuto dei doveri etici deve infatti essere analizzato seguendo

7. Su questa tematica cfr. Jeffrey Edwards, “Universal lawgiving and material determin-
ing grounds in Kant’s moral doctrine of ends,” in Metaphysik und Kritik. Festschrift für
Manfred Baum zum 65. Geburtstag, ed. Sabine Doyé, Marion Heinz and Udo Rameil
(Berlin, New York: de Gruyter, 2004), 217.
8. Immanuel Kant, Metafisica dei costumi, trans. Giuseppe Landolfi Petrone (Milano:
Bompiani, 2006), 395.

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un doppio binario d’indagine: in primo luogo, quello della ragione pura


pratica, la quale individua un fine dato a priori (uno solo); in secondo
luogo, quello della praktische Urteilskraft che ‘traduce’ questo fine generale
in doveri specifici, giungendo così alla formulazione di massime relative a
un preciso contesto d’azione.9
Qui emerge effettivamente un problema di continuità tra la
Tugendlehre e le Grundlegungsschriften, il che significa che il formalismo
della morale critica appare in tensione rispetto all’individuazione dei due
contenuti della volontà buona, ovvero la perfezione propria e la felicità
altrui. Per superare questa impasse e per riconnettermi alla prospettiva
teleologica che caratterizza la filosofia pratica kantiana nel suo insieme,
proverò a leggere il tema del contenuto dell’etica alla luce di quel fine in sé
che è rappresentato dal concetto di umanità.

2. La realizzazione del concetto di umanità come fine in sé

L’antropologia kantiana individua nel concetto di umanità una dispo-


sizione originaria a cui ci si può riferire nei termini di natura razionale,
mettendo così in luce che questa nozione concerne sia le abilità delibe-
rative per la scelta dei fini, sia la capacità di organizzare i fini attualmente
scelti in un progetto di vita complesso e articolato. Nel presentare come
fine in sé l’umanità piuttosto che la personalità, Kant intende enfatizzare
come questo fine sia costituito dalla natura razionale considerata in tutte le
sue funzioni, senza limitarsi a valorizzare soltanto la sfera della moralità;
tuttavia, queste osservazioni non sono però sufficienti per rendere conto
dell’intero ambito semantico di questo concetto.

9. Orientarsi nel contesto d’azione significa farne emergere gli aspetti moralmente rile-
vanti e organizzarli in una rappresentazione che colga il loro senso complessivo; in al-
tre parole, qui bisogna saper scegliere la descrizione più perspicua rispetto a molte al-
tre descrizioni possibili. L’individuazione della prospettiva più adeguata per descrivere
l’azione e il suo contesto avviene attraverso un giudizio riflettente, il che significa che
la riflessione sugli aspetti moralmente rilevanti costituisce il momento del processo
deliberativo nel quale il Giudizio pratico si intreccia a quello strettamente teoretico-co-
gnitivo. È dunque la capacità di giudizio riflettente a costruire la relazione di senso tra
le circostanze dell’agire e la legge morale. La reflektierende Urteilskraft elabora infatti
le informazioni contestuali che vengono poi sottoposte ai giudizi determinanti della
ragione pura pratica. Così inteso, il giudicare moralmente va pertanto considerato
come la sinergia di due momenti: in primo luogo, un giudizio riflettente che permette
al soggetto di rappresentarsi il contesto d’azione secondo un’analogia con la legge mo-
rale; in secondo luogo, un giudizio determinante che sottopone il contenuto di questa
rappresentazione all’imperativo categorico.

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Nella Metafisica dei costumi il concetto di umanità non solo pone un


limite all’insieme delle azioni moralmente lecite, ma costituisce anche un
fine da promuovere attivamente.10 La formulazione dell’imperativo cate-
gorico relativa al concetto di umanità vieta di perseguire tutti i fini che
implichino il trattare se stessi o gli altri soltanto come mezzi per il conse-
guimento dei propri obiettivi;11 sulla base di questa osservazione non viene
però individuato un preciso tipo di comportamenti in grado di realizzare
questo dovere:12 la questione da analizzare riguarda dunque la possibilità
di derivare i due fini dell’etica (il perfezionamento di sé e la felicità altrui)
dalla seconda formulazione della legge morale.
In relazione a questo problema è opportuno ripensare il concetto
kantiano di umanità, sottolineandone un aspetto che non viene affatto
valorizzato se ci si limita a intendere il termine ‘umanità’ come un semplice
sinonimo di ‘natura razionale’: ridefinendone il significato, si potrebbe
infatti connettere questo concetto a una prospettiva teleologica che è più
ampia di quella presentata nella Dottrina della virtù e che va posta in rela-
zione con le riflessioni di Kant sulla morale nel loro insieme, così come
con la questione della Bestimmung des Menschen.13
Il concetto di umanità può essere inteso come la combinazione di due
dimensioni che si completano reciprocamente: natura razionale e Kultur.
La relazione che intercorre tra l’umanità e la cultura viene evidenziata da
Kant in diversi luoghi testuali, sia nella terza Critica che nella Metafisica
dei costumi.14 Questo modo di delineare il concetto di umanità ruota

10. «L’uomo è un fine sia per sé che per gli altri, e non basta che egli non sia autorizzato
a usare se stesso o gli altri soltanto come mezzo […], ma è di per sé dovere dell’uomo
porsi come fine l’uomo in generale» Kant, Metafisica dei costumi, 395.
11. Riguardo al dibattito recente sul principio dell’umanità cfr. Lara Denis, “Kant’s
Formula of the End in Itself. Some Recent Debates,” Philosophy Compass 2 (2007):
244-257.
12. Per questa osservazione cfr. Paul Guyer, Kant’s System of Nature and Freedom (Oxford:
Clarendon Press, 2005), 177-178.
13. Sul concetto di Bestimmung des Menschen in Kant cfr. Reinhard Brandt, Die
Bestimmung des Menschen bei Kant (Hamburg: Meiner, 2007), 108-125. Cfr. anche
Norbert Hinske, “Il dialogo silenzioso. Principi di antropologia e di filosofia della sto-
ria in Mendelssohn e Kant,” Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di
Lettere 19 (1989): 1308-1315. Sulla storia dell’idea di Bestimmung des Menschen cfr.
Luca Fonnesu, Antropologia e idealismo. La destinazione dell’uomo nell’etica di Fichte
(Roma, Bari: Laterza, 1993), 25-56. Cfr. anche Die Bestimmung des Menschen, ed.
Norbert Hinske (Hamburg: Meiner, 1999).
14. «Al fine dell’umanità nella nostra propria persona è connessa anche la volontà
razionale, quindi il dovere, di rendersi meritevoli dell’umanità mediante la cultura in
generale e di procurarsi o di promuovere la facoltà di attuare tutti i fini possibili» Kant,

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La Teleologia dello Sviluppo Umano in Kant 237

intorno all’idea di un ‘potenziale teleologico’ da realizzare. Il concetto di


umanità si riferisce quindi non soltanto alla capacità razionale di porsi
fini e di selezionare i mezzi idonei al loro perseguimento, ma anche alla
realizzazione di tutto ciò che caratterizza la sfera specificamente umana
(compresa la Geselligkeit, ovvero la socievolezza).15 Dalla molteplicità di
piani che caratterizzano il concetto di umanità emerge dunque il nesso
che connette l’etica teleologica della Tugendlehre al tema della Bestimmung
des Menschen, la quale consiste appunto nella realizzazione progressiva
della propria umanità.16
A partire da questa considerazione è possibile ripensare la ‘riduzione’
dei fini della ragione pura pratica ai due fini menzionati nella Dottrina
della virtù: il concetto di umanità colloca infatti il soggetto razionale entro
un processo di sviluppo che non si esaurisce nei due fini dell’etica, pur
comprendendoli in sé; va notato inoltre che questo concetto mette in gioco
una molteplicità di doveri che promuovono indirettamente la realizza-
zione dell’umanità come fine in sé.17 In altre parole, i fini della Tugendlehre
potrebbero essere intesi come doveri indiretti volti a promuovere l’unico
fine della volontà buona che risulti compatibile con la struttura teorica
delle Grundlegungsschriften, ovvero il fine della realizzazione empirica del
concetto di umanità.18

Metafisica dei costumi, 392. «La produzione dell’attitudine di un essere razionale per
fini qualsiasi in generale (quindi nella sua libertà) è la cultura. Dunque, solo la cultura
può essere il fine ultimo che si ha motivo di attribuire alla natura riguardo al genere
umano» Immanuel Kant, Critica della capacità di giudizio, trans. Leonardo Amoroso
(Milano: Rizzoli, 1995), 745.
15. Nel § 41 della terza Critica Kant considera l’impulso a entrare in società con altri esseri
umani «come naturale per l’uomo, […] e la socialità come una proprietà relativa ai bi-
sogni dell’uomo in quanto creatura destinata alla società, dunque come una proprietà
relativa all’umanità» (Kant, Critica della capacità di giudizio, 296-297).
16. Cunico sottolinea che il concetto di umanità è dinamico e implica pertanto la prospet-
tiva di sviluppo legata al tema della Bestimmung des Menschen: cfr. Cunico, Il millennio
del filosofo, 196-197. «Vi sono molti semi nell’umanità e spetta a noi sviluppare pro-
porzionalmente le disposizioni naturali, dispiegare l’umanità dai suoi semi e fare in
modo che l’uomo raggiunga la sua destinazione» Immanuel Kant, La pedagogia, trans.
Luciana Bellatalla and Giovanni Genovesi (Roma: Anicia, 2009), 109-111.
17. Un dovere indiretto non prescrive l’adozione di fini morali, ma soltanto dei mezzi volti
a promuovere questi fini; il valore di un dovere indiretto deve inoltre essere fondato nel
valore di un dovere vero e proprio. Per un’illustrazione del concetto di dovere indiretto
cfr. Jens Timmermann, “Kant su coscienza, dovere indiretto ed errore morale,” in Etica
e mondo in Kant, ed. Luca Fonnesu (Bologna: il Mulino, 2008), 171-180. Cfr. anche
Jens Timmermann, Kant’s Groundwork of the Metaphysics of Morals: A Commentary
(Cambridge, New York: Cambridge University Press, 2007), 161-162.
18. «[La dottrina della virtù] non deve essere presentata solo come dottrina del dovere in

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Seguendo questa ipotesi interpretativa, si può argomentare in favore


della possibilità di fondare i doveri teleologici della Tugendlehre su una base
non-consequenzialistica,19 ossia l’umanità come fine in sé;20 la continuità
all’interno della teoria di Kant verrebbe assicurata proprio dal modo in cui
i doveri etici prendono forma a partire da questo fondamento non-conse-
quenzialistico. Nella Dottrina della virtù l’etica kantiana richiede di attuare
stati di cose che contribuiscano alla realizzazione dei fini della ragione
pura pratica, affermando però al contempo il carattere non-consequen-
zialistico di questa indicazione normativa: l’agire in vista dell’attuazione
di uno stato di cose non preclude infatti la possibilità di seguire un ragio-
namento morale basato sul concetto di umanità come fine in sé, ovvero
una riflessione che è certo teleologica, ma che non coincide affatto con
una posizione di tipo consequenzialistico.21 Va notato inoltre che questo
ragionamento morale volto a realizzare fini viene integrato e limitato dalla

generale, ma anche come dottrina del fine, cosicché l’uomo è obbligato a pensare come
proprio fine sia se stesso che ogni altro uomo» (Kant, Metafisica dei costumi, 437).
19. È opportuno ricordare che una teoria teleologica circoscrive la sfera del dovere valu-
tando le azioni sulla base del fine che esse contribuiscono a realizzare. Tuttavia, una te-
oria teleologica non è sempre sovrapponibile al consequenzialismo, il che significa che
la struttura teleologica di una teoria non dà luogo necessariamente a un ragionamento
morale che si riduce alla considerazione delle conseguenze: il giudizio sull’obbliga-
torietà dell’azione può dunque dipendere anche da aspetti che si differenziano dalle
conseguenze realizzate nell’immediato, rendendo così più complessa la prospettiva
della valutazione.
20. Questo punto di vista interpretativo viene suggerito da John Atwell, “Objective ends in
Kant’s ethics,” Archiv für Geschichte der Philosophie 56 (1974): 157.
21. Cummiskey ritiene invece che il principio dell’umanità dia luogo a una teoria norma-
tiva consequenzialistica; secondo Cummiskey una teoria normativa ha una struttu-
ra consequenzialistica se il suo principio di base prescrive di promuovere certi fini,
senza fare riferimento ad alcuna limitazione incentrata sulla prospettiva dell’agente e
senza dare la priorità ai doveri negativi rispetto a quelli positivi. L’interpretazione di
Cummiskey va però criticata proprio perché questa definizione del consequenzialismo
non può affatto essere applicata alla teoria di Kant: infatti, la filosofia pratica kantiana
non rinuncia a tenere conto dell’integrità morale dei singoli soggetti; bisogna inol-
tre tenere presente che resta indiscussa la priorità dei doveri perfetti (in particolare
quelli del diritto) sui doveri imperfetti volti a promuovere i fini dell’etica. Cfr. David
Cummiskey, “Kantian Consequentialism,” Ethics 100 (1990): 589. Cfr. anche David
Cummiskey, Kantian Consequentialism (Oxford, New York: Oxford University Press,
1996). Una lettura consequenzialistica della morale kantiana è stata proposta anche
da Richard Mervyn Hare, “Could Kant Have Been a Utilitarian,” Utilitas 5 (1993): 1-16.
Cfr. anche Richard Mervyn Hare, Scegliere un’etica (Bologna: il Mulino, 2006), 191-
211. Per una critica a queste interpretazioni cfr. Jens Timmermann, “Why Kant Could
not Have Been a Utilitarian,” Utilitas 17 (2005): 243-264. Cfr. anche Timmermann,
Kant’s Groundwork of the Metaphysics of Morals, 161-162.

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sfera del diritto e dai doveri etici di obbligazione stretta; in proposito è


utile precisare che, nella prospettiva kantiana, la considerazione delle
conseguenze dell’agire orienta soltanto la prassi, ovvero la prospettiva
della realizzazione concreta dei doveri dell’etica, senza influire sulla deter-
minazione del Wille in quanto ragione pura pratica. Per mettere a fuoco
questo punto, si è cercato di individuare un concetto in grado di riavvi-
cinare la dimensione teleologica dell’etica alla struttura deontologica della
morale kantiana: il concetto di umanità e i doveri indiretti che ne rendono
possibile la realizzazione empirica sembrano costituire una buona chiave
di lettura per connettere l’opera del 1797 e le Grundlegungsschriften.
Un ulteriore elemento da considerare risiede nel fatto che i fini della
Tugendlehre costituiscono due classi molto generali di comportamenti,
nelle quali potrebbero rientrare tutti quei doveri ‘contestuali’ che restano
in secondo piano finché non ci si pone il problema di applicare le prescri-
zioni generali della ragione pura pratica a un determinato contesto; a
questo riguardo va notato che il problema dell’individuazione di doveri
contestuali chiama in causa non solo la ragione pura pratica, ma anche
gli imperativi tecnico-pratici della ragione empirica pratica,22 la quale
contribuisce alla formulazione di massime inerenti al contesto d’azione.
La formulazione delle massime è orientata innanzitutto dalle indica-
zioni a priori della ragione pura pratica, ma viene poi resa ‘operativa’ in
un contesto specifico: l’esperienza morale del soggetto umano è infatti
sempre contestuale e viene perciò determinata non solo dalle norme della
ragione pura pratica, ma anche dagli elementi contestuali che forniscono
alle massime un contenuto concreto.
Il problema del contenuto delle norme etiche va dunque analizzato
tenendo conto di due prospettive: in primo luogo, quella della dimensione
morale che prescrive il fine della realizzazione empirica del concetto di
umanità; in secondo luogo, quella della dimensione tecnico-pratica che
individua i doveri indiretti in grado di attuare il fine dell’etica nei più
diversi contesti d’azione. Questa osservazione permette di sottolineare
che la prassi concreta della virtù è dinamica e multiforme, il che significa
che la sfera applicativa dell’etica deve confrontarsi con la complessità del

22. Nella Prima introduzione alla Critica del Giudizio i principi tecnico-pratici vengono
considerati da Kant come corollari della filosofia teoretica, ovvero come un’appendice
pratica della filosofia della natura. Va notato che i principi della prudenza sono una
specificazione dei principi tecnico-pratici che regolano la relazione tra fini e mezzi in
generale. Sul concetto di ragione empirica pratica cfr. Fonnesu, Per una moralità con-
creta, 17-38.

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contesto storico-culturale in cui accade: la realizzazione del fine dell’etica


(qui definito come una sorta di sviluppo umano) segue infatti il percorso
tracciato dalla ragione all’interno di una cultura e di una storia.23 Questo
percorso – complesso e a volte tortuoso – non dà luogo a un insieme di
doveri specifici dati una volta per tutte, ma richiede invece un continuo
lavoro di ‘traduzione’ dalla ragione pura pratica verso il contesto, ovvero
un lavoro interpretativo che è affidato alla praktische Urteilskraft.
Il contenuto dell’etica si intreccia inoltre al compimento della
Bestimmung des Menschen, la quale procede di pari passo alla realizza-
zione della morale nella sfera mondana; in relazione a questo tema acqui-
stano particolare rilevanza sia le condizioni materiali in cui prende forma
la propria umanità, sia l’attuazione del diritto inteso come il presupposto
che assicura le basi minime sulle quali costruire se stessi: Kant mostra così
di essere consapevole del fatto che bisogna poter contare su un contesto
che favorisca lo sviluppo delle nostre disposizioni.
Non va dimenticato che Kant inquadra il tema della destinazione
dell’uomo sullo sfondo delle proprie riflessioni sulla Geschichtsphilosophie:
da questo punto di vista i fini dell’etica che la Tugendlehre presenta come
doveri per il singolo andrebbero quindi considerati anche su un altro livello
della teleologia, ossia quello della filosofia della storia.24 La realizzazione
empirica del concetto di umanità viene infatti pensata in una prospettiva
storica sovra-individuale;25 riguardo alla questione dello sviluppo umano
Kant chiama in causa uno scenario incentrato sulle interazioni tra gli
esseri umani nella vita associata.26

23. O’Neill propone un’interpretazione dell’etica kantiana che mira a due obiettivi: in pri-
mo luogo, a preservare il carattere universale di alcuni principi morali di base; in se-
condo luogo, a considerare la variabilità storica e culturale della realizzazione dei fini
della ragione pura pratica. Cfr. Onora O’Neill, “Kant After Virtue,” Inquiry 26 (1983):
387.
24. Per un inquadramento complessivo della filosofia della storia nel pensiero di Kant
cfr. Pauline Kleingeld, Fortschritt und Vernunft: zur Geschichtsphilosophie Kants
(Würzburg: Königshausen & Neumann, 1995).
25. «Ciò che nei singoli soggetti appare ingarbugliato e senza regola, nell’intero genere
potrà essere riconosciuto come uno sviluppo costantemente in progresso, anche se
lento, delle sue disposizioni originarie» Immanuel Kant, Idea per una storia universale
dal punto di vista cosmopolitico, trans. Filippo Gonnelli, in Scritti di storia, politica e
diritto (Roma, Bari: Laterza, 2004), 29. Cfr. anche: «il genere umano può lavorare alla
propria destinazione solo attraverso il progresso in una serie indefinita di generazioni:
dove la meta gli rimane sempre davanti, benché la tendenza verso questo fine ulti-
mo, pur essendo spesso impedita, non può mai regredire del tutto» Immanuel Kant,
Antropologia pragmatica, trans. Giovanni Vidari, (Roma, Bari: Laterza, 2006), 219.
26. «La conclusione dell’antropologia pragmatica riguardo alla destinazione dell’uomo e

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La Teleologia dello Sviluppo Umano in Kant 241

Sulla Bestimmung des Menschen e sulla sua relazione con la filo-


sofia della storia intendo proporre una lettura che a prima vista potrebbe
sembrare un ‘rovesciamento’ del punto di vista kantiano: il mio obiettivo
consiste infatti nel dare maggiore importanza alla figura dell’individuo.
In proposito va notato che la nuova prospettiva tematizzata da Kant negli
anni ’90 valorizza implicitamente la sfera individuale; in riferimento al
problema della realizzazione della morale, la Bestimmung des Menschen
viene infatti presentata anche come una teleologia dell’individuo.
Prendendo le mosse dal dovere di perfezionare se stessi e, più in generale,
dalla questione dello sviluppo umano,27 Kant ricollega il piano della filo-
sofia della storia a quello dell’impegno di ciascun uomo: la Dottrina della
virtù propone così una teleologia morale il cui compimento è affidato agli
individui. Va inoltre aggiunto che nelle ultime opere di Kant si attenua il
tono provvidenzialistico che aveva caratterizzato la prima fase delle sue
riflessioni sulla Geschichtsphilosophie: il protagonista del processo storico
torna dunque a essere l’individuo, il quale non è più un semplice mezzo
di cui la Provvidenza fa uso per promuovere il progresso della società e
della cultura.
A questo riguardo è utile ricordare che negli scritti kantiani degli anni
’90 assume sempre maggior rilievo l’aspetto ‘terreno’ del sommo bene,28 il
quale viene pensato come un ordinamento morale della dimensione comu-
nitaria della vita umana; negli anni ’90 Kant considera il sommo bene come
un fine che deve essere realizzato nella sfera mondana, mostrando così

la caratteristica del suo sviluppo è la seguente: l’uomo è determinato dalla propria


ragione a vivere in società con uomini e in essa a coltivarsi con l’arte e le scienze, a
civilizzarsi e a moralizzarsi» Kant, Antropologia pragmatica, 324.
27. Nell’etica kantiana il dovere di perfezionare se stessi è legato a una concezione ‘aper-
ta’ della perfettibilità: il perfezionamento dell’essere umano viene infatti concepito da
Kant come un percorso a cui ciascuno dà forma seguendo il proprio progetto di vita.
Qui si tratta dunque di realizzare se stessi scegliendo quali delle proprie capacità col-
tivare e in che misura: «questo dovere [di sviluppare le proprie disposizioni] è soltanto
etico, ossia di obbligazione larga. […] La diversità delle situazioni nelle quali gli uomi-
ni possono trovarsi rende molto arbitraria la scelta del tipo di attività in cui coltivare il
proprio talento» Kant, Metafisica dei costumi, 392.
28. «Il sommo bene etico non viene prodotto soltanto con lo sforzo della persona singola
per il proprio perfezionamento morale, ma esige invece la riunione dei singoli in un
Tutto, per tendere precisamente allo stesso fine, per formare un sistema di uomini
bene intenzionati, nel quale e con l’unità del quale solamente esso può essere attua-
to» Immanuel Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, trans. Alfredo Poggi
(Roma, Bari: Laterza, 2004), 104. Su questo tema cfr. Alberto Pirni, Il “regno dei fini”
in Kant. Morale, religione e politica in collegamento sistematico (Genova: Il Melangolo,
2000).

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che non è più in gioco la riformulazione razionale di un regno divino che


verrà, ma piuttosto un obiettivo storico di questo mondo.29 La Metafisica
dei costumi tematizza proprio questa prospettiva incentrata sull’uomo
che agisce concretamente nella storia; l’opera del 1797 valorizza inoltre la
relazione tra l’etica e il diritto, individuando così nella complementarietà
di queste due sfere il presupposto per delineare un sistema di condizioni
progressive per la realizzazione della nostra destinazione morale.30 In
altre parole, la convivenza pacifica e la libertà assicurate dal diritto costi-
tuiscono le condizioni minime della vita morale, ossia le condizioni che
permettono all’essere umano di portare a compimento lo sviluppo delle
proprie disposizioni.31

29. Per illustrare questo mutamento nel modo di pensare la questione del sommo bene,
si può citare il seguente passo dello scritto Sul detto comune: «il bisogno di un fine
ultimo dato per mezzo della ragion pura, che comprenda la totalità di tutti i fini sotto
un principio (un mondo come sommo bene possibile anche con il nostro contributo),
è un bisogno di una volontà non egoistica che si estende ancora oltre l’osservanza della
legge formale verso la realizzazione di un oggetto (il sommo bene)» Immanuel Kant,
Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi, trans.
Filippo Gonnelli, in Scritti di storia, politica e diritto (Roma, Bari: Laterza, 2004), 127-
128. Questo mutamento di prospettiva nella filosofia della storia di Kant viene eviden-
ziato da Yovel, il quale ritiene che la questione del sommo bene venga riformulata nei
termini di una convergenza tra la finalità morale e quella fisica: cfr. Yirmiyahu Yovel,
Kant and the Philosophy of History (Princeton: Princeton University Press, 1980), 72.
Cfr. anche Gerardo Cunico, “Il mondo come totalità teleologica,” in Etica e mondo in
Kant, ed. Luca Fonnesu (Bologna: il Mulino, 2008), 218.
30. Mori fa notare che il progresso storico promuove le condizioni mondane che facilitano
l’agire morale; in questa prospettiva il telos della storia umana è volto alla realizzazio-
ne del diritto e allo sviluppo della cultura. I fini della ragione pura pratica riguardano
infatti sia l’etica che il diritto, quest’ultimo inteso come un insieme di norme che re-
golano dall’interno ogni comunità politica e che richiedono di istituire una federazio-
ne di stati per la pace perpetua: cfr. Massimo Mori, “Conoscenza e mondo storico in
Kant,” in Etica e mondo in Kant, ed. Luca Fonnesu (Bologna: il Mulino, 2008), 281-282.
Sul doppio binario etico-giuridico dei fini della ragione pura pratica cfr. Wolfgang
Kersting, Wohlgeordnete Freiheit. Immanuel Kants Rechts und Staatsphilosophie
(Berlin: De Gruyter, 1984), 112-133.
31. «Il massimo problema per il genere umano […] è il raggiungimento di una società
civile che faccia valere universalmente il diritto. […] Il supremo compito della natura
per il genere umano deve essere una società in cui la libertà sotto leggi esterne sia con-
giunta al massimo possibile grado con una forza irresistibile, ovvero una costituzione
civile perfettamente giusta, perché la natura può raggiungere i suoi ulteriori scopi ri-
guardo al nostro genere solo per mezzo della soluzione e dell’esecuzione di tale compi-
to» Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, 34. Cfr. anche:
«la condizione formale sotto la quale soltanto la natura può raggiungere questo suo
scopo finale [lo sviluppo delle disposizioni naturali del genere umano] è quella costitu-
zione nel rapporto degli uomini fra loro nella quale al danno delle libertà in reciproco
contrasto tra loro viene opposta la forza legale in un tutto che si chiama società civile;

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La Teleologia dello Sviluppo Umano in Kant 243

A conclusione di questo paragrafo è opportuno evidenziare come


Kant si interroghi sulla destinazione del genere umano non solo conside-
rando la dimensione del dover essere, ma tenendo conto anche della molte-
plicità di piani (razionalità, socievolezza e Kultur) che caratterizzano il
concetto di umanità, compresi gli aspetti antropologici che caratterizzano
l’uomo in quanto essere finito; il compimento della nostra destinazione
morale è infatti legato alla finitezza dell’uomo e al suo desiderio di vivere
la propria natura razionale nel mondo empirico: è appunto questo desi-
derio di continuità tra sé e il mondo a porre il soggetto di fronte al ‘fine /
dovere’ di realizzare la propria umanità, ovvero di promuovere le condi-
zioni che ne favoriscono lo sviluppo. Il concetto di umanità connette così
il contenuto dell’etica alla Bestimmung des Menschen, ribadendo il nesso
tra morale e teleologia, e offrendo inoltre lo spunto per una teoria dello
sviluppo umano che mette a fuoco le condizioni per la realizzazione di
questo sviluppo.

3. Considerazioni conclusive

Nella prospettiva kantiana gli esseri umani sono impegnati in un


progresso graduale che viene portato avanti facendo ‘buon’ uso della
propria facoltà razionale: a questo riguardo l’aspetto fondamentale che
ho voluto mettere in luce concerne il fatto che la ragione pratica va intesa
anche come la capacità di progettare il proprio sviluppo; da questo punto
di vista la Tugendlehre presenta quindi una teoria dello sviluppo umano
che prende le mosse dall’aspetto teleologico e ‘costruttivo’ del concetto
di umanità. Le idee-chiave sullo sfondo della concezione kantiana dello
sviluppo umano sono infatti quelle di autonomia e autorealizzazione:
questi sono alcuni dei temi più rilevanti delle opere di Kant ed è proprio
da qui che ha preso forma la mia lettura della filosofia pratica kantiana.
L’interpretazione proposta in questo contributo ha sottolineato  –
in primo luogo  – che la realizzazione dello sviluppo umano costituisce
il fine ultimo della ragione pura pratica; in secondo luogo, ho cercato
di mostrare come la Metafisica dei costumi raccolga alcuni dei temi che
hanno occupato le riflessioni kantiane negli anni ’90: ad esempio, la realiz-
zazione della morale nella sfera mondana e il bisogno dell’essere umano di
esercitare la propria facoltà razionale nella dimensione comunitaria della

infatti, solo in essa può avere luogo il massimo sviluppo delle disposizioni naturali»
Kant, Critica della capacità di giudizio, 747.

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vita umana. A questo riguardo non va dimenticato che Kant considera


la Geselligkeit non solo come uno dei tratti antropologici del concetto di
umanità, ma anche come «il più grande fine della destinazione umana»;32
la realizzazione della sfera dell’umano si lega dunque alla necessità di
‘condividere’ la costruzione di sé all’interno di una comunità, ovvero in
un contesto intessuto di tutte quelle relazioni sociali, politiche e culturali
che concorrono a delineare la complessità del mondo umano. Il filosofo
di Königsberg non si è mai confrontato in modo diretto con queste tema-
tiche, motivo per cui sarebbe improprio leggere Kant con ‘occhiali hege-
liani’ e parlare di eticità e seconda natura; eppure, l’ispirazione di fondo
della filosofia pratica kantiana degli anni ’90 sembra orientata in questa
direzione.

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