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Noi e i Greci
2
Una storia greca
Formazione (fino al VI secolo a. C.)
1.
11. Definizione (VI-IV secolo a. C.)
m. Trasformazioni (Iv secolo a. C. - 11 secolo d. C.)
3
I Greci oltre la Grecia
4
Atlante
I Greci
Storia Cultura Arte Società
a cura di Salvatore Settis
3
I Greci oltre la Grecia
• ..
Traduzioni: Piero Arlorio, pp. 5·38, 629·72, 889-930, 1245·62, 1287•310, I4I9•42i
Amos Bertolacci, pp. 767-96; Amedeo De Vincentiis, pp. 499-534, 13II·5o; Maria Teresa
Giambrone, pp. 167·202j Mara Guazzerotti, pp. 563·91, 861-88, 1023·33, II07·15, 1351·78;
Anna Magnetto, pp. 401-69; Mauro Piras, pp. 705·40; Filippomaria Pantani, pp. I035·5Ii
Francesca Rocci, pp. 741-66; Silvia Romani, pp. 797·815, r 153·74;
Luca Soverini, pp. 231-66, 471-98; Simonetta Storti, pp. I263-86.
ISBN 88-o6·15204·1
Indice
p. XXXIII Premessa
XXXIX Elenco delle abbreviazioni
DAVID BRAUND
IVANA SAVALLI-LESTRADE
ANTONIO PANAINO
KLAUS KARTTUNEN
LUCIO TROIANI
MICHAEL MACDONALD
ALESSANDRA AVANZINI
STEFANIA MAZZONI
MARCO ROSSI
III.
l GRANDI TEMI
422 r. La teologia
434 2. Il sacerdozio come modo di vita
435 3· nokmla. Monarchia, ceti e caste, diritto e leggi
442 4· Tempo, storia, memoria
446 5· Le inondazioni del Nilo
454 6. Grammatologia
460 7· La tomba, la morte e l'eternità, il giudizio dei morti
IV.
462 l GRECI AGLI OCCHI DEGLI EGIZIANI
STANLEY M. BURSTEIN
PIERRE ROUILLARD
n.
GU INSEDIAMENTI E LA STABIUZZAZIONE DEGU SCAMBI ALL'INIZIO DEL VI SECOLO
1. Le grandi tappe
2. Marsiglia
3. Ampurias
Ul.
Il mondo celtico
Tartesso e il mondo iberico
IV.
530 GU SCAMBI CULTURAU
Continuità e riusi
ROLAND KANY
Grecità e cristianesimo
563 La cornice del confronto
564 2. Cristianesimo delle origini senza grecità?
569 3· Lo spazio e la lingua
574 4· Il passato, il presente, il futuro
578 5· L'etica e il comportamento
581 6. Le arti e le scienze
587 7· La religione e lo stato
590 8. Grecità senza cristianesimo?
GUGLIELMO CAVALLO
MAURO ZONTA
ROSHDI RASHED
BASIM l\4USALLAM
DIMITRI GUTAS
OLEG GRABAR
MONICA CENTANNI
DIETER BLUME
LIBA TAUB
MAUROZONTA
Riappropriazioni, riattualizzazioni
LUCIANO CANFORA
W ALTER BERSCHIN
LUCIA FAEDO
JOSEPH RYKWERT
GIOVANNI MORELLI
JAMES HANKINS
ANTHONY GRAFTON
EDOUARD POMMIER
CHRYSSANTHI AVLAMI
WOLF-DIETER HEILMEYER
La Grecia in museo
I 35 I I . Arte greca come modello o come originale
I 355 2. Il Pantheon di Schinkel
I 365 3. Blicle in Griechenlands Bliite
I373 4· La Grecia nell'intreccio della sua diffusione antica e moderna
ALFONSO M. IACONO
I Greci e i selvaggi
I 3 79 Barbari e selvaggi
I 386 Moderni, Greci, selvaggi
Indice xv n
CORNELIA ISLER-KERÉNYI
GEOFFREY LLOYD
DIEGO LANZA
Dimenticare i Greci
I443 I. Non dirlo a nessuno!
Indici
I 467 Personaggi e altri nomi antichi
I 48 I Luoghi e popoli
I497 Autori moderni e altri nomi non antichi
I535 Fonti
Indice delle illustrazioni
In copertina:
90 Guardie mede e persiane sulla facciata est della scala nord del Tripylon
(Persepoli).
90 Particolare della scala del Tripylon.
xx Indice delle illustrazioni
272 3· Affresco con ritratto di un notabile di Qaryat al-Faw (n-I secolo a. C.).
272 4· Iscrizione della fine dell'viii secolo a. C. da as-Sawda.
Sana, Museo.
834 1. Dioniso bambino, nimbato, sulle ginocchia di Ermes in trono, tra figure
allegoriche e personaggi adoranti. Mosaico a Pafos Nuova (v secolo d. C.).
(Foto per cortesia di V. Karageorghis).
840 2. Alessandro e gli acefali. Miniatura (xv secolo).
Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms 280 Kurdian, f. 96r. (Foto Turio).
843 3· Aristotele fa lezione ad Alessandro e ai suoi amici, sul modello iconogra-
fico di Cristo e i suoi discepoli. Miniatura (xv secolo).
Ibidem, f. qv. (Foto Turio).
845 4· Profilo di Costantino e del suo modello, Alessandro il Grande. Medaglia
(Iv secolo d. C.).
Parigi, Bibliothèque Nationale, Cabinet cles Médailles.
847 5· Parto di Olimpia. Codice pergamenaceo miniato (XIII secolo).
Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms 1493, f. Jr.
Indice delle illustrazioni xxv n
p. 847 6. Gli alberi parlanti del Sole e della Luna. Miniatura (xv secolo).
Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms 424, f. 98r. (Foto Turio).
848 7-9. Episodi della vita leggendaria di Alessandro il Grande. Arazzi (xv secolo).
Roma, Galleria Doria Pamphili.
849 IO. Roger van der Weyden, Ritratto di Carlo il Temerario, duca di Borgogna
(xv secolo).
Berlino, Kaiser Friedrich Museum.
85 I I I. Ascensione di Alexander Rex. Particolare del pavimento musivo della cat-
tedrale di Otranto (xn secolo).
852 I2. Apoteosi delprinceps. Stoffa bizantina dal reliquiario di Carlo Magno
(x secolo).
Cluny, Museo.
852 I3. Ascensione di Alessandro sul carro tirato dai grifoni. Disegno da una stof-
fa copta (vn secolo). .
Montpezat-de-Quercy, chiesa di St.-Martin.
853 I4. Ascensione di Alessandro sul carro tirato dai grifoni. Lastra marmorea
proveniente da Costantinopoli (XI secolo).
Venezia, basilica di San Marco, facciata settentrionale. (Foto Turio).
855 I5. Alessandro tra i grifoni (a), scene di caccia del re (b-d), visione del cosmo dal
cielo (e). Placchette di smalto provenienti da Costantinopoli (IX-XII secolo).
Venezia, basilica di San Marco, pala d'oro.
858 I6. Rossane incoronata regina.
Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms 1493, f. 91r.
867 Andromeda.
Leida, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, ms Voss. Lat. Q. 79, f. 30v.
868 2. Gemelli.
Ibidem, f. 16v.
868 3· Gemelli e Cancro.
Madrid, Biblioteca Nacional, Cod. 19, f. 58r.
8]0 4· Toro, Cefeo e Cassiopea.
Madrid, Biblioteca Nacional, Cod. 3307, f. 57v.
870 5· Perseo, Lira e Cigno.
Monza, Biblioteca Capitolare, Cod. f.9.176, f. 64v.
8]2 6. Eracle e corona.
Parigi, Bibliothèque Nationale, ms lat. 5543, f. 161r.
8]2 1· Andromeda.
Ibidem, f. 163v.
873 8. Perseo.
Londra, The British Library, ms Harl. 2 506, f. 37'·
xxvm Indice delle illustrazioni
p. 873 9· Acquario.
Ibidem, f. 3811.
875 IO. Sole.
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms Reg. 123, f. 164r.
875 II. Mercurio.
Ibidem, f. 171 r.
876 I2. Arato e la musa Urania.
Madiid, Biblioteca Nacional, Cod. 19, f. 55'·
879 I3. Venere.
Paiigi, Bibliothèque Nationale, ms lat. 7330, f. 5411.
879 I4- Mercurio.
Ibidem, f. 56r.
88o I5. I pianeti.
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 10268, f. 85r.
883 I6. Mercurio.
Padova, Palazzo della Ragione.
883 q. Marte.
Ibidem.
883 I8. Marte.
Chantilly, Musée Condé, ms 754, f. 211.
p. 9I2 8. Volvelles per trovare la posizione del Sole e quella di Giove, dallo Specu-
lum Uranicum di Giovanni Paolo Gallucci (I593).
Cambridge, Fitzwilliam Museum.
9I3 9· a. Equatorium inglese (c. 1350). b. Equatorium francese (c. I6oo).
11) Oxford, Merton CoUege. (Foto per gentile concessione dei Warden and FeUows of
Merton CoUege Oxford). b) Liverpool, National Museums and GaUeries on Merseysi·
de. (Foto per gentile concessione del Board of Trustees of the National Museums & Gal-
leries on Merseyside).
9I3 Io. Manoscritto dell'Almagesto di Tolomeo (xrv secolo).
Londra, The British Library, Burney ms 275, f. 39011.
9I4 II. Sfera armillare (c. 1350).
Cambridge, Whipple Museum of the History of Science.
914 I 2. Modello dei moti di Mercurio realizzato da Girolamo della Volpaia (1582).
Chicago, Ad.ler Planetarium.
915 13. Coppia di sfere armillari di Richard Glynne (Londra).
Cambridge, Whipple Museum of the History of Science.
918 14. Astrolabio ebraico (c. 1550).
Chicago, Ad.ler Planetarium.
919 15. Diagramma di proiezione stereografica.
921 16. Astrolabio inglese (XIV secolo).
Cambridge, Whipple Museum of the History of Science.
925 17. Globo islamico (1659).
Ibidem.
927 18. Raffigurazione dei «regoli di Tolomeo». Da The Cosmographical Glasse.
Ibidem.
I238 Ludwig van Beethoven, Quartetto in La minore op. 132 (I825), II tempo,
Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito, in modo lidico.
I244 Gyorgy Kurtag, Kafka-Fragmente (I985-87), l.2.
I353 Riproduzione del Fanciullo orante sulla terrazza davanti alla biblioteca
del castello di Sanssouci a Potsdam.
(Foto Marina Heilmeyer).
I356 2. Ricostruzione della collezione di Cari Sigmund Tux, Stoccarda (c. 1790).
(Foto Archaologisches lnstitut der Universitiit Tiibingen).
xxxn Indice delle illustrazioni
I366 7· La Sala degli Egineti nella Glyptothek di Leo von Klenze a Monaco (1829).
(Foto del Museo).
1368 8. La Sala di Figalia con i calchi degli Egineti al British Museum di Londra
(c. 1874).
(Foto del Museo).
1369 9· Vecchia collocazione della Venere di Milo al Louvre di Parigi.
(Foto del Museo).
137I IO. Vecchia foto della sala dell'architettura ellenistica al Pergamonmuseum
di A. Messe! e L. Hoffmann a Berlino, con l'allestimento di Theodor
Wiegand del I930.
(Foto Antikensammlung, Staadiche Museen zu Berlin).
I373 I I. Prima esposizione dell'Ermes di Prassitele al vecchio Museo di Olimpia.
(Foto Antikensammlung, Staatliche Museen zu Berlin).
I376 I2. Esposizione di vasi originali che ricostruisce «l'immagine>> di una necro-
poli ateniese al Museum fiir Kunst und Gewerbe di Amburgo (c. 1985).
(Foto del Museo).
I 3 77 13. Collezione di antichità nell' Altes Museum di Berlino. Nuovo allestimento
del I998.
(Foto Antikensammlung, Staatliche Museen zu Ber!in).
quelle citazioni che vengono da cosi lontano sanno essere intense, ap-
propriate, efficaci? O forse citazioni come queste (e sarebbe facile al-
lungarne la lista) appartengono ormai a un assai piu vasto orizzonte «glo-
bale», nel quale l'antichità greca debba avere un suo piccolo posto in
mezzo a tante altre antichità, indiane cinesi maya, tutte egualmente le-
gittimate come altrettanti, equivalenti serbatoi di nomi, aneddoti, <<sto-
rie», citazioni, curiosità? Tutte con la loro sempre piu piccola pattuglia
di specialisti, nessuna veramente «patrimonio comune» di una futura
civiltà essenzialmente tecnologica, per la quale il remoto passato sia so-
stanzialmente consegnato all'oblio? O (che è lo stesso) sia ridotto a un
retroterra nebbioso e indistinto, conservando semmai solo una qualche
funzione ornamentale?
Da domande come queste -lo si può leggere nell'introduzione al pri-
mo volume, Noi e i Greci- è nata quest'opera sulla storia, l'arte e la cul-
tura degli antichi Greci. Da quell'anno (1996), tali domande sono di-
ventate ancora piu urgenti, e proprio perché, paradossalmente, quanto
meno si sa (o si è disposti a imparare) dell'antichità greca, tanto piu sem-
bra consolidarsi nel nostro paesaggio culturale l'immagine dei Greci co-
me la radice ultima e unica di tutta la civiltà «occidentale». Tale im-
magine, potentemente operativa proprio perché data per scontata, resi-
ste, e anzi si consolida, proprio mentre sempre piu marcato si va facendo,
e proprio in «Occidente~>, il distacco dal mondo greco della cultura piu
generalmente condivisa e dei piu diffusi percorsi educativi. Meno sap-
piamo il greco, piu parliamo dei Greci. Quanto piu filosofi e saggisti per-
dono la capacità di controllare criticamente in prima persona lo spesso-
re e il senso originario dei testi della cultura greca, tanto piu accanita-
mente vi cercano una vaga e incontrollata «ispirazione». Che in tal modo
si pretenda di mascherare dietro la selva delle citazioni la sostanziale
scelta di ignorare la grecità, è in fondo solo un male minore. Piu grave
e insidioso è un altro aspetto di questo processo (davvero inarrestabi-
le?): quanto piu generici e meno colti sono questi esercizi, tanto piu es-
si rischiano di innalzare la cultura greca sopra un piedistallo irraggiun-
gibile, estirpandola dalla storia per proiettarla su un piano che si pre-
tende «universale», ma in realtà facendone arma e bandiera di una civiltà
«occidentale» che possa poi rivendicare piu o meno copertamente la pro-
pria superiorità. Perché una risposta possibile alle ansie della globaliz-
zazione culturale, al panico della perdita della propria identità (per omo-
logazione e assorbimento in una qualche «globalità») è la rivendicazio-
ne di identità locali «forti», in grado di competere con quella temuta e
mal definita globalità. La «civiltà occidentale» è certamente una di que-
ste (tanto piu forte perché trans-nazionale), e il rischio di farvi appello
Premessa xxxv
1
Qui e nelle poche frasi che seguono riprendo alcuni punti già sviluppati nell'Introduzione al
primo volume.
xxxvr Premessa
dosi, nel XIX secolo, asse portante dell'educazione delle élite europee.
Vedremo infine (anche qui per assaggi che rimandano a un ben piu va-
sto ventaglio tematico} i Greci «riattualizzati» quando la libertà dei mo-
derni viene ridefinita per rapporto a quella degli antichi, o quando l'ar-
te greca diventa elemento essenziale nella costruzione dei musei delle
capitali d'Europa. Vedremo germinare dalla cultura greca categorie in-
teramente moderne come «apollineo» e <<dionisiaco», potremo riflette-
re sui meccanismi della comparazione mentre leggeremo le pagine sulle
affinità e differenze fra i Greci e i «selvaggi», o quelle che confrontano
lo sviluppo della scienza in Grecia e nella Cina antica. Ci domandere-
mo infine (anche riflettendo sulla Black Athena che ha fatto irruzione
sulla scena culturale americana nel 1987) quali Greci vogliamo ricorda-
re, quali dobbiamo dimenticare; quanto sia necessario che gli studiosi
di antichità rinuncino per sempre alla passiva reverenza di fronte a una
cristallina e immutabile «classicità».
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XL Elenco delle abbreviazioni
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RE PAULY-WissowA, Rea/-Encyclopiidie der classischen Altertumswissenschaft,
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Sylloge Inscriptionum Graecarum, 4 voll., Leipzig 1915-241
I Greci oltre la Grecia
Gli «altri» e i Greci: scambi e frontiere
DAVID BRAUND
1
Sui Traci cfr. R. F. HODDINOTI, The Thracians, London 1981; A. FOLe 1. MARAZOV, Thrace
and the Thraciam, London 1977; z. H. ARCHIBALD, ThraciansandScythians, in CAlf, VI (1994), pp.
444·75; m., The Odrysian Kingdom o/Thrace, Oxford 1998. Sugli Sciti cfr., tra gli altri, K. MAR·
CIIENKO e YU. VINOGRADOV, The Scythian period in the northern B/ack Sea region, in «Antiquity»,
LXIII (1989), pp. 8oJ·IJ; R. ROLLE, The World oftheScythians, London 1989; B. N. GRAKOV, Skify,
Moskva 1971. L'ormai classico D. M. PIPPIDI, I Greci nel basso Danubio, Milano 1971, conserva la
sua validità per quanto riguarda il punto di contatto tra Sciti e mondo greco costituito dal Danubio.
2
Eccezione degna di nota a questa tendenza è M. A. LEVI, I nomadi alla frontiera, Roma 1989,
in particolare pp. I08·J7.
' B. BAEBLER, Fleissige Thrakerinnen und wehrhafter Skythen: Nichtgriechen im klassischen Athen
un d ihre archaeologische Hinterlassenscha/t, Stuttgart 1998, per un'ottima analisi del materiale ar·
cheologico che testimonia l'impatto di Traci e Sciti su Atene.
' ERODOTO, 4.10.
6 Gli «altri» e i Greci
I. Fonti e concezioni.
teraria, è pur vero che la sua è un'epoca tarda nella vicenda storica del
contatto tra Greci, Sciti e Traci. All'epoca in cui Erodoto portò a con-
clusione le Storie (426 a. C.), i Greci avevano da secoli una conoscenza
di Traci e Sciti, come testimoniano i poemi omerici. Il mito degli Ar-
gonauti, evidentemente ben consolidato già prima di Omero, presup-
pone un notevole interesse da parte greca per l'area del Mar Nero, al di
là della precisione geografica e storica della sua collocazione preomeri-
ca8. Gli insediamenti greci nelle zone costiere di Tracia e Scizia si spie-
gano in quanto ulteriori manifestazioni di questo lungo processo di in-
terazione. Nello stesso tempo occorre sottolineare che tali insediamen-
ti furono possibili unicamente in un contesto caratterizzato da un
avvicinamento di qualche tipo tra coloni Greci e popolazioni locali. Av-
vicinamento che potrebbe aver comportato persino un incoraggiamen-
to all'insediamento e una convivenza pacifica prolungata, senza peral-
tro escludere conflitti con una parte almeno della popolazione locale. Ed
è, del resto, nel contesto di questa lunga storia di reciproca considera-
zione, contatto ed esperienza che Erodoto compone le sue Storie. Tal-
volta Erodoto mostra esplicitamente il suo disaccordo con narrazioni
storiche precedenti e con certe opinioni correnti: come vedremo, la sua
opera è percorsa da una vena decisamente polemica'. E un elemento ba-
silare di questa polemica, che emerge in particolar modo nella tratta-
zione della Scizia, è l'insistenza sulla necessità di distinguere tra le va-
rie popolazioni della zona, in modo da andare oltre le vaghe generaliz-
zazioni contenute in etnonimi quali <<Traci» e «Sciti».
2. I Traci.
' Sulle versioni piu antiche del mito degli Argonauti e sul loro contesto storico nel bacino del
Mar Nero cfr. o. BRAUND, Georgia in Antiquity, Oxford 1994.
' R. TIIOMAS, Herodotus in Context, Cambridge 2ooo.
10
AKCIIIBALD, The Odrysian Kingdom cit., p. 94, riporta i passi.
8 Gli <<altri)) e i Greci
11
ERODOTO, 5.3; seguono l'elencazione di alcune eccezioni (cfr. ERODOTO, Le Storie, V, a cura
di G. Nenci, Firenze 1994, pp. 157-58).
12
ERODOTO, 4.80, 7·137·
" Nenci (ERODOTO, Le Storie, V ci t., p. 158) ricorda che il solo Erodoto cita il nome di venti-
tre tribu tracie, cui vanno aggiunte le undici citate nei frammenti di Ecateo e le cinque citate da
Tucidide.
" Per esempio, TUCIDIDE, 1.3, sulla Grecia stessa. Ovviamente, un Greco dotato di maggiore
spirito critico avrebbe riconosciuto che anche i Greci continuavano a soffrire le conseguenze del-
la difficoltà di cooperare tra loro.
" ERODOTO, 4.46.
" Ibid., 5 .6.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 9
apparire primitive agli occhi dei suoi lettori greci. In primo luogo, i Tra-
ci vendono i figli perché siano portati all'estero; poi consentono alle lo-
ro figlie di unirsi liberamente con gli uomini. Acquistano le mogli a ca-
ro prezzo e, a differenza delle figlie, le tengono sotto stretta sorveglianza.
I tatuaggi sono segno di nobiltà, mentre chi ne è privo è di umili origi-
ni. Giudicano molto positivamente chi non lavora e ritengono un diso-
nore lavorare la terra; tengono invece nella massima considerazione
l'esercizio delle armi e della pirateria. Le uniche divinità che venerano
sono Ares, Dioniso e Artemide; ma i loro sovrani, a differenza del re-
sto della popolazione, venerano, tra gli dèi, soprattutto Ermes, giurano
soltanto nel suo nome e se ne proclamano discendenti. Per quanto ri-
guarda gli usi funerari delle élite tracie, espongono per tre giorni la sal-
ma e, dopo un momento di lutto iniziale, banchettano avendo sgozzato
ogni tipo di animali; infine provvedono all'inumazione, preceduta o me-
no da cremazione. Eretto un tumulo sul luogo della sepoltura, si svol-
gono una serie di gare e si conferiscono i massimi premi ai vincitori del-
le tenzoni individuali.
La vendita dei figli, il disinteresse per la verginità delle figlie e la com-
pravendita delle mogli fanno pensare ai lettori greci che i valori familia-
ri dei Traci si contrappongano sostanzialmente ai propri, assunti quali
metro di valutazione17 Seute II offri a Senofonte una somma assai ele-
vata per acquistarne la figlia, come ci racconta lo stesso Senofonte a con-
ferma delle affermazioni di Erodoto 18 • Inoltre, nella società greca, il ta-
tuaggio non era segno di nobiltà bensi di schiavitu, il che ribadisce un'al-
tra contrapposizione in termini di valore. Almeno in linea di principio, i
Greci valutavano positivamente il lavoro dei campi, e non vedevano cer-
to di buon occhio l'ozio, a differenza dei Traci descritti da Erodoto. Dal
canto suo, Tucidide indica chiaramente nello stile di vita basato sulla pi-
rateria una caratteristica degli stadi primitivi del processo di civilizza-
zione; caratteristica ancora reperibile ai margini del mondo greco e tra i
barbari (in questo caso i Traci), ma ormai abbandonata da tempo nei prin-
cipali stati greci', Inoltre, le tenzoni gladiatorie potevano al massimo
rientrare nel cerimoniale delle sepolture omeriche20 , ma non erano certo
una pratica accettabile, per esempio, nell'Atene contemporanea.
17
1. VENEDIKOV, La condition de la /emme en Grèce antique, in A. FOL (a cura di), Thracia IV,
Scrdica 1977, pp. 165-75; ERODOTO, Le Storie, V cit., pp. 161-62.
18
SENOFONTE, Anabasi, 7.2.38; cfr. ARISTOTELE, Politica, 1268b, sul carattere di primitività
che questa pratica aveva assunto agli occhi dei Greci.
19
TUCIDIDE, 1.5-6.
20
Il funerale di Patroclo in Iliade 23, la cerimonia che piu si avvicina, è un caso estremo ed
eccezionale nel cui ambito, peraltro, non si svolgono tenzoni gladiatorie.
IO Gli <<altri» e i Greci
"ANTIFONTE, Sull'omicidio di Erode, zo; cfr. ISAAC, The Greek Settlements cii., p. 145.
'' BRAUND, Georgia cii., p. 70, per esempi di riscatto relativi all'area del Mar Nero.
" Probabilmente dopo la cattura, perché il riscatto sarebbe altrimenti di difficile spiegazione.
" ARCIIILOCO, fr. 5; versi che non sono tuttavia da intendere come rigorosa testimonianza au-
tobiografica.
47
ID., fr. 92.
•• ID., fr. 93a.
•• ARCHIBALD, 'fhe Odrysian Kingdom cit., p. 78, sull'iscrizione greca che rende onore a Tokes,
ritenuto tracio, benché non lo si possa dedurre con sicurezza.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 15
mulò in Tracia delle risorse di cui si servi per il colpo di stato ad Atene.
E se rientra in una solida tradizione, questo fatto va altresi inteso come
un esempio di relazioni collaborative tra Greci e Traci, evidentemente
a livello di élitese. S'intende che la Tracia forniva truppe particolarmente
vantaggiose per lo stato greco: poiché la forza della Tracia in termini di
risorse militari era in sintonia con l'ottica con la quale i Greci guarda-
vano alla regione, la sfera militare costituisce un particolare settore di
influenza della Tracia sulla cultura greca51 •
Oltre un secolo dopo, Tucidide, del quale occorre ricordare la cono-
scenza diretta della Tracia, mette l'accento sulla brama di doni che ca-
ratterizza i Traci, ritenendola ovviamente degna di notasz. Gli Odrisi,
in particolare, si attendevano di ricevere doni, che dovevano essere of-
ferti non soltanto al sovrano ma a tutti gli appartenenti all'aristocrazia.
Tali doni, che sarebbe preferibile chiamare «tributi», non consistevano
soltanto in oro e argento, ma anche in altri oggetti, in particolare stof-
fe raffinate. Questi pagamenti erano richiesti ai sudditi traci ma anche
alle città greche della zona: almeno da Abdera, procedendo lungo la co-
sta, sino a Istro, alla foce del Danubio. Tucidide giunge ad affermare
(forse per esperienza diretta) che era impossibile concludere qualsiasi af-
fare con gli Odrisi senza averli prima omaggiati con un dono. Sotto il
regno di Seute, negli ultimi decenni del v secolo, si aggiungevano, sem-
pre secondo Tucidide, pagamenti che ammontavano a circa 400 talenti
d'oro e d'argento, raddoppiando cosi, grosso modo, il valore dei <(do-
ni». Si può pertanto affermare, sulla base di queste cifre, sommando do-
ni e tributi, che le entrate del regno odrisio ammontavano a circa il dop-
pio del tributo percepito da Atene per il suo «impero» sino al 425: si
tratta di una somma enorme. E in proposito va ricordata l'affermazio-
ne di Tucidide secondo cui fu questo flusso di entrate a rendere cosi po-
tente il regno degli Odrisin
In ogni caso, le relazioni tra Greci e Traci non si riducevano certo ai
10 Jbid., pp. I I 2·IJ; H. W. SINGOR, Tbe mi/itary side o/ the Peisistratean tyranny, in H. SANCISI·
WEERDEN!IURG (a cura di), Peisistratos and the Tyranny a Reappraisal o/ the Evidence, Amsterdam,
pp. I I2·I5, mette piu l'accento sui Traci che non sugli Sciti; cfr. B. M. LAVELLE, The Pisistratids
and the mines o/Thrace, in «Greek, Roman and"Byzantine Studies>>, XXIII (I992), pp. 5·23.
" 1'. LISSARRAGUE, L 'autre guerrier, Paris-Rome I990 su Traci e Sci ti. Cfr. ARCIIIBALD, The
Odrysian Kingdom cit., pp. 205-6, sulla bardatura della cavalleria; ASCLEPIODOTO, 7·3• sulla pre-
sunta invenzione da parte di Sciti e Traci dello schieramento a cuneo della cavalleria, che sarebbe
poi stato adottato dai Macedoni; cfr. A. M. DEVINE, EMBOLON a study in tactical terminology, in
<<Phoenix», XXXVII (I98J), pp. 20I-17.
" ARCIIIBALD, The Odrysian Kingdom cit., p. 108, illustra la conoscenza del piu remoto entro-
terra tracio da parte di Tucidide.
"TUCIDIDF., 2.97; cfr_ L. G. MITCIIELL, Greeks Bearing Gifts, Cambridge I997·
Gli <<altri» e i Greci
" ARCHIBALD, The Odrysian Kingdom cit., fornisce un'ampia e approfondita analisi del mate·
riale archeologico; cfr. anche l'ambizioso studio d'insieme diJ. IIOUZEK e 1. ONDREJOVA, Some notes
on the relatiom of the Thracian, Macedonian, lranian and Scythian arts in the fourth century BC, in « Ei-
rene>>, XXIV (1987), pp. 67-93. Sulla diffusione dell'arte greca cfr. J. DOARDMAN, The Di/lusion of
Classica/ Art in Antiquity, London 1994, in particolare pp. r82-224; m., Penia and the W est, Lon-
don 2000, nel quale si riconsidera la materia nel piu ampio contesto della Persia, il cui particolare
significato per la Tracia, intorno al 500 a. C., è spesso e volentieri sottovalutato.
" v. VEI.KOV e L. DOMARADZKA, Kotys l (JSJ/2·JJ9)et l'emporionde Pistirosen Thrace, in «Bul-
letin de Correspondance Hellenique>>, CXVIII (1994), pp. r-15, hanno provveduto alla pubblica-
zione dell'iscrizione accompagnata da un'analisi approfondita. I molteplici problemi sollevati dal
testo hanno sollecitato numerose pubblicazioni in materia, tra le quali vanno citate, in particola-
re, v. CIIANKOWSKI e 1.• DOMARADZKA, Réédition de l'inscription de Pistiros et problèmes de l'inter-
prétation, in «Bulletin de Correspondance llellenique>>, CXXIII (1999), pp. 248-56; o. BRAvo e A.
s. CIIANKOWSKI, Cités et emporia dans le commerce avec /es barbares à la lumière du document dit à
tort «Ìnscription de Pistiros''• iv i, pp. 275· 3 r 7 con bibliografia esaustiva.
"ARcmoALD, Thraciancultcit., p. 437·
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti
" In particolare su quella che sembra essere una distinzione tra Pistiro e gli empori, che chi
ha pubblicato l'epigrafe non affronta in maniera approfondita in vELKov e DOMARADZKA, Kotys I
ci t. Cfr. un altro punto di vista critico in BRAVO e CHANKOWSKI,Cités ci t., cui va riconosciuto il me·
rito di ricollegare il testo dell'epigrafe con possibili situazioni analoghe verificatesi in precedenza
nella Gelone di cui parla Erodoto.
" E. sciiOENERT·GEISS, Maroneia und die Thraker: Wechselbeliehungen lWischen Polis und Hin-
terland, in <<Eirene», XXII (1985), p. 40, analizza in modo dettagliato la strada da e per Maronea,
sia sottolineando l'importanza del vino in questo scambio, sia cercando di ricostruire il flusso mo-
netario, che indicherebbe un commercio particolarmente intenso intorno al 400-350 a. C. Vanno
però tenute presenti le osservazioni critiche di CIIANKOWSKI e DOMARADZKA, Réédition cit., e di o.
P! CARD, Le commerce de /' argent dans la charte de Pistiros, in « Bulletin de Correspondance Helleni-
que>>, CXXIII (1999), pp. 331-46.
"Sul profitto cfr. [ARISTOTELE], Economico, 1351ai8-32; sulla guerra, ARRIANO, Anabasi di
Alessandro, 1.7; VELKOV e DOMARADZKA, Kotys I cit., p. 9·
60
TUCIDIDE, 2. 29; cfr. ERODOTO, 7. r 37, sulla cattura nei pressi della città di Bisante, in segui-
to al tradimento di Sitalce e Ninfodoro, degli ambasciatori spartani diretti in Persia.
18 Gli <<altri>> e i Greci
61
SENOFONTE, Anabasi, 7·13.16.
62
Ibid., 7-4-2.
"lbid., 7.5.2 sgg.; cfr. 7.6.41 sgg.
"' Su Eraclide e la sua stirpe cfr. inoltre IG, II', 31; ARCIIIIIAI.D, The Odrysian Kingdom ci t., p.
219; SCHOENERT-GEJSS, Maroneia cit., p. 40, sulla coniazione odrisia a Maronea.
" DEMOSTENE, Contro Aristocrate, 1o-11.
66
Senofonte fu prontamente raggiunto in loco dal generale ateniese Trasibulo; cfr. ARCfiiBALD,
Thracians cit., p. 458.
" J. WILKINS, The Boast/ul Chef: The Discourse o/Food in Ancient Greek Comedy, Oxford 2ooo,
in particolare pp. 278-81. Si tenga presente che lo stesso commediografo scrisse un Tereo, pari-
menti di tematica tracia e riguardante lo sfarzo: ANASSANDRIDE, fr. 46.
68
ERODOTO, 9.116.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 19
eia, durante il banchetto nuziale di lficrate, che impalmò una figlia del
re tracio Coti I intorno al 386 a. C.:
Nell'agora erano sati stesi tappeti purpurei, sino al porto, e i mangiatori di bur-
ro in numero infinito si abbuffavano con le loro lerce capigliature, e i paioli di bron-
zo avevano dimensioni spropositate. Lo stesso Coti indossava un grembiule e ser-
viva la zuppa in una brocca d'oro; assaggiando le caraffe dove si mescolavano i vi-
ni s'ubriacò ancor prima che i convitati iniziassero a bere. Antigenide suonava il
flauto, Argas cantava e Cefisodoto di Acarne suonava la lira. Le canzoni celebra-
vano l'imponente Sparta e Tebe dalle sette porte, mescolando i vari temi..."
"ATENEO, 4-I}Ib-c.
70
SENOFONTE, Anabasi, 7-2.}1.
, lbid., 7-.3-.39-
Gli «altri» e i Greci
14
PARKER, Athenian Religion ci t., pp. 174-75.
11
ATENEO, 14.627e.
06
PARKER, Athenian Religion cit., p. 195, con utile commento anche su Cotito; per quanto ri-
guarda Bendis cfr. v. A. ABRAHAMSEN, Women and Worship at Philippi, Portland •995·
17
CRATINO, fr. 85 Kassei-Austin.
11
PARKER, Athenian Religion cit., p. 173·
•• MII..LER, Athens cit., p. 84, che fa inoltre osservare l'aspetto tracio di Sabazio.
90
PARKER, Athenian Religion cit., pp. 156-57.
" ERODOTO, 7.189; J. H. MOLYNEUX, Simonides: A HistoricalStudy, Wauconda III. 1992, pp.
158-66.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 23
92
TUCIDIDE, 2.29.
" CAI.DER, Sophocles cit.
94
Naturalmente non si vuole con ciò negare la possibile influenza dell'impero achemenide in
Tracia, sia attraverso i suoi possedimenti nell'area all'inizio del secolo, sia grazie alla conseguente
influenza attraverso I'Ellesponto: ARCHIBALD, Thracians cit., p. 444; MILLER, Athens cit., pp. I I-I 2.
" TUCIDIDE, 2.29.
96
Ibid., e 2.96.
24 Gli «altri» e i Greci
gruppamenti tribali traci, i cui numerosi nomi ricorrono nei nostri testi,
regnò sempre un'autonomia notevole'7 •
La cultura ellenica trovò ampia accoglienza in Tracia, sotto forma di
prodotti, gusti, lingua, persone, capacità tecniche, religione e molte al-
tre cose ancora. L'insediamento greco in Tracia contribui in maniera no-
tevole alla fusione di Greci e Traci. Dal canto loro, i Greci dalla Tracia
non prelevarono unicamente materie prime (in particolare metalli pre-
ziosi) e manodopera (mercenaria e schiava, in particolare schiave); ne
fecero pure un luogo nel quale ambientare un gran numero di miti. Ad
Atene, quello che può considerarsi il dio principale dello stato demo-
cratico, ossia Dioniso, poteva considerarsi in certo qual modo tracio;
mentre Bendis, in particolare, è un esempio della estrema disponibilità
di una città greca ad accogliere elementi della cultura tracia.
In linea generale, l'impegno ateniese in Tracia, tralasciando quello
delle altre città greche, attestato in misura ancora minore, espose i Gre-
ci all'influenza della cultura tracia un po' sotto tutti gli aspetti. I Greci
insediati in Tracia e dintorni, per esempio a Taso, inaugurarono la lun-
ga storia di questo impegno. Erodoto ci fornisce un ampio ventaglio di
punti di vista non ateniesi sulla Tracia, m~ntre la sua opera adotta una
prospettiva che si può definire autonoma. E Atene a dominare nella do-
cumentazione di cui disponiamo. A parte Pisistrato, Milziade e Tucidi-
de, nel Carmide platonico c'è un episodio interessante: vi si immagina
che Socrate abbia appena fatto ritorno dal servizio militare a Potidea,
dove avrebbe avuto occasione di discutere a fondo con un medico tra-
cio. Non interessa tanto la dubbia storicità di questo episodio quanto
l'intento di Platone di accogliere, per il tramite di Socrate, la concezio-
ne tracia della medicina. Accennando tra l'altro a Salmoside, il Socrate
platonico richiama una concezione tracia per criticare il concetto di me-
dicina olistica: per curare il corpo occorre infatti anche curare l'anima,
e a tal fine i Traci ricorrono a canti e salmodie" Dopo tutto, la Tracia
era la terra di Orfeo, i cui canti risanano" Com'è noto, il Socrate pla-
tonico indulge spesso allo scherzo, e il lettore può ritenere che questo
passo sia permeato di ironia. Emerge però anche un certo rispetto per
le credenze tracie, del tutto assente, in particolare, negli informatori lo-
cali di Erodoto che abitano lungo le coste del Mar Nero. Non c'è dub-
bio che l'inclinazione di Platone per il pitagorismo lo porti a considera-
97
Carmide, 156d-157·
PLATONE,
'" ARCHIBALD, The Odrysian Kingdom cit., p. 229, lo ritiene l'elemento di maggiore importanza.
99
EURIPIDE, A/cesti, 962; v. D. VASILEV, Untersuchungen iiber die Medizin im a/ten Thrakien und
Mosien, in FOL (a cura di), Thracia II cit., pp. 231-35.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 25
3· GliSciti.
100
ARISTOFANE, Rane, 1082 sgg.; [EURIPIDE], Reso, 934·
101
Scholia in Euripidis Alchestem, 968; CHIRASSI·COLOMBO, The role cit., p. 79·
102
STEFANO DI BISANZIO, Ethnica, S.V. «0Q<;!Xt]>>.
••• c. KERENYI, Eleusis, New York 1977, p. 22; Scholia in Euripidis Phoenisse, 854.
,.. BESTe DE VRIES, Thracians ci t., è costituito da una serie di saggi sulla determinazione sto-
rica dci rapporti fra Traci e Micenei.
105
ERODOTO, 4·5·
26 Gli «altri)) e i Greci
Senofonte sostiene che gli Sciti sono piu numerosi dei Persiani ma
che non hanno saputo approfittare di questo vantaggio per creare un im-
pero. Ciro, invece, era talmente grande che, pur disponendo delle piu
limitate risorse della Persia, riusd in tale impresa. Sebbene le prospet-
tive di Senofonte, Tucidide e specialmente Erodoto differiscano nel det-
taglio, tutt'e tre concordano sul numero assai elevato della popolazione
della Scizia. Per i tre storici, come del resto per gli altri autori greci, la
Scizia è un territorio assai vasto, poco popolato (ÈQ'I'Jf.tla), sconfinato,
pressoché privo di caratterizzazione geografica. Lo stesso Erodoto, che
gode di una posizione eccezionale, non ha molto da dire sulle differen-
ziazioni territoriali allorché percorre questo vasto paese, sebbene mo-
stri di avere conoscenza di fiumi e di steppe boscose a nord. La Scizia e
le popolazioni che la abitano non si lasciano contare né collocare con
precisione, sicché i Greci sono portati a ritenere che siano refrattari a
organizzarsi e unirsi.
Infine, e in contrapposizione ai Traci, gli Sciti sono puntualmente
caratterizzati quali pastori nomadi. Le nostre autorevoli fonti greche
non li ritengono dei semplici arcieri, bensi degli arcieri a cavallo, col lo-
ro seguito di donne che si trascinano dietro nelle steppe a bordo di car-
ri. l Greci erano inoltre interessati alla dieta scita, composta in gran par-
te di latte di cavalla e relativi sottoprodotti. Questo stile di vita susci-
tava l'interesse dei Greci per la sua radicale diversità, come gli studiosi
contemporanei dell'alterità hanno prontamente rilevato 110 • La diversità
dello stile di vita scita si accompagnava alle caratteristiche esasperate
del loro habitat, sicché gli autori di medicina s'interessarono in manie-
109
S!lNOFONTE, Ciropedia, I. I (trad. di C. Carena).
110
E. LÉVY,Les origines du mirage scythe, in «Ktema>>, VI (I981), pp. 57-68, con alcune osser-
vazioni critiche in D. BRAUND, Herodotus' Spartan Scythians, in c. J. TUPLIN (a cura di), Scythica, Lei-
den, di prossima pubblicazione.
28 Gli «altri» e i Greci
ra particolare al fisico degli Sciti. Lo studio degli effetti del freddo eb-
be massima importanza, come del resto quello delle possibili conseguenze
sulla capacità di generare di uomini che trascorrono la vita in sella e sul-
la fertilità di donne costrette a vivere sui carri 111 •
Gli autori Greci si mostrano ancora piu interessati all'austerità di que-
sto stile di vita. Per Eschilo, gli Sciti erano un popolo giusto e ordina-
to112. Senso della giustizia e propensione all'ordine che sembrerebbero
derivare dal loro stile di vita frugale, alieno dalla proprietà privata e im-
mune alle tentazioni del lusso. Eschilo individua nel latte di cavalla l'in-
grediente fondamentale di una dieta che predispone alla giustizia, e in
questo senso forse paragonabile al tanto magnificato brodo nero degli
Spartani. Il latte di cavalla acquista una tale rilevanza dietetica che Ome-
ro chiama gli Sciti «mangiatori di latte~~m L'elemento di idealizzazione
contenuto in queste narrazioni si è mantenuto a lungo, arrivando a con-
figurare un tipo di vita aliena dalla violenza e improntata alla giustizia114 •
Un'altra visione del nomadismo, probabilmente piu realistica, metteva
invece in evidenza aspetti pressoché contrari, e cioè la violenza sangui-
naria che l'avrebbe caratterizzato. Questa visione del nomadismo scita
sarebbe diventata dominante negli ultimi decenni del v secolo m.
Nell'ambito di queste tradizioni, Anacarsi assurge a figura domi-
nante, benché si sappia molto poco di lui prima del 426, anno intorno
al quale Erodoto portò a termine le Storie 11' Erodoto dava talmente per
scontata la conoscenza di questa figura di saggio scita da parte dei suoi
lettori, che la prima volta che lo nomina117 non avverte il bisogno di for-
nire alcuna informazione sul suo conto. Inoltre, egli riporta una prece-
dente tradizione peloponnesiaca relativa a un soggiorno di Anacarsi in
loco (tradizione che Erodoto dichiara senz'altro falsa) 118 • Se si esclude
Anacarsi, Erodoto non mostra alcun apprezzamento per la cultura sci-
111
lPPOCRATE, Sulle arie, le acque, i luoghi, 2 r; s. WEST, Hippocrates' Scythian Sketches, in <<Ei-
rene», XXXV (1999), pp. 14-32; J. JOUANNA, Hippocrate: Ain, eaux, lieux, Paris 1996, p. 238 no-
ta 2, benché il significato del testo risulti piu chiaro se le <<serve>> in questione sono intese come
Scite schiavizzate nel mondo greco.
"' ESCHILO, fr. 198n; AESCIIYLUS, Prometheus bound, a cura di M. Griffith, Cambridge Uni-
versity Press, 1983, p. 305; ESClllLO, Eumenidi, 700-3.
w Iliade, 13.5-6; ESIODO, fr. 150 Merkelbach-West, che rende esplicito il collegamento tra
Sciti e «mangiatori di latte>>; PRlTCHETI, The LiarSchool cit., p. 197.
114
A. BALLABRIGA, Le soleil et le tartare:/' image mythique du m onde en Grèce archai"que, Paris
1986, p. 233·
"' LÉVY, Les origines cit., p. 58.
116
J. F. KlNDSTRAND, Anacharsis: The Legend and the Apophthegmata, Uppsala 1981.
117
ERODOTO, 4.46.
118
Ibid., 4·77·
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 29
"' Né, invero, per quella tracia, cui Erodoto fa pure riferimento in 4.46; cfr. anche sopra su
Salmoside.
120
Prendo a prestito il termine miraggio dal <<mirage» di LÉVY, Les origines cit. Le somiglian·
ze tra la presentazione erodotea degli Sciti e la visione degli Spartani vengono ampiamente ana·
lizza te in BRAUND, Herodotus' Spartan Scythians ci t.
121
STRABONE, 7. 3. 7.
30 Gli «altri» e i Greci
in loco 122 , ne facevano una dimora perfetta per un corpo del genere. Al
riguardo, può essere utile ricordare che l'Areopago era un'area assai piu
ampia del piccolo poggio al quale tende a ridursi la sua odierna localiz-
zazione; si estendeva infatti dall'Acropoli sino alla base della Pnice, co-
steggiando l'agora. Stanziati sull'Areopago, gli arcieri sciti si collocava-
no nel centro dello stato democratico 12 J
Il numero di questi arcieri è oggetto di discussione e oscilla tra un
minimo di trecento e un massimo di mille; ma è probabile che sia va-
riato nel corso del tempo. Per il resto, non abbiamo informazioni su co-
me vivessero ad Atene, salvo che erano acquartierati. Ignoriamo cosi,
per esempio, se prendevano «moglie» e avevano figli, o se venivano so-
stituiti con nuovi apporti dalla Scizia allorché raggiungevano una certa
età o morivano. Si può dire che svolgevano un ruolo di mantenimento
dell'ordine pubblico alle dipendenze di magistrati ateniesi: sono loro
che, per esempio, allontanano gli oratori dalla tribuna dell'assemblea per
ordine del magistrato che la presiede. A quanto sembra, esplicavano la
loro funzione di «tutori dell'ordine» anche nelle fasi iniziali delle riu-
nioni che avevano luogo nell'assembleam. Piu in generale, gli arcieri
avrebbero garantito l'ordine pubblico con la loro presenza in occasione
di qualsiasi riunione di massa che aveva luogo ad Atene. L'utilizzazio-
ne di Sciti in compiti di ordine pubblico, che in realtà avrebbero potu-
to benissimo essere affidati a molti altri popoli, ci induce a ipotizzare
che questa scelta fosse orientata dalla reputazione di amanti dell'ordine
di cui essi godevano. Per la democrazia, l'impiego di stranieri inquadrati
in un corpo destinato al mantenimento dell'ordine pubblico presentava
certi vantaggi, soprattutto in materia di esecuzioni capitali, alle quali
presiedeva formalmente il corpo di magistrati cittadini detti gli Undici,
ma che potevano essere concretamente eseguite da Sciti, come risulte-
rebbe, in chiave comica, dalle Tesmo/oriazuse di Aristofane, dove, su or-
dine di un magistrato, un arciere scita stringe la gogna dell'ateniese Mne-
siloco.
Gli Arcieri sciti offrirono ghiotte opportunità satiriche alla comme-
dia ateniese. Questi tipi robusti, di carnagione pallida, coi capelli corti
e in divisa, che se ne andavano in giro armati di tutto punto, attirava-
no gli sguardi della gente nella vita quotidiana dell'Atene classica. Inol-
tre, Aristofane sfrutta sino in fondo le sgrammaticature del loro greco
parlato con accento strano, benché occorra fare attenzione a non scam-
122
ESCIIILO, Eumenidi, 685-90.
m V. ) . IIUNTER, Po/icing Athens, Princeton I 996; LISSARRAGUE, L' autre guerrier ci t.
124
IIUNTER, Policing Athens cit.; ARISTOFANE, Acamesi, 54, per una presentazione comica.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 31
121
s. COLVIN, The language of non-Athenians in 0/d Comedy, in D. IIARVEY e J. WILKINS (a cura
Ji), The Rivals o/ Aristophanes, London 2000, pp. 285·98.
126
ANDOCIDE, Sulla pace con gli Spartani, 5.
127
BRAUND, Geo'lia cit., pp. 123-25, SU PLUTARCO, Vita di Peric/e, 20; II. B. MATI1NGLY, Athens
and the Black Sea in the /i/th century BC, in o. LORDKIPANIDZE e P. LÉVÉQUE (a cura di), Sur /es tra·
ces des A'1/onautes, Paris 1996, pp. 151·57, avanza il dubbio che Plutarco non abbia compreso cor·
rettamente le sue fonti.
32 Gli «altri» e i Greci
del tribunale. Giunge al Bosforo e qui riceve in dono dai tiranni del posto una lo-
calità chiamata <d Giardini». Sposa una donna indubbiamente ricca, per Zeus, e che
gli portava in dote molto denaro, ma ch'era d'origine scitica. Ebbe da questa due
figlie, ch'egli inviò qui con un'ingente somma di denaro. La prima egli la dette in
moglie a un tizio che non nomino, per non attirarmi il rancore di molti, mentre l'al-
tra la sposò, a dispregio delle leggi dello stato, Demostene di Peania, e da essa è na-
to quell'imbroglione e sicofante del vostro Demostene. Per parte del nonno mater-
no, dunque, egli dovrebbe essere nemico del popolo, giacché voi avete condannato
a morte i suoi avi, e per parte della madre uno Scita, un barbaro che parla greco:
perciò, anche quanto a malvagità, egli non appartiene alla nostra terra 128 •
128
Contro Ctesi/onte, 171·72.
ESCHINE,
129
CRATERO,FGrHist, 342 F 28.
uo E. HALL, Lawcourt dramas, in «Bulletin of the Institute of Classica! Studies>>, XL (1995),
pp. 39·58; su Gilone cfr. J. G. F. HIND, The Bosporan Kingdom, in CAff, VI (1994), pp. 492-93,
che è critico nei confronti della versione fornita da Eschine, ma pensa che Gilone avesse in effet·
ti un incarico ufficiale a Ninfeo.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 33
rifugiasse nel regno del Bosforo alla fine della guerra del Peloponneso,
sia che appartenenti all'élite di questo regno si recassero ad Atene: è per-
tanto possibile che Gilone si sia in effetti stabilito a Kepoim.
Gli strani particolari che costellano la vicenda di Gilone alimentano
questi e altri dubbi sulla narrazione di Eschine. L'idea di una presenza
militare ateniese a Ninfea appare poco credibile, a meno che non si ipo-
tizzino presenze analoghe in altre città della zona. Per quanto siamo in
grado di giudicare, la posizione di Ninfea non doveva essere di partico-
lare importanza strategica 132 • Può essere significativo che Eschine non
attribuisca alcun incarico pubblico a Gilone: infatti potrebbe benissimo
non averne avuto alcuno. A meno che, e sino a quando, non si acquisi-
sca ulteriore documentazione sulla presenza ateniese nell'area, per esem-
pio in seguito alla scoperta di un'iscrizione, la vicenda di Gilone si spie-
ga piu che altro come un'ulteriore conferma della tendenza dell'orato-
ria ateniese a mutuare tematiche dalla commedia a sostegno dei suoi
intenti polemici'n Anche i poeti della commedia antica avevano accu-
sato certi Ateniesi di essere dei cripto-Sciti che perseguivano interessi
contrastanti con quelli dei veri Ateniesi. Come fa Eschine con Demo-
stene, questi individui erano dipinti come dei nemici interni. L'accusa
fu lanciata contro un certo numero di individui associati con un certo
numero di popoli non greci, tra i quali erano predominanti i Traci, men-
tre gli Sciti erano meno comunin4 •
A parte la storia piuttosto dubbia di Gilone, non c'è documentazio-
ne certa di matrimoni di uomini ateniesi con donne scite, a differenza
di quanto avveniva in Tracia. Il padre o il nonno di Evado potrebbe es-
sere uno di questi, perché negli Acarnesi viene dipinto in maniera ana-
loga a quella in cui Eschine dipinge Demostenem Questa assenza di ma-
trimoni potrebbe trovare parziale spiegazione nella legge sulla conces-
sione della cittadinanza promulgata da Pericle nel 451, che richiedeva
che entrambi i genitori fossero cittadini ateniesi. Già prima del45 I Ate-
ne intratteneva rapporti con la Tracia, mentre per quanto riguarda la
Scizia sarebbero stati molto limitati, se si esclude l'istituzione del cor-
po degli arcieri. In ogni modo, tenendo conto di tutte queste cose, l'as-
senza di matrimoni con donne scite appare in primo luogo un sintomo
"' o. BRAUND, Greeks and barbarians: the Black Sea regio n and hellenism under the early Roman
empire, in s. ALCOCK (a cura di), The Early Roman Empire in the East, Oxford 1998, pp. 121·36.
"' Archaeological Map o/ Nymphaeum, Warszawa 1999.
'" HALL, Lawcourt dramas ci t.
'" T. LONG, Barbarians in Greek Comedy, Carbondale-Edwardsville 1986, fornisce 113 esempi.
'" ARISTOFANE, Acamesi, 7ro; fr. 424 Kassei-Austin e commento relativo.
34 Gli «altri» e i Greci
della diffidenza nei confronti degli Sciti; atteggiamento che Eschine cer-
ca di sollecitare nei confronti dell'avversario Demostene.
Diffidenza confermata da mito e religione. Come abbiamo visto, la
Tracia aveva una posizione di rilievo nell'ambito della religione greca e
il culto tracio trovò accoglienza ad Atene; non cosi la Scizia. Secondo
Erodoto, in Scizia ci sarebbero divinità paragonabili a quelle greche che
però conservano il nome locale; affermazione che possiamo significati-
vamente contrapporre alla sua riduzione delle divinità tracie alla loro
identità greca 136 I Greci insediati sulle coste del Mar Nero ritenevano
che gli Sciti discendessero da Eracle, per il tramite del suo figlio eponi-
mo Scita, il piu giovane dei tre rampolli da lui generati in seguito all'unio-
ne con una creatura «viperina» del luogo, metà donna e metà serpen-
tem Il fatto di essere narrata da Erodoto assicurò a questa storia ampia
diffusione. Un vaso apulo piuttosto enigmatico e risalente agli ultimi de-
cenni del IV secolo a. C. conferma l'esistenza di miti connessi; vi sareb-
be infatti raffigurato il re Scita seduto in trono e in atto di dare udien-
za su un caso riguardante Eracle. Il vaso è isolato, ma un precedente ac-
cenno a Scita, in Esiodo 138 , indica che il racconto potrebbe risalire a un
antico mito; d'altra parte è lecito ipotizzare che il vaso raffiguri una sce-
na teatrale, oltre che una scena mitica 13'
In proposito, i T auri vanno considerati con particolare attenzione. Ero-
doto dice molto chiaramente che non sono sciti 140 • Pure Euripide, nella
sua fondamentale tragedia Ifigenia in Tauride, non li definisce sciti. Tut-
tavia esiste una tendenza, ricorrente nell'antichità, a usare il termine« sci-
ta» in un'accezione piu ampia, applicandolo a popoli e territori ubicati in
senso lato a nord e a est del Mediterraneo. Cosi, per esempio, Luciano,
nel II secolo a. C., trasforma addirittura Salmoside in uno Scita, nono-
stante sia una figura di spicco della Tracia. Malgrado le precise distinzio-
ni di Erodoto, diventò piuttosto abituale, nei secoli successivi, conside-
rare i T auri una specie di popolo scita141 • Di conseguenza, la tradizione se-
.,. La religione scita è stata oggetto di notevole interesse da parte dell'indagine speculativa
contemporanea. Per un'analisi informata e meditata cfr. YU. usTINOVA, The Supreme Gods of the
Bosporan Kingdom, Leiden 1999.
m ERODOTO, 4.8-10 .
.,. Se ESIODO, fr. 150, va letto in questo modo.
"' M. SCIIMIDT, A. D. TRENDALL e A. CAMBITOGLOU, Eine Gruppe apu/ischer Grabvasen in Base/,
Baselt976, pp. 94-108, che prendono in considerazione anche il racconto, sebbene sia un po' trop-
po presto per questo.
••• ERODOTO, 4-99·
••• LUCIANO, Scita, 1, dove si parla di Salmoside come di uno scita. È insieme curioso e inte-
ressante che il vaso apulo di Basilea mostri Artemide e la sua statua lignea sopra una scena in cui
è raffigurato il re Scita.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 35
condo cui Ifigenia sarebbe stata sottratta al sacrificio esiliandola come sa-
cerdotessa presso i T auri insediati nella parte sud-occidentale dell'odier-
na Crimea può considerarsi in qualche modo un collegamento tra Sciti e
religione greca. Ifigenia, infatti, riportò in Grecia la statua lignea dell' Ar-
temide T aurica, il cui possesso era rivendicato da Atene (ad Ale d' Arafe-
na), Sparta e altre città142 • Nel Tossari Luciano immagina addirittura che
a trarre in salvo Ifigenia siano stati Oreste e Pilade, finiti in mano ai T au-
ri, e onorati dagli stessi come eroi per l'edificazione della gioventu scita.
D'altra parte, in epoca ellenistica, se non già nel v secolo a. C., la città di
Chersoneso, fondata nelle vicinanze dei T auri nella parte sud-orientale
dell'odierna Crimea, celebrava nella storia civica e nella coniazione il pos-
sesso della divinità taurica chiamata «la Vergine» (Parthenos) 14'
Comunque, questi esempi servono piu che altro a sottolineare la dif-
fidenza dei Greci nei confronti della Scizia, in quanto non si tratta al-
tro che di eccezioni di scarsa rilevanza e interesse rispetto alla regola.
Eracle fu costretto a generare Scita e poi abbandonò prontamente il pae-
se, nel quale era peraltro capitato soltanto perché stava girando attorno
all'Oceano e, partito dalla Spagna, avrebbe raggiunto la Grecia attra-
verso la Scizia. Per quanto riguarda Ifigenia, la Scizia è in sostanza un
luogo remoto in cui trova rifugio, e la cui incompatibilità viene ribadi-
ta da Euripide. Terra tanto piu incompatibile perché vi avrebbe avuto
la funzione di preparare al sacrificio i Greci finiti in mano ai T auri. L'ap-
propriazione della dea da parte della città di Chersoneso si spiega uni-
camente ipotizzando che sia passata a un atteggiamento amichevole nei
confronti dei Greci, secondo un modello osservabile anche altrove
nell'area, in base al quale i Greci sostenevano di aver trasformato pra-
tiche locali ostili nella «civiltà» ellenica grazie alloro insediamento sia
nella regione di Fasi, a est, sia nel bacino del Mar Nero (Ponto Eusino)
in generale, che sarebbe stato cosi trasformato da «inospitale» ('.Asevoç)
in «ospitale» (EiJsetvoç) 144 • Naturalmente questa è la versione autocele-
brativa fornita dall'imperialismo culturale, cui si contrappone la visio-
ne di Strabone secondo cui l'insediamento greco avrebbe danneggiato
gli Sciti. Visioni peraltro abbastanza facilmente conciliabili nel segno
del prezzo da pagare per l'incivilimento.
142
PAUSANIA, 3. r6. 7·9·
'" A. CIIANIOTIS, Historie und Historiker in den griechischen Inschriften, Stuttgart 1988, pp. 300-r,
sul posto da essa occupato nella storia della città di Sirisco. Sulle monete cfr. M. J. PRICE, Syl/oge Num-
morum Graecorum IX:The British Museum, I:the Black Sea, London 1993.
'" Per illustrare nuovamente l'affermazione secondo cui gli Sciti avevano in odio qualsiasi in-
fluenza straniera e, in modo particolare, aborrivano quella greca cfr. IIARTOG, Le miroir cit., sulle
somiglianze.
36 Gli <<altri)) e i Greci
"'ERODOTO, 4·59·
'" Ibid., 4· 78-8o.
,., Potrebbe trattarsi di Bel'sk; cfr. B. A. SIIRAMKO, Bel'skoye gorodishche skifskoy epokhi (go-
rod Ge/on), Kiev 1987.
••• BRAUND, Georgia cit., pp. 38-39.
••• Ancora una volta Erodoto mette in luce l'inconsistenza del «miraggio»: cfr. 4.66 sul me-
scolare acqua e vino; 6.75-84 su Cleomene, dove riporta la vicenda degli Spartani e ciò che ne di-
cono, ma non avaUa per nulla il loro racconto.
no Oltre al racconto di Erodoto cfr. LUCIANO, Scita; ID., Tossari.
Braund L'impatto sui Greci di Traci e Sciti 37
"' ANACREONTE, frr. 347, 417, 422 Campbell; cfr. Antologia Patatina, 7.27. Naturalmente,
nella poesia di Anacreonte emerge pure una certa conoscenza degli Sciti o, se non altro, il «mi-
raggio» scita: fr. 356 Campbell sulla maniera scita di bere.
"' Per il vino cfr. ibid.; ERODOTO, 6.84 su Sparta (ma vedi sopra, nota 149). Per lo scalpo,
SOFOCLE, fr. 473 Lloyd-Jones; ERODOTO, 4.52.
'" K. MARCIIENKO, Varoary v sostavye naseleniya O!' vii, Moskva 1988.
117 PRICE, Syl/oge ci t.
!VANA SAVALLI-LESTRADE
ne, per esempio dei Lidi e dei Cari a Sardi, nell'ultimo terzo del IV se-
colo a. C. 4 I secondi, sostanzialmente di ceppo frigio, hanno fatto l' espe-
rienza della colonizzazione macedone, attraverso le fondazioni (o rifon-
dazioni) di Laodicea, Apamea Celene, Sinnada, Docimeo, ma hanno sal-
vaguardato l'insediamento originario, e, a giudicare dalle numerose
dediche e confessioni in greco e dalle iscrizioni (imprecazioni funerarie)
in neo-frigio del 11 e 111 secolo d. C., tradizioni cultuali e linguistiche ori-
ginali; la Frigia orientale, in cui vennero confinati i Galati verso il 260
a. C., su bi certamente una profonda mutazione etnica e culturale, oltre
che politica, difficilmente apprezzabile a causa della scarsezza di fonti
scritte'. Le popolazioni della Licia, della Pisidia, della Licaonia e della
Cilicia hanno anch'esse mantenuto a lungo la propria identità, grazie,
in parte, all'isolamento procurato dal rilievo orografico (monti del Cra-
go e dell' Anticrago, catena montuosa del Tauro e dell' Antitauro): la pe-
netrazione della cultura greca, sovrapposta in alcuni casi (vallata dello
Xanto; santuario di lerapoli-Castabala) a una diffusa iranizzazione, non
è riuscita a cancellare la specificità di queste società dominate da una
aristocrazia guerriera largamente autonoma. I popoli del settore orien-
tale (Ponto, Armenia, Cappadocia) ci sono in gran parte sconosciuti: sot-
toposti al potere di signorotti locali piu o meno iranizzati, essi parlava-
no una moltitudine di lingue o dialetti di cui non sussiste alcuna traccia
scritta6 ; le differenze andarono col tempo smussandosi: a proposito del-
la Cappadocia, Strabone nota che alla sua epoca i Cataoni non si di-
stinguevano piu dagli altri Cappadoci né per lingua né per costumi, e
giudica stupefacente la rapidità con cui i segni della loro Ò.À.À.oEitvi.a (dif-
ferenza di razza) scomparvero7
Questa breve e incompleta panoramica vorrebbe innanzitutto porre
l'Anatolia indigena sotto il segno delnobu1ov, cioè della varietà, eri-
cordare che ciò che di essa sappiamo dipende in grande misura dalla tra-
dizione greca, a sua volta tributaria di informatori indigeni bilingui8 • A
meno di aver parlato e scritto in greco, la maggior parte dei popoli in-
digeni sfugge alla nostra conoscenza, vuoi perché le fonti in lingua in-
digena non sono state ancora per nulla o poco decifrate, vuoi soprattutto
• o. MASSON, L' inscription d' Ephèse relative aux condamnés à mort des Sardes («I .Ephesos 2 »), in
«Revue des Etudes Grecques», C (1987), pp. 224-39.
' Sulla sopravvivenza delle lingue indigene anatoliche cfr. in generale s. MITCHELL, Anatolia,
Land,Menand Gods in Asia Minor, Oxford 1993, pp. I]I·]7, e M. SARTRE, L'AsieMineureet l'Ana-
tolied'Alexandreà Dioclétien, rv's.av ].-C./rrfs.ap.].-C., Paris 1995, pp. 315·18.
• All'emporio di Dioscuriade, nella Colchide, si recavano secondo STRADONE, 1 1.2. 16, set-
tanta, secondo PLINIO, Naturalis historia, 6.j.Ij, centotrenta tribu di lingua diversa.
7
STRADONE, 12.1.2.
• D. ASIIERI, Fra iranismo e ellenismo, Bologna 19&3, pp. 18-28.
Savalli-Lestrade I Greci e i popoli dell'Anatolia 41
'G. IIOWERSOCK, Hellenism in Late Antiquity, Cambridge 1991, pp. 9-ro [trad. i t. Roma-Bari
1992].
42 Gli <<altri» e i Greci
10
s. IIORNBLOWER, Mausolus, Oxford 1982, pp. I-I4.
"cALLISTENE, FGrHist, 124 F 25.
12
IIORNBLOWER, Mauso/us ci t., p. 3 I 7.
" R. MEIGGS e D. LEWIS, A Selection of Greek Historical Inscriptions to the End o/ the Fi/th Cen-
tury B.C., Oxford I988, n. 32; cfr. B. VIRGILIO, Conflittualità e coesistenza fra Greci e non-Greci:il
caso di Alicarnasso nel v sec. a. C., in ID. (a cura di), Studi ellenistici, II, Pisa I987, pp. 109-27.
" ERODOTO, 7-99-2, scrive che Artemisia era di Alicarnasso per parte paterna, e cretese per
parte materna; IIORNBLOWER, Mauso/us cit., p. Io, nota 49, pensa, sulla base dell'onomastica, che
Ligdami fosse in realtà di origine caria.
"ERODOTO, 5.II8-2I, e IIORNBLOWER, Mausofus cit., p. 26, nota 161, e p. 59, nota 6o.
" SCILACE DI CARIANDA, fGrHist, 709 T I.
Savalli-Lestrade I Greci e i popoli dell'Anatolia 43
0
' L. RODERT, Etudes anatoliennes, Paris 1937, pp. 84-85.
"HORNBLOWER, Mausolus cit., pp. 3I4 sg., discute in dettaglio la documentazione archeolo-
gica concernente Eraclea del Latmo, Alinda, Uromos-Euromos, Callipoli, Bargilia, Cauno; l'in-
tervento degli Ecatomnidi ad Alinda sembra ben netto: cfr. ROBERT, Fouilks d'Amyzon cit., pp.
6-q e 92; l'ipotesi che la metonomasia dell'antica Latmo in Eraclea sia da ascrivere agli Ecatom-
nidi dev'essere definitivamente abbandonata: cfr. sotto, p. 48.
" fonti: STRABONE, I 3· 1.59; VITRUVIO, /oc. cit. alla nota I8; PLINIO, 5· 107. Cfr. HORNBLOWER,
Mausolus cit., pp. 78-87 e 297-305.
"PSEUDO-ARISTOTELE, Economico, 2.13a, con iJ commento di B. VAN GRONINGEN, Aristote, /e
second livre de I'Economique, Leyde I933. pp. 97-99. L'episodio è da situare nel periodo della ri-
volta dei satrapi- dal 366 al 359/358 a. C. -che Mausolo abbandonò nel 362 a. C.
"SIG', I67.
Savalli-Lestrade I Greci e i popoli dell'Anatolia 45
termine dalla moglie Artemisia: Vitruvio non a caso scriveva che Ali-
carnasso era disposta come un teatro intorno al Mausoleo 26 • Se una ri-
costruzione affidabile dell'edificio è oggi impossibile, le descrizioni tra-
mandate dagli autori antichi fanno pensare che i suoi ideatori si siano
ispirati a modelli lici (podio), greci (colonnato ionico) e locali (tomba pi-
ramidale). Questo eclettismo- che i resti della decm;azione comprova-
no - potrebbe essere considerato la migliore illustrazione del genio di
Mausolo e piu in generale dell'orientamento culturale dell'alta società
caria verso la fine dell'età classica.
La dinastia ecatomnide mantenne il potere per circa trent'anni do-
po la morte di Mausolo. Il fratello minore di Mausolo, Pissodaro, de-
stituila sorella Ada e rafforzò i legami con la Persia, dando in moglie
sua figlia a un nobile iranico, Orontobate. Nel334, Alessandro Magno
attaccò Alicarnasso e la distrusse da cima a fondo. I suoi generali T olo-
meo e Asandro sconfissero Orontobate, rimasto in possesso di alcune
città carie (Mincio, Cauno, Tera, Callipoli). Stando a Diodoro, Ales-
sandro trattò generosamente le città greche, garantendo loro l'autono-
mia e l'esenzione dalle imposte. Frattanto Ada, che dal 341 si era riti-
26
VITRUVIO, 2.8. I I.
cola città di Pidasa ospitava ancora degli indigeni nelle sue mura, evi-
dentemente perché le leggi o i costumi locali non scoraggiavano le unio-
ni con donne barbare. Possiamo ritenere che la situazione di Pidasa fos-
se condivisa da un gran numero di piccole città carie, il cui livello d'elle-
nizzazione non era tale da erigere barriere sociali insormontabili con le
comunità indigene della Caria «profonda>>: ettv11, ÒflJ.LOl, xotva, XOOJ.Lm.
Tutte queste entità hanno in comune, quale che sia il nome dato loro dal-
le fonti, di non essere città. Orbene, ancora nel 1 secolo a. C. e oltre, sus-
sistevano, in Caria come in altre regioni dell'Asia Minore, numerose
strutture prive dello statuto di polis e ben desiderose di attenerlo dalle
autorità romane 32 • Può darsi che la persistenza delle comunità indigene
sia da collegare in parte, nel caso della Caria, al peso di una lunga tradi-
zione di potere «dinastico», che non si concluse- come si potrebbe cre-
dere - con l'estinzione degli Ecatomnidi.
In effetti, un'area piu o meno estesa della Caria, centrata proprio
sull'antica capitale, Milasa, fu controllata successivamente per vari de-
cenni da generali macedoni indipendenti (Asandro, Eupolemo, Olimpi-
coP\ i quali ricalcarono di fatto le orme degli Ecatomnidi, assumendo
una politica fortemente dirigistica e autoritaria che lasciava poco spazio
alla crescita dell'autonomia civica, anche quando essi promuovevano lo
sviluppo delle città, attraverso nuove fondazioni o il rafforzamento di
poleis già esistenti. Uno straordinario documento recentemente pubbli-
cato sembra avvalorare questa ipotesi. Si tratta di una convenzione di
simpolitia tra Latmo (piu tardi chiamatasi Eraclea del Latmo) e Pidasa,
chiaramente imposta da Asandro, satrapo della Caria tra il 3 2 3 e il 3 13
a. C. 34 Il testo della convenzione prevede una vera e propria fusione tra
le due piccole città vicine, con una netta subordinazione di Pidasa a Lat-
mo, scelta evidentemente come centro della nuova struttura politica,
poiché è stipulato che i Pidasei saranno assegnati per sorteggio nel mo-
do piu equo possibile alle tribu già esistenti a Latmo. Due norme rive-
lano senza ambiguità l'ingerenza di Asandro nel progetto di simpolitia.
La prima stabilisce che venga creata una nuova tribu, composta di mem-
bri sorteggiati dalle tribu e fratrie di Latmo e di Pidasa, la quale porterà
il nome di Asandris: collocata a bella posta sotto l'egida tutelare di Asan-
dro, questa tribu sarà il simbolo dell'amalgama ideato dal satrapo-dina-
"Cfr. L. BOFFO, I re ellenistici e i centri religiosi dell'Asia Minore, Pavia r985, pp. 128·31 e
2 34-43·
16
o. CURTY, Les parentés légendaires entre cités grecques, Paris-Genève 1995, pp. r6o-63, r82-83.
Gli «altri» e i Greci
trattato nel 197 a. C., un regime politico chiaramente ispirato alle isti-
tuzioni cretesi, che comportava tra l'altro l'elezione annua di tre XOOf!Ot
dotati di poteri militari molto fortiJ7 Non sappiamo per quale ragione
il re seleucide abbia manifestato una devozione speciale verso determi-
nate divinità cretesi, né per quale motivo egli abbia fatto aQplicare il
modello istituzionale cretese a una comunità caria soggetta. E possibi-
le che quest'orientamento culturale cosi originale sia da attribuire all'in-
fluenza di un consigliere nativo di Creta o della Caria, o comunque ben
informato sugli usi e costumi dei due paesi. In ogni caso, le iniziative se-
leucidi e lagidi utilizzavano e pubblicizzavano tradizioni locali antiche,
che rafforzavano o riattivavano l'identità greca della Caria' 8
mento risalente all'età del bronzo, cosicché le gesta dei condottieri Glau-
co, Sarpedonte e Bellerofonte, tramandate dall'Iliade, che tanta parte
avranno nella rivendicazione di «grecità» da parte del popolo lido, so-
no per adesso inspiegabilmente prive di qualunque supporto storico_Del-
la conquista persiana della Licia, avvenuta nel 540 a_ C. ad opera del ge-
nerale medo Arpago, Erodoto evoca un solo episodio, relativo proprio
ai cittadini di Xanto. Costoro, dopo aver invano dato battaglia nella pia-
nura sottostante la città, radunarono sull'acropoli donne, vecchi, bam-
:r
Konana •
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Baris • •
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Laodicea •1"'{_ ~
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Colossi •
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Kidrama • Komarn! ~ 11
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Trebenna • •
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Elmali • ...,
::Jt • Podalia?
Choma •
ldebessos •
• Komba • Akalissos
• Ni.sa
• Kandyba
52 Gli <<altri>> e i Greci
" ERODOTO, I. 176. Questo episodio è peraltro un luogo comune retorico abbastanza frequente,
di cui esistono due doppioni per la stessa Xanto, al tempo della conquista di Alessandro Magno e
dell'attacco di Bruto: cfr. o. TREUBER, GeschichtederLykier, Stuttgart 188],pp. 135·36e 192·99.
0
La storia dei dinasti lici è tuttora ricca di misteri e le ipotesi avanzate dagli studiosi sono
spesso contraddittorie. La ricostruzione qui esposta è quella di J. oousQUET, Les inscriptions du
Létoon en l'honneurd'Arbinas et l'épigramme grecque de la stèle de Xanthos, in 11. METZGER (a cura
di), Foui/lesdeXanthos,lX, Paris 1992, pp. 154-87.
Savalli-Lestrade I Greci e i popoli dell'Anatolia 53
licio, ma in base ai nomi dei personaggi storici e delle divinità ivi men-
zionati se ne deduce che esso è una sorta di cronaca delle imprese mili-
tari e delle opere architettoniche realizzate da Gergis e da altri membri
della casata dall'epoca della guerra del Peloponneso al 360 circa. Il te-
sto greco è un poema redatto in onore di Gergis da un autore anonimo,
probabilmente ispirato dalle immagini del rilievo (vittoria del dinasta
contro sette opliti) e dal contenuto della cronaca licia (elevazione di nu-
merosi trofei a Zeus-Trqqiit). Il Monumento delle Nereidi, ricostruito
in una delle sale del British Museum, è un podio rettangolare calcareo
decorato da due fregi scolpiti con scene di combattimento, l'uno a ca-
rattere eroico (ispirato al tema dell'Amazzonomachia), l'altro a caratte-
re storico (assedio di una o quattro città; udienza agli ambasciatori del-
la città vinta), su cui si erige un tempio ionico periptero; numerose sta-
tue femminili di ninfe acquatiche - identificate per lungo tempo come
Nereidi - sono disposte tutt'intorno alla camera mortuaria, destinata,
secondo l'ipotesi corrente, ad Arbinas, e decorata da un fregio consce-
ne di caccia all'orso e al cinghiale, di sacrificio e di banchetto. Le scul-
ture del frontone orientale del tempio raffigurano il dinasta e la sua con-
sorte seduti in trono, quelle del frontone occidentale- mal conservate
- il dinasta come cavaliere vittorioso (fig. 3) 0
Piu o meno contemporaneamente ad Arbinas, un altro dinasta licio,
Pericle di Limira, si espande nella Licia centrale e orientale, da Fello a
Faselide, e tenta, senza successo, di conquistare Telmesso. Pericle si fe-
ce costruire un monumento funerario, scoperto negli anni sessanta, ele-
vato a bella posta su un'impervia collina con vista sul mare (fig. 4). La
camera mortuaria del dinasta è racchiusa entro un tempio ionico anfi-
prostilo, in cui quattro cariatidi sostituiscono le colonne delle facciate
nord e sud. I frammenti del decoro recano scene di guerra, con fanti e
cavalieri, tra i quali è possibile riconoscere lo stesso Pericle. Gli acroteri
del lato settentrionale raffigurano al centro Perseo che brandisce la testa
di Medusa (fig. 5), e alle estremità le due Gorgoni superstiti in fuga. Ispi-
rato all'Eretteo, il monumento funerario di Pericle è soprattutto inte-
ressante per la scelta iconografica degli acroteri, poiché il personaggio di
Perseo - il cui figlio Perse era, secondo quanto affermato dagli emissari
di Serse ad Argo, il capostipite dei Persiani- rappresenta (tra l'altro) un
tramite fra mondo greco e mondo achemenide, che sono i due poli cui-
" Sul decoro scolpito del Pilastro Iscritto cfr. P. DEMARGNE, Foui/les de Xanthos, I, Paris
1958, pp. 49-102, e Fouilles de Xanthos, V, Paris 1974, pp. rr 3-22; sull'iscrizione (E. KALINKA,
Tituli Lyciae lingua Lycia conscripti, Vienna 1901, n. 44) dr. ASIIERI, Fra iranismo cit., pp. 85-
105, e llOUSQUET, Les imcriptiom cit., pp. 161, 165, 167-71. Sul Monumento delle Nereidi cfr.
W A. P. CIIIJ.ns e P. DEMARGNE, Fouilles de Xanthos, VIII, Paris 1989.
Figura 3· Il monumento delle Ncrcidi, facciata orientale.
turali dominanti la Licia del periodo classico"". Va però detto che il mo-
tivo di Perseo non è allora una novità in Licia, al contrario. Fra gli af-
freschi che ornano le tombe scoperte nel 1970 a Kizilbel, presso Elmali
(Licia settentrionale), uno, datato intorno al 525 a. C., raffigura perso-
naggi del ciclo di Perseo, cioè la Gorgone, Pegaso e Crysaor4o; Questi di-
pinti mostrano che i signori di Xanto e di Limira non sono sorti dal nul-
la, ma ereditano una tradizione di apertura all'ellenismo e all'iranismo
largamente diffusa nell'aristocrazia licia già nel VI secolo a. C. Il Pilastro
Iscritto, il Monumento delle Nereidi e l' heroon di Pericle di Limira so-
no l'applicazione di un programma volto a glorificare le imprese- es-
senzialmente guerresche - dei dinasti, con una mistura originale di ele-
menti architetturali, iconografici e stilistici in cui s'intrecciano sostrato
indigeno e modelli orientale (assiro-achemenide) ed ellenico (tardoarcai-
co e attico). Ciò vale anche per la documentazione numismatica, carat-
terizzata dall'importanza del ritratto- in particolare nelle monete dei di-
nasti Mithrapata e Pericle (fig. 6) - e 9el culto di Atena4', e per quella
epigrafica, in cui il greco emerge timidamente come simbolo di prestigio
in possesso della classe dirigente, di fronte allicio, lingua del potere isti-
tuzionale e delle masse47 •
La difficoltà, per noi, è non tanto di stabilire il giusto dosaggio del-
le diverse componenti della cultura licia, ma di discernere il potenziale
indigeno nelle forme espressive complesse assunte da una ristretta élite
sociale. Per esempio, !imitandoci all'immagine dei dinasti, quale essa
traspare nei testi greci compilati dai loro cortigiani, vediamo che Ger-
gis si vanta, nel poema greco forse commissionato dal figlio Arbinas, di
aver superato nella lotta i suoi coetanei, di aver conquistato, con l' aiu-
to di Atena lTTOÀ.LJtOQTOç (<<devastatrice di città»), numerose acropoli,
donate come parte del regno ai suoi familiari, e di aver ucciso in un so-
lo giorno sette soldati arcadi. Similmente, nei due poemi composti
'' Cfr. J. BORCHHARDT, Die Bausku/pur des Heroons von Limyra, Berlin I976. Sul valore sim-
bolico di Perseo cfr. P. DEMARGNE, Athéna,les dynastes /yciens et /es héros grecs, in F/orilegium Ana-
to/icum (Mé/anges A. P/assart), Paris I978, pp. 100-1.
" Cfr. M. MELLINK, Foui/les d'E/mali en Lycie du Nord (Turquie). Découvertes préhistoriques et
tombes à/resques, in «Comptes rendus de]' Académie des lnscriptions et Belles-Lettres», I979, pp.
476-95; ID., Kizi/bel: an archaic painted tomb-chamber in northem Lycia, Philadelphia I 998.
" L'identificazione e l'interpretazione dei ritratti sulle monete dei dinasti ]ici sono all'origi-
ne di una ricca bibliografia, spesso contraddittoria. Per un primo orientamento cfr. w. SCHWABA-
CHER, Lycian coin-portraits, in Essays in Greek Coinage presented to Stanley Robinson, Oxford 1968,
pp. I I- I 2 3; piu di recente, J. ZAHLE, Penian satraps and Lycian dynasts. Tbe evidence of the diadems,
in Actes du 9• Congrès Intemationa/ de Numismatique, Berne I982, pp. IOI- I 2. Su Atena protettri-
ce dei dinasti ]ici cfr. DEMARGNE, Athéna cit., pp. 97-99-
47 Cfr. c. LE ROY, A propos de Mausole, in P. CARLIER (a cura di), Le Iv' siècle av. f.-C., appro-
•• Cfr. ASIIERI, Fra iranismo cit., pp. 85·Io5; 1. SAVAI.I.I, L'idéologie dynastique des poèmes grec-
ques de Xanthos, in «L' Antiquité Classique>>, LVII (I 988), pp. I 03-2 3; BOUSQUET, Les inscriptions ci t.
''Cfr. M. WORRLE, Epigraphische Forschungen zur Geschichte Lykiens IV, in «Chiron», XXI
(1991), pp. 203·17·
•• Cfr. E. LAROCIIE, Les dieux de la Lycie classique d'après /es textes lyciens, in H. METZGER (a cu-
ra di), La Lycieantique, Paris 1980, pp. I-6.
58 Gli «altri» e i Greci
" Cfr. Fouilles de Xanthos, VI, Paris 1979; ASHERI, Fra iranismo cit., pp. 107-23, con discus-
sione della bibliografia.
" Cfr. WORRLE, Epigraphische Forschungen cit., pp. 218-24.
" Cfr. la recente discussione di P. BRIANT, Cités et satrapes dans l'Empire achéménide: Xanthos et
Pixodaros, in <<Comptes rendus de I'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres», 1998, pp. 305-40.
6o Gli <<altri>> e i Greci
Apamea (188 a. C.) 61 • Fu solo nel 167 a. C., dopo tre rivolte e in segui-
to alla caduta in disgrazia di Rodi presso Roma, che i Lici poterono fi-
nalmente accedere all'indipendenza. La «guerra di liberazione» contro
Rodi deve aver acuito una coscienza «etnica» sempre viva e imposto la
creazione o lo sviluppo di strutture federali minime per coordinare le of-
fensive diplomatiche e militari. In base alla piu antica testimonianza sul-
la lega, un'iscrizione del 182 a. C. in onore di un importante cortigiano
del re Tolomeo V'2 , si può congetturare che i Lagidi abbiano aiutato i
loro antichi sudditi, col denaro o altri mezzi, ad affermare la propria in-
dipendenza. Polibio riferisce che due ambasciatori di Ilio perorarono
davanti ai commissari romani incaricati dell'amministrazione dell'Asia
Minore la causa dei Lici, in nome della «parentela» (obu:té)'tflç) che li
univa alla loro città" Il fatto rilevante per noi è che l'intervento di Ilio
si situa all'interno di una parentela triangolare fra Roma, Ilio e la Licia
tutt'intera, e che a quest'epoca, evidentemente, l'insieme della popola-
zione licia, quale che fosse la città di appartenenza, poteva vantarsi del-
le sue mitiche radici troiane e cercare di trame vantaggio a questo o quel
fine (culturale, religioso o, come qui, diplomatico). In realtà, solo alcu-
ne città licie, come Xanto, potevano esibire nel loro pedigree l' ascen-
denza troiana. Nel 196 a. C. proprio un cittadino di Ilio, il retore Te-
mistocle, figlio di Eschilo, ricevette una ricompensa di 400 dracme per
delle conferenze fatte a Xanto, in cui dovette certamente evocare la pa-
rentela tra la sua patria e la città ospitante'4 • Ma altri miti e leggende,
accuratamente riesumati, ricomposti ed esibiti come reliquie di un glo-
rioso passato autoctono e greco, rafforzavano i legami tra gruppi di città
licie, per esempio Pinara, Tlos, Xanto e Sidyma'5 Quando, all'inizio del
n secolo a. C., il xOLvov dei Lici entra sulla scena, esso ha già dietro di
sé una tradizione culturale «comune», intessuta di miti greci e di riela-
borazioni alla greca di leggende e realtà indigene, che sarà messa a frut-
to dopo la liberazione del 167, e ancora di piu dopo il42 d. C. Tra que-
ste due date è compresa la storia del xOLvov lido libero, che conosciamo
soprattutto grazie ai documenti epigrafici e che si presta a interpreta-
zioni divergenti.
" Sulla opacità delle clausole di Apamea relative allo statuto della Licia, dovuta forse al diva-
rio tra il diritto pubblico romano e quello greco in merito alle nozioni di «alleanza>> e di «dona-
zione», cfr. il recente contributo di A. BRESSON, Rhodes, Cnide et /es Lyciens au débutdu Ifsiècle,
in «Revue des Etudes Anciennes», C (1998), pp. 66-77.
62
OGIS, 99·
"POLIBIO, 22.5.2-3, e CURTY, Les parentés cit., n. 76, pp. 192·93·
•• Cfr. ibid.
" Cfr. ibid., n. 79, pp. 195-200.
62 Gli «altri» e i Greci
fieramente esibita dai dinasti dell'epoca classica, sembra essere stata una
caratteristica permanente e in fin dei conti improduttiva di una (larga?)
parte della popolazione licia. Sappiamo che il primo governatore della
Licia, Q. Veranio, provvide immediatamente a una riforma degli archi-
vi civici75 e alla misurazione delle distanze stradali tra Patara e le prin-
cipali città licie': la salvaguardia degli atti pubblici e privati e la sicu-
rezza della circolazione dei beni e delle persone erano evidentemente
problemi all'ordine del giorno.
Nella pace garantita dall'amministrazione e dalle legioni romane, i Li-
ci celebreranno, secondo un processo di idealizzazione frequente nell'uni-
verso ellenistico, l'unione e la concordia ancestrali. Qua e là, i monu-
menti votivi in onore di antiche divinità guerriere indigene spesso ano-
nime e il richiamo a leggende e tradizioni incentrate su bellicosi eroi
lido-greci lasciano ancora trapelare una identità «barbara» da molto, da
troppo tempo al cimento con l'egemonia politica e culturale altrui.
Duluk Tepe
•(Doliche) Urla •
(Edessa)
Gazi:ntep
......................................
S l R l A
66 Gli «altri» e i Greci
no (destra) che fuoriesce dal mantello ed è posata sul petto (fig. 8). As-
solutamente originale è il culto reso agli dèi (o al dio) Santo e Giusto
("Oowç xat ~txmoç), soprattutto in Frigia e in Meonia, e piu raramen-
te in Misia, Bitinia, Galazia, Licaonia e Panfilia, attestato sicuramente
nei primi tre secoli d. C., e forse già nel 1 secolo a. C. 78 Nelle stele voti-
ve questi dèi sono raffigurati molto spesso come due gemelli, mano nel-
la mano, Santo con uno scettro, Giusto con una bilancia (fig. 9). Asso-
ciati ad altri dèi, soprattutto a Helios e a Men, essi sono detti talvolta
«messaggeri» (<'iyyeÀ.m) di Helios o invocati sotto il nome di «occhio del-
la giustizia» (ò<p'fraÀ.!!Òç ~txl']ç). Dalle dediche piu dettagliate, appren-
diamo che Santo e Giusto vegliano al rispetto del giuramento e dell' one-
stà, da cui dipende, secondo la credenza popolare, il benessere indivi-
duale e collettivo: da ciò le invocazioni (private o pubbliche) a Giusto e
Santo concernenti la buona salute della famiglia e del bestiame, o la pro-
sperità del raccolto. L'esigenza morale espressa da questo culto è dun-
que direttamente legata alle preoccupazioni quotidiane di una società
paesana basata su un'economia di sussistenza e una norma di vita austera
e conservatrice. Non a caso uno storico cristiano del v secolo d. C. loda
proprio i Frigi, presso i quali il culto di Santo e Giusto è stato molto po-
polare, per la loro temperanza e la loro pietà79
Questi valori sono alla base di un fenomeno religioso caratteristico,
la «confessione», finora attestato soprattutto in Meonia (Lidia nord-
orientale) e in Frigia (santuario di Apollo Lairbenos, presso Ierapoli),
dal 1 al m secolo d. C. 80 Si tratta della dichiarazione, da parte del colpe-
vole, del delitto commesso, determinata non- come nel sacramento cri-
stiano- dal rimorso, ma dall'esperienza o dal timore del castigo divino
(malattia, morte, perdita di beni e simili), talvolta anche in seguito all'av-
vertimento di un sogno. L'espiazione consisteva appunto nell'atto di
pubblicazione della stele di confessione nel santuario della divinità in-
teressata, a maggior gloria della stessa. Qualche volta la riparazione del
torto esigeva inoltre la prestazione di un servizio (per esempio un de-
terminato numero di giornate di lavoro) a favore del santuario. Qualo-
ra il colpevole avesse pagato con la vita il proprio crimine, erano i fa-
miliari a effettuare la confessione, poiché il principio della solidarietà
78
Cfr. M. RICL, Hosios kai Dikaios, Première Partie· Catalogue des inscriptions, in « Epigraphica
Anatolica», XVIII (1991), pp. 1·70, e Seconde Partie Analyse, ivi, XIX (1992). pp. 71-102; G.
PETZL, Ein /riihes Zeugnis fur des Hosios·Dikaios-Kult, iv i, pp. I 4 3-46.
" Cfr. L. ROJJERT, Malédictionsfunéraires grecques, in <<Comptes rendus de l' Académie cles Ins·
criptions et Belles-Lettres», 1978, pp. 267-69 = OMS, V (1987), pp. 723-25.
80
G. PETZL, Die Beichtinschriften Westkleinasiens, in <<Epigraphica Anatolica», XXII (1994),
pp. I-175·
Figura 8. Zeus Ampelites, protettore del bestiame.
Figura 9· Gli dèi Santo e Giusto. Stele votiva dal santuario di Yayla Baba Koy (Frigia).
68 Gli <<altri~ e i Greci
•• lbid., n. 69.
•• È l'opinione di ID., Liindliche Religiositiit in Lydien, in E. SCIIWERTIIEIM (a cura di), For-
schungen in Lydien, XVII, Bonn 1995, pp. 37-48, con cui personalmente concordiamo.
70 Gli «altri» e i Greci
Figura I I.
" La dea, non equiparata ad altra divinità iranica, è menzionata nelle iscrizioni di Arsameia
sull'Eufrate, di Arsameia al Ninfeo e di Samosata, ma è sostituita in seguito dalla Commagene, per
ragioni religiose e simboliche.
" Cfr. G. PETZL, Die Epigramme des Gregor von Nazianz iiber Grabriiuberei un d das Hierothesion
des komma/!,ernischen Koni/!,s Antiochos I., in <<Epigraphica Anatolica», X (I987}, pp. I I 7-29.
76 Gli «altri» e i Greci
5- Itaca .
"K . KAVAFI S, ltaca, 34-36, in m., Poesie, trad. di F M. Pontani , Milano 1978, p. 1 2 1.
10
° Cfr. MELLINK, Fouilles d'E/mali cit., p. 48o; J. DEs couRTILs, L'antique cité de Xanthos
révélée par lesfouilles, in «Dossiers d' Archéologie», CCXXXIX (1998), pp. 18-27.
101
Cfr. ROBERT, Documents d'Asie Mineure XXVI1.2 cit., pp. 515-16.
ANTONIO PANAINO
r . L'eterno nemico?
* Abbreviazioni: a.ir. =antico iranico; a.p. =antico persiano; ar. =arabo; av. =avestico;
gr. =greco; m.p. = medio persiano; n.p. = neopersiano; pahl. = pahlavi; part. =panico; scr. =san-
scrito; ved. = vedico. Per le abbreviazioni relative alle iscrizioni achemenidi si veda R. G. KENT,
0/d Persian. Grammar Texts Lexicon, New Haven '9.:53 2 , pp. ro7-15.
1
Precisamente pana-, come sostantivo maschile (collettivo), significa <<Persia>> («popolo per-
siano»); come aggettivo, «persiano» (KENT, 0/d Penian ci t., p. 196; w. llRANDENSTEIN e M. MAYRllO-
I'ER, Handbuch des Altpenischen, Wiesbaden 1964, p. q8).
' Il termine iran deriva, attraverso il m.p. eriin, dal genitivo pl. di un a.ir. *aryanam «degli
Arya» (ovvero dei «nobili>>). Per una dettagliata disamina della questione si veda G. GNOLI, The
l dea o/Iran. An Essay on its Origin, Rome 1989. L'abituale denominazione dell'Iran come «Persia>>
è impropria e basata su un uso per antonomasia, giacché tale regione è stata politicamente il cuo-
re politico del mondo iranico. Sul piano scientifico tale uso non solo risulta erroneo, ma produce
incongruenze e contraddizioni quale quella di definire «persiani>> popoli come i Medi, i Parti, ecc.,
oppure di asserire, ad es., che i Battriani (popolo iranico orientale) vivevano in Persia (ossia nell'area
sud-occidentale dell'Iran).
1 G. w. F. HEGEL, Vorlesungen iiberdie PhilosophiederGeschichte (r837), in Werke, XII, Frank-
furt am Mai n 1979, pp. 215-36 [trad. i t. Firenze 1975, II, parte I]. Si veda anche A. PANAINO, La
Persia nel pensiero e negli scritti di Hegei, in <<Paideia>>, XLII, 4-6 (r987), pp. 193-213.
8o Gli «altri» e i Greci
«drauga->>:un confronto antico-persiano avestico, in «Atti del Sodalizio Glotto logico Milanese», XXVII
(1986) [1987], pp. 95-102; ID., Ancora sulle tre calamità, ivi, XXXII (1991) [1993], pp. 70-83.
7
Si veda la raccolta di fonti in H. HUMBACH, The Giithiis o/Zarathushtra and the Other 0/d Aves-
tan Texts, parte l, Heidelberg 1991, pp. 52-53. L'esistenza di un canone avestico in forma scritta
è per quest'epoca alquanto inverosimile.
8
Si veda la trattazione di A. ABEL, La figure d'Aiexandre en Iran, in La Persia e il mondo greco-
romano, Atti del convegno (Roma, r r-14 aprile 1965), Roma 1966, pp. 147-56.
' A. MOMIGLIANO, Saggezza straniera. L'Ellenismo e le altre culture, Torino 1980, p. 136.
10
J. NEUSNER, ]ews in Iran, in CHI, III/2 (r983), pp. 909·23; ID., Israel's Politics in Sasanian
Iran, New York London 1986, pp. 3·7; sulle persecuzioni antigiudaiche posteriori al concilio di
82 Gli «altri» e i Greci
cardare che la riduzione dello Yemen a stato vassallo dei Sasanidi a par-
tire dal 570 d. C. sotto Xusraw Anosag-ruwan (Cosroe I), per quanto
inserita nel quadro di una politica di aspro contrasto degli Etiopi, alleati
di Bisanzio, venne a sostenere la potente comunità ebraica locale 11 • A
questç> atteggiamento, mutatis mutandis, «medizzante» non fu estraneo
il ruolo già svolto dagli Achemenidi di fronte alla cattività babilonese
della comunità giudaica e nelle vicende legate alla ricostruzione del Tem-
pio di Gerusalemme. Non è pertanto accettabile che il paradigma de-
mocrazia versus imperialismo (ovvero tra ÈÀ.EUtl'EQOL e òoDÀ.m), ereditato
in modo estensivo dalle guerre persiane del v secolo, sia applicato nel
tardo antico, o addirittura sovrapposto, in modo piu o meno velato,
nell'analisi del conflitto tra cristianesimo e zoroastrismo, ovvero tra le
due religioni che diverranno ufficiali negli imperi romano e sasanide 12 •
Il rischio infatti è quello di una ideologizzazione della storia, per giun-
ta tendenziosamente etnocentrica. La storia delle lotte tra imperi e re-
ligioni nazionali non può essere pertanto separata dall'analisi dei feno-
meni ingeneratisi con la crisi spirituale dell'individuo dinanzi alla so-
cietà e ai culti tradizionali a partire dal m secolo a. C., e che nel mondo
greco si annuncia anche attraverso il decadimento dei «valori» della po-
lis; crisi spirituale che sfocerà non solo in un ritorno «al privato», ma
nell'insorgenza, oltre che del cristianesimo, dei culti misterici e orien-
tali; significativa sarà inoltre la dialettica tra la gnosi e i suoi movimen-
ti di diversa ascendenza, tra i quali, segnatamente il manicheismo, che
attraverserà il mondo eurasiatico contrastando sia il cristianesimo sia lo
zoroastrismo con un'abilità camaleontica di mimetismo culturale; sotto
questa luce, ovviamente, un'esegesi dello stesso manicheismo che non
sapesse prescindere dai limites politici, segnerebbe il passo dinanzi alla
ramificazione delle vicende storiche nonché alla varietà delle stesse fon-
ti, che indifferentemente ci giungono dall'Egitto, da Agostino, come
dalla cristianità greca, ma anche dall'Iran, dal mondo arabo-islamico
nonché dall'Asia centrale e dalla Cina.
Il presente capitolo vuole offrire una sintetica presentazione dell'evo-
luzione del mondo iranico dai primi rapporti con la civiltà greca sino al-
la caduta dell'impero sasanide sotto i colpi delle tribu arabe islamizza-
Quinisesto e i sentimenti filosasanidi delle comunità ebraiche nell'impero bizantino cfr. A. CARI·
LE, Materiali di storia bizantina, Bologna 1904, p. 56; si veda però anche G. WIDENGREN, The Status
o/ the ]ews in the Sassanian Empire, in «!ranica Antiqua», I (196!), pp. 117-62.
11
c. E. BOSWORTII, Iran and the Arabs be/ore Islam, in CHI, III/I (I98J), pp. 604-9-
u Estremamente illuminanti risultano le considerazioni di E. PARATORE, La Persia nella lette-
ratura latina, in La Persia e il mondo greco-romano cit., pp. 508-9, sul fatto che per i Romani l'im-
magine della «Persia» rimase quella di «una potenza dispotica, protervamente fastosa e satura di
ricchezze».
Panaino Greci e Iranici: confronto e conflitti 83
te, tratteggiando dialetticamente sia la visione che gli Iranici ebbero del-
la grecità, sia gli influssi che quest'ultima lasciò sull'Iran, all'interno di
una dimensione metodologica che privilegi la dinamica dei rapporti gre-
co-iranici nel contesto eurasiatico a una statica polarizzazione di oppo-
sti. Preme inoltre all'autore mostrare il ruolo intermediatorio dell'area
iranica, che, posta al crocevia di mondi lontani, ha svolto una funzione
non solo ostile, ma ha veicolato, non senza modificazioni ed elabora-
zioni autonome, idee, dottrine, nozioni ereditate dalla tradizione me-
sopotamica, greca, indiana e centrasiatica.
" Un'analisi della civiltà iranica che si muova esclusivamente nell'ambito della cosiddetta ere-
dità indeuropea o indoiranica risulta estremamente limitante e impedisce di collocare correttamente
i fenomeni di sinecismo maturati nel rapporto con Assiri, Babilonesi, Elamiti, Aramei, ecc. Su que-
sto problema cfr. GNOU, Politica religiosa presso gli Achemenidi cit., pp. 23-88; ID., Babylonian
influences on Iran, in Eir., III/3 (1988), pp. 334-36. Di recente BRosms, Women cit., pp. 14-17. ha
cercato di dimostrare che, in realtà, né Ciro Il né Cambise II sarebbero stati legati alla famiglia
achemenide, giacché nessuna iscrizione nota (a parte quella di Pasargade, che però sembrerebbe
essere probabilmente dell'epoca di Dario 1), elenca per Ciro I e Cambise I alcun antenato oltre a
T espi. Sarebbe quindi stato Dario I a falsificare la genealogia per legittimare la sua usurpazione
del potere reale. La perentorietà con cui tale soluzione viene presentata, quasi si trattasse di un da-
to ormai acquisito per certo, risulta a mio avviso forzata, in quanto, oltre alle iscrizioni di Dario,
abbiamo la testimonianza erodotea, che in due casi (J. 75, 7· I I) giustifica la discendenza da Ache-
mene; inoltre, il fatto che il sigillo n. 93 da Persepoli nomini Kurus (probabilmente Ciro l) come
«Anshanita» e «figlio di T espi» non basta a negare la parentela con Achemene, il quale, pur non
essendo nominato, non è neppure sostituito da un altro personaggio. Sulla questione, alquanto con-
troversa si vedano sia l'intervento (di segno opposto) di F. V ALLAT, Cyrus /'usurpateur, in «Topoi»,
suppl. 1 (1997), pp. 423-34, e le obiezioni avanzate da P Briant nella stesso volume, pp. 50-51.
" Per una trattazione dei rapporti tra identità persiana e aria (nel senso di iranica) si veda ol-
tre nel testo; in merito alle diverse liste delle satrapie, attestate nelle iscrizioni persiane, e in par-
ticolare nelle sequenze delle terre e popoli (a. p. d4hyu-) dell'impero soprattutto attraverso il regno
di Dario I e di Serse, si rimanda agli studi di c. IIERRENSCHMIDT, Désignation de/' empire et concepts
politiques de Darius I d' après ses inscriptions en vieux-perse, in «Studia Iranicu, V (1976), pp. 33-
65; ID., Lescréations d'Ahuramazda, ivi, VI (1977), pp. 17-58; ID., La Perse, rien que la Perse e La
première royauté de Darius avant /' invention de la notion d'empire, entrambi in Pad niim i Yazdan.
86 Gli «altri» e i Greci
Non solo quindi gli Achemenidi rispetteranno, nei limiti del possibile,
le leggi locali e il diritto consuetudinario dei diversi popoli sottomessi,
ma eviteranno di provocare inutilmente le genti sconfitte imponendo (al
di là del dovuto tributo, dell'accettazione di una guarnigione sotto il
controllo di un satrapo) culti stranieri o lesivi della tradizione. In que-
sto senso la politica di alleanza con le forze locali già si manifesta nella
scelta di Ciro II di accompagnare in processione il dio Marduk e so-
prattutto di attribuire a Babilonia uno status speciale (poi revocato da
Serse in seguito alle ribellioni del 484 e 482) 26 . Con questi atti sostan-
ziali i Persiani sfruttarono, al fine di ottenere consenso, le lotte interne
a Babilonia, scaturite sotto il regno di Nabonedo, che aveva svilito il
culto di Marduk a favore di quello di Sìn27 In questo programma ven-
gono a inserirsi documenti quali la «lettera» del re Dario al satrapo Ga-
data, conservata su di un'iscrizione greca ritrovata a Magnesia sul Mean-
dro28. In tale «lettera», il Re dei Re loda Gadata, probabilmente satra-
po della Ionia, per i lavori agricolF' realizzati tra l'Eufrate e le rive
dell'Asia Minore, ma lo rimprovera anche per aver cercato di esigere
un'imposta dai giardinieri del tempio di Apollo, dispiacendo cosi ai sen-
timenti dei suoi antenati verso un dio che aveva sempre detto la verità
Etudes d' épigraphie, de numismatique et d' histoire de /'Iran ancien. Travaux de /' Institut d' Etudes ira-
niennes, 9, Paris 1979, pp. 5-zr e Z3·3J, dai quali si evince che la nozione di «Centro», rappre·
sentato dalla Persia, si estende progressivamente sino a inglobare le altre regioni abitate da genti
di stirpe aria.
" Cfr. M. DANDAMAYEV, lranians in Achaemenid Babylonia, Costa Mesa- New York 199z.
"J. HARMAITA, Les modèles littéraires de l'édit babylonien de Cyrus, in Commémoration Cyrus.
Hommage Universel, Téhéran-Liège 1974, l, pp. z9-44; w. EILERS, Le texte cunéi/orme du cylindre
de Cyrus, in Commémoration Cyrus cit., II, pp. z5-34; w. VON SODEN, Kyros und Nabonid. Propa-
ganda und Gegenpropaganda, in Kunst, Kultur und Geschichte der Achiimeniden:zeit und ihr Fortleben,
«Archiiologische Mitteilungen aus Iran>>, suppl. ro, Berlin 1983, pp. 6r-68. Un diverso punto di
vista nell'interpretazione del conflitto tra Nabonedo e il clero babilonese è proposto invece da H.
LEWY, The Babylonian background o/ the Kay Ktius "Legend", in <<Archiv Orient:i.lni», XVII (1949),
pp. 28-109, e daJ. LEWY, The 14te Assyro-Babylonian eu/t o/ the Moon and its culmination at the ti-
me o/ Nabonidus, in «Hebrew Union College Annuah>, XIX (1945·46), pp. 405-89.
" Il testo con traduzione, bibliografia e commento in BRANDENSTEIN e MAYRHOFER, Handbuch
ci t., pp. 91-98. Cfr. anche P. LECOQ, Les inscriptions de 14 Perse achéménide, Paris 1997, p. 277; D.
METZLER, Bemerkungen :zum Brie/ des Darius an Gadatas, in <<Topoi», suppl. 1 (1997), pp. 323-32.
29
L'importanza assunta nell'Iran achemenide dall'agricoltura e dalle opere di canalizzazione
delle acque e di irrigazione fu colta anche dalle fonti classiche (SENOFONTE, Economico, 4-4; ID.,
Ciropedia, 8.6.16; POUBIO, 10.28); un giudizio positivo verso tali attività è espressamente formu-
lato nel cap. 111 del Widewdad avestico, su cui cfr. F. A. CANNIZZARO, Il capitolo georgico dell'Ave-
sta, Messina 1913 (incluso nell'ed. postuma del Vendidad, Messina 1916 [rist., con postfazione di
A. Panaino, Milano 1990, pp. 23-66]). Sulle problematiche economiche cfr. P. BRIANT, Etat et pa-
steurs au moyen-orient antique, Paris-Cambridge 1982; ID., Rois, tributs et paysans, Paris 1982; L.
CAGNI, Aspetti dell'economia regia ne/14 Mesopotamia achemenide, in Stato economia 14voro nel Vici-
no Oriente antico, Atti del convegno internazionale (Firenze, 29-31 ottobre 1984), Milano 1988,
pp. 156-66; 11. GOBLOT, Lesqanats. Unetechniqued'acquisitionde l'eau, Paris- New York- La Haye
1979·
Panaino Greci e Iranici: confronto e conflitti
17
G. G. CAMERON, Persepolis Treasury Tablets, Chicago 1948; R. T. HALLOCK, Persepolis Forti/i·
cation Tablets, Chicago 1969.
18
R. A. BOWMAN, Aramaic Ritual Texts /rom Persepolis, Chicago I970; in verità non si tratta
di testi rituali, ma di documenti di differente natura, su cui cfr. R. T. HALLOCK, Aramaic in the
Achaemenid Empire, in CHI, II cit., pp. 704·5. Sulle cosiddette Nebenuberlieferungen si rimanda a
w. HINZ, Neue Wege i m Altpersischen, Wiesbaden I 97 3; m., Altiranisches Sprachgut der Nebenuber-
lieferungen, Wiesbaden 1975.
19
Merita attenzione la teoria formulata da I. GERSHEVITCH, The alloglottography o/ 0/d Per-
sian, in «Transactions of the Philological Society>>, I979, pp. I 14-90, secondo il quale, in prima
battuta, l'elamico sarebbe stato utilizzato già a Bisutun da scribi bilingui che avrebbero <<elamo-
grafato» il testo antico persiano formulato da Dario I e che quindi la versione elamica potesse es-
sere direttamente <<riletta» in persiano.
40
ERODOTO, 4.87. Erodoto afferma che le iscrizioni (yQ<illi!UYu) sarebbero state una in carat-
teri «assiri» (Èç ttìv 'AooUQla), l'altra in lettere «greche» (Èç OÈtiJv'EÀÀT]VlKa); si noterà però che sot-
to la designazione di étooilQLU yQ<i!li!UTU Erodoto potrebbe riferirsi alla foggia dell'iscrizione (ov-
vero all'uso del cuneiforme), piuttosto che alla lingua. Sulla questione relativa alla capacità o me-
no dei Greci di distinguere effettivamente tra il sistema cuneiforme accadico e persiano si veda la
discussione offerta da LECOQ, Le problème cit., pp. 100-2; cfr. anche R. SCHMITT, Assyria gramma-
ttJ und iihnliche: Was wu/Sten die Griechen von Keilschrift und Keilschriften?, in c. w. MULLER, K.
S11ER e J. WERNER, Zum Umgang mit /remdem Sprachen in der griechisch-romischen Antike, Stuttgart
1992, pp. 21·35·
" Si rimanda alla trattazione di HUYSE, Die Begegnung ci t., pp. I00-2.
" Su questo tema si rimanda alla trattazione di MOMIGLIANO, Saggezza cit., pp. 150-54, 171.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti
" o. ASIIERI, Fra Ellenismo e Iranismo, Bologna I983, pp. 18·226; una serie interessante di ca·
si di interpreti e intermediari capaci di tradurre dal greco al persiano e viceversa è raccolta alle pp.
2 I-22. Una visione d'insieme delle iscrizioni greche d'Asia Minore con riferimento al mondo ira-
nico è offerta da HUYSE, Die Begegnung cit., pp. Ioz-6.
" F. JUSTI, Iranisches Namenbuch, Marburg I895; E. BENVENISTE, Titres et noms propres en ira-
nien ancien, Paris I966; R. SCHMITT, Die Iranier-Namen bei Aischy/os, Wien 1978; ID., Achaimeni-
disches bei Thukidides, in Kunst, Ku!tur und Geschichte cit., pp. 69-86; ID;.t Die Wiedergabe irani-
scher Namen bei Ktesias von Knidos im Vergleich zur sonstigen griechischen Uber/ieferung, in J. HAR·
MATTA (a cura di), Prolegomena to the Sources on the History of Pre-Islamic Centra/ Asia, Budapest
I 979, pp. I I 9-33; R. scHMITT, The Medo-Persian names of Herodotus in the light o/ the new evidence
/rom Persepo/is, in «Acta Antiquae Academiae Hungaricae», XXIV (1976) [1979], pp. 25-45; PII.
IIUYSE, lranische Namen in den griechischen Dokumenten aus Agyptens, Wien 1990.
41
Si rimanda a BENVENISTE, Re/ations cit., pp. 479-87.
" Sebbene il passo fosse stato da principio interpretato come privo di senso, già I. FRIEDRICH,
Die altpersische Stelle in Aristophanes' «AchamemJ> (V roo), in «Indogermanische Forschungen>>,
XXXIX (I92I), pp. 92-103, ne aveva dimostrato l'iranicità; cfr. ora w. BRANDENSTEIN, Der persi-
sche Satz bei Aristophanes, 'Axat;m)ç, vers roo, in« Wiener Zeitschrift fiir die Kunde des Siidasiens>>,
VIII (I964), pp. 43-58, nonché BRANDENSTEIN e MAYRHOFER, Handbucb cit., p. 9I; LECOQ, Les in·
scriptions cit., pp. 57-58.
47
Si veda s. MAZZARINO, Fra Oriente e Occidente, Firenze 1947, pp. I09 sgg.; si veda anche
nella tradizione indiana l'uso del scr. yavana-; sulle altre forme, alcune di origine iranica, come for-
se Yona nelle iscrizioni di Asoka, cfr. M. MAYRHOFER, Kurzgefafites etymo/ogisches Worterbuch des
11/tindischen, III, Heidelberg I976, p. 9· Molto interessante il contributo di R. ROLUNGER, Zur Be-
zeichnung von «GriechenJ> in Keilschrifttexten, in «Revue d' Assyriologie>>, XCI (I997l, pp. I67-72.
Sulla questione si veda P. CALMEYER, Zur Rechtfertigung einiger Grosskoniglicher Inschri/ten und Dar-
ste!lungen: die Yauna, in Kunst, Kultur und Geschichte ci t., pp. 154-67.
90 Gli <<altri» e i Greci
Figura r. Guardie mede e persiane sulla facciata est della scala nord del Tripylon (Persepoli).
Yaunii takabarii, ovvero «gli Ioni (cioè i Greci) che portano il petaso»48 ;
tra le genti che sono rappresentate nel sorreggere il trono di Artaserse
II (o III) a Persepoli (A ?P), si trovano nuovamente le didascalie (nella
versione in antico persiano): iyam Yaunii•~' (n. 23), «questi è un 'greco'»,
e iyam Yauna takabarii''"' (n. 26), «questi è un 'greco' che indossa il pe-
taso»4'. In DPe (r r-13) sono elencati tre gruppi di «Greci»: Yaunii tayaiy
uskahyii («l Greci che sono sulla terra») utii tayaiy drayahyii («e quelli
che sono sul mare») utii dahyiiva tayii para draya («e i popoli che sono ol-
tre il mare»), ovvero vengono distinti i Greci che si trovano sulle coste
dell'Asia Minore sia da quelli del mare (o che dimorano nelle isole) sia
dai Greci continentali. La satrapia comprendente la Tracia (e in parte
la Macedonia) prendeva invece il nome di Skudra (a. p. sa-ku-u-da-ra)5°,
ma l'origine di tale designazione, talvolta apparentata a un dialetto sci-
tico, resta incerta.
Ritornando alla questione del multilinguismo dell'impero persiano,
noteremo che l'età achemenide favori la diffusione dell'aramaico come
lingua cancelleresca; gli effetti di questo impiego, testimoniato dai do-
cumenti della comunità ebraica di Elefantina51 (tra i quali anche la cele-
bre versione dell'iscrizione di Bisutun) 52 o dalla trilingue lido-greco-ara-
maica rinvenuta nell'area del Letoo di Xanto5' , si lasciano valutare in
tutta la loro ampiezza in epoca tardo antica, quando gran parte delle
scritture epicoriche dell'Iran occidentale e orientale, quali il partico, il
medio persiano, il sogdiano e il coresmio, non solo si presenteranno co-
me un'evoluzione di quella aramaica, ma con peculiarità ortografiche,
quali l'uso di eterogrammi (ovvero di grafemi aramaici da leggersi si-
multaneamente in una lingua iranica), frutto di una lunga elaborazione
e soprattutto di un comune sistema, che solo un impero sovranazionale
avn;bbe potuto imporre54 •
E chiaro che in questo contesto l'atteggiamento greco verso l'ecu-
" Secondo WALSER, Hellas cit., pp. 123-24, potrebbe trattarsi dei Macedoni.
" Cfr. KENT, Old Persian cit., p. 156.
" Forse da quello della città macedone di Scydra (PLINIO, Naturalis historia, 4.34; TOLOMEO,
~. 12, 4· 36; STEFANO DI BISANZIO, s.v.); cfr. A. T. OLMSTEAD, History o/ the Persian Empire, Chicago·
London I948, pp. I57·58; LECOQ, Les inscriptions cit., p. 149.
" A. E. COWLEY, Aramaic papyri o/ the fifth century B.C., Oxford 1923.
" J. c. GR!lENFIELD e B. PORTEN, The Bisitun Inscription o/Darius the Great. Aramaic Version, in
Corpus Inscriptionum Iranicarum, l/5, London 1982.
" Per un'analisi e un commento del testo si veda ASIIERI, Fra Ellenismo e Iranismo cit., pp.
107-23, 170·75. Sugli elementi iranici contenuti nel testo aramaico cfr. M. MAYRHOFER, Kleinasien
zwischen Agonie des PerseiTeiches und hellenistischem Frnhling. Ein Inschriften/und des Jahres 1973,
Wien 1976.
" w n. IIENNING, Mitteliranisch, in Handbuch der Orientalistik, IV/r. Iranistik. Linguistik, Lei·
dcn-Ki:iln 1958, pp. 2 r-40 [trad. i t. Napoli 1996].
Gli «altri» e i Greci
mene persiana non possa che essere stato multiforme e variegato, non
solo a seconda delle circostanze, ma anche degli orientamenti delle sin-
gole poleis, cosi come delle diverse fazioni e famiglie' spesso divise da
interessi contrastanti; inoltre non si trascurerà l'abilità diplomatica dei
Persiani, il ricorso frequente alla corruzione o alla sponsorizzazione del
filomedismo, il reclutamento di contingenti mercenarP', ecc. Da questo
punto di vista, le mire espansionistiche di Dario I verso l'Europa, anti-
cipate e in parte fallite con la campagna scitica, troveranno una strenua
resistenza, ma anche un certo contraddittorio sostegno e non solo in am-
biente greco-orientale. Non si può inoltre trascurare quanto potesse es-
sere vantaggiosa la pax persiana non solo per i commerci e la circolazio-
ne dei beni tra le città dell'Asia Minore e l'interno, ma anche sul mare,
ove la pirateria - celeberrima quella dei Sami - rendeva la navigazione
rischiosa' 7 • Ciò nonostante, la minaccia persiana, almeno cosi com'essa
fu percepita in Occidente, stimolò fortemente l'autocoscienza greca e la
contrapposizione tra l'Éitvoç ellenico e i ~aQ~UQOL, l'idealizzazione dei
valori di ÈÀEu'ltEQi.a, iao'tfJç e m)'tovo!li.a delle poleis, in cui, a dispetto dei
diversi ordinamenti possibili (aristocrazia e democrazia), si esaltava l'an-
tagonismo irriducibile con la monarchia'8 ; è però evidente, alla luce di
piu equilibrate considerazioni proposte da Musti", che sarebbe ridutti-
vo considerare il conflitto con gli Achemenidi come la ragione prima e
scatenante per l'elaborazione del senso di comune appartenenza alla gre-
cità, che già esisteva e che pertanto fu rinsaldato dalla dialettica dello
scontro con la potenza persiana.
I rapporti culturali tra Greci e Iranici, per quanto numerosi, non si
lasciano definire, almeno per questa fase storica, nei particolari e per-
tanto siamo costretti a una sintetica rassegna, alla quale dobbiamo però
premettere una breve riflessione. Lo sviluppo culturale nei territori
dell'impero persiano non fu certamente ostacolato dagli Achemenidi;
anzi, da quanto ci consta, il grandissimo progresso maturato nell'ambi-
" Un caso emblematico è rappresentato dal filomedismo dei Pisistratidi e in parte anche dai
sospetti di simpatie simili concernenti gli Alcmeonidi; cfr. B. GALLOTIA, Dario e l'Occidente, Mo-
dena 1980, pp. 248-52. Si veda sulla questione del filomedismo in generale il saggio di D. GILUS,
Collaboration with the Penians, Wiesbaden 1979.
" G. F. SEIBT, Griechische Si:ildner im Achaimenidenreich, Bonn 1977; BRIANT, Histoire cit., pp.
8o3-20.
" GALLOTIA, Dario cit., p. 243·
•• Molto importanti appaiono le considerazioni di PUGUESE·CARRATELLI, Le guerre cit., pp.
150-52; merita attenzione il fatto che i Greci abbiano prescelto il termine flaOI.Àftoç per indicare il
<<sovrano» persiano, piuttosto che nJQavvoç, in quanto, nonostante l'antagonismo in atto, ricono-
scevano allo xfiiya6iya una differenza sostanziale rispetto ai comuni despoti, per via delle sue pre-
rogative non solo regali ma anche sacrali.
"D. MUSTI, Storia greca, Roma-Bari 1989, pp. 9, 316.
Panaino Greci e Iranici: confronto e conflitti 93
61
PINGREE, From Astrai Omens cit., pp. 2I-29; per una distinzione tra mantica astrale e astro-
logia si rimanda alla sintesi offerta da Panaino nella Prefazione all'edizione italiana al volume di F.
CUMONT, Astrologia e religione presso i Greci e i Romani, Milano I997, pp. 9-46; cfr. anche A. SACHS,
Babylonian Horoscopes, in «Journal of Cuneiform Studies», II (I952), pp. 49-75; F. ROCIIBERG-HAL-
TON, Babylonian horoscopes and their sourccs, in <<Orientalia>>, n. s., LVIII (I989), pp. I02-23; M. N.
NILSSON, Die babylonische Grundlage der griechischen Astrologie, in <<Eranos. Acta Philologica Sue-
cana A Vilhelmo Lundstrom Condita>>, LVI (I958), pp. I-I I. Si vedano ancora i contributi di D.
Pingree sotto la voce <<Astrology» in PII. P. WIENER (a cura di), Dictionary o/ the History o/ Ideas,
New York 1973, I, pp. II8-26, e II, pp. 219-2 3, e nella sezione <<Astrology» della voce <<Occultism»
in The New Encyclopaedia Britannica. Macropaedia, Chicago I973-74", XXV, pp. 8o-84.
" Si veda A. PANAINO, Calendars (lranian), in Elr., IV/6 (I99o), pp. 658-68.
" M. A. DANDAMAYEV e v. G. LUKONIN, The culture and social institutions of ancient Iran, Cam-
bridge I989, p. 283.
" Si veda in proposito la monografia di M. L. WEST, Early Greek Philosophy and the Orient,
Oxford I97I, pp. I6y2o2.
"Cfr. ANASSIMANDRO, DK I2 A 18, II, 21.
" Sulla questione si veda w. BURKERT, Iranisches bei Anaximandros, in <<Rheinisches Museum
fiir Philologie», n.s., CVI (I963), pp. 97-134; WEST, Early Grr!ek Philosophy cit., p. 91; per una ri-
discussione del problema cfr. A. PANAINO, Uranographia !ranica I. The three Heavens and the Zoroas-
trian traditian and the Mesopotamian background, in Au carrefour des religions. Mélanges offerts à Phi-
lippe Gignoux, Bures-sur-Yvette I995. pp. 205-25.
" Ibid., pp. 217-20.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti 95
" L'interesse politico· militare per le esplorazioni geografiche rientra pienamente nella strate-
gia degli Achemenidi, ai quali probabilmente non era ignoto lo stesso Mediterraneo occidentale,
come ammette A. R. BURN, Persia and the Greeks, London 1984, pp. 138-39, sulla base dell'episo-
dio della vita di Democede (ERODOTO, 3·1J5·J6), nel quale il medico riesce a fuggire nei pressi di
Taranto da una nave persiana.
" A. MOMIGLIANO, Lo sviluppo della biografia greca, Torino 1974, pp. 35-38; m., Fattori orien-
tali della storiografia ebraica post-esilica e della storiografia greca, in La Persia e il mondo greco-roma-
no cit., pp. 142-44.
70
G. GARBINI, Storia e ideologia nell'Israele antico, Brescia 1986, pp. 122 sgg., 243 sgg.
A. MOMIGLIANO, Le radici classiche della storiogra/ia moderna, Firenze 1992, p. 14.
Gli <<altri» e i Greci
" G. GNOLI, Iranic identity as a historica/ problem: the beginning ofa nationa/ awareness under the
Achaemenians, in Tbe East and the Meaning o/ History, Atti della conferenza internazionale (2 3-27
novembre 1992), Rome 1994, pp. 147-67; ID., Presentazione della storia e identilli nazionale nell'Iran
antico, in E. GABBA (a cura di), Presentazione e scrittura della storia: storiografia, epigrafi, monumenti,
Atti del convegno (Pontignano, aprile 1996), Como 1999, pp. 77·99-
" ERODOTO, 3.80-84.
74
Sulla questione si vedano F. GSCIINITZER, Die sieben Perser und das Kiinigtum des Dareios,
Heidelberg 1977; J. WIESEHOFER, Der Aufstand Gaumiitas und die An/iinge Dareios' 1., Bonn 1978;
J. M. BALCER, Herodotus and Bisutun. Problems in Ancient Persian Historiography, Stuttgart 1987;
M. DANDAMAYEv, A Politica/ History of the Achaemenid Empire, Leiden 1989, pp. 105-6; D. ASHE-
RI, L'ideale monarchico di Dario: Erodoto III So-82 e DNb Kent, in «Annali di Archeologia e Sto·
ria Antica>>, n. s., II (1996), pp. 99-106 (con ricchissima nota bibliografica alle pp. 105-6); ID., Ero-
doto e Bisitun, in GABBA (a cura di), Presentazione cit., pp. 101-16.
" Ricordiamo che ancora agli occhi di STRABONE, 15.2.8, il nome di Ariana si estende a una
parte dei Persiani e dei Medi, e, verso nord, anche ai Battriani e Sogdiani, popoli che <<infatti par-
lano approssimativamente lo stesso linguaggio, sebbene con qualche leggera variante (Eìol yaQ ltwç
Ò!ioyì.wnm ltaQà 1!LXQ6v)>>.
Panaino Greci e Iranici: confronto e conflitti 97
6
mazdaica, ne sono quasi completamente estranee • Per questa ragione
si è coniata la definizione di «<ran esterno» 77 , sotto la quale si fanno ri-
cadere quelle popolazioni che, pur rientrando linguisticamente nel no-
vero delle etnie iraniche, si pongono per certi versi ai suoi limiti. Tale
diversità, in parte legata alla maggior mobilità di queste genti, spesso
nomadizzantF8 , è un aspetto che merita di essere tenuto presente.
Per quanto l'impero persiano non fosse una talassocrazia e dovesse
appoggiarsi, anche nell'intermediazione commerciale con il continente,
ai FenicF 9 o alla Ionia, notevole fu lo sviluppo dell'ingegneria fluviale,
soprattutto nel campo della costruzione di ponti di barche che, con par-
ticolari accorgimenti ingegneristici, non ostruivano la navigazione dei
fiumi 80 ; si rammenti a questo proposito la riapertura del canale81 che con-
giungeva il Nilo al Mar Rosso, celebrata nell'iscrizione quadrilingue di
Dario I (DSc); se famosa era la via regia e la celerità della posta ufficia-
le, a testimonianza della cura del servizio logistico, molto stupore fu pro-
76
Un culto di Ahura Mazda presso gli Sci ti o altre tibu scito-sarmatiche ci è ignoto, fatta ec-
cezione per il riferimenti, attestati in khotanese, a urmaysde, divenuto però nome del «sole». Le
fonti erodotee, spesso comparate con quelle degli Osseti moderni, ultimo baluardo degli Alani, ri-
masto isolato nel Caucaso, ci tramandano tradizioni particolari, e in molti aspetti distinte da quel-
le attestate nell'Iran interno. Si vedano, al di là delle impostazioni di metodo piu generali, i con-
tributi di G. DUMÉZIL, Lègendessur/es Nartes, Paris 1965; ID., RomansdeSchythieetd'alentour, Pa-
ris r 978. Una revisione del problema della collocazione etna-culturale degli Alani rispetto all'Iran
interno è offerta da G. GNOU, Il nome degli Alani nelle iscrizioni sassanidi: considerazioni linguistiche
e storiche sul tema dell'opposizione tra Iran interno e Iran esterno, in Il Caucaso: cemiera fra culture dal
Mcdite"aneo alla Persia (secoli w-vr), Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Me-
dioevo, XLIII (zo-26 aprile 1995), Spoleto 1996, pp. 831-66.
77
Si vedano in proposito P. DAFFINÀ, Il nomadismo centrasi4tico, parte l, Roma 1982, pp. 23·38.
78
Si pensi agli stanziamenti scito-sarmatici lungo le coste settentrionali del Mar Nero, sui qua-
li cfr. M. 1. ROSTOVTZEFF, Skythien und der Bosporus, l, Berlin 1934 (il vol. II è stato di recente edi-
to in trad. tedesca, Mosca 1994); L. ZGUSTA, Die Personennamen griechischer Stiidte der nordlichen
Schwarzmeerkiiste. Die ethnische Verhiiltnisse, namentlich das Verhiiltnis der Skythen und Sarmaten,
im Lichte der Namenforschung, Praha 1955; M. VASMER, Die Iranier in Siidruftland, in ID., Schriften
zur slavischen Altertumskunde und Namenkunde, Berlin 1971, pp. IOJ-99· In modo molto oppor-
tuno BRIANT, Eta t ci t., ha fatto notare quanti pregiudizi siano presenti nella storiografia antica nel-
la dicotomia tra sedentari e nomadi, contrapposti in modo spesso netto, con l'attribuzione ai se-
condi di caratteristiche quali la barbarie, una naturale aggressività, uno spirito libero e irriducibi-
le, ecc. In verità, anche in Iran si verificarono casi diversi di compenetrazione tra l'economia urbana
c delle comunità di villaggio e quelle di popolazioni nomadizzanti o transumanti.
" A. LEMAIRE, Les Phéniciens et le commerr:e entre la Mer Rouge et la Mer Medite"anée, in « Stu-
dia Phoenicia», V (r987), pp. 49-6o; si veda anche w. EILERS, Das Volk der Karka in den Achai-
menideninschriften, in «Orientalistische Literaturzeitung», XXXVIII (1935), pp. zot-I}; o. BUC-
c:r, Una pagina di storia dimenticata: i rapporti tra Cartagine e/' impero dei Persi4ni, in «Africa», XXXII
(1977), pp. 446-55.
80
s. MAZZARINO, Le vie di comunicazione fra impero achemenide e mondo greco, in La Persia e il
mondo greco-romano ci t., pp. 78-79.
11
Il canale, iniziato dal faraone Neco Il (610-595 a. C.), fu poi restaurato da Tolomeo II Fi-
ladelfo, da Adriano e ancora in epoca islamica; cfr. G. POSENER, Le canal du Ni/ à la Mer Rouge, in
«Chronique d'Egypte», XXVI (1938), pp. 259-73.
Gli «altri» e i Greci
Figura 3·
La tomba di Artaserse I a Naqs-i Rustam .
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti 99
vinità indo-iraniche, come, -una per tutte- MiOra, delle quali non si
faceva esplicitamente menzione nelle GiiOii. Diversi indizi lasciano so-
spettare il prevalere di un indirizzo sempre piu marcatamente dualisti-
co, nel quale il dio Ahura Mazda si trova direttamente opposto al mali-
gno Agra Mainyu (pahl. Ahreman), mentre, nelle GiiOii, a questi si op-
poneva piuttosto Spal).ta Mainyu, ovvero lo «Spirito Accrescitore)) (forse
figlio di Ahura Mazda stesso). Tale sistema sfocerà in un dualismo an-
tologico, senza però mai degenerare in un'opposizione (questa di origi-
ne manichea) tra spirito e materia, ma solo in un irriducibile antagoni-
smo tra bene e male, tra luce e tenebre, e che di fatto viene ad essere
riassunto nella formula plutarchea (Su Iside e Osiride, 47)!17 del JtoÀ.Ef.Loç
tra 'Qgof.LU~T)ç e 'AQEtf.LUVtoç. Purtroppo le fonti attestate non permet-
tono di affermare se gli Achemenidi fossero o meno zoroastriani; in par-
te la questione si lega a quella della data e della patria di Zarafustra, una
delle cruces degli studi iranici; è ovvio che per gli studiosi che privilegi-
no una datazione alta del profeta (fine del II/ inizi del I millennio a. C.)
risulta abbastanza plausibile postulare l'adesione degli Achemenidi allo
zoroastrismo, giacché questa religione avrebbe avuto tutto il tempo di
espandersi verso Occidente e di edulcorarsi sino al punto che noi ri-
scontriamo nell'Avesta recente e poi nei testi pahlavi. Se, invece, si ac-
cetta la tradizione zoroastriana, coltivata ancora presso i Parsi, ma già
attestata nella letteratura pahlavi, la data di Zoroastro andrebbe collo-
cata 258 anni prima di Alessandro (ovvero agli inizi del X millennio del-
la cronologia zoroastriana, che scandisce il duello cosmico in un ciclo di
r 2 ooo anni) 98 , e pertanto la zoroastrianità, almeno dei primi sovrani per-
siani, sarebbe fortemente inficiata. Tale cronologia è stata piu volte scon-
fessata come leggendaria, ma soprattutto perché ritenuta inconciliabile
con la facies oltremodo arcaizzante del gaeico rispetto ali' avestico re-
cente, che appare linguisticamente molto piu vicino all'antico persiano99 ;
Haptai]hiiiti «Il Sacrificio in Sette Capitoli>>, in prosa, nonché una limitata serie di preghiere; tali
testi si distinguono per l'arcaicità della lingua; con avestico recente si intende la varietà in cui è re·
datto il resto del corpus testuale.
97 «Oli !!lJV <ài-M> xàxfivmnoi.M I!Uitwl\t] IIEQÌ tÙlV ittwv ÀÉyoumv, ola xaì tailta Èotlv, 6 !!EV
'QQOfU't~l]<; Èx Wil xaitOQWtQtOU qJQOU<; Ob' 'AQEq.LQVW<; ÈX tOil ~ÒqJOU yryovÒJ<; ltOÀEI!OilOIV à),),~).olç'
(ma
anche quelli [cioè i Persiani] raccontano molti miti riguardo agli dèi, tra i quali questi: Oromazes
nato dalla luce piu pura e Aremanios dall'oscurità si combattono vicendevolmente)».
" Sulle origini di tale ciclo si rimanda alla discussione, relativa peraltro al concetto di anno
cosmico in diverse tradizioni classiche e orientali in A. PANAINO, Tessere il cielo, Roma 1997, pp.
163-65 (con ulteriore bibliografia); si noterà che la fonte di Xanto sembrerebbe confermare l'an·
tichità di tale ciclo anche in Iran; ID., Cronologia e storia religiosa nell'Iran zoroastriano, in GABBA (a
cura di), Presentazione ci t., pp: 127-43.
"J. KEI.LENS, Quatre siècles obscurs, in Transition Periods in lranian History, Atti del simposio
(Freibourg im Breisgau, 22-24 maggio 1985), Paris 1987, pp. 135-39; ID., Zoroastre et l'Avesta an-
102 Gli «altri>> e i Greci
cien. Quatre leçons au Co/lège de France, Paris 1991, pp. 14-25; ID., Les Achéménides dans le con-
texte indo-iranien, in «Topoi», suppl. 1 (1997), pp. 287-97·
100
w. B. HENNING, Zoroaster Politician or Whitch-Doctor? London 1951, pp. 35-41; 1. GER·
SIIEVITCII, Zoroaster's own contribution, in «Journal of Near Eastern Studies>>, XXIII (1964), pp.
12-38; ID., Approaches to Zoroaster's Gathas, in «Iran», XXXIII h995), pp. 1-29; G. GNOLI, Zo-
roastro nelle fonti classiche: problemi attuali e prospettive della ricerca, in <<Studi UrbinatÌ>>, LXVII
(1995·56), pp. 281-95; ID., Zoroastro nella nostra cultura, ivi, LXVIII (1997·98), pp. 205-19; P.
KINGSLEY, The Greek origin of the sixth-century dating o/ Zoroaster, in << Bulletin of the School of
Orientai and African Studies>>, LIII (1990), pp. 245-65; ID., Meetings with Magi: Iranian themes
among the Greeks,from Xanthus of Lydia to Plato's Academy, in «Journal of the Royal Asia tic So-
ciety>>, serie 3, V/2 (1995), pp. 173·209. Molto preziosa risulra la raccolta curata da c. CLEMEN,
Fontes Historiae Religionis Persicae, Bonn 1920; ID., Die griechischen und lateinischen Nachrichten
iiberdie persische Religion, Giessen 1920. Di estremo interesse i contributi di J. BIDEZ e F. CUMONT,
Les mages hellénisés. Ostanès et Hystaspe d'après la tradition grecque, 2 voli., Paris 1938, nonché il
saggio di E. BENVENISTE, The Persian Religion According to the Chief Greek Texts, Paris 1929. Vedi
anche la monografia di G. GNOLI, Zoroaster in History, New York 2000, con ulteriore bibliografia e
raccolta di fonti.
101
PLINIO, Naturalis historia, 30. I; scolio a PLATONE, Alcibiade primo, I 22a. Vedi G. GNOLI, Sul-
la data di Zoroastro nel Proemio di Diogene Lamio, in MOY.EA. Scritti in onore di Giuseppe Morelli,
Bologna I997. pp. 179-95, con ampia discussione delle due lezioni Él;axtOJ(i.ÀUl e Él;axooUl.
102
L'autenticità dei Maytxu di Xanto di Lidia non è messa in dubbio dalla critica piu recen-
te; cfr. H. Herter in RE, 11/9 (1967), coli. 1353-74, in particolare coli. 1356, 1371·72.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti 103
vide in due grandi periodi di 6ooo anni, ciascuno comprendente altri 2 sottoperiodi di 3000; il pri-
mo inizia allorché Ohrmazd percepisce l'esistenza di Ahreman ovvero del male; di fatto è la co-
scienza dell'antagonista che spinge dio a interrompere il tempo eterno e a dispiegare il tempo sto-
rico. Alla fine di questo sottoperiodo i due Spiriti antagonisti stipulano un patto che, per l'ignoranza
di Ahreman, finisce con l'intrappolarlo nella creazione e nella storia, di cui ovviamente lo zoroa-
strismo ha una visione assolutamente positiva; seguono 3ooo anni di torpore per il Maligno, du-
rante i quali Ohrmazd dispiega la creazione nella dimensione menog (ovvero mentale e prototipi-
ca) e ne predispone l'attuazione getig (vitale, corporea); l'inizio del Il periodo di 6ooo anni è se-
gnato dall'irruzione di Ahreman nella creazione, che, da immobile, si attiva divenendo propriamente
f!.elig. Alla fine del Il ciclo di 6ooo anni il male sarà sconfitto e il tempo storico nuovamente sciol-
to in quello infinito. I due stati della «esistenza>> (av. sti-, f.), quello mainyava- <<mentale>> e quel-
lo gaei(Jya- «vitale>>, vengono continuati nella letteratura pahlavi nei concetti di menog e di getig,
che distinguono rispettivamente il trascendente dal fenomenico, l'intangibile dal tangibile, il visi-
bile dall'invisibile. La singolarità di tale tradizione emerge dal fatto che i due livelli non sono con-
trapposti, né rappresentano bene e male, ma sono entrambi positivi. Anzi, siccome la qualità es-
senziale di Agra Mainyu è la sua incapacità di generare la vita, egli insieme ai demoni è solo mainya-
va-, giacché non può essere «vitale» né «generativo>>. Troviamo cosi un ribaltamento del consueto
schema dualistico <<spirito>>/« materia», che invece sarà un tratto portante della dottrina manichea.
Questa impostazione, che distingue tra mondo «mentale» e «corporeo>>, elabora una dottrina ave-
stica, ma sembrerebbe essersi arricchita di caratteri platonici, come hanno suggerito J. DARMESTE-
TER, Le Zend-Avesta, III, Paris 1893, p. Lll, e DUCIIESNE-GUILLEMIN, La religion cit., pp. J12-IJ.
106
w JAEGER, Aristotele Prime linee di una storia della sua evoluzione spirituale, trad. it. Firen-
ze 1 968, pp. I74•79·
104 Gli «altri>> e i Greci
Medi (ERODOTO, I. l o I) o come i depositari della sapienza religiosa di Zoroastro, la loro appartenen-
za alla tradizione piu antica dello zoroastrismo risulta improbabile; essi erano incaricati dei riti reli-
giosi p.ell'Iran occidentale di epoca achemenide e sono da distinguersi dai gruppi sacerdotali piu orien-
tali. E comunque evidente che i Magi svolsero un ruolo non secondario nel processo di occidentaliz-
zazione della tradizione zoroastriana e alcune delle loro pratiche furono accolte dallo zoroastrismo.
I Magi non possono essere considerati come latori di una «teologia» omogenea, ma furono piuttosto
artefici di un vasto sincretismo religioso. Sulla questione si vedano G. GNOLI, Magi, in M. ELIADE (a
cura di), The Encyclopedia o/ Religion, London I 987, IX, pp. 79-81; G. MESSINA, Der Unprung der
Magier und die zarathustrische Religion, Rom 1930; E. BENVENISTE, Les Mages diJns l'ancien Iran, Paris
1938; GERSIIEVITCH, Zoroaster's own contribution cit., pp. 24-26. Da tener presente il saggio di A. DE
JONG, Traditions o/the Magi. Zoroastrianisms in Greek and Latin Literature, Diss. Utrecht 1996, riguardo
al quale condivido però le riserve espresse da GNOLI, Zoroaster cit., nell'appendice.
112
Ciò ovviamente non significa che bisogna sovradimensionare, come talvolta è stato fatto,
l'apporto iranico presente in tutta quella letteratura che rientra nei cosiddetti Oracoli caldaici (G.
KROLL, De oraculis chaldaicis, Breslau 1894; cfr. BIDEZ e CUMONT, Les mages cit.), quanto piuttosto
puntualizzare che il nome di Zoroastro o di altri sapienti iranici servisse a garantire il rispetto per
le dottrine professate in queste opere; bisogna inoltre rammentare il ruolo avuto dal neoplatonico
Pletone su Francesco Patrizio, il primo recensore di questo materiale (Ferrara 1591). L'opera di
Pletone ebbe un notevole impatto su molti umanisti come Pico della Mirandola, Marsilio Ficino,
Erasmo da Rotterdam (cfr. DUCHESNE-GUILLEMIN, The Western Response ci t., p. 4). Si veda inoltre
l'excursus di R. Beck in A History o/ Zoroastrianism, III. Zoroastrianism under Macedonian and Ro-
man Rule, a cura di M. Boyce e F. Grenet, Leiden 1991, pp. 490-565.
111
Non è possibile riprendere in questa sede lo stato della questione; sarà invece opportuno rin-
viare alla bibliografia aggiornata di M. Isnardi-Parente in E. ZELLER e R. MONDOLFO, La filosofia dei
Greci nel suo sviluppo storico, II/3, Firenze 1974, pp. 846-55; cfr. anche GNOLI, Zoroastro nella no-
stra cultura cit., pp. 215-16, nonché DUCHESNE-GUILLEMIN, The Western Response cit., pp. 70-85.
'" J. KELLENS e E. PIRART, Les textes vieil-avestiques, I, Wiesbaden 1989, pp. 8, 40, 62; II, Wies-
baden 1990, p. J2I, cercano invece di mostrare la regolarità di tale antroponimo anche in avestico.
111
H. w. BAILEY, Indo-Iranianstudies, in «Transactions of the Philological Society>>, I953. pp.
21·42.
116
Ci attenderemmo in avestico una grafia zara[.ustra- o *zaradustra-. Cfr. M. MAYRHOFER, Zum
Namengut des Avesta, Wien I977, pp. 43·53·
106 Gli <<altri» e i Greci
117
Secondo un'ipotesi sostenuta da GERSHEVITCH, Approaches cit., pp. 19-24, e da GNOU, Zo·
roastro nelle fonti classiche cit., pp. 285-92, ma che deriva in ultima istanza da 11. HUBSCIIMANN, Ira·
nica, in «Kuhn's Zeitschrift», XXVI (1883), pp. 6oy4. MAYRIIOFER, Zum Namengut cit., p. 46,
obietta inoltre che una forma genuinamente persiana avrebbe dovuto avere 0 uça- come secondo
elemento e non °Us0ra-; resta però il fatto che si tratta di variante occidentale e che un'alternanza
/ç/ · /9r/ è già presente nelle iscrizioni in antico persiano, per cui la sua presenza non costituisce af.
fatto un ostacolo.
118
BIDEZ e CUMONT, Les mages cit., I, pp. 6-7, 44; GERSIIEVITCH, Zoroaster's own contribution
cit., pp. 28, J8.
119
IIIDEZ e CUMONT, Les mages cit., I, p. 37·
IlO DIODORO SICULO, I. 94. 2.
121
Sulla 'AQLUV1j si rimanda alle riflessioni di GNOLI, Zoroaster's Time and Homeland, Naples
1980, pp. 136-46; ID., BaarÀt:Ìiç BamUwv 'A(?tavcbv, in G. GNOLI e L. LANCIOTT! (a cura di), Orienta·
lia Iosephi Tucci Memoriae Dicata, Roma 1987, pp. 509-32; GNOLI, The Idea ci t., pp. ro6-7.
122
A. DURTON, Diodorus Siculus. Book l:A Commentary, Leiden 1972, p. 272; vedi invece GNO·
LI, Zoroastro nel!e/onti classiche cit., p. 292.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti 107
m Sulla questione vedi già GNOLI, Politica religiosa ... presso gli Achemenidi cit., pp. 3 1·43.
' " L. TAR AN,Academica: Plato, Phi/ip o/ Opus, and the Pseudo-Platonic "Epinomis", Philadelphia
1975, pp. 196 sgg.; cfr. F. CUMONT, Les noms des planètes et l'astrolatrie chez !es Grecs, in «L'Anti-
quité Classique», IV (1935), pp. 5-43; PINGREE, From Astrai Omens cit., pp. 27-28.
120
Sul rapporto e l'opposizione tra il dio della stella Siria, Tistrya, e il dio degli scribi, T"rr, in
cui entrano in gioco le funzioni di Nabu, Ermes e Apollo, cfr. PANAINO, Tiftrya cit., Il, pp. 61-85;
E. MORANO, Contributi all'interpretazione della bilingue greco-partica dell'Eracle di Seleucia, in G. GNO-
u e A. PANAINO (a cura di), Proceedings o/ the Fint European Con/erence o/ Iranian Studies, I, Rome
1990, pp. 229-38.
uo Sulla demonizzazione dei pianeti nella tradizione iranica cfr. A. PANAINO, Paroa Iranica. Et-
nolinguistica dell'area ironica, Napoli 1990, pp. 27-45; ID., Satum, the Lordo/ the Seventh Millen-
nium. With a contribution o/D. Pingree, in «East and W est», XLVI, 3-4 (1996), pp. 235-50.
.. m È ovviamente importante il rapporto Zurwin/Ai.Wv; sullo zurvanismo si vedano H. JUNKER,
Uber iranische Quellen der hellenistischen Aion-Vontellung, Hamburg 192 2; 11. s. NYBERG, Questions
de cosmogonie et de cosmologie mazdéennes, in «}ournal Asiatique», CCXIV (1929), pp. 193-310;
CCXIX (1931), pp. 1-134, 193-244; R. c. ZAEHNER, Zuroan, a Zoroastrian Dilemma, Oxford 1955
(rist. New York 1972); M. MOLÉ, Le problème zuroanite, in«Journal Asiatique», CC XLVII (1959),
pp. 431-69; u. BIANcm, Zamiin-i Ohrmazd. Lo zoroastrismo nelle sue origini e nella sua essenza, To-
rino 1958; E. DEGANI, Airovda Omero ad Aristotele, Padova 1961; G. GNOLI, Zuroanism, in ELIADE
(a cura di), The Encyclopedia cit., XV, p. 596.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti 109
"' Si veda R. GIIIRSIIMAN, La civiltà persiana antica, Torino I972, pp. 173-77; woLSKI, L'em-
pire cit., pp. 1 I, 20, 35, 50.
m Cfr. CURZIO RUFO, 9· 7·
118
WOLSKI, L'empire cit., pp. 20·2I, 27-28.
"' GNOLI, The Idea ci t., p. I 14.
14
° Cfr. M. A. R. COLLEDGE, L'impero dei Parti, Roma 1979, pp. I6-29; A. D. 11. BIVAR, The po-
litica/ history o/ Iran under the 11rsacids, in CHI, III/I ci t., pp. 24-27; J. WOLSKI, Points de vue sur /es
sources gréco-latines de l' époque parthe, in IIARMATIA (a cura di), Prolegomena ci t., pp. 17-25; wOL·
SKI, L 'empire cit.; J. WIESEIIOFI!R, Das antike Persien. Von 550 v. Chr bis 650 n. Chr., Diisseldorf-
Ziirich I998, pp. I63·79·
141
Cfr. M. BOYCE, The sedentary Arsacids, in «!ranica Antiqua», XXIX (I994l. pp. 241-5 I.
'" GNOLI, The Idea cit., pp. 116·17·
'" J. WOLSKI, Arsace I"./ondateur de l' état parthe, in Commémoration Cyrus ci t., III, pp. I 59·
199; ID., L'empire cit., pp. 66-73.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti I I I
° Cfr. ibid., pp. 67-86; F. MILLAR, The Roman Near Eost 31 BC- AD 337, London I993·
15
'" Ma si tratterebbe di Artabano IV, secondo una differente cronologia; cfr. BIVAR, The polit-
ica/ history ci t., p. 9<1, nota 1.
"' M.-L. CIIAUMONT, Piipak, roi de Staxr, et sa cour, in <<]ournal Asiatique», CCXLII (1959),
pp. 175·91.
"' Cfr. J. NEUSNER, A history of the ]ews in Babylonia, in <<Studia Post-biblica» Xl, XII, XIV,
XV (1966, 1968, 1969, 1970); ID., Israe/'s Politics in Sasanian Iran, New York- London 1986.
"' J. LABOURT, Le christianisme dans l'Empire perse sous la dynastie sassanide, Paris 19041 ; 1. OR-
nz DE URBINA, Storia e cause dello scisma della Chiesa di Persia, in «Orientalia Christiana Periodi-
ca», III (I9J7), pp. 456-85; J. P. ASMUSSEN, Christians in Iran, in CHI, III/2 cit., pp. 924-48; B.
SPULER, Die Nestorianische Kirche, in Religionsgeschichte des Orients in der Zeit der Weltreligionen,
Leiden-Koln 196 I, pp. I 20-69; M.-L. CHAUMONT, Les Sassanides et la christianisation de/' Empire ira-
nien au IIf sièclede notre ère, in «Revue d'histoire des religions», CLXV (I964), pp. 165-202; ID.,
La christianisation de /'empire iranien des origines aux grandes persécutions du rv' siècle, Louvain 1988.
'" M. TARDIEU, La diffusion du Bouddhisme dans l'Empire kouchan, l'Iran et la Chine, d'après
un kephalaion manichéen inédit, in «Studia lranica», XVII (1988), pp. 153-82.
n• WOLSKI, L'empire cit., pp. 72-73.
"' Cfr. o. SELLwooo, Parthian Coins, in CHI, Ill/1 cit., pp. 279-98.
Panaino Greci e Iranici: confronto e conflitti I I 3
8
" WOLSKI, L'empire ci t., pp. 106·7.
"' Ibid., pp. 69·70-
,.. D. SELLWOOD, Minor States in Southem Iran, in CHI, III/I ci t., pp. 299-314.
"' G. PUGLIESE-CARRATEl.LI e G. GARBINI, A Bi/ingua/ Graeco-Aramaic Edict o/ Aioka. The First
Greek Inscription Discovered in Afghanistan. Text, Translation and Notes, Rome 1964; HUYSE, Die
Begegnung cit., pp. 115-16; ID., Die Ro//edes Griechischen im <<hellenistischer» Iran, in FUNK (a cu-
ra di), He//enismus cit., pp. 57-76.
162 WOLSKI, L'empire ci t., pp. 98-99; cfr. R. SCIIMIIT, Parthische Sprach- und Nameniiberliefe-
rung aus arsakidischer Zeit, in J. WIESERIIOFER (a cura di), Das Partherreich und seine Zeugnisse- The
Arsacid Empire:Sources and Documentation, Atti del coUoquio internazionale (Eutin, 27- 30 giu-
gno 1996), Stuttgart 1998, pp. 166-68.
"' Cfr. A. BA DER, Parthian ostraka /rom Nisa. Some historical data, in La Persia e/' Asia Centra-
114 Gli <<altri» e i Greci
le cit., pp. 251-76; M.-L. CHAUMONT, Les ostraca de Nisa. Nouvelle contribution à l'histoire des Ar-
sacides, in <<}ournal Asiatique», 1968, pp. r r-35.
164
Ovvero «lingua pahlavi»; tale espressione per indicare un testo medio iranico nord-occi-
dentale (ovvero partico) è attestata in un manoscritto medio persiano manicheo di Turfan (cfr. A.
GHILAIN, Essai sur la langue partbe, Louvain 1939, p. 36). Si noti che in realtà si dovrebbe indicare
il partico come pahlavi, mentre il medio persiano sarebbe piu correttamento il parsi. L'uso invalso
riflette invece una tradizione persiana, secondo la quale pahlavi era divenuto sinonimo di arcaico,
vetusto, e quindi esteso soprattutto ai testi zoroastriani e non piu alla lingua dei Parti.
'"' Cfr. L. VANDEN BERGIIE, Le relief de Hung-i Naurnzi, in «<ranica Antiqua», III (r963), pp.
154-68.
'" SELLWOOD, Parthian Coins cit., p. 295; WOLSKI, L'empire ci t., pp. 109-10; SCIIMI1·r, Parthi-
sche Sprach- und Nameniiberlieferung cit., p. r68.
"' Notevole fu quindi l'impatto lasciato dalla civiltà greca nell'uso della lingua e del sistema
di scrittura, cosi come è documentato dal ricco numero di testimonianze epigrafiche rinvenuto nel-
la regione e in generale nelle aree vicine; cfr. IIUYSE, Die Bege11nung cit., pp. 113-15.
••• Cfr. N. SIMS-WILLIAMS, Bactrian, in Compendium Linguarum Iranicarum, Wiesbaden 1989,
pp. 2)0-35·
••• P. BERNARD, Problèmes d' histoire coloniale grecque à travers /' urbanisme d'une cité hellénisti-
que d'Asie Centrale, in I 50 ]ahre Deutsches Archiìologisches lnstitut 1829-1979, Mainz 1981, pp.
435-59; si vedano inoltre dello stesso autore i vari rapporti di scavo pubblicati in «Comptes ren-
dus de I'Académie des lnscriptions et Belles-Lettres» negli anni 1972, 1979, 1980, e su «Bulletin
de I'Ecole Française d'Extreme-Orient>> nel 198o; cfr. FRYE, The History ci t., p. 188; cfr. D. ASIIE-
ru, Colonizzazione e decolonizzazione, in I Greci, I, Torino 1996, p. 85.
170
Non si trascurerà la presenza greca in Sogdiana e Afghanistan, su cui si rimanda ai contri-
buti di P. BERNARD, Maracanda-Afrasiab colonie 11recque, e di F. GRENET, Crise et sortie de crise en Bac-
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti I I 5
to qual modo testimoniata, nel regno della Commagene 171 • Il grande com-
plesso monumentale fatto erigere da Antioco I (sovrano dal 69 al 38 a.
C.), e soprattutto il testo (in greco) 172 di una delle sue iscrizioni, mostra
a qual punto fosse possibile integrare due civiltà cosi lontane: non solo
viene menzionato il trono di Ahura Mazda (A, 41-42), ma si assiste a un
processo palese di assimilazione delle divinità greche e iraniche: «Per-
ciò, come vedi, consacrammo queste magnifiche statue di Zeus Oro-
masdes (= av. Ahura Mazda) e di Apollo Mithra (= av. Miera) Elios Er-
mes e di Artagnes (= av. V ara8ra')'Ila) Heracles Ares e della mia Patria
omninutrice Commagene» 173 Tale testo trova conferma diretta nella pre-
senza di due gruppi di nove statue colossali, che, nel complesso menu-
mentale di Nemrut Dag, si ergevano su due terrazze a est e a ovest: Zeus
Oromazde al centro, Mithra e Artagnes alla sua destra, la Commagene
e Antioco I a sinistra; seguivano ai due fianchi un leone e un'aquila. Ma
oltre alle svariate testimonianze dirette di una compenetrazione per nul-
la esteriore (come l'istituzione di un sacerdozio dedicato al culto del ca-
sato di Antioco, ove palese è la fusione di elementi greci e iranici), me-
rita attenzione il fatto che Antioco dichiari la sua discendenza per linea
paterna da Dario I, per linea materna da Alessandro Magno 174 A que-
sto processo di compenetrazione tra cultura iranica ed ellenistica non fu
estranea la tradizione mesopotamica, che, nel processo di identificazio-
ne tra divinità mazdaiche e mesopotamichem, favori l'assimilazione agli
dèi della Grecia.
Tra gli aspetti che, nell'ambito degli studi sulle possibili interazioni
tra mondo iranico e Occidente, piu hanno suscitato negli ultimi anni
triane-Sogdiane aux Iv'- v' siècles: de /' héritage antique à /'adoption de modèles sassanides, entrambi in
La Persia e l'Asia Centrale cit., pp. 331-65 e 367-90.
171
J. DUCHESNE-GUIILEMIN, Iran und Griechenland in der Kommagene, Konstanz 1984; 11. WALD-
MANN, Die kommagenischen Kultre/ormen unter Konig Mithridates I. Kallinikor und reinem Sohne An-
tiochor I., Leiden 1973; ID., Der Kommagenirche Mazdairmur, Tiibingen 1991; A Hirtory o/Zoroas-
trianirm, III ci t.
172
L. JALABERT e R. MOUTERDE, Inscriptions grecquer et latiner de la Syrie, l. Commagène et
Cy"hertique, Paris 1929, pp. 15-16. Si noterà che sulla terrazza occidentale compare un leone in
rilievo con la luna e tre pianeti e tre brevi iscrizioni riferentisi a Giove, Mercurio e Marte; si trat-
ta di una sorta di prato-oroscopo, il primo comunque in ambito linguistico greco, che ci sia noto.
Il riferimento agli astri deve comunque essere messo in relazione con le statue monumentali di
Ncmrut Dag (A. BOUCHÉ-LECLERCQ, L'astrologie grecque, Paris 1899, p. 439). La configurazione
astrale è datata al 7 luglio -61 da o. NEUGEBAUER e 11. B. VAN IIOESEN, Greek Horoscopes, Phila-
dclphia 1959, pp. 14-16.
17) «~U'IltEQ wç OQQ.ç Ll.t6ç n 'OQOIJUOÒOU xal ·Am)l..l..wvoç MH}QOU ·H>..i.ou <EQjJOÙ xal'AQ~Iiyvou
"HQuxl..iouç • AQtoç ÈjJijç TE Jta~Qtboç Jta~QOIJlOU Koi'IJUYIJVijç fttoJtQEJtij ~aùm àylil..IJU~a xufttbQU-
OÙftl]V>>.
'" Cfr. JALABERT e MOUTERDE, Inscriptions cit., pp. z6-39.
"' Cfr. GNOU, Politica religiosa ... presso gli Achemenidi cit., p. 38.
n6 Gli «altri» e i Greci
una revisione critica, troviamo senza dubbio lo studio delle possibili con-
nessioni tra zoroastrismo (o, forse, una variante mazdaica a questo im-
parentata) e i Misteri di Mithra, praticati in tutto l'impero romano, ter-
ritori greci e dell'Asia Minore compresi. Se Cumont 176 ha insistito su
questa linea, bisogna notare la riproposizione di una vecchia tesi, già
proposta da Stark177 , secondo il quale il mithraismo non sarebbe stato
altro che una sorta di culto astrologico, in cui la tauroctonia si lascerebbe
interpretare alla luce di puntuali nozioni astrologiche. Questo approc-
cio è stato sviluppato da un ampio gruppo di studiosi, le cui teorie sono
però ben !ungi dal trovare una vera e propria armonizzazione; restano
inoltre numerose perplessità in merito alla soluzione proposta da Ulan-
sey, per il quale il centro della sapienza iniziatica dei Misteri avrebbe
ruotato intorno alla dottrina della precessione degli equinozP78 •
4· La «révanche>> sasanide.
176
r. CUMONT, Textes et monuments figurés relati/s aux Mystères de Mithra, 2 voli., Bruxelles
I896·99; ID., The Mysteries o/ Mithra, New York I956.
177
K. B. STARK, Die Mithrassteine von Dormagen, in «Jahrbi.icher cles Vereins von Altertums·
freuden im Rheinlande>>, XLVI (I869), pp. I-25.
178
R. L. GORDON, Franz Cumont and the doctrines o/ Mithraism e Re/lections on the bull-slaying
scene, in J. IIINNELLS (a cura di), Mithraic Studies, Manchester I975. l, pp. 2 I5-48; II, pp. 290-3 I 3;
s. INSLER, A new interpretation o/ the bull-slaying moti/. in M. B. DE BOERe T. A. EDRIDGE (a cura di),
HommagesàMaartenf. Vermaseren, Leiden I978, pp. 5I9-38; A. BAUSANI, Note sulla preistoria astro-
nomica del mito di Mithra, in u. BIANCHI (a cura di). Mysteria Mithrae, Leiden I979. pp. 503-I5; M.
SPEIDEL, Mithras-Orion, Leiden I98o; R. BECK, Planetary Gods and Planetary Orderr in the Mysteries
ofMithras, Leiden I988. La suggestiva tesi di D. ULANSEY, The Origino/ the Mithraic Mysteries, New
York- Oxford 1989, è stata criticata da J. DUCHESNE·GUILLEMIN, Origine astronomique des Mystè-
res de Mithra, in <<Le Ciel, Bulletin de la Société Astronomique de Liège>>, LII (I990), pp. I97-2o8,
e da E. WlLL, Mithra et !es astres, in <<Syria>>, LXVII/2 (r990), pp. 427-33.
"' Sul <<feudalesimo>> iran ico cfr. G. WlDENGREN, Recherchers sur le /éodalisme iranien, in <<Orien-
talia Suecana>>, V (I956) [I957l. pp. 79-I82; ID., Der Feudalismus imalten Iran, Koln-Opladen I969.
180
G. WIDENGREN, The establishment o/ the Sasanian dinasty in the light o/ new evidence, in La
Persia nel Medioevo ci t., pp. 7 I I -82.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti r 17
Figure 4-5 .
Scene d 'i nvestitura di Ardaxsir I nei rilievi di Naqs-i Rustam.
118 Gli «altri» e i Greci
re assunto dalle dinastie feudali, alle quali si era legata in modo diretto
la piccola nobiltà. Per quanto il regno partico già avesse dato i segni di
un progressivo risveglio di tendenze nazionalistiche 181 , la nuova dinastia
sasanide mise in forte discredito gli Arsacidi con un'abile propaganda
politica e religiosa, accusandoli soprattutto di essersi corrotti dinanzi al
mondo ellenico. Ardaxslr fu riconosciuto non solo da diversi satrapi, ma
addirittura dalle casate partiche dei Karen e dei Siiren 182 , come legitti-
mo sovrano e quindi il nuovo <<Re dei Re» (figg. 4-5); a tale atto segui
la repressione delle sacche di resistenza filoarsacide e la sottomissione
di alcuni regni orientali (Ku~aJ.la, Turan). Inevitabile in tale contesto ri-
sulta il confronto con l'impero romano•n e con il sopravvissuto ramo par-
tico ancora sul trono d'Armenia. Alla morte di Severo Alessandro (235
d. C.), Ardaxslr riusd a conquistare numerose piazzeforti sullimes oc-
cidentale (Carre, Nisibi, Hatra), ~entre, con ogni probabilità nel 240,
egli offri la coreggenza al principe Sabuhr (239/240 o 241/242-270/272
d. C.); questo giovane sovrano seppe dare uno straordinario impulso al-
la politica espansionistica iniziata dal padre, che fu coronata non solo
dalla sottomissione del regno dei Ku~al).a e di gran parte dell'Iran orien-
tale, ma anche da numerose iiiJprese sullimes occidentale, esaltate nel-
la grande iscrizione trilingue (SKZ, in medio persiano, partico e greco)
incisa sulla Ka'ba-ye Zardost 184 ; questo lungo testo ripercorre la campa-
••• Cfr. WOLSKI, L'empire cit., pp. 97-121; E. D<\BROWA, Le programmede la politique en Occi-
dent des demiers Arsacides. Essai de reconstitution, in «!ranica Antiqua», 1984, pp. 149-65.
•oz Si veda G. GNOLI, Il pericolo persiano: Ardashir e Shapur I, in Storia della società italiana, I/3.
La crisi de/principato e la società imperiale, Milano 1996, p. 411.
••• Cfr. w. ENSSI.JN, Zu den Kriegen des Sassaniden Schapur I., in <<Sitzungsberichte der ki:ini-
glichen bayerischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Kl.», V (1947) [1949]; M. H. DOD-
GEON e s. N. c. LIEU, The Roman Eastem Frontierand the Persian Wars, AD 226-36). A Documen-
tary History, London- New York 1991; w. FELIX, Antike literarische Quellen zur Auftenpolitik des
Siisiinidenstaates, l. (224·3o9), Wien 1985; s. MAZZARINO, La tradizione sulle guerre tra Shapur I e
l'Impero Romano: «prospettiva» e «deformazione storica)>, in «Acta Antiquae Academiae Hungad-
cae», XIX (1971), pp. 59-82; E. KETIENHOFEN, Die romisch-persischen Kriegedes J.]ahrhunderts n.
Chr. nach derlnschri/t Shahpuhrs an der Ka'be-ye Zartosht (SKZ), Wiesbaden 1982; cfr. anche J. GAGÉ,
La montéedes Sassanides et l'heure de Palmyre, Paris 1964.
184
E. HONIGMANN e A. MARIQ, Recherches surles Res Gestae DiviSaporis, Bruxelles 1953; A. MA-
RIQ, Res Gesfae Divi Saporis, in <<Syria», XXXV (1958), pp. 295-360; w. B. HENNING, The great in-
scription o/ Siipiir I, in <<Bulletin of the School of Orientai and African Studies», IX (1939), pp.
823-49; G. PUGLIESE·CARRATELLI, Res Gestae Divi Saporis e Ancora sulle Res Gestae Divi Saporis, in
«La Parola del Passato», V (1947), pp. 209-39 e 355-6~; M. G. BERTINELLI-ANGELI, In margine alle
Res Gestae Divi Saporis, ivi, XXVII (1972), pp. 42-65. E fresca di stampa una nuova edizione del-
la ver~ione trilingue a cura di PH. HUYSE, Die dreisprachige Inschrift Siibuhrs I. an der Ka'aba-i Zar-
duft (SKZ), in Corpus Inscriptionum Iranicarum, III/I.I-2, London 1999. Cfr. inoltre M. MANCINI,
Bilingui greco-iraniche in epoca sasanide Il testo di Siihpuhralla Ka'ba-yi Zarduft, in G. R. CARDONA e
R. LAZZERONI (a cura di), Bilinguismo e biculturalismo nel mondo antico, Atti del colloquio interdi-
sciplinare (Pisa, 28-29 settembre 1987), Pisa 1988, pp. 75-99.
Panaino Greci e Iranici : confronto e conflitti r 19
"' Sembra Llt ile acce nnare al fatto che, secondo PORFIRIO, Vita di Plotino, 3. Plotino avrebbe
seguito l'esercito tli Gortliano perché interessato alle tlottrinc dci Persiani e degli l ntliani .
186
CIIAUM ONT , La christianisation cit., pp. 56-99 .
187
MII.I .AR , The Roman Ncar East cit ., pp. • 59·73·
Figura 6.
La vittoria di Sabuhr I sui Romani in un rilievo di Naqs-i Rustam.
r 20 Gli «altri>> e i Greci
181
E. YARSHATER, W ere the Sasanians heirs to the Achaemenians?, in La Persia nel Medioevo cit.,
pp. 517·31.
189
GNOLI, The Idea cit., pp. 129-64.
190
La formula in m.p. Siihiin iiih Eriin (part. xiiihiin xiiih Eriin; ar. flamlEÙ$ flaoiÀÉWV 'AQtavwv)
è già attestata nelle iscrizioni di Ardasir, mentre la designazione di Siihiin iiih Eriin ud Aneriin (part.
xiiihiin xiqh Aryiin ud Anaryiin; gr. flaoiÀEÙç flaoiÀtwv 'AQmvmv xai 'AvaQmvwv) è presente solo dal
regno di Sabuhr I (GNou, The Idea cit., pp. 129-45).
191
Cfr. A. CHRISTENSEN, L'Iran sous /es Sassanides, Copenhague 19442 , pp. 98-101; A. PE-
RIKHANJAN, Iranian Society and Law, in CHI, III/2 cit., pp. 627-80; GNOLI, Zoroaster's Time cit., p.
155; ID., Il pericolo cit., pp. 420-21.
192
ID., Politica religiosa e concezione della regalità sotto i Sassanidi, in La Persia ne/Medioevo ci t.,
pp. 225·51.
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti I 2I
renzem, nella vita politica e di corte. Merita di essere notato che anche
l'elaborazione di un testo religioso canonico si colloca tra il m e il VI se-
colo194, quando tradizioni differenti (perlopiu orali) furono armonizzate
e standardizzate sotto l'autorità del clero del Pars, che poté redigere la
versione scritta dell'Avesta (Abestag) in tre gruppi di 7 nask (libri) cia-
scuno. In questo contesto si colloca anche l'invenzione dell'alfabeto ave-
stico, che, pur essendo basato su quello aramaico utilizzato per il pah-
lavi e il salterio cristiano di Turfan''S, mostra una cura eccezionale per
la rappresentazione grafemica di tutte le nuances ortoepiche della reci-
tazione del testo sacro; sotto questo profilo risulta indubbia l'influenza
del greco (e forse del siriaco) nell'indicazione puntuale delle differenze
vocaliche (lunghezza e apertura), che appare anche sul piano paleogra-
fico nella derivazione del segno per iJ [c] (e conseguentemente di quello
per .j) dal gr. E'tjii.À.ov, e di quelli per y [C] e v [v] in inizio di parola, en-
trambi da Y'".
La politica religiosa della dinastia sasanide non fu però sempre de-
terminata o influenzata dal clero zoroastriano; infatti risulta evidente,
soprattutto nel III secolo, una sorta di tolleranza religi~sa verso le mi-
noranze ebraiche, cristiane, ecc., e soprattutto, sotto Sabuhr, verso i
manicheim Tale atteggiamento verrà ribaltato da Wahram I (274-76/77
d. C.), il quale fu spinto dal clero mazdeo e dal gran sacerdote Kirdir a
far giustiziare Mani (274 o 277 d. C.) e perseguitare i suoi seguaci; tale
episodio sposterà l'asse della predicazione manichea verso est, lungo la
Via d~lla Seta in Asia centrale e in Cina. Un giudizio sull'atteggiamen-
to di Sabuhr non può che essere complesso e articolato; indubbiamen-
te, in una fase di consolidamento del potere, un eccesso di zelo religio-
so, che si sarebbe quindi contrapposto alla tradizionale politica di tolle-
ranza attuata dai Parti, poteva risultare controproducente, come ritiene
191 PII. GIGNoux, Church-State relations in the Sasanian period, in Monarchies and Socio-Religious
Traditions in the Ancient Near East, Wiesbaden 1984, pp. 72-80.
"" J. KELLENS, Avesta, in Elr., III/I (I988), pp. 35·44·
'" F. c. ANDREAS e K. IIARR, Bruchstiicke einer Pehlevi-Ubersetzung der Psalmen, in «Sitzungs-
herichte der ki:iniglichen preussischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Kl. >>, 1933·
,,. Si vedano K. IIOFFMANN e}. NARTEN, Dersasanidische Archetypus, Wiesbaden 1989; K. JIOFF-
MANN, Avestan Language.l: Avestan Script, in Elr., III/I cit., pp. 47·51; A. PANAINO, Philologia Ave-
stica V The Origino/ Avestan Letters _V and v, in «Miinchener Studien zur Sprachwissenschaft»,
LVII (1997), pp. 8I-96.
"' Si veda G. GNOLI, Universalismo e nazionalismo nell'Iran del III secolo, in L. LANCIOTTI (a cu-
ra di), Incontro di religioni in Asia tra il m e il x secolo d. C., Firenze 1984, pp. 31-54; ID., Il perico-
lo cit., p. 419. Per quanto concerne la data di morte di Mani si veda la discussione del problema
i n w. s UNJ>ERMANN, Studien zur kirchengeschichtlichen Literatur der iranischen Manichiier III., in «Alt-
orientalische Forschungen», I4/l (1987), pp. 50-53, 76-77.
122 Gli«altri»eiGreci
'" Cfr. F. ALTHEIM, Geschicbte der Hunnen, 5 voli., Berlin 1969-75; R. GOBL, Dokumente zur
Geschichte der iranischen Hunnen in Baktrien und lndien, 4 voli., Wiesbaden 1967; BIVAR, Tbe po-
litica! history cit., pp. 2II-17-
'" K. sCJIIPPMANN, GrundziigederGescbicbtedes sasanidiscbes Reicbes, Darmstadt 1990, p. 45;
CIJAUMONT, La cbristianisation cit., p. VII.
206
Cfr. A. CIIRISTENSEN, Le règne du Roi Kawiidb l et le communisme mazdakite, Copenhague
1925; o. KLIMA, Mazdak, Praha 1957; ID., Beitriige zur Gescbicbte des Mazdakismus, Prag 1977; E.
YARSIIATER, Mazdakism, in CHI, Ill/2 cit., pp. 991-1024; w. suNDERMANN, Mazdak und die maz-
dakitischen Volksaufttiinde, in «Aitertum», XXIII (1977), pp. 245-49; ID., Neue Erkentnisse iiber
die mazdakitiscbe Soziallebre, ivi, XXXIV (1988), pp. 183-88; M. SHAKI, Tbe social doctrine o/Maz-
dak in the ligbtof Middle Pmian evidence, in «Archiv Orienta.Inf», XLVI (1978), pp. 289-306; ID.,
Tbe cosmologica! teacbings o/ Mazdak, in Papers in Honour o/ Professar Mary Boyce, Leiden 1985,
pp. 527-43·
201
CARILE, Materiali cit., p. 49·
Figura 7· Particolare di grande coppa d'argento dorato (VI secolo d. C.).
Figura 8. Wahnim V a caccia di leoni. Piatto d'argento parzialmente dorato (IX secolo d. C.).
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti I 25
208
M. GRIGNASCIII, La riforma tributaria di I:Josro I e i/feudalesimo sassanide, in La Persia nel Me-
dioevo cit., pp. 87·I47-
"' Cfr. CHRISTENSEN, L 'Iran ci t., pp. 363-440; FRYE, The History ci t., pp. J25·34·
210 AGATIIIAE MYRINAEI, Historiarum libri quinque, a cura di R. Keidell, Berolini I967, capp.
30· 3 I, pp. 79-82. Si noterà che il IV libro del Denkard (429. I I sgg.) menziona la categoria dei <<fi-
losofi», filaso/ii; nel) II libro (I 52. I·I7, 250.2-4) si fa riferimento ai sofisti (sofistii/sufistii), men-
zionati anche nello Skand-gumiinig wiziir, 6, 35, 45 (suf3astiii4 in pazand, ovvero in pahlavi trascritto
in caratteri avestici) in un'accezione negativa, ossia come coloro che negano la veridicità dei sensi
(cfr. J. DE MENASCE, Une apologétique mazdéenne du Ix' siècle Skand-Gumiinik Viciir La solution
décisive des doutes, F ribourg I 94 5, pp. 76-8 3). w. SUNDERMANN, Soziale Typenbegriffe altgriechischen
Ursprungs in der altiranischen Vberlie/erung, in Soziale Typenbegrif/e im alten Griechenland, Berlin
1982, pp. I4-38, ha discusso l'origine del termine so/istii/sufistii in pahlavi, mostrando che esso di-
pende dal siriaco swpys( (so/isfii <gr. oocpwn\ç), o, nel caso della forma pazand, addirittura dall'ara-
bo sufis{ii'i. Sembrerebbe che la parola per <<sofista» fosse entrata in pahlavi alla fine dell'epoca sa-
sanide o immediatamente dopo attraverso la mediazione siriaca e verisimilmente cristiana. La stes-
sa accezione accolta nello Skand-gumiinig wiziir, che ne fa degli scettici, dipende dalla tradizione
siriaca e araba degli scritti antisofistici di Aristotele.
126 Gli «altri» e i Greci
NAINO, La novella degli scacchi e della tavola reale. Testo pahlavi, traduzione e commento del Wiztirifn
i éatrang ud nihisn inew-ardax!ir, Milano 1999, pp. 54·55, 83-91, 105-23.
"" Cfr. J. DE MENASCE, Le troisième /ivre du Denkart, Paris 1973, pp. 158-59 (BAILEY, Zoroas-
trian Prob/ems cit., pp. 196-204); in questo capitolo si distingue tra medicina del corpo e dell'ani-
ma, ma l'interdipendenza delle due è pienamente riconosciuta. Le specie di medicina corporale sa·
rebbero 6: guarigione per mezzo delle giustizia, del fuoco, delle piante, del coltello, della puntura
e quindi del mqn9ra (in quest'ultimo caso si rammenti il già citato riferimento a Vd. 7·44 [e con
Pindaro]). La dottrina è certamente zoroastriana, ma riflette alcuni influssi ippocratici. Cfr. L. CH.
CASARTELLI, Un traité peh/evi sur la médecine, in «Le Muséon», V (1886), pp. 300·3; ID., Traité de
/4 médecine, ivi, pp. 531·58; CIIRISTENSEN, L'Iran cit., p. 420.
219
PH. GIGNOUX e A. TAFAZZOLI, Antho/ogie de ltidspram. Edition critique du texte peh/evi tra·
duit et commenté, Paris I993. pp. 94· I I I; cfr. SOIIN, Die Medizin ci t.
220
Suddivisa in gytin «spirito», boy «Coscienza» e /rawahr «anima protettrice e immortale>>;
lo spirito, gytin, è caldo, luminoso e della stessa sostanza del fuoco; insieme allo sperma (tohm), la
cui fonte è il fuoco, esso penetra nel corpo al principio della sua costituzione. Questa dottrina, se-
condo nAILEY, Zoroastrian Prob/ems ci t., p. Io6, sembrerebbe derivare dalla concezione aristoteli·
ca, secondo cui ill'tvEiil'a entra nel corpo ancora in embrione con lo sperma.
221
Suddivisa in ruwtinandartan «anima nel corpo>>, ruwtin beron itan «anima fuori dal corpo>>
c ruwiin i pad menogiin axwtin «anima nel mondo invisibile>>. Tale distinzione è messa da PII. GI-
c;Noux, Un témoin du syncrétisme mazdéen tardi/: le traité pehlevi des «Sé/ections de Zadsparam», in
'J'ransition Periods in Iranian History cit., p. 69, in relazione con quella attestata in PLATONE, Timeo,
89a. Gli animali avrebbero gyiin e ruwiin simili. Secondo il Denkard (4 1 7· I4), la costituzione degli
animali proviene dall'unione di fuoco e acqua, dottrina che BAILEY, Zoroastrian Prob/ems cit., pp.
1 1 l· I 2, connette con la parallela derivazione delle omeomerie (Ò!!OLO!!EQij) dai 4 elementi; inoltre
ruwiin corrisponderebbe alla 1jll!)(~ degli El'ljiU)(a. SO! IN, Die Medizin cit., p. 35, puntualizza diver·
se corrispondenze con la terminologia galenica.
222
Il termine pahlavi rifletterebbe quindi un grecismo, se si accetta la lettura di M. SHAKI,
Il /cw philosophical an d cosmologica/ chapters o/ the Denkart, in «Archi v Orientalnf>>, XLI (I 97 3),
p. 138, nota 28. Cfr. ancora Denkard, III, cap. 263 (DE MENASCE, Le troisième livre cit., p. 267).
128 Gli «altri» e i Greci
m GIGNoux, Un témoin cit., insiste sugli elementi platonici (piu che aristotelici) di queste dot-
trine. La comparazione tra Gayomart (l'uomo primigenio della cosmologia avestica, perfetto e sfe-
rico, da cui deriva la prima coppia umana gemellare) e l'essere primordiale celebrato da Aristofa-
ne nel Simposio platonico, talvolta sollevata negli studi, resta puramente esteriore; l'insistenza sul-
la sfericità riflette verisimilmente l'idea del parallelismo tra un macrocosmo e un microcosmo
perfetti (DUCIIESNE-GUILLEMIN, La religion cit., pp. 209-10).
m II. G. LIDDEL e R. scorr, A Greek-Eng/ish Lexicon With a Supplement, Oxford 1968, p.
1647b.
m ZAEIINER, Zoroastro cit. p. 2 38.
"' Cfr. BAILEY, Zoroastrian Problems cit., p. 88.
227
Ibid., pp. 82-83.
"" Ibid., p. 83.
"'Ibid.
no Su questo importantissimo intellettuale si veda scnoFFLER, Die Akademie cit., pp. 92-104.
m R. c. ZAEIINER, The Teachings of the Magi. A Compendium of Zoroastrian Beliefs, London
1956, pp. 143-44, 149-50 [trad. i t. Il Libro del Consiglio di Zarathushtra e altri testi. Compendio del-
le teorie :zoroastriane, Roma 1976, pp. 104, 108].
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti 129
"' Si tratta di Boriin (o Boriin-duxt), la prima donna a salire al trono (e a restarvi per circa un
anno e 4 mesi secondo Tabari; cfr. T. NOLDEKE, Geschichte der Perser und Araber zur Zeit der Sasa-
niden. Aus der Arabischen Chronik des Tabari, Leyden 1879, pp. 390-92), e della sorella Àzarme-
duxt, anch'essa regina per pochi mesi (solo 6, sempre secondo Tabari, pp. 393-94, che però inter-
eone tra le due regine il brevissimo regno, solo un mese, di Gusnaspdeh); sul regno di Boriin e di
Azarmeduxt si veda anche al-Tha'ilibi (cfr. H. ZOTENBERG, Histoire des rois des Perses par Abou Man-
sour 'Abd ibn Mohammad ibn Ismti'il al-Tha'alibi, Paris 1900, pp. 735-37). Mi sembra opportuno
puntualizzare che però, nella tradizione sasanide, le donne, per quanto godessero sul piano legale
e familiare di alcuni privilegi giuridici (soprattutto riguardo l'asse ereditario e la tutela dei diritti
di proprietà rispetto all'autorità del marito; si veda PERIKHANIAN,Iranian Society cit., pp. 646-58),
non divennero mai propriamente un soggetto giuridico, quanto piuttosto, nella definizione di c.
BARTHOLOMAE, Die Frau im sasanidischen Recht, Heidelberg 1924, rimasero un «oggetto del dirit-
to ... Inoltre bisogna considerare che, sebbene la presenza di membri femminili della famiglia rea-
le emerga palesemente in ambito pubblico già a partire dal 111 secolo d. C., come nota opportuna·
mente WIESEHOFER, Das antike Persien cit., pp. 232-33, attraverso la diretta menzione nelle iscri-
zioni o nella loro rappresentazione su rilievi, monete, gemme e sigilli, la loro ascesa al trono rimane
un evento alquanto sorprendente, in quanto sembra contraddire non solo la tradizione (e infatti il
ricorso alle donne è indicato dalle fonti come una forzatura dettata innanzi tutto dall'assenza di
eredi maschi, prodottasi peraltro in un contesto politico ormai deteriorato e fortemente condizio-
nato dall'autorità di gruppi militari e nobiliari), ma soprattutto il principio fondante della regalità
sacra, che individua nel re il solo depositario dell'autorità religiosa e sacerdotale, quest'ultima mai
esercitata nell'Iran zoroastriano da donne. Mi sembra pertanto un eccesso vedere negli eventi ma-
turati nel corso del vu secolo il realizzarsi di una sorta di processo di effettiva emancipazione dell'au-
torità regale femminile prodottosi nell'ambito della famiglia reale.
"' Si vedano R. N. FRYE, The Golden Age o/ Persia. The Arabs in East, London 1993, pp. 54-
73; F. GABRIEU, Maometto e le grandi conquiste arabe, Milano 1967 (rist. Roma 1996), pp. 86-98.
8
" Cfr. A. FORTE, Il Persiano Aluohan (6L6-] Lo) nella capitale cinese Luoyang, sede del Cakra-
vartin, in LANCIOTTI (a cura di), Incontro cit., pp. 185-86; A. FORTE, On the identity o/ Aluohan (6L6-
Panaino Greci e lranici: confronto e conflitti I 3I
7 ro) a Persian aristocrat at the Chinese court, in La Persia e /'Asia Centrale ci t., pp. I 87·97; ]. IIAR·
MA'I"fA, The Middle Persian-Chinese bilingual inscription /rom Hsian and the Chinese-Sasanian rela-
tions, in La Persia nel Medioevo cit., pp. 363-76; P. PELLIOT, L'inscription nestorienne de Si-Ngan-
Fou, Kyoto-Paris 1996.
"' FRYE, The Golden Age cit., pp. 74-103; GABRIELI, Maometto cit., pp. 143-54.
240
R. E. EMMERICK, The Iranian settlements to the East of the Pamirs, in CHI, III/I cit., pp.
265-70.
241
Si veda F. SEZGIN, Geschichte der arabischen Schri/ttums, VI. Astronomie bis ca. 430 H., Leiden
1978; VII. Astrologie, Meteorologie und Verwandtes bis ca. 430 H., Leiden I979; D. PrNGREE, Astro-
nomy and astrology in India and Iran, in <<ISIS», LIV/2, r 76 (r963), pp. 229-46; ID., Classica! and Byz-
antine astrology in Sassanian Persia, in <<Dumbarton Oaks Papers», XLIII (r989), pp. 227-39.
242
La questione è ampiamente discussa da BAILEY, Zoroastrian Problems ci t.
"' Cfr. HOFFMANN e NARTEN, Der sasanidiscbe Arcbetypus cit., pp. 15-22; KELLENS, Avesta cit.,
p. 35·
"' Cfr. N. SIMS-WILLIAMS, The Sogdian merchants in China and India, in A. CADONNA e L. LAN-
132 Gli «altri» e i Greci
continente indiano alle coste della penisola araba e del Mediterraneo 24',
sia per la circolazione di tradizioni culturali, religiose e scientifiche, che
videro l'Iran aprirsi a influenze diverse, tanto greche quanto indiane,
nonché mediare le stesse verso le civiltà confinanti. Le lotte religiose e
le missioni impegnate nei centri urbani sia dell'Iran occidentale che
orientale, lungo la Via della Seta24', sino ai confini con il Tibee 47 e la Ci-
na248, trasmisero da un capo all'altro dell'altopiano iranico, oltre alle prin-
cipali dottrine religiose del mondo orientale, anche nozioni di carattere
scientifico, filosofico, medico e artistico. Sarebbe impossibile ripercor-
rere le ramificazioni di tutte queste tradizioni attraverso il mondo ira-
nico e le sue letterature preislamiche (medio persiana, partica, sogdia-
na, coresmia, battriana, khotanese e tumsuqese), molte delle quali igno-
te sino all'inizio del nostro secolo; appare comunque piu che ragionevole
dedicare qualche pagina conclusiva ad alcuni degli aspetti piu salienti
del mondo culturale sasanide, che piu direttamente (ma non esclusiva-
mente) ha interagito con l'Occidente greco-romano. In un celebre pas-
so del IV libro del Denkartf 4' si afferma che per v~lontà dei sovrani sa-
sanidi, a partire dal III secolo, in particolare sotto Sabuhr I, fu incorag-
giata la traduzione di testi scientifici e filosofici greci e indiani. T aie
attività ottenne nuovo impulso nel VI secolo, sotto Xusraw I, quando al-
tri trattati vennero portati in Iran2' 0 e piu antiche versioni aggiornate e
commentate. Purtroppo molte di queste fonti sono scomparse, ma la
Vorlage medio persianam appare evidente attraverso numerose versioni
CIOTil (a cura di), Cina e Iran. Da Alessandro Magno alla dinastia Tang, Firenze 1996, pp. 45-65. Si
deve precisare, in questa sede, che la letteratura sogdiana, oltre a documenti di carattere secolare,
è attestata in tre varianti differenti: cristiana, buddhista e manichea.
••• Cfr. v. G. LUKONIN, Politica!, social and administrative institutions: taxes and trade, e c. BRUN-
NER, Geographical and administrative divisions: settlements and economy, entrambi in CHI, III/ 2 ci t.,
pp. 681-746 e 747·77.
••• Cfr. H. w. IIAUSSIG, Die Geschichte Zentralasiens und der Seidenstrasse in vorislamischer Zeit,
Darmstadt 1992.
247
Cfr. G. TUCCI, Iran e Tibet, in La Persia nel Medioevo cit., pp. 355-60.
"" Si veda ancora HARMATIA, The Middle Persian-Chinese bilingual inscription cit., pp. 363-76.
240
Cfr. ZAEIINER, Zuroan ci t., p. 8; M. SIIAKI, The Denkard account o/ the history o/ the Zoroas-
trian scriptures, in «Archiv Orientalni», XLIX (1981), pp. 1 14-25; c. CERETI, Prolegomena allo stu-
dio del quarto libro del Denkard, in «Studi Orientali e Linguistici», V (1996), pp. 125-26.
,,. Sotto l'autorità dei sovrani sasanidi furono redatte almeno tre versioni delle tavole astro-
nomiche, note come Zig i Sahryiirtin (ar. Zij ai-Sah), che utilizzavano parametri matematici greci e
indiani, e saranno fondamentali per lo sviluppo dell'astronomia medievale (E. s. KENNEDY, A Sur-
vey o/Islamic Astronomica!Tables, Philadelphia 1956). La II epistola di Manusè'ihr (PANAINO, Tes-
sere il cielo cit., pp. 34-38) conferma l'uso di diverse tavole astronomiche, ad es. quelle dei sovra-
ni sasanidi (Zig i Sahryiirtin), di Tolemeo (Zig i Ptalamayus) e degli Indiani (Zig i Hindug) .
.,. Tale intermediazione risulta evidente grazie alla terminologia in pahlavi, mascherata dalle
bizzarre trascrizioni in arabo o in latino, e dalla presenza di oroscopi calcolati per l'epoca sasani-
Panaino Greci e Iranici: confronto e conflitti 133
de (assenti negli originali greci) e di tecniche astrologiche non ellenistiche ma indiane (A. PANAINO,
Considerazioni su/lessico astronomico-astrologico medio-persiano, in Lingue e culture in contatto nel
mondo antico e altomedievale, Atti dell'VIII convegno internazionale dei linguisti (Milano, ro-12
settembre 1992), Milano 1993, p. 427; ID., The Two Astrologica! Reports o/ the Kiimiimag i ArdaSir
i Piibagiin (III, 4·7: IV,6-7), in «Die Sprache», XXXVI/2 (1996), pp. r81-98).
m P. Kl!_NITZSCH, Der A/magest. Die Syntaxis Mathematica des Claudius Ptolemiius in arabisch-
latt:inischer Uberlieferung, Wiesbaden 1974; PANAINO, Tessere il cielo cit., pp. 36-38.
m c. A. NALUNO, Tracce di opere greche giunte agli Arabi per tra/ila peh/evica, in A Volume o/
Orienta/ Studies Presented lo Professar E. G. Browne, Cambridge 1922, pp. 345-63; cfr. anche m.,
Raccolta di scritti editi e inediti, V. Astrologia- Astronomia- Geografia, Roma 1944.
m Cfr. Vettii Valentis Antiocheni antho/ogiarum libri novem, Leipzig 1986, edito da Pingree.
"'Sulla questione si veda la discussione in PANAINO, La novella cit., pp. 120-23.
"' Cfr. PINGREE, Classica/ and By:zantine astro/ogy cit., p. 23 r.
m Frammenti apud F. BOLL, Sphaera: neue griechische Texte und Untersuchungen :zur Geschich-
te derStembi/der, Leipzig 1903, pp. 16-21, 41·52; cfr. Boll, in F. CUMONT e F. BOLL (a cura di), Ca-
talop,us codicum astro/ogorum Graecorum, V Codicum Romanorum, Bruxellis 1904, pp. 156-70.
m SEZGIN, Geschichte cit.,VII, pp. 71-73.
"' Cfr. BOLL, Sphaera ci t., pp. 4 r 2-39. L'esistenza di una traduzione pahlavr è confermata dal
fatto che nell' Introductorium maius di Abu Ma'sar (K. Dyroff apud BOLL, Sphaera ci t., pp. 482-.539),
oltre ad altre fonti di origine indiana sull'iconografia dei decani (derivate da Varahamihira [VI se·
colo d. C.], ma a loro volta risalenti al Yavana;iitaka [<<Il trattato scientifico dei Greci>>] di Sphujidh-
vaja [edito da D. PINGREE, The Yavana;ataka of Sphu;idhva;a, 2 voll., Cambridge Mass. 1978]), vie-
ne descritto il sistema persiano dei «paranatellonta» e si trova attestato un gran numero di termi-
ni astronomici iranici. Boll ritenne che Abu Ma'sar avesse utilizzato una versione sasanide e che
per questa via la tradizione appartenente a Teucro facesse ritorno a Bisanzio e in Occidente. Fu
successivamente A. WARBURG, La rinascita del paganesimo antico, Firenze 1980, pp. 253-57, segui-
to da F. SAXL, La fede negli astri, Torino 1985, p. 283, a mostrare che l'iconografia egiziana dei de-
cani, rielaborata attraverso gli interventi degli astrologi indiani e persiani, era stata trasferita, tra-
mite l'Introductorium maius, nell'Astrolabium planum di Pietro d'Abano.
134 Gli «altri» e i Greci
26
° Cfr. Dorothei Sidonii carmen astrologicum, Leipzig 1976, edito da Pingree, pp. vu-xvn. Ta-
le poema in 5 libri sull'astrologia genetlialogica e catarchica sopravvisse sino al vn secolo, mentre
alcune sue parafrasi in prosa sono attestate sino all'xl secolo a Bisanzio; ne restano in originale di-
versi frammenti raccolti da Pingree, mentre alcuni excerpta sono inseriti negli 'AJroreJ.ea!lart~ea di
Efestione Tebano, IV secolo (Hephaestio Thebanus, Apotelesmatica, 2 voli., Leipzig I97J·74. edito
da Pingree). Altri capitoli di Doroteo sono però sopravvissuti grazie alla recensione, anch'essa ba-
sata sulla versione pahlavi, dell'astrologo giudeo-persiano Masa'allah nelle sue opere intitolate Kitiib
al-mawii/id e Kitab al-mawii/id al-kabir, che esistono in versione latina (si veda l'ed. di E. s. KEN·
NEDY e D. PINGREE, The Astrologica/ History of Miishii'ol/ah, Cambridge Mass. 1971, pp. 145-74).
Altri materiali del Doroteo pahlavi sono documentati da un manoscritto arabo dell'Università di
Leida contenente diversi oroscopi, che compaiono anche in un'ampia compilazione astrologica gre-
co-bizantina attribuita falsamente ad AQ.mad il Persiano. Un certo numero di capitoli della ver-
sione di Masa'allah è stato conservato in una versione latina, il Liber Aristotilis, redatto da Hugo
Sanctallensis in Spagna nel xn secolo (si veda l'edizione a cura di D. PINGREE e eu. BURNETI, The
"Liber Aristotilis" o/Hugo o/Sanctalla, London 1997). Si noterà peraltro che il Liber Aristotilis uti-
lizza anche parti dell'opera di Retorio (D. PINGREE, Antiochus and Rhetorius, in «Classica! Philo-
logy», LXXII/32 (1977), pp. 203-23), un astrologo egiziano, di lingua greca, vissuto in Alessan-
dria prima del64o, il cui compendio fu letto da Masa'allah, presumibilmente nell'originale greco.
Masa'allah venne a conoscenza dell'opera di Retorio grazie all'intermediazione del cristiano ma-
ronita Teofilo di Edessa, un siriano nato intorno al695 che, oltre ad aver tradotto !'Iliade e l'Odis-
seo in siriaco, si sarebbe occupato principalmente di astrologia, utilizzando, data la sua peculiare
condizione, testi in diverse lingue: pahlavi, arabo, siriaco e greco. Ciò è confermato dal fatto che
nel suo trattato di astrologia militare, llovm JI'E(!Ì xarapxwv JroÀEptxwv, mostra di dipendere da
un'opera indiana di Varahamihira,la B_rhadyiitrii (ed. di D. PINGREE, Brhadyiitrii (Yaksyeivamedhiyam)
ofVariihamihira, Madras 1972; cfr. ID., Javanajiitaka, Cambridge Mass.- London 1978, Il, pp. 389,
443-44), che poteva conoscere solo attraverso una traduzione in pahlavi.
'" SEZGIN, Geschichte cit., VII, pp. Sr-86; KUNITZSCH, Der Almagest cit., p. 241.
262
PINGREE, Classica/ and Byzantine astro/ogy cit., pp. 234-35.
'" La versione araba, di cui restano solo due manoscritti, mostra un gran numero di trascri-
zioni di termini medio persiani e tradisce un pesante influsso greco, inframezzato di elementi in-
diani e sviluppi prettamente iranici, ma rivelerebbe anche influssi Q.arraniti, per via dei quali Pin-
gree (ibid., p. 235) sospetta che la traduzione in medio persiano sia stata condotta su un originale
greco del m secolo da un nativo di l;larran.
... NALUNO, Tracce cit., pp. 346-47. Sul tema si veda anche J. F. HABBI, Testi geoponici in si-
riaco e arabo, in Autori classici in lingue del Vicino e Medio Oriente, Atti del III, IV e V seminario
sul tema cRecupero di testi classici attraverso recezioni in lingue del Vicino e Medio Oriente»,
Roma 1990, pp. 77-92. Habbi ritiene che esistesse anche una versione pahlavi delle Ecloghe di Cas-
siano.
Panaino Greci e Iranici: confronto e conflitti 135
siani; vedi ora l'ed. di G. T. DENNIS, Das Strategikon des Maurikios, Wien 1981, p. 355·
136 Gli «altri» e i Greci
27l <<UUtf] yÙQ ÀUtlJQLOç yi-yovE tijç 'Pw~atwv tf Kui OtQO!ÌJV E1Ì1tQCIYLUç» (TEOPILATTO SIMOCATTA,
Storie, 8.15·5·6).
274
1. DUJèEV, Il mondo slavo e la Persia nell'Alto Medioevo, in La Persia e il mondo greco-roma-
no ci t., pp. 296 sgg.; CARILE, Materiali cit., p. 47.
GIUSEPPE F. DEL MONTE
1
La cultura mesopotamica sopravvisse <<fino a quando un solo sacerdote in un solo Tempio in
una sola città in Mesopotamia fu ancora in grado di leggere la scrittura cuneiforme» (M. J. GELLER,
The las t wedge, in «Zeitschrift fi.ir Assyriologie>>, LXXXVII (1997), p. 46).
2
Per i passi citati in questo paragrafo cfr. J. A. BRINKMAN, The Akkadian wordsfor "Ionia" and
"Ionian", in R. F. SUTTON jr. (a cura di), Daidalikon. Studies in Memory o/Raymond V. Schoder, 5.].,
Wauconda Ili. 1989, pp. 53·7 r; R. ROLLINGER, Zur Bezeichnung von «Griechen» in Keilschrifttexten,
in <<Revue d'Assyriologie>>, XCI (1997), pp. r67·72.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 139
' A. L. OPPENIIEIM, Essay on averla nd trade in the first mil!ennium B.C., in «]ournal of Cuneiform
Studies», XXI (t967), pp. 236-54.
140 Gli «altri» e i Greci
2. Alessandro e Babilonia.
'G. F. DEL MONTE, Testi dalla Babilonia ellenistica,!, Pisa-Roma 1997, p. 214.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 141
Mazeo nello zelo, aveva cosparso di fiori e corone tutta la strada e sistemato ai lati
altari di argento ricolmi di incenso e di ogni genere di profumi. Era seguito da greg-
gi di pecore e mandrie di cavalli portati in dono, e vennero trasportati in gabbia per-
fino leoni e pantere. Poi venivano i Magi cantando alla loro maniera, quindi gli astro-
logi caldei e tra i Babilonesi non solo i sacerdoti ma anche artisti con la lira del pro-
prio paese: questi avevano il compito di cantare le lodi dei re, i Caldei di spiegare i
movimenti degli astri e il regolare alternarsi delle stagioni. Per ultimi i cavalieri ba-
bilonesi che avevano abbigliato sé e i propri cavalli badando piu alla ostentazione
di sfarzo che alla grandiosità. Il re, circondato di armati, ordinò alla folla dei citta-
dini di accodarsi agli ultimi dei fanti, ed egli entrò nella città e poi nel Palazzo'
tipo alle quali erano aggiunte talvolta informazioni sui prezzi di alcune
derrate di base, sul livello dell'Eufrate, sullo Zodiaco e su eventi citta-
dini notevoli. Le osservazioni erano effettuate notte dopo notte da un
team di astrologi dipendenti dall'Esagila, il Tempio di Marduk a Babi-
lonia, ed erano registrate giorno dopo giorno su piccole tavolette di ar-
gilla o cerate; i dati giornalieri venivano poi riuniti mese per mese e in-
fine archiviati su base semestrale per essere utilizzati come fonte di al-
tri generi di testi, dai manuali scientifici alle cronache storiche. Lo scopo
era di creare una lunga serie di correlazioni fra eventi celesti e terrestri
per fini astrologici, e aveva quindi un fine strettamente «Scientifico»
che ci offre la maggiore garanzia sulla affidabilità dei dati tramandati,
normalmente relativi ad avvenimenti all'interno della città di Babilonia
o comunque dei quali l'astrologo osservatore aveva conoscenza diretta.
Anche il racconto della disfatta di Dario III e dell'ingresso di Ales-
sandro a Babilonia nel Diario del 3 3 I si colloca in un quadro astrologi-
co - vale a dire che essa è riportata non per la sua importanza politica o
«storica», ma perché dimostrava la esattezza di una correlazione fra av-
venimenti celesti e terrestri. Il 20 settembre di quell'anno si produsse
una eclisse totale di luna quando Giove era già tramontato; nello stesso
momento avvenne una grave sciagura di natura imprecisabile a causa di
una lacuna, e il I 0 ottobre Dario viene sbaragliato a Gaugamela e co-
stretto alla fuga. In un manuale di astrologia di età seleucide si legge ap-
punto che se una eclisse di luna è accompagnata dalla debolezza o as-
senza di Giove in terra vi sarà la «fine di un regno» 8 •
Per l'u ottobre l'astrologo annota un messaggio di Alessandro col
quale questi rassicura i Babilonesi che non profanerà i loro templi. Il I 3
una prima avanguardia di Greci, chiamati dal diarista Iamanaja, «<oni»,
con il nome cioè con il quale venivano designati i Greci fin dall'viii se-
colo a.e.v., entra in Babilonia e si schiera a difesa dell'Esagila, cosi co-
me già era stato registrato per Ciro il Grande, e il I4 gli stessi Greci,
certo in rappresentanza di Alessandro, partecipano ai riti dell'Esagila
con proprie offerte nel Tempio. Qualche giorno dopo Alessandro, «re
del mondo», entra in Babilonia con i suoi cavalieri e le salmerie festeg-
giato dai «figli di Babilonia», cioè i Babilonesi in senso stretto gravi-
tanti attorno alla economia templare, e dalla gente comune9
Non è da pensare, naturalmente, a una dipendenza diretta dei rac-
conti occidentali dal racconto babilonese: ogni conquistatore entra in
8
DEL MONTE, Testi cit., p. 2.
' Il testo in A. J. sAcus e H. IIUNGER, Astronomica/ Diaries and Related Texts /rom Babylonia, I,
Wien 1988, pp. 176·79, e in DEL MONTE, Testi cit., pp. 1-6.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 143
una città che abbia trattato la resa in tutti i tempi con queste stesse mo-
dalità, e la descrizione dell'ingresso in sé non ci dice nulla dei reali sen-
timenti della classe dirigente e della popolazione. Ma un punto del rac-
conto del diarista va sottolineato, quello del riconoscimento di Ales-
sandro come legittimo re, come «re del mondo». Dato il processo di
formazione di un Diario astronomico di cui si è sopra parlato, il rico-
noscimento dovette essere immediato e condizionato solo alla promes-
sa che l'autonomia dell'Esagila e dei templi di Babilonia sarebbe stata
garantita. Questo stesso atteggiamento traspare con chiarezza anche in
un frammento, purtroppo minimo e appartenente a un genere letterario
imprecisabile, ma che deve essere stato scritto non molti anni dopo il
331 10 • In esso, dopo accenni a lavori di restauro all'Esagila, all'uccisio-
ne di Arses (Artaserse IV), all'ingresso di qualcuno (in Babilonia) che
comportò una qualche azione (ostile?) sul tempio di Anunitu all'inter-
no della città, si può leggere ancora: «[che] Alessandro, il Grande Re,
ha fatto, voi, figli di Babilonia ... e i templi sono tornati di proprietà
dell'Esagila e dei figli di Babilonia ... hanno restaurato l'Esagila»: Ales-
sandro è «re del mondo», «Grande Re», solo in quanto (e fino a quan-
do) garantisce l'autonomia dell'Esagila e dei «figli di Babilonia», favo-
risce il Tempio finanziandone i lavori di manutenzione e accetta l'ideo-
logia della regalità proposta dagli ambienti templari partecipando ai
connessi riti religiosi babilonesi. Lavori all'Esagila sono effettivamente
attestati per il febbraio-marzo del327 e per il gennaio del 325 a.e.v.,
ma si tratta di lavori di ordinaria manutenzione finanziati da offerte in-
dividuali, cosi come successivamente nel 322 e nel3II/310, in mezzo
ai furiosi combattimenti fra Antigone e Seleuco attorno a Babilonia e
Borsippa, e via via lungo la storia dell'Esagila fino al 1 secolo a.e.v., e
non hanno nulla a che fare con la notizia, in questi termini falsa, tra-
mandata da Arriano, secondo il quale «Alessandro, entrato a Babilonia,
ordinò ai Babilonesi di ricostruire i templi che Serse aveva distrutto e
in primo luogo il Tempio di Bel [cioè, l'Esagila]», anche perché Serse,
come oggi si sa, non ha mai distrutto quel tempio 11
10
A. SACHS,Achaemenid roya/ names in Babylonian astronomica/ texts, in «AmericanJournal of
i\ncient llistory», II (1977), pp. 146 sg.; cfr. A. KUIIRT, Survey of written sources availab/e for the
history o/ Baby/onia under the late Achaemenids, in H. SANCISI-WEERDENBURG (a cura di), Achaeme-
nid History, l. Sources, Structures and Synthesis, Leiden 1987, p. 148.
11
Sulle notizie di lavori di manutenzione all'Esagila, spesso a torto enfatizzate, cfr. DEL MON-
TE, Testi cit., pp. 1.3-17, r6o sg. Su Serse e l'Esagila A. KUIIRT e s. SHERWIN·WIIITE, Xerxes' des-
truction o/Baby/onian temp/es, in 11. SANCISI·WEERDENBURG e A. KUHRT (a cura di), Achaemenid His-
tory, Il. The Greek Sources, Leiden 1987, pp. 69-78, e A. KUHRT, The Achaemenid Empire:a Baby-
lonian perspective, in <<Proceedings of the Cambridge Philological Society», CCXIV (1988), pp.
66-68.
144 Gli «altri)) e i Greci
3. L'opposizione babilonese.
12
Sulle pecore e la lana «khanee>> cfr. The Assyrian Dictionary o/ the Orienta/ lnstitute o/ the
University o/ Chicago, VI, Il (1956), pp. 82 sg., e II. WAETZOI.DT, Untersuchungen zur neusumeri·
schen Texti/industrie, Rom 1972, p. 31; sui nomadi nella prima metà del Il millennio, tra i tanti, J.
R. KUPPER, Les nomades de Mésopotamie au temps des rois de Mari, Paris 1956; M. HEI.TZER, The Su-
teans, Naples 1981. Sul «regno>> di Khana A. 11. PODANY, A Midd/e Baby/onian date /or the Hana
Kingdom, in «Journal of Cuneiform Studies>>, XLIII-XLV (1991-93), pp. 53-62; su Agum, J. A.
DRINKMAN, A Cata/ogue o/ Cuneiform Sources Pertaining to Speci/ic Monarchs o/ the Kassite Dynasty,
Chicago 1976, pp. 96-99.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 145
17
Il testo in A. K. GRAYSON, Assyrian and Babylonian Chronicles, Locust Valley 1975, pp. 112
sg.; per la data cfr. KUIIRT e SIIERWIN-Wil!TE, Xerxes' destruction cit., p. 78.
•• Edito da A. K. GRAYSON, Babylonian Historical Literary Texts, Taranto 1975, pp. 24-37; cfr.
l'ultimo commento di BRIANT, Alexandre le Grand ci t., pp. 30 sg. Tutti gli studiosi che hanno com-
mentato il testo vedono in colui che «radunerà l'esercito (di Akkad)>> il redivivo Dario III, facen-
done quindi un documento di propaganda filoachemenide che dev'essere stato redatto, ovviamente,
subito dopo la conquista di Alessandro. La mia lettura divergente è piu ampiamente documentata
in Testi dalla Babilonia ellenistica, Il, Pisa-Roma, in stampa.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 147
per il 274/273 20 • Per altra via sappiamo che in questi stessi anni l'am-
ministrazione centrale di Seleucia sul Tigri sottopose a tassazione e ac-
centrò la redazione di tutti i contratti di compravendita di terreni e
schiavi coinvolgenti sia privati che templi, imponendone perfino la ste-
sura su pergamena invece che su tavolette di argilla e in lingua non ba-
bilonese ma greca o aramaica, con la conseguenza per noi spiacevole che
dopo il274 a.e.v. non ci è pervenuto nessun contratto di questo tipo (si
sono ritrovate solo le bulle degli esattori delle imposte che autenticava-
no i documenti)l'.
10
lbid., p. 34· Cfr. o. VIRGILIO, Lancia, diadema e porpora.[/ re e la regalità ellenistica, Pisa-Ro-
ma 1999, p. •35·
11
Sulle riforme amministrative di Antioco I a Babilonia cfr., fra gli altri, M. ROSTOVTZEFI', Se·
leucid Babylonia: bullae and seals o/ clay with Greek inscriptions, in «Vale Classica! Studies>>, III
(1932), pp. 3·114; R. J. VAN DER SPEK, Tbe Baby/onian city, in A. KUHRT e S. SHERWIN·WHITE (a CU·
radi), Hellenism in the East, London 1987, pp. 73 sg.; M. w. STOLPER, Registration and taxation o/
slave sa/es in Achaemenid Babylonia, in « Zeitschrift fiir Assyriologie», LXXIX ( 1989), pp. So-1 o 1;
m., Late Achaemenid, Early Macedonian, and Early Seleucid Records o/ Deposit and Related Texts,
Naples 1993, pp. 57-63; A. KUHRT e s. SHERWIN-WHITE, The transition /rom Achaemenid to Seleu-
cid rule in Babylonia:revolution orevolution?, e M. w. STOI.PER, On some aspects o/continuity between
Achaemenid and Hellenistic Babylonian legai texts, in Achaemenid History, VIII. Continuity and
Chanf!.e, Leiden 1994, pp. 325 sg. e 337 sg. rispettivamente.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 149
22
Il Cilindro di Antioco è stato piu volte tradotto e commentato. Fra gli ultimi cfr. A. KUIIRT
c s. M. SI IERWIN-WIIITE, Aspects of Seleucid royal ideology: the Cylinder o/ Antiochus I /rom Borsip-
fla, in <<]ournal of Hellenic Studies», XCI (1991), pp. 71-86; B. VIRGILIO, <<Basileus». Il re e la rega·
lità ellenistica, in I Greci, II/3, Torino 1998, pp. 138 sg.; ID., Lancia cit., pp. 70 sg.
150 Gli «altri» e i Greci
di «re». Anche i titoli di «re della totalità (del mondo)» e di «re delle
terre (tutte)» sono di antichissima tradizione e universali e costituiro-
no una componente stabile delle titolature dei sovrani assiri, babilone-
si e achemenidi, cosi come il titolo di «re forte» che sottolinea sia la
potenza del re che, attraverso di questa, la sua legittimità, ribadita l'ul-
tima dal titolo di «primogenito» (letteralmente: «il primo figlio ed ere-
de principale»). Il titolo di «re delle terre» è attestato in seguito solo
per Seleuco III. Anche il titolo di «sostentatore dell'Esagila e dell'Ezi-
da>>, cioè dei templi principali di Babilonia e di Borsippa, era stato por-
tato spesso dai re assiri e babilonesi, soprattutto come è ovvio in quel-
le iscrizioni che celebrano attività di restauro nei due templin Speci-
fico ovviamente è il titolo di «re di Babilonia», assunto di regola in
monumenti scritti a o per Babilonia anche dai dinasti assiri e acheme-
nidi, pur se nella titolatura delle formule di datazione per tutti i re se-
leucidi esso non compare24
La conclusione della titolatura mira a ribadire la legittimità dinastica
di Antioco, ma in termini che indirettamente sottolineano la avvenuta
«babilonicizzazione» del re in contrasto col padre. I re achemenidi ave-
vano fatto del richiamo alle proprie origini il punto centrale della propria
titolatura, anche in monumenti e documenti scritti nella o per la Babilo-
nia: cosi Ciro il Grande a Ur è «re della totalità, re di Anshan (Persia),
figlio di Cambise re di Anshan» 2S, e Serse in molte formule di datazione
babilonesi compare come «re di Persia e di Media, re di Babilonia e del-
le terre» (per non parlare delle iscrizioni di Persepoli, dove il re è «Ache-
menide, Persiano figlio di Persiano, Aria di stirpe aria»). Antioco inve-
ce attribuisce al solo suo padre Seleuco l'attributo di «il re macedone, re
di Babilonia», cosi come era stato analogamente caratterizzato Seleuco
nella Cronaca I 2 già citata: «mise in marcia le sue [truppe] da Sardi, Oe]
fece attraversare il mare con sé e [mosse] verso la Macedonia, il suo pae-
se»: ci sembra che questa insistenza sull'origine di Seleuco sia funziona-
le a sottolineare, appunto per contrasto, la piena «babilonicità» raggiunta
dalla dinastia con Antioco I, il quale può quindi assumere in tutta tran-
quillità e legittimità i titoli tradizionali di un re babilonese.
Al contempo, le frammentarie notizie dei Diari astronomici super-
stiti26 ci fanno intravedere la regolare partecipazione dei re seleucidi o
" Cfr., per es., la titolatura adollata da Ciro il Grande in un mallone da Uruk: «Ciro, che
ama l'Esagila e l'Ezida, figlio di Cambise, re forte, [sono] io" (c. B. F. WALKER, Cuneiform Brick
Inscriptions, London 1981, p. 94 n. 115).
24
Sulle titolature dei sovrani seleucidi e arsacidi cfr. DEL MONTE, Testi cit., pp. 213·57.
" WALKER, Cuneiform Brick Inscriptions cit., p. 94 n. ll6.
26
Cfr. DEL MONTE, Testi cit., pp. 46 sg. con i rinvii a nota 94·
Del Monte I Greci in Mesopotamia I 5I
bilonese, il concetto del re buon pastore del suo popolo, sulla cui con-
dotta vigilano gli dèi che ogni anno gli confermano (ma possono anche
togliergliela) la legittimità a governare. Non è un caso che la propagan-
da di Ciro a Babilonia contro Nabonedo abbia insistito proprio sull'em-
pietà del re babilonese nei confronti di Marduk e sugli ostacoli che egli
avrebbe posto con la sua assenza alla celebrazione regolare della festa di
Capodanno, fino a provocarç l'ira di Marduk e degli dèi che volsero in-
fine gli occhi sul pio Cird9 E curioso che durante tutta l'età achemeni-
de non sia noto alcun accenno diretto alla festa o alla partecipazione del
re o di suoi rappresentanti ad essa, come se in quel periodo avesse per-
so la sua importanza, ma questo può dipendere dal carattere e dalla ca-
sualità della documentazione. Non è invece forse un caso che Antioco
I, nella sua iscrizione sopra riportata, sottolinei che le fondamenta del
Tempio di Nabu a Borsippa siano state gettate ilzo di Addar, dieci gior-
ni prima del Capodanno: era col gettare le fondamenta (e non con la co-
pertura del tetto) che si celebrava la costruzione di un edificio, cosi che
il Tempio poteva considerarsi idealmente pronto con quell'atto e la pro-
cessione di Nabu da Borsippa a Babilonia poteva idealmente partire da
quell'anno, per merito di Antioco, dal nuovo Tempio.
Il primo atto di ogni visita ufficiale di un rappresentante della corte
seleucide o partica a Babilonia, in qualunque mese avvenisse, era una
visita al Tempio accompagnata dall'offerta di tori e pecore per la vita
del re e della sua famiglia, come è ampiamente attestato dai Diari astro-
nomici secondo uno schema fisso che può essere esemplificato con quan-
to viene narrato per il mese di Ab (primi di agosto) del 172 a.e.v.)O:
In quel mese, l'rr, il generale [comandante supremo] dell'esercito di [Akkad]
entrò in Babilonia. Il r 3 [entrò] nell'Esagila e fece 6 offerte al Signore, alla Signo-
ra e ai grandi dèi che per i re. In quello stesso giorno entrò nel Tempio del Pri-
mo Giorno e di fronte a Ishtar di Babilonia e alle tiare dei grandi dèi che si trova-
no H fece 3 offerte al Signore, alla Signora, a Ishtar di Babilonia, ai grandi dèi e per
la vita del re e si prosternò. Il giorno x usd da Babilonia [per tornare] a Seleucia, la
città della regalità che è sul Tigri e sul Canale del Re.
"G. PEl,NATO, Babilonia centro del/'univen;o, Milano 1988, pp. 219-40; F. D'AGOSTINO, Na-
bonedo, Adda Guppi, il Deserto e il Dio Luna. Storia, ideologia e propaganda nella Babilonia del VISec _
a. C., Pisa 1994.
•• DEL MONTE, Testi cit., p. 74·
Del Monte I Greci in Mesopotamia 153
brati nell'Esagila dopo il ritorno degli dèi nel Tempio dalla processione
al sacello d eli' akituH:
Anno 88, Seleuco re. Nisan: in quel mese, il giorno 8, un Babilonese, l'ammi-
nistratore dell'Esagila, stabili [come offerta] per I'Esagila, secondo il dettato del re
nella lettera che il re aveva precedentemente mandato, [x] sicli di argento dal Pa-
lazzo reale, dalla sua propria casa, xI bovini grassi, xoo ovini grassi, I I anatre gras-
se per l'offerta nell'Esagila al Signore e alla Signora e ai grandi dèi e per la vita del
re Seleuco e dei suoi figli.
" Su queste cariche e i nomi di coloro che li rivestirono cfr. DEL MONTE, Testi cit., pp. 53-57,
con i rinvii interni. L'uso del termine <<stratego» è puramente convenzionale.
7
' n. A. KENNEDY, Cuneiform Textsfrom Babylonian Tablets in the BritishMuseum, XLIX. Late-
Babylonian Economie Texts, London 1968, nn. II8, 122, 123, 182. Su Theron <<satrapo» (mu-
ma"eru) di Akkad cfr. DEL MONTE, Testi cit., pp. 35, 38.
156 Gli «altri» e i Greci
8
'Ibid., pp. 78 sg., 83.
" Su Anu-uballit alias Nikarchos e la sua famiglia dr. L. T. DOTY, Nikarchos and Kephalon, in
A Scienti/ic Humanist. Studies in Memory o/ Abraham Sachs, Philadelphia 1988, pp. 95-r 18. Per il
governatore di Ur Sin-balassu-iqbi cfr. J. A. BRINKMAN, Ur: 721-605 b.C., in <<Orientalia», XXXIV
(1965), pp. 248-53; ID., Ur: "The Kassite period and the period of the Assyrian kings", in «Orienta-
Ha», XXXVIII (1969), pp. 336-42; G. FRAME, Babylonia 689-627 b.C. A politica! history, Leiden
1992, pp. 125 sg.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 157
no noti circa una trentina) sarà piu chiamato con un nome greco. Ot-
tant'anni dopo questa iscrizione il suo nome è ricordato alla fine di una
lista che elenca gli antichi saggi, a cominciare da Oannes, sul quale fra
breve torneremo, e gli antichi dotti assieme ai re a fianco dei quali ope-
rarono.
Ben diversa ci si presenta la figura di un altro governatore di Uruk
dell'età di Antioco III, Anu-uballit figlio di Anu-balassu-iqbi nipote di
Anu-aha-ittannu, della stessa casata degli Ahhutu cui apparteneva il suo
omonimo collega di qualche decennio prima (ma tra i due non c'era al-
cun rapporto di parentela, a parte la comune discendenza cianica). An-
che lui aveva un secondo nome greco, Kephalon, e anche lui intraprese
lavori di restauro o di rifacimento nel complesso del Tempio del Resh
che celebrò il 30 marzo del 202 a.e.v., secondo la data inserita nel te-
sto, in una serie di mattoni di fondazione ritrovati fra le rovine dell' edi-
ficio40:
Anu-uballit, il cui altro nome è Kephalon, figlio di Anu-balassu-iqbi, il grande,
governatore di Uruk. Il Tempio della Regalità, la cella di Anu, e il Tempio della Si-
gnora del Cielo, la casa di Antu nel Tempio del Resh, che nei tempi primevi aveva
costruito Oannes-Adapa ma poi lo avevano cambiato, io lo ho demolito, e il 2 di N i-
san dell'anno 110 ne ho ampliato le antiche fondamenta per la vita del re Antioco
mio signore, ne ho fabbricato i gessi e ho completato i Ho fatto trasportare le-
gno di cedro dal monte una montagna possente, e [con quello] ho costruito il lo-
ro tetto. Ho montato battenti di solido legno di cedro sulla porta della loro cella.
•• Anche su questo personaggio e la sua famiglia cfr. DOTY, Nikarchos cit. Per il testo dell'iscri-
zione di fondazione si veda A. FALKENSTEIN, Topographie von Uruk, Leipzig 1941, pp. 6 sg., con
w. G. LAMIJERT, A catalogue o/ texts and author5, in <<]ournal of Cuneiform Studies», XVI ( 1962),
p. 743.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 159
" Sui <<saggi» (apkal/u) e i «sapienti>> (ummanu) della tradizione mesopotamica si veda, fra al-
tri,E. REINER, The etiologica! myth of the "Seven Sages", in «Orientalia>>, XXX (1961), pp. I·II; G.
KOMOROCZY, Berosos and the Mesopotamian /iterature, in «Acta Antigua Academiae Scientiarum
IIungaricae>>, XXI (1973), pp. 125-52; R. BORGER, Die Beschworungsserie «bit meseri» und die Him-
me/fahrt Henochs, in «]ournal of Near Eastern Studies», XXXIII (1974), pp. r83-96. Su U'anna
(Oannes) Adapa in particolare LAMBERT, A cata/ogue cit., pp. 73 sg. Sulle raffigurazioni di apka/-
lu nella glittica, R. WALLENFEI.s, Apkallu-sealingsfrom Hellenistic Uruk, in «Baghdader Mitteilun-
gcn>>, XXIV (1993), pp. 309-24 e t avv. 120-24. Il testo del passo di Berosso citato appresso è in
i'. SCI IN ABEL, Berossos und die baby!onisch-he//enistische Literatur, Leipzig 1923, p. 253.
" G. J. P. MCEWAN, A Se/eucid Augura! Rcquest, in «Zeitschrift ftir Assyriologie>>, LXX (t98!),
pp. sB-69.
16o Gli «altri» e i Greci
della divinazione: Anu-uballit, il cui altro nome è Kephalon, noto fra gli uomini co-
me figlio di Anu-balassu-iqbi, il cui padre e la cui madre voi conoscete (= sono
già morti e presso di voi?), la cui mente è piena di sollicitudine, dice cosi: Sto cer-
cando uccelli del giudizio e corrette risposte oracolari: riferitele ai gioiellieri e ai fa-
legnami che lavorano alla statua di Ishtar in modo che possano metterle nella mano
sinistra un ornamento appropriato al suo bello scettro. Che essi lavorino in accor-
do con [la risposta oracolare]!
6. Profezie e apocalissi.
Shulgi, pur essendo per metà urukese, non si perita di cancellare i ri-
ti primigeni di Uruk, dettati dallo stesso Oannes, il primo degli apkal-
lu, e di sostituirli con i riti di Sin di Ur, mal consigliato dal suo «Sa-
piente» (ummanu) Lu-Nanna. Questi fu l'ultimo dei quattro apkallu <<di
ascendenza umana» che successero ai sette apkallu antediluviani. Una
curiosa caratteristica di tre di questi quattro apkallu (fa eccezione il pri-
mo, che «lshtar ha fatto scendere dal cielo nell'Eanna») fu che ognuno
fece adirare una divinità attirandosene la punizione; Lu-Nanna poi non
era neppure un apkallu puro, ma solo «per due terzi», e a lui successe-
ro «sapienti» (ummanu) del tutto umani, né è forse un caso che nella li-
sta urukese degli apkallu e degli ummanu, quella che alla fine ricorda
Anu-uballit/Nikarchos sopra menzionata, dei quattro apkallu postdilu-
viani viene menzionato solo, appunto, il primo, che scese nel Tempio
dell'Eanna di Uruk dal cielo.
Anu-aha-shubshi ha articolato la sua storia in due parti idealmente
" 11. IIUNGER, Spiitbabylonische Texte aus Uruk, I, Berlin 1976, pp. I9 sg.
162 Gli «altri» e i Greci
'' Senza voler forzare la documentazione, si può ricordare che Diari astronomici purtroppo
molto frammentari accennano fra il 262 e il256 a.e.v. a malesseri e scontri armati in Babilonia che
misero a rischio anche gli arredi templari: cfr. DEL MONTE, Testi cit., pp. 38 e 40.
Del Monte I Greci in Mesopotamia 163
vuol essere solo un sigillo di garanzia che i riti descritti sono proprio
quelli originari dettati da Oannes, ma la notizia sul sacrilegio di Nabo-
polassar ci ricollega a un testo appartenente a un genere del tutto di-
verso, quello della Apocalittica babilonese, la cosiddetta <(Profezia di
Uruk». Anche questa tavoletta è senza data, e la sua datazione è di-
scussa, ma proprio recentemente ne è stato proposto un inquadramen-
to appunto al m secolo a.e.v. 4' La storia della serie di re babilonesi e as-
siri che si mostrarono empi nei confronti di Uruk ha un chiaro taglio
apocalittico: l'ira divina non si leva contro i profanatori, non c'è una pu-
nizione immediata del male come con Shulgi e molti altri, ma solo alla
fine dei tempi sorgerà un re destinato a riportare l'ordine nel mondo:
... governerà il paese disperso[ ... un re] dal Paese del Mare che eserciterà la si·
gnoria su Babilonia.
Dopo di lui sorgerà un re e non emetterà giusti verdetti per il paese, non pren-
derà [giuste] decisioni per il paese. Porterà via da Uruk l'antico genio protettore di
Uruk e lo farà abitare a Babilonia, [e] insedierà nel suo sacello un genio protettore
di Uruk non appropriato, gli darà in dono uomini a lui non appropriati. Imporrà un
pesante tributo agli uomini di Uruk. Renderà deserta Uruk, riempirà i canali di fan-
go, renderà incolte le campagne.
Dopo di lui sorgerà un re e non emetterà giusti verdetti per il paese, non pren-
derà [giuste] decisioni per il paese.
Come sopra, come sopra, come sopra, come sopra, come sopra. Prenderà i be-
ni di Akkad [per portarli] in Assiria.
Dopo di lui sorgerà un re e non emetterà giusti verdetti per il paese, non pren-
derà [giuste] decisioni per il paese. Dominerà le quattro parti del mondo [e] al suo
nome le [quattro] parti del mondo tremeranno.
Dopo di lui sorgerà un re in Uruk ed emetterà giusti verdetti per il paese, pren-
derà [giuste] decisioni per il paese. Renderà saldi gli ordinamenti del culto di Anu
in Uruk. Porterà via da Babilonia l'antico genio protettore di Uruk e lo insedierà
in Uruk nel suo sacello, [e] gli darà in dono uomini a lui appropriati. Ricostruirà i
templi di Uruk, restaurerà alloro posto le case divine. Rinnoverà Uruk, costruirà
le porte di Uruk di lapislazzuli, riempirà i canali e le campagne di ricchezza e ab-
bondanza.
Dopo di lui sorgerà un re, suo figlio, in Uruk e dominerà le quattro parti del
mondo. Eserciterà in Uruk [signor]ia e regalità e il suo regno sarà saldo in eterno.
I re di Uruk eserciteranno la signoria come dèi.
" P.-A. BEAULIEU, The historica! background of the Uruk Prophecy, in The Tab/et and the Scro/1.
Ncar T:astem Studies in Honor o/Wi!liam W Hallo, Bethesda 1993, pp. 41-52. lvi anche un'ampia
selezione della sterminata bibliografia sulle Profezie e l'Apocalittica mesopotamiche.
164 Gli <<altri» e i Greci
46
Su questo peraltro oscuro re babilonese cfr. J. A. BRINKMAN, A Politica! History o/ Post-Kas-
site Babylonia, Rome 1968, pp. 220-24, 354-.55; ID., A lega! text/rom the reign o/ Eriba-Marduk, in
DVMV-E,-DVB-BA-A. Studies in Honor o/ Ake W. Sioberg, Philadelphia 1989, pp. 37-47.
" II Re, 2,5.28 =Geremia, 52.32.
•• SCHNABEL, Berossos cit., p. 274 fr. n . .54·
Del Monte I Greci in Mesopotamia 165
" Sedici frammenti piu due dubbi riediti di recente da GELLER, The fast wedge ci t., pp. 43·95.
166 Gli «altri» e i Greci
Cananei Giudei (si veda il vivace episodio del profeta o messia che nel
133 a.e.v. conquista in un attimo il favore della popolazione di Babilo-
nia e di Borsippa gettando nel panico i sacerdoti del Tempio)'0 , nonché
al dilagare della cultura iranica favorita già dagli ultimi Parti; ma furo-
no proprio quegli «illetterati» a impedire nel lungo periodo l'iranizza-
zione del paese.
• Sui contatti tra l'India e il Medio Oriente cfr. ibid., pp. I I sgg.; su Scilace, pp. 65 sgg.
1
Ibid., pp. I 57 sgg.
6
Ibid., pp. Bo sgg.; cfr. inoltre J. M. BIGWOOD, Ctesias' "Indica" and Photius, in <<Phoenix»,
XLIII (1989), pp. 302-I6.
Karttunen Greci, Indiani, Indo-greci 169
7
Cfr. K. KARTIUNEN, India and the He/lenistic W or/d, Helsinki 1997, pp. 97 sg.
' A proposito delle pelli delle formiche che scavano oro, presumibilmente viste in India, e del-
le campagne militari di Semiramide in India cfr. ibid., pp. 26 sgg.
' Cfr. M. ROSSELUNI e s. sAm, Usages defemmes et autres nomoi che:;: /es 'sauvages' d'Hérodote:
essai de lecture structurale, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e
rilosofia», serie 3, VIII ( 1978), pp. 949-roo5; K. KARTIUNEN, Expedition to the end of the world-
!In ethnographic ronoç in Herodotus, in «Studia Orientalia», LXIV (!988), pp. rn-8r; A. DIIILE,
Der /ruchtbare Osten, in «Rheinisches Museum», CV (1962), pp. 97-110 (ripubblicato in ID., An-
tike und Orient. Gesammelte Aufsiitze, a cura di V. Poschl e Il. Petersmann, «Sitzungsberichte der
l leidelberger Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische Klasse», suppL Il (r984),
PP- 47-60, Appendice, pp. 217 sg.).
•• ESCIIILO, Supplici, 284-86.
Khojent
Q' SOGD!~A
~~o • sam"'')anda arcaica (Mrasiab)
Ai Khiinum
~
Dilberjin • :-,t-~~!-~\\SI~
PARTI A .(i.'<'t$-O <pe'IJ
[\~~ 'l>~ 'l • • Charsad a
GANDHARA • Tassila
Pilirura ~ ( MEDIA
MESOPOTAMIA ARACOSIA 1 ~ANJAB
•
Qandahiir
PERSIA
EGITTO INDIA
Quseir ai-Qa~
(Leukos Limen) Ozi nc: • Besnagar
GUJARAT
Barygaza
• Bhokardan
~
Sopara"J~nn~Ter
Kalliena \ MAHARASIITRA
Brahmapuri •
MARE
ARABICO
""" Muziris
Nelkynda
11
KARTTUNEN, India in Early Greek Literature ci t., pp. 19 sgg.
12
Sulle campagne militari di Alessandro in India cfr. ID., India and the Hellenistic W or/d cit.,
pp. 19 sgg., e J. SEIBERT, Alexanderder Grosse, Darmstadt 1972, nei quali è possibile reperire ul-
teriori riferimenti bibliografici.
11
Cfr. F. F. SCIIWARZ, Onesikritos und Megasthenes iiberden Tambapannidipa, in <<Grazer Bei-
lragc», V (1976), pp. 233-63, e n. P. M. WEERAKKODY, Taprobane Ancient Sri Lanka as known to
Greeks and Romans, Turnhout 1997, pp. 27 sgg.
172 Gli «altri» e i Greci
3· Gli Indo-greci.
22
Sulle iscrizioni greche di Asoka cfr. ibid., pp. 268 sgg. , in cui si possono trovare ulteriori ri-
ferimenti bibliografici.
cuore dell'India, mentre a sud il Gujarat diventa per qualche tempo par-
te dell'effimero impero indo-greco23 • L'impero di Menandro viene pre-
sto diviso in vari stati, spesso in guerra tra loro. Nella Battriana, con Eu-
cratide inizia una nuova discendenza. Si costituiscono in breve dei pic-
coli regni indipendenti, con popolazione iranica e indiana e un ceto
dominante in parte di origine ellenistica, che rimane sempre piu escluso
dal mondo ellenistico occidentale. Dopo i primi sovrani indo-greci non
compaiono riferimenti alla loro esistenza nei testi greci giunti fino a noi
e la loro storia è ricostruita soprattutto attraverso la numismatica24 • Le
monete che sono state trovate in grande quantità nell'Asia centrale, in
Afghanistan e in Pakistan sono sovente un esempio della migliore co-
niazione ellenistica e appartengono a circa quaranta sovrani (fig. 3) 25 Tut-
" L'invasione indiana è citata brevemente in STRABONE, I I .9 .2, nel sanscrito Yugapurii1,1a (cfr.
J. The Yuga Purana. Critica/ly Edited, with an English Translation and a Detaikd Intro-
MITCHINER,
duction, Calcutta I986) e dal grammatico Pataii.jali. Sul Gujarat cfr. STRABONE, I I. 1 I . I.
" I due classici di storia indo-greca, nonostante siano studi discordanti su parecchi dettagli,
sono w. w. TARN, The Greeks in Bactria and India, Cambridge I95I' , e A. K. NARAIN, The Indo-
Greeks, Oxford I957. Sulle origini cfr. anche F. L. HOLT, Thundering Zeus. The Making o/ Helknis-
tic Bactria, Berkeley I999. oltre alla breve sintesi in KARTTUNEN, India and the Helknistic WorM
cit., pp. 27I sg. Sulla numismatica greco-battriana e indo-greca cfr. P. BERNARD, Fouilksd'Ai'Kha-
noum, IV. Les monnaies hors trésors. Questions d'histoire gréco-bactrienne, Paris I985; sono dispo-
nibili anche diverse pubblicazioni recenti di O. Bopearachchi (ad esempio Monnaies Gréco-Bac-
triennes et Indo-Grecques :cata!ogue raisonné, Paris I99t) .
" Nella letteratura classica ne sono citati non piu di sei e solo due nelle fonti indiane.
d
Karttunen Greci, Indiani, Indo-greci 177
" La piu interessante fra queste è stata rinvenuta agli inizi del xx secolo a Besnagar nell'In-
dia centrale: si tratta di una dedica a Vaishnava, scritta in indo-ario medio, da Eliodoro di Tassi-
la, figlio di Dione, l'ambasciatore del re Amialcidas (cfr. NARAIN, The lndo-Greeks cit., tav. VI, 2).
"Cfr. P. IIERNARD (a cura di), Fouilles d'Ai"Khanoum, l. Campagnes r')65. r')66, r')67, r'}68,
1·2, Paris 1973.
" c. RAPINe P. IIADOT, Les textes littéraires grecs de 14 trésorerie d'Ai" Khanoum, in «Bulletin de
Corréspondence Heilénique», CXI (1987), pp. 225-66.
178 Gli «altri» e i Greci
charak), nel Sistiin iranico e nella valle dello Swat in Pakistan. Templi
almeno originariamente connessi a culti ellenistici sono stati scoperti,
per esempio, a Dilberjin e a Qandahiir in Afghanistan; fortificazioni el-
lenistiche a Khojent in Tagikistan, ad Afrasiab in Uzbekistan e a Bir-
kot-Ghwandai nella valle dello Swat. In Pakistan il sito di Shaikhan De-
ri a Charsadda (la Peukelaotis greca) e il sito di Sirkap a T assila seguo-
no la planimetria reticolare ellenistica, e in essi si sono rinvenuti molti
oggetti ellenistici29
La Battriana greca è stata conquistata subito dopo la metà del n se-
colo a. C. dagli Yuezhi dell'Asia centrale, che in seguito danno vita
all'impero dei Kushan. A oriente dell'Hindìi Kush il periodo indo-gre-
co finisce circa un secolo dopo. Si susseguono vari governi dei Saka, dei
Parti e dei Kushan, che all'inizio coniano monete con legende in greco.
Le date nelle iscrizioni qualche volta seguono ancora il calendario ma-
cedone e vengono usati nomi di persona greci (per esempio Menandro)' 0 •
Dopo che la lingua greca cade definitivamente in disuso, la scrittura gre-
ca viene usata per secoli per scrivere lingue medio-iraniche, come il co-
siddetto battriano.
L'esistenza degli Indo-greci viene presto dimenticata e non neri-
" A proposito dei ritrovamenti ellenistici dr. la breve sintesi in KARTIUNEN, India and the Hel·
lenistic W or/d cit., pp. 277 sgg., e le ulteriori indicazioni bibliografiche.
" In merito al calendario macedone e ai nomi greci nelle iscrizioni indiane cfr. ibid., pp. 293
sgg., con i relativi rimandi bibliografici .
4· Il commercio indiano.
" Cfr. tra gli altri D. SCIILUMBERGER, Descendants non-méditerranéens de l'art grec, in <<Syria>>,
XXXVII (1960), pp. 131-66 e 253-318; M.llUSSAGL!, L'artede!Gandhara, Torino 1984; L. NEII-
Hu, Origins o/ the Gandharan Style: A Study ofContributory lnfluences, Delhi 1989; M. TADDEI, Ar-
te narrativa tra India e mando ellenistico, Conferenze Ismeo 5, Roma 1993; una breve sintesi in CI-
MINo, Ancient Rome cit., pp. 220 sgg.
Figura 5· Rilievo in pietra dal Gandhiira.
" Una monografia sulle relazioni commerciali, non piu recente ma ancora utile, è E. 11. WAR-
~1IN<;ToN, Tbe Commerce between tbe Roman Empire and India, Cambridge 1928. Cfr. tra gli altri
anche M. G. RASCIIKE, Newstudies in Roman commercewith the Eost, inANRW, Il, 9/2 (1978), pp.
6o4-1361; 11. P. RAY, Monastery and Guild.. Commerce under the Siitaviihanas, Delhi 1994, e ID.,
\'(/inds o/ Change: Buddhism and the Maritime Links o/ Early South Asia, Delhi 1994; s. E. SIDE·
IIOTIIAM, Roman Economie Po/icy in the Erythra Thalassa 30 B.C.- A .D n7, Leiden 1986; AJOY
KUMAR SINGII, Indo-Roman Trade. An Archaeo/ogical Perspective, New Delhi 1988.
" sTRADONE, 2.2.1-2.3.8 (citato da Poseidonio).
,. lbid., 2.5.12; altri riferimenti al commercio indiano si trovano in 2.5.14, 15.1.4, 15.2.13,
16.4.24, 17-I.IJ, IJ-1.45-
" Cfr. I'LINIO, Natura/is historia, 6.26.101-6 e 12.41.84.
•• L'edizione di riferimento del Perip/us è 11. FRISK, Le Périple de la Mer Erythrée suivi d'une
<'tudt• sur la tradition et la langue, Géiteborg 1927, anche in L. CASSON, The Periplus Maris Erythraei,
Princeton 1989.
182 Gli «altri» c i Greci
" Pcrip!us, 47 ; J. s. DEYELL, Indo-Greek and Ksaharata coins /rom the Guiarat scawasl, in « Nu·
mi smatic Chro nicle », CXLIV (1984) , pp. 11 5-27 .
"STKA IIO NI ·:, 1).1.4.
mili sono state ritrovate negli scavi a Bhokardan e a Ter nel Maharash-
tra in India)'
Altre informazioni sono desumibili dai papiri. I riferimenti a pro-
dotti indiani non sono rari e talvolta viene citato qualcuno che si reca
in India. Un papiro di Vienna contiene una transazione conclusa a Mu-
ziris nell'India del sud, da saldare in Egitto 40 .
Dagli scavi presso l'antico porto sul Mar Rosso a Quseir al-Qadim
(Leukos Limen) in Egitto sono emerse alcune iscrizioni in brahmi india-
no41, mentre in Afghanistan, Pakistan, India e in misura minore nel Sud-
Est asiatico sono state recuperate diverse anfore occidentali e altri tipi
di vasellame, statuette, specchi, lampade e oggetti in vetro, e soprattut-
to monete ellenistiche e romane. Ciò non riguarda solo i siti sulle coste.
Anche nell'entroterra del Maharashtra sono stati scoperti elementi im-
portanti. Tra questi si possono citare ad esempio un uovo con una figu-
ra di Eros daJunnar (fig. 8), una statuetta in bronzo di Posidone da Brah-
mapuri e alcune lampade a olio in terracotta da Ter (fig. 9) 42 .
Un numero consistente di monete romane in oro e argento del I e II
secolo sono state rinvenute nel sud dell'India4). La distribuzione di que-
sti ritrovamenti fornisce indicazioni circa la storia del commercio. In
gran parte sono state ritrovate nel sud, mentre nel nord dell'India, do-
ve circolavano le monete kushan, quelle occidentali si trovano di rado.
Se le monete ellenistiche e di Roma repubblicana sono rare dovunque,
numerose monete romane risalenti al I secolo d. C. si trovano concen-
trate nel Kerala e a Tamil Nadu, soprattutto intorno al valico di Palghat
tra i monti Nilgiri e Annamalai. Si tratta di un'importante via com-
•• Cfr. E. DURING CASPERS, Tbe Indian ivory figurine /rom Pompeii- A reconsideration o/ its /unc-
lional use, in 11. HARTEL (a cura di), South Asian Archaeology 1979, Berlin 1981, pp. 341·53; s.
MEIIENilALE, Tbe ivory statuette /rom Bhokardan and its connection lo the ivory statuettes /rom Pom·
pl'ii and Ter, in A. J. GAIL e G. J. R. MEVISSEN (a cura di), South Asian Archaeology 1991, Stuttgart
1993, pp. 529-38; K. KARTIUNEN, Wooden tabfes witb ivory fegs, in R. e B. ALLCIIIN (a cura di), South
Asian Archaeology 1995, Cambridge- New Delhi 1997, pp. 557·62.
•• Cfr. o. STEIN, Indien in den griechischen Papyri, in «Indologica Pragensia», I (1929), pp. 34·
57; a proposito del PVindob. 40822 cfr. H. HARRAUER e P. J:. SIJPESTEIJN, Ein neues Dokumenl ;:u
Roms lndienhandel, P Vindob. G 40822, in <<Anzeiger der Osterreichischen Akademie der Wis-
scnschaften, Philosophisch-historische Klasse>>, CXXII (1985), pp. 124-55; L. CASSON, P Vindob
G 40822 and the shipping o/ goods /rom India, in « Bulletin of the American Society of Papyrolo-
gists>>, XXIII (1986), pp. 73-79; m., New light on mari/ime loans: P Vindob G 40822, in «Zcit·
schrift fiir Papyrologie und Epigraphik», LXXXIV (1990), pp. 195-206.
" Cfr. R. SALOMON, Epigraphic remains o/ Indian lraders in Egypt, in <<Journal of the American
Orientai Society>>, CXI (1991), pp. 731-36.
" Cfr. CIMINO, Ancienl Rome cit., pp. 175 sgg.
"Sui ritrovamenti archeologici cfr. v. BEGLEY e R. D. DE PUMA (a cura di), Romeand India.
Tbc Ancient Sea Trade, Madison 1991; sulle monete cfr. P. J. TURNER, Roman Coins /rom India,
Royal Numismatic Society, Special Publication XXII, London 1989.
184 Gli <<altri>> e i Greci
li. A Roma, l'India è famosa soprattutto come la terra delle droghe e dei
gioielli. Secondo il Periplus, i principali prodotti importati dall'India so-
no articoli di lusso, quali profumi, droghe e spezie, avorio, perle e pie-
tre preziose. In cambio, i mercanti occidentali portano tessuti, cerami-
ca e oggetti in vetro, vino, piombo e stagno, corallo, giovani schiave e
ingenti quantità di monete d'oro e d'argento. Tra le principali droghe e
spezie importate dall'India in Egitto e a Roma vi sono pepe, zenzero,
cardamomo, nardo, malabatro, costo e bdellio.
La competizione in questo settore commerciale doveva essere molto
forte. Il Periplus riferisce che i prodotti indiani sono venduti nei porti
dell'Africa nord-orientale e nel sud dell'Arabia, dove arrivano probabil-
mente a bordo di navi indiane e arabe. La Partia commercia con l'India
via terra e via mare; e quando le guerre frequenti tra Roma e la Partia
non ostacolano il commercio, Palmira è un mercato importante per i pro-
dotti orientali. Isidoro di Charax - un importante porto in fondo al Golfo
Persico - descrive nel suo l:rafìlloÌ llaQfìLxoi la strada che collega la Me-
sopotamia con l' Aracosia. Nel I secolo le navi occidentali oltrepassano ra-
ramente l'estremità meridionale dell'India e sembra che il commercio sul-
la costa indiana orientale e tra l'India e l'Asia sud-orientale sia sempre
rimasto quasi esclusivamente in mani indiane4' Alcune fonti scritte ac-
cennano a numerosi ambasciatori indiani presso gli imperatori romani, a
partire da quello che visita Augusto a Samo nel 21 a. C.
Intorno al I e II secolo d. C. l'astronomia e l'astrologia greche ven-
gono introdotte in India. Forse ciò accade nell'India occidentale (Guja-
rat) e alcune fonti successive citano anche traduzioni di testi astrologi-
ci dal greco. Queste traduzioni dirette non ci sono pervenute, ma su di
esse si basano molte opere sopravvissute. Alcune fonti astrologiche in-
diane, autorevoli e molto antiche, riportano diversi nomi con la parola
yavana (ionico, cioè greco) e parecchi termini specifici greci sono stati
adattati direttamente al sanscrito 50
Inizialmente lo Sri Lanka non è granché coinvolto nel commercio
con l'Occidente. Nonostante l'isola sia conosciuta già da Onesicrito e
Megastene con il nome Taprobane (TamraparQ.i/TambapaQ.Q.i), persino
nel Periplus non se ne parla molto. La scarsità di monete romane del I e
del II secolo rinvenute nell'isola, messa a confronto con l'abbondanza
dei ritrovamenti nell'India meridionale, è piuttosto significativa. Plinio
racconta di un ambasciatore proveniente da Taprobane in visita a Ro-
" H. P. RAY, East coasttrade in penimular India c. 2oo B.C. to A D 400, in llARTEL (a cura di),
South Asian Archaeology 1979 cit., pp. 573-84; RAY, Winds cit.
" Cfr. tra gli altri D. PINGREE, ]yotipiiistra. Astrai and Mathematical Literature, in History o/ In-
dian Literature, Vl/4, Wiesbaden 1981.
Karttunen Greci, Indiani, Indo-greci I 87
" Cfr. KARITUNEN, India and the Hellenistic World cit., pp. 64 sgg.
" Su Zarmanochegas cfr. STRABONE, J).J. 73 (da Nicola Damasceno) e DIONE CASSIO, 54.9; su
Peregrino cfr. LUCIANO, Sulla morte di Peregrino.
" Lo si riscontra soprattutto nella sua descrizione di Tassila. Alcuni intendono questa fonte
come il diario di Damide, ma è ben lontano dall'essere cosa certa. Cfr. J. CHARPENTIER, The lndian
Travels o/ Apo!lonius ofTyana, Uppsala 1934, pp. 13 sgg. (con riferimenti a Damide e altre fonti
alle pp. 48 sgg.); su Tassila cfr. inoltre KARTIUNEN,India in Early Greek Literature cit., pp. 221 sg.,
e m., Lost Indo-Greek remains in Gu;arat, Sind and the Pan;ab, in K. VAN KOOIJ e E. RAVEN (a cura
di), South Asian Archaeology I999, in corso di stampa.
" Cfr. tra gli altri LUCIANO, Toxaris, 34; PORFIRIO, Vita di P/otino, 3·
" Sono raccontate da Diogene Laerzio e altri autori del periodo tardo: cfr. w. HALBFASS, In-
dia and Europe.An Essay in Understanding, Albany N.Y. 1988, pp. r6 sg.; KARITUNEN, India in Early
Greek Literature cit., pp. r 17 sg.
•• A proposito di Dioniso ed Eracle in India cfr. ibid., pp. 210 sgg.; cfr. inoltre i brani di te-
sti raccolti in B. BRELOER e F. BOEMER, Fontes historiae religionum Indicarum, Bonnae 1939.
190 Gli «altri» e i Greci
tratto sovente insieme ad animali quali tigri e leopardi, e con altri ele-
menti indiani (fig. I I) . Ciò che all'inizio viene associato a Dioniso, in
seguito viene collegato all'India. I poeti epici come Dionisio e Nonno
ne descrivono le campagne indiane. In tal modo la storia dell'India ri-
sulta completamente ellenizzata, con tre situazioni esemplari fonda-
mentali: le campagne di Dioniso, Eracle e Alessandro.
Nascono altri miti nuovi in relazione all'India. L'antica confusione
con l'Etiopia induce alcuni autori a descrivere l'India come il paese visi-
tato da Perseo61 Ritenuto all'epoca il paese piu a oriente, l'India è anche
la terra dove nasce il sole ed è pertanto strettamente connessa con il dio
Sole. A quest'idea possono ricondursi i numerosi riferimenti al culto so-
lare, per quanto essi siano in parte connessi alla realtà indiana: Surya è
una delle divinità principali in India, con un proprio culto e dei templi 62 •
Anche la leggenda egiziana della Fenice, che vive cinquecento anni e poi
si rigenera col fuoco, viene trasposta in India, che ne diventa il paese
d'origine, mentre l'Egitto è il luogo che visita ogrù cinque secoli6). La sto-
ria araba degli uccelli giganti che raccolgono la cannella, raccontata in
precedenza da Erodoto e Aristotele, viene trasferita da Eliano in lndia64 •
61
Cfr. tra gli altri Antologia greca, 5· I 32 ; OVIDIO, Ars amatoria, 1.53; m. , Metamorphoses , 4 .605
sg.; I'LUTARCO, Sulla fortuna o virtu di Alessandro Magno, 2. 10. 332a.
62
Il culto del Sole in India viene citato per la prima volta in CTESIA, fr. 45 · 17; poi, tra gli al-
tri, daCLEMENTE ALESSANDRINO, Protrettico, 2 . 26.1 ; LUCIANO, Sulla dan:r:a , 17 ; ID ., Sulla morte di
Peregrino, 39; I'ILOSTRATO, Vita di Apollonia, 2.24 e 3 . 14.
" Cfr. KAI\TI'UNEN, India and the Hellenistic W or/d cit., p. 2 10, con le relative indicazioni bi-
bliografiche.
" E U ANO, Sulla natura degli animali, 2.3<1 ; cfr. KAKTIUNEN, India and the Hellenistic W or/d ci t .,
p. 210 .
Un buon numero delle meraviglie naturali del paese sono desunte da-
gli storici di Alessandro e da fonti ancora piu antiche (quali Ctesia),
dagli autori di storia naturale (come per esempio Plinio ed Eliano). L'In-
dia è e rimane il paese conquistato da Alessandro e quasi nessuno mo-
stra di interessarsi a quanto vi succede in epoca successiva. Le conven-
zioni letterarie del tempo tendono a porre in rilievo i testi piu antichi,
cosi che Eliano risulta la fonte piu autorevole per i frammenti di Ctesia.
Gli storici di Alessandro influenzano anche in altri modi la conce-
zione dell'India nel periodo classico. Se Alessandro nelle sue campagne
viene paragonato a Dioniso ed Eracle, anche Roma e i suoi imperatori
sono messi a confronto con Alessandro. A partire da Virgilio, i poeti
cantano la futura conquista dell'India e presto questo tema diventa ti-
pico nelle esercitazioni retoriche e sopravvive per tutta la tarda anti-
chità, quando è evidente a tutti l'impraticabilità di tale conquista. Al-
cuni assumono un atteggiamento piu critico: Roma avrebbe potuto con-
quistare l'India se non fosse stato per le devastanti guerre civili del 1
secolo a. C. 65
Come si è già osservato, i testi di carattere non letterario contengo-
no informazioni supplementari e soprattutto piu aggiornate. Nella Co-
rografia di Pomponio Mela e nel poema geografico di Dionigi il Perie-
geta i dettagliati resoconti ci forniscono indicazioni rispetto a conoscenze
del periodo ellenistico ormai perdute66 , mentre Plinio aggiunge notizie
contemporanee alla sua descrizione dell'India. Il settimo libro della Geo-
?,ra/ia di Claudio Tolomeo si divide in quattro parti: India intra Gangem
(l'India), India extra Gangem (l'Asia sud-orientale), Sinai (la Cina) e Ta-
probane (lo Sri Lanka) 67 L'opera fornisce un lungo elenco di città, fiu-
mi e montagne dell'India, riportandone le esatte coordinate. Tuttavia,
la mappa risultante da tali indicazioni si rivela del tutto distorta e spro-
" Sulla futura conquista dell'India da parte di Roma cfr. tra gli altri LUCIANO, Come si deve
scrivere fa storia, 31; PROPERZIO, 3-4-1 sg.; STAZIO, Si/vae, 4-J.IJ6-J8; VIRGILIO, Georgica, 3.26 sg.;
m., Aeneis, 6. 794 sg., 7.604 sg.; tra gli autori della tarda antichità cfr. LIBANIO, Oraxioni, 18.261;
sulle guerre civili che impediscono la conquista cfr. LUCANO, 7.427 sg.; PLUTARCo, Vita di Pompeo,
70.3. Sono ancor piu numerosi i brani in cui si afferma semplicemente che la potenza di Roma è
temuta persino in India (e in Cina). Si può, inoltre, notare che secondo DIONECASSIO, 68.29, T raia-
no, vedendo in Mesopotamia un vascello pronto a salpare per l'India, espresse la sua invidia ver-
so Alessandro che era stato in quei luoghi. L'idea di estendere il dominio romano all'India e alla
Cina è stata studiata molto tempo fa da J. REINAUD, Relations po/itique et commercia/es de l'empire
romain avec I'Asie orientale, in «]ournal Asiatique>>, VI, 1 (t86J), pp. 93 sgg.; cfr., inoltre, CIMI-
r-oo, Ancient Rome cit., pp. 12 sgg.
" Su Mela, il cui racconto sull'India si trova in 3·7· cfr. Pomponii Melae de Chorographia libri
tres, a cura di P Parroni, Roma 1984; Dionisio descrive l'India in Periegesi, 1075·165.
" Un'edizione critica del settimo libro di Tolomeo ci è proposta da L. RENOU, La Géographie
de Ptolémée. L'Inde (VII, 1-4), Paris 1925.
192 Gli «altri» e i Greci
Se i testi greci e latini - con tutti i loro difetti e lacune- sono cer-
tamente capaci di restituire un ritratto efficace dell'India, per quanto
distorto e in parte erroneo, la produzione letteraria indiana classica re-
lativa all'Occidente è notevolmente ridotta. Ciò dipende in parte dal ca-
rattere di questa letteratura: è scritta principalmente da brahmani, i qua-
li non nutrono alcun interesse verso i paesi stranieri. La storia è presente
solo in forma celata sotto la mitologia e non esistono opere equivalenti
a quelle di Strabone, Plinio e al Periplus.
La parola yavana (derivata forse dall'antico persiano yauna, ionico)
ricorre ripetutamente nella letteratura classica in sanscrito, pracrito e
pali tra i13oo a. C. e 1'8oo d. C., ma si tratta per lo piu di citazioni con-
venzionali. La parola stessa è ambigua: se all'inizio è un nome usato cer-
tamente per indicare i Greci, verso la fine del periodo considerato è sem-
pre piu frequentemente usata per indicare gli Occidentali in genere o,
piu specificamente, gli Arabi e i musulmani.
Negli elenchi geografici gli Yavana sono sempre inclusi tra le popo-
lazioni nord-occidentali, rinviando quindi all'epoca di Alessandro e de-
gli Indo-greci. Nel Mahiibhiirata essi lottano a fianco dei Kaurava. Nel
Raghuva1J1sa di Kalidasa sono sconfitti da Raghu. Nell'epica viene cita-
ta in particolare la loro usanza del bere il vino. Descrizioni piu detta-
gliate degli Indo-greci sono piuttosto rare. A parte il Milindapaiiha e un
breve capitolo nello Yugapurii1Ja, le loro conquiste sono menzionate bre-
vemente solo in un paio di testi (in Pataii.jali e nel Miilavikiignimitra di
Kalidasa).
Il re Asoka nel m secolo a. C. invia dei missionari nei regni elleni-
stici e annovera gli Yona (forma pracrita di Yavana) nord-occidentali tra
68
Questo paragrafo è un riassunto di alcuni concetti fontamentali del mio prossimo libro Y o-
nas and Yavanas in Indian Literature.
Karttunen Greci, Indiani, lndo-greci 193
Sogdiana verso i confini della Cina, note nel loro insieme come la via
della seta, sono effettivamente antiche, ma sembra che, pur circolando
le merci da un paese ali' altro, la gente non si spostasse o che quanto me-
no ciò avvenisse di rado. I Greci della Battriana avranno posseduto infor-
mazioni dettagliate sull'Asia centrale, ma non è provato che siano giun-
te fino in Occidente. A parte loro, è Tolomeo il primo a dimostrare di
avere qualche reale conoscenza su queste terre e persino di sapere che
esiste la Cina (Serica), traendo le sue informazioni dal macedone Maes
Titianus (di cui non si conosce la collocazione temporale esatta) che ha
viaggiato fino al confine con la Cina"
I Greci e i Romani non concepiscono l'idea che la Serica, raggiunta
dalle carovane attraverso la via della seta nell'Asia centrale, e la terra
del Sinai, all'estremità piu orientale dell'Oceano Indiano, siano di fat-
to regioni diverse dello stesso paese. L'autore del Periplus dimostra di
conoscere direttamente solo i mari orientali che si trovano all'estremo
sud dell'India, mentre delle coste orientali e delle terre piu a est pos-
siede solo vaghe indicazioni, che riguardano però anche il paese di Thi-
nae (forse la Cina). Tolomeo (citando Marino di Tiro) nel III secolo di-
spone di una notevole quantità di informazioni, in parte fornite da Ales-
sandro, un marinaio che sembra aver navigato nelle acque del Sud-Est
asiatico. Seguendo Marino, Tolomeo è in grado di descrivere la geogra-
fia del Sud-Est asiatico e persino della Cina, anche se le coordinate in
suo possesso sono talmente arbitrarie che l'identificazione di questi luo-
ghi rimane molto controversa. Non è nemmeno certo se Cattigara, il
grande porto del Sinai, si trovi in Vietnam o nel sud della Cina. Il no-
me della grande isola labadiu è spiegato come «isola dell'orzo», e anche
se corrisponde chiaramente al sanscrito Yavadvipa, l'isola sembra esse-
re Sumatra piuttosto che Giava. Un altro esempio interessante è costi-
tuito dal suo Chersoneso Aureo: le indicazioni geografiche, come i no-
mi indiani, confermano che si tratta della penisola di Malacca. Oltre la
Cina, Tolomeo segue una teoria errata che lo induce a spingere la linea
della costa verso sud fino a ricongiungerla con l'Africa meridionale, tra-
sformando quindi l'Oceano Indiano in un mare chiuso {fig. 1 2).
Le relazioni tra l'Asia orientale e il mondo classico trovano ulterio-
ri riscontri nelle fonti cinesi70 Inizialmente, l'orizzonte geografico del-
69
Su Maes dr. TOLOMEO, r. I r.6, e M. CARY, Mae's, Qui et Titianus, in <<Classica! Quarterly»,
n.s., VI (I956), pp. 130-34. Il resoconto di Tolomeo sull'Asia centrale e sulla Cina (Serica) è pre-
sentato in 6. I 4- I6; dr. inoltre PTOLEMA!OS, Geographie 6, 9-2 r, l, a cura di l. Ronca, Roma 197 r.
l racconti dell'età classica riguardanti l'Asia orientale e sud-orientale sono stati raccolti da G. COEDÈs,
Textes d'auteurs grecs et latin relati/s à l'Extréme-Orient, Paris 1910 (ried. New York I977).
7
° Cfr. tra gli altri J. FERGUSON, China and Rome, in ANRW, Il, 9/2 (1978), pp. :58r-6o3;
Karttunen Greci, Indiani, Indo-greci 195
8. La tarda antichità.
" Cfr. A. DIIILE, Die Sendung des Inders Theophilos, in «Palingenesia», IV (I969), pp. 330-36
(ried. in ID., Antike und Orient ci t., pp. I02-8, Appendice, p. 220), e ID., L'ambassade de Théophi-
lc l' Indien ré-examinée, in T. FAHD (a cura di), L 'Arabie préislamique et san environnement historique
et culture/, Atti del colloquio di Strasburgo (24-27 giugno 1987), Leiden 1987, pp. 461-68; G. FIAC·
CADORI, Teofilo Indiano, in «Studi Classici e Orientali», XXXIII (I983), pp. 295-33 I, e XXXIV
(!984), pp. 271·308.
77
Cfr. R. KRISHNAMURTHY, Late Roman Copper Coins /rom South India. Karur and Madurai, Ma-
uras 1994; sullo Sri Lanka cfr. R. WALBURG, Antike Munzen aus Ceylon. Die Bedeutung riimischer
Miinzen and ihrer Nachahmungen fiir den Geldumlauf auf Ceylon, Diss. Mlinster I98o, e WEE·
HAKKODY, Taprobane ci t., pp. I 5 I sgg.
"J. o. M. DERRETT, The history of Palladius on the races of India and the Brahmans, in «Classi-
ca et Mediaevalia>>, XXI (196o), pp. 64-99; PALLADIUS, De vita Bragmanorum narratio, alias Palla-
dii de gentibus Indiae et Bragmanibus commonitorii necnon Arriani opusculi versio omatior, ivi, pp.
roo-35, analizzati tra gli altri da]. D. M. DERRETT, The Theban Scholasticus and Malabar in c. J55·
6o, in «]ournal of the American Orientai Societp, LXXXII (I962), pp. 21-31; B. BERG, The let-
tera/ Palladius on India, in «Byzantion», XLIV, I (I974l, pp. 5·I6; J. DESANGES, D'Axoum à l'As-
sam, aux portes de la Chine: le voyagedu 'Scholasticus de Thèbes' (entre 360 et 500 après ].-C.), in «Hi-
storia», XVIII (I969), pp. 627-39.
198 Gli <<altri» e i Greci
di prima mano di un viaggio via Adulis verso Kerala e lo Sri Lanka, an-
che se sono state aggiunte molte informazioni leggendarie tratte dalla
tradizione letteraria. L'autore aveva trascorso parecchi anni prigionie-
ro a Kerala e descrive la coltivazione locale del pepe e la sua visita nel-
lo Sri Lanka, e racconta dei bramini indiani in termini piuttosto fan-
tastici.
Anche gli autori cristiani come Clemente Alessandrino forniscono da-
ti assolutamente nuovi. Nelle opere di Clemente e Girolamo troviamo le
prime spiegazioni chiare del buddismo, insieme al nome di Buddha7' Lo
studioso gnostico siriaco Bardesane incontra un ambasciatore indiano che
si reca dall'imperatore Eliogabalo a Roma e scrive una storia dell'India
in greco, di cui Porfirio ci tramanda alcuni frammenti interessanti, che
comprendono elementi rilevanti e nuovi sulle religioni indiane. Bardesa-
ne si occupa dell'India anche nel suo Libro delle leggi dei paesi in siriaco.
Nello stesso periodo, autori cristiani e gnostici si interessano molto alle
vecchie tradizioni dei gimnosofisti indiani, presentati a volte come un
modello di ascetismo, a volte come un argomento contro la presupposta
unicità della filosofia greca. Nella letteratura precedente, fino a risalire
a Onesicrito, hanno rappresentato le virtu della filosofia cinica (e in se-
guito stoica), ora diventano sovente una sorta di precursori degli asceti
cristiani che insegnano i valori morali al guerriero Alessandro.
Un curioso racconto, pervenutoci da vari storici della Chiesa, riferi-
sce di un certo Sciziano, un commerciante di origine araba, che è stato
in India e ne ha conosciuto alcuni valori. Ritornato in Egitto approfon-
disce i suoi studi e scrive quattro libri, ereditati dal suo allievo Tere-
binto. Dopo la morte di Sciziano, Terebinto prende il nome di Buddas,
sostiene di essere il figlio di una vergine e fonda una setta; e questa vie-
ne Rresentata come l'origine del manicheismo 80 •
E in certa misura difficile stabilire quanto sia importante il ruolo del
vero manicheismo nel trasmettere i valori indiani in Occidente. Mani è
stato in India di persona e la sua religione contiene alcuni elementi de-
sunti dal buddismo. La stessa leggenda del Buddha giunge infine nell'Eu-
ropa medievale in una versione manicheista, come la leggenda di Bar-
laam eJosaphat. Ma la questione delle influenze indiane sul pensiero oc-
cidentale rimane problematica. Il neoplatonismo costituisce un caso
piuttosto emblematico, ma dopo i molteplici tentativi di documentare
70
Cfr. A. DIHLE, Indische Philosophen bei Clemens Alexandrinus, in <<]ahrbuch fiir Antike und
Christentum», 1964, pp. 6o-7o (ried. in ID., Antike und Orientcit., pp. 78-88, Appendice, p. 219);
ID., Buddha und Hieronymus, in «Mittellateinisches Jahrbuch», II (1965), pp. 38·4 1 (ried. in ID.,
Antike und Orient cit., pp. 98-1o1, Appendice, p. 219).
80
Acta Arche/ai, 62 sgg.; EPIFANia, Haeretica, 66.1; SOCRATE, Ecclesiastica historia, 1.22.
Karttunen Greci, Indiani, Indo-greci 199
81
PORFIRIO, Vita di Platino, 3. Nonostante i ripetuti tentativi di dimostrare la presenza di in·
fluenze indiane nel neoplatonismo (cfr., tra i piu accreditati, J. PRZYLUSKI, Indian influence on W est·
em thought be/ore and during the Third Century A.D., in «Journal of the Greater India Society»,
1934, pp. I·IO; o. LACOMBE, Note sur Plotin et la pensée indienne, in <<Ecole pratique cles hautes
Etudes, Section cles sciences religieuses, Annuaire 1950-51 >>, Paris 1951, pp. 3·J7), rimane certo
che, sebbene <<indubbiamente, esistano delle affinità intellettuali i paralleli sono troppo super·
ficiali per consentire di attribuire loro la parvenza di influenze dirette>> (P. c. ALMOND, Buddhism
in the W est: JOO B .C.- A .D. 400, in «}ournal of Religious History», XIV (1987), p. 244).
82
COSMA, I r. I-I 2 (sulla flora e fauna indiane), 3.65 e 11. I4 (sui cristiani orientali), I I.l}-24
(su Taprobane, e in parte anche sull'India), 2.45-47 (su Tzinista).
" Una esemplificazione efficace di ciò la si può trovare nel dizionario geografico di Stefano
di Bisanzio. Se i suoi lemmi contengono un gran numero di nomi di luoghi indiani, sono tutti de-
rivati da fonti letterarie precedenti, dalle storie di Alessandro, dall'epica Bassarica di Dionisio e,
inaspettatamente, dalle primissime conoscenze geografiche greche sull'India, da Ecateo di Mileto.
Cfr. K. KARTIUNEN, A thousand years o/ contamination- India in the geographic dictionary of Stepha-
nus o/ Byzantium, in <<Berliner indologische Studien>>, IV-V (I989), pp. 95-I Io.
84
Cfr. L. L. GUNDERSON, Alexander's Letter to Aristotle about India, Meisenheim am Gian I98o.
Karttunen Greci, Indiani, Indo-greci 201
9· Conclusione.
•• T aie identificazione viene avanzata per la prima volta da GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giu·
daiche, I. 38; in seguito da molti autori cristiani, tra i quali: IPPOLITO, Chronica, 2 3 7; EPIFANIO, Ad-
ucnus haereses, 2.1.64; ID., De gemmis, Ij sg.; COSMA, 2.81, I I.I6, 1 1.24. Da GIUSEPPE FLAVIO,
!lntichità giudaiche, 8.164, deriva inoltre l'idea errata di collocare Ofir, la terra dell'oro di Salo·
nume, in India (cfr. KARTTUNEN, India in Early Greek Literature cit., pp. 15 sgg.).
86
GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche, 1.147; IPPOLITO, Cbronica, 47, 158 sgg., 190, 192,
I<J5, ccc.; COSMA, 2.27.
"' Il singolo manoscritto è stato trasmesso tra le opere di Arriano.
202 Gli <<altri» e i Greci
I. La letteratura.
La cultura e la civiltà greche penetrarono, in larga misura, nel mon-
do ebraico attraverso le grandi città disseminate nell'ecumene greco-ro-
mana, in particolare Alessandria. In questa metropoli, a partire dalla pri-
ma metà del m secolo a. C., una nutrita comunità ebraica aveva stabili-
to fitti legami con l'ambiente circostante. Ai tempi di Filone alessandrino
(nei giorni della dinastia giulio-claudia) famiglie ebraiche erano stanzia-
te, da diverse generazioni, nella città. Qui, come pure in Egitto, l'ebrai-
smo elaborò una propria cultura piu o meno distinta da quella della ma-
drepatria. Qui le lotte per i diritti politici e civili e per il riconoscimen-
to, in generale, d'appartenenza piena alla città crearono le premesse per
un'identità varia e articolata in cui la fedeltà alla legge di Mosè era mes-
sa sullo stesso piano del patriottismo civico; qui, in particolare, si avviò
il processo attraverso il quale il termine «giudaismo» venne sempre di
piu a designare non l'appartenenza etnica, ma un credo. Essere «ales-
sandrini» (oppure anche «efesini», «antiocheni» o «romani») avrà si-
gnificato, per i membri delle rispettive comunità cittadine, ribadire il
legame, giudicato indissolubile, fra la fedeltà alla patria e l'osservanza
della Torah. Per questo motivo, tutta l'opera storico-politica di Filone
intende dimostrare che l'ebraismo svolge da sempre il tradizionale ruo-
lo di garante dell'ordine e della stabilità'
' Lo studio sistematico sulla città di Alessandria in età greca è quello di P. M. FRASER, Ptole·
maic J!lexandria, I-III, Oxford 1972 (aspetti politici, sociali, culturali, economici). Sulla storia de-
gli ebrei in Egitto: J- MÉLÈZE-MODRZEJEWSKI, Les Juifs d' Egypte de Ramsès II à Hadrien, Paris 1997'.
Le testimonianze papiracee sono raccolte in CPJ. Quelle epigrafiche in w. IIORBURY e D. NOY, Jew-
ish lnscriptions ofGraeco-Roman Egypt, Cambridge 1992. Testimonianza preziosa di vita e storia
ebraica in Egitto nei giorni dei Cesari sono le due opere di Filone alessandrino convenzionalmen-
te intitolate Contro Fiacco e Ambasceria a Gaio (un'analisi e una traduzione italiana di entrambi gli
scritti sono contenute nel volume di c. KRAUS, Filone Alessandrino e un'ora tragica della storia ebrai-
ca, Napoli 1968). Sulla questione della «cittadinanza>> ad Alessandria: D. DELIA, Alexandrian Citi-
zcnship During the Roman Principale, Atlanta 1991. Sul tema in generale: J. JUSTER, Les Jui/s dans
l'empire romain, l-Il, Paris 1914. Da un punto di vista storico-culturale è condotta l'analisi di L.
TROIANI, La politeia,di Israele nell'età greco-romana. Alle radici della casa comune europea, !, Milano
''!'!~, pp. 279-90. E fondamentale per la comprensione del problema la discussione contenuta in
1\J. STERN, Greek and Latin Authors on Jews and Judaism, I-III, Jerusalem 1976-84, n. 166.
204 Gli «altri» e i Greci
6
GIUSEPPE FLAVIO, Anticbilli giudaiche, 16.59.
' Ibid., 12.126.
• r.. J. BICKERMAN, Zur Datierung des Pseudo-Aristeas, in ID., Studies in ]ewish and Christian His-
tory, l, Leiden 1976, pp. I2J·J6.
206 Gli «altri» e i Greci
' Cfr., per citare i piu autorevoli e recenti studi storici sul cristianesimo in lingua italiana, G.
)OSSA, I Cristiani e l'impero romano, Napoli 1991, e F. P. RIZZO, La Chiesa dei primi secoli. Linea-
menti storici, Roma-Bari 1999.
10
L. TROIA N!, Il perdono cristiano e altri studi sul cristianesimo delle origini, Brescia I999·
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed <(ellenismo» 207
" PERSio, 5.18o-84. Il passo è commentato in STERN, Greek and Latin Authors cit., l, n. 190.
208 Gli «altri» e i Greci
" PETRONIO, Fragmenta, 37 Ernout. Il passo è commentato in STERN, Greek and Latin Authors
cit., I, n. 195.
n LetteradiAristea, 31,201, 314·16.
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed «ellenismo» 209
18
Su Cecilio di Calatte cfr. M. T. SCHETTINO, Gli storici di età romana nella Suda, in l/lessico
Suda e la memoria del passato a Bisanzio, Atti della giornata di studio (Milano, 29 aprile 1998), Ro·
ma-Bari 1999, p. 129 e nota 77· Un'edizione della Lettera IV e della VII di Eraclito, dei versi del
cosiddetto Pseudo-Focilide e delle citazioni «spurie>> da autorità della letteratura greca in A.-M.
DENIS (a cura di), Fragmento pseudepigraphorum quae supersunt graeca una cum historicorum et auc-
torum iudaeorum hellenistarum/ragmentis, Leiden 1970, pp. 149-56, 157-60, r61-73; una tradu-
zione italiana in TROIANI, Apocrifi ci t.
19
ORIGENE, Contro Celso, 1 .67; L. TROIANI, I/ giudeo di Celso, in L. PERRONE (a cura di), Orige-
ne e la tradizione alessandrina, Atti del Il convegno del Gruppo italiano di ricerca, Roma 1998, pp.
115·31.
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed «ellenismo))
laborare e aggiornare gli studi classici alla loro formazione biblica. Vo-
levano comprendere, ad esempio, l'uso del sabato alla luce anche delle
letture quotidiane di Omero e di Esiodo. Per questo, anche, intellettuali
ebrei del Peripato, nel n secolo a. C., potevano cimentarsi nell'inter-
pretazione allegorica della Bibbia sul fondamento delle loro conoscenze
teologiche acquisite a seguito dell'adesione a tale scuola filosofica: «Ari-
stobulo, che ha partecipato della filosofia aristotelica accanto a quella
patria »20 •
Anche i modelli epici e tragici dei classici furono applicati alla Bib-
bia. Mosè veste, cosi, i panni dell'eroe greco in una tragedia (L'Esodo)
scritta da un certo Ezechiele; la strage di Sichem viene rievocata, nei
termini dell'epica guerresca dei versi omerici, da un certo Teodotd 1•
Noi immaginiamo gli ebrei dell'età di Gesu come rigidi filologi della let-
tera del testo; sul fondamento della letteratura rabbinica come pure di
quella neotestamentaria. Con Origene sosteniamo, in sostanza, che non
esistono ebrei letterati greci. Per questo motivo, parte della letteratura
giudaica d'età greca è confinata nel limbo della falsificazione e della ma-
schera. Ma il X~Q'UYf..lO come pure le norme dei trattati mishnici non do-
vevano esaurire la ricca e complessa vita culturale dell'ebraismo greco-
romano.
Gli autori di «cose giudaiche» citati dal Poliistore, letterato milesio
d'età pompeiana, arrivati fino a noi attraverso gli estratti di Clemente
alessandrino ed Eusebio, sembrano confermare questo quadro inter-
pretativo. Essi sono definiti «greci» da Giuseppe Flavio22 • Nulla, forse,
meglio di questo presunto abbaglio (cosi lo definiscono i commentato-
ri) illumina sulle dimensioni internazionali dell'ebraismo dei giorni gre-
co-romani. Gli autori citati nell'opera del Poliistore, da Demetrio a Eu-
polemo, da Artapano ad Aristea, da Cleodemo Malchas al tragediografo
Ezechiele, da Filone il Vecchio a T eodoto, ci offrono il variegato qua-
dro delle provenienze e dei differenti ambienti culturali dell'ebraismo
greco-romano. A Demetrio, che sembra computare il tempo con riferi-
mento a re Tolemeo IV d'Egitto, si affianca un Eupolemo che delinea-
va la storia antica in un libro «sui giudei dell'Assiria~~. Ad Artapano,
che compila un romanzo di Mosè corredato da elementi del folclore e
della favolistica egiziani, si affianca Cleodemo Malchas, la cui opera do-
20
Sul filosofo giudaico-ellenistico Aristobulo: N. W ALTER, Der Thoraausleger Aristobulos, Ber-
lin 1964.
" P. FORNARO, La voce fuori scena. Saggio sull' Exagoge di Ezechiele con testo greco, note e tradu-
zion<', Torino 1982; 11. JACOBSON, The Exagoge of Ezechiel, Cambridge 1983.
22
GIUSEPPE FLAVIO, Contro Apione, 1.2 18.
212 Gli «altri» e i Greci
n Sull'opera del Poliistore: L. TROIANI, Due studi di storiografia e religione antiche, Como 1988.
I testi degli autori giudaico-ellenistici citati dal Poliistore si trovano in DENIS (a cura di), Fragmen-
ta cit., pp. 175-216; una traduzione italiana in TROIANI, Apocrifi cit.
24
Lettera di Aristea, 51-82 e 30.
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed <<ellenismm) 213
2. La politica.
" Edizione, traduzione e commento del Libro I dei Maccabei e del II in F.-M. ABEL, Les Livres
der Maccabées, Paris 1949. Un'edizione commentata, con traduzione, del Libro III dei Maccabei e
del lV è quella di M. HADAS, The Third and Fourth Books o/ Maccabees, New York 1953. Cfr. an·
che E. J. BICKERMAN, The Godo/ the Maccabees, Leiden 1979.
" CICERONE, Pro Fiacco, z8.69. Il testo è commentato in sTERN, Greek and Latin Authors ci t.,
l, n. 68.
214 Gli «altri» e i Greci
siste nel rifiuto sistematico della forza e della prevaricazione27 Per Fi-
lone alessandrino, come pure per Nicolao di Damasco, la forza dei Ce-
sari è al servizio della legalità delle singole nazioni dell'impero. Per Giu-
seppe, tutto il passato della storia ebraica sta a dimostrare che il pacifi-
smo senza condizioni è nei piani e nel volere della Provvidenza. Sempre
il nostro Giuseppe deve fare di tutto per convincere il mondo ebraico
della diaspora che la sua missione in Galilea in realtà sarebbe stata quel-
la di disarmare i rivoltosF 8 • D'altra parte, nella Guerra giudaica, egli ri-
conosce che la diaspora, contrariamente alle attese dei rivoluzionari, non
aderi alla guerra contro Roma del 66 d. C. 29 Nella narrazione dell'ano-
nimo autore del Libro II dei Maccabei le prodezze belliche di Giuda sem-
brano essere funzionali alla restaurazione del tempio e del «giudaismo»30 •
Sarà stato proprio il mondo della diaspora, rappresentato dalle sue éli-
te, a guardare con diffidenza, se non con ostilità, a eventuali tentativi,
da parte delle autorità di Giudea, di attuare una politica di potenza. Fi-
lone fa dire proprio a un discendente degli Asmonei e di Erode, re Agrip-
pa I, che la tradizione dei padri assegna il primato ai sacerdoti' 1 • I set-
tantadue saggi del banchetto della Lettera di Aristea insistono sui peri-
coli e sui danni di una politica di potenza, che non sarebbe gradita a
Dio 32 • Tutta l'istruttoria d'accusa che Giuseppe, gerosolimitano, racco-
glie contro i presunti crimini di quella classe dirigente che aveva scate-
nato la guerra contro Roma è indirizzata «a quelli che sono sotto l'im-
pero dei Romani». Come apprendiamo da un passo del Contro Apione,
nella diaspora, la deplorazione di Giuseppe «rivoluzionario» era dive-
nuta un esercizio di scuola}}. Minucio Felice, riecheggiando sentimenti
diffusi nella diaspora, ricordava che gli scritti dei «romani» Flavio Giu-
seppe e Antonio Giuliano avrebbero predicato la morale secondo la qua-
le «i giudei, per loro propria nequizia, meritarono questa sciagura né ac-
cadde loro qualcosa che non fosse stata loro predetta se avessero perse-
verato nella loro colpevole ostinazione~> 34 •
Anche in materia di culto, la diaspora si sarà proposta, nel suo com-
27
Lettera di Aristea, 187-294·
21
Vita, 29.
GIUSEJ>I'E l'LA VIU,
" ID., Guerra giudaica, 1. 5. Su Giuseppe e la politica: T. RAJAK, Josephus. Tbe Historian and bis
Society, London 1983; 1.. TROIANI, Un nuovo studio su Giuseppe, in «Athenaeum», 1985, pp. 184-
195; ID., Il ritratto dell'uomo politico nel giudaismo ellenistico. Alcune considerazioni, in «Contribu-
ti dell'Istituto di Storia Antica dell'Università del Sacro Cuore», XVII (1991), pp. 123-39.
,. Libro II dei Maccabei, 2. 2 1.
" FILONE, Ambasceria a Gaio, 278.
" Lettera di Aristea, 194.
11
GIUSEI'l'E FLAVIO, Guerra giudaica, 1.3; ID., Contro Apione, 1.53.
" Minucio Felice, Octavius, 33·4·
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed «ellenismo)) 215
'"Jbid., I2.Il7.
"lltti degli Apostoli, r8.I2·I7· Su Gallione e le comunità d'Acaia: L. BOFFO, Iscrizioni greche
'"latine per lo studio della Bibbia, Brescia 1994, pp. 247-56. Le testimonianze epigrafiche sulle co-
nHmità in J.·B. FREY, Corpus lnscriptionum ludaicarum, l-II, Roma 1936-52; D. NOY, ]ewish Inscrip-
tzons o/ Western Europe, I-II, Cambridge 1993-95·
« L. TROIANI, The po/iteia of [srael in the Graeco-Roman Age, in F. PARENTE e]. SIEVERS (a cu-
ra di), ]osephus and the History o/ the Greco-Roman Period, Essays in Memory o/ Morton Smith, Lei-
den '994, pp. I 1·22.
218 Gli«altri»eiGreci
" Lettera di Aristea, 108·9. Sul Sebasteion e la <<nostra Alessandria» cfr. FILONE, Ambasceria
a Gaio, 150-51.
•• GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche, q.Joo; 11. J. LEON, The ]ews o/ Ancient Rome, Pea·
body 1995.
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed «ellenismo» 219
posto all'rftvoç. Costoro [sci!., Ircano II e Aristobulo], invece, ora sono i signori,
dopo avere abolito le patrie leggi e avere asservito ingiustamente i concittadini"
"OIODORO SICULO, 40.2. Il brano è commentato in STERN, Greek and Latin Authors cit., l,
6.j.
" STRAI!ONE, 16.2. 36. Il brano è commentato in STERN, Greek and Latin Authors ci t., I, n. II 5.
220 Gli «altri» e i Greci
tese di Gesu e sulle lusinghe e gli incantesimi delle sue parole presso i
connazionali; e si preoccupa di spargere moderazione e senso della mi-
sura in spirito di ossequio alle tradizioni e alla stabilità'•.
Noi prospettiamo la possibilità che la tradizionale funzione stabiliz-
zatrice della diaspora abbia subito un duro colpo con la diffusione, al
suo interno, del cristianesimo. Autori come Svetonio" collegano nel II
secolo d. C. una presunta turbolenza dell'ebraismo romano con la pre-
dicazione di un certo Cresto. Non può essere, forse, un caso che l'acme
della turbolenza dell'ebraismo in età greco-romana coincida, grosso mo-
do, con il periodo della prima formazione del cristianesimo: guerre del
66-70, del115-17 e del 132-35"
3. La religione.
" I frammenti del giudeo di Celso, riportati da Origene nel Contra Celsum, sono commentati
in STI.éRN,Greek and Latin Authors ci t., II, n. 275.
" SVETONIO, Divus C/audius, 25-4· Il passo è commentato in STERN, Greek and Latin Authors
ci t., Il, n. 307. H. BOTERMANN, Dasjudenediktdes Kaisers C/audius, Stuttgart 1996; H. D. SLINGER·
LA N!l, C/audian Policymaking and the Early Imperia! Repression at Rome, University of South Fiori·
<.la, 1 997-
" G. FIRI'O, Le rivolte giudaiche, Roma-Bari 1999.
Gli <<altri» e i Greci
57
Sulla persistenza della religione e della civiltà, in generale, cananee in età greco· romana: s.
MOSCA TI, Scritti fenici minori, Roma I 988. Il frammento di Teofrasto, che deriva dall'opera De pie-
tale e che è riportato dal filosofo Porfirio, è pubblicato e commentato in STERN, Greek and Latin
Authors ci t., l, n. 4.
" E. J. BICKERMAN, The Altars o/ Genti/es, Studies in Jewish and Christian History, II, Leiden
1980, pp. 324·46.
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed <<ellenismo» 223
nesimo la invocherà come uno dei fondamenti del suo credo. Da questo
punto di vista, l'ebraismo dei giorni dei Greci e dei Romani costituf,
all'interno della società antica, dei suoi valori e del suo sentire religioso
piu comune e diffuso (da esso pur parzialmente assimilati), un fattore di
rottura.
Naturalmente, l'ebreo della diaspora viveva in mezzo ai templi e al-
le statue degli dèi. Per questo motivo, a partire dalla traduzione dei Set-
tanta, il precetto di Esodo, 22.27 «non insultare gli dèi della città» (co-
me traducono e intendono Filone alessandrino e Giuseppe) sarà dive-
nuto una delle componenti della psicologia religiosa dell'ebraismo
diasporico'4 • Contrariamente ai nostri giudizi correnti, talora alquanto
affrettati e generalizzati, sul culto degli idoli negli ambienti greci e ro-
mani, non era necessario essere ebrei, nell'antichità cosiddetta classica,
per capire che le statue oggetto della venerazione comune fossero fatte
di legno e di pietra. Il fatto è che gli antichi Greci e Romani distingue-
vano la religione dalla filosofia. Il culto delle immagini divine era scis-
so dalla speculazione sui principi primi. Gli ebrei non potevano che in-
vocare la filosofia (e non la religione) per giustificare il ripudio del cul-
to degli idoli. Per questo motivo, secondo i parametri del mondo
greco-romano, adorare gli dèi e tributare loro omaggio, pubblico o pri-
vato, doveva essere assolutamente compatibile con l'adesione a questa
o a quell'altra teoria filosofica sul divino. Aristotele specula sul motore
immobile, il pontefice Cotta dubita della Provvidenza, ma entrambi ve-
nerano gli dèi. Dalla tradizione del pensiero ebraico-cristiano noi ab-
biamo ricevuto l'eredità della concezione, per cosf dire, speculativa,
astratta e filosofica del dio da venerare con culti, riti e sacrifici. La re-
ligione degli antichi immaginava e venerava l'epifania di infinite e im-
prevedibili forze (naturali o soprannaturali). Come dice Tacito, la reli-
gione degli ebrei contempla un solo numen e non un solo dio 65 Per lui,
forse, proprio in questo consisteva quello che noi definiamo «monotei-
smo»: nel fatto, in altre parole, che gli ebrei adorassero un'unica mani-
festazione del divino (forse, la rivelazione sul Sinai ?). I discendenti de-
gli dèi antichi sono i nostri santi e non il dio unico delle speculazioni fi-
losofiche: dire a un contemporaneo di Tacito che esiste un solo dio
susciterebbe le stesse perplessità di chi oggi asserisse l'esistenza di un
unico e solo santo, ad esempio sant'Antonio da Padova.
D'altra parte, la religione d 'un dio avulso sempre di piu da una realtà
" GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche, 4.zo7; ID., Contro Apione, 2.237; FILONE, Sulle leggi
speciali, 1.53; sulla «filosofia dei padri>>, ID., Ambasceria a Gaio, 156.
" Tacito, Historiae, 5·5·4·
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed ((ellenismo» 225
" FII.ONE, Sulle leggi speciali, 1.69; GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche, 4.204.
Atti degli Apostoli, 2.6·1 1.
226 Gli «altri» e i Greci
«Greci»68 • Osserviamo come gli uomini pii descritti da Luca negli Atti
siano designati <<giudei» solo da una parte della tradizione manoscritta
e come questa designazione sia incoerente con l'elenco successivo delle
qualifiche dei pellegrini. Come poteva, infatti, il nostro autore chiama-
re «giudei» tutti questi gruppi se poi, alloro interno, distingueva- tra
i Romani ad esempio - i «giudei» e i «proseliti»? La controversia sarà
stata animata dalle posizioni e dagli orientamenti dei due partiti in re-
lazione alla legge. La parte iniziale della Lettera ai Romani, in particola-
re, sembra rivelare indizi di un'insofferenza che taluni gruppi della co-
munità nutrivano verso l'ortodossia dei <<giudei»" Noi possiamo con-
getturare che «il sacrificio del Signore Gesu » abbia potuto facilmente
trovare eco, risonanza e impatto emotivo presso quei settori che non
condividevano, a Roma come a Corinto, ad Atene come a Efeso, l'in-
terpretazione e l'osservanza della legge cosi come prescritte dagli «seri-
bi, dai farisei e dai sommi sacerdoti». Essi avranno forse ascoltato con
attenzione e interesse la storia di un rabbi che si era reso celebre per le
invettive contro la classe dirigente di Gerusalemme e le «autorità dei
giudei» e che si era proposto come esito e risoluzione definitiva di un
lungo travaglio. I dilemmi dell'osservanza della legge nella vita pubbli-
ca di tutti i giorni, le resipiscenze, i dubbi, il rigore, la tolleranza, il no-
do cruciale dell'identità giudaica «nascosta»70 saranno stati il pane quo-
tidiano della vita spirituale di talune comunità d'area greca. La teoria
dell'apostolo Paolo della fede in Gesu, che giustifica, può trovare una
radice in questo retroterra culturale e religioso.
Dunque, come suggerisce anche la letteratura ebraico-ellenistica per-
venutaci, presso l'ebraismo greco-romano la religione del dio di Sion si
identificava con l'osservanza di precetti. Per l'autore della Lettera di Ari-
stea, è il sommo sacerdote del tempio di Gerusalemme, dall'alto della
sua autorità, a illustrare e insegnare il senso di talune prescrizioni della
legislazione di Mosè11 • Per lui, come pure per Strabone, la maestà del
tempio è assolutamente fuori discussione. Ma il luogo di culto, che in-
dicava agli occhi dei pagani la religione degli ebrei e dove si celebrava-
no i sacrifici al dio di Sion, da Corinto come da Roma o Cirene, era lon-
tano. Gli ebrei di Roma frequentavano le sinagoghe, non i templi degli
dèi. Perché essi non celebravano sacrifici, ma leggevano e recitavano
•• L. TROIANI, Giudei e Greci, in E. ACQUARO (a cura di), Alle soglie della classicità Il Mediterra-
neo tra tradizione e innovazione. Studi in onore di Sabatino Moscati, Pisa-Roma 1996, I I, pp. 41 5-2 2.
"Romani, 1.18 specialmente.
70
lbid., 2.28-29.
71
Lettera di Aristea, I 28-7 I.
Troiani Greci ed ebrei, ebraismo ed «ellenismall 227
12
Atti degli Apostoli, 7 .48.
71
EUSEBIO, Preparazione evangelica, 8. ro. 15. Cfr. FILONE, Ambasceria a Gaio, 347·
•• i'LINIO, Naturalis historia, 2.14.
228 Gli «altri» e i Greci
78
La testimonianza di GIOVENALE, 14.96-ro6, è riprodotta e commentata in STERN, Greek and
Latin Authors cit., Il, n. 301.
79
Galati, 4.9, 5.1. Sulle lettere di Paolo, l'approccio diverso di A. DESTRO e M. PESCE, Giudei
<' Rentili, e/leni e barbari. Come Paolo confrontava le culture, in L. PADOVESE (a cura di), Atti del I Sim·
posio di Tarso su S. Paolo apostolo, Roma 1993, pp. 65·103.
'" r Corinzi, 8.7.
" Romani, 2.20.
2 30 Gli ((altri» e i Greci
82
Cfr. le considerazioni svolte da Filone alessandrino, un piu vecchio contemporaneo di Pao-
lo, in Sulla emigrazione di Abramo, 89.
MICHAEL MACDONALD
1
Uso il termine «arabo» come traduzione dell'accadico aribi e dei greci 'AQ<i~Loç e 'i\Qmjl, ma
privo di tutte le moderne implicazioni del termine «arabo>>. Sappiamo relativamente poco sulle
genti dette «arabe» dalle altre popolazioni in epoca antica e dunque sembra piu prudente evitare
ogni illazione sul fatto che vadano di necessità identificate in tutto e per tutto con quelle che noi
oggi chiamiamo «arabe>>.
2
Per i rimandi e la discussione sulle forme di questi termini in accadico ed ebraico cfr. 1.
F.I'II'AL, The Ancient Arabs. Nomads on the Borders of the Fertile Crescent 9th-5th Centuries B.C., ]e·
rusalcm 1982, pp. 6-7.
1
Cfr. sotto.
'ERODOTO, 2.1 7· Su questo punto, lo storico stava argomentando contro gli Ioni, secondo i
quali <d'Egitto è solo il Delta» (z. 15).
2 32 Gli <<altri» e i Greci
tenuti «Arabi», senza porre troppa attenzione a come loro stessi si con-
siderassero. Cosi quando Nearco, compagno di Alessandro, nel suo viag-
gio dall'India a Susa avvistò Ra's Musandam, alla bocca del Golfo Per-
sico, e «coloro che avevano conoscenza di questa zona dicevano che il
promontorio apparteneva all'Arabia»', quello fu un momento critico nel-
la storia della regione. Infatti le spedizioni navali di Alessandro dimo-
strarono ben presto che tale promontorio era parte di un territorio mol-
to esteso, «quasi della grandezza dell'India»'; ovvia l'implicazione: se
«il promontorio apparteneva all'Arabia», allora l'intero territorio do-
veva essere «Arabia» e quindi, in base a quel ragionamento circolare,
tutti i suoi abitanti erano da considerarsi «Arabi». Fu cosi che nacque
il concetto di «Penisola Arabica»; di modo che popolazioni da tempo
stanziate nella parte sud-occidentale - Sabei, Minei, Qatabani, Adra-
miti - iniziarono a essere chiamate «Arabi» dai Greci, quantunque le
stesse non si sarebbero mai riconosciute in quella definizione. A dire il
vero, anzi, non sappiamo nemmeno se mai alcun abitante della peniso-
la, all'epoca del primo ellenismo, si sia mai definito «arabo~>. Sarà in ef-
fetti necessario un altro millennio prima che la maggioranza degli abi-
tanti della penisola inizi a considerarsi araba, chiamando anche la pro-
pria patria gazirat al- 'arab, <da Penisola degli Arabi».
Prima di considerare le forme di contatto e i modi della percezione
dei Greci nei confronti degli Arabi, è necessario fare chiarezza intorno
ad alcuni termini. Non è per niente chiaro come la parola «Arabo» ve-
nisse definita da coloro che ne facevano uso in antico. Generalmente si
ritiene che essa in origine derivasse da un'autodefinizione7 ; ma ignoria-
mo, per qualsiasi momento storico preciso, quali fossero i criteri in ba-
se ai quali chiamassero se stessi, o fossero chiamati, «Arabi». Del resto,
come si è detto, il termine veniva utilizzato per popoli che non si sa-
rebbero riconosciuti in quella definizione. Il termine fu usato per cosi
tanti gruppi differenti, e con stili di vita cosi profondamente divergen-
ti, che l'unico fattore comune che si possa immaginare è di natura lin-
guistica. Sfortunatamente, però, non possediamo alcuna testimonianza
' ARRIANO, Storia dell'India, 32.6-7. Naturalmente è possibile che Arriano, che scriveva circa
400 anni dopo, ritenesse disponibili anche al tempo del viaggio di Nearco le informazioni corren-
ti ai suoi giorni.
6
Il resoconto di l ero ne è citato da ARRIANO, Anabasi di Alessandro, 7. 20.8. È possibile che ma-
rinai persiani avessero già circumnavigato la penisola al tempo di Dario I (po-486 a. C.). Cfr. l'ot-
tima trattazione di J.-F. SALLES, La circumnavigation de/' Arabie dans l'antiquité classique, in ID. (a
cura di), L' Arabie et ses mers bordières, l. Itinéraires et voisinages. Seminaire de recherche r91J5-r91J6,
Lyon 1988, pp. 79-86.
7
EPII'AL, The AncientArabscit., p. 7, e M. c. A. MACDONALD, «Les ArabesenSyrie» or«lapéné-
tration des Arabes en Syrie »:a question of perceptions?, in « Topoi,. (in corso di stampa).
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 233
• Come ho fatto notare altrove, il linguaggio dietro ai nomi di persona costituisce una guida
molto incerta sulla provenienza etnica o sul linguaggio parlato da chi porta quel nome (ID., Some
nflections on epigraphy and ethnicity in the Roman Near East, in G. CLARKE e D. HARRISON (a cura di),
ldentitics in the Eastem Mediterranean in Antiquity. Proceedings of a Conference held al the Humani-
ti es Rcsearch Centre in Canberra ro-r2 November 1997, «Mediterranean Archaeology>>, XI (1998),
pp. 177•90).
' Purtroppo, si ricorre troppo spesso a questo tipo di deduzioni. Cfr. per esempio F. DONNER,
Xcnophon's Arabia, in «Iraq», XLVIII (1986), p. 6, e 1'. HOGEMANN, AlexanderderGrofte und Ara-
hien, Miinchen 1985, pp. 33 sgg., con la risposta in MACDONALD, <<Les Arabes en Syrie» cit.
10
Si pensi alla ricostruzione della mappa del mondo secondo Erodoto (fig. 1).
11
È sicuramente in questo senso che viene chiamato 'EQU6Qft 6aÀaooa nelle iscrizioni di epo-
ca tolemaica. Cfr. OGIS, l, nn. 69/6, 186/4, e nell'iscrizione del trono di Adulis, n. 199/48.
" ARRIANO, Anabasi di Alessandro, 7 .20.9.
" DIODORO SICULO, 2. I I. 2.
234 Gli «altri» e I·Greci
Figura I..
Ricostruzione dell'Asia secondo E ro doto (c. 4 o a · C.).
5
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 235
Sembra che i primi contatti fra Greci e Arabi si siano verificati gra-
zie al commercio di aromi. Le parole greche !J.UQQO (mirra) e >..i.~avoç/ÀL-
13avw'toç (incenso) sono chiaramente di origine semitica 14 ; le prime due,
almeno, si trovano già nel lessico poetico di Saffo (c. 6oo a. C.)u Sia le
sostanze che le parole saranno state trasportate verso nord, verso il Me-
diterraneo, dall'antico Yemen 1' , da mercanti di quel paese e della parte
settentrionale dell'Arabia 17 : almeno dal IV secolo a. C. il primo inno del-
fico ad Apollo parla di '1\.Qa'ljJ «Ì't!J.Oç, «effluvio d' Arabia» 11 •
I Greci iniziarono ad accumulare conoscenze geografiche sugli Ara-
bi a partire dalla fine del VI secolo a. C. Intorno al 520 Dario I, il re
achemenide della Persia, fece compiere a Scilace di Carianda un viaggio
di esplorazione dall'Indo fino all'Egittd' Sfortunatamente, delle sco-
perte di Scilace abbiamo notizie solo di terza mano. Intorno al 500 a.
C. esse furono utilizzate da un suo piu giovane contemporaneo, Ecateo
di Mileto, geografo ma non esploratore, per l'elaborazione di una carta
geografica dell'orbe terraqueo. Anche la sua opera è andata perduta, ma
mezzo secolo dopo fu a sua volta usata da Erodoto, pur con molti spun-
ti critici.
Dopo aver raggiunto la foce dell'lndo, Scilace segui le coste indiane
e dell'Iran verso occidente. Non è chiaro se sia entrato nel Golfo Persi-
" Sulla ~J.UQQa cfr., di recente, A .. SIMA, Tiere, P/14m:en, Steine und MettJ/le in den altsudarabi-
schen lnschri/ten. Eine lexicalische und realienkundliche Untersuchung, Wiesbaden 2000, pp. 281-84.
Purtroppo, nei testi in antico sudarabico, ancora non è stata trovata una parola *lbn. Tuttavia, dal
momento che parole derivate dalla radice lbn e significanti incenso si sono rinvenute in ebraico,
arabo classico, nei dialetti arabi del Dhofar (la regione produttrice di incenso) e anche in altre par-
ti dell'Arabia del Sud, cosi come in un certo numero di linguaggi dell'Africa orientale, è molto pro-
babile che una parola simile fosse esistita anche in antico sudarabico e che abbia costituito la fon-
te delle parole in greco. Cfr. w. w. MULLER, Namenvon AromaliJ imantikenSudarabien, in A. AVAN-
ZI N! (a cura di ), Profumi d'Arabia, Roma 1997, pp. 193-95; w. w. MULLER, Weihrauch. Ein
arabisches Produkt und seine Bedeutung in der Antike, in RE, suppl. XV (1978), coli. 703-9 e 748.
" MiJQQa e Mpavoç in SAFFO, fr. 44.30 Lobel-Page; [Àl]llavW"toç: fr. 2.4.
6
' Uso qui questo termine al posto del consueto «Arabia del Sud» per mettere in evidenza le
nette differenze culturali, linguistiche e sociali che separavano le popolazioni nella parte sud-occi-
ucntale della penisola («antico Yemen») da quelle in altre parti del Medio Oriente, spesso riunite
insieme dai Greci con la denominazione di <<Arabi>>. Naturalmente, in questo contesto, il nome
Yeme n rappresenta un anacronismo, dal momento che non sembra entrato nell'uso se non molto
piu tardi. L'utilizzo è puramente strumentale al fine di operare una netta demarcazione.
17
Cfr. M. c. A. MACDONALD, Trade routes and trade goods at the northem end ofthe "Incense Road"
in the /irst Mi/lennium B.C., in AVANZINI (a cura di), Profumi cit., pp. 333-49·
'" J. u. I'OWELL, CollecttJnea Alexandrina, Oxford 1925, p. r4r,l. rr.
" ERODOTO, 4·44·
236 Gli «altri» e i Greci
co. Dal momento che compiva l'esplorazione per conto della Persia, è
inconcepibile che ne ignorasse l'esistenza; e tuttavia non si è preserva-
ta nessuna traccia di tale conoscenza nella descrizione di Ecateo delle
coste meridionali dell'«Asia»: nella sua opera, infatti, la costa occiden-
tale dell'India e quelle meridionali dell'Iran e dell'Arabia sembrano cq-
stituire un'unica linea interrotta solo dall'ingresso nel Mar Rosso20 E
presumibile che Scilace avrà avuto con sé Persiani in grado di ricono-
scere lo stretto di Hormuz, cosi da includo a passare oltre, piuttosto che
addentrarsi nel Golfo Persico. Poi avrà percorso verso sud la costa orien-
tale della penisola dell'Oman, prima di seguire la costa meridionale
dell'Arabia e dirigersi, alla fine, a nord, facendo vela verso il Mar Ros-
so (un viaggio di circa quaranta giorni, a suo dire) 21 • Se ciò è esatto, il
viaggio di Scilace non fu una «circumnavigazione dell'Arabia~>, dal mo-
mento che egli ne costeggiò soltanto la parte meridionale e occidentale.
Non sappiamo che cosa fosse, per Scilace, la Penisola Arabica, ma è
interessante che egli affermi che le isole Kamaran, allargo della costa
dello Yemen sul Mar Rosso, a nord di al-l:ludaydah, erano abitate da
Arabi 22 • Come al solito, non è possibile sapere che cosa intendesse pre-
cisamente e se stesse contrapponendo le genti di queste isole agli altri
abitanti (non arabi) dell'antico Yemen.
Per quanto possiamo ricostruire della geografia di Ecateo dalle cita-
zioni pervenuteci della sua opera, egli vedeva il mondo come una terra
di forma piu o meno circolare circondato dall' «Oceano». Questo conti-
nente era suddiviso in tre parti: la metà settentrionale del cerchio era oc-
cupata dall'Europa, mentre la metà meridionale era divisa tra Asia e Li-
bia2). Come si è visto, secondo Ecateo la costa occidentale dell'India e
quelle meridionali di Iran e Arabia costituivano una linea continua deli-
mitante a sud i confini dell' «Asia» e interrotta solo all'altezza del «Golfo
Arabico» (il nostro Mar Rosso), oltre il quale l'Asia si estendeva nell'Egit-
to orientale fino al N ilo: qui era posto il confine con il terzo <<continen-
te», la «Libia»24 . Nel sistema ricostruito da Ecateo, l'«Egitto» consiste-
20
Il fatto che, due secoli dopo, Alessandro Magno abbia dovuto inviare spedizioni esplorati-
ve dal Golfo Persico e dal Mar Rosso per tentare la circumnavigazione ha fatto pensare che quel-
le conoscenze sul Golfo Persico (compreso il fatto che la terra a oriente del Mar Rosso faceva par-
te di una penisola) erano da tempo scomparse dalle conoscenze geografiche dei Greci (SALLES, La
circumnavigation cit., p. 85).
21
ERODOTO, 2. I I.
" FGrHist, l, p. 36 (fr. 271): «Ka~J.UQI]VOÌ vt"jooc 'AQaJllwv».
" ERODOTO, 2. r6: «gli Ioni e il resto dei Greci dividono tutta la terra in tre parti: Eu-
ropa, Asia e Libia».
" L. PEARSON, Early lonian Geographm, Oxford 1939, pp. 85-87, sulla base di ERODOTO, 2.15-
16, sostiene che Ecateo «Considerava la Libia come una parte dell'Asia», e che quindi non vede-
va nel N ilo il confine fra Asia e Libia. Tuttavia, se intendo Erodoto correttamente, ciò non sem-
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 237
va esclusivamente nel delta del Nilo 2'. Da altri brani sappiamo che Ero-
doto considerava «Arabia» l'area fra il NiJo e il Mar Rosso, ed era mol-
to vago sulle terre a est di quest'ultimo. E dunque probabile che, sulla
carta di Ecateo, l'Asia fosse cosi delineata, da est a ovest: le terre degli
Indiani (all'estremità orientale); poi i Persiani seguiti dagli Assiri (en-
trambi a occupare l'intera estensione longitudinale del continente asia-
tico); quindi, sulla costa del Mediterraneo (da nord a sud), i Fenici, i «Si-
ro-Palestinesi»26 e gli Egiziani (confinati al delta del N ilo), con l' «Ara-
bia» che si estendeva da Gaza, o dalla parte orientale del Delta, verso
sud, fra il N ilo e il Mar Rosso, fino all'Oceano. Nessun indizio lascia pen-
sare che Ecateo avesse nozione di una «Penisola Arabica» 27
Anche Erodoto aveva una gran quantità di notizie di prima mano da
raccontare a proposito degli Arabi: aveva visitato l'Egitto e aveva risali-
to per mare le coste orientali del Mediterraneo, da Pelusio a Tiro; da qui
si era messo in viaggio verso Babilonia. Per Erodoto, «Arabia» è la par-
te orientale dell'Egitto, fra il Nilo e il Mar Rosso 28 . Si tratta, nella sua
descrizione, di una terra di argilla e pietre29 , in cui una lunga catena mon-
tuosa si snoda parallelamente al Nilo, da Eliopoli, all'entrata nel Delta,
verso sud fino al «Mar Rosso» (cioè la parte meridionale dell'Oceano)J0 •
bra accordarsi con la conclusione di 2.16: «Se la loro [degli Ioni] opinione è corretta, allora è chia·
ro che essi e il resto della Grecia non sanno fare i conti, quando dividono tutta la terra in tre par·
ti: Europa, Asia e Libia. Dovrebbero aggiungere una quarta parte, il Delta dell'Egitto, che non ap·
parterrebbe né all'Asia né alla Libia. Infatti, in base proprio alla loro descrizione, il N ilo non è
[cioè: non può essere] il fiume che separa Asia e Libia, poiché si divide al vertice del Delta ed è
dunque questa terra [il Delta] che deve essere fra Asia e Libia ... Questo senza dubbio implica che,
secondo Erodoto, gli «Ioni,. (espressione con la quale abitualmente fa riferimento a Ecateo) dav·
vero credevano che il N ilo costituisse il confine tra Asia e Libia, ma che, poiché il N ilo si divide
per formare il Delta e gli Ioni ritenevano l'Egitto ristretto a quest'area, allora avrebbero dovuto
credere che i due continenti erano separati dall'«Egitto~> (cioè dal Delta). In questo modo Erodo-
to accusa Ecateo di incongruenza per il semplice fatto di aver detto che è il Nilo il confine fra i
due continenti, laddove la teoria propria di Ecateo faceva dell'« Egitto» (il Delta) una zona fra le
due, cosi che non apparterrebbe a nessuno dei due nel sistema di Ecateo. Questo tipo di argo-
mentazione è coerente con le altre critiche erodotee «puerili e cavillose» (PEARSON, Early Ionian
Geographers cit., p. 85) contro la visione di Ecateo dell'Egitto.
l'ERODOTo, 2.15·16: opinione che attribuisce agli Ioni e rispetto alla quale si dimostra forte-
mente in disaccordo.
" E cioè la fascia costiera, o <<Filistea».
27
Ibid., 4.38-39· La descrizione dello storico risulta ancora piu confusa per il suo uso del ter-
mine iumi (penisola) in queste sezioni. Erodoto, e presumibilmente Ecateo, immagina una zona
nella parte centrale dell'Iran dalla quale far partire due penisole,l'una verso occidente (e cioè l'Asia
Minore) e l'altra verso sud-est (cioè il continente dell' «Asia», risultante dall'unione di India, Iran
c della Penisola Arabica). Quindi Erodoto descrive la striscia di terra fra Iran e Mediterraeno che
unisce queste due penisole e che era abitata, da est a ovest, da Persiani, Assiri e, da nord a sud !un·
go la costa del Mediterraneo, da Fenici, Siro-Palestinesi ed Egiziani.
lO Ibid., 2.8, 2.19-
zo lbid., 2.12 .
•• lbid., 2.8.
238 Gli «altri>> e i Greci
" Ibid.
12
D'altra parte, grazie al viaggio di Scilace, egli era meglio informato sull'estensione del Mar
Rosso, e può aggiungere che erano necessari 40 giorni di navigazione a remi per percorrerlo nella
sua lunghezza, ma solo mezza giornata per attraversarlo da un lato all'altro nel punto piti largo
(2.11).
" In alcune località dell'Egitto orientale sono stati trovati graffiti incisi con scritture dell'Ara-
bia del Nord: per esempio ad ai-Muway):t, fra Copto (Qiftl e ai-Qu~ayr. Cfr. c. ROBIN, Les graffiti
«thamiidéens»:6A et C, in «Bulletin deii'Institut Français d' Archéologie Orientale>>, XL V (1 995),
pp. 112-15.
J.4 ERODOTO, 3.107.
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 239
H Ibid., 3-5·
"Ihid., 2.12.
240 Gli «altri» e i Greci
circa nella stessa area in cui popoli chiamati «Arabi» dagli Assiri pasco-
lavano le loro greggi nell'viii secolo a. C. 59 Ciò avveniva però quattro se-
coli prima, mentre le popolazioni arabe con cui ebbe a che fare Ales-
sandro erano agrestes, «contadini, gente di campagna», piuttosto che pa"
stori. Non è chiaro se volessero aiutare i Fenici contro Alessandro o se
invece si stessero semplicemente opponendo al taglio dei cedri, oltre a
ottenere in quel modo armi di indubbia utilità.
Un secolo dopo, Eratostene (c. 285-194 a. C.) 60 descrisse sia il Liba-
no che l' Antilibano, le regioni montane ai due lati opposti della pianu-
ra di Massyas (l'odierna Valle della Biga'), come «possesso di Iturei e
Arabi, entrambe popolazioni di malfattori (xaxo'UQym), mentre la gen-
te della pianura è composta da contadini»61 • Egli descrive inoltre le col-
line ai piedi dell' Antilibano, davanti alla regione di Damasco, come «le
montagne arabe» 62 • Il che, se conferma la presenza di popolazioni ara-
be in quest'area, non ci fa sapere però molto di piu.
Un contemporaneo anonimo di Eratostene, invece, descrisse i ricchi
terreni agricoli dell'Amman occidentale e settentrionale e della Galaa-
ditis (Galaad) meridionale, probabilmente fino ai confini di Pella, come
«la xwQa [territorio o campagna] degli Arabi», chiamando anche Amman
(che sarebbe divenuta poi la Filadelfia della Decapoli) «Rabbatamana
d' Arabia» 6' Sembrerebbe di avere a che fare qui con una comunità agri-
64
ARRIANO, Storia dell'India, 20.1, p. IO-I I.
" Ibid., 32·3·
"Ibid., 32.8: «la baia (xòM:oç) si addentra verso l'interno». Facendo confusione, qui Arria-
no la denomina "EQu6QÌJ 6ùl..uooa, <<Mar Rosso>>, mentre neU" Anabasi di Alessandro, 7 .16.2, parla
di «Golfo Persico, detto da qualcuno Mar Rosso».
"ID., Storia dell'India, }2.10-13; ID., Anabasi di Alessandro, J.20.9·IO.
"ID., Storia dell'India, 3}.1-42.10.
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 245
74
Ibid., 7.20.7. Visitò anche l'isola di Failaka, davanti al Kuwait, cui Alessandro volle cam-
biare il nome in Icaro (7.20.5).
"Ibid., 7.20.7.
"STRADONE, I6.J.2-4, passi basati su citazioni di Eratostene dei resoconti di Androstene.
77
Storia de/l'India, 43.8.
ARRIANO,
78
Ibid., 43.9: <<Ma il capo che Nearco afferma di aver avvistato con i suoi compagni quando
raggiunse il mare di fronte alla Carmania, nessuno è mai riuscito a doppiarlo e quindi a virare al-
l'interno [cioè virare a 180°] verso il lato lontano [la costa della penisola deii'Oman sull'Oceano
Indiano]».
"Ibid., 43·7·
80
«AÌÀavtwç 11UXÒç» (STRADONE, 16.4-4).
81
«Ùnò'HQwwvnoÀEwç» (TEOI'RASTO, Le cause delle piante, 9·4·4).
•• Eratostene, ricordato in STRADONE, 16.4.4; ARRIANO, Storia dell'India, 43·7·
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 247
18
The Ancient Arabs cit., pp. uz-q .
EPII'AL,
., ARRIANO, Anabasi di Alessandro, 7. 2 1. 7.
,. Citato da STRADONE, 15-3·5·
" lbid., 16.4 .1.
92
Cfr. il riassunto delle conoscenze sulla penisola in ARRIANO, Storia dell'India, 43-4·6, e le de-
scrizioni di Eratostene e Artemidoro (conservate in STRADONE, r6.4.2-4), che, in gran parte, do-
vevano essere basate sulle esplorazioni volute da Alessandro.
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 249
senza di Arabi nell' Antilibano, nella Siria del nord e nella Mesopotamia
centrale e meridionale. In questo modo, il termine «Arabia» come era
inteso dai Greci all'inizio dell'epoca ellenistica si riferiva almeno a sei
zone differenti del Medio Oriente: Egitto orientale, Sinai e parti della
Palestina meridionale; Antilibano; Siria del nord; Mesopotamia centra-
le; Mesopotamia meridionale e parte alta del Golfo Persico; Penisola
Arabica. Entro un altro secolo, sarebbero state aggiunte le regioni
dell'Amman e almeno parte della Galaaditis, nel nord della Transgior-
dania, oltre alla Transgiordania meridionale. Di fatto alcune di queste
zone potevano essere contigue, di modo che i geografi greci potevano
considerarle come parti di una stessa «Arabia».
Tutto ciò rappresentò un aumento sbalorditivo delle conoscenze dei
Greci sugli Arabi e sui loro territori rispetto a quelle prima in loro pos-
sesso, per quanto fossero quasi tutte di natura teorica e ancora infram-
mezzate a leggende esotiche. All'epoca, in effetti, i contatti fra Greci e
Arabi erano stati minimi. Tuttavia la conquista di Alessandro creò un
canale culturale fra il mondo ellenico e il Vicino Oriente, attraverso il
quale scorrevano facilmente in entrambe le direzioni idee in campo cul-
turale, sociale e politico.
Da questo momento in poi le conoscenze dei Greci furono affinate
da successive missioni esplorative, come quella di Aristone nel Mar Ros-
so, che costituila base del libro scritto da Agatarchide sull'argomento"
Aristone identificò molte popolazioni lungo la costa occidentale della pe-
nisola. Per quanto a conoscenza dell'esistenza del Golfo Elanitico, egli
ritiene parte dell'Arabia la costa occidentale del Sinai: il che fa pensare
che, all'epoca, dovesse essere popolato da «Arabi»"'. In vicinanza della
punta meridionale del Sinai, inoltre, localizza un luogo a proposito del
quale Agatarchide dice: «qui i GerreP' e i Minei portano, si dice, incen-
so e altre merci aromatiche da quella che è chiamata l'Arabia superiore».
Queste due ultime parole dimostrano che, in quest'epoca, la zona di pro-
venienza degli aromi era stata correttamente localizzata nell'Arabia del
sud: nelle mappe antiche, infatti, il sud era posto verso l'alto.
Lungo la costa, Agatarchide descrive un numero notevole di popo-
lazioni differenti, caratterizzate da diversi gradi di selvatichezza: genti
" Aristone fu inviato in viaggio d'esplorazione lungo la costa occidentale del Mar Rosso da
Tolomeo II Filadelfo (284-247 a. C.). Il suo resoconto fu utilizzato da Agatarchide di Cnido nel
suo libro sul Mar Rosso, lunghe citazioni del quale sono conservate in Diodoro Siculo, Strabone
(grazie a un riassunto scritto da Artemidoro di Efeso alla fine del n secolo a. C.) e dallo scrittore
bizantino Fozio. Cfr. s. M. BURSTEIN (a cura di), Agatarchides o/ Cnidus on the Erythraean Sea, Lon·
Ùon 1989.
94
AGATARCHIDE, 87a (in DIODORO SICULO, 3·42.5).
" Gerrha era situata a est della penisola, ma la sua esatta ubicazione è ancora discussa.
'\ ( l1 D Arabi
PERSIA
.
Domarha
<11? CARMANIA
<1 ,,._'1-1>\0<
() IJ l "C'" L"-..~
7
1: <1 .Mak<hl [Ras Musamkzm]
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dedite alla caccia e alla raccolta (come i BanizomenW\ pastori (genti nel
De bai la cui vita ruota va attorno ai cammelli)'\ ma anche agricoltori (al-
tre pòpolazioni del Debai)'8 Alla fine arriva ai Sabei, «la piu numerosa
fra le popolazioni arabe»'': in altri termini, essi vengono considerati
«arabi» per il semplice fatto di abitare nella penisola che i geografi gre-
ci chiamavano «Arabia».
L'immagine della costa occidentale dell'Arabia che emerge al volge-
re dell'evo mostra dunque la compresenza di società civilizzate, per
quanto esotiche, nella parte meridionale e settentrionale del Mar Ros-
so (Sabei e Nabatei), separate fra loro da ampie zone abitate da popola-
zioni in stadi diversi di «sottosviluppo». Questo è il quadro che ci pre-
sentano Diodoro e Strabone, entrambi impegnati, in misura prevalen-
te, a fondere gli uni con gli altri resoconti di autori precedenti.
A quest'epoca la forma della Penisola Arabica era ormai piu o meno
chiara, cosi come la sua relazione con Siria e Mesopotamia. Strabone so-
stiene, di passaggio, che l'intera terra degli Arabi (eccezion fatta per
quelli della Mesopotamia) si estende a sud della Giudea, della Celesiria
e della Babilonia. La zona vicina all'Eufrate, fra la Babilonia e la Cele-
siria (cosi come la Mesopotamia), è occupata dagli Arabi «che vivono
nelle tende» (l:xfJvirm '.1\Qal)eç), divisi in piccoli regni (ovvaoutaç
ruxgaç) e per lo piu dediti al pascolo di armenti (cammelli in particola-
re) in steppe sterili e desertiche. A sud rispetto ad essi si trova un de-
serto molto esteso, e ancora piu a sud «le genti che abitano l'Arabia Fe-
lix». Cosi, «la parte settentrionale dell'Arabia Felix è formata dal sue-
citato deserto, quella orientale dal Golfo Persico, quella occidentale dal
Golfo Arabico [il nostro Mar Rosso] e quella meridionale dall'Oceano
che si estende al di là di entrambi i golfi» 100
Già Eratostene (c. 285-194 a. C.), largamente citato da Strabone, ave-
va un'idea chiara delle genti che abitavano il nord dell'Arabia. Proce-
dendo da ovest a est, a partire dal Golfo di Suez, egli nella sua lista cita
per primi i Nabatei, che, come sappiamo, erano localizzati nel Negev, nel-
96
AGATARCIIIDE, 92a, 92b.
fbid., 97a, 97b, 97C .
•• lbid.' 97a, 97C.
'' «noì.uav{}gwrro~atot ~wv 'Aga~uuòv Èilvurv òvnç» (ibid., 99b).
100
STRABONE, I6.3. I; cfr. I6.4 .2 sgg. Tuttavia potrebbe trattarsi di una confusione, come pro-
babilmente nella parte iniziale di I 6-4-2 r.
Figma 2. La conoscenza greca degli Arabi prima della conquista della Siria da parte di
Pompeo (63 a. C.).
2 52 Gli <<altri>> e i Greci
la parte orientale del Delta egiziano, probabilmente nel Sinai, nel sud del-
la Transgiordania e nella parte nord-occidentale dell'Arabia. Quindi ri-
corda i Caulotei (XauÀo'taim), probabilmente i popoli menzionati come
lfwlt nelle cosiddette «iscrizioni safaitiche» -graffiti incisi da nomadi,
durante il periodo romano, sulle rocce desertiche di quella che è ora la
parte meridionale della Siria, la Giordania nord-orientale e il settentrio-
ne dell'Arabia Saudita. In questi testi gli I:Iwlt appaiono sempre come il
nemico e generalmente vengono ritratti durante incursioni nei pascoli dei
nomadi. Qualche labile indizio fa pensare che venissero dal nord dell'Ara-
bia101. Probabilmente vanno identificati con gli Avalitae, i cui centri abi-
tati erano Domata (l'attuale al-Jawf) e Haegra (l'attuale Mada'in Sali.l;t),
entrambe nell' Arab ia del nord 102 . La terza popolazione collocata da Era-
tostene nell'Arabia settentrionale sono gli Agrei ('AyQai.ot). Si tratta qua-
si certamente dei popoli dell'Arabia del nord e nord-est conosciuti come
Hgr, il cui re batté moneta all'incirca nel m secolo a. c.•oJ
Eratostene continua dicendo che la prima popolazione che si incon-
tra a sud dei Siri e dei Giudei è composta da contadini. Tale notazione
ben si adatterebbe ai Nabatei, che erano esperti nel conservare ogni pic-
cola quantità di acqua piovana stagionale nella loro terra per utilizzarla
al meglio a fini agricolP 04 A sud, «il suolo è sabbioso e sterile, capace di
nutrire qualche albero di palma, piante spinose e tamarischi, e di offri-
re acqua se si scava ... ed è occupato da Arabi che vivono in tende e cam-
mellieri». Si tratta di una buona descrizione della parte desertica
dell'Arabia. Quando invece scrive «l'estremo sud, situato di fronte
all'Etiopia, è bagnato da piogge estive e seminato due volte, come l'In-
dia», il riferimento è, probabilmente, alle piogge monsoniche dello Ye-
men105 Strabone ebbe a disposizione descrizioni di entrambe le coste
del Golfo Persico e del Mar Rosso e, sembra, una serie di informazioni
sulla costa della penisola lambita dall'Oceano Indiano 106
101
M. c. A. MACDONALD, Reflections on the lingujstic map o/ pre-Islamic Arabia, in «Arabian Ar·
chaeology and Epigraphy», XI (zooo), pp. 41-42. E possibile che debbano essere identificati con
la terra di f:lawilà di Genesi, 25.18: cfr. w. w. MULLER, Havilah, in Anchor Bible Dictionary, III,
New York 1992, p. 82.
102
PLINIO, Naturalis historia, 6.J2.157· In effetti, al tempo di Plinio, Haegra apparteneva ai
Nabatei. Tuttavia non è in nessun modo certo fino a che punto questa informazione fosse esatta
o che cosa precisamente significasse il fatto che Plinio attribuiva oppida ad alcune tribu.
101
c. ROBIN, Monnaies provenant de I'Arabie du nord-est, in «Semitica», XXIV (1974), pp. 92-
1 u; POTIS, TheArabian Gu/f ci t., Il, pp. 60-62; o. CALLOT, Les monnaiesdites«arabes»dans /e nord
du Go ife arabo-persique à la fin du uf siècle ava nt notre ère, in Y. ALVET e J. GACHET (a cura di), Fai-
laka. Foui//es Françaises, 1986-I9BB, Lyon 1990, pp. 227-34, con ulteriori indicazioni.
1
"' Cfr. per esempio STRADONE, 16.4.26: «la maggior parte della zona è ben fornita di frutta».
101
Per tutto questo passaggio cfr. ibid., 16.4.2.
106
Ibid., I6.3.2·7. 16.4·5·20.
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 253
trò nell'uso per indicare tutti quelli che prima erano stati chiamati «Ara-
bi»128 e, dopo la nascita dell'Islam, tutti i Musulmani. Solo la provincia
romana e la penisola mantennero il nome «Arabia~~. rimasto fino ad og-
gi come retaggio dell'incontro dei Greci con gli Arabi.
124
AGATARCiliDE, 99b (in DIODORO SICULO, 3·46.4).
"' lbid.
126
AGATARCHIDE, 104b (in DIODORO SICULO, 3·47·5).
127
Arbela si trova a nord-est del Tigri, tra i fiumi Grande e Piccolo Zab, nel nord-est dell'al·
tuale Iraq.
128
CURZIO RUFO, 5. I. I I. Nel brano si dice che, nella sua marcia verso sud, Alessandro si la·
sciò l'Arabia «alla sinistra>>: ciò che porterebbe a collocarla a est del Tigri. Di solito si ritiene che
si tratti di un errore per« alla sua destra», cioè in Mesopotamia, specialmente perché poi continua:
«Una strada nella pianura attraversa la regione che separa il Tigri dall'Eufrate: il suo suolo è cosi
ricco e grasso che, si dice, è vietato al bestiame, poiché un nutrimento tanto abbondante risulte·
rebbe fatale» (5. I. I 2). Tuttavia vale la pena notare che «alla sinistra» posizionerebbe questa Ara·
bia neii'Adiabene (tra il Grande e il Piccolo Zab), dove si sa che Arabi vissero in altri periodi.
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 257
usate come legna da ardere 12' Gli abitanti vivono in un lusso straordi-
nario praticando strani costumi sessualiu•, altro topos prediletto dai geo-
grafi greci e romani. Il loro re vive in un «lusso effeminato» e, pur es-
sendo «l'autorità in causa», vive da prigioniero nel suo palazzo. La ter-
ra pullula di animali misteriosi e pericolosi: Erodoto ne compila un'intera
listam e persino Agatarchide descrive una specie particolarmente sgra-
devole di serpenti che si trova «nelle foreste di incenso», capace anche
di fare balzi in aria al momento di sferrare l'attacco (probabilmente una
derivazione dai serpenti volanti di Erodoto)m. Non si tratta né di una
terra ideale né di una specie di «Paradiso»: solo qualcosa di fascinosa-
mente esotico.
Parallelamente a questa immagine dell'Arabia Felix ve ne era un'al-
tra, non meno favolosa, dell'Arabia Deserta. Come si è detto, i primi
«Arabi» in cui s'imbatterono i Greci erano mercanti, e sembra che ci vol-
le del tempo prima dell'incontro con nomadi e pastori. Per di piu, quan-
do ciò avvenne, ·i nomadi non risiedevano in quelle aree che i Greci ave-
vano tradizionalmente chiamato «Arabia» (il sud della Palestina, il nord
del Sinai, l'Egitto orientale o la penisola), ma in zone della Mesopotamia
e della Siria centrale. Tuttavia l'immagine che sarebbe divenuta ben pre-
sto dominante per l'«Arabo», non solo in Grecia ma piu in generale nel-
la mentalità occidentale, fu proprio questa: il nomade che viveva in ten-
de nel deserto, lontano dalla civilizzazione, che allevava cammelli, peco-
re e capre e che assaliva mercanti e contadini rispettosi delle leggim
La «favolosa» immagine greca del nomade arabo culmina nelle de-
scrizioni di Diodoro. Qui il nomade è descritto quasi come il «nobile
selvaggio», inserito in un contesto idealizzato ed esotico. Il deserto di-
viene allora il rifugio in cui si ritira per sottrarsi a chi cercherebbe di
sottometterlo. Solo questi Arabi conoscono, nel deserto, «i luoghi del-
le acque nascoste», cui sono in grado di accedere per ottenere «acqua
potabile in abbondanza» 134 In questo modo il deserto, ,tanto crudele
con i loro nemici, si dimostra generoso con i nomadi. «E ampio come
l'aria»m ed «è percorso da un gran numero di Arabi che sono nomadi e
che hanno scelto di vivere nelle tende. Essi allevano vaste mandrie di
"'Cfr. A. ZAMBRINI, Notes sur l'Arabie dans /es sources c/assiques, in AVANZINI (a cura di), Pro-
/limi cit., pp. 485-87.
110
STKABONE, 16.4.25.
111
ERODOTO, J.I07·I3.
112
AGATAKCIIIDE, 99; ERODOTO, 3· 107.
"'Cfr., per esempio, DIODORO SICULO, 19·94·2·10.
'" lhid., 2.48·3·
'" lhid., 2.54·2·
258 Gli «altri~> e i Greci
116
Ibid., 2.54. r.
m Ibid., 2.50.2. Non è assolutamente certo che qui Diodoro si stia riferendo all'Arabia De-
serta piuttosto che all'Arabia Felix da lui descritta nel capitolo 49, ma lo farebbero pensare sia il
contenuto che le affermazioni immediatamente successive .
.,. Ibid., 2.50.3·6. Si trattava probabilmente dello struzzo.
"'Ibid., 2.5r.r. Spesso si sostiene che per <<camelopardo» si intendeva la giraffa, a dispetto
del fatto che, ovviamente, quest'ultima non vive in Arabia e che Diodoro descrive il camelopardo
come piu piccolo rispetto al cammello e con un collo piu corto. Talvolta è stato proposto di cor·
reggere questo brano in modo da renderlo simile alla descrizione di Agatarchide del camelopardo,
secondo cui avrebbe la stessa taglia di un <<cammello ... jl cui collo è cosi allungato che può pren-
dere il suo cibo dalle cime degli alberi» (73a e cfr. 73b). E sicuro ed evidente che i due autori stan·
no descrivendo due animali diversi. Il camelopardo descritto da Agatarchide viveva in Africa ed è
chiaramente una giraffa osservata in natura. Il camelopardo di Diodoro, d'altra parte, vive in Ara·
bia e rientra in un elenco di animali ibridi frutto della fantasia. Quasi certamente è illustrato ne-
gli affreschi di I secolo a. C. nella necropoli di Marissa, Palestina: cfr. J. P. PETERS e II. TIIIERSCII,
Painted Tombs in the Necropo/is o/ Marissa (Mareshah), London 1905, p. 25, tav. vm; mentre an-
cora nel 531 d. C. appare in un mosaico al Monte Nebo, in Giordania (cfr. M. PICCIRILLO, Imo·
saici di Giordania, catalogo della mostra (Castello di Malpaga, Cavernago [Bergamo], marzo-giu·
gno •991), Bergamo-Gerusalemme 1991, p. 64, fig. 31).
"" DIODORO SICUI.O, 2.51.3, 2.52. 1. Vengono anche menzionati uccelli dai colori brillanti
(2.52-5).
'" Ibid., 2.48.2.
Macdonald Arabi, Arabie e Greci 259
"' Per fare un solo esempio, ancora nelu-m secolo d. C., Eliano ripeteva la storia secondo cui
<<i Persiani, già dalla battaglia che Ciro combatté in Lidia [c. 700 anni prima rispetto a quando Elia-
no scriveva), tenevano i cammelli insieme ai cavalli, tentando cosi di liberare i cavalli dalla paura
che ispirano loro i cammelli» (Sul/Q natura degli animali, I I .J6).
"' Non è certo se questa fosse una radicata convinzione nel modo di pensare dei comandanti
militari o se invece si trattasse di un topos degli storici che descrivevano le battaglie, spesso molti
anni dopo.
"' Nell'esercito radunato da Serse per l'invasione della Grecia nel48o, Erodoto descrive gli
Arabi come armati di lunghi archi, qualcuno a piedi (7.69), altri con cammelli (7.86), ma non c'è
alcuna allusione al fatto che essi venissero utilizzati per la battaglia. Tuttavia, il suo piu giovane
contemporaneo, il poco affidabile Ctesia di Cnido (fine del v secolo a. C., in DIODORO SICULO,
l. 17. 2), scrive che nell'esercito di Semiramide «Uomini montavano il cammello con spade lunghe
'i cubiti [2m)>>. Questo topos è ripetuto in uv1o, J7.40.I2, che fa riferimento a cammelli monta·
ti da arcieri arabi dotati di «spade affusolate lunghe 4 cubiti>> nell'esercito di Antioco III durante
la battaglia di Magnesia del 189 a. C. Il resoconto di Erodiano sulla battaglia di Nisibi (2 17 d. C.)
va un passo ancora piu in là, alludendo ai «xawq.>gax-.:ot [i "carri armati dell'antichità", cioè la ca·
valleria persiana armata di pesanti corazze) su cavalli e cammelli>>, che brandivano lunghi giavel-
lotti. Un uomo equipaggiato di una pesante corazza e con un lungo giavellotto a dorso di cammel-
lo dovrebbe impegnare tutta la sua forza e abilità per non cadere a terra, soprattutto al momento
di una carica, e sarebbe dunque pericoloso piu per se stesso che per il nemico. In piu, i cavalli dei
xutwr'l!<ix-.:ot erano essi pure armati, mentre un'armatura in grado di proteggere le zone vulnera-
bili di un cammello avrebbe di fatto finito piu o meno per immobilizzarlo.
262 Gli <<altri)) e i Greci
t a l'Asia» era soggetta alla corona achemenide, «eccezion fatta per gli
Arabi [nella regione di Gaza e leniso]» 158 • Avendo essi offerto a Cambi-
se il passaggio in Egitto, non tributavano ai Persiani obbedienza da schia-
vi, ma erano invece uniti a loro da legami di amiciziam: abbiamo già ipo-
tizzato che conseguenza di tale «relazione eccezionale•• potesse essere il
fatto che agli Arabi- almeno quelli del litorale di Gaza-leniso (e forse an-
che a quelli nell'interno del Negev) - era stato garantito lo statuto, ap-
parentemente unico, di enclave autonoma all'interno della quinta satra-
pia e che gli Arabi pagavano assai caro tale privilegio160 •
A differenza degli Arabi nomadi, i mercanti arabi sulle coste del Me-
diterraneo possedevano molte delle «cose che sono apprezzate dalle al-
tre popolazioni» 161 e non erano in grado di preservare la propria libertà
svanendo nel deserto fuori dalla portata di chi intendesse appropriarsi
dei loro beni. Le strade lunghe e pericolose sulle quali le loro merci viag-
giavano dall'antico Yemen alle coste del Mediterraneo, inoltre, li ren-
devano particolarmente esposti al ticatto di quanti possedevano i mez-
zi per interrompere quei traffici. E dunque probabile che questi mer-
canti persuasero i Persiani del fatto che l'interesse dell'impero sarebbe
stato perseguito anche meglio permettendo loro, in cambio di una gros-
sa somma annuale, di continuare nei modi tradizionali i loro commerci
piuttosto che cercando di amministrare e tassare una popolazione osti-
le e capace di aggirare in mille modi le autorità lungo le strade deserte
che si dipartivano dali' antico Yemen. In altri termini, questi Arabi non
fecero altro che negoziare e acquistare la propria libertà. Ciò potrebbe
essere visto come il suggello della determinazione e dell'infinita inge-
gnosità di queste popolazioni al momento di preservare ciò che per lo-
ro era di vitale importanza.
Secondo Polibio, quando Antioco III, alla fine del m secolo a. C., at-
taccò i mercanti arabi di Gerrha sulla costa del Golfo Persico, l'atteg-
giamento da loro assunto nei suoi confronti fu molto simile. In questo
caso, Antioco riconobbe agli abitanti di Gerrha la possibilità di mante-
nere la loro «pace perpetua e libertà»; in cambio essi «approvarono un
decreto in onore di Antioco con il dono di 500 talenti d'argento, 1000
talenti d'incenso e zoo talenti della cosiddetta 'stacte' [olio di mirra]» 162 •
"' Presumibilmente erano anche inclusi gli Arabi dell'Egitto orientale, dal momento che Ero-
unto non ne fa menzione nella sua descrizione della sesta satrapia, che comprendeva l'Egitto e le
regioni vicine (3.91).
1
" ERODOTO, 3.88.
167
Il metodo di scavo e l'utilizzo di queste sorgenti è descritto piu dettagliatamente in DIO-
noHo SICULO, 19-94.6-10.
1
" In 2.48.4-5 ciò è riferito agli Arabi «fra Siria e Egitto», cioè sulla cos1a mediterranea a sud-
ovest di Gaza (e probabilmente al Negev e alla Transgiordania meridionale, dal momento che so-
no inclusi i Nabatei) e nella parte orientale dell'Egitto. Tuttavia, in un passo quasi identico (2 .1. 5),
sembra riferirsi agli Arabi della Mesopotamia settentrionale.
1
" Ibid., 2.48.4-5.
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del potere politico. Nella storia degli studi, per indicare questa cultura
è stato impiegato il termine «sudarabico» (cultura «sudarabica», stati
«sudarabici», lingua «sudarabica»), termine forse non felicissimo, spe-
cialmente sul piano linguistico; potrebbe infatti, erroneamente, far pen-
sare a un dialetto meridionale dell'arabo.
Non vi è traccia in tutta la storia sudarabica, dall'inizio del I mil-
lennio a. C. fino al VI secolo d. C., di un'esplicita consapevolezza da par-
te degli abitanti dell'Arabia meridionale di un'identità «sudarabica».
Anche nell'ultimo periodo della sua storia, quando tutta l'area sarà sot-
to il potere di un unico re, questi per indicare che è re di tutta la regio-
ne userà una titolatura articolata e lunga: «re di Saba e dhu-Raydan, del-
lo Hadramawt e dello Yemen, dei loro nomadi dell'altopiano e della pia-
nura», mancando un termine unico per indicare geograficamente o
culturalmente l'Arabia meridionale. Dal che si deduce che storicamen-
te gli stretti contatti tra stati sudarabici hanno creato uniformità cultu-
rale ma anche forte competitività politica; gli stati formano la propria
identità su meccanismi di «differenziazione». Sul piano religioso, per
esempio, un dio comune a tutta la cultura sudarabica, Athtar, viene af-
fiancato da divinità il cui culto è esclusivo di uno stato e che diventa ele-
mento dell'identificazione del cittadino di quello stato2 •
Come spesso accade per aree poco note sul piano archeologico - no-
nostante l'aumento di spedizioni archeologiche e di conoscenze storico-
linguistiche, l'Arabia meridionale occupa ancora un posto marginale nel
campo degli studi vicino-orientali - la dinamica dell'origine degli stati
sudarabici è stata spiegata da archeologi e linguisti in base a criteri eso-
geni, ipotizzando movimenti migratori di popolazioni e contatti con cul-
ture piu sviluppate. Nel 1955 J. Pirenne scrisse una memoria dal titolo
La Grèce et Sa ba), che segnò una tappa negli studi sull'Arabia meridio-
nale preislamica. La Pirenne vedeva nel contatto con i Greci l'elemen-
to che aveva accelerato la nascita della cultura sudarabica. Può sembra-
re inutile, dopo cinquant'anni, citare questo lavoro, e anche ingenero-
so per la memoria della studiosa belga: infatti, quasi nessuna delle
conclusioni, sostenute con entusiasmo in quel lavoro, si è dimostrata con
il passare degli anni ancora valida. La cronologia corta, proposta dalla
Pirenne, che fissava alla metà del I millennio l'inizio della storia nell'Ara-
2
Nella documentazione antica lo stato è identificato dal suo dio, dal suo popolo e dal suo re.
Quando Karibil, nella grande iscrizione che ricorda le sue vittoriose campagne militari, vuole in-
Jicare i territori conquistati, ripete varie volte, con un'espressione evidentemente stereotipa, che
li ha consegnati <<ad Almaqah (il dio principale di Saba), a Saba e a Karibil».
' J. I'IRENNE, La Grèce et Saba. une nouvelk base pour la chrono/ogie sud-arabe, in << Mémoires pré-
scntés par divers savants à I'Académie des lnscriptions et Belles-Lettres», XV (!955), pp. 86-196.
270 Gli <<altri» e i Greci
bia meridionale, per anni sostenuta anche dalla maggior parte dei suda-
rabisti, con l'aumento delle conoscenze archeologiche si è dimostrata er-
rata; il contatto con i Greci, come «elemento civilizzatore» all'inizio
della storia sudarabica, perde ogni credibilità. Ma il contatto non deve
certo essere escluso. Oltre agli splendidi esempi presenti nella storia
dell'arte, per esempio nella statuaria, possiamo qui rapidamente citare
due casi diversi tra loro, ma tutti e due indicativi della profondità del
contatto greco-sudarabico.
Il primo è fornito dalla numismatica sudarabica. Negli ultimi anni
nuove scoperte, sia in scavi archeologici che in collezioni di musei, di
monete sudarabiche rendono possibile tracciare un qu@-dro generale del-
la monetazione degli stati dell'Arabia meridionale 4 E divenuto possi-
bile distinguere il materiale numismatico dei vari regni. L'origine della
monetazione risale al IV secolo a. C . e Qataban fu il primo regno che
batté una moneta «nazionale». Tipologicamente le monete risentono di
una forte influenza ateniese, mentre un'iconografia locale compare sul-
le monete dall'inizio del n secolo a. C.
Le prime monete conosciute dagli abitanti dell'Arabia meridionale
furono, senza dubbio, le tetradramme del cosi detto «vecchio stile» e le
loro «imitazioni orientali». Le piu antiche monete qatabaniche aveva-
no sul recto la testa di Atena e sul verso la civetta, una falce di luna e un
ramo d'olivo accompagnati sulla destra da tre lettere greche, AeE , ini-
zio del nome di Atena. Per distinguere valori differenti furono aggiun-
te sulla guancia di Atena delle lettere sudar abiche e per indicare la « na-
zionalità» di questi pezzi era impresso il monogramma reale. All'inizio
del n secolo la monetazione di imitazione attica viene sostituita da tipi
di monete con iconografia locale, l'immagine di Atena diventa una te-
4
La nostra conoscenza della monetazione sudarabica è nettamenta migliorata in questi anni
grazie agli studi di A. V. Sedov; cfr. A. v. SEDOV, Maneti drevnego Hadramauta (La monetazione
dell 'antico Hadramawt), Moskva 1998.
della cultura sudarabica: primo tra tutti la storia della scrittura, elemento
fondamentale, anche, per una ricostruzione della cronologia sudarabi-
ca. Poche culture nel mondo antico usarono nel corso della loro storia i
testi scritti in un modo analogo a quello in cui furono usati in Arabia
meridionale. Qui i testi scritti erano costantemente «esposti» in nume-
rosi luoghi (fig. 4): mura urbiche e porte cittadine, dighe, oggetti quali
statue e altari, contesti naturali, come i fianchi di montagne. L'esposi-
zione costante dei testi scritti portò allo sviluppo di uno stile monu-
mentale di scrittura geometrico ed elegante, con anche un'evidente fun-
zione decorativa. La scrittura sudarabica era talmente diversa da quel-
la fenicia, da cui era fatta derivare, da far ipotizzare un lungo periodo
di evoluzione. Era questo un argomento a favore della cronologia cor-
ta, proposta da J. Pirenne, che datava in pieno v secolo lo stile classico
delle iscrizioni del periodo del re sabeo Karibil W atar . Ma l' archeolo-
gia ha confermato una cronologia piu alta di quella proposta dalla Pi-
renne- Karibil Watar viene ormai considerato un re della fine dell'viii
- inizio vn secolo a. C., probabilmente da identificare con il re sa beo
Karibilu citato negli annali assiri'.
' Per la cronologia dei regni sudarabici cfr. A. DE MAIGRET e Cli . ·J . RODJN, Les fouilles italien·
nes de Yakz: nouvelks données sur kz chronologie de/' Arabie du Sud préiskzmique, in <<Comptes Ren·
dus de l'Académie des lnscriptions et Belles-Lettres>>, 1989, pp. 225-91; A. AVANZINI, La chrono·
Figura 3· Affresco con ritratto di un notabile di Qaryat al-Faw (n-I secolo a. C.).
Figura 4· Iscrizione della fine dell'vm secolo a. C. da as-Sawda (antica Nashshan).
Avanzini L'Arabia meridionale preislamica 273
alla metà del I millennio, veniva fatta derivare dalla scrittura semitica
nord-occidentale. Ma le due scritture si rifanno a due tradizioni autono-
me, come è dimostrato dai loro diversi ordini alfabetici: il semitico nord-
occidentale 'bgd e il sudarabico hlpm 11 • La scoperta di una tavoletta a
Ugarit 12 , da datarsi nel XII secolo a. C., con un abbecedario che segue l'or-
dine alfabetico hlbm, ha fatto ritenere ad alcuni studiosi che avessimo
qui la prova dell'origine settentrionale di tutti e due gli ordini alfabeti-
ci; ma l'ordine hlbm non è certamente nativo di Ugarit, dove l'altro or-
dine alfabetico è ampiamente attestato. La tavoletta di Ugarit, con l'or-
dine alfabetico hlbm, testimonia che esisteva prima del XII secolo, accanto
a quella settentrionale, una tradizione scrittoria sudarabica autonoma e
che vi erano contatti tra Arabia meridionale e Siria già in quel periodo 0
2. La storia.
La storia sudarabica, iniziata nel IX-VIII secolo a. C., finirà nel VI d.
C. con l'invasione etiopica e poi persiana, e nel secolo seguente con la
rapida islamizzazione e arabizzazione dello Yemen da parte delle trup-
pe del Profeta. La cronologia sfugge a una ricostruzione precisa; infat-
ti, solo nel periodo piu recente (n-vi secolo d. C.) i documenti sono da-
tati secondo un'èra. Prima del n secolo d. C. il nostro sistema di data-
zione si deve basare sulla menzione, all'interno delle iscrizioni, di
magistrati eponimi, di sovrani o di speciali atti rituali. Un contributo
importante, talvolta sovrastimato, ma nelle grandi linee ancora utiliz-
zabile, è stato dato dagli studi paleografici 14 •
11
L'ordine alfabetico, puramente su base mnemonica, senza cioè nessun motivo che ponga in
quella determinata sequenza le lettere, è strettamente collegato alle scuole scrittorie e all'insegna-
mento orale della scrittura. Talmente forte è il legame tra apprendimento della scrittura e sequen-
za mnemonica che quest'ultima si è mantenuta inalterata anche nel passaggio radicale dalle scrit-
ture consonantiche semitiche all'alfabeto greco e quindi al nostro abbecedario. Ordini alfabetici
diversi indicano quindi tradizioni di scuole scrittorie totalmente diverse.
12
P. BORDREUII. e D. PARDEE, Un abécédaire du type sud-sémitique découvert en 1988 dans /es
/ouilks archéologiques /rançaises de Ras Shamra-Ougarit, in« Comptes Rendus de l' Académie d es In-
scriptions et Belles·Lettres>>, 1995, pp. 855·60.
" Varie isoglosse linguistiche e culturali - per esempio, la dea Athirat attestata solamente a
Ugarit e in un regno dell'Arabia meridionale- possono essere tracciate tra Ugarit e l'Arabia meri·
dionale.
•• Libro fondamentale per uno studio paleografico delle iscrizioni del periodo piu antico del·
la storia sudarabica resta il lavoro di J. PIRENNE, Paléographie des inscriptions sud-arabes, Brussel
1956. Anche se le conclusioni di cronologia assoluta, proposte dalla Pirenne, non sono piu condi-
visibili, la cronologia relativa tra le varie fasi paleografiche resta ancora valida. Colpisce che le piu
chiare differenze nella scrittura di un testo monumentale siano quasi tutte da ascrivere a variazio-
ni cronologiche e non geografiche. Prova dell'omogeneità culturale sudarabica legata anche alla
presenza di un forte polo culturale e probabilmente di un'unica scuola scrittoria.
Avanzini L'Arabia meridionale preislamica 2 75
Il regno mineo (Main), che non ebbe mai ambizioni di egemonia po-
litica sullo Yemen, occupava la regione del Jawf, piccolo territorio di
fondamentale importanza all'inizio della storia sudarabica. I Minei per
molti secoli, sino alla fine della loro indipendenza politica, nel 1 secolo
a. C!S, parteciparono attivamente al commercio. Vi erano empori com-
merciali minei in altre città sudarabiche e in Arabia del nord. Iscrizio-
ni minee si trovano anche fuori della penisola araba: un'iscrizione mi-
nea è stata incisa su un sarcofago egiziano di periodo tolemaico e un al-
tare al principale dio mineo, Wadd, con una doppia dedica in sudarabico
e in greco, proviene dall'isola di Delo.
Il piu noto dei regni sudarabici è quello di Saba, grazie ~nche alla sua
mitica regina, che volle conoscere il saggio re Salomone. E il regno che
ha la storia piu lunga, che occupa una vasta regione dello Yemen cen-
trale, che costruisce le piu impressionanti opere architettoniche e che
lascia il piQ....gran numero di iscrizioni. Un suo re all'inizio del vn secolo
a. C., Karibil Watar, cercherà di unificare sotto il potere sabeo tutto lo
Yemen. Quando alla fine del 111 secolo d. C. il regno sabeo verrà vinto
da Himyar, i re continueranno a chiamarsi re di Saba e la lingua sabea
rimarrà come lingua delle iscrizioni dell'ultimo periodo della storia su-
darabica. Anche in questo caso, accanto a un motivo linguistico (forse
le rribu principali di Himyar erano sabeofone), ve ne è certamente uno
politico, dal momento che gli Himyariti si considerano i legittimi eredi
del prestigioso potere sabeo.
La zona orientale dello Yemen è, all'inizio della storia sudarabica,
sotto il potere del re di Awsan; il regno scompare all'inizio del vn seco-
lo a. C., distrutto dalle truppe sabee di Karibil Watar. Il territorio au-
sanita verrà spartito tra due alleati di Karibil: il regno qatabanico e quel-
lo hadramautico. Tutti e due questi regni, nella loro documentazione
piu antica, risentono molto dell'influenza culturale del potente alleato
sabeo. Il regno qatabanico, che raggiungerà il massimo del suo splendo-
re nel v-Iv secolo a. C., declinerà nel I secolo d. C., per perdere la sua
indipendenza politica alla fine del n secolo d. C., sottomesso al potere
del re dello Hadramawt. Questo regno controllerà a lungo un vasto ter-
ritorio grazie a un'intensa attività <<diplomatica» con le tribu dell'alto-
piano. Su una porta monumentale delle mura della capitale qatabanica
sono incise le leggi del regno, che fissano, tra l'altro, le regole nei rap-
porti fra il re e le tribu. Il re qatabanico aveva evidentemente difficoltà
" La fine del regno di Main negli anni 20 o xo a. C. è stata accelerata, secondo CH.·J. ROiliN,
l.a fin du royaume de Main, in «Res Orientales», XI (1998), pp. xn-88, dalla spedizione romana
~uiuata da Elio Gallo.
276 Gli «altri» e i Greci
a imporre la sua autorità, se doveva ricordare sulle mura della sua capi-
tale che le leggi autonomamente emanate dalle tribu non erano valide,
senza l'approvazione regale.
Il regno dello Hadramawt, come anche il regno qatabanico, sarà in-
teressato alla regione costiera e al traffico per mare verso l'Africa e l'In-
dia, commercio che si sviluppa dal II secolo a. C., per raggiungere il suo
apice nel r d. C., dopo l'arrivo romano in Egitto.
3. La cultura.
d'acqua per secondo (due volte la quantità d'acqua contenuta nella Sen-
na a Parigi)l'.
Le iscrizioni ricordano solo alcuni aspetti della storia e della società
sudarabica, quelli giudicati dai Sudarabici degni di memoria eterna. Tra
questi vi sono anche i rapporti con gli dèi. Conosciamo decine di nomi
ed epiteti divini e alcune cerimonie, quali la caccia e il banchetto sacri,
fatte in loro onore, ma non la mitologia sudarabica17 • Nei templi suda-
rabici venivano dedicate centinaia di ex voto; spesso si tratta di sta-
tuette, poste nel tempio, che rappresentano il fedele perché possa re-
stare in un rapporto stretto con il suo dio. Sulle basi delle statuette era
scritto il motivo della dedica. Le iscrizioni dedicatorie sono preziose per
noi, in quanto spesso sono ricche di notizie storiche; per esempio, il de-
dicante ringrazia il dio per essere tornato sano e salvo da una guerra e
racconta il succedersi degli avvenimenti. Nei templi si lasciano anche
iscrizioni - in questo caso si tratta spesso di placchette di bronzo, at-
taccate ai muri del tempio - in cui i fedeli chiedono il perdono del dio
per peccati commessi; peccati relativi quasi sempre alla sfera della pu-
rezza individuale 18 •
Dal I al VI secolo d. C. la storia dell'Arabia meridionale fu domina-
ta da aristocrazie militari e vide, alla fine del III secolo, il prevalere di
un nuovo regno, formato dalla coalizione di tribu di una vasta regione
dell'altopiano yemenita: Himyar, che detenne l'egemonia sull'Arabia
meridionale fino all'inizio del VI secolo e i cui re, nel 1 d. C., erano «ami-
ci degli imperatori romani)) 19 Dal IV secolo la dinastia himyarita adottò
il monoteismo; nel v gli Himyariti consolidarono il loro potere anche
sull'Arabia centrale. Nel secolo successivo le scarse fonti epigrafiche e
le fonti indirette testimoniano cruente lotte di religione tra giudei e cri-
stiani in Yemen che portarono al massacro da parte del re giudeo Yusuf
Asar di centinaia di cristiani a Najran, nel nord dello Yemen. All'ecci-
dio risposero i re cristiani d'Etiopia intervenendo militarmente in Ye-
16
u. BRUNNER, La grande diga di Marib- una delle meraviglie tecniche dell'antichità, in Yemen
cit., pp. J3I·35·
17
Nell'Arabia meridionale naturalmente non si scriveva solo sulla pietra o nel bronzo. Le !et·
Lerc, i documenti d'archivio erano scritti su bastoncini di legno: cfr. J. RYCKMANS, w. w. MULLER
e Y M. ABDALLAII, Textes du Y émen antique inscrits sur bois, Louvain 1994. Non sappiamo se anche
la letteratura era scritta su bastoncini di legno o su altro materiale (pergamena, papiro), che è an-
dato perduto. Tracce dell'antica mitologia sudarabica sono state cercate in alcune storie e leggen-
de dello Yemen attuale, che presentano racconti e storie peculiari, senza rapporto con il resto del-
la tradizione araba.
18
Delle iscrizioni di confessione e penitenza si è recentemente occupato un giovane studioso
austriaco: cfr. A. SIMA, Kleinasiatische Parallelen zu den altsudarabischen Buss- und Siihneinschri/ten,
in <<Aitorientalische Forschungen», XXVI (1999), pp. 140-53·
" Periplus Maris Erythraei, 2 3.
Gli «altri» e i Greci
" CII.-J. ROBIN, Arabie méridionale: l'état et /es aroma/es, in A. AVANZINI (a cura di), Profumi
d'!lrahia, Roma 1997, pp. 37-56.
" STRADONE, 16.4.25 (C 782-83).
" Le notizie di Strabone sull'Arabia meridionale si riconnettono a un filone etnografico nel·
le fonti classiche che tramanda un'immagine di un'Arabia reale con le sue caratteristiche clirnati·
che, le sue genti, gli usi e i costumi dei suoi popoli, pur restando nella tradizione classica anche
un'immagine dell'Arabia dai connotati quasi mitici, che risale a Erodoto. Questo tema fu trattato
in una sessione del convegno Profumi d'Arabia organizzato dalla scrivente alla Scuola Normale Su·
rcriorc di Pisa nell'ottobre 1995: cfr. AVANZINI (a cura di), Profumi cit., pp. 449-540, e G. BOWER·
socK, Per/umes and power, ibid., pp. 543-56.
Esempi di arte sudarabica
Figura 6. Tempio di Baran (Marib). Vista del propileo che immette alla cella.
Il tempio di Baran, costruito all'inizio del I millennio a. C ., dedicato alla massima divinità sabea, Alma-
q ah, fu varie volte ampliato e modificato nella sua lunga storia . l dati archeologici e il materiale epigra-
fico testimoniano che il tempio è stato in uso fino al1v secolo d . C.
Figura 9· Statua in bronzo dal tempio di Awwam, principale tempio del dio Almaqah a Ma-
rib (probabilmente del VI secolo a. C.) .
b statuetta (h. 93 cm) è stata trovata, in superficie c non in stratigrafia, durante gli scavi, americani , a
metà del xx secolo, nel tempio dì Awwam, insieme a molte altre statuette frammen tarie. E certamente
un ritrovamento di estremo interesse, anche se solleva molti problemi interpretati vi e cronologici. La ca-
pigliatura, la barba, il vestito, la pelle dì pantera portata sulle spalle e le cui zampe si incrociano sul pet-
to , la stessa positura dell'uomo raffigurato hanno ricordato agli studiosi l'~rte cipriota e greca del vn-v
secolo a. C o la statuarìa fenicia del secondo quarto del l millennio a. C. E in ogni caso innegabile che
questa statuetta testimonia un contatto tra l'Arabia meridionale e il mondo mediterraneo pre-ellenisti-
co. Due iscrizioni sono incise sul peno del guerriero: la prima ne ricorda il nome, Ma 'dikarìb; la secon-
da è un 'iscrizione dedicatoria del padre di Ma'dikarib, che dedica tre guerrieri in bronzo ad Almaqah per
ht salvezza dei suoi figli .
Figura ro. Maschera in bronzo con volto maschile ellenistico, dalJebel al-Awd (m secolo a. C.).
Volto a grandezza naturale (h . 17,5 cm), quasi completo. È l'immagine di un giovane eroe, i capelli mossi
ricordano i ritrani di Alessandro. Una chiusura che corre diagonalmente su un lato ha fatto pensare che si
tratti di una visiera da saldare a un elmo che copriva il volto del guerriero. Anche gli occhi, che nei volti
in bronzo erano spesso rappresentati da pietre incastonate, sono qui delle stre!!e fessure, a riprova della
funzione di visiera. Esempi simili si trovano nell'area mediterranea e in Siria nel periodo ellenistico- tole-
onaico; certo è sorprendente trovare questo pezzo di grande qualità sulle aride montagne dello Yemen .
Figura I I. Busto di Atena, da!Jebel al-Awd, a sud di Sana, vicino a Zafar, capitale del re-
gno himyarita .
La statuetta (h . 23 cm) t stata datata dagli archeologi tedeschi, che lavorano suiJebel al-Awd, al n seco-
lo a. C. Da notare, oltre alla bella linea del volto della dea, il fine lavoro di intarsio della testa della Me-
Ju sa c dei due serpenti sulla sua veste. Sul collo della dea è incisa un 'iscrizione sudarabica di dedica del-
la statue!!a a Shams, la dea solare sudarabica, ma non si deve da questo dedurre un'identificazione tra la
Jea greca e Shams. Altre statuette in bronzo, su cui è incisa un'iscrizione sudarabica, sono state trovate
sul.Jcbel ai-Awd, per cui si può supporre che questi oggeui siano frutro del gusto sudarabico. L'innega-
bile qualità dell'esecuzione, tuttavia, rende perplessi davanti all'ipotesi di una fonderia di bronzo sulle
montagne yemenite; forse si tratta di una statuetta importata, sul cui collo è stata successivamente inci·
sa l'iscrizione.
282 Gli <<altri» e i Greci
Figura 12 . Coppia di amorini che cavalcano un leone, da una casa privata della capit ale del
regno qatabanico (I secolo a. C.).
l t.luc leoni (h. 61 cm) erano fissati al muro, l'uno t.li faccia all'altro . La composizione ricort.la bronzetti
egi ziani di periodo tolemaico. Anche le iscrizioni sulle basi dei due leoni - si tratta della stessa iscri zio·
ne. ripetuta t.lue volte, che riporta i nomi del proprietario c t.lel suo p;tlazzo - sono fuse insieme c non in·
cisc success ivamente . I bronzi so no quindi prova di un artigianato locale fort e mcmc ellenizzato.
Figura 1 3· Statue del re Dhamar'ali YLJhabirr (a) e di suo figlio Tharan (h).
l due bronzi , trovati d opo il 1930 a sud di Sana e restaurati nel mu seo centrale di Mainz, sono uno spie n·
dit.lo esempio t.li influenza da ss ica c riclaborazionc locale·. Gli cleme nti suclarabici le iscrizioni sul pc! ·
to, alcuni trani Jci volt i, quali la ntpigli atura c i baffi- sono in seriti in una strutt ura statuaria classica .
Sulle ginocchi ,, di un;l delle due statue sono incise le doppi e firm e degli autori : una in suclarabico (<dhv'm
fece fondere )) ) c l' altra in greco (<«f'(1lXUO t-:JTOLFI»). La data, anche in quest o cotso, non è sicura. Un re
Dhamar'ali Yuhabirr e suo figlio Tharan sono attestati clue volte nella storia sudarabica: una prima voi·
la nel n secolo d . C. c, successivamente, nel tv L'iscrizione sulle clue statue i: !.t stessa: il re c suo figlio,
secondo una promessa fatta, pongono le loro statue nel palazzo di una famigli a di sudditi, cvidentcmcn·
te a loro part ico larmente fedeli. E interessante no télre che nessuna Jivinità viene citata: si tratta d i un
dono «politicOl>, non di una dedica.
h
STEFANIA MAZZONI
Agli inizi del I millennio le società che si affacciano sulle sponde del
Mediterraneo orientale, con storie diverse e diseguali sviluppi, entrano
in comunicazione diretta dando l'avvio a processi interculturali che ne
accelerano e rendono comuni le dinamiche evolutive. Una pluralità di
contatti lega i centri di Siria e di Fenicia di nuova identità politica, ma
di lungo passato culturale, con centri di Creta, dell'Egeo, della Grecia
dall'emergente complessità sociale; sono contatti certo non nuovi ma che
trasformano un sistema di relazioni mediate, episodiche e discontinue in
un confronto diretto e stabile di ineguagliata intensità, che finirà per de-
terminare sulla lunga durata una reciproca e profonda acculturazione.
La partecipazione di componenti eterogenee a una circolazione in-
tramediterranea su lunghe distanze arriva a esprimersi in uno sposta-
mento, non di rado consistente, di nuclei di popolazione. Non prima
dell'viii secolo si data, tradizionalmente, la documentazione di una pre-
senza greca stanziale sulla costa del Levante settentrionale, con la fon-
dazione di AI Mina, alla foce dell'Oronte, e la formazione di scali a Ras
el Bassit e Tell Sukas. Sulla consistenza di tale presenza e perfino sulla
sua reale identificazione quale greca, che si fonda su manciate di cocci,
ovvero sulle percentuali di materiali greci e locali, gli studiosi si con-
frontano oggi in un'ottica prevalente di identificazione dei vettori del-
la trasmissione culturale in Occidente che è alle origini del fenomeno
orientalizzante. La fondazione di empori egei sulla costa siriana e di co-
lonie fenicie nel Mediterraneo occidentale trasforma una comunicazio-
ne tra Egeo e Levante dalla sfera della circolazione di materie e prodotti
alla sfera dell'incontro di uomini e idee, proiettandola verso una possi-
bile, anche se difficile, come ancor oggi si vede, integrazione mediter-
ranea. A questo processo contribuisce infatti in modo essenziale il rap-
porto diretto tra le comunità greche, presenti sulla costa, e le diverse co-
munità siriane che, nel I millennio, compongono un quadro articolato
di forte vivacità culturale e di conseguente attrazione commerciale; so-
no questi piccoli stati territoriali dalle configurazioni etniche e cultura-
li spesso diverse, tra dinastie luvie di ascendenza ittita, che regnano in
284 Gli «altri» e i Greci
1
w. NIPPEL, La costruzione dell'<<altro», in I Greci, l, Torino 1996, pp. 165-69: «La coscien-
za di una comune grecità si sviluppò particolarmente durante il periodo della colonizzazione, che
portò i Greci a contatto con tutti i paesi del Mediterraneo e del Mar Nero». Ma prospettive et-
nocentriche si manifestano per lo studioso solo in seguito a sviluppi politici contingenti, in parti-
colare nel v secolo (pp. 165, qo).
~
'{: • Lidar-lloyiik
• KizildaA Domuztepe
• Karndag • • Sakçagozii Tell Fekheriyah
• Zincirli Tell Halaf ••
j.
e Tilmen-Huyuk
• Yesemek
Cekke ~ikizlar
'Ai n Dara •
•
• Tell Rifa'at
eli Ta'yinat Aleppo
Tell Açana • • Neirab
• Se fire
• Tell Afis
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 285
' Per un riesame critico recente, L. VAGNETil, Espansione e diffusione dei Micenei, in I Greci, l
ci t., pp. I 38-40, I 44-50, I67-68; E. H. CUNE, Tbe nature o/ the economie relations o/Crete with Egypt
und the Near East during the Late Bronze Age, in A. CHANIOTIS (a cura di), From Minoan Farmen to
Roman Traders. Sidelights on the Economy o/ Ancient Crete, Stuttgart I999, pp. I 15, 1.17·.z8, I n;
~~- GIANGIULIO, Avventurieri, mercanti, coloni, mercenari. Mobilità umana e circolazione di risorse nel
Mcditei'Taneo arcaico, in I Greci, Il/I, Torino I996, pp. 497-500.
' M. BIETAK, Historische und archiiologische Ein/uhrung, in Pharaonen und fremde Dynastien im
/Junkel, catalogo della mostra (Vienna, 8 settembre· 23 ottobre I994), Wien 1994, pp. 50-5.1 e
nn. 219· 30 a pp. 195·.106 per i frammenti di affreschi. Assai prudente nel valutare i collegamenti
tra questi ambienti è I. WINTER, Thera paintings and the ancient Near East: the private and public do-
mai m o/ wa/1 decoration, in s. SHERRATI (a cura di), Proceedings o/ the First Intemational Symposium
"The Wali Paintings ofThera", Athens .zooo, pp. 753-56.
' w .·D. NIEMEIER, Te/l K.abri: Aegean fresco paintings in a Cananaite palace, in s. GITIN (a cura
di), Recent Excavations in Israel. A View to the W est, Dubuque lowa 1995, pp. I·I5; B. e w.-D. NIE-
MI-:11-:R, Aegean frescoes in Syria-Palestine: Alalakh and Te/l Kabri, in SHERRATI (a cura di), Proceed-
inRs ci t., pp. 763-Bo.z.
286 Gli «altri)) e i Greci
Figura 2.
Tavola cronologica della Siria nell'età del Ferro.
Chiave di lettura: monumenti, iocrizioni; dinasti; citt~. fasi.
Afis VI Gr
BTII
E: 10·9C
Afis VII
E: 9b
1150 Ferro lA
E: 9a-8
Cimitières I
F2
1050 Ferro IB
E: 7abc-6
To'I
Cimitières II
950 Ferro IC E: 5-3 Fr Re:zon
Batiment I
900
Afis VIII Ben-Hadadl
Hadad-e:zer
Ferro IlA E: 2-r Im~/mi/U.rl!i!itJP Cimitières III
U~atami E2
850 Batiments II-III Frontale Samo: Ha2a'el
stele: Meharde Ben-Hadad III
So o D: 7-6 KAI 202: Zakkur KAI 201: Bar-Hadad
Hazrek Hadianu
Ferro IIB Cimitières IV
750 D: 5-4 Er Re:zon/Rahianu
Eni'il- 738 conquista: 7 3 2
G:8b-a
Yaulzi'_r.li_- 72Q
700 Afis IX
Ferro III D: 3-I
650 Khatarikka
6oo
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico
Figura 3·
Tavola sinottica dello sviluppo della cultura materiale e artistica nell'età del Ferro.
(Elaborazione di F. Gabrielli).
II~O "(w
~cv \D
10~0
~4-1 ~
(
9~0
900
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 289
come egei gli affreschi rinvenuti da sir Leonard Woolley nel palazzo del
sovrano Yarim-Lim di Alalakh della fase vrr a Tell Açana sul basso Oron-
te, la cui distruzione si pone alla fine del xvn secolo' I non pochi mo-
tivi egei che compaiono nella glittica paleosiriana matura- tra tutti val-
ga il soggetto della tauromachia con atleti di alcuni sigilli di stile elabo-
rato - possono spiegarsi all'interno dello stesso processo che porta a
operare artisti egei in contesti levantini elitari6 •
La circolazione di maestranze egee nel Vicino Oriente costituisce un
precedente non irrilevante al processo che si avvia a partire dal XVI se-
colo e percorre tutta l'età del Bronzo Tardo 1 e 11 del Levante, chiama-
ta internazionale per l'intensità e regolarità dei rapporti commerciali e
diplomatici tra le varie corti del Mediterraneo orientale e occidentale 7 •
La diffusione della ceramica micenea sulle coste siro-palestinesi testi-
monia il consolidarsi di relazioni commerciali lungo rotte già da tempo
aperte, tra realtà politiche da tempo in comunicazione. La presenza con-
sistente di oggetti orientali di pregio, di sigilli e di oreficeria, nel Cad-
meio a Tebe in Beozia8 , documenta una realtà di scambi di doni a livel-
lo interdinastico secondo le regole della diplomazia orientale, che si af-
fermano in un Mediterraneo allargato. Ne sono interpreti i grandi stati
orientali - Ittiti, Mitanni, Cassiti, Assiri, Egiziani -, ma ne sono poi
snodi attivi i centri della costa levantina, in primo luogo Ugarit con il
palazzo estivo di Ras Ibn Hani e il porto di Mahadu (Minet el-Beida).
La numerosa presenza di materiali ciprioti e micenei, l'architettura del-
le tombe, i dati antropometrici, avevano già fatto avanzare a C. Schaef-
' L. wooLLEY, Alalakh. An Account o/the Excavations atTe// Atchana in the Hatay, 19J 7-1949,
Oxlord 1955, pp. 228-32, tavv. xxxvi-XXXIX; A. NUNN, Die Wandmalerei und der glassierte Wand-
schmuck im Alten Orient, Leiden 1988, p. 93, tavv. 69-72.
• D. COLLON, The Aleppo workshop. A seal-cutters' workshop in Syria in the second half of the rS"'
ccntury B.C., in <<Ugarit Forschungen,., XIII (r98r), pp. 34, 36; la studiosa attribuisce un sigillo
c.Ia! livello VII di Alalakh e uno della collezione Erlenmeyer (fig. r.6-7) a una bottega di Aleppo
identificata da tratti stilistici e convenzioni iconografiche. Tuttavia, è proprio ad Alalakh che que-
sti motivi egei trovano un ambiente di riferimento. Di origine cipriota era già stato considerato il
sigillo della collezione Erlenmeyer da E. PORADA, On the complexity of sty/e and iconography in so-
mc 11.roups o/ cylinder seals /rom Cyprus, in Acts o/ the International Archaeological Symposium "The
A!yccnaeans in the Eastem Mediterranean", Nicosia 1973, pp. 270-71.
7
A un legame, forse matrimoniale, interdinastico BIETAK, Historische und archiiologische Ein-
(rihrunJ!. cit., p. 52, attribuisce la presenza di maestranze egee ad Avaris. Per le problematiche re-
lative al commercio cfr. M. LIVERANI, Antico Oriente. Storia società economia, Bari 1988, pp. 469-
~8o; 11>., Guerra e diplomazia nell'antico Oriente r6oo-r 100 a. C., Bari 1994, pp. r83 sg.
" E. I'ORADA, Thecylinders sealsfoundat Thebes in Boeotia, in «Archiv fiir Orientforschung~>, XX-
VIJI (1981 ), pp. r -70; i sigilli in lapislazzuli di stile cassita, del peso complessivo di una mina (496 g),
appartengono al xm secolo, con l'eccezione del sigillo di Kidin-Marduk funzionario di Burna-Buria-
sh II, della metà del XIV secolo. Porada li ha interpretati come un dono di Tukulti-Ninurta I di As-
siria, di un suo possibile bottino compiuto nel tempio di Marduk a Babilonia dove i sigilli potevano
essere stati dedicati in origine.
290 Gli ((altri» e i Greci
si, dall'Egeo e dal Levante, che includevano anche l'Egitto. In una re-
cente revisione, i Popoli del Mare, concentrati nelle città costiere ci-
priote, furono destabilizzanti per i centri a economia centralizzata in
quanto portatori di un'economia apertau; e proprio dallo sviluppo di una
rete di commerci decentralizzati saprà profittare, a partire dall'xi seco-
lo, il commercio fenicio 14 . In questa ottica, le scorrerie dei Popoli del
Mare, pur essendo una vistosa componente di disequilibrio nell'imme-
diato, furono foriere di fermenti innovativi e finirono, paradossalmen-
te, per accelerare il confronto diretto tra le sponde del Mediterraneo.
Innovazioni materiali e tecnologiche favorirono questo processo. La
sfida delle nuove armi da taglio egee (tipo cut-and-thrust, tipo Naue Il)
fu certo dirompente, e funzionò come elemento catalizzatore tecnolo-
gicou; cinque spade di questo tipo sono state rinvenute a Ugarit, e di es-
se una ha il cartiglio di Merneptah; una a Hattusha ha un'iscrizione de-
dicatoria di Tudkhaliya al dio della tempesta dopo la conquista della ter-
ra di Assuwa e fu dunque preda di guerra o tributo 16 • Del XII secolo sono
le spade in bronzo e in ferro rinvenute nel cimitero a cremazione di Ha-
ma'' Un veicolo di trasmissione nell'area fu ancora lo sviluppo del fer-
ro carburato e Cipro ne rivesti un ruolo nodale nella sperimentazione
della tecnologia e nella diffusione conseguente di strumenti e armP 8
Le pratiche funerarie costituirono un ulteriore fenomeno intercul-
" s. SHERRATI, "Sea Peoples" and the economie structure of the late Second Millennium in the
Eastem Mediterranean, in s. GITIN, A. MAZAR e E. STERN (a cura di), Mediterranean Peoples in Transi-
tion Thirteenth to Early Tenth Centuries BCE. In Honor of Professar Trude Dothan, Jerusalem 1998,
p. 301. Contro l'ipotesi di una provenienza anatolica dei Popoli del Mare, w.-D. NIEMEIER, The
Mycenaeans in Western Anatolia and the problem o/ the origins o/ the Sea Peoples, ibid., pp. 46-49.
" A. A. BAUER, Cities of the Sea:maritime trade and the origin of Philistine settlements in the early
Iran Age southern Levant, in «OxfordJournal of Archaeologp, XVII (1998), pp. 159-63.
" È la tesi di R. DREWS, The End of the Bronze Age. Changes in War/are and the Catastrophe ca.
1 2oo B.C., Princeton 1995, pp. 192-208, figg. }·4·
•• P. NEVE, Die Ausgrabungen in Bojazkiiy -Hattusa I 992, in << Archaologischer Anzeiger>>, r 993,
p[l. 648-52; A. ERTEKIN e l. EDIZ, A unique sword/rom Bogazkiiy, in M. J. MELLINK, E. PORADA e T.
iizr;iiç (a cura di), Aspects o/ Art and Iconography: Anatolia and its Neighbors. Studies in Honor o/ Ni-
met Ozgiiç, Ankara 1993, pp. 719-25; M. SALVINI e L. VAGNETII, Una spada di tipo egeo da Bogazkiiy,
in<< La Parola del Passato», XLIX (1994), pp. 215-36; H. G. BUCIIHOLZ, Eine hethitische Schwert-
weihung, in «Journal of Prehistoric Religion», VIII (1994), pp. 20-41; VAGNETII, Espansione cit.,
[l[l. 144·48.
" P. J. RIIS, Hama II J. Les cimitières à crémation, Copenhague 1948, pp. 120-22, fig. 136.
" A. M. SNODGRASS, Cyprus and the beginnings of iron technology in the Eastern Mediterranean,
in n. MAODIN e J. D. MUHLY (a cura di), Early Metallurgy in Cyprus, Nicosia 1982, pp. 285-94; s.
SIIERRAn, Commerce, iron and ideology: metallurgica! innovation in the I 2.J.- I Id. century C}Prus, in
v KARAGEORGIIIS (a cura di), Proceedings o/ the Intemational Symposium: Cyprus in the I I Century
B.C., Nicosia 1994, pp. 6o-62; PICKLES e PELTENBURG, Metal/urgy cit., pp. 84-86; a pp. 88-90 pon-
gono l'accento sulla «crisi delle attività produttive» che segue la crisi delle istituzioni politiche cen-
tralizzate dell'età del Bronzo a Cipro e nel Mediterraneo orientale favorendo, con la crescita del-
la competitività, lo sviluppo artigianale.
292 Gli «altri» e i Greci
Tra la metà del XII e il x secolo il Levante che sopravvive alla crisi
dei grandi stati regionali dell'età del Bronzo è caratterizzato da profon-
de trasformazioni nell'assetto territoriale e nella configurazione socio-
politica21 Solo in alcuni centri della Siria interna e dell'Anatolia, come
Karkemish e Malatya, si mantengono rami diversi della linea dinastica
19
P. BIENKOWSKI, Some remarks on the practice o/ cremation in the Levant, in «Levant», XIV
(1982), pp. Bo-89; P. couRBIN, Fouilles de Bassit. Tombes du Fer, Paris 1993, pp. 104·9.
20
E. VERMEULE, Greece in the Brom:e Age, Chicago-London 1972, pp. 301·5;]. N. COLDSTREAM,
Geometrie Greece, London 1979 2 , pp. 42, 48, Br; J. WI!ITLEY, Styleand Society in Dark Age Greece.
The Changing Face o/ a Pre-Literate Society r roo-700 BC, Cambridge 1991, pp. 101·2; A. M. SNOD·
GRASS, I caratteri dell'età oscura nell'area egea, in I Greci, ll/1 cit., pp. 200·r, parla di fenomeno di
massa e di irradiazione dall'Asia Minore occidentale.
21
SIIERRATI, "Sea Peoples" cit., pp. 302·5, sottolinea il ruolo di Cipro nella produzione e dif·
fusione, anche nel Levante, dei tipi submicenei.
22
F. VENTURI, Il Ferro I a Tel/ Afis e in Siria settentrionale, in MATTHIAE, PEYRONEL e PINNOCK
(a cura di), Proceedings cit.; F. VENTURI, Le premier Age du Ferà Te/! Afis et en Syrie septentrionale,
in G. BUNNENS (a cura di), Essays on Syria in the Iron Age, Louvain 2000, pp. 505·36.
21
Cfr. nota 12. LIVERANI, Antico Oriente ci t., pp. 629·60; W. A. WARD e M. SHARP JOUKOWSKY
(a cura di), The Crisis Years: the 12'• Century B.C. From Beyond the Danube to the Tigris, Dubuque
lowa 1989; 11. KLENGEL, The 'crisis years' and the new politica/ system in early Iran Age Syria. Some
introductory remarks, in BUNNENS (a cura di), Essays cit., pp. 21·30.
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 293
ittita, che assicurano stabilità politica nel momento instabile del crollo
dei regni regionali e un controllo territoriale nelle province nelle quali è
diviso ormai il regno ittita24 • I dinasti dei nuovi regni luvi promuovono
nelle loro capitali uno sviluppo urbano e artistico all'insegna di tenden-
ze attive nella fase finale dell'impero ittita. Casi esemplari di questo pro-
cesso per l'importanza religiosa e la grandiosità dell'impianto e della sua
decorazione scultorea sono i santuari di 'Ain Dara e di Aleppo; ma non
meno imponenti e ricchi di fregi ortostatici scolpiti a rilievo sono le strut-
ture civili, come le porte (Porta dei leoni a Malatya, Water C ate a Karke-
mish, Porta sud della città e Porta esterna della cittadella a Zincirli), e
i complessi cerimoniali, come le facciate nelle corti delle cittadelle (He-
rald's Watt, Long Watt o/Scutpture a Karkemish) 2s. Se i caratteri icono-
grafici e stilistici di questi rilievi rivelano diversi referenti e varie ma-
trici culturali- ittita a Malatya, siriana a Karkemish -,la tradizione del-
la decorazione architettonica delle porte, insieme con l'inedita monu-
mentalità e la presenza di figure guardiane quali sfingi e leoni, rinviano
direttamente alla sfera ittita delle sculture di Hattusha e dei rilievi del-
la porta di Alaça Hoyiile'.
Templi, porte, piazze cerimoniali divengono poli di attrazione mol-
teplice, di culto e propaganda politica, di richiamo artistico e civile, se-
condo una nuova tendenza di visibilità celebrativa. In Siria, il tempio
di 'Ain Dara (fig. 4) domina dall'alto dell'acropoli la città bassa e la val-
lata del fiume Afrin 27 ; ricostruito in tre fasi architettoniche mostra una
progressiva tendenza alla monumentalità; alla decorazione del podio del-
la cella con i geni protettori in posa di atlante si aggiungono in progres-
sione la decorazione del perimetro esterno del basamento, con le sfingi
e i leoni passanti a grandezza naturale dal volumetrico altorilievo, le pro-
tomi gigantesche di sfingi e leoni ai lati della porta, le stele della galle-
ria esterna e, sul retro della cella, in posizione di spettacolare visibilità
sulla vallata, la teoria delle divinità tutelari.
Tra XII e XI secolo si realizzano le decorazioni scultoree della porta
" Il merito della ricostruzione delle liste dinastiche luvie è di D. HAWKINS, Kuzi Tesub and the
··creai Kings" of Karkamis, in «Anatolian Studies>>, XXXVIII (I988), pp. 99·Io8; ID., "Great Kings"
and ''Country Lords" at Malatya and Karkami~, in Studio Historiae Ardens Presented to Ph. H. J. Howink
Tcn Cale on the Occasiono/ His 65th Birthday, Istanbul I995. pp. 73-85; A. M. JASINK, Gli stati neo·
ittili !lnalisi delle fonti scritte e sintesi storica, Pavia I995. pp. I I·I4.
" Per una sintesi, s. MAZZONI, L'arte siro-ittita nel suo contesto archeologico, in «Contributi e
Materiali di Archeologia Orientale>>, VII (I997l. pp. 289-3 I 4; ID., Syria and lhe periodization o/ the
lron il!W A cross-cultura/perspective, in DUNNENS (a cura di), Essays cit., pp. 3I-59·
" m., The gale and the city :change and continuity in Syro-Hittite urban ideology, in G. WILHELM
(a cura di), Die orientalische Stadt: Kontinuitiil, Wandel, Bruch, Saarbriicken I997. pp. 3IO·I5.
" 'A. ABU 'ASSAF, Der Tempel von 'A in Dara, Mainz am Rhein 1990.
294 Gli «altri» e i Greci
Figura 4· Tempio di ' Ain Dara. a. Veduta del tempio. b. Rilievo dalla cella E6. c. Rilievi
della fronte sud-orientale.
b
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 295
nite. La cava di Sikizlar e una protome riutilizzata nel fregio del tempio
di Aleppo mostrano l'area di attività di quella che doveva essere una
scuola scultorea itinerantez8
Nel x secolo si avvia una consistente riurbanizzazione della regione
promossa da dinastie che succedono a quelle di diretta origine ittita e
che sono interpreti di un nuovo panorama politico. Novità e continuità
caratterizzano il grande fregio decorativo della cella del tempio del dio
della tempesta di Aleppo, il cui scavo recente non è ancora ultimato 29
"s. MAZZONI, Sikizltwuna cava d'età siro-ittita, in << Studi Micenei ed Egeo-Anatolici», XXIV
(!<)8 4), pp. 2JJ·43·
29
K. KOIILMEYER, Der Tempe! des Wettergottes von Aleppo, Miinster 200 0.
Nella lunga teoria di geni e divinità che affiancano il dio della tempesta
con il suo carro trainato dal toro, emblematicamente raffigurato al cen-
tro, si alternano tipi figurativi ittiti e siriani, ascendenze assire e siria-
ne, segno di una molteplice polarità culturale che riflette la centralità
religiosa del monumento.
Nel x secolo ancora vengono decorate con ortostati con scene civili
di trionfo militare, parate cerimoniali e immagini di culto e mitologiche,
con figure protettrici e apotropaiche, sia la porta urbica meridionale di
Zincirli che la porta regia della cittadella di Karkemish (King' s Gate) ; da
quest'ultima parte un lungo fregio celebrativo che inserisce le facciate
di templi e palazzi in un percorso unitario che si snoda lungo la corte
anteriore (Processionat Entry, Staircase Recess) , la piazza interna della cit-
tadella (Long Watt o/ Sculpture, Herald's Walt) e sale lungo la scalinata
monumentale (Great Staircase) verso l'alta acropoli (fig. 6) . In un susse-
guirsi dinamico di rilievi con temi mitologici, rituali, sfilate di offeren-
ti (kriophoroi, donne con polos) , celebranti, musici, scene di vittoria mi-
litare con i carri che travolgono i nemici e i soldati che soggiogano i vin-
ti, parate di re e dèi, ~i segna un percorso di propaganda dinastica e di
celebrazione divina. E un 'ascesa progressiva, rituale e declamatoria in-
sieme, dal basso verso l'alto, dall'esterno verso il centro. Attraverso le
porte di città e cittadella si entra dal mondo dei cittadini nel mondo dei
Figura 6. Long Wall ofSculpture (Karkemish). a. Rilievo. b. Veduta dei rilievi alla base della
G rea t Stllircase.
b
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 297
) t L'interrogativo è posto da N. cowsTREAM, Early Greek visiton to Cyprus and the Eastem Me-
diterranean, in v. TATI'ON-BROWN (a cura di), Cyprus and the East Mediterranean in the Iron Age, Brit-
ish Museum Publications, 1989, p. 91, e ancora}. N. COLDSTREAM, Thefintexehanges between Eu-
boeans and Phoenicians:who took the initiative?, in GITIN, MAZAR e STERN (a cura di), Mediterranean
Peoples cit., pp. 356-57.
11
J. K. J>AJ>ADOJ>OULOS, Phantom Euboians, in «]ournal of Mediterranean Archaeology», X, 2
(1997), pp. 195-98; BAUER, Cities cit., pp. 159-63.
u r. WINTER, Homer' s Phoenieians: history, ethnography, or literary trope? (A penpeetive on early
Orientalism), in J. B. CARTER e s. P. MORRIS (a cura di), The Ages o/ Homer. A Tribute to Emily Ver-
meule, Austin 1995, pp. 247-71.
11
M. MARTELLI, I Fenici e la questione orientali:zzante in Italia, in Atti del II Congresso Interna-
zionale di Studi Fenici e Punici, Roma 1991, pp. 1050-53·
"J. BOARDMAN, Al Mina and history, in «OxfordJournal of Archaeology», IX, 2 (1990), pp.
169-90; R. A. KEARSLEY, The Greek geometrie pottery and the history o/ Al Mina, in «Mediterranean
Archaeology», VIII (1995), pp. 67-81.
" COJ.DSTREAM, Geometrie Greececir., p. 52; ID., Thefintexehanges cir., pp. 354-57; R. OSBOR-
NE, Greeee in the Making, 1200-479 BC, London New York 1996, pp. 41-44; SNODGRASS, I carat-
teri cit., p. 207.
16
COLDSTREAM, Geometrie Greeee ci t., p. 41; J. N. COLDSTREAM e P. M. BIKAI, Early Greek pot-
tery in Tyre and Cyprus: some preliminary eomparisons, in «Report of the Department of Antiqui-
ties Cyprus», 1988, p. 43, sulla base della documentazione ceramica greca di Tiro e Amatunte par-
lano di rotta euboica attraverso la costa meridionale di Cipro fino a Tiro. La priorità dell'imer-
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 299
mediazione di Cipro è confermata dalla presenza di materiale cipriota importato e prodotto in lo-
co nel Levante settentrionale: P. J. RIIS, Les problèmes actuels de l' établissement pré-hellénistique de
RYCCS sur la cote phénicienne (/ieux, dates, modalités), in Atti del II Congresso Intemazionale di Studi
l'enici e Punici cit., p. 208 e fig. 4·
17
COLDSTREAM, Early Greek visitors cit., pp. 9I-92, fig. I a; ID., Exchanges between Phoenicians
and early Greeks, in «National Museum News», Xl (2ooo), pp. I6-I8.
18
Ibid., pp. 2I-23; ma P. COURBIN, Fragments d'amphores protogeometriques grecques à Bassit, in
MA"n1IIAE, M. VAN LOON e 11. WEISS (a cura di), Resurrecting the Past. A ]oint Tribute to Adnan Boun-
ni, Leiden I990, pp. 56-57, parla di un commercio di olio d'oliva pregiato dalla Grecia al Levante.
"I. OGGIANO, La ceramica fenicia di Sant'Jmbenia (Aighero-SS), in P. BARTOLONI e I.. CAMPA-
:\EI.LA (a cura di), La ceramica fenicia di Sardegna. Dati, problematiche, confronti, Atti del l Con-
1-(rcssointernazionale Sulcitano, Roma 2000, pp. 235-50. Per la frequentazione euboica in Occi-
dente cfr. B. D'AGOSTINO, I paesi greci di provenienza dei coloni e le loro relazioni con il Mediterraneo
occidentale, in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), Magna Grecia. Il Mediterraneo ,le metropoleis e la
(rmdazione delle colonie, Milano I995, pp. 2I4-3 1.
'" Nella terminologia di COLDSTREAM, Early Greek visitors cit., pp. 92-94, fig_ 1b.
" 1.. WOOI..LEY, ExcavationsatAIMina,Sueidia, in «]ournalof Hellenic Studies», LVIII (I938),
pp. 4-5-
" Ibid., p. I; ID., Excavations near Antioch in I9J6, in «Antiquaries Journal&, XVII (I9J7),
pp. 3, IO-I I.
300 Gli <<altri» e i Greci
'" BOARDMAN, Early Euboean pottery cit., pp. 1-29; ID., Al Mina cit., pp. 169-90; m., The ex-
cavated history of A/Mina, in G. R. TSETSKHLADZE (a cura di), Ancient Greeks Westand East, Leiden
1999, pp. r 35-61. Anche SNODGRASS, I caratteri cit., p. 226, parla di coloni dell'Eubea presso la sta·
zione commerciale di Al Mina.
" GJERSTAD, The stratification cit., p. r 15; KEARSLEY, The Greek geometrie pottery cit., pp. 77-
78; T. JONES, Greek & Cypriot Pottery. A Review o/Seienti/ic Studies, Athens 1986, pp. 691-96.
" KEARSLEY, The Greek geometrie pottery cit., pp. 8o-81; ID., Greek oveneas in the 8,. eentury
B.C.. Euboeans, Al Mina and Assyrian imperialism, in TSETSKHLADZE (a cura di), Ancient Greeks ci t.,
flfl· 109-34·
" H. R. POPHAM, Preeo/onization:ear/y Greek eontoet with the fAst, in G. R. TSETSKHLADZE e F.
DE ANGELIS (a cura di), The Archaeology o/Greek Co/onization. Essays Dedieated to Sir John Board-
man, Oxford 1994, pp. 26, 28.
" A. J. GRAIIAM, The historieal interpretotion of Al Mina, in «Dialogues d'histoire ancienne>>,
XII (1986), pp. 51-65, nega, dopo aver discusso le diverse ipotesi e la data degli skyphoi a semi-
cerchi pendenti, la presenza dell'emporio euboico e include il caso di Al Mina nel processo
c.Jdl'cspansione fenicia verso la costa settentrionale del Levante. Cosi anche J. Y. PERREAULT, Les
cmporiagreesdu Levant:mythe ou realité, in A. BRESSON e P. ROUILLARD (a cura di), L'Emporion, Pa-
ris 1993, pp. 59-83, favorisce l'ipotesi di una natura levantina del centro sulla base di valutazioni
cronologiche del materiale greco che KEARSLEY, Greek oveneas cit., p. 116, però respinge; GIAN-
c;wuo, Avventurieri cit., pp. 499-500, è ugualmente scettico e data solo dal VII secolo la natura di
fonc.laco di Al Mina (p. 515).
"J. N. coLDSTREAM, Greek and Phoenieians in the Aegean, in 11. G. NIEMEYER (a cura di), Pho-
nizier im Westen, Atti del Convegno internazionale «Die phonizische Expansion im Westlichen
Mittclmeerraum» (Colonia, 24-27 aprile 1979), Mainz am Rhein 1982, pp. 262-75; COLDSTREAM,
Grcck Geometrie Pottery cit., p. 357; ID., Geometrie Greeee cit., p. 93; ID., Ear/y Greek visiton cit.,
fl. 94, nel 1989 afferma: «L'ipotesi che i mercanti greci si fossero effettivamente insediati ad Al
Mina nell'vm secolo è ancora aperta e da dimostrare»; nel 2000, in Exehanges cit., p. 32, parlan-
c.lo dci visitatori greci nella seconda fase, afferma: «<n qualche momento di questa fase si possono
essere uniti a Siriani, Fenici e Ciprioti nella creazione di un nuovo emporio costiero ad Al Mina,
alla foce del fiume Oronte>>.
302 Gli «altri» e i Greci
" RIIS, Hama II 3 ci t., pp. r q-r5; ID., Griechen in Phoni::t:ien, in «Madrider Beitrage>>, VIII
(1982), pp. 237-6o; ID., Les céramiques importées, in P. J. RIIS e M.-L. BUIIL, Hama II 2. Les obiets
de la période dite syro-hittite (Age du Fer), Copenhague 1990, pp. r8o-8r; D. BONATZ, Imported pot-
tery, in s. M. CECCHINI e s. MAZZONI (a cura di), Te!! A/is (Siria). Scavi sull'acropoli r9fl8-r992. The
1988-r992 Excavations on the Acropo!is, Pisa 1998, p. 220.
" Per COLDSTREAM, Exchanges ci t., p. z8, il processo si colloca all'inizio dell'vm secolo, in una
fase di relativa sicurezza in Siria per il maggiore impegno assiro sui fronti settentrionale e urarteo.
61
COLDSTREAM, Geometrie Greece ci t., p. 359·
i .·
.,·,L
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 305
'" Come ha notato Y. IKEDA, Looking /rom Ti/ Banib on the Euphrates: Assyria and the W est in
ninth and eighth centuries B.C., in K. WATANABE (a cura di), Priests and 01/icia/s in the Ancient Near
/;"asl, Atti de! II Convegno «The Ancient Near East- The City and its Life» (Tokyo, 22-24 mar-
zo 1996), Heidelberg 1999, p. 272. Per una riconsiderazione recente della formazione dell'ara-
mcizzazione cfr. H. SADER, The Aramaean kingdoms o/Syria. Origin andformation processes, in BUN-
~ENs (a cura di), Essays cit., pp. 61-76.
306 Gli <<altri» e i Greci
•• w. ORTIIMANN, Untersuchungen zur Spiithethitischen Kunst, Bonn 1971 , p. IJO, Ashara 1 , taY.
5; M . G. MASErn ROUAULT, Stele, in O. ROUAULT e M . G. MASErn ROUAULT (a cura di), L'Eufrate e
il tempo, Milano 1993, p. 460, n. 303 .
Figura9.
Il Palazzo di T eli Halaf. a. Disegno prospettico. b. Piccoli ortostati del lato posteriore.
b
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico
Figura IO.
a.Rilievo del re Kilamuwa, da Zincirli. b. Stele di Bar-Hadad, da Brej.
Figura I I.
dcm Heraion von Samos, in «Mitteilungen cles Deutschen Archaologischen Institut (Athen. Abt.) »,
CIII (1988), pp. 37-75, tavv. 9-15; 1. EPH'AL eJ. NAVEII, Hazae/'s Booty Inscription, in «<srael Ex-
plorationJournal», XXXIX (1989), pp. 192-200. Per le iscrizioni: M. G. AMADASI cuzzo, Iscrizio-
ni semitiche di Nord-Ovest in contesti greci e italici (X· VII sec. a. C.), in «Dialoghi di Archeologia»,
III, 5 (1987), pp. 13-27; F. BRON e A. LEMAIRE, Les inscriptions araméennes de Ha::cael, in «Revue
J'Assyrioiogie et d'Archéologie Orientale», LXXXIII (1989), pp. 35·44·
77
11. J. KANTOR, A bronze plaque withrelie/design/rom Tei/Tainat, in «Journal of Near Eastern
Sruuies», XXI (1962), pp. 93-1 q; R. D. BARNETI, North Syrian and related harness decorations, in
K. BITI"EL (a cura di), Vorderasiatische Archiiologie. Studien und Au/siit::ce. Festschrift A. Moortgat, Ber-
lin 1964, pp. 21-26; ORTHMANN, Untersuchungen ci t., p. 167, tav. 7ob; ID., Hethitische Rundplastik
cit., p. 437, fig. 140.
" Di questa data e ambiente è allora anche il frontale in avorio da Nimrud SW 3 7, iscritto sul
retro con il nome Lu'ash, che si confronta con una stele a rilievo rinvenuta a Meharde vicino a Ha-
ma con l'immagine di una dea in veduta frontale stante su un leone sotto il sole alato, definita
nell'iscrizione in luvio geroglifico come la «divina regina del paese». RIIS e BUHL, Hama II z cit.,
pp. 13·14, figg. 6-7; o. HAWKINS, Late Hittite/unerary monuments, in B. ALSTER (a cura di), Death
i11 Mcsopotamia, Copenhagen 1980, pp. 218-zo; D. HAWKINS, The lowerpart o/ the Meharde stele, in
«Anatolian Studies», XXXVIII (1988), pp. r87-90.
"w T. PITARD, Ancient Damascus, Winona Lake 1987, pp. 170·75; SADER, Les états cit., pp.
2 1 6- 2 1 ; N. NA•AMAN, Forced participation in alliances in the coune o/ the Assyrian campaigns to the
\Ves t, in ;!h, Assyria ... Studies in Assyrian History and Ancient Near Eastern Historiography Presented
lo Hayim Tadmor, Jerusalem 1991, pp. 8o-98; H. KLENGEL, Syria JOOO to JOO B.C. A Handbook o/
Politica! History, Berlin 1992, pp. 210-II, 213; A. LEMAIRE, ]oas de Samarie, Barhadad de Damas,
l.akkur de Hamat. La Syrie-Palestine ven Boo av. ].-C., in «Eretz-Israel (Avraham Malamat Volu-
me)», XXIV (1993), pp. 148-57; DION, Les Araméens cit., pp. 150-54.
" G. llUNNENS, Aramaeans, Hittites and Assyrians in the upper Euphrates valley, in G. DEL oLMo
l.ETE e J.·L MONTERO FENOLLOS (a cura di), Archaeology o/ the Upper Syrian Euphrates. The Tishrin
Dam Arca, Barcelona 1999, pp. 616-18, sottolinea l'incerta identificazione della provincia sulla
quale governava il turtanu Shamshi-ilu e della sua capitale.
3 IO Gli «altri» e i Greci
•• v. DONBAZ, Two Neo-Assyrian stelae in the Antakya and Karamanmarat Museums, in «Annual
Review of Royal lnscriptions of Mesopotamia>>, VIII (1990), pp. 5·24; N. WAZANA, Waterdivision
in borderagreements, in «States Archives of Assyria Bulletin>>, X, 1 (1996), pp. 55-66.
12
A. LEMAIRE e J.-M. DURAND, Les inscriptions araméennes de Sfiré et l' Assyrie de Shamshi-i/u,
Genève-Paris 1984; SADER, Les états cit., pp. 138·45; KLENGEL, Syria cit., pp. 215·16; DION, Les
Araméens cit., pp. 129-32.
81
Mentre le iscrizioni di Zakkur e Panamuwa sono stele dedicatorie che citano tra le varie at-
tività della regalità anche la ricostruzione delle capitali, sono iscrizioni di fondazione le iscrizioni
di Cekke e Karkemish A4 che riguardano la fondazione della città di Kamana da parte del re Ka-
mana per i Kanapuwei, l'iscrizione di Karaburun di Sipi e l'iscrizione di Topada. Cfr. s. MAZZO-
N!, Aramaean and Luwian new /oundations, in ID. (a cura di), Nuove fondazioni nel Vicino Oriente
antico: realtà e ideologia, Pisa 1994, pp. 320-21 con bibliografia relativa .
.. m., Settlement pattem and new urbanization in Syria at the time o/ the Assyrian conquest, in M.
LIVERANI (a cura di), Neo-Assyrian Geography, Rome I995. pp. I84-88 e bibliografia.
•• D. ussiSIIKIN, The date o/ the neo-Hittite enclosure at Sakçagozu, in «Bulletin of the Ameri-
can Schools of Orientai Research», CLXXXI (I966), pp. Ij·ZJ; ORTHMANN, Untersuchungen cit.,
p. So.
•• H. çAMBEL, Karatepe: an archaeo/ogical introduction to a recently discovered Hittite sile in
Southem Anatolia, in «Oriens», I (1948), pp. 147-49; P. MATTIIIAE, Studi sui rilievi di Karatepe, Ro-
ma 1963; ORTHMANN, Untersuchungen cit., pp. IOj·II; 1. J. WINTER, On the prob/ems o/ Karatepe:
the re/iefs and their context, in «Anatolian Studies~>, XXIX (1979), pp. I I6-25.
17
I rilievi sono stati trovati in reimpiego secondario nella porta: MAZZONI, Settlement pattern
ci t., p. 188, tav. 11 e bibliografia.
"" P. ALBENDA, The gateway and porta/ stone relie/s/rom Arslan Tash, in «Bulletin of the Amer-
ican Schools of Orientai Research», CCLXXI (I988), pp. 17-2 I.
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 3I I
"' ORTIIMANN, Untersuchungen ci t. , p. 35; s. MAZZONt , Ricerche sul complesso dei rilievi neoitti-
ti di K.arkcmish, in« Rivista degli Studi Orientali », LI (1 9 77) , pp. 35 · 38 .
•• ORTIIMANN , Untersuchungen ci t., pp. 3 5-36; D. IIAWKtNS, Building inscriptions o/ Carchemish .
Fhe Long W ali of Sculpture and Great Staircase, in <<Anatolian Studies >> , XXII (1972), pp. 102-6;
'· ,\IAZZONI, Sui rilievi di Karkemish dall'età di Sargon II al6o5 av Cr., in «Rivista degli Studi Orien-
t:di , , XLVII (1974), pp. 184-wo.
'Il ORTIIMANN , Untersuchungen ci t. , pp. 63-65 , So-82, 122-2 3 ; J. voos, Zu einigen spiithethiti-
schen Reliefs aus den Bestiinden des vorderasiatischen Museums Berli n, in ccAitorientalischen For-
schungen», XII (1985), pp. 65-86; MAZZONI, The gate cit., pp. 329-30.
•• Come esempio del cambiamento mi è sembrato utile proporre già la trasformazione visibi-
le nelle due stele con scena di carro che travolge il nemico di T eli Ta'yinat e Zaraqotaq: ORTHMANN,
Untersuchungen ci t., p. 83, tav. 52/, Tainat 2; K. KOHLMEYER, Drei Stelen mit Sin-Symbo/aus Nord-
syrien, in B. HROUDA, s. KROLL e P. z. SPANOS (a cura di), Von Uruk nach Tuttul, ein Festschri/tfiir
Eva Strommenger Studien und Au/siitze von Kollegen und Freunden, Miinchen-Wien 1992, pp. 94·
95, tav. 39·3; G. BUNNENS, Stele con carro assiro, in ROUAULT e MASETTI ROUAULT (a cura di), L'Eu-
frate cit., p. 473, n. 384.
•• Per A. UNAL, The textual illustration o/ the "]ester Scene" on the sculptures o/ A/aça Hayiik, in
«Anatolian Studies», XLIV (1994), pp. 207-18, illustrano il rituale della dea hattica Teteshhapi.
... Ma con qualche discordanza; vedi l'ipotesi di un'influenza delle arti minori su quelle mag-
giori, nel caso degli avori nord-siriani sui rilievi di Tell Halaf, avanzata da Kantor, Riis, Moortgat
e Genge, e poi da I.]. WINTER, North Syrian ivories and Te// Ha/af relie/s:the impactof /uxury goods
upon 'ma;or' arts, in A. LEONARD jr e B. BEYER WILUAMS (a cura di), Essays in Ancient Civili:zation
Presented to H.]. Kantor, Chicago 1989, pp. 321-32; I. J. Winter, recensione (in «Journal of Near
Eastern Studies», LVII (1998), p. 15 1) a G. HERRMANN, The Sma/1 Collections /rom Fort Shalmane-
ser lvories /rom Nimrud ( 1949-196J), V, London 1992, contro l'ipotesi contraria formulata da
llerrmann a p. 68; I. J. WINTER, Carved ivory /umiture panelsfrom Nimrud:a coherent subgroup o/
the North Syrian style, in <<Metropolitan MuseumJournal», XI (1976), pp. 25-54.
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 3I 3
., Il primo gruppo deve la sua definizione dall'immagine che vi compare piu frequentemente
nella prima trattazione di E. I'ORADA, A lyre player /rom Tanus and bis relatiom, in s. s. WEJNBERG
(a cura di), Tbe Aegean and the Near East (Studies presented to Hetty Go/dman), New York I 956, pp.
I 85-2 I I; piu recentemente, J. DOARDMAN, The lyre player group of seals. An encore, in «Archaolo-
gischer Anzeiger», I990, pp. I·I7. Perla diffusione a Ischia: J. BOARDMAN e G. BUCHNER, Sea/sfrom
Ischia and the lyre player group, in «Jahrbuch des Instituts», LXXXI (1966), pp. I-62. Per il se-
condo gruppo, J. BOARDMAN e R. MOOREY, The Yunus cemetery group:haematite scarabs, in M. KEL·
LY BUCCELLATI (a cura di), lnsight through Images. Studies in Honor o/ Edith Porada, Malibu I986,
pp. 35·48.
,. M. Y. TREISTER, North Syrian metalworken in archaic Greek settlements, in «Oxford Journal
of Archaeology>>, XIV (1995), pp. 159-75· Nel VII secolo tecniche e modelli nord-siriani si diffon-
dono anche attraverso l'impulso offerto dal commercio assiro. Cfr. il medaglione in argento da Ek-
ron a confronto con due da Zincirli: s. GITIN, The neo-Assyrian Empireand its Western periphery:the
Levant, with a focus on Philistine Ekron, in s. PARPOLA e R. M. WIIITING (a cura di), Assyria 1995,
Helsinki I997. pp. 93, fig. 21; KLENGEL, Geschichte cit., tavv. 69-70 .
.. Una delle mazze è iscritta con il nome del sovrano del Bit Agushi, Mati'el: WINTER, North
Syria cit., pp. I94-95; KLENGEJ., Geschichte cit., tavv. 56-59.
100
MAZZONI, The gate cit., pp. 3 I2·I3-
101 OR111MANN, Untersuchungen cit., pp. 366-93; JJAWKJNS, Late Hittitefunerary monuments cit.,
pp. 213-I6, ne sottolinea piuttosto la trasformazione nei confronti della tradizione ittita imperiale.
Per il culto funerario a Zincirli, 11. NJEIJR, Zum Totenkult der Konige von Sam'al im 9· und 8. Jh. v.
Chr., in «Studi Epigrafici e Linguistici», XI (I994l, pp. 66, 70, e K. VAN DER TOORN, Family Reli-
gion in Babylonia, Syria and lsrael. Continuity and Change in the Forms of Religious Li/e, Leiden I 996,
p. I66, hanno sottolineato la continuità locale nei confronti di Ugarit. moN, Les Araméens cit., pp.
265-70, attribuisce alla sfera ittita il culto funerario dinastico per la sua diffusione prevalentemen·
te settentrionale. D. BONATZ, Das syro-hethitische Grabdenkmal. Untersuchungen :zur Enstehung einer
neuen Bildgattung in der Eisenzeit im nordsyrisch-siidostanatolischen Raum, Mainz am Rhein zooo,
pp. 122-25, I 74-75, richiama a confronto le pratiche egiziane; ID., Syro-Hittite funerary monuments.
A phenomenon of tradition or innovation, in BUNNENS (a cura di), Essays ci t., pp. I89-2Io.
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 3I 5
«Anatolica>>, XXII (1996), pp. 204·5 , figg. 1-2, tav . r; BONATZ, Das syro-hethitische Grabdenkma/
cii., pp. 22, 41-42, n. C 59, tav. xx .
117
ORTHMANN, Unterruchungen cit ., pp. 89, 524, Marash A/r, tav. 43h; E. AKURGAL, Orient
und Okzident . Die Geburt der griechischen Kunst, Baden-Baden 1966, p. 127, tavv. 26-27; BONATZ,
Das syro-hethitische Grabdenkma/ cit. , pp. 19, 37, n. C 29 , tav. xm.
stele dedicate al dio lunare di Harran con il solo simbolo del dio Sin nel-
la tradizione assiram si potrà avere un quadro esauriente delle molte
componenti che danno volto al mondo religioso siriano.
I templi monumentali delle grandi capitali, Aleppo, 'Ain D ara,
Karkemish, Tell Halaf e Tell Ta'yinat, sono caratterizzati da una certa
varietà nella resa della pianta in antis con cella a sviluppo longitudinale
di antica origine prato- e paleo-siriana 128 ; essa offre nell'esempio di Tell
Ta'yinat con portico a due colonne una forma canonica, che si rico-
struisce nel piu celebre tempio di Salomone a Gerusalemme, ed è forse
tipica dei santuari ufficiali collegati al palazzou' Oltre ai grandi templi
degli dèi poliadi si innalzano, forse già a partire da questa fase, i templi
extraurbani, isolati su alture o presso sorgenti, dedicati a divinità at-
127
KOIILMEYER, Drei Stelen ci t., pp. 91-IOo; o. KEEL, Das Mondemblem von Harran auf Stelen
r111d Sicgclamuletten und der Kult der niichtlichen Gestirne bei den Aramiiem, in ID. (a cura di), 5tu-
dicn zu den Stempelsiegeln aus Paliistina/Israe! IV, Gi:ittingen 1994, pp. I 35-78. La stele di Afis con
i simboli astrali è forse di una divinità della tempesta: s. MAZZONI, Une nouve!k stèle d'époque
araméenne de Te!! A/is (Syrie), in «Transeuphratène», XVI (1998), pp. 9-18.
'" Si tratta della tipologia del «tempio ad ante»: P. WERNEN, Die Entwicklung der Sakralarchi-
tcl:tur in Nordsyrien und Siidostkleinasien vom Neolithikum bis in das I ]t . v. Chr., Miinchen-Wien
1<)<)4, pp. 110-15.
'" P. MAITHIAE, Ancora una fabbrica templare nel paese di Unqi, in «Contributi e materiali di
:~rcheologia orientale>>, IV (1992), pp. 138-39·
b
320 Gli <<altri» e i Greci
,,. A. BOUNNI, La permanencedes lieuxde cu/teen Syrie. L'exempledu sitede Qat/boun, in «To·
poi», LXXII (1997), pp. 777-89.
m M. DUNANDe N. SAUBY, Le temp/ed'Amrith Jans /a Pérée d'Aradus, Paris 1985.
112
Le tempie d' Echmoun à Sidon. Essai de chrono/ogie, in Archiiologie und altes Tes-
M. DUNAND,
tament. Festschrift/ur K. Gal/ing, Tiibingen 1970, pp. 61-67; R. A. STUCKY, Tribune d' Echmoun. Ein
griechiscber Relief:yk/us des 4.]ahrhunderts v. Chr. in Sidon, Basel1984.
'" È l'ipotesi avanzata da GITIN, The neo·Assyrian Empire cit., pp. 77-79; LIVERANI, Antico
01·icnte cit., pp. 7II-IJ.
'" J. c. WALDBAUM, Greeks in the EastorGreeksand the East? Problems in thedefinition and re-
coRnition o/ presence, in <<Bulletin of the American Schools of Orientai Research», CCCV (1997),
fl. r r Per il mercenariato greco, come parte consistente di questo processo, cfr. GIANGIULIO, Av-
venturieri cit., pp. 513-r8; M. BETIALLI, I mercenari nel mondo greco, I. Dalle origini alla fine del v
scc a. C., Pisa I995·
"' In particolare a Mesad Hashavyahu: J. c. WALDBAUM, Early Greek contacts with theSouthem
Levant, ca. rooo-6oo B.C.: the Eastem penpective, in «Bulletin of the American Schools of Orien-
ta!Rcsearch», CCXCIII (I994), pp. 6o-6I. Sulla presenza greca a Dor in base alla ceramica di tar-
Jo v secolo avanzata da E. STERN, The beginning o/ the Greek settlements in Palestine in the light o/
tbc cxcavations atTe/ Dor, in s. GITIN e w. G. DEVER (a cura di), Recent Excavations in Israei:Studies
in lron Age Archaeology, Winona Lake I989, pp. I07-24, WALDBAUM, Greeks cit., p. ro, dissente.
'" Per la ceramica greca cfr. J. Y. PERREAULT, Céramique et échanges: !es importations attiques
au l'roche-Orient du vt au milieu du v" siècle av. ].-C. Les données archéologiques, in «Bulletin de
Corrcspondance Hellénique», CX (I986), pp. I45-75· Si veda il caso dei bacili documentati in Le-
vante: J.-F. SALLES, Cuvettes et «mortiers>> du Levant au 1" millénaire avant ].-C., in J.-L. HUOT, M.
YON e v CALVET (a cura di), De I'Indus aux Balkans. Recueil à la mémoire de Jean Deshayes, Paris
I<J!\5, pp. I99-2IO. Sul processo dell'internazionalizzazione della ceramica in questa fase cfr. s .
.\tAZZONI, Pots,people and cultura/ borders in Syria, in Landscapes, Territories, Frontiers and Horizons
in tbc Ancient Near East, Atti del XLIV Incontro assiriologico internazionale, Padova 1999, pp.
q7-48.
"' Cfr. quanto detto alle note 59-62; o. BONATZ, Some considerations on the materia/ culture o/
coasta/Syria in Iron Age, in «Egitto e Vicino Oriente», XVI (I99J), pp. IJI-32; WALDBAUM, Greeks
ci t., p. I I; a p. I 4 nota 2 2 considera la documentazione non cogente.
322 Gli «altri» e i Greci
"' J. ELA Yl e 11. R. IIAYKAL, Nouvelles découvertessur Ics usages funéraires des Phéniciens d' Arwad,
Paris 1996.
'" N. SALIBY, 'Amrit, in). M . DENTZER e W. ORTIIMANN (a cura di), Archéo/ogie et histoire de fa
Syrie II. La Syrie de l' époque achéménide à l'avènement de 1'/s/am, Saarbrucken I 989, pp. I 9- JO .
"" É. PUECH, Les inscriptions phéniciennes d ' Amrith et !es dieux guérisseurs du sanctuaire, in <<Sy-
ri a», LXIII (1986), pp. 327-42; llONNET, Me/qart ci t ., pp. I I 7-19; c. JOURDAIN-ANNEQUIN, Héraclès-
Milqart à Amrith? Un syncretisme gréco-phénicien à l' époque perse, in «Transeuphratène>>, VI (!993),
pp. 69-86; ID., Héraclès-Me/qart à Amrith . Recherches iconographiques, Paris I992 .
Figura 18.
Stele di Amrit.
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 323
"' A Bambula il santuario nella ricostruzione di vm-v secolo è costituito da corti porticate con
altari a cielo aperto: cfr. A. CAUBET, Les sanctuaires de Kition à l'époque de la dynastie phénicienne,
in c. llONNET, E. UPINSKI e P. MARCIIETTI (a cura di), Religio Phoenicia, Leuven 1986, pp. 153-68.
llna stoa porticata delimita un lato della corte dell'Heraion di Samo a partire dal vn secolo: G. GRU-
lli N, T! tempio, in I Greci, II/1 cit., p. 387, fig. 25.
'"G. TORE, L'art.Sculptureen rondebosse, in KRINGS (a cura di), La Civilisation cit., pp. 451·
·1'i2; M. YON, Cu/tes phéniciens à Chypre, in BONNET, LIPINSKI e MARCHETTI (a cura di), Re/igio cit.,
pp. 145-49; M. YON, Le mai'tre de l'eau à Kition, in Archéologie au Lévant cit., pp. 251-63. Anche
la statuaria del tempio di Eshmun a Bostan esh-Sheikh, presso Sidone, ha caratteri ciprioti: TORE,
l. 'art ci t., p. 45 r.
"' cECCIIINI, La stele ci t., pp. 95-98; il tempio di Hosn es-Soleiman alle sorgenti del Nahr el-
Chamq, l'antica Baitokikai, fu sede di un culto a uno Zeus; gli epiteti lo identificano come signo-
re della folgore e quindi divinità della tempesta ma anche come dio guaritore tramite un'erba, che
la studiosa ingegnosamente riconosce dall'etimo locale, <<luogo del ricino>>.
'" M. SARTI!.E, La Syrie sous fa domination achéménide, in DENTZER e ORTHMANN (a cura di), Ar-
cbéofof!,ie ci t., p. 9· Si veda anche la ripresa dell'occupazione a Ras Shamra: R. A. STUCKY, Ras Sham-
·~• I.eukos Limen. Die nach-ugaritische Besiedlung von Ras Shamra, Paris I 98 3. Per Al Mina: J. ELA YI,
!Il-Mina sur l'Oronte à l'époque Perse, in Studia Phoenicia V Phoenicia and the East Mediterranean
in the First Millennium B.C., Leuven 1987, pp. 249-66. Per una considerazione generale del perio-
do dr. s. MAZZONI, Lo sviluppo degli insediamenti in Siria in età persiana, in <<Egitto e Vicino Orien-
lc», XIV-XV (1991-92), pp. 55-72; ID., Da Ebla a Mardikh:decadenza ed abbandono, in P. MATTHIAE,
i' i'INNOCK e G. SCANDONE MATTIIIAE (a cura di), Eb/a. Alle origini de/fa civiltà urbana, Roma 1995,
Jlp. I94·20I; J. ELAYI, Les sites phéniciens de Syrie au Fer III/ Perse. Bi/an et perspectives de recherche,
in IIUNNENS (a cura di), Essays cit., pp. 327-48.
'" Ibid.; inoltre s. MAZZONI, La période perse à Te// Mardikh dans le cadre de/' évo!ution de l' a"ge
du Feu·n Syrie, in «Transeuphratène>>, II-III (1990), pp. 187-96 e bibliografia.
324 Gli «altri» e i Greci
edifici a corte centrale 146 in centri rurali con funzioni amministrative 147
rivela ascendenze assire e locali insieme. È un momento di trasforma-
zione economica e dunque insediativa della regione che registra una con-
trazione nelle regioni orientali della steppa e un incremento in quelle
fluviali dove sorgono i Paradisi, le grandi tenute fondiarie delle famiglie
dei governanti' 48 • In queste aree interne la ceramica greca penetra af-
fiancando le produzioni locali e s'impongono gli strumenti di vestiario,
come le fibule ad arco e a gomito, un tempo prerogativa di un certo ab-
bigliamento cerimoniale e di lusso. Anche la coroplastica, unico docu-
mento di arti minori, mostra la trasformazione del tipo tradizionale del-
la figurina femminile del culto domestico della fecondità grazie a una
produzione massificata e standardizzata a stampo nel tipo nudo e abbi-
gliato con ricche vesti; mentre la fortuna del tipo del cavaliere, qualun-
que ne fosse la funzione rituale e l'identità specifica, riflette il consoli-
darsi dell'aristocrazia equestre14' . Il fenomeno è documentato anche dai
corredi tombali del periodo che appartengono a militari non solo per-
siani150. Maggiori trasformazioni si compiranno successivamente con la
conquista di Alessandro, che avvierà una piu profonda integrazione tra
le due sponde del Mediterraneo.
146
Sul problema delle fortezze persiane cfr. ID., Lo sviluppo cit., pp. 64-67.
147
P. BRIANT, Rois, tributs et paysans. Etudes sur !es /ormations tributaires du Moyen-Orient an-
cien, Paris 1982, pp. 21-25, nota 109.
141
MAZZONI, Lo sviluppo cit., pp. 67-68.
'"In particolare ID., Da Ebla cit., pp. 513-15, nn. 485-97 e bibliografia relativa.
110
P. R. s. MOOREY, Iranian troops at Deve Hiiyuk in Syria in the earlier fifth century B.C., in «Le·
vant», VII (1975), pp. 108-r7; ID., Cemeteries o/ the First Millennium B.C. at Deve Hiiyiik, Oxford
r 980; contra P. BRIANT, Pouvoir centrale et polycentrisme culture/ dans l'empire achemenide. Quelques
réflexion et suggestions, in 11. SANCISI·WEERDENBUG (a cura di), Achaemenid H istory, I. Sources, Struc·
tures and Synthesis, Leiden 1987, pp. 8-9.
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico 325
un processo coloniale dai molti volti, che incluse anche realtà e struttu-
re di varia configurazione. La circolazione di oggetti siriani di prestigio
e di sofisticata tecnologia nel Mediterraneo e una presenza greca stan-
ziale in Siria, ad Al Mina e altrove, contribuirono ad avviare una non
effimera trasmissione culturale nei due sensi, che poté concretizzarsi in
uno scenario mediterraneo attraversato nelle sue alterità culturali, so-
ciali ed economiche, da uguali fermenti e comuni tendenze evolutive.
Per spiegare lo sviluppo in un Occidente anche lontano di strumenti
ideologici di un mondo aristocratico in formazione, si sono richiamate
molte delle strutture materiali e intellettuali del mondo siro-ittita; esse
sarebbero state trasmesse in via indiretta attraverso la disseminazione di
prodotti di artigianato, avori e metalli m, o in via diretta tramite la pre-
senza di artisti, dopo il crollo dei principati e la crisi dei committenti
orientali, prima a Creta e in Greciam poi sulle rotte mediterranee fino in
Etruriam. Lo sfondo, tuttavia, sul quale si attivarono e divennero con-
sistenti i fenomeni interculturali fu l'emergere, in qualche modo simbio-
tico, di tendenze sociali e culturali simili nei diversi ambienti.
Tra x e VIII secolo i principi e dinasti siro-ittiti consolidano il loro
ruolo politico e culturale nel Levante, nonostante (o forse anche attra-
verso?) la crescente conflittualità esterna e interna; essi promuovono
una nuova urbanizzazione e un'arte di propaganda; si crea un reperto-
rio di immagini che esaltano gli aspetti eroici nella guerra, nel culto e
nella vita di corte di una regalità beneficata e legittimata dalla prote-
zione degli dèi e degli antenati fondatori. Nelle porte urbiche e delle cit-
tadelle, negli atri dei palazzi, il messaggio arriva a coinvolgere una so-
cietà aristocratica dalla crescente autonomia; sono dipendenti di palaz-
zo, funzionari, scribi, sacerdoti, militari che cominciano a emulare nelle
pratiche funerarie e nella vita ufficiale il fasto della corte, adottandone
gli strumenti ostentatori. I santuari delle divinità poliadi, protetti dalla
devozione dinastica, esercitano un ruolo catalizzatore, che si accentuerà
dopo la crisi dei principati, quando i santuari sia urbani che extraurba-
ni delle divinità salvifiche emergeranno come poli autonomi.
"' Per R. OSBORNE, Greece in the Making, 1200-479 BC, London- New York 1996, p. 70, è un
periodo di grandi trasformazioni nel segno di un intensificarsi di contatti con l'Oriente; ma è an-
che un «periodo di transizione caotica>> nella definizione datane da 1. MORRIS, Archaeology andar-
chaic Greek history, in N. FISIIER e H. VAN WEES (a cura di), Archaic Greece. New Approaches and
New Evidence, London 1998, p. 25, in contrasto con Snodgrass. D. ASHERI, Coloniz1:axione e deco-
/onixxaxione, in I Greci, I cit., p. 78, parla invece di «crisi economico-sociale nella Grecia dell'viu
e del vn secolo a. C., che sta anche all'origine di altri fenomeni contemporanei di massima impor-
tanza nella storia greca, quali la formazione della polis, la legiferazione scritta, le riforme sociali,
giuridiche e militari, le tirannidi». Per D. w. TANDY, Wanion into Traders. The Powero/ the Market
in Early Greece, Berkeley 1997, pp. 2, 113-27, l'elemento catalizzatore ne fu la trasformazione eco-
nomica nel passaggio da un sistema redistributivo a un sistema di mercato.
"' Nell'interpretazione di cowsTREAM, Geometrie Greece cit., p. 367: «Si tratta di sviluppi
locali che sorgono all'interno del mondo greco». F. DE POLIGNAC, In/luence estérieure ou évolution
in teme? L' innovation eu/tue/le en Grèce Géométrique et archaique, in KOPCKE e TOKUMARU (a cura),
Greece cit., pp. 123-25, parla di stimoli orientali alla base dello sviluppo dei santuari extraurbani.
Cfr. P. LÉVEQUE, An/izionie, comunità,conconi e santuari pane/fenici, in I Greci, Il/I cit., pp. 1118-
24. Un panellenismo politico si forma non prima del vu secolo: M. soRDI, Panellenismo e «koine ei-
rene», in I Greci, Il/3, Torino 1998, pp. 6-8.
"' J. N. COLDSTREAM, Hero cults in the age o/ Homer, in «Journal of Hellenic Studies», XCVI
(1976), pp. 8-17; contra: J. WHITLEY, Early states and hero cults, in «Journal of Hellenic Studies»,
CVIII (1988), pp. 173·82; A. M. SNODGRASS, Les origines du eu/te des héros dans 14 Grèceantique, in
G. GNOLI e J.·P. VERNANT (a cura di), La mort, /es morts, dans /es societés anciennes, Cambridge 1982,
pp. IOJ·I9; c. BÉRARD, Récuperer 14 mort du prince: heroisation et /ormation de 14 cité, ibid., pp. 89-
105; 1. MORRIS, Burial and Ancient Society. The Rise o/ the Greek City-State, Cambridge 1987, pp.
r 9 3·94; A. M. SNODGRASS, The archaeology o/ the hero, in «Annali del Dipartimento di Studi del Mon-
do Classico e del Mediterraneo Antico: Archeologia e Storia antica», X (1988), pp. 19-26; 1. MOR·
RIS, The archaeology o/ anceston. The Saxe/Gold.stein hypothesis revisited, in «Cambridge Journal of
Archaeology», I (1991), pp. 157·58; J. WHITLEY, Tomb cultand hero eu/t. The uses o/ the past in ar-
chaic Greece, in s. NIGEL (a cura di), Time, Tradition and Society in Greek Archaeology. Bridging the
"Great Divide", London · New York 1995, pp. 43-63; WINTER, Homer's Phoenicians cit., p. 26o;
OSBORNE, Greece cit. pp. 103·4; o. MURRAY, La Grecia degli «eroi»:mito,storia,archeologia, in I Gre-
ci, Il/I cit., pp. 175·76. Per un'approfondita valutazione e per la relazione tra la formazione della
città e i culti eroici, B. D'AGOSTINO, La necropo/i e i rituali de/14 morte, ibid., pp. 452-54.
"' MORRIS, Buria/ ci t., pp. 192-95, ha ipoteticamente proiettato la nascita della polis nell'vili
secolo in <<Un contesto "internazionale"» e all'interno di un contesto mediterraneo, collegando al
processo non solo mutamenti di pratiche funerarie, trasformazioni sociali, incremento della con-
flittualità interna e della competizione sociale, ma anche una possibile emulazione delle imprese
assire (cfr. in particolare pp. 203-4). Contro l'uso della definizione «ideologia dellapo/is» cfr. pu-
re F. DE POLIGNAC, Cults, Tenitory, and the Origins o/ the Greek City-States, Chicago-London 1995,
p. 134, n. 5; lo studioso peraltro (p. 143) collega allo sviluppo della solidarietà aristocratica la tra-
sformazione dell'ideologia funeraria (<<L'ultimo dei principi, il primo degli eroi»), delineando l'evo-
luzione delle pratiche tra Lefkandi ed Eretria (pp. 135·37). Si veda, per una valutazione delle mol-
Mazzoni La Siria e il mondo greco arcaico JZ7
te componenti della po!is e in particolare del rapporto formativo tra po/is e villaggi nell'viii secolo,
c:. AMPOLO, Il sistema della «po/is». Elementi costitutivi e origini della città greca, in I Greci, Il/I cit.,
pp. 297·342, e in particolare p. 340.
158
F. E. WINTER, Greek Fortifications, Toronto-Buffalo I971, pp. 290-92, collega all'avvio del-
la colonizzazione nella metà dell'viii secolo lo sviluppo di nuove progettazioni urbane e la costru-
zione di cinte difensive, ispirate in larga parte a prototipi orientali, conosciuti e adottati nelle aree
anatoliche. Sulla precocità delle mura di Smirne del IX secolo cfr. COLDSTREAM, Geometrie Greece
cit., pp. JOJ-4·
"' Sullo sviluppo del tempio greco come struttura autonoma nell'vm secolo cfr. ibid., p. 317.
Per la relazione tra polis e santuari, c. MARCONI, La città visibile e i suoi monumenti, in I Greci, Il/t
ci t., pp. 763-7I; POLIGNAC, Inf/uence cit., pp. 114-27. Come esempio valga il caso della fondazio-
ne della città e del santuario di Atena a Emporio (Chio): w. HELD, Zum Athenaheiligtum in Empo-
rio auf Cbios. Eine neue Rekonstruktion und Deutung, in <<Archiiologischer Anzeiger», I998, p. 363.
L'articolazione dei modelli in F. GRAF, Gli dèi greci e i loro santuari, in I Greci, Il/I cit., pp. 352-53.
Per l'emergere dei santuari panellenici SNODGRASS, I caratteri cit., pp. 209-10. L'adozione a parti-
re dall'viii secolo del megaron con la fronte in antis è parte del processo di «Un 'rinascimento'
dell'eroizzato passato miceneo» secondo GRUBEN, Il tempio cit., p. 389; cfr. inoltre pp. 389-403
rer lo sviluppo in età arcaica.
160
p. KRANZ, Frnhe griechische Sitz/iguren. Zum Problem der Typen Bi/Jung und des orientalischen
Einflusses in der /rnhen griechischen Rundplastik, in «Mitteilungen des Deutschen Archaologischen
lnstitut (Athen. Abt.)>>, LXXXVII (1972), pp. 20-23; s. P. MORRIS, Daidolos and the Origins o/
Crcek Art, Princeton I992, pp. I47. 240; OSBORNE, Greece cit., pp. 208-29. Ma L. ADAMS, Orien-
talizing Scu!pture in So/t Limestone /rom Crete and Mainland Greece, Oxford I978, pp. I2I-25, mo-
Sll'a qualche perplessità sulle radici orientali della plastica dedalica. Si veda emblematicamente l'in-
cipit di SIIAI'IRO, Tradizioni ci t., p. r r8r: <<Con l'aprirsi del mondo greco ai contatti con l'Egitto e
il Vicino Oriente nel tardo VIII e nel VII secolo a. C .... succedette una fase di sperimentazione ar-
tistica, contrassegnata dalla nascita di scuole artistiche originali e distinte nella maggioranza delle
poleis greche>>.
161
È l'ipotesi di s. 11. HOUBY·NIELSEN, "Buria! language" in archaic and classica/ Kerameikos, in
« Proceedings of the Danish Institute at Athens», I (I995), pp. 130, I6o-61. Ma si veda ancora
~IORRIS, Buria/ cit., pp. r88·95; m., The archaeology cit., p. I48, nota che nell'Atene del V-IV se-
colo <<la discendenza da genitori sepolti all'interno di un cimitero connotato dal punto di vista for-
male era, in un ambito, un simbolo importante per definire l'appartenenza a un gruppo di cittadi-
ni che gestivano le principali risorse politiche ed ecopomiche, ma in altri ambiti questo collega·
mento poteva essere capovolto>>; e cfr. pp. I 57-58. E notevole l'affinità tra le piu antiche stele
funerarie di un monumento di Prinias a Creta e le stele siro-ittite: K. FRIIS JOIIANSEN, The Attic
Grave-Re!ie/s of the Classica! Period. An Essay in Intepretation, Copenhagen 195I, pp. Bo-81, fig.
~5a; ma B. RIDGWAY, The Archaic Sty!e in Greek Scu!pture, Princeton 1977, p. 257, e ADAMS, Orien-
ta/izing 5cu!pture cit., pp. 46-47, le attribuiscono a un recinto sacro.
328 Gli «altri)) e i Greci
' Nel quadro generale di ripresa si giustifica anche una ripresa del controllo diretto e della ge-
stione centralizzata del territorio, proprio in ragione del carattere delle costruzioni nei centri mi-
nori.
P. LÉVEQUE, I regni d'Oriente: linee di sviluppo e fattori di dissoluzione, in La società ellenisti-
6
provincia intera come una «facciata costiera che maschera il vuoto in-
terno»' Questo fenomeno di crisi, cosi fortemente visibile nelle regio-
ni interne dove prevalente era stata la presenza di centri urbani duran-
te tutto il corso dell'età del Ferro, risulta comunque variabile regional-
mente nelle dimensioni e proporzioni: generalmente la continua
espansione dei centri maggiori con una forte concentrazione degli abi-
tanti produsse con il tempo il progressivo spopolamento delle regioni in-
terne, in parallelo con la tendenza dei residenti allo spostamento verso
le aree costiere; quest'ultimo fenomeno fu attivo ininterrottamente fi-
no alla piena età ellenistica, come evidenziato parallelamente nella com-
plessità e nella gradualità degli eventi in Fenicia e Palestina, mentre fu
anche accentuato dagli effetti dell'attuazione della politica territoriale
seleucide in Siria settentrionale. Per alcune zone marginali (come la re-
gione interna meridionale) il forte ritardo nello sviluppo dei centri ur-
bani rispecchia effettive difficoltà dovute alle necessità di adeguamen-
to a nuovi modelli di interpretazione del territorio, tipiche di aree spon-
taneamente non dotate di una vocazione per un modello urbano:
particolarità geografiche e climatiche (come lievi ma disastrose varia-
zioni climatiche) si affiancherebbero quindi innescando localmente un
riflusso alla mobilità e al nomadismo caratteristico di periodi non favo-
revoli (climaticamente o politicamente).
L'assetto prevalente della regione, con una presenza rarefatta di co-
munità urbane e un entroterra rurale formato da modesti villaggi agri-
coli, risulta come il carattere pio specifico di questa fase 10: questo sche-
ma territoriale appare meditato, basato all'interno dei centri rurali sul-
la preminenza di compatte strutture di controllo e gestione della
produzione agricola; viene attuato con l'edificazione di massicci edifici
rurali dal carattere residenziale e amministrativo 11 secondo un modello
tipico di un'amministrazione locale finalizzata a produzioni mirate 12 pro-
posto all'interno della provincia nelle zone caratterizzate da una pro-
duzione di colture miste tipiche di aree alluvionali. In una strategia di
sfruttamento del governo centrale, in funzione della commercializza-
zione dei prodotti dell'agricoltura e della creazione di un allevamento
9
M. SARTRE, La 5yrie sous la domination achéménide, in J.-M. DENTZER e W. ORTIIMANN (a CU-
ra di), Archéologie et histoire de la 5yrie II. La 5yrie de l' époque achéménide à l'avènement de l'lslam,
Saarbriicken 1989, p. 9·
10
P. BRIANT, Communautés rurales,forces productives et mode de production tributaire en Asie
achéménide, in «Zaman», III (198o), pp. 75-100.
11
MAZZONI, Lo sviluppo cit., p. 67.
12
P. BRIANT, Villages et communautés villageoises d'Asie achéménide et hellénistique, in «Jour-
nal of the Economie and Soda! History of the Orient>>, XVIII (1975), p. 167; SARTRE, La 5yrie
cit., pp. 9-18.
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 3 33
In una fase iniziale del periodo persiano, sullo scorcio del VI secolo
a. C., gli avvenimenti storici ricollegati alla ribellione delle città della
Ionia contro il potere di Dario I determinarono un periodo di forti at-
tività bellicose (tra ilsoo e i1493 a. C.) nel tratto di mare antistante la
Siria settentrionale e culminarono nella distruzione della flotta greca al
largo di Cipro, che aveva con la sua defezione aiutato le città ribelli: sot-
to tale luce sono state interpretate le ampie tracce di distruzioni ritro-
vate nei siti costieri della regione e datate al periodo di passaggio tra la
fine del VI e gli inizi del v secolo a. C.; la successiva rifondazione dei si-
" Come accade in maniera evidente nelle pianure costiere, ma anche nelle valli irrigue inter-
ne deii'Oronte, del Litanie del Giordano.
"ARRIANO, 2.II.9·II; QUINTO CURZIO, 3.8, 3.12-27.
" ERODOTO, 3.64.
334 Gli «altri» e i Greci
Figura x.
Localizzazione topografica dei siti citati nel testo.
e1-Mudiq
• Palmira
• Bosra
.
Gerusalemme
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 335
J. I.UND, The northcm coastline o/ Syria in the Persian period. A suroey o/ the archeologica/ cvi-
dcncc (P/. I), in «Transeuphratène», Il (1990), pp. 13-36.
336 Gli <<altri» e i Greci
sti passaggi di potere anche come lotte interne alla multiforme compa-
gine fenicia. A comprovare questa altalenante situazione politica ri-
mangono alcune brevi notazioni storiche locali che, citando le città e i
rispettivi re che le governano, seguono un ordine gerarchico basato sul-
la presenza di una flotta e sulla sua consistenza: la situazione descritta
viene espressa nelle liste con la presenza iniziale di Sidone che alterna
la sua posizione con Tiro, mentre solo secondariamente appaiono le città
di Arado e Biblo; purtroppo sfugge nella documentazione a disposizio-
ne la posizione di alcuni centri portuali sicuramente attivi e importan-
ti, ma probabilmente in questa fase ancora di rango inferiore, come T ri-
poli e Beirue'
Tra questi dati testuali la segnalazione particolare della presenza di
un naQaÒEwoç20 sulla montagna nella regione di Sidone viene corretta-
mente interpretata come uno specifico tipo di possedimento della cor-
te: in questo caso si tratterebbe di una zona della montagna riservata al
sovrano per la caccia, secondo un uso del territorio sottoposto che ri-
calca una tradizione orientale (già neoassira) di attribuire al demanio im-
periale zone delimitate come parchi naturali in cui praticare la caccia ri-
tuale agli animali selvatici21 ; questa particolare proprietà sulla montagna
di Sidone si caratterizza inoltre per la presenza di enormi alberi (i ben
noti cedri del Libano) utilizzabile quale preziosa riserva di alberi d'alto
fusto per i cantieri palatini: i cedri delle montagne costiere erano stati
da sempre considerati dalle città fenicie una ricchezza di proprietà
dell'intera comunità degli abitanti, venendo quindi gestiti dai sovrani
locali; sotto le dominazioni straniere furono invece riservati ai re vinci-
tori, i quali poterono disporne per la realizzazione degli imponenti edi-
fici delle loro capitali. Nella provincia intera è diffusamente attestata la
presenza di paradisi a cominciare dalla regione meridionale con la loca-
lizzazione nell'oasi di Gerico di una specifica produzione di colture pre-
gia te ed essenze profumate e medicinaW 2 , oltre al succitato giardino del-
la montagna di Sidone, fino alla particolare attestazione nella Siria set-
tentrionale interna2J della presenza di varie tenute agricole nota tramite
"J. ELAYI, The Phoenician cities in the Persian period, in <<Journal of Near Eastern Studies»,
XII (198o), p. 24.
'" Il nome sembra derivare da un'originaria radice persiana Paradaida, che in elamita diviene
Partetash.
" c. CLERMONT·GANNEAU, Le paradeisos royal achéménide de Sidon, in <<Comptes Rendus de
l'Académie cles Inscriptions et Belles-Lettres>>, 1921, pp. ro6-9.
" M. IIELTZER, Some questions about royal property in the Vth satrapy and profits o/ the royal trea-
sury, in <<Transeuphratène», XIX (2ooo), pp. 127-29.
" I caratteri geografici della regione ne fanno la sede ideale per l'attuazione di un tipo di sfrut-
tamento del territorio come quello che operarono i governanti del periodo achemenide.
338 Gli «altri» e i Greci
fonti storiche4 , come il dominio rurale nella valle del fiume Chalos ap-
partenente a Parysatis (madre di Ciro il Giovane), le proprietà con par-
chi e palazzi alle sorgenti del Dardas appartenenti al satrapo Belesys e
le tenute della regione dell'Oronte nel Ghab presso Apamea di Farnakes
o quella ricavabile nella zona della tagliata di Homs dal toponimo loca-
le Ard Fraidis (letteralmente «terreno del paradiso» )25 • Una località chia-
ramente ricollegabile a questi «paradisi» achemenidi risulta anche dal
toponimo stesso di Triparadiso che identifica nelle fonti storiche gre-
che26 il luogo in cui si riunirono i generali di Alessandro, con le rispetti-
ve armate, prendendo le decisioni che portarono alla divisione del suo
impero nei vari regni ellenistici: tale luogo, che viene associato alla pre-
senza di rilievi collinari verdeggianti con giardini coltivati, atto a ospi-
tare un raduno simile27 e da localizzare verosimilmente nella valle della
Biqa, potrebbe a ragione essere identificato con la zona di Baalbek che
ben si adatterebbe ai requisiti richiesti.
In relazione agli specifici caratteri della parte settentrionale della Si-
ria interna con una concentrazione delle attestazioni in una zona tipica
per le colture miste di area alluvionale, è stata riconosciuta nella regio-
ne l'esistenza di un modello territoriale basato sull'integrazione fra cen-
tri urbani e siti rurali dotati di un edificio centrale apparentemente for-
tificato dal carattere residenziale e al contempo amministrativo: si è ri-
conosciuto cioè nel «paradiso~> un organismo tipico che presiede alla
gestione e al controllo della produzione agricola28 , corrispondendo quin-
di a un modello mirato e meditato, coincidente con una politica di svi-
luppo imprenditoriale. Proprio dietro questa strategia territoriale deli-
neata nella ripartizione funzionale tra le attività agricole e di allevamento
e quelle artigianali e commerciali, ai fini di una generale resa economi-
camente produttiva, si intravede l'azione effettiva del governo centra-
le altrimenti scarsamente rilevabile.
" E. GRECO, Defmizione dello spazio urbano :architettura e spalio pubblico, in I Greci, Il/z, To-
rino 1997, pp. 642-48.
Durante l'intera età del Ferro}( nei potenti centri urbani della Siria in-
terna, che hanno accentrato le funzioni cultuali caratterizzando cultural-
mente il territorio regionale con variazioni e sfumature locali, la formu-
lazione architettonica è risultata fortemente omogenea e di ascendenza
tradizionale per la soluzione di edifici con planimetria di tipo in antis, do-
tati di una cella a sviluppo longitudinale sebbene con una certa varietà
nelle interpretazioni locali: i grandi templi monumentali dei centri tradi-
zionali del settentrione del paese (come Aleppo, Tell 'Ain Dara, Karke-
mish, T eli Halaf e Tell Ta'yinat), pur proseguendo la loro attività duran-
te l'intero periodo achemenide, hanno lasciato scarne evidenze a testi-
10
J. BRIEND, L' occupation de la Galilée occidentale à l' époque perse, in « Transeuphratène», II
(1990), pp. 121-22.
" Cfr., per la fase precedente, il contributo di S. Mazzoni, in questo volume.
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 341
pio a Tell Sukas, dove compare un luogo di culto urbano di tipo tripar-
tito distilo in antis e un recinto con altari presso il porto meridionale\ o
a Biblo, dove l'edificio aggiunto sull'acropoli dal re Yehawmilk nel cor-
so del IV secolo a. C. sul fianco ovest del recinto del tempio della Bala'at
Gebal - la Signora di Biblo - era costituito sostanzialmente da un pic-
colo sacello della divinità sotto un porticato distilo, aperto verso una nuo-
va corte lastricata)\ o nel tempio cittadino di Sarepta; ma in alcuni casi
l'aspetto del vano può variare ed essere di tipo a sviluppo latitudinale con
accesso sul lato lungo, come ad esempio a Makmish, piccolo centro co-
stiero della piana dello Sharon non distante daJaffa, che ha documenta-
to un'area sacra con una fase di vita databile all'interno del v-rv secolo
a. C.)6 j inoltre nel caso dei santuari esterni agli abitati l'area sacra, dove
predomina il valore cultuale delle acque, si presenta invece sotto la for-
ma di un recinto nel quale sono disposti vari edifici, come a Bostan ech-
Cheikh presso Sidone, in due siti presso Amrit- cioè nel santuario del
dio Melqart e nell'area sacra di Ain el-Hayat -,o anche nel santuario di
Kharayeb nel Libano meridionale tra Sidone e Tiro, presso la località di
Jouret al-Khawatim {letteralmente la «fossa degli anelli»), un complesso
sacro ricollegato alla presenza di acque sorgive databile nella sua prima
fase di vita tra la fine del vr e la metà del IV secolo a. C.H
Quest'ultima tipologia di luoghi di culto extraurbani connessi al po-
tere salvifico e alla sacralità delle acque ebbe grande fortuna fino alla tar-
da età romana: nel cosiddetto Ma' abed dedicato al dio Melqart presso
Amrit (fig. 3), determinato dalla presenza di palle sorgive, si praticava un
culto della fertilità incentrato su questa preesistenza locale di risorgive
costiere che con periodiche inondazioni della zona caratterizzavano pa-
rallelamente anche la vicinissima area sacra di Ain el-Hayat'8 ; mentre il
celebre santuario di Bostan ech-Cheikh presso Sidone, con l'alto terraz-
zamento quadrangolare appoggiato e parzialmente ricavato dalla collina
(fig. 4), afferisce a un culto della vitalità naturale, espressa dal dio locale
" P. J. RIIS, Sukas VI. The Graeco-Phoenician Cemetery and Sanctuary at the Southern Harbour,
Copenhagen 1979; ID., Sukas X. The Bronze and Early Iran Age Remains at the Southern Harbour, Co-
penhagen r 996.
"E. RENAN, Mission de Phénicie, Paris r864, p. 855; Corpus Inscriptionum Semiticarum, 1/r,
Paris r88r, pp. r-3; M. DUNAND, Encore Id stèle de Yehaumilk, roi de Byblos (CIS. I,I ), in «Bulletin
du Musée de Beyrouth», V (1941), pp. 58-59.
16
N. AVIGAD, Excavations at Makmish, 1958 Preliminary report, in <dsrael Exploration Jour-
nal», X (196o), p. 95·
17
M. 11. CI!ÉIIAB, Les terrecuites de Kharayeb, texte, in <<Bulletin du Musée de Beyrouth», X
(1951-52), pp. 7-8; B. KAOUKADANI, Rapport préliminaire sur !es fouilles de Kharayeb, r9f>9-1970, iv i,
XXVI (1973), pp. 41-60.
" RENAN, Mission ci t., tav. VIII; M. DUNAND e N. SAUBY, Le tempie d' Amrith dans /a pérée d'Ara-
dus, Paris 1985, fig. r.
Rossi La Siria c il mondo greco dopo l'età arcaica 343
Eshmun sotto l'aspetto delle acque fluviali, che scorrono nel fondovalle
attraverso la località, bordando il complesso sorto sulla riva del fiume
Nahr el-Awali, l'antico Bostrenus 19 Il forte vincolo con l'elemento natu-
rale del territorio comporta nelle particolarità tecniche dei caratteri co-
struttivi un adeguamento all'ambiente locale, fornendo un ulteriore ele-
mento di contatto tra le parallele realizzazioni del Ma' abed di Melqart ad
" M. DUNAND, Le tempie d' Echmoun à Sidon , essai de chronologie, in <<Bullctin du Muséc dc
1\cvrmah., , XXVI (1973), pp . 12 -14 .
'" La funzionalità specifica dei due complessi sacri dipendenti da acque sorgive ad Amrit e da
acque fluviali a Sidone li diversificano.
" Le numerose iscrizioni che celebravano l'erezione del terrazzamento da parte del re Esh-
munazor II sullo scorcio del VI secolo a. C. citano il complesso sacro come tempio del dio Eshmun
presso la fonte Ydlal; DONNER e RilLLIG, Kanaaniiische und aramiiische lnschriften cit., doc. 14.17·
" M. DUNAND, L'architecture à Byblos au temps des Achéménides, in «Bulletin du Musée de Bey-
routh>>, XXII (1969), pp. 93·99·
H ID., Rapport préliminaire sur !es fouilles de Byblos en Il)6 J·Il)64, in «Bulletin du Musée de
Beyrouth», XIX (1966), pp. 100-5; ID., La défense du front méditerranéen de l'empire achéménide,
in w. A. WARD (a cura di), The Role o/ the Phoenicians in the Interaction of Mediterranean Civiliza-
tions, Beirut 1968, pp. 43-51.
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 345
"J.-M. DOYEN, L'outillage en os des sites de Te!! Abou Danné et d'Oumm el-Marra (campagnes
''J75-1982) quelques aspects de l'artisanat en Syrie du Nord du III au I millénaire, in «Akkadika»,
XLVII (1986), pp. 52-53; s. M. CECCHINI, Gli avori e gli ossi:appunti sull'attività tessile in Siria del
.\'ord durante l'età del Ferro, in s. MAZZONI (a cura di), Te/l A/is e l'età del Ferro, Pisa 1992, pp. 3-35.
" L'arrivo delle armate di Alessandro è stato anche definito un incidente storico: J- ELAYI,
l'àn'tration grecque en Phénicie sous l'empire perse, Nancy 1988, pp. 163-65.
" Tale tendenza si manifesta sulla costa settentrionale presso Arado nel rituale funerario del
v secolo a. C. con la presenza di sarcofagi antropoidi in pietra e terracotta con chiare suggestioni
egizie e modelli ciprioti o greci, miscelati e ricondotti all'interno della tradizione locale fenicia.
346 Gli <<altri» e i Greci
•• Questa scena del mito del dio manca nel mondo greco: nel mito greco Asclepio fu punito ad
opera dei fulmini di Zeus per aver resuscitato i morti; H. SALAMÉ·SARKIS, Un problème d'Interpre-
tatio Phoenissa (?):lapseudo-tribuned'Echmouna Sidon, in «Berytus», XXXV (1987), pp. 120-25.
" L'instaurazione del dio nella sede della comunità divina o la rappresentazione delle sue im-
prese sono i temi tradizionali che adornano le basi delle statue di culto delle divinità.
•• A. CIASCA, Fenicia, in I Fenici, Milano 1988, pp. 146-47·
" M. DUNAND, Rapport préliminaire sur /es fouilles de Sidon en I 964- I 965, in « Bulletin du Mu-
sée de Beyrouth», XX (1967), p. 44·
•• Proprio Sidone presenterebbe caratteri persiani nei tratti ufficiali amministrativi come il
presunto edificio del governatore e la sua moneta di gusto persiano, mentre la città subirebbe il gu-
sto greco nella scultura (decorazione della balaustra e famosi infanti di Eshmun dalla favissa del
santuario e risalenti a età persiana).
" A. FARKAS, Achaemenid Sculpture, lstanbul1974, pp. 88-89; J. P. GUEPIN, On the position o/
Greek artisti underAchaemenid rule, in «Persica», l (1963-64), pp. 34-52.
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 349
" c. NYLANDER, Achaemenid imperia! art, in M. TROLLE LARSEN (a cura di) , Power and Propa-
~anda A Symposium on Ancient Empires, Copenhagen 1979, p. }51 .
" Da una tomba a camera della necropoli di Cheikh Zenad, fra Tripoli e Lattachia, proviene
un raro rhyton attico configurato a testa di maiale (fig. 6), databile alla seconda metà del v secolo
"- C.; E . POTIIER, La necropole de Cheikh Zenad III . Note sur le rhyton en tete de porc , in «Syria »,
VII ( 19 26 ), pp. 202-8 .
" J. ELA VI e 11. SA VEGli, Un quartier du pori phénicien de Beyrouth au Fer III/Perse Archéologie
et hirtoire, Suppl. VII a «Transeuphratène >>, 2ooo, p. 274.
'" P. WAGNER, Deriigyptische Einfluss auf die phonizische Architektur, Bonn 1980 .
64
J. ELAYI e H. SAYEGH, Un quartierdu port phénicien de Beyrouth au Fer 111/Pme. Les ob;ets,
Suppl. VI a «Transeuphratène», 1998.
"G. MATIHIAE SCANDONE, Le figurine in terracotta:gruppo /,m, n, in Missione archeologica ita·
liana in Siria r!}66, Roma 1967, pp. 139·52.
"'s. RONZEVALLE, Déesses Syriennes: 4· Astartés de Nirob, in «Mélanges de la Faculté Orienta·
le de I'Université de SaintJoseph», XII (1927), pp. 169·72.
" Nelle placche di Astarte solo i dettagli venivano ritoccati a mano dopo lo stampo eseguito
con matrice; nel caso dei cavalieri persiani solo il volto della figura veniva eseguito con uno stam·
pino applicato a pressione, mentre tutto il resto del gruppo fittile era eseguito a mano.
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 353
''' J. EI.AYI, Deux <<ateliers" de coropfastes nord-phénicien et nord-syriens sous l'empire perse (P!s. f. X) ,
in" !ranica Antigua>>, XXVI (1 99 !), pp. 181-216.
" L'alternanza dell'uso del peplo o del chitone nel mondo greco è testimone del favore per
l'abbigliamento e il lusso delle vesti orientali; B. FEHR, Kouroi e korai. Formule e tipi dell'arte ar-
caica come espressione di valori, in I Greci, II/1 ci t. , pp. 834-37·
•• Il lungo chitone sembra essere di origine non greca ma dell 'est del Mediterraneo e si ricol·
lega al termine semitico per filato di lino; RIIS, The Syrian Astarte ci t., pp. 79 e 86.
11
Il copricapo indossato dalla dea siriana descritta da Luciano e Macrobio viene denominato
mieyoç.
72
ELA YI, Deux <<ate/iers» cit., pp. 204-5; A. PRuss, Pattern of distribution: how terracotta figuri-
nes were traded (P/s.I-11), in «Transeuphratène», XIX (2ooo), pp. 51-6.3.
'' 1•. BAIJRE, Les figurines anthropomorphes en terre cuite à l'age du Brom:e en Syrie, Paris 1980.
" Nell'area cipriota sono noti legami tra i cavalieri e il culto di Apollo; T. MONLOUP, Salami-
ne dc Chypre XII. Les figurines en terre cuite de tradition archai"que, Paris 1984, pp. 19-22.
356 Gli <<altri» e i Greci
merciale nelle zone favorevoli (oltre a cereali, olivo, vite, lino, si pro-
ducono per il commercio anche la palma da datteri e varie piante aro-
matiche), e risulta basato sull'allevamento specializzato, ma si affianca
anche allo sfruttamento minerario in territori circoscritti; l'elemento co-
mune maggiormente evidente nei dati materiali risulta genericamente
dalle attestazioni delle attività artigianali derivate (che spaziano dalla
tradizionale lavorazione e produzione di cereali, olio, vino, tessili, cuoio
e metalli). In un quadro cosi delineato l'aspetto della programmazione
delle attività e della direzionalità operata dal centro del potere sfuma
nelle attestazioni materiali e viene riconosciuto solo nell'interpretazio-
ne del processo, per cui l'ingerenza achemenide sul governo locale vari-
condotta al favore di alcune pratiche diffuse, e all'inquadramento e al
controllo dello sviluppo economico regionale.
Solo recentemente una particolare produzione di contenitori cera-
mici è stata investita di profondi significati in quanto indicatori sociali
sulla base della loro produzione seriale inserita in un fenomeno ampio
di utilizzo e in associazione con una ipotetica presenza di manodopera
agricola stagionale': tecnicamente si tratterebbe di contenitori/misura-
tori usati a compenso di servizi agricoli stagionali o giornalieri, rappre-
sentando quindi un indice della razione alimentare basata sul consumo
di una famiglia nucleare composta da una coppia di adulti con uno o piu
discendenti; allo stato attuale degli studi la documentazione mostra una
tale complessità e diversificazione dell'utilizzo del manufatto che non
permette conclusioni eccessivamente generalizzate, dimostrando i limi-
ti attuativi di tale teoria.
" J. SAPIN, «Mortaria». Un lot inédit de Te/l Keisan. Essai d'interprétation/onctionnelle, in <<Trans-
euphratène>>, XVI (1998), pp. 87-120; ID., La main-d'reuvre ci t., pp. 3 r-33.
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 357
" J. LUND, The archaeo/ogical evidence /or the transition /rom the Persian period to the Hellenistic
<ig<' in Northwestem Syria, in «Transeuphratène», VI (r993), pp. 29-36.
'" 11. SEYRIG, Antiquités syriennes:92 _Séleucus I et lafondation de la monarchie syrienne, in «Sy-
XLVII (I970), pp. 290-JII.
" STR.ABONE, 16.2.4·10.
"Il. F. GRAF, ThePersianroyalroadsysteminSyria-Palestine, in<<Transeuphratène», VI (r993),
f'. 1 55-
" Già nel periodo persiano sussisteva uno schema stradale innestato su una via costiera con
>trade orrogonali che si addentravano nel territorio collinare; E. FUGMANN, Hama. Foui//es et re-
chcrchcs '9JI·I9J8, II/ r, Copenague 1958, pp. 260-64.
360 Gli «altri» e i Greci
Figura 13· L'antico porto artificiale di Laodicea sul mare nel 19 35·
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 361
" E. WILL, Antioche surl'Oronte, métropolede l'Asie, in «Syria», LXXIV (1997), pp. 99-113.
81
J. -eu. BALTY, Les grandes étapes de l' urbanisme d' Apamée-sur-1' Oronte, in « Ktema», Il (1977),
pp. 3-16.
" Antiochia fu la prima città orientale ad avere in età tiberiana una via colonnata ritenuta il
modello per le successive realizzazioni tipiche delle città romane d'Oriente.
" STRABONE, 16.2.4·10.
362 Gli «altri» e i Greci
tezza del plateau aleppino, vengono deviati verso i nuovi scali portuali:
la città nel tempo non ha piu abbandonato tale funzione di snodo com-
merciale sul tavolato calcareo come via di collegamento dei traffici ri-
salenti tramite l'Eufrate con la via di raccordo verso il mare, aggirando
a sud l'ostacolo delle alte montagne settentrionali!IO.
La continuità e il favore dei culti tradizionali rappresentano la mi-
gliore testimonianza della ricchezza culturale e religiosa della regione ed
è facilmente riconoscibile nella notorietà del culto della locale dea del-
la fertilità siriana di millenaria tradizione, adorata sotto l'aspetto di Atar-
gatis nel centro religioso di Hierapolis (odierna Membij}, mentre a cul-
ti di supreme divinità maschili si ricollegano numerosi famosi santuari,
come quello di Baetokikai, di Aleppo - che assume il nome di Beroia -
e di Emesa (odierna Homs).
Della produzione artistica della Siria di questa fase rimane ben poco,
ma deboli indizi riconducono al già citato monumento dinastico dei se-
leucidi, denominato Nicatorio, i resti di un edificio dorico ritrovato
sull'acropoli di Seleucia Pieria che doveva essere strutturato come un re-
cinto sacro al centro del quale si ergeva l'edificio cultuale'•. In ambito cul-
turale sicuramente Antiochia sull'Oronte fu importante per l'elaborazio-
ne di modelli scultorei come il celebre tipo statuario di Apollo liricine
molto ammirato nell'antichità, creato per la città dal cario Briasside, o
come il famoso bronzo della Tyche cittadina, creazione degli inizi del 11
secolo dello scultore sicionio Eutichide (il diadema turrito della personi-
ficazione della città, inoltre, si offre a riprova della realtà della presenza
di una cinta muraria di epoca preromana già ipotizzata sulla base delle
fonti citate); infine sotto Antioco III, nell'importante biblioteca di An-
tiochia operò a lungo per la corte il già citato Euforione di Calcide, ela-
borando la storia eziologica della mitica fondazione di Apamea sull'Oron-
te, città che contese infatti alla capitale l'onore della sua sepoltura.
" Testimonianze di questa fase sono state ritrovate e cancellate a Beirut durante le ricostru-
lÌoni Jcl centro cittadino.
" P. MONTET, Byb/os et l' Egypte. Quatre campagnes de fouil/es à Gebei/ (I 92 I· I 922- I 92 J· I 924),
i'aris 1929, tav. XXIII.
" M. DUNAND, Fouil/es de Byb/os, l. I926·I9J2, Paris 1939, pp. 66-79.
364 Gli «altri» e i Greci
bana della città in età persiana sono legate a brevi indicazioni sulla pre-
senza di una parte del tesoro di Dario III a Damasco, da dove fu im-
mediatamente prelevato per volere di Alessandro'5 , mentre dell'esisten-
za di mura pre-ellenistiche, di un palazzo e di un importante tempio con
un altare monumentale dedicato allocale dio atmosferico Hadad, di epo-
ca sicuramente aramaica e persiana, non rimane altro che un unico splen-
dido ortostato in pietra, ritrovato riutilizzato nelle mura del temenos del
tempio, decorato a rilievo con due sfingi affrontate. Nel periodo elleni-
stico inoltre essa appare come l'unico grande centro a non possedere un
nuovo nome greco, almeno fino a Demetrio III (96-87 a. C.), discen-
dente cadetto della dinastia seleucide che, tentando con il sostegno la-
gide di strappare la città al governo legittimo, ne fece l'effimera capita-
le di un regno meridionale con una propria moneta in cui essa viene de-
nominata programmaticamente Demetria: dopo la sconfitta del sovrano
subita ad opera dei Parti la città, ormai sfuggita al governo centrale, gra-
vitò nell'orbita del regno meridionale nabateo di Areta III.
Sicuramente il grandioso recinto del tempio, conservato per la sua
trasformazione in chiesa prima e nella grande moschea omayyade poi,
insiste topograficamente sul luogo dell'antico tempio locale, anche se le
analisi della decorazione architettonica segnalano una sua datazione al-
la piena età imperiale romana: la datazione degli elementi architettoni-
ci riferiti alla zona sacra risulta tra l'altro coerente con quella degli ar-
chi e delle colonne della via recta della città, che risale alla prima età im-
periale romana (sotto Tiberio o piuttosto Claudio), come anche la ben
nota via colonnata di Antiochia di sicura età tiberiana, che ne rappre-
senta tipologicamente il prototipo ispirativo.
La riconduzione del tessuto del tracciato viario della moderna capi-
tale siriana a specifiche preesistenze greche o romane ha portato a ipo-
tizzare la presenza di una griglia coerente con un tessuto viario del cen-
tro antico che collega la grande recinzione sacra con l'area della proba-
bile agora greca e di un recinto murario urbano regolare con aperture in
asse con la via recta che attraversa la città 96 • Una meccanica sovrapposi-
zione di un impianto urbano a griglia regolare sul moderno tracciato tra-
mite il riconoscimento aereo è stata utilmente effettuata per studiare il
paesaggio agrario dell'oasi damascena (la Ghuta), riconoscendo la va-
rietà dei modelli di parcellizzazione verificabile sul territorio (dimo-
strando quindi l'esistenza di un catasto agrario), mentre si scontra an-
cora con una mancata verifica archeologica dei dati nel campo dell 'ur-
91
ARRIANO, 2. I I. IO, 2. I 5· I; QUINTO CURZIO, 3· I 2·2J.
,. E. WILL, Damas antique, in <<Syria», LXXI (I994), pp. 1·43·
Rossi La Siria e il mondo greco dopo l'età arcaica 365
banistica della città, com'è avvenuto invece nel caso della Siria setten-
trionale dove i centri sono comunque meglio noti per la fase romana: lo
schema geometrico delle planimetrie urbane riconducibile a una griglia
regolare è stato ampiamente studiato ad Aleppo, nelle città della Tetra-
poli, ma anche a Dura-Europa sull'Eufrate, dove l'impianto ellenistico
si basa su verifiche archeologiche 97 •
Il problema della circolazione commerciale, risolto per la regione set-
tentrionale ad opera della politica di fondazione urbanistica seleucide,
nel caso di quella meridionale si incrocia con l'esistenza di tradizionali
percorsi mercantili che unificano la zona del golfo di Aqaba con la re-
gione di Damasco, a sua volta collegata direttamente con la costa feni-
cia all'altezza di Beirut e Sidone, e che traggono profitto dal sistema via-
rio preesistente. Il forte condizionamento territoriale nelle aree occi-
dentali del Vicino Oriente ha reso difficile rintracciare itinerari peculiari
a una singola fase storica anche per l'alta probabilità che il tracciato del-
le vie provinciali romane possa aver ricoperto il percorso di quelli pre-
cedenti: le varie ipotesi formulate al proposito ricorrono quindi a una
ricostruzione basata sui tracciati romani, cioè l' Itinerarium provinciarum
Antonini Augusti, che è una lunga lista di stazioni di circa 225 impor-
tanti percorsi viari dell'impero, e la Tabula Peutingeriana, che è una map-
pa disegnata con le annotazioni delle distanze e delle stazioni rilevanti
lungo gli itinerari maggiori dell'impero. Nonostante la documentazione
riguardante l'avvio del processo rimanga oggettivamente sfuggente, il
flusso dei traffici commerciali del periodo ellenistico-romano si realizzò
collegando in un sistema organico le zone interne delle oasi di Palmira
e Damasco con le città meridionali palestinesi e giordane, che gravitan-
do verso il mercato dell'Arabia sotto il nascente controllo nabateo por-
tavano con sé prodotti ricercati e costosi come l'incenso".
" Le paysage antique en 5yrie:l'exemple de Damas, in «Syria.., LXVII (•990), pp. 339-55-
•• Si ritiene per certa una fase ellenistica di centri come Bosra e le città giordane successiva-
mente unificate nella Decapoli.
366 Gli «altri» e i Greci
1. Elementi introduttivi.
1
Per chiarezza terminologica si precisa fin d'ora che si userà, secondo un uso ormai maggio-
riuriamente invalso, il termine «punico>> con riferimento esclusivamente al mondo delle colonie
fenicie d'Occidente egemonizzato da Cartagine a partire dalla seconda metà del VI secolo a. C. Per
le ragioni di una tale distinzione e per la realtà storica che ne è alla base cfr. s. MOSCATI, Fenicio o
punico o cartaginese, in «Rivista di studi fenici>>, XVI (1988), pp. 3-13.
' Una recente trattazione del processo storico-culturale a cui si deve il sorgere in autonomia
Jclla nazione fenicia è in ID., Chi furono i Fenici, Torino 1994. Per la situazione storica dell'area
siro-palestinese nell'epoca di passaggio tra Tardo Bronzo e Ferro, in cui la componente fenicia
emerge nella sua piena individualità, cfr. M. LIVERANI, Antico Oriente. Storia società economia, Ro-
ma-Bari 1988, pp. 629-60.
370 Gli «altri>> e i Greci
ti, una volta emersa come componente a sé stante dal crogiolo delle cul-
ture siro-palestinesi dell'età del Bronzo e trascorsa la fase ancora insuf-
ficientemente documentata della fine del II millennio a. C., la «feni-
cith è rapidamente contrassegnata da un ampio sviluppo delle relazio-
ni con il mondo egeo. Queste, come è noto, si svolgono sia sulla costa
del Levante sia in area greca, con alcuni punti di «attacco» privilegiati
che comunque indicano (ed è questa un'osservazione che tornerà nel
prosieguo del nostro lavoro) la mancanza di qualsiasi <<esclusività» nel
rapporto tra le due genti, ponendosi piuttosto al centro di una serie di
collegamenti che investono l'insieme delle componenti etniche e politi-
che del Levante.
All'accrescimento dei dati archeologici relativi sia alla presenza gre-
ca sulla costa orientale del Mediterraneo sia a quella fenicia nell'Egeo
non corrisponde ancora una chiarificazione del quadro storico di riferi-
mento: per l'età che scende fino all'inizio delle colonizzazioni storiche
(vm secolo a. C.), l'indubbia vitalità delle relazioni reciproche stenta an-
cora a inserirsi in un contesto perspicuo di movimenti commerciali, di
presenze piu o meno stabili; e il peso di alcune componenti certo attive
in quest'ambito (quella cipriota anzitutto, ma anche quella euboica in
Oriente e quella nord-siriana sulle rotte dell'Egeo) va ancora valutato
nei suoi reali termini.
Non v'è dubbio, comunque, che la prospettiva «occidentale» e se-
gnatamente egea costituisca una scelta fondamentale dei percorsi com-
merciali fenici nei primi due secoli del I millennio e che a ciò (piu che
alle frequentazioni elleniche della costa orientale del Mediterraneo) va-
da imputata l'accelerazione dei rapporti greco-fenici.
In quella che John Boardman ha chiamato l'era «pre al-Mina» (an-
teriore cioè allo stanziamento greco alla foce dell'OronteP le attestazioni
sono pressoché univocamente relative a materiali fenici nell'Egeo 4 In
tale ambito è possibile individuare due nuclei di documentazione parti-
colarmente forti, identificabili da un lato a Creta e dall'altro nell'Eu-
bea, regioni raggiunte da materiali fenici non solo quantitativamente ri-
levanti ma anche qualitativamente notevoli. I materiali di Lefkandi, in
specie, indicano una continuità di relazioni commerciali ad alto livello:
'J. BOARDMAN, Al Mina and history, in «Oxford Journal of Archaeology», IX (1990), pp.
177•78.
• Sintesi recente dei dati in c. BONNET, Monde égéen, in v. KRINGS (a cura di), La civilisation
phénicienne et punique. Manuel de recherche, Leiden- New York · Kiiln 1995, pp. 646-62. Se pure,
come afferma BOARDMAN, Al Mina ci t., p. 178, la presenza di ceramica greca a Tiro tra il x e l'vm
secolo può essere un corrispettivo del ritrovamento di reperti fenici nell'Egeo, non può non sot·
tolinearsi la consistenza assai differente delle due serie.
Bondf Fenici, Punici, Greci 371
coppe, gioielli, athyrmata, ceramica mostrano, sin dalla fine del II mil-
lennio a. C., una densità di rapporti con il mondo fenicio che non è pos-
sibile intendere solo come sporadiche attività di scambio commerciale.
Ugualmente a Creta, a partire dalla celebre coppa iscritta di Tekkè (ini-
zi del IX secolo a. C.), una serie di ritrovamenti tra cui fanno spicco i fa-
mosi bronzi orientali del monte Ida testimonia l'arrivo, e poi l'imita-
zione sul posto, di oggetti pregiati di provenienza orientale e in specie
fenicia'
La profondità delle relazioni tra Fenici e Greci nell'Egeo (per cui va
certamente chiamata in causa la partecipazione di Fenici di Cipro, re-
gione in cui una loro stabile presenza è già attestata dalla metà del rx se-
colo a. C.) è ampiamente dimostrata, come si accennava, dalla natura
dei ritrovamenti: i materiali rinvenuti a Lefkandi e a Creta e la succes-
siva appropriazione da parte delle locali genti greche di processi di ela-
borazione dei materiali (soprattutto metallici) conosciuti attraverso le
importazioni fenicie adombrano un processo di «esportazione di tecno-
logia» (es.: la granulazione per i metalli) che apparenta le frequentazio-
ni fenicie in questa zona ai modi delle relazioni che i Fenici stessi in-
trecciarono con i loro confinanti vicino-orientali: si pensi al contributo
dei Tiri alla costruzione e all'arredo del Tempio di Gerusalemme nel x
secolo a. C., secondo la testimonianza del I libro dei Re'.
Si comprende dunque come questa stagione dei rapporti tra Greci e
Fenici sia stata da un lato straordinariamente produttiva in termini di
reciproche influenze culturali e dall'altro sia rimasta n,el tempo quasi co-
me simbolo irrigidito dell'incontro tra le due etnie. E questa la fase in
cui (probabilmente nel IX secolo a. C. e quasi certamente in uno degli
scali greci della costa levantina) avviene la trasmissione della scrittura
fenicia ai Greci7 In questo stesso periodo, come attestano le fonti ome-
riche8, si afferma non solo la presenza dei Fenici nelle acque dell'Egeo,
ma anche una forma del loro commercio che a piu di un osservatore è
apparsa già fortemente «occidentalizzata»', cioè strutturata in modo da
87-91, sulla sostanziale equivalenza nei modi dell'organizzazione commerciale tra Fenici e Greci
nella fase qui discussa. Cfr. anche s. l'. BONDi, Sull'organizzazione dell'attivi/lÌ commerciale nella so-
cietiÌ fenicia, in Stato economia lavoro nel Vicino Oriente antico, Milano 1988, pp. 348-62.
10
EZECHIELE, 27.}·25.
11
Per tale interpretazione cfr. G. GARBINI, I Fenici. Storia e religione, Napoli 1980, pp. 65-69.
u Odissea, 14.285-97, 15. 415-84; Iliade, 23.741-45·
" La piu attenta analisi del commercio fenicio nell'Egeo per la fase che qui interessa è di ME·
LE, Il commercio cit., pp. 87-91.
" Cfr. su tali temi s. F. BONoi, Note sull'economia fenicia- l. Impresa privata e ruolo dello Sta-
to, in «Egitto e Vicino Oriente>>, l (1978), pp. 139-49; per una piu recente messa a punto del pro-
blema cfr. MOSCATI, Chi furono i Fenici cit., pp. 45-53.
" II tema è stato approfondito in specie da M. Borro, Studi storici sulla Fenicia. L' vnr e il VII
secolo a. C., Pisa 1990; con specifico riferimento all'attività dei Fenici verso settentrione, diret-
trice a cui è anche legata la loro presenza nell'Egeo, cfr. ID., L'attivi/lÌ commerciale fenicia nel/afa-
se arcaica in relazione alla direttrice siro-anatolica, in Atti del II congresso internazionale di studi feni-
ci e punici, Roma 1991, Il, pp. 259-66.
Bondi Fenici, Punici, Greci 373
gia registra con la seconda metà dell 'vm secolo a. C. 16 E qui torna utile
la notazione precedente a proposito del carattere di non esclusività del
rapporto greco-fenicio: mentre diminuisce la presenza fenicia nell'Egeo,
come conseguenza delle difficoltà di movimento nell'area settentriona-
le della costa levantina a seguito dell'iniziativa assira, non cessano cer-
tamente i rapporti tra i Greci e quest'area, che sono però adesso affi-
dati a contatti con altre genti, e segnatamente con gli Aramei.
Nella considerazione della straordinaria importanza che il confron-
to con il Levante assume ora- all'alba della fase orientalizzante- per i
Greci e nella constatazione di quanto maggiori siano in tale fenomeno
gli apporti siro-ittiti che non quelli fenici sta una delle chiavi d'inter-
pretazione di questo periodo, secondo un'impostazione che negli anni
recenti si è compiutamente affermata dopo che uno studio di Giovanni
Garbini ne aveva adombrato le coordinate oltre trent'anni fa"
" Il problema fu già evidenziato e discusso da A. M. BIS!, Ate/ien phéniciens dans le monde égéen,
in L LIPISKI(a cura di), Studia Phoenicia V Phoenicia and the East Medite"anean in the First Mi/.
lcnnium B.C., l..euven 1987, pp. 225·37.
17
G. GARBINI, I Fenici in Occidente, in <<Studi Etruschi», XXXIV (1966), pp. 111·47·
" Tra i molti contributi, sia teorici sia dedicati a una discussione della documentazione di ri-
ferimento, si segnalano per tale problematica s. MOSCATI, Precolonizzazione greca e precolonizza-
374 Gli «altri» e i Greci
zione fenicia, in «Rivista di studi fenici», XI (1983), pp. 1-7; Momenti precoloniali nel Mediterra-
neo antico, Roma 1988; con specifico riferimento alla Sardegna, ma con ampi riferimenti al com-
plesso della situazione mediterranea e segnatamente alle relazioni greco-fenicie nell'Egeo e a Ci-
pro, P. BERNARDINI, Micenei e Fenici. Considerazioni sull'età precoloniale in Sarde!Jna, Roma 1991.
Riserve sull'applicabilità del concetto di precolonizzazione e sulla stessa ampiezza dell'orizzonte
coperto dalle prime frequentazioni fenicie in Occidente sono rispettivamente in Il. G. NIEMEYER,
Die Phonizier und die Mittelmeerwelt im Zeitalter Homers, in «Jahrbuch des Réimisch-germanischen
Zentralmuseums», XXXI (1984), pp. 3·94, e in M. E. AUBET, Tiro y las colonias fenicias dc Occi-
dente, Barcelona 1994', in specie pp. 173-87.
" Per la Sicilia cfr. s. 1'. BONDi, Problemi della precolonizzazione fenicia nel Mediterraneo cen·
tra-occidentale, in Momenti precoloniali ci t., pp. 24 3-4 7; l.. GUZZARDI, Importazioni dal Vicino Orien-
te in Sicilia fino all'età orientalizzante, in Atti del II confjresso internazionale ci t., III, pp. 94 1-54; per
la Sardegna, oltre a BERNARDINI, Micenei cit., cfr. s. 1'. BONDf, La frequentazione precolonialefeni·
cia, in M. GUIDEITI (a cura di), Storia dei Sardi e della Sardc!Jna, l. Dalle orifjini alla fine dell'età bi-
zantina, Milano 1988, pp. 129-45; s. F. BONDi, Le prime frequentazioni fenicie, in P. BARTOLONI, s.
F. BONDi e s. MOSCATI, La penetrazione fenicia e punica in Sardefjna. Trent'anni dopo, Roma 1997,
pp. 10·J3.
20
Cfr. BERNARDINI, Micenei ci t., pp. 16, 22-24.
" Si indica in sostanza, per le prime frequentazioni fenicie verso Occidente, un modello non
dissimile da quello fondato sulla cooperazione tra entità palatine attestato dall'Antico Testamen-
to per i rapporti tra Hiram di Tiro e Salomone di Gerusalemme: cfr. 1 Re, 9.26-zB, 10.11, 10.22.
" Nel contesto complessivo delle emergenze in grado di documentare, per livelli cronologici
prossimi all'avvio del movimento coloniale, la presenza congiunta di elementi greci e fenici in Oc·
cidente è ora di fondamentale rilievo la documentazione ceramica fenicia e greca raccolta nel com·
Bondf Fenici, Punici, Greci 375
plesso nuragico di Sant'Imbenia presso Alghero. Per una presentazione d'assieme dei dati, corre-
lata in specie alla problematica qui evidenziata, cfr. Fenici e indigeni a Sant'Imbenia (Alghero), in
P IIERNARillNI, R. D'ORlANO e P. G. SPANU (a cura di), Phoinikes b Shrdn. I Fenici in Sardegna. Nuove
acquisizioni, Oristano 1997, pp. 45-53, 229-34.
1
' Il riconoscimento della nuova realtà complessiva nei rapporti greco-fenici a seguito sia dei
più recenti ritrovamenti relativi alle piu antiche colonie fenicie sia al riesame delle tradizioni let-
terarie antiche che assegnavano loro datazioni altissime (fino al XII secolo a. C.) è stato avviato da
s. MoSCATI, Fenici e Greci:alle origini di un confronto, in <<Kokalos>>, XXX-XXXI (1984-85), pp.
l·.L!.
376 Gli «altri» e i Greci
te messo in luce da numerosi studi24 e che trova un altro nucleo di do-
cumentazione nei materiali che, a partire dalla coppa di Vetulonia, con-
siderata il piu antico apporto artigianale fenicio in Etruria e databile al-
la seconda metà dell'vm secolo a. c.zs, raggiungono il Latium vetus e la
stessa Etruria. E che di presenza si tratti, e non di semplici apporti di
materiali, è comprovato dai recenti ritrovamenti nel comprensorio cam-
pano, che indicano- non solo a Ischia26 , ma anche nel retroterra27 - in-
fluenze del repertorio ceramico fenicio che difficilmente possono attri-
buirsi soltanto alla mediazione dei residenti greci.
Tale fenomeno di compresenza induce a domandarsi quale sia il re-
tro terra di strutture sociali che lo favorisce; a giudicare sia dalle indica-
zioni delle fonti letterarie, sia dalla natura delle testimonianze archeo-
logiche, il moto di propulsione verso Occidente scaturisce ed è gestito
da ceti emergenti della società fenicia, affrancatisi dal condizionamen-
to politico del palazzo e in grado di suscitare forze economiche e de-
mografiche assai consistenti, talora - come sembra essere adombrato an-
che dal mito di fondazione di Cartagine - in aperto contrasto con gli ap-
parati politici. In sostanza, come ebbi modo di notare in altra sede28 , i
Fenici che gestiscono e organizzano il movimento di espansione e poi di
colonizzazione mediterranea2 ' sembrano conoscere un processo di <<OC-
cidentalizzazione» che certo favorisce la contiguità e la collaborazione
con ambienti greci di struttura sociale non dissimile.
Quanto al problema degli apporti greci in ambito fenicio agl'inizi
dell'età coloniale, la situazione è meno agevole a definirsi. I piu recen-
ti scavi in Sardegna, a Cartagine e in Spagna hanno rivelato una note-
"M. BOTIO, Considerazioni sul commercio fenicio nel Tirreno durante l'viii e il VII sec. a. C. I,
in <<Annali dell'Istituto Orientale di Napoli (Archeologia e Storia Antica)», Xl (1989), pp. 233·
251; m., Considerazioni sul commercio fenicio nel Tirreno durante l'viii e il VII sec. a. C. Il: le anfore
da trasporto nei contesti indigeni del «Latium vetus», ivi, XII (1990), pp. 198·215; ID., I commerci
fenici nel Tirreno centrale: conoscenze, problemi e prospettive, in I Fenici: ieri oggi domani. Ricerche
scoperte progetti, Roma 1995, pp. 43·53·
11
Cfr. G. MARKOE, Phoenician Bron::ce and Silver Bowls /rom Cyprus and the Mediterranean, Berke·
ley · Los Angeles· London 1985, n. Er5, pp. 154·56, 202.
" Per la documentazione fenicia di Pitecusa dr. R. F. DOCTER e H. G. NIEMEYER, Pithecoussai:
the Carthaginian connexion o n the archaeological evidence o/ Euboeo· Phoenician partnership in the 8th
and 7th Centuries B.C., in B. D'AGOSTINO e D. RIDGWAY (a cura di), Scritti in onore di Giorgio Buch·
ner, Napoli 1994, pp. ror-15.
27
Il dato riguarda essenzialmente la necropoli di Arenosola: dr. 11. G. HORNSAES, The Campa·
no-Etruscan necropolis of Arenoso/a: examples o/ Phoenician influence on /oca/ pottery - and o/ pos·
sible imports, in <<Hamburger Beitrage zur Archaologie», XIX-XX (1992·93), pp. r63-83.
" s. F. BONDI, Elementi di storia fenicia nell'età dell'espansione mediterranea, in Atti del Il con·
gresso internazionale cit., I, pp. 51·58.
"Sul problema cfr. le acute osservazioni di AUBET, Tiro cit., pp. 104·31, in cui si evidenzia
la progressiva affermazione del commercio privato fenicio rispetto a quello «palatino>>.
Bondi Fenici, Punici, Greci 377
10
Per le varie aree cfr., quanto al Nordafrica, M. VEGAS, Der Keramikimport in Karthago wiih-
n·ml der archaischen Zeit, in <<Mitteilungen des Deutschen Archaeologischen lnstituts (Romische
:\btcilung)», CIV (1997), pp. 351-58; per la Sardegna, dove la documentazione è concentrata pre-
l'alentemente nell'abitato fenicio di Sulcis (area del «Cronicario>>), cfr. da ultimo P. BERNARDINI,
L<' origini di Su/cis, in Carbonia e il Su/cis. Archeologia e territorio, Oristano 1995, pp. 193· 201 (con
ampia bibliografia precedente); ID., L'insediamento fenicio di Su/ci, in Phoinikes b Shrdn cit., pp.
5~·61 Per la Spagna cfr. B. B. SHEFTON, Grr?eks and Grr?ek imports in the South of the Iberian Pe-
nimu!a, in H. G. NIEMEYER (a cura di), Phonizier im Westen, Mainz am Rhein 1982, pp. 337·70.
l l n'utile sintesi delle acquisizioni piu recenti è in J. A. MARTIN RUIZ, Catalogo documenta/ de /os Fe-
nicios en Anda/ucia, Sevilla 1995, pp. 143-45.
" DERNARDINI, L'insediamento cit., p. 6 I.
" s. MOSCATI, Tra Tiro e Cadice. Temi e problemi degli studi fenici, Roma 1989, pp. 132-33 (sul-
la base di precedenti indicazioni dello stesso Bernardini).
11
DERNARDINI, L'insediamento cit., p. 6o.
378 Gli«altri»eiGreci
14
Per le ceramiche moziesi del piu antico strato del to/et (complessivamente privo di impor·
t azioni) cfr. A. CIASCA, Note mo;;iesi, in Atti del I congresso internazionale di studi fenici e punici, Ro·
ma 1983, II, pp. 6q-23.
" Cfr. v. TUSA, <<La necropoli arcaica e adiacenze». Lo scavo del 1970, in Mozia- VII, Roma
1971, pp. 34-55 (gruppo di 16 tombe, le piu antiche dell'isola, prive in modo quasi sistematico di
importazioni greche).
Bondf Fenici, Punici, Greci 3 79
" Un eccellente quadro della dinamica dei commerci tra Greci, genti levantine e Fenici in ba-
'c ai materiali mobili (in specie ceramica) e allo studio delle emergenze architettoniche in vari si ti
della costa levantina tra x e VI secolo a. C. si trova nello studio di D. BONATZ, Some considerations
"" tbe materia! culture o/ coastal Syria in the Iran Age, in «Egitto e Vicino Oriente», XVI (1993),
pp. 123-57· Il quadro ivi emergente concorre a formulare l'ipotesi di una decisiva destabilizzazio-
ne Jcl commercio fenicio a partire dagl'inizi del vn secolo a. C., con totale scomparsa della cera-
mica fenicia dai siti costieri settentrionali a partire dalla metà dello stesso secolo.
" I Io discusso il problema in Gli studi storici, tra bilanci e prospettive, in I Fenici: ieri oggi do-
mani cit., pp. )7·)8, e in BARTOLONI, BONDI e MOSCATI, La pene/razione cit., pp. )3·)7.
380 Gli «altri» e i Greci
>• TUCIDIDE, 6.2.6. Per un'analisi del passo correlata alle attuali conoscenze sull'espansione fe·
nicia e sul suo rapporto con quella greca cfr. s. MOSCATI, Tucidide e i Fenici, in «Rivista di Filolo·
gia e di Istruzione Classica», CXIII (1985), pp. 129-33.
" Sui piu recenti risultati della ricerca archeologica a Palermo cfr. ora Palermo punica, Paler·
mo 1998.
•• Per Sol unto una buona sintesi dei dati aggiornata ai piu recenti ritrovamenti è in c. GRECO,
Nuovi elementi per l'identificazione di 5o/unto arcaica, in Wohnbauforschung in Zentral- und Westsi·
zilien, Zlirich 1997, pp. 97-u1; ID., Materiali dalla necropoli di 5o/unto. Studi preliminari. La ne·
cropoli di So/unto: problemi e prospettive, in Archeologia e territorio, Palermo 1997, pp. 25-33. Per
il tema del presente contributo è ora fondamentale v. TARDO, Materiali dalla necropoli di So funto.
Studi preliminari. Ceramica d'importazione e di tradizione greca, ibid., pp. 75·93·
41
In questo senso cfr. 1. TAMBURELLO, Punici e Greci a Palermo nell'età arcaica?, in «Koka·
las>>, XII (1966), pp. 234·39·
Bondf Fenici, Punici, Greci 381
" È da rimarcare il fatto che una buona parte di tali materiali perviene lungo itinerari com·
n\erciali che non prevedono la presenza di una partnership greca: si veda ad esempio il caso delle
imrortazioni di ceramiche greco-orientali in Sardegna, per le quali è stato da tempo accertato l'ar-
rivo nell'isola lungo le rotte del commercio etrusco-sardo, gestito con ogni verosimiglianza proprio
oai Fenici dell'isola. Su questo tema si veda in specie c. TRONCHETII, I Sardi, Milano 1988, pp. 81-
'l'J, ' ' }-}0.
382 Gli «altri» e i Greci
" Cfr. in proposito s. F. BONDI, I Fenici in Erodoto, in Hérodote et !es peuples non grecs, Vandreu-
vres-Génève 1990, pp. 285-86.
" ID., Aspetti delle relazioni tra la Fenicia e le colonie d'Occidente in età persiana, in «Trans-
euphratène», XII (1996), pp. 73-83.
" ]. ELAYI, Les sarcophages phéniciens d' époque perse, in« I ranica Antiqua», XXIII (1988), pp.
275-322; cfr. anche M.-L. BUHL, Les sarcophages anthropoiiJes phéniciens en dehors de la Phénicie, in
<<Acta Archaeologica>>, L VIII (1987 ), pp. 213-21; ID. Les sarcophages anthropoiiJes phéniciens trouvés
en dehors de la Phénicie, in Atti del II congresso internazionale cit., II, pp. 675-Br.
Bondi Fenici, Punici, Greci 383
" Per un quadro sintetico della documentazione, si veda il capitolo La Phénicie hellénisée, do·
\'tito a M. Chéhab, nel volume di A. PARROT, M. CIIÉHAB e s. MOSCATI, Les Phéniciens, Paris 1975,
pp. 113·25.
" In tal senso si esprime J. ELAYI, Pénétration grecque en Phénicie sous l'empire pene, Nancy
I<JXil.
" Per le piu significative di queste epigrafi cfr. 11. noNNER e w. ROLLIG, Kanaaniiische und
1
;lramdische lnschriften, Wiesbaden 1971 , l, p. 13; Il, pp. 70-73.
" Sulla situazione politica in Fenicia alla vigilia della conquista di Alessandro Magno e sul cli-
ma all'interno di quelle città durante gli episodi che la determinarono cfr. s. F. BaNni, Istituzioni e
{}(Jiìtìca a Sidone dal 351 al 332 a. C., in «Rivista di studi fenici>>, Il (1974), pp. 149-60.
ga bene la forte influenza che la cultura greca dell'isola esercitò su di es-
si. Anche in quello che fu il piu solido caposaldo fenicio nell'isola, la co-
lonia tiria di Kition, l'aspetto della città fu sostanzialmente quello di un
centro greco, come indica l'analisi delle necropoli e dei maggiori edifici
pubblici e di culto 50 (fatti salvi quelli di piu antica e prestigiosa tradi-
zione fenicia, come il grande santuario di Astarte); ma anche sul piano
della produzione artigianale l'influenza greca è percepibile, persino su
alcune delle classi piu tipiche della produzione fenicia dell'isola, come
la btonzistica figurata.
E interessante la constatazione che questo processo si consolida nel
tempo, a partire dal VI secolo a. C., malgrado la politica persiana abbia
favorito un sostanziale potenziamento delle posizioni fenicie nell'isola.
Proprio a partire dall'età persiana si assiste a Cipro a una penetrazione
fenicia verso l'interno dell'isola e a una diffusione piu ampia sulle co-
ste: i Fenici allora pongono in atto una politica di diretta gestione del
territorio e delle sue risorse, che lascia testimonianze archeologiche di
rilievo 51 •
Ora, questa situazione non sembra aver compromesso in alcun mo-
do i rapporti tra la popolazione greca e quella fenicia; e anzi il livello di
compenetrazione e la sostanziale indifferenza agl'indirizzi politici della
potenza dominante sembrano ben rappresentati dall'atteggiamento dei
regni ciprioti durante la rivolta ionica: secondo la testimonianza di Ero-
doto52 nessuno di essi, ad eccezione di Amatunte, si schierò a fianco dei
Persiani. Ciò, tra l'altro, implica una differenziazione tra Fenici della
madrepatria e Fenici di Cipro che potrebbe essere essa stessa il portato
di un'accentuata integrazione delle comunità fenicie dell'isola con quel-
le elleniche, spinta fino a suggerire decisioni politiche che corrispondo-
no ad autentiche «scelte di campo».
Un aspetto essenziale del rapporto greco-fenicio a Cipro è costituito
dalla religione. Il processo d'integrazione è, in proposito, particolar-
mente evidente e muove dalla precoce interpretatio in senso greco di una
serie di figure divine o mitiche (Eshmun e Reshef come Apollo; Astar-
10
Si vedano i dati raccolti da K. NICOLAOU, The Historical Topography of Kition, Goteborg
1976.
" Per un quadro della situazione storica nell'isola tra il v e il IV secolo cfr. da ultimi A.·M. COL·
LOMBIER, Organisation du territoire et pouvoirs locaux dans l'ile de Chypre à l' époque perse, in« Trans-
euphratène», IV (1991), pp. 21·43; per ricerche in specifici contesti archeologici d'interesse cfr.
v. KARAGEORGms, Two Cypriote Sanctuaries o/ the End o/ the Cypro-Archaic Period, Roma 1977; J.
LUND e L. w. S0RENSEN, The hinterland o/ the kingdom o/ Paphos in the Persian period. Intemal deve-
lopments and extemal relations, in «Transeuphratène», XII (1996), pp. 139-62.
"ERODOTO, 5.104.
Bondi Fenici, Punici, Greci 385
te come Afrodite; Pumay come Pigmalione, per ricordare gli esempi piu
significativi), certo favorita dalla comune frequentazione dei grandi san-
tuari isolani, come quello di Pafo. L'ambientazione cipriota di una se-
rie di miti (la nascita di Afrodite, la vicenda di Pigmalione; secondo una
parte della tradizione quella di Kinyras e Mirrha) nei quali potevano in
qualche modo identificarsi entrambe le etnie va pure considerata un da-
to significativo; e se si tratta per lo piu di interpretazioni greche di nu-
clei mitografici originatisi altrove, un diretto apporto fenicio è invece
ravvisabile nell'accoglimento da parte dell'ambiente greco dell'isola di
specifiche suggestioni legate a precise iconografie divine, come quella
dell' «Astarte alla finestra» che ispirerà il motivo dell'Afrodite parakyp-
tousa.
Cipro, insomma, appare un esempio straordinariamente esplicito e
vitale di un rapporto greco-fenicio alimentato da una lunga e sostan-
zialmente pacifica convivenza, anche quando dirompenti vicende di or-
dine politico e militare divisero in scontri quasi epocali gli schieramen-
ti politici a cui, su fronti differenti, le due comunità avrebb~ro dovuto
teoricamente aderire.
" Cfr. in proposito l'analisi dello scrivente in BARTOLONI, BONDi e MOSCATI, ÙJ penetrazione
(Ìt.,pp. 63·72.
" Cfr. s. MOSCATI, Dall'età fenicia all'età cartaginese, in «Rendiconti dell'Accademia Nazio·
naie dci Lincei>>, serie 89, IV (1993), pp. 20J·II; AUBET, Tiro cit., pp. 293·96.
386 Gli <<altri» e i Greci
iberica (ma vanno tenute presenti anche la corrispondente crisi del mon-
do tartessico e il degrado ambientale nell'area andalusa, sottoposta da
secoli a uno sfruttamento intensivo delle proprie risorse boschive), nel
resto del mondo coloniale si avverte il peso di due fattori destinati a mo-
dificare in modo decisivo il quadro storico-culturale: la cesura nelle re-
lazioni tra la Fenicia e le aree coloniali e, appunto, l'avvento della po-
tenza egemonica di Cartagine.
Il nodo delle relazioni con la grecità è peraltro complicato, in Occi-
dente, da altri fattori: la prima metà del VI secolo a. C. è segnata in Si-
cilia dal primo episodio di aperta belligeranza tra Greci e Fenici, legato
al tentativo di Pentatlo di Cnido di fondare, verso il58o a. C., una co-
lonia ellenica nella cuspide occidentale dell'isolass; mentre proprio agl'ini-
zi di quello stesso secolo si situa una notazione di Tucidides6 , per vero
piuttosto isolata, secondo cui i Cartaginesi (per i quali peraltro non è at-
testata a quel livello cronologico alcuna attività internazionale in baci-
ni cosi lontani dalla loro patria) avrebbero invano tentato di impedire
ai Focei la fondazione di Massalia.
Tali episodi restano tuttavia nulla piu che avvenimenti circoscritti,
privi di un contesto di ostilità o di aperto contrasto. E lo stesso inizio
di una fase di dichiarata contrapposizione bellica tra Fenici e Greci in
Sicilia, che si soleva riportare all'azione del generale cartaginese Maleo
sulla metà dello stesso secolo, sembra ormai doversi spostare assai piu
in basso, una volta accertato che l'obiettivo delle armate di Maleo fu
non la ridiscussione degli equilibri tra Fenici e Greci in Sicilia, bensi la
sottomissione delle città fenicie dell'isola, per~eguita con un'azione mi-
litare diretta proprio contro queste ultimeH E di questi stessi decenni
- seconda metà del VI secolo a. C. -l'avvio di un processo di marcata
ellenizzazione della cultura dei centri punici d'Occidente, che ha sicu-
ramente il suo nucleo fondamentale nella Sicilia, ma al quale la stessa
Cartagine partecipa attivamente.
Con la fine del VI secolo a. C. si diffondono, a Cartagine e in Sar-
degna, quei materiali attici che sostituiscono in modo praticamente ge-
neralizzato le importazioni etrusche e greco-orientali dell'età preceden-
te; in ciò si è visto l'indizio di un nuovo orientamento dei mercati, nei
quali Cartagine stessa svolge adesso un ruolo piu attivo emarginando,
in modo che si direbbe definitivo, l'autonoma presenza delle città feni-
" Fonti per la conoscenza dell'episodio sono DIODORO SICULO, 5.9; PAUSANIA, 10.11.
16
TUCIDIDE, I. 13 .6.
" Cfr. s. 1'. BONDi, <<5iciliae partem domuerant». Maleo e la politica siciliana di Cartagine nel VI
secolo a. C., in E. ACQUARO (a cura di), Alle soglie della classicità. Il Mediterraneo tra tradizione e in·
novazione Studi in onore di Sabatino Moscati, I, Pisa-Roma 1996, pp. 21-28.
Bondi Fenici, Punici, Greci 387
" Per quanto segue cfr. A. CIASCA, Mozia- Note sull'architettura religiosa, in Miscellanea di stu·
di in onore di Eugenio Manni, II, Roma 1980, pp. 501·13.
"lhid., p. 512.
40
DIODORO SICULO, 14·53·
388 Gli «altri» e i Greci
ramica greca restituita dagli scavi, rivela altri notevoli «poli» di elle-
nizzazione, soprattutto per quanto concerne la cultura artigianale. In
questo senso andranno ricordate le terrecotte votive rinvenute nel to/et
dell'isola'\ la maggior parte delle quali, deposte tra il VI e gl'inizi del IV
secolo a. C., è di tipo siceliota o magnogreco'2 Sempre per l'artigiana-
to di Mozia, si deve anche ricordare il vero e proprio impossessamento
di aspetti tipici dell'artigianato siceliota compiuto dagli artigiani della
citt~ nella fase di maggior splendore (VI-V secolo).
E fondamentale in proposito la testimonianza delle arule fittili, una
categoria caratterizzante dell'artigianato della Sicilia greca di cui, come
ha mostrato uno studio recente6J, proprio Mozia diviene, con il v seco-
lo a. C., uno dei maggiori luoghi di produzione. E qui si innesta uno dei
piu importanti aspetti dell'ellenizzazione del mondo punico su cui si tor-
nerà piu oltre: la trasmissione dalla Sicilia al resto di tale mondo degli
apporti ellenizzanti provenienti dall'ambiente siceliota. Proprio le aru-
le documentano questo processo di «esportazione» nelle altre aree fe-
nicie d'Occidente: non a caso, oltre che in Sicilia, esse sono presenti so-
lo nell'opposta costa africana, sul Capo Bon64 •
Accanto agli esempi su cui ci siamo ora soffermati, notevoli perché
provenienti dal tessuto architettonico-urbanistico e dalla produzione
artigianale di Mozia, prima di ritornare al quadro generale politico ed
economico ne andranno richiamati altri, che mostrano su differenti
fronti un non minore livello di penetrazione delle influenze greche. Oc-
correrà rammentare che il corpus delle iscrizioni puniche di Mozia65 è
straordinariamente esteso rispetto alla scarsezza di testi noti per
quell'epoca dal resto dell'ecumene fenicia d'Occidente; e che in ciò può
ravvisarsi forse il portato di influenze da ambienti certamente piu «al-
fabetizzati» quali furono senza dubbio quelli sicelioti; e sembra anda-
re nella stessa direzione il fatto che nella necropoli di Byrgi (sulla ter-
raferma di fronte all'isola di Mozia) sia presente un certo numero di
epigrafi greche di vr e v secolo'', che mostrano la presenza di un nucleo
" Cfr. M. G. Guzzo AMADASI, «Il tophet». Catalogo delle te"ecotte, in Mozia- V, Roma 1969,
pp. 53-1 04; F. BEVILACQUA, «Il tophet». Considerazioni sulle te"ecotte a stampo, in Mozia- VII ci t.,
pp. 109•17.
62
GUZZO AMADASI, «Jl tophet» ci t., p. 54·
" 11. VAN DER MEIJDEN, Te"akotta-Arulae aus Siziliens und Unteritalien, Amsterdam 1993.
64
l termini del problema sono riassunti da A. M. BIS!, Influenze italiote e siceliote nell'arte pu·
ni ca del Nordafrica in età ellenistica, in L. SERRA (a cura di), Gli interscambi culturali e socio-econo-
mici fra l'Africa settentrionale e l'Europa medite"anea, l, Napoli 1986, pp. 171-72.
" M. G. AMADASI Guzzo, Scavi a Mozia- Le iscrizioni, Roma 1986.
'' Cfr. A. CIASCA, Fenici, in <<Kokalos>>, XXXIV-XXXV (1988-89), pp. 87-88.
Bondf Fenici, Punici, Greci 389
di residenti greci, legati certo a Mozia, a cui può essere attribuito tale
ruolo di stimolo.
Va ancora ricordata, accanto alla presenza diretta di prodotti arti-
gianali greci nella parte punica dell'isola, l'esistenza di chiare influenze
elleniche su prodotti di specifica tradizione fenicia, che attesta un livello
di penetrazione anche piu profondo: i casi piu espliciti in proposito so-
no costituiti dai due sarcofagi antropoidi di Pizzo Cannita e dalle figu-
re di divinità femminili in trono note da Mozia e da Solunto: in tutti
questi reperti una tipologia originariamente orientale viene reinterpre-
tata alla luce di movenze e stilemi di chiara impronta greca 67
Ora, per la migliore comprensione dei fenomeni di cui si è detto, due
notazioni s'impongono, relative l'una al quadro dei rapporti politico-mi-
litari tra Punici e Greci in Sicilia, l'altra ad alcuni indicatori economici
concernenti tali rapporti. Per il primo problema, va sottolineato come
gli episodi di belligeranza tra le due parti che si sono susseguiti sul suo-
lo della Sicilia fin dalla seconda metà del VI secolo non hanno mai co-
stituito un ostacolo alla dinamica delle relazioni culturali: se anche l'esi-
to, negativo per i Cartaginesi, della battaglia di Imera del48o a. C. eb-
be come conseguenza il loro sostanziale abbandono dell'isola per un
settantennio, non per questo la Sicilia punica si chiuse agli apporti pro-
venienti dalla grecità isolana, verso cui un'autentica« frontiera>> non esi-
stette se non nelle ultime fasi della presenza politica di Cartagine, sullo
scorcio del IV secolo a. C., in una situazione complessiva profondamen-
te mutata'8 •
Sintomatica è in proposito la testimonianza fornita dalla moneta-
zione": la Sicilia è, tra tutte le regioni puniche del Mediterraneo, la pri-
ma in cui venga battuta moneta già nei primi decenni del v secolo a. C.,
con un'attività autonoma dei singoli centri (che dunque per questo aspet-
to non risultano subordinati a Cartagine), i quali si uniformano nella me-
t_rologia e spesso anche nella tipologia alle emissioni della Sicilia greca.
E evidente il tentativo di adeguarsi a un mercato, quello appunto costi-
tuito dai centri sicelioti, in cui lo strumento monetale era imprescindi-
" Cfr. s. MOSCATI, La Sicilia tra /'Africa fenicio-punica e il Tirreno, in« Kokalos», XXVI-XXVII
l 1 ~8o-8l), pp. 80-94.
" Cfr. P. ANELLO, Il trattato del 405/4 a. C. e la formazione della «eparchia» punica di Sicilia, in
« Kokalos>>, XXIII (1986), pp. 115-79; ID., Rapporti dei Punici con E/imi, Sicani e Greci, ivi, XXX-
VJ.XXXVII (1990-91), pp. 175-213.
" Per il tema è fondamentale A. cuTRONI TUSA, Rapporti tra Greci e Punici in Sicilia attraverso
l'evidenza numismatica, in Atti del I congresso intemazionak cit., I, pp. 135-43. Si veda anche L.·I.
l\IANFREIJI, Le zecche di Sicilia, in E. ACQUARO, L.-1. MANFREDI e A. TUSA CUTRONI, Le monete puni-
che in Italia, Roma 1991, pp. I 1-26.
390 Gli «altri» e i Greci
70
Cfr. ora s. F. BONDi, Carthage, Italy and the "vth Century Problem", in G. PISANO (a cura di),
Phoenicians and Carthaginians in the Westem Mediterranean, Rome 1999, pp. 39-48.
71
Cfr. M. L. UBERTI, Le terrecotte, in E. ACQUARO, S. MOSCATI e M. L. UBERTI, Anecdota Tharrhi-
ca, Roma 1975, pp. 17-50.
72
GIUSTINO, 20.5.12-13-
Bondi Fenici, Punici, Greci 391
" In questo senso cfr. G. MADDOJ.I, Il VIe il v secolo, in Storia della Sicilia, Il, Napoli 1979, pp.
27-54; ID., Gelone, Sparta e la «<ibera1.ione» degli empori, in Nuove ricerche e studi sulla Magna Gre·
eia e la Sicilia antica in onore di P E. Arias, Pisa 1982, pp. 245·52.
70
La tesi è lucidamente argomentata in ANELLO, Il trattato cit.
,. Su tali temi cfr. s. F. BONDi, L 'eparchia punica in Sicilia. L'ordinamento giuridico, in <<Koka·
los», XXXVI-XXXVII (1990·91), pp. 215-31, e ID., La politica siciliana di Cartagine, in Frontiere
e influenze nel mondo punico mediterraneo, in corso di stampa; si veda anche ANELLO, Rapporti cit.
•• D. MUSTI, La storia di Segesta e di Erice tra il VI e il III secolo a. C., in Gli E/imi e l'area elima
Bondi Fenici, Punici, Greci 393
fino all'inizio della prima guerra punica, Palermo I990, pp. I55·7I; cfr. anche s. F. BONDi, Gli Eli-
l!li c il mondo fenicio-punico, ibid., pp. IH-43·
" Si veda quanto riferisce TUCIDIDE, 6.62.2-3, sulla mancata reazione di Cartagine al passag-
gio rrcsso le coste siciliane da lei controllate delle navi attiche; sui rapporti tra Atene e Cartagine
in questo torno di tempo cfr. Il. D. MERITI, Athens and Carthage, in «Harvard Studies in Classical
l'hilology», suppl., I (1940), pp. 247-53; M. TREU, Athen und Karthago und die thukydideische Dar-
'tcllunp,, in <<Historia», III (I954l. pp. 41-57; K. F. STROIIEKER, Die Karthagergesandschaft in Athen
-406 v Chr., ivi, pp. 4I·57·
" DIODORO SICULO, I 3. I I 4.
"Ibid., q.65.
" Per una sintesi delle scoperte cfr. G. FIORENTINI, Monte Adranone, Roma 1995.
"lbid., pp. 29·3!.
394 Gli «altri» e i Greci
86
DIODORO SICULO, 14·53·
"' Cfr., sul piano metodologico generale, l'impostazione di c. ooNNET e P. XELLA, La religion,
in KRINGS (a cura di), La civilisation cit., pp. 316-33.
'' Sulle figure divine di Melqart e di Astarte si vedano le due monografie loro dedicate re-
centemente: c. llONNET, Mc/qart Cultcs et mythes dc /'Heraclès tyricn en Méditerranée, Louvain-Na-
mur 1998; ID., Astarté, Roma 1995: l'effettiva origine orientale del culto di Afrodite è valutata con
cautela (pp. 147-50).
89
È notevole a Malta la presenza di due iscrizioni bilingui con dediche rispettivamente a Mel-
q art e a Eracle: M. G. GUZZO AMA DASI, Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in Occidente, Ro-
ma 1967, nn. Malta I-Ibis, pp. 15-17·
Bandi Fenici, Punici, Greci 395
'" Cfr. s. F. BONDi, Osseroa:àoni sulle fonti classiche per la colonizzazione della Sardegna, in Sag-
,,fenici- I, Roma 1975, pp. 49-66, e l'eccellente studio di L. BREGUA PULCI DORIA, La Sardegna ar-
C<Iica tra tradizioni euboiche e attiche, in Nouvelle contribution à l' étude de la société et de la coloni-
sali an eubéennes, Naples 1981, pp. 61-95.
91
BONNET e XELLA, l..a religion cit., p. p8.
" Cfr. s. RIBICHINI, Adonis. Aspetti «orientali» di un mito greco, Roma 1981; Adonis, Atti del
colloquio (Roma, 22-23 maggio 1981), Roma 1984. Su vari aspetti del rapporto tra religione pu-
nica c mondo classico ha richiamato l'attenzione ID., Poenus Advena. Gli dei fenici e /'interpreta-
~ume classica, Roma 1985.
" DIODORO SICULO, 14.77.4-5; cfr. P. X ELLA, Sull'introduzione del culto di Demeter e Kore a Car-
lal',ine, in <<Studi e materiali di storia delle religioni>>, XL (1969), pp. 215-28.
" Una sintesi delle occorrenze, a partire dallo studio di un complesso sardo, è stato effettua-
to di recente da P. REGOLI, I bruciaprofumi a testa femminile dal nuraghe Lugherras (Paulilatino), Ro-
ma 1991, in specie pp. 55-83.
" Sul tema cfr. da ultimo s. PIRREDDA, Per uno studio delle aree sacre di tradizione punica della
SardeRna romana, in A. MASTINO e P. RUGGERI (a cura di), L'Africa romana, Atti del X convegno di
>tudio (Oristano, 11-13 dicembre 1992), Sassari 1994, pp. 831-41.
396 Gli «altri» e i Greci
,. L'analisi piu recente del monumento si deve a E. ACQUARO, Tharros tra Fenicia e Cartagine,
in Atti del II congresso intema::àonale ci t., Il, pp. 547-58.
" F. BARRECA, Lo scavo del tempio, in Ricerche punichead Antas, Roma 1969, pp. 36-37 e fig. 3·
" s. MOSCATI, Sicilia e Malta nell' etàfenicio-punica, in «Kokalos>>, XXII-XXIII (1976-n), pp.
147-61; A. CIASCA, Malte, in KRINGS (a cura di), La civi/isation cit., pp. 698·711.
" A. CIASCA, Documenti di architettura fenicia e punica a Malta, in Atti del II congresso interna·
zionale cit., Il, pp. 755-58; ID., Some considerations regarding the sacrifica/ precincts at Tas-Si/g, in
«Journal of Mediterranean Studies>>, III (1993), pp. 225-44.
Bondf Fenici, Punici, Greci 397
al massimo per far uscire dalle nebbie un passato greco dai contorni in-
definiti100. La storia della Fenicia successiva al 3 2 3 a. C. è dunque a pie-
no titolo storia dell'Oriente ellenizzato; e dalla lingua all'architettura,
dalla statuaria all'artigianato minore gl'indicatori fondamentali riflet-
tono ampiamente tale stato di cose.
Non mancano, tuttavia, in Oriente aspetti di vera e propria soprav-
vivenza culturale dell'identità fenicia, se non addirittura di reviviscen-
za di quella che potrebbe definirsi «coscienza nazionale». Il fenomeno,
certo non generalizzato, appare comunque tipico di una certa «intellet-
tualità» dell'area siro-palestinese sia nel periodo ellenistico sia, ancora
vari secoli piu tardi, nella fase imperiale romana ed è inteso a rivendi-
care antichità e dignità delle tradizioni vicino-orientali, e in specie fe-
nicie, a petto di quelle elleniche. Accanto a questi elementi non va sot-
taciuta la forte continuità ravvisabile in alcune espressioni tradizionali
della religione e dell'artigianato, che mostrano ancora un sostanziale ra-
dicamento almeno all'inizio dell'età ellenistica.
Procedendo con ordine, la sostanziale coscienza, da parte dei Feni-
ci dell'epoca post-alessandrina, della loro diversità d'origine, quando
non della superiore dignità delle proprie radici rispetto a quelle del mon-
do greco, si coglie assai bene dall'osservatorio della letteratura storia-
grafica prodotta da scrittori in lingua greca di ambiente siro-palestine-
se: è una lunga teoria di autori che si dipana per vari secoli 101 e che tro-
va la sua conclusione- e forse l'esempio piu significativo- in Filone di
Biblo, vissuto tra la fine del I e la prima parte del n secolo d. C. 102
La rivalutazione del piu remoto passato fenicio è parte di quel recu-
pero, che fu tipico dell'età considerata, delle antichità della regione ad
opera di un ampio numero di autori localP 0\ rappresentanti di una vera
c propria «tradizione erudita specifica» 104 dei Fenici la quale (ed è que-
sta un'acquisizione che si deve alla critica piu recente) non si limitò, co-
me pure i suoi esponenti rivendicavano, a trascrivere atti e documenti
di altissima antichità, ma provvide a rielaborare tradizioni antiche; sic-
ché, per usare la terminologia del Baumgarten, le «ancient traditions»
100
1.. TROIANI, I Fenici e la tradizione storica classica, in Atti del II congresso internazionale cit.,
L pfl. 21J-16.
'"'Si veda in proposito ID., L'opera storiografica di Filone da Byblos, Pisa 1974, pp. 30-32.
102
Cfr. in particolare nella vasta bibliografia disponibile, oltre all'opera citata alla nota pre-
cl'dl'nte, I. UAUMGARTEN, The Phoenician History o/ Philo o/ Byblos, Leiden 1981; L. TROIANI, Con-
lrihuto alla problematico dei rapporti tra storiogra/ia greca e storiogra/ia vicino-orientale, in «Athe-
nal'uon», LXI (1983), pp. 427-38; G. GARBINI, La letteratura dei Fenici, in Atti del Il congresso inter-
na~ronale cit., Il, pp. 489-94.
••• Cfr. TROIANI, L'opera cit., pp. 30·32 .
••• lbid., p. 37·
398 Gli <<altri» e i Greci
10
' llAUMGARTEN, The Phoenician History cit., p. 266.
106
GARBINI,La letteratura cit., p. 494·
107
BAUMGARTEN, The Phoenician History ci t., p. 268.
108
P. MAGNANINI, Le iscrizioni fenicie dell'Oriente, Roma 1973, pp. 8-ro.
10
' Ibid., pp. r6-30.
110
Ibid., p. 30 n. 5·
111
È ancora utile in proposito la breve sintesi di M. H. Chéhab nel capitolo dedicato al tema
<<La Phénicie helléniséé», in PARROT, CHÉIIAB e MOSCATI, Les Phéniciens cit., pp. I 13-25.
Bondi Fenici, Punici, Greci 399
112
Cfr. M. DUNAND e R. DURU, Oumm el-Amed, une ville de /'époque hellénistU;ue aux échelles
dc Tyr, l-II, Paris 1963.
111
M. <:IIÉIIAD, Les terres cuites de Kharayeb, Paris 1951-54-
1" CIAS<:A, Documenti ci r.
1
" Sulla cultura materiale del centro cfr. come sintesi recente c. A. DI STEFANO, Lilibeo punì·
ca, Marsala 1993, soprattutto pp. 39-52.
116
Sulla documentazione ceramica di questo centro nella fase qui discussa è fondamentale ora
lo stuclio di r.. CAMPANELLA, Ceramica punica ellenistica da Monte Sirai, Roma 1999.
400 Gli <<altri~ e i Greci
117
Cfr. DONNER e ROLLIG, Kanaaniiische und Aramiiische Inschriften cit., nn. 175·77-
Cfr. E. ACQUARO, Il tipo del toro nelle monete puniche di Sardegna e la politica barcide in Oc-
118
cidente, in <<Rivista di studi fenici», II (1974). pp. 105·7.
]AN ASSMANN
Introduzione.
Non si può immaginare la storia culturale della prima età moderna
senza l'Egitto. Il Rinascimento fu dominato dall'influsso dell'antichis-
simo saggio Ermete Trismegisto, promanando dal quale la sapienza si
diffondeva e si perdeva attraverso i tempi e i popoli; l'Illuminismo si po-
neva nel segno di lside, la Madre Natura, nei cui misteri i fratelli mas-
soni lavoravano a un mondo nuovo di pace e di ragione. Solo con la de-
cifrazione dei geroglifici e gli scavi sistematici del XIX secolo quest'im-
magine dell'Egitto cominciò a svanire come un miraggio e a lasciare
libera la vista su un imponente ma sconosciuto campo di rovine.
Com'era possibile che proprio l'Egitto, ormai decaduto, potesse svi-
luppare una cosi straordinaria forza d'irradiazione? Ciò che qui irra-
diava erano non i resti della cultura egiziana antica stessa - le piramidi,
i templi e le tombe, che già prima di quegli scavi avvincevano la curio-
sità e la fantasia dei viaggiatori -, ma l'immagine che antichi autori di
lingua greca e (piu raramente) latina avevano delineato della cultura
deli' antico Egitto.
L' «egittologia» dei Greci, che produsse quest'immagine dell'Egitto,
dev'essere considerata come un capitolo importante della storia europea
delle idee, il quale merita, una volta tanto, di venir trattato di per se stes-
so e non solo in relazione agli scorci conoscitivi che ci offre della cultu-
ra dell'antico Egitto 1• La sua autenticità sta non nel contenuto informa-
Questo studio è stato sviluppato a Monaco, nell'ambito di un soggiorno di ricerca finan-
ziato dalla Fondazione C. F. v. Siemens.
' I contributi piu importanti su questo argomento sono F. ZUCKER, Athen und iigypten bis auf
den Ile~inn der hellenistischen Zeit, in Aus Antike und Orient. Festschrift W Schubart zum 75· Ge-
hurtstag, Leipzig 1950, pp. 146-65; c. FROIDEFOND, Le mirage égyptien dans iiJ littérature grècque
d' flomère à Aristote, Aix-en-Provence 1971; K. A. D. SMELIK e E. A. HEMELRIJK, "Who knows not
w ha t monsters demented Egypt worships ?" Opinions on Egyptian anima/ worship in antiquity as pari of
tbe ancient conceptions of Egypt, in ANRW, Il, 17/4 (1984), pp. 1852-2000, 2337-57; F. HARTOG,
L<•s Grecs égyptologues, in «Annales (ESC)», XLI (1986), pp. 953-67; ID., Mémoire d'Uiysse:récits
sur la /rontièrr? en Grèce ancienne, Paris 1996 (Voyages d' Egypte); s. M. BURSTEIN, Graeco-Africana.
Studies in the History of Greek ReiiJtions with Egypt and Nubia, New Rochelle - Athens 1995; G.
HJWDEN, The Egyptian Hermes. A Historical Approach to the Late Pagan Mind, Cambridge 1986. Im-
402 Gli «altri>> e i Greci
tivo, ma nella sua forza speculativa e nella sua fantasia utopica. L'im-
magine greca dell'Egitto era nata da un fascino che si può facilmente com-
prendere. Con l'Egitto un pezzo dell'età della pietra, una cultura che,
nei tratti fondamentali della sua semantica e del suo linguaggio formale,
era stata plasmata nella prima metà del III millennio ed era rimasta viva
anche in seguito, si stagliava come un blocco erratico fin entro il mondo
moderno, illuminato, multiculturale dell'ellenismo. L'incontro con l'Egit-
to era per i Greci un viaggio nel tempo, alle sorgenti del passato.
Tuttavia quest'immagine dell'Egitto non è affatto una costruzione
puramente greca; gli Egiziani vi rivestono un ruolo considerevole. I Gre-
ci comunicavano con i« barbari» tramite interpreti e dipendevano quin-
di dalle conoscenze che gli Egiziani avevano del greco. Essi delinearo-
no un'immagine dell'Egitto che era stata predeterminata dagl'informa-
tori egiziani e descrissero il mondo egiziano cosf come esso voleva essere
visto dai Greci. Almeno fino a un certo punto siamo autorizzati a leg-
gere le descrizioni dell'Egitto di Erodoto e Diodoro come testimonian-
ze di un'autorappresentazione tardoegiziana. Ai Greci la cultura stra-
niera servi come uno specchio, che rifletteva loro una controimmagine
della propria cultura e li aiutava cosf a definire piu nettamente il pro-
prio mondo. A loro volta le domande poste dai Greci indussero gli Egi-
ziani a occuparsi di temi che fino a quel momento per loro non erano
stati problematici. Eliodoro fa dire al suo sacerdote egiziano: «Essi mi
ponevano molte domande sugli dèi e sui culti egiziani, come pure sui di-
versi animali che le genti del mio paese venerano, e si meravigliavano di
questa varietà e chiedevano spiegazioni su ciascuno di questi culti, sul-
la costruzione delle piramidi e sui labirinti delle tombe. In breve essi
non trascuravano nessuna delle meraviglie dell'Egitto, poiché non c'è
alcuna regione sulla terra, della quale i Greci ascoltino raccontare con
tale curiosità»2 • In questo modo essi spinsero gli Egiziani ad articolare
portante è anche s. MORENZ, Die Begegnung Europas mit Agypten. Mit einem Beitrag von Martin Kai-
ser· Herodots Begegnung mit Agypten, in <<Sitzungsberichte der Sachsischen Akademie der Wissen-
schaften zu Leipzig. Philologisch-historische Klasse>>, CXIII, 5 (1968). L'immagine nel comples-
so positiva, influenzata dalla meraviglia, che i Greci hanno fornito dell'Egitto, del paese e della
sua cultura, contrasta peculiarmente con la loro avversione verso gli Egiziani, considerati avidi,
scaltri, inaffidabili e servili. Il verbo atyvn~uitnv indica un comportamento astuto, scaltro, sub-
dolo. In merito cfr. SMELIK e HEMELRIJK, W ho knows ci t., pp. 1869-79. Lo studio di Smelik e He-
melrijk traccia, riguardo al tema del culto degli animali, un quadro unilateralmente negativo della
ricezione dell'Egitto in antico. Cfr. al contrario E. HORNUNG, Das esoterische Agypten. Das geheime
Wissen der Agypter und sein EinfluP auf das Abendland, Miinchen 1999, in particolare pp. 27-32; A.
MOMIGLIANO, Alien Wisdom. The Limits of He/leni:;ation, Cambridge 1975 [trad. it. Torino 1980],
si limita alle culture e alle tradizioni scoperte dai Greci nel corso dell'ellenizzazione: Romani, Cel-
ti, Ebrei e Persiani (zoroastrismo), lasciando fuori l'Egitto perché ha interessato i Greci fin dai
tempi di Omero.
1
ELIODORO, 2.27.3·2.28.2.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 403
in maniera piu completa il loro mondo, servendosi non solo della lingua
greca, ma anche delle problematiche greche. Nel caso dell'egittologia
greca abbiamo dunque a che fare con un dialogo nel quale la curiosità
dei Greci incontra l' autorappresentazione degli Egiziani.
In questa sede le fonti greche sull'Egitto c'interessano dunque non
rispetto alla credibilità di ciò che riferiscono sulla cultura egiziana, ma
rispetto all'immagine dell'Egitto che da esse si ricava e che, nonostan-
te la sua componente piu o meno immaginaria o fittizia, è divenuta
un'entità di rilevanza storica in quanto tale. Ma se anche questo quadro
dell'Egitto è ampiamente immaginario, bisogna sempre considerare che
gli Egiziani stessi devono aver ricoperto un ruolo importante nella sua
costruzione.
l.
IL CONTESTO STORICO.
Figura 1.
Raffigurazione di Cretesi (Keftiu) nella tomba di Rechmire (Tebe n. 100, 1450 a. C. circa).
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 405
L'epoca piu importante per i contatti fra Greci ed Egiziani e per il for-
marsi dell'immagine greca dell'Egitto è l'età della XXVI dinastia, chia-
mata anche età saitica per via della provenienza da Sais della casa regnante;
e questo per tre ragioni: r) questa età portò in Egitto una massa d'immi-
'J. OSING, La liste des toponymes égéens du tempie funéraire d' Aménophis III, in m., Aspects de
la culture pharaonique. Quatre leçons au Collège de France, Paris 1992, pp. 25·36.
10
M. BONTTY, The Haunebu, in «Gottinger Miszellen>>, CXLV (1995), pp. 45 sgg., preferi-
rebbe vedere in J:IJ .w nbw non l'indicazione di uno specifico gruppo etnico, ma un'espressione ge-
nerale per <<straniero».
406 Gli «altri» e i Greci
3. L'età persiana.
" s. oow, The Egyptian cults in Athens, in «Harvard Theological Review», XXX (1937), p.
185; ZUCKER, Athen cit., pp. 151 sg.; SMELIK e IIEMELRIJK, Who knows cit., p. 1871.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 409
20
Cfr. J. ASSMANN, Die Zeugung des Sohnes. Bi/d, Spie/, Erziih/ung und das Prob/em des ijgypti·
schen Mythos, in J. ASSMANN, w. BURKERT e F. STOLZ (a cura di), Funktionen und Leistungen des
Mythos. Drei altorienta/ische Beispie/e, Freiburg-Gottingen 1982, pp. 13-6r.
21
Con ogni verosimiglianza anche queste circostanze non sono affatto casuali: cfr. w. BURKERT,
Demaratos, Astrabakos und Herak/es, in «Museum Helveticum>>, XXII (1965), pp. r68 sg.; MERKEL·
BACH, Die Que//en cit., pp. 77-83.
22
Cfr. ad esempio K. SETHE, Hierog/yphische Urkunden der griechisch-romischen Zeit, Leipzig
1904, 14 (stele dei satrapi), 91 sg. (stele di Pithom), II 128 sg. (decreto di Canopo).
" Cfr. in particolare la stele di Mendes (Urk II, 28-54) in H. DE MEULENAERE e P. MACKAY,
Mendes Il, Warminster 1976; SMELIK e HEMELRIJK, Who knows cit., pp. 1891-95-
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 4I I
Figura 2. Portatori di offerte sacrificali. Rilievo nella tomba di Petosiride (fine del Iv se·
colo a. C.) in stile greco-egiziano.
412 Gli «altri» e i Greci
" 1.. KOENEN, Die Prophezeiungen des Top/m, in <<Zeischrift fi.ir Papyrologie und Epigraphih,
Il (1968), pp. 178·209; ID., The prophecies of a potter:a prophecy of world renewal becomes an apo-
,.,i/yf!H', in Proceedings o/ the XIIth Intemational Congress of Papyrology, Toronto 1970, pp. 249-54;
DliNAND, L' oracle du potier et la formation de l' apocalyptique en Egypte, in M. PHILONENKO (a cu-
r;t di), l. Apocalyptique, Paris 1977, pp. 54-56; D. B. REDFORD, Pharaonic King-lists, Annals and Day-
hooks, Mississauga 1986, pp. 284-86. D. FRANKFURTER, Elijah in Upper Egypt: the Apocalypse o/
Uiiab and Early Egyptian Christianity, Minneapolis 1993, spiega queste profezie nel senso delle clas-
'ichc descrizioni del caos come <<vaticinia sine eventibus» e rinvia ad altri testi oracolari di conte-
nuto simile, di provenienza egiziana: p. 16o nota 3 (PSI, 982), nota 5 (PSI, 76o); PCair., 31222;
I'Ox)' 2554; PStan/ord, G93bv (J. c. SHELTON, An astrologica! prediction of disturbances in Egypt,
in «Ancient Society», VII (1976), pp. 209-13); PTebt Tait, 13 (w. J. TAIT, Papyrifrom Tebtunis in
l:~yptian and in Greek, London 1977, pp. 45-48); R. A. PARKER, A Vienna Demotic Papyrus on Eclipse
and Lunar Omina, Providence 1959, pp. 35-52.
414 Gli «altri» e i Greci
" K. T. ZAUZICH, Das Lamm des Bokchoris, in Papyrus Erzherzog Rainer: Festschrift ::.um Ioo-iiih-
rigen Bestehen der Papyrussammlung der iisterreichischen Nationalbibliothek, Wien 1983, pp. r65 sgg.;
ID., «Lamm cles Bokchoris>>, in LexikonderAgyptologie, III, Wiesbaden 1980, pp. 912 sg.; REDFORD,
Pharaonic King-lists cit., pp. 286 sg.
" Cfr. ASSMANN, Die Zeugung ci t.
H ERODOTO, 2.42.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 415
" R. MERKELBACH, lsis regina· Zeus Sarapis. Die griechisch-iigyptische Re/igion nach den Que//en
durJ!.crtellt, Stuttgart-Leipzig 1995.
416 Gli «altri» e i Greci
II.
STORIA E TESTI.
10
PLUTARCo, Su Iside e Osiride, 3 1.9. 363c-d; J. G. GRIFFITHS, Plutarch's De Isideet Osiride, Car-
diff 1970.
"JAMBLIQUE, De Mysteriis, a cura di E. Des Places, Paris 1989.
" A. o. NOCK e A. J. FESTUGIÈRE, Hemtès Trismégiste, I-IV, Paris 1945-54. Traduzioni piu re-
c·enti, con commento, si devono a B. COPENHAVER, Hennetica. The Greek Corpus Henneticum and
the Latin Asclepius in a New English Translation with Notes and Introduction, Cambridge 1992, e a
COLPE e J. IIOLZHAUSEN, Das Corpus Hemteticum, Stuttgart- Bad Cannstatt 1997.
" FOWDEN, The Egyptian Hemtes cit., pp. 57·74· Fowden presuppone una considerevole con-
tinuità egiziano-greca nell'ambito della magia, ma si dichiara molto scettico sulle basi egiziane tra-
dizionali della letteratura astrologica e alchimistica.
" l'. W. VAN DER HORST, The secret bierogfypbs in classica/ fiterature, in J. DEN BOEFT e A. H. M.
'i'iFLS (a cura di), Actus:Studiesin HonorofH.L. W Nelson, Utrecht 1982, pp. 115-23; P. w.
'A~ IJFR IIORST, Hieroglie/en in de ogen van Grieken en Romeinen, in «Phoenix», XXX (1984), pp.
·H·5l: E. WINTER, «Hieroglyphen», in RAC, XV (1991), pp. 89 sgg.
" H ori Apollinis Hieroglyphica, a cura di F. Sbordone, Napoli 1940; trad. ingl. G. BOAS, The
l lim,~!yphics of Horapollo, Princeton 1993; ed. tascabile bilingue greco-italiano: ORAPOLLO, I ge-
mRlifici, a cura di M. A. Regni e E. Zanco, Milano 1996.
" Sulla scomparsa della conoscenza scrittoria in età imperiale dr ..!i· STERNBERG- EL HOTABI,
Der llntcrgang der Hieroglyphenschri/t. Schriftverfa/1 und Schrifttod im Agypten der griechisch-romi-
'cben lei/, in «Chronique d'Egypte», XLXIX (199<1l. pp. 218-48.
422 Gli <<altri)) e i Greci
m.
I GRANDI TEMI.
I . La teologia.
" E. R. DODDS, Pagan and Christian in an Age o/ Axiety, Cambridge 1965 [trad. it. Firenze 1959];
cfr. inoltre H. JONAS, Gnosis und spiitantiker Geist, l, Giittingen 1934.
" Cfr. LUCIANO, La dea siriaca, 2: «Gli Egiziani sarebbero stati i primi fra tutti i popoli a noi
noti che hanno elaborato il concetto di divinità ... Non molto dopo i Siri appresero dagli Egiziani
il discorso sugli dèi ed elevarono templi e santuari>>.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 423
" I. M. LINFORTII, Greek Gods and Foreig'!_ Gods in Herodotus, Berkeley r~p6·29. Cfr. inoltre
11\:RGMAN, Beitrag zur Interpretatio Graeca: Agyptische Gotter in griechischer Ubertragung, in s. s.
II.IHTMAN (a cura di), Syncretism, Stockholm 1969, pp. 207·27; K. s. KOLTA, ZurGieichstel/ungiigyp·
lt>chcr un d griechischer Gotter bei Herodot, Diss. Tiibingen r 968; w. BURKERT, Herodo t iiber die Na-
mcn der Gotter: Polytheismus als historisches Problem, in «Museum Helveticum», XLII (r985), pp.
l } l- )2.
60
R. LATTIMORE, Herodotus and the names o/ the Egyptian gods, in <<Classical Philology>>, XXXIV
1''13l)), pp. 357·65.
61
Cfr. J. ASSMANN, Translating gods. Religion as afactor of cultura/ (in)translattJbility, in s. BU·
lli<:K c w. ISER (a cura di), TranslattJbility o/Cultures. Figurations o/the Space Between, Stanford
1 '!'!6, pp. 25·36.
424 Gli «altri)) e i Greci
popoli avevano poi attinto le conoscenze riguardo agli dèi. Questa spie-
gazione risulta vera alla luce dell'eccezione addotta da Erodoto. Egli di-
ce infatti che solo Posidone e i Dioscuri non sarebbero di origine egi-
ziana. Infatti gli Egiziani non conoscono alcun dio del mare: il mare non
ricopre alcun ruolo nel pantheon egiziano. Gli Egiziani parlavano dun-
que dei loro dèi nel senso della loro definizione concettuale. Essi non
parlavano a Erodoto di Ammone, Ra, Thoth, Osiride e cosi via, bensi
utilizzavano le forme greche dei nomi.
La questione è importante perché chiarisce che la interpretatio Grae-
ca del mondo divino egiziano non è una manifestazione delle capacità
combinatorie e inventive greche, ma una tecnica culturale utilizzata in
maniera sistematica dagli Egiziani, come prima di loro dai Babilonesi.
Per loro non si trattava di egittizzare il mondo, ma di utilizzare la lin-
gua e la cultura greche, percepite come superiori, come un tramite per
mezzo del quale si poteva esprimere la propria cultura e renderla visibi-
le agli altri in tutta la sua superiorità. Gli Egiziani stessi avevano un in-
teresse in tale traduzione dei loro dèi in greco: in questo modo essi vo-
levano non solo mostrare che, al di là dei confini culturali, qui come al-
trove erano venerati gli stessi dèi, ma contemporaneamente avanzare la
rivendicazione di essere stati i primi ad aver sviluppato tale venerazio-
ne, riconoscendo gli dèi e stabilendo il rapporto con loro. Si tratta dun-
que non di una speculazione etnico-teologica di Erodoto, ma della con-
vinzione, diffusa in tutto il mondo antico, della traducibilità dei nomi
degli dèi sulla base dell'identità concettuale.
Quando, cento anni dopo, i Greci conquistarono l'Egitto e assunse-
ro l'amministrazione del paese, essi ridenominarono innanzitutto le città
egiziane, in modo da rendere i loro nomi pronunciabili da bocche gre-
che. Si procedette in questo modo: tutte le città ricevettero il nome in
base alle loro divinità cittadine: di norma si potevano adottare i nomi
degli dèi nella loro forma greca affermatasi da tempo e aggiungere -po-
lis (ad esempio Antaiopolis, Aphroditopolis, Apollinopolis, Diospolis,
Eileithyapolis, Hermupolis, Heliopolis, Herakleopolis, Letopolis, ecc.);
in altri casi, in cui o non era reperibile un equivalente greco o si vole-
vano evitare doppioni, si prese l'animale sacro e si coniarono nomi co-
me Hierakonpolis, Krokodilopolis, Kynopolis, Lykopolis, Leontopolis,
Oxyrhynchos ecc. Allo stesso modo si procedette con i nomi propri
teofori: Petephre (l'ebraico Potiphar) diventò Eliodoro, Thutmose Er-
mogene, e via dicendo. Qui il carattere popolare e genuinamente egi-
ziano di questo procedimento appare completamente evidente. La tra-
ducibilità degli dèi si fonda su una convinzione comune a Greci ed Egi-
ziani.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 425
l due altri esempi che Plutarco adduce del carattere segreto della re-
ligione egiziana sono il nome della divinità suprema, che significa «ciò
che è occultato» (qui Plutarco si basa su Manetone e coglie quindi nel
segno), e l'iscrizione sulla statua seduta ('tò rboç) di «Atena, che essi
chiamano anche Iside», che doveva diventare cosi famosa nel XVIII se-
colo ad opera di Kant e Schiller: «<o sono tutto quello che era, che è e
che sarà; nessun mortale ha sollevato il mio peplo»74 • La stessa iscrizio-
ne viene tramandata anche da Proda nel suo Commento al Timeo, e con
" Ibid.
'" Ibid., r.86.
71
ANTONINO LIBERALE, Metamorfosi, 28; cfr. T.
HOPFNER, Fontes historiae re/igionis Aegyptiacae,
llonnae 1922-25, p. 8r. Cfr. anche APOLLODORO, 1.6.3; IGINO, De astronomia, 2.28 (cfr. Fabulae,
"!6); GIUSEPPE FLAVIO, Contro Apione, 2. I I. r8 sg.; LUCIANO, I sacrifici, 14; MITOGRAFO VATICANO,
l l l I e 1.1.86; NIGIDIO FIGULO, Sphaera Graecanica, 122-25; PORFIRIO, Sull'astinenza, J.r6; SER·
\"lo, In Vergi/ii Aeneidos commentarii, 8.698; SUDA, s.v. <<TÙ<jlOç>>. Tutti i passi sono citati da SME·
IIK c I!EMELRIJK, Who knows eh., pp. 1904 sg. e nota 342.
" OVIDIO, Metamorphoses, 3.5; cfr. anche L. STORK, Die Flucht der Gotter, in <<Gottinger Mis-
~dlcn>>, CLV (1996), pp. ro5·8.
" l'l.UTARCO, Su lside e Osiride, 9·354b-c. Cfr. CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 5·3 1.5:
"Perciò gli Egiziani pongono sfingi davanti ai loro templi, per indicare in questo modo che la loro
dottrina religiosa è misteriosa e oscura ... Ma forse il significato di quelle sfingi egiziane sta anche
nel far capire cha la divinità vuole essere sia amata sia temuta; amata in quanto benevola e ben di-
'POsta verso l'uomo pio, ma temuta in quanto inesorabilmente giusta contro gli empi; per questo
motivo la sfinge si compone dell'immagine di un uomo e di un leone».
" «'Ey<i>eÌj.ILndv tò ytyovòç xal Èo6~vov>> (PLUTARCO, Su lside e Osiride, 9· 354c).
428 Gli «altri» e i Greci
La religione egiziana fin dai tempi antichi circondò il sacro con l' au-
ra del misterioso e dell'inaccessibile. E il tacere era considerato in Egit-
to la piu grande virtu. Forse proprio nello specchio di questa cultura au-
tocritica i Greci sono divenuti consapevoli di uno dei tratti del loro ca-
rattere opposti a tale comportamento: la loro ardita curiosità. Pausania"
racconta che una volta un non-iniziato, durante la festa di Iside a Tito-
rea in Focide, «per curiosità e temerarietà» (iJ3tò JtoÀ.UJtQUYJLOoUVTJç 'tE
xat 'tOÀ.JLTJç) sarebbe entrato nell' èiOu'tov; li tutto gli sarebbe apparso pie-
no di dOooÀ.a. Quando, dopo il suo ritorno a casa, lo raccontò, egli mori.
Forse non è un caso che qui Iside rivesta un ruolo; a Iside è collegata an-
che la storia di Lucio, sospinto da curiosità e temerarietà, narrata da Apu-
leio nel suo romanzo L'asino d'oro: qui Iside lo guarisce dalla sua pato-
logica curiosità (curiositas) attraverso l'agognata iniziazione ai misteri.
Con segreti religiosi, però, gli Egiziani non intendevano dei «miste-
ri>> in senso greco, vale a dire segreti nei quali ognuno che ne facesse se-
ria richiesta potesse essere iniziato, per ottenere cosi un particolare sta-
tus di appartenenza alla divinità in questione - Demetra, Dioniso, la
Grande Madre, le divinità cabiriche, Mitra, Iside. La segretezza era un
fenomeno che accompagnava la purezza cultuale; la maggior parte dei
riti aveva luogo nella piu assoluta esclusione del pubblico. In particola-
re i riti che avevano a che fare con la morte e la <uisurrezione» di Osi-
ride erano coperti da segreto, perché il cadavere doveva essere protetto
dalla persecuzione di Seth (cioè Tifone). Il «segreto di Osiride» era il
fatto stesso della sua morte. I Greci interpretarono queste idee e usi al-
la luce dei propri culti misterici, che naturalmente, considerata la mag-
giore antichità della cultura egiziana, essi dovevano comunque ritenere
dci prestiti dall'Egitto 77
16
PAUSANIA, 10.}2.17.
·:ROOOTO, 2. I 71; Ecateo citato da DIODORO SICULO, 1.22.4. W. DURKERT, Antike Mysterien:
Fu111:tionen und Gehalt, Miinchen 1991 2 , p. 44 [trad. it. Roma-Bari 1989].
430 Gli «altri» e i Greci
sua interezza, cosi come le singole divinità cittadine o dei distretti fa-
cevano con la loro regione. Il dio del regno dell'Egitto era, fin dai tem-
pi antichi, il dio del Sole; ogni nuovo pretendente, come ad esempio
Ammone, il dio di Tebe e del distretto tebano, doveva essere equipara-
to al dio del Sole, cioè diventare Amun-Ra, per ricoprire questo compi-
to. Con la rivoluzione monoteista di Ekhnaton questa teologia politica
tradizionale cadde in una seria crisi che, durante la successiva restaura-
zione ramesside, portò alla creazione di una «triade del regno», nella
quale erano state unite le tre divinità delle città sacre d'Egitto: Ammo-
ne di Tebe, Ptah di Menfi eRa di Eliopoli. In questo contesto Osiride
non ricopri mai alcun ruolo. La situazione era radicalmente mutata in
epoca tarda: ora Osiride era assurto a divinità principale e legato in ma-
niera strettissima al dio del Sole, fino a fondersi con esso. In Serapide,
dio «di sintesi», si univano Ammone, Osiride e Ra, vale a dire Zeus,
Ade/Dioniso ed Elio. Nell'elemento «Api» sembra presente in Serapi-
de anche Ptah di Menfi (il greco Efesto) , poiché il toro Api è l'animale
sacro di Ptah e incarna in epoca tarda la regione di culto menfitica.
Il dio Serapide esiste solo in greco; nelle iscrizioni e nell'iconografia
egiziana non viene accolto: qui si chiama Osiride8 • Non si tratta dun-
78
Al contrario i graffiti greci nel tempio dì Osiride ad Abido chiamano il dio per lo piu Sera·
pide; cfr. YOYOTIE, CIIARVET e GOMPERTZ, Strabon ci t., pp. 53 e 249 sgg.
" Cfr. J. ASSMANN, Zeit und Ewigkeit im a/ten Agypten, in «Abhandlungen der Heidelberger
.\kac.Jcmic der Wissenschaften», 1 975; ID., <<Ewigkeit~>, in Lexikon der Agypto/ogie, II, Wiesbaden
1'l77, pp. 47·54· Su Aion cfr. G. ZUNTZ, Aion im Romerreich, in «Abhandlungen der Heidelberger
'\kac.Jcmie der Wissenschaften>>, 1990.
•• Presso quest'antico luogo di culto della divinità egiziana del raccolto Renenutet o (Th)er-
11illthis, Tolemeo Sotere II innalzò un tempio a Iside-Thermuthis.
"' Thiouis =egiziano IJ w' t; copto TIOYI, «l'unica»: cfr. A. VOGLIANO, Primo rapporto degli
432 Gli «altri» e i Greci
scavi condotti dalla Missione archeologica d'Egitto della R _Università di Milano nella zona di Madinet
Madi, Milano I9}6, p. H·
., v F. VANDERUP, Thefour Greek hymns of Isidorus and the cultoflsis, in «American Studies
in Papyrology>>, XII (I 97 2), pp. r 8 sg.; E. BERNAND, lnscriptions métriques de /' Egypte gréco-romai-
ne, Paris I969, pp. 6p sgg., n. I75; M. TOTI1, Ausgewiihlte Texte der lsis-Serapis-Religion, Hildes-
heim- New York I985, pp. 76-82; F. DUNAND, Le syncrétisme isiaqueà la fin de l'époque hellénisti-
que, in F. DUNAND e P. LÉVEQUE (a cura di), Les syncrétismes dans /es religions grecque et romaine, Col-
loque de Strasbourg, Paris I973, pp. 79-93 .
., Su ihjlunoç cfr. M. NILSSON, The high god and the mediator, in «Harvard Theological RevieW>>,
LVI (I963), pp. IO l -20. Su ihl•=oç come denominazione del dio degli Ebrei e traduzione dell'ebrai-
co E/ E/yon cfr. E. BICKERMAN, The Jews in the Greek Age, Cambridge Mass. 1988, pp. 263 sg.; M.
HENGEL, Judentum und He/lenismus, Tiibingen 1988', pp. 545 sg.; c. COLPE, «Hypsistos», in Der
Kleine Pau/y, II, Miinchen I979, pp. I292 sg.
84
APULEIO, Metamorphoseon libri, I 1.5.
1
' J. BERGMAN, Per omnia e/ementa remeavi, in U. BJANCIII e M. J. VERMASEREN (a cura di), La
soteriologia dei culti orientali nell'impero romano, Leiden I982, pp. 671-702; E. HORNUNG, A/tti"gyp·
tische W une/n der Isismysterien, in Hommages à Jean Leclant, III. Etudes lsiaques, Le Caire 1994,
pp. 287·9}; F. JUNGE, lsis und die a"gyptischen Mysterien, in w. WESTENDORF (a cura di), Aspekte der
spiita"gyptischen Religion, Wiesbaden 1979, pp. 93-115.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 433
. " «Accessi confinium mortis et calcato Proserpinae limine per omnia vectus elementa remea·
"' none media vidi solem candido coruscantem lumine deos inferos et deos superos accessi coram
et "doravi de proxumo>> (APULEJO, Metamorphoseon libri, r 1. 23).
"l'I.UTARco, Su Isidee Osiride, 2.351f.
"' Ibid., 54.373a (trad. di M. Cavalli).
434 Gli «altri>> e i Greci
89
Cfr. Voyages cit., p. 8r.
HARTOG,
"' PORFIRIO, Sull'astinenza, 2.52.
" PLUTARCO, Su Iside e Osiride, ro.354e.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 435
tavia stupisce che nei suoi costanti riferimenti alla XXVI dinastia com-
paiano singoli sovrani ma non l'istituto della monarchia. Diodoro dal can-
to suo dedica alla monarchia egiziana alcuni capitoli, ma non dice nulla
del carattere divino ad essa collegato. Al contrario, egli ritrae il re come
un uomo legato a leggi severe, vincolato a un programma giornaliero sta-
bilito in tutti i dettagli, un uomo che tutt'al piu sopravanzava i suoi sud-
diti per virtu straordinarie, ampia formazione e metodico rigore nella
condotta di vita, ma non per una qualsiasi forma di divinità" Poiché si
deve presumere che anche qui Diodoro si basa sulla sua fonte principa-
le, Ecateo di Abdera, in questo passo andrà visto il programma di un ruo-
lo monarchico piuttosto che la sua descrizione, vale a dire una sorta di
«specchio del principe»: cosi egli voleva vedere svolta la funzione di fa-
raone, ossia nella maniera piu distante possibile dallo spauracchio del di-
spotismo orientale, quale era coltivato dall'ideologia greca già dall'epo-
ca delle guerre persiane e quale era stato ancora una volta recentemente
delineato da Aristotele. Nel pensiero greco i concetti di libertà e legge
erano inseparabili allo stesso modo dei concetti di dispotismo, o tiranni-
de, e arbitrio. Perciò il concetto della monarchia legata alle leggi possie-
de un'innovativa, addirittura paradossale forza d'urto.
Il significato di questo silenzio su ogni forma di esaltazione mitica si
comprende solo quando ci si rende conto che da poco Alessandro Magno
aveva dato ancora una volta espressione, e nella maniera piu grandiosa,
al mito della filiazione divina. La sua visita a Siwa e a Luxor rivela un'in-
tima conoscenza della tradizione egiziana, che perfino in quei luoghi non
era piu praticata da secoli: tale conoscenza gli poteva essere stata tra-
smessa solo da informatori egiziani altamente colti. Perché questi Egi-
ziani non ne hanno parlato a Ecateo? Tutto questo mondo immaginario
relativo alla regalità divina del faraone era forse rimasto solo un fatto di
rappresentazione geroglifica, che non aveva piu alcuna manifestazione
nella realtà? L'unica ragione può trovarsi nel fatto che Ecateo e verosi-
milmente anche lo stesso Tolomeo I, che era uno storico e aveva scritto
una storia di Alessandro Magno, ritenevano inopportuna tale mitologia,
ne ascrivevano il ritorno in vita ad opera di Alessandro al carisma perso-
nale di costui e non credevano che essa potesse venire istituzionalizzata.
L'immagine del faraone come monarca vincolato da leggi ha in Gre-
cia una tradizione che rinvia, attraverso Ecateo di Abdera, a Isocrate e
alla sua opera Busiride, e che in ultima analisi risalirà, come ipotizza Froi-
defond, a una noÀ.n:da Aì.ymn:(oov di tradizione pitagorica'7 Il Busiride
" lliODORO SICULO, 1.67; APOLLODORO, 2.5. 1 I ; CICERONE, De repubfica, }.9.15; OVIDIO, Tristia,
1 1 39; ID., Epistulae ex Ponto, 3· r.II8 sgg. Cfr. J. G. GRIFFJTHS, Human sacri/ice in ancient Egypt,
in «t\nnales du service des antiquités de l'Egypte >>, XLVIII (1948), pp. 409·23 .
'" Idria di Cere, del520 a. C. circa (Vienna, Kunsthistorisches Museum, n. 3576). Cfr. J. CIIAR·
BII \\ I.ALJX, R. MARTIN e F . VILLARD, La Grecia arcaica (6zo-48o a. C), Milano 1971 , p. 97 fig . 107;
J m :MELRIJK, Caeretan Hydriae, Mainz 1984 , p. 173. Gli Egiziani vengono raffigurati come ne-
gn :m che altrove in questo periodo: cfr. FROIDEFOND, Le mirage ci t., pp. 88 sg.
hgura ') . Vaso di Busiride. Idria da Cere (fine del VI secolo a. C.).
438 Gli «altri» e i Greci
100
Su Busiride come fondatore di riti cfr. ISOCRATE, Busiride, 28.
101
PLUTARCO, Su Jside e Osiride, 8.
102
CLEMENTE ALESSANDRINO, 5tromata, 5· 7 ·4 I. I.
10
' Busiride, 24·28.
ISOCRATE,
104
CRIZIA, fr. 43 F 19 SneU (H. DIELS e w. KRANZ, Die Fragmenteder Vorsokratiker, Il, Dublin-
Zurich 1952, p. 387 fr. 25); cfr. D. suTTON, Critias and atheism, in «Classica! Quarterly», XXXI
(198r), pp. 33-38, con bibliografia.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 439
105
Crizia, pensatore conservatore, pone questa cinica tesi in bocca al suo personaggio Sisifo
come una bestemmia.
106
FROIDEFOND, Le mirage cit., p. 26r, rinvia in questo contesto a Pitagora, che già, secondo
IHo<;ENE LAERZIO, Vita di Pitagora, 36, avrebbe sottolineato l'importanza di segreto, menzogna e
'(lllJTriu per l'arte del governare.
101
FROIDEFOND, Le mirage cit., p. 234·
108
PLATONE, Leggi, 656d-657a (trad. di F. Adorno). Cfr. M. L. CATONI, Quale arte per il tempo
di Platone? in I Greci, Il/2, Torino 1997, pp. r013 sgg.
440 Gli «altri» e i Greci
109
GIAMBUCO, J misteri de/l'Egitto, 7·4 sg.
110
Sull'ereditarietà del lavoro legato all'allevamento cfr. anche ERODOTO, 2.65.
111
Su costoro cfr. ibid., 2.47.
112
Cfr. ibid., 2. 141.
"' In 2.154 Erodoto riferisce che Psammetico l avrebbe non solo insediato i suoi soldati cari
e ioni, ma avrebbe loro affiancato anche giovani egiziani, in modo che questi imparassero la lingua
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 441
ri» 114 Qui manca tuttavia ancora qualsiasi aspetto di sistematicità fun-
zionalistica. Platone e Isocrate per primi creano, da tali presupposti,
la teoria della società a tre classi. In realtà Platone, nella Repubblica,
abbozza questo modello senza riferimento all'Egitto. Per questo, però,
venne accusato di plagio: molti dei suoi lettori ritenevano che egli aves-
se mutuato tale principio proprio dall'Egittom Isocrate in ogni caso
descrive l'istituzione di questa società tripartita come una delle im-
prese fondatrici del re Busiride11' . Le prime due classi, sacerdoti e guer-
rieri, corrispondono a quelle erodotee, la terza comprende invece tut-
te le professioni della popolazione lavorativa: pastori, contadini, pe-
scatori, marinai, mercanti ecc. Il principio decisivo di questa struttura
è non la ripartizione in quanto tale, ma il divieto, fissato per legge,
della mobilità sociale. Ognuno deve rimanere in quella classe in cui è
nato. Anche qui la stabilità è ritenuta il valore piu alto.
Le teorie filosofiche (platonica, aristotelica) della stabilità fanno di-
scendere quest'ultima dalla conoscenza della verità; l'instabilità delle
cose umane nasce dall'ignoranza sulla quale esse si fondano. Di conse-
guenza il vero, decisivo merito civilizzatore di questo sistema sociale
consiste nella posizione preminente che esso assegna alla conoscenza. La
tripartizione della società riflette la triade di conoscenza (tempo), dife-
sa (violenza) e sostentamento (ricchezza) intese come risorse e funzioni
fondamentali di una convivenza statalmente organizzata. Il grande van-
taggio dell'Egitto nelle questioni della conoscenza è reso possibile dalla
straordinaria facilitazione naturale di cui gode nei problemi legati all' ap-
provvigionamento. L'inondazione annuale del Nilo provvede alla ferti-
litil e favorisce la coltivabilità del paese, cosi che una gran parte della
popolazione può essere lasciata libera di dedicarsi alle questioni dello
spirito. Il tempo libero (oxoÀ:r]) reso cosi possibile ha portato alla preco-
ce scoperta degli dèi, dei riti, dei culti, della scrittura, delle leggi, delle
scienze, delle tecnologie e di tutte le altre conquiste intellettuali sulle
quali si fonda la cultura e che gli altri popoli hanno ripreso dall'Egitto.
greca. «Questi Egiziani sono i predecessori degli attuali interpreti in Egitto». Gruppi lavorativi
ereditari sorgono in maniera simile ancora oggi. Quando l'archeologo inglese Sir Flinders Petrie
imrarrcsc, negli anni 'So del secolo scorso, i suoi pionieristici scavi delle culture tardopreistoriche
a Naqac.la, si procurò operai da Quft (Copto), la piu grande località vicina. Le famiglie di questi
O[lcrai si specializzarono nella tecnica dello scavo archeologico. Ancora oggi Quft fornisce i piu ri-
chiesti caromastri delle squadre di scavo attive in Egitto.
'" lbid., 2. 164.
'" i'HOIDEFOND, Le mirage ci t., pp. 240-42. PROCLO, Commento al Timeo di Platone, 1. 76, cita
un ceno Crantore, che avrebbe scritto di tali rimproveri contro Platone.
116
ISOCRATE, Busiride, Ij. ARISTOTELE, Politica, 7.JO.lp9a-b, ascrive la fondazione del si-
Stema egiziano delle caste a Sesostri.
442 Gli <<altri» e i Greci
L'incontro con l'Egitto significò per i Greci una profonda scossa alla
propria consapevolezza storica. Ce ne parlano due aneddoti che in que-
117
ID., Metafisica. r.r.98Ib.
118
ISOCRATE, Busiride, 2I-23.
119
DIODORO SICULO, 1.46 e 1.49; STRABONE, q.1.27; MASSIMO DI TIRO, 29.Ie
(I20a); GIUSTI-
NO, Apologiae pro Christianis, '-9· A. KLASENS, Kambyses en Egypte, in <<]aarbericht
van het Voora·
ziatisch-egyptisch Genootschap Ex Oriente Lux», X (I945·48), pp. 339-49. Secondo ERODOTO,
3.27-29, Cambise avrebbe ferito a morte il toro Api perché fraintese la gioia dominante in Egitto
per l'apparizione del dio riferendola all'insuccesso della sua spedizione contro l'Etiopia, dalla qua·
le egli faceva ritorno proprio in quel momento. La storia viene narrata anche da PLUTARCO, Su lsi·
de e Osiride, 44; GIUSTINO, Apo/ogiae pro Christianis, 1.9; CLEMENTE ALESSANDRINO, Protrettico,
4.52.6; LUCIANO, Caronte, q; cfr. SMELIK e HEMELRIJK, Who knows cit., p. I865 nota 70. Arta-
serse III Oca pare che abbia perfino mangiato il toro Api (PLUTARCO, Su Iside e Osiride, 1 I, 3 I ecc.;
SMELIK e HEMELRIJK, Who knows cit., p. I865 nota 7I).
120
DIODORO SICULO, '-94-2-1.95·5; cfr. anche 1.58.4.
121
w. SPIELBERG, Die sogenannte Demotische Chronik des Pap. 215 der Bibliothèque Nationale
zu Paris nebst den auf der Ruckseitedes Papyrusstehenden Texten, Leipzig 1914, pp. 30-32; E. MEYER,
Agyptische Dokumente aus der Persen:eit, in «Sitzungsberichte der Koniglich Preussischen Akade·
mie der Wissenschaften zu Berlin», XVI (I9I5), pp. 304 sgg.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 443
mondo, nel quadro del loro lungo ricordo del passato, fosse finito tre
volte e che essi fossero riusciti a portare in salvo la loro cultura e la lo-
ro memoria oltre queste catastrofi attraverso la cura minuziosa degli ar-
chivi. Il declino del Regno Antico, del Medio e del Nuovo potevano ap-
parire loro come tali catastrofi. Ogni volta essi erano riusciti a ricostruire
nuovamente lo stato e la cultura sulla base del sapere culturale messo in
salvo. Con nessun'epoca della storia egiziana una tale concezione e una
tale mentalità si accordano tanto bene come con l'età saitica, che aveva
messo in atto appunto una restaurazione di questo genere, e proprio do-
po un« periodo intermedio» (come l'egittologia indica tali dark ages) par-
ticolarmente lungo.
Per quanto concerne la consapevolezza storica, l'incontro con l'Egit-
to significò per i Greci, del tutto in contrasto con le odierne idee su Gre-
ci e barbari, il confronto fra J-ttn~oç e Myoç. Il pensiero dei Greci era
schiavo del J-t'ii-6-oç, del mondo nobile dell'epica, della tradizione orale.
In Egitto essi incontrarono il mondo burocratico di una memoria fon-
data sulla scrittura, i cui archivi risalivano all'indietro attraverso i mil-
lenni, fino a un passato che le saghe nobiliari e familiari greche non si
sarebbero mai potute sognare. Tuttavia anche il ricordo degli Egiziani
incontrava a un certo punto un orizzonte al di là del quale passava nel-
la dimensione mitica. Erodoto prosegue il suo racconto sul tempo in cui
uomini governavano l'Egitto, e che egli stima in I I 340 anni, con l'os-
servazione: «prima di questi uomini però a governare sull'Egitto erano
delle divinità, che vivevano assieme agli esseri umani, e tra queste divi-
nità era sempre una sola ad avere il comando. L'ultimo di questi re fu
Oro, il figlio di Osiride, che i Greci chiamano Apollo. Questi regnò per
ultimo sull'Egitto, dopo aver rovesciato dal trono Tifone»us. Includen-
do anche le dinastie divine Erodoto calcola «da Dioniso (Osiride) ad
Amasi I 5 ooo anni» 126
Diodoro, che in questo punto si basa evidentemente su Manetone,
conosce, prima delle dinastie umane, la signoria degli dèi e degli eroi; egli
fa ammontare il periodo del loro dominio a I 8 ooo anni; la successiva
epoca dei sovrani umani abbraccia nel suo racconto appena 5000 anni 127
Manetone aveva collocato prima della storia umana le epoche degli dèi e
dei semidei (~J.!L-6-eot). Cosi egli riproduceva la tradizione delle liste rega-
li egiziane, che facevano seguire alla dinastia degli dèi una dinastia di
«spiriti» (egiziano Jg.w), prima che venissero i «re». Il concetto di re
Quando Erodoto chiama l'Egitto «un dono del Nilo~>, egli parla del
Delta in quanto terreno alluvionale del fiume 28 • Nella sua inondazione
il Nilo porta con sé non solo acqua, ma soprattutto fango, che si deposi-
ta sui campi e conferisce loro una fertilità sentita come meravigliosa. Se-
neca riassume un discorso secolare su questo fenomeno quando scrive che
l'Egitto deve all'acqua delle inondazioni non solo la fertilità del suo suo-
lo, ma il suolo stesso 129 • La fertilità dell'acqua delle inondazioni era rite-
nuta cosi potente che si ammetteva che ingerirla favorisse la fertilità de-
gli uominiuo e che dai depositi di fango nascesse spontaneamente vita,
nella forma di rane e topim, e che perfino la specie umana avesse avuto
la sua origine nel fango del N ilo m. Il N ilo non solo arricchisce il suolo
bensi, agli occhi dei Greci, lo «lavora» anche in un modo tale che il con-
tadino non ha piu bisogno di ararlo, ma può spargere i suoi semi diret·
tamente sul fango ancora umido, dove gli animali lo calpestano.,. Alla
fertilità del suolo si aggiunge anche la facilità di coltivazione e raccolta•,.;
piante alimentari, erbe medicinali e spezie crescono spontaneamente.
L'inondazione annuale comporta tuttavia anche che la terra debba esse-
re nuovamente misurata anno dopo anno, per stabilire i rapporti di pro-
prietà e le basi della tassazione. Sulla base di questa necessità gli Egizia-
ni sono considerati dai Greci come gli inventori e i maestri della geome-
tria e della geodeticam Ma per il resto è proprio l'assenza di qualsiasi
interesse «scientifico» nei confronti del realizzarsi delle inondazioni del
128
ERODOTO, 2.5.
'" SENECA, Questiones natura/es, 4a.2.9-Io; D. BONNEAU, La crue du Nil, Paris I964, p. u6 e
nota 9·
110
ISOCRATE, Busiride, 13·
111
Viene detto perfino che questi animali sarebbero formati solo per metà, mentre per l'altra
metà sarebbero costituiti ancora di fango: OVIDIO, Metamorphoses, 1.422; DIODORO SICULO, 1.10;
ORAPOLLO, J geroglifici, 1.25; cfr. BONNEAU, La crue cit., pp. 119 sg.
"'DIODORO SICULO, I.I0.3; BONNEAU, La crue cit., pp. 121-23.
"'Perciò Aristotele chiama l'Egitto anche i'<<opera>>, non il «dono» del Nilo (OLIMPJODORO,
Commento ai Meteorologica di Aristotele, 1.14. I I).
'"ERODOTO, 2.I4; DIODORO SICULO, 1.34-I-11.
"' lbid., 1.81; STRADONE, I7.1.3.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 447
Nilo ciò che sorprendeva i Greci nei confronti degli Egiziani. Il proble-
ma dell'origine delle inondazioni del Nilo è un topos classico della lette-
ratura greca sull'Egitto. Sulla scorta di questo tema i Greci mettono in
scena il contrasto di due culture scientifiche opposte: quella greca, mo-
tivata da «brama di sapere» (cptÀo!!a-6ta), e quella egiziana, la cui carat-
teristica piu vistosa è appunto la mancanza di tale brama 06 •
Già Erodoto si lamenta di non aver potuto «apprendere nulla, né dai
sacerdoti né da alcun altro» sulla natura del Nilo. «Ecco ciò che volevo
sapere da loro: perché il N ilo scorra in piena a partire dal solstizio d'esta-
te per 100 giorni; quindi, toccato il numero di questi giorni, esso si riti-
ri indietro abbassando le acque, cosi da mantenersi modesto per tutto
l'inverno fino al ritorno del solstizio d'estate»m. La risposta che un sa-
cerdote di Sais dà alla sua domanda Erodoto la considera uno scherzo.
Le inondazioni del N ilo, cosi gli viene detto, nascevano da due cime mon-
tuose tra Assuan ed Elefantina, di nome Krofi e Mofi. Da esse una par-
te dell'acqua scorreva verso nord, una parte verso sud.,.. Invece di oc-
cuparsi ulteriormente di queste astruse spiegazioni Erodoto esamina in
sequenza tre teorie che erano state presentate da Greci per il fenomeno
dell'ingrossamento del fiume, esponendo infine la sua spiegazione per-
sonale. Anche Strabone constata stupito che, contrariamente ai Tolomei,
gli antichi re invece non avevano affatto provato sollecitazioni del genere; eppure
erano versati nei vari campi del sapere al pari dei sacerdoti, a contatto dei quali pas-
savano la maggior parte della vita. Sicché si ha ben motivo di restare stupiti, e non
solo in considerazione di ciò, ma anche perché Sesostri percorse tutta l'Etiopia fi-
no al paese in cui cresce il cinnamomo e ancor oggi ~e ne addita qualche testimo-
nianza della spedizione, stele o iscrizione che sia ... E stupefacente, quindi, come
Ja occasioni del genere gli uomini del tempo non abbiano saputo trarre nozioni pre-
cise in merito alle piogge; e questo nonostante la consuetudine dei sacerdoti di re-
gistrare nelle sacre scritture e di tramandare eventi che marcassero acquisizioni non
indispensabili per il progresso delle scienze. Quantomeno avrebbero potuto inda-
gare - cosa che si fa ancor oggi - come mai le piogge cadono d'estate e non d'in-
verno e nelle regioni meridionali e rion nella Tebaide e dalle parti di Siene. Che la
piena sia provocata dalle piogge non c'era invece bisogno di verificarlo, né c'era bi-
sogno delle testimonianze citate da Posidonio"'
"• L'egittologo olandese B. H. Stricker (De overstroming van de Nii/, Leiden 1956) ha dedica-
to alla tradizione antica sulle inondazioni del N ilo una dottissima ricerca, nella quale è raccolta tut·
ta la documentazione che sia possibile reperire. In questo studio egli si sforza tuttavia (a mio av-
vi;o invano) di confutare il topos della mancanza di curiosità degli Egiziani e cerca di affiancare a(.
le teorie greche corrispondenti egiziani. Cfr. anche BONNEAU, La crue cit., pp. 135-214.
'"ERODOTO, 2.19 (trad. di A. Fraschetti).
""ID., 2.28; cfr. in proposito H. BEINLICH, Die Nilquellen nach Herodot, in «Zeitschrift fiir
igyrtischc Sprache und Altertumskunde>>, CVI (1979), pp. 11-14, e H. J. THISSEN, ... aiyvnnciçwv
'lì 'l '"Vfì Zum Umgang mit der iigyptischen Sprache in der griechisch-romischen Antike, in «Zeit-
IChrift flir Papyrologie und Epigraphik», XCVII (1993), pp. 243 sg.
119
STRADONE, 17.1.5 (trad. di N. Biffi); YOYOTTE, CHARVET e GOMPERTZ, 5trabon cit., p. 75·
448 Gli «altri» e i Greci
quio che Lucano, nel suo Bellum civile, fa svolgere tra i Romani e Aco-
reo, il sommo sacerdote di Ptah a Menfi, sulla natura del Nilo. Il ve-
gliardo riferisce prima diverse teorie moderne ed espone quindi il pro-
prio punto di vista, che è completamente diverso: si tratta infatti di
un'interpretazione teologica. Ci sono acque che si sono originate, a se-
guito di terremoti e di altre cause, solo dopo la creazione e con la cui
origine e comportamento gli dèi non hanno nulla a che vedere. Altre ac-
que, invece, hanno la loro origine con la creazione stessa. A queste ul-
time appartiene prima di tutto il Nilo, per il quale è stata programma-
ta, nel momento stesso della creazione, la caratteristica di ingrossarsi e
di calare periodicamente. Nell'inondazione del Nilo si manifesta la di-
vina volontà di creazione. Tutto ciò suona ampiamente speculativo per
i Romani; ma si va a controllare negli scritti egiziani, trovando ogni co-
sa confermata esattamente come l'ha presentata il sacerdote 142 •
'"LUCANO, Bel/um civile, 10.172 sgg.; SVETONIO, Divus Ju/ius, 52.r; cfr. APPIANO, Guerre ci-
t·dr. Jì9; STRICKER, De overstroming
cit., p. 7·
'" rsocRATE, Busiride, r r-r4; FROIDEFOND, Le mirage ci t., pp. 250 sg.
'" Il re Busiride riconosceva <<che questa regione era stata posta nel punto piu bello del mon-
do, ::,2); «egli prese possesso di questo luogo come del piu bello>> (r5).
Odmea, 24.1-2, 24.ri-14.
lliOI>ORO SICULO, 1.96 (trad. di G. F. Gianotti). Cfr. MERKELBACH, Isis cit., pp. 232 sg.
450 Gli «altri» e i Greci
Vita di San Patapio con una descrizione in chiave panegirica del paesag-
gio nilotico egiziano, la patria dei santi.
Li la terra è grassa, i campi pingui e fertili, ci sono popolose città cinte da mu-
ra, e pascoli verdeggianti, mandrie di cavalli, pecore, buoi e maiali e tutto quello
che tende al buon cibo e al lusso e a questa misera («invivibile») vita. Corsi d'ac-
qua circondano la terraferma come il mare, e bagnano l'intera regione. Geon infat-
ti, il primo e il maggiore dei quattro fiumi dei quali si fa menzione nella storia del-
la creazione, che sgorga da luoghi noti solo al creatore e da li scende fino al grande
mare, la attraversa per intero. Questo fiume fa salire le sue acque con flussi perio-
dici, si spande come il mare e inonda la terra e fa si che da essa, che in poco tempo
verdeggia, rigogliosa di frutti, salpino navi onerarie ben cariche. Esso consente agli
agricoltori di lavorare in mezzo ai loro attrezzi ed esorta gli animali acquatici a vi-
vere insieme a quelli terrestri, gli erbivori e i carnivori. Oh meraviglia! Ieri profon-
di campi di grano, oggi abissi marini; ieri pascolo di armenti e bestie da soma, oggi
nascondiglio di pesci e animali marini. L'Egitto ci ha chiaramente donato questo
giovane, l'Egitto, dispensatore senza invidia del lusso terreno, produttore di vesti
splendenti, generatore di passioni, schiavo dei piaceri, protettore di argilla e mat-
toni, fornitore di carni e !ebeti. L'Egitto, che nella Scrittura è detto l' (<oscurO>~, ha
fatto risplendere di luce il persecutore dell'oscurità; esso, il laboratorio delle illu-
sioni idolatre, ci ha inviato l'araldo della pietà verso gli dèi; esso, l'oscura dimora
dei demoni, ci ha portato il corifeo degli angeli'"
All'epoca cui risale questo testo i paesaggi nilotici fanno ancora par-
te dei temi preferiti dei pavimenti a mosaico, che ora adornano non so-
lo le ville dei ricchi ma anche le prime chiese e sinagoghe. I cristiani iden-
tificano il N ilo con Geon, uno dei quattro fiumi del Paradiso, che sono,
oltre a Geon, Phison, Eufrate e Tigri. Per questo anche l'iconografia tra-
dizionale dei paesaggi nilotici perdura ancora nelle chiese tardoantiche e
addirittura nelle sinagoghe 148 Pavimenti a mosaico con paesaggi nilotici
sono stati rinvenuti nell'Africa settentrionale, in Palestina e in molte al-
tre regioni del Mediterraneo, incluso l'Egitto stessd 4' Importanti esem-
plari sono stati scoperti in Israele, ad esempio nella casa della Festa del
Nilo a Sepphoris 150 e nella casa di Leontis a Beth Shean, ciascuno con
rappresentazione di un nilometro in forma di colonna con segni di Io-I6
cubiti. Un altro esempio proviene dalla chiesa della Moltiplicazione dei
pani a Tabgha. Accanto a interi paesaggi si trovano anche singoli moti-
vi nilotici, tanto in chiese quanto in abitazioni privatem.
'" InSanctum Patapium, orazione 19, in PG, XCVII, coli. IZI7b-12zib. Per l'indicazione rin-
grazio Jiirgen Dummer e A. M. Ritter, per la traduzione tedesca Cbristoph Markschies.
148
A. IIERMANN, Der Nil und die Christen, in «]abrbuch fiir Antike und Cbristentum», II (1959),
pp. s6·69.
'" La mosai"que Greco-romaine, l, Paris 1965; II, Paris 1975.
110
z. WEISS e E. NETZER, Promise and Redemption. A Synagogue Mosaic /rom Sepphoris, Jerusa·
lem 1996, figg. a p. 1 o della sezione inglese (anatra), a p. 10 della sezione ebraica (amazzone, ni·
lometro). Cfr. anche R. OVADIAII, Mosaic Pavements in Israel, Rome 1987.
"'J. IJALTY, Thèmes nilotiques dans la mosai"que du Proche-Orient, in N. BONACASA e A. DI VITA
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 451
Il motivo del paesaggio nilotico sembra essersi diffuso nel mondo el-
lenistico e romano insieme alla religione di Iside, diventando uno dei
dei temi piu amati per la decorazione di ville signorili con dipinti mu-
rali e pavimenti a mosaico. Solamente a Pompei Schefold, nel suo libro
sulla pittura murale pompeiana, ne cita 27 esempim. A Pompei c'era un
tempio di Isidem: probabilmente fu il culto di Iside a introdurre o ren-
dere in voga nella città questi motivi pittorici; essi si diffusero però ra-
pidamente oltre il loro contesto cultuale e divennero un tema puramen-
te decorativo. Ma proprio negli elementi ornamentali potevano espri-
mersi idee, atteggiamenti, nostalgie ed esigenze culturali che avevano
un significato piu generale, sia pure meno vincolante degli specifici sim-
boli del culto. I paesaggi nilotici sembrano far parte proprio di un tale
generico simbolismo culturale, legato a situazioni extraquotidiane come
la festa, l'abbondanza, la fortuna, l'appagamento, la pace, il tempo li-
bero e il piacere (tQllqJ~ e axoì..~).
Il piu significativo fra questi paesaggi nilotici si trova nel contesto di
un santuario della Fortuna-Tyche (= Iside) a Preneste, e viene datato in
epoca sillana (c. 120 a. C.). Non appartiene al tempio vero e proprio,
ma a un edificio pubblico della terrazza inferiore 154 • Era collocato in un
ninfeo, nell'abside di una lunga sala, e coperto d'acqua. Per questo mo-
tivo anche il significato del paesaggio nilotico va cercato non in rela-
zione a Iside e al suo culto, bensf all'acqua e al suo simbolismo. L'idea
che presiede all'iconografia del Nilo sembra essere un'allegoria dell'ac-
qua e dei suoi doni: pienezza, fortuna, benedizione e festa. La parte su-
periore del mosaico (fig. 6) rappresenta l'Etiopia come una regione mon-
tuosa, abitata da animali (fra i quali anche creature favolose quali l'ono-
centauro) e cacciatori. La parte inferiore ritrae l'Egitto nel periodo
dell'inondazione del Nilo, quando il paese è sommerso, e i templi, gli
insediamenti, le strade emergono dall'acqua su isole e argini. Accanto a
diversi templi in stile greco si vede, in posizione preminente, anche un
grande tempio in stile egiziano: il muro di cinta ha potenti torri e con-
ferisce al tempio l'aspetto di una fortificazione, un tratto tipico dei tem-
pli egiziani, in particolare del periodo greco-romano. Davanti al pylon
si ergono quattro statue di Osiride con fiori di loto sul capo; sopra l'en-
trata si vede un'aquila. Secondo Meyboom l'aquila identifica il tempio
la cura di), Alessandria e il mondo ellenistico-romano. Studi in onore di A. Adriani, III, Roma 1984,
pp. H2 ì-34·
'" K. SC:IIEFOLD, Die Wiinde Pompeiis, Berlin 1957.
111
MERKELBACII, Jsis cit., figg. 1-4.
11
~ A. STEINMEYER-SCIIAREIKA, Das Nilmosaik von Palestrina und eine ptolemijische Expedition
nach 11thiopien, Bonn 1978; P. G. P. MEYBOOM, The Nile Mosaico/Palestrina. Early Evidence o/Egyp-
llan ReliRion in ltaly, Leiden 1995-
452 Gli «altri» e i Greci
'" Cfr. PROPERZIO, 3 . I 1.35; CESARE, De bello civili, 3· I I0.2; ID., Bellum Alexandrinum, 7 . 24.1 ;
CICERONE, Pro C. Rabirio Postumo, 12.35; OVIDIO, Tristia, 1.2.79 sg.; SENECA , Epistulae, 51.3 {«de-
versorium vitiorum»).
'" MEYBOOM, The Nile Mosaic cit., p. 34 fig . 22.
m Ibid., pp. 3 I , 3 3 figg. 20·21.
'"<<Est ignota procul, nostraeque impervia genti l vix adeunda deis, annorum squalida ma·
454 Gli «altri» e i Greci
6. Grammatologiam
ter, l immensi spelunca aevi, quae tempora vasto l suppeditat revocatque sinu: complectitur an·
trum, l omnia qui placido consumit numine, serpens,l perpetuumque viret squamis, caudamque re·
ducto ore vorat, tacito relegens exordia lapsu» (CLAUDIANO, De consulato Sti/ichonis Il, 424-30);
cfr. P. DERCIIAIN, A propos de Claudien, in «Zeitschrift fiir agyptische Sprache und Altertumskun-
de», LXXXI (1956), pp. 4-6.
"' In questa sede si può accennare solo a una piccola parte di questo ricchissimo tema, che
meriterebbe urgentemente una trattazione d'insieme. Lo studio di P. MARESTAING, Les écritures
égyptiennes, Paris 1913, è superato, incompleto e inesatto. Importante è E. IVERSEN, The Myth o/
Egypt and its Hieroglyphs, Copenhagen 1962.
160
PLATONE, Filebo, 18b-d (trad. di A. Zadro).
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 455
pienti e piu capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della me-
moria e della sapienza». E il re rispose: <(0 ingegnosissimo Theuth, c'è chi è capa-
ce di creare le arti e chi è invece capace di giudicare quale danno o quale vantaggio
ne ricaveranno coloro che le adopereranno. Ora, essendo padre della scrittura, per
affetto tu hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. La scoperta della
scrittura, infatti, avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di colo-
ro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare
dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesimi: dunque,
tu hai trovato non il farmaco della memoria, ma del richiamare alla memoria. Del-
la sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza, non la verità: divenendo
per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, essi crederanno di essere
conoscitori di molte cose, mentre, come accade per lo piu, in realtà, non le sapran-
no; e sarà ben difficile discorrere con loro, perché sono diventati conoscitori di opi-
nioni invece che sapienti»"'.
Socrate inventa una delle sue <<storie egiziane» per illuminare la pro-
blematica relativa alla scrittura. L'attenzione è incentrata non tanto sul
fatto che gli Egiziani hanno inventato la scrittura quanto piuttosto sul
fatto che essi erano sufficientemente saggi da valutare le conseguenze
di questa scoperta. Decisiva è la forma dialogica della narrazione, nella
quale all'orgoglio dell'inventore divino della scrittura si contrappone la
saggezza del suo regale fruitore. Questa saggezza è la vera particolarità
che il racconto attribuisce agli Egiziani. Come al solito anche qui l'Egit-
to vale come schermo di proiezione di una diagnosi autocritica. I Greci
sono i grandi inventori e innovatori, ma ciò che a loro manca è la sag-
gezza d'intuire le conseguenze del cambiamento e di riuscire a fare un
confronto con i pregi della tradizione. Non è un caso che Socrate dica
il suo Theuth originario di Naucrati e non, ad esempio, di Ermopoli,
mentre il suo interlocutore Thamus si trova a Tebe, la città di Ammo-
ne, che è considerata l'origine e il centro della cultura egiziana, ossia
quanto di piu antico l'Egitto ha da offrire.
La prima obiezione contro la scrittura è che essa favorisce l'oblio.
Gli uomini fanno affidamento su segni esterni e non memorizzano piu
le cose interiormente. Questa è l'obiezione che Socrate mette in bocca
al suo re Thamus. Le altre due obiezioni, poi, egli le sviluppa come ri-
flessioni proprie: ossia che la scrittura è muta e non può rispondere, e
che essa «gira ovunque» senza curarsi di coloro a cui si rivolge.
socRATE Perché o Fedro, questo ha di terribile la scrittura, simile, per la ve-
rità, alla pittura: le creature della pittura ti stanno di fronte come se fossero vive,
ma se domandi loro qualcosa, se ne stanno zitte, chiuse in un solenne silenzio; e co-
si fanno anche i discorsi. Tu crederesti che parlino pensando essi stessi qualcosa, ma
volendo capire bene, domandi loro qualcosa di quello che hanno detto, conti-
nuano a ripetere una sola e medesima cosa. E una volta che un discorso sia scritto,
rotola da per tutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e cosi pure nelle mani
di coloro ai quali non importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a chi no. E se gli
recano offesa e a torto lo oltraggiano, ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, per-
ché non è capace di difendersi né di aiutarsi da solo.
162
Ibid., 275d-276a.
'" Sul rapporto di Platone con la scrittura cfr. T. A. SZLEZAK, Platon und die Schrift/ichkeit der
Phi/osophie, Berlin I985. Della critica platonica della scrittura come protesi esteriore della memo-
ria non dobbiamo qui occuparci oltre perché non ha nulla a che fare con l'Egitto.
164
Erodoto distingue la scrittura «ieratica» e quella <<demotica»; egli equipara dunque, se-
condo il moderno uso linguistico, «ieratica» e «geroglifica>> (entrambe scritture sacrali) oppure «ie-
ratica» e «demotica» (entrambe corsive). Ma non affronta il problema di una possibile differen·
ziazione funzionale o sociale.
'" Le testimonianze piu importanti a favore di questa interpretazione socio-epistemologica
della di- o trigrafia egiziana si trovano in DIODORO SICULO, 3·3·5; FILONE, Vita di Mosè, I .5; ORIGE·
NE, Contro Celso, I .12; PLOTINO, Enneadi, 5.8.6. Di una intenzionale enigmaticità della scrittura
geroglifica parlano anche PORFIRIO, Vita di Pitagora; CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 5.20.3"
5.21.3; CHEREMONE, fr. 20d (VAN DER IIORST, Cbaeremon cit., pp. 69 sg.).
166
«Taç TE -rwv ùyaÀp.a-rwv tMaç xaì -roùç -rwv YQUill•a-rwv -ru1touç Aiiho1t1Xoùç ùmiQxnv. L\anoov
yàQ Aiyu=imç 1\vtwv yQap.p.a-rwv, -rà p.tv lìtJp.WiìlJ 1tQooayOQEUÒp.Eva 1tBVTaç p.av6avnv, -rà lìÈ ÌEQÒ xa-
ÀOUp.EVa 1tUQÙ p.Èv TOiç Alyu1tTiOlç p.ÒVouç yayvoooxnv TOÙç ÌEQEiç 1tUQÙ TIÌJV 1tU"tfQWV Ev Ù1tOQQftTOtç f.lUV·
it<ivOVTaç, 1tUQàlìhoiç Aiili01jllVWtaVTaç-rou-rotçXQijoilm -roiçTU1tOtç» (DIODORO SICULO, 3·3·4·5; trad.
di A. Corcella).
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 457
Le forme delle statue e i caratteri della scrittura sarebbero etiopici. Infatti gli
Egizi avrebbero due tipi di scrittura e di questi l'una, detta <<demotica», l'appren-
derebbero tutti; l'altra, chiamata <<ieratica», presso gli Egizi la conoscerebbero so-
lo i sacerdoti, apprendendola dai padri in segreto, mentre presso gli Etiopi tutti fa-
rebbero uso di questi caratteri.
I'L011NO, Enneadi, 5.8.5.19 e 5.8.6.11 (trad. di C. Guidelli). Cfr. A. 11. ARMSTRONG, Plato-
n,c mirrors, in <<Eranos», LV (1986 [ma 1988]), pp. 147-82. Su questo passo di Plotino Marsilio Fi-
n no >nisse una trattazione In Plotinum V, vm =P. o. KRISTELLER, Supplementum Ficinianum. Mar-
sd,; l'leini Fiorentini philosophi Platonici opuscu/a inedita et dispersa, 1-11, Firenze 1937-45, rist. 1973.
Ur 1:. WIND, PaganMysteries in the Renaissance, New Haven 1958, pp. 169 sgg.; M. BARASCH, Icon .
.\tudic.> in the History o/an Idea, New York- London 1992, p. 75·
458 Gli <<altri>) e i Greci
168
Le espressioni greche «epistolica>> o ((epistolografica» rendono la denominazione egiziana
della scrinura demotica zh n So .t, «Scrittura epistolare».
'" s. M. BURSTEIN, Images of Egypt in Greek historiography, in A. LOPRIENO (a cura di), Ancient
Egyptian Literature · Historyand Forms, Leiden I996, pp. 59I-6o4, con note 62 e 65; 11.-J. TIIISSEN,
Horapollinis Hieroglyphika Prolegomena, in M. MINA e J. ZEIDLER (a cura di), Aspekte spiitiigyptischer
Kultur Festschriftfiir Erich Winter, Mainz 1994, pp. 255-63; B. VAN DER W ALLE eJ. VERGOTE, Tra-
duction des Hieroglyphica d' Horapollon, in « Chronique d' Egypte», XVIII (I 943), pp. 39-89 e I 99·
239; J. OSING, «Horapollo», in Lexikon der Agyptologie, II, Wiesbaden I977• p. I275· Il libro sa·
rebbe stato scritto in lingua egiziana (cioè antico copto) e tradotto in greco da un certo Filippo.
Cfr. sopra, nota 55.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 459
disegnano (a), perché (c), dove (a) si riferisce al geroglifico, (b) al signi-
ficato e (c) alla spiegazione. Viene detto, ad esempio, in questo modo:
«Se essi vogliono rappresentare 'eternità' disegnano sole e luna perché
sono elementi eterni~~- I segni che hanno l'aspetto di animali hanno spie-
gazioni che si basano sulla conoscenza zoologica dell'epoca (Plinio, Elia-
no, Fisiologo). La lepre ad esempio indica <<aprire» perché questo ani-
male non chiude mai gli occhi. Effettivamente il verbo «aprire» viene
scritto con la lepre. L'idea che la grammatologia egiziana comprendes-
se una zoologia, dal momento che il significato dei segni scrittori si schiu-
de solo attraverso la conoscenza degli animali rappresentati, in base al-
la loro natura e alloro comportamento, è di certo astorica, ma dal pun-
to di vista della storia della ricezione è diventata di enorme importanza.
Mentre Orapollo conosce un solo tipo di spiegazione, quello «sim-
bolico», Clemente Alessandrino distingue tra il modo «chiriologico» e
quello «simbolico» 170 • Il modo chiriologico procederebbe Otà "toov nQomov
ototXEi.oov «tramite lettere elementari»; il simbolico, al contrario, desi-
gnerebbe semplicemente o« tramite riproduzione imitativa» (xa"tà f.tLf.tTJ·
mv) del contenuto oppure «in modo figurato» ("tQomxooç) o, in terzo luo-
go, «allegoricamente» tramite «determinati enigmi» (xa"ta "ttvaç atvty-
poùç). La distinzione tra il modo di designazione «chiriologico», xa"tà
flL~lllatv e quello «allegorico», xa"tà aÌ.VlYf.tOUç, si trova anche in Porfirio
(Vita di Pitagora). Qui dunque all'interno di (c) si distingue fra diversi
modi del designare. Mentre le interpretazioni di Orapollo si limitano ai
modi allegorico e figurato (dal momento che il modo «chiriologico», del
tipo «Se vogliono rappresentare il sole tracciano un cerchio», non com-
pare, probabilmente perché è sentito come banale), in Clemente Ales-
sandrino forse si è ancora conservata la conoscenza di un significato pu-
ramente fonetico, nel caso in cui il nesso òtà Toov 1tQWTOOV OTOLXELOOV siri-
icrisca davvero, tra i geroglifici, ai «segni monoconsonantici» e quindi
a fonemi 171 • Mentre non se ne può concludere che queste comunicazio-
ni di autori che scrivevano in greco si basassero su un'esplicita tradi-
zione egiziana del sapere, si deve quantomeno ritenere che gli informa-
tori egiziani abbiano usato simili distinzioni.
In epoca tarda l'estensibilità del sistema- che fondamentalmente era
sempre esistita per via del carattere iconico dei segni, rigorosamente
mantenuto, ma che al tempo stesso era controllata, nell'interesse di una
11
° CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 5-4.20.).
111
Cfr. R. EISLER, Platon und das iigyptische Alphabet, in «Archiv fiir Philosophie>>, XXXIV
pp. 3- r 3; J. VERGOTE, Clément d'Alexandrie et/' écriture égyptienne, in <<Chronique d'Egyp-
(''Il!),
lc», XVI (1941), pp. 21-28.
460 Gli «altri» e i Greci
m s. SAUNERON, Esna VIII L' écriture figurative dans /es textes d' Esna, Le Caire 1982; o. KURTH,
Die I..autwerte der Hieroglyphen in den Tempelinschriften der griechisch-romischen Zeit, in «Annales
du Service des Antiquités de I'Egypte>>, LXIX (1983). pp. 287-309; E. WINTER, «Hieroglyphen»,
in RAC (1989), pp. 83-103.
m PORFIRIO, Sull'astinenza, 4.10.3·5· Analogamente PLUTARCO, Il simposio dei sette sapienti,
16; ID., Sul cibarsi di came, 2.1 =w. R. DAWSON, Re/erences to mummification by Greek and I..atin
authors, in «Journal of Egyptian Archaeology», IX (1928), pp. 110 sg.; M. MERCIER e A. SEGUIN,
Textes latins et grecs relatifs à /' embaumement, in <<Thalès. Recueil Annue) des Travaux de I'Insti-
tut d'Histoire des Sciences», CXCIV, r (1937-39 [1941]), p. 128 e note 6-7. Sul possibile retro·
scena egiziano di questa tradizione cfr. H. BONNET, Der Gou im Menschen, in Studi in memoria di I.
Rose/lini nel primo centenario della morte, l, Pisa 1949, pp. 243 sg.; ID., Rea//exikon der iigyptischen
Religionsgeschichte, Berlin 1952, pp. 483 sg.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 461
Ecateo è colpito dal fatto che gli Egiziani costruiscano le loro abita-
zioni con mattoni seccati all'aria, il materiale da costruzione piu econo-
174
R. MERKELBACH, Diodor iiber das Totengericht der Agypter, in «Zeitschrift fiir iigyptische
Sprarhc und Altertumskunde», CXX h993), pp. 71-84.
111
IHODORO SICULO,1.91-93· Cfr. MERKELBACH, Diodorcit., p. 78.
1
'" Utilizzo l'ed. ingl. a cura di O. Ranum: J.-B. oossuET, Discourse on Univmal History, Chi-
cago 1 976, pp. 308-9.
171
IJ. TERRASSON], Sethos, Histoire ou Vie, tirée des monuments, Anecdotes de l' ancienne Egypte,
Paris r 7 31. Utilizzo l'ed. riveduta del 1767. Il racconto del tribunale dei morti della regina Nephté
SJ trova nel l libro, pp. 38-48.
1
" In DIODORO SICULO, 1.51 (trad. di G. F. Gianotti).
462 Gli «altri» e i Greci
IV.
I GRECI AGLI OCCHI DEGLI EGIZIANI.
119
Per questi e molti passi analoghi cfr. J. ASSMANN, Ma'at. Gerechtigkeit und Unsterblichkeit
im alten Agypten, Miinchen 1990, capp. 4-5.
10
° Cfr. sopra, nota 10.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 463
'"' w WAITKUs, Die Textc in den unteren Krypten des Hathortempek von Dendera, Mainz I?97,
p. X7 Cfr. anchel'iscrizioneOst 2C-2: «Portad'ingressoallacameradellaSignoradiDenderaJper
Cl·lar~ in ~ssa il dio, per nascondere gli dèi Ddw l e per giungere nella stanza quando i popoli dell'Asia
avanzano in cerca del 'sigillato'» (wAITKUS, Die Texte cit., p. 89).
464 Gli «altri» e i Greci
"' Fondamentale in proposito 11. llEINLICII, Die "Osirisreliquien··. Zum Motiv der Korpen:erglie·
derung in deraltiigyptischen Religion, Wiesbaden 1984.
"' lbid., pp. 80-207 e 272·89.
184
Ibid., pp. 208 sg.
Assmann L'immagine greca della cultura egiziana 465
de che gli Egiziani non avevano raccontato loro tutto. Del resto, come
nvrebbero potuto spiegare ai Greci che ai loro occhi essi appartenevano
al mondo di Tifone?
Stranamente i testi nei quali si sfoga l'odio egiziano verso i Greci so-
no, dal canto loro, traditi solo in lingua greca. Un esempio è, anzitutto,
!'«oracolo del vasaio», che parla di <<portatori di cintura» (~wvocpogm),
termine con il quale possono essere indicati solo i Persiani, ma che ap-
partiene a un periodo in cui i Persiani non rivestivano piu alcun ruolo
per l'Egitto. Allo stesso modo del «meda» Seth, gli odiati «portatori di
cintura» simbolizzano qui i Greci. Un'altra critica della grecità si trova
nel trattato XVI del Corpus Hermeticum, che appartiene già all'epoca
spoliticizzata del tardo impero. Qui si tratta dell'inadeguatezza e inef-
ficacia del greco come lingua in cui tradurre i testi egiziani:
Egli diceva che i lettori dei miei [di Ermete Trismegisto] libri crederanno che
essi siano scritti in maniera chiara e semplice, mentre essi, tutt'al contrario, sono
oscuri e velano il significato delle parole e saranno completamente oscuri se un gior-
no i Greci vorranno tradurli dalla nostra lingua nella loro, cosa che porterà alla com-
pleta distorsione e oscuramento del testo. Nella lingua originale il testo esprime chia-
ramente il suo significato, poiché la pura qualità del suono e l'intonazione delle pa-
role egiziane contengono la forza delle cose cui si fa riferimento.
Lascia dunque questo testo non tradotto, affinché questi segreti rimangano na-
scosti ai Greci e affinché il loro modo di parlare sfrontato, fiacco e ampolloso non
faccia scomparire la forza della nostra lingua e l'energia dei nomi. Poiché i Greci
hanno solo discorsi vuoti per impressionare e la loro filosofia è solo rumore di chiac-
chiere. Noi al contrario, noi usiamo non parole, ma suoni pieni di efficacia (<pwvatç
i•mtatç toov EQywv)'"'
Tu lo dici, mio caro Ermete. È un'impresa rischiosa creare l'uomo, questo es-
sere con gli occhi curiosi e la lingua pettegola, che ascolterà ciò che non lo riguar-
da, con l'olfatto ficcanaso, che abuserà del suo tatto fino all'eccesso. Ritieni, o crea-
tore, che costui debba rimanere privo di affanni, cosf da potere, nella sua mancan-
za di scrupoli (toÀillJQ!Oç), investigare i bei misteri della natura? Vuoi !asciarlo vivere
libero da pena, cosf che possa perseguire i suoi intenti fino alla fine del mondo? Gli
uomini sradicheranno le piante per saggiare la natura dei loro umori. Investighe-
ranno la natura delle pietre e degli esseri viventi privi di ragione, e faranno a pezzi
persino i loro simili per scoprire come sono fatti. Allungheranno le loro mani inso-
lenti fin sul mare e disboscheranno le selve, per farsi trasportare da sponda a spon-
da fino alle regioni al di là del mare. Investigheranno persino ciò che si nasconde
negli inaccessibili recessi dei santuari. Spingeranno le loro ricerche anche verso l'al-
to, perché vogliono osservare secondo quali leggi il cielo si muove. E questo è an-
cora poco. Niente rimane inesplorato, fino agli estremi confini della terra, ma an-
che da lf essi vorranno addentrarsi nella notte assoluta. Cosi non ci dev'essere al-
cun ostacolo per questa gente, ma essi, senza la pressione delle preoccupazioni e il
pungolo della paura, devono poter godere in completa arroganza di una vita senza
affanni! Ma poi armati di una curiosità temeraria, si fermeranno davanti al cielo?
Non vorranno tendere le loro anime senza scrupoli fino alle stelle? Insegna loro a
bruciare d'ardore per i loro progetti, cosf che imparino a temere la pena del falli-
mento e attraverso il dolore vengano domati, quando le loro aspettative vengono
deluse. La curiosità delle loro anime deve venire frustrata da desideri, paure, dolo-
ri e speranze fallaci!'" Le loro anime devono consumarsi in un susseguirsi continuo
di aspettative d'amore, di speranze sempre diverse, desideri ora appagati ora inap-
pagati, cosf che, dopo la dolcezza del successo, la sciagura li colga tanto piu doloro-
samente. La febbre deve abbatterli, cosi che divengano privi di coraggio e morige·
rati nei loro desideri.
sicura e il mare non piu navigabile, il cielo non ospiterà piu le stelle nel loro movi-
mento e le stelle non manterranno piu il loro corso nel cielo; ogni voce divina sarà
costretta a tacere. I frutti della terra marciranno, il suolo diverrà sterile e l'aria stes-
sa diventerà soffocante e greve. Questa è la vecchiaia del mondo: la mancanza di
religione (inreligio), di ordine (inordinatio) e di comprensione (inrationabi/itas)'".
192
Asclepio, 24·26 (ed. a cura di A. D. Nock e A.]. Festugière, Paris r96o, pp. p6-29; re-
d:tzione copta: Codice VI di Nag Hammadi, 8.65.15-78·43, in M. KRAUSE e P. LABIB (a cura di), Nag
Jlmnmadi Codices, Gliickstadt 197 r, pp. 194-200). Cfr. FOWDEN, The Egyptian Hermes cit., pp. 39·
" l; J. ASSMANN, Konigsdogma und Heilserwartung e Magische Weisheit. Wissensformen im iigyptischen
/-:11.Wtotheismus, in ID., Stein und Zeit.Mensch und Gesellschaft im alten Agypten, Miinchen 1991, ri-
spettivamente pp. 373 sg. e 75; J.·P. MAHÉ, Hermès en Haute-Egypte, Québec 1978, pp. 2, 69-97;
1 I<ANKFURTER, Eli;ah cit., pp. 188 sg. Al latino «inrationabilitas bonorum omnium» corrisponde
in copto <da mancanza di buone parole». Il declino della comprensione linguistica e il propagarsi
della violenza sono fra i motivi centrali delle descrizioni egiziane del caos: cfr. ASSMANN, Konigs-
doRma ci t., pp. 2 59-87.
STANLEY M. BURSTEIN
1. Introduzione.
L'interazione fra Greci e non Greci è uno dei temi centrali della sto-
ria greca. Sebbene la natura e l'intensità di tali interazioni variassero a
seconda del periodo storico, si trattava per la maggior parte di relazio-
ni fra i Greci e le popolazioni confinanti con le zone costiere del Medi-
terraneo e del Mar Nero. Tali relazioni si svilupparono durante un lun-
go processo, che portò all'espansione degli insediamenti e della cultura
dei Greci nei territori costieri di questi due mari. Tale processo culminò
nei primi secoli dell'era volgare, quando il greco divenne la principale
lingua della cultura e della politica nei bacini del Mediterraneo orienta-
le e del Mar Nero. Non sorprende dunque che a queste relazioni sia de-
dicata un'ampia e varia bibliografia scientifica.
Al di là delle coste del Mediterraneo e del Mar Nero, tuttavia, vive-
vano anche altre popolazioni che entrarono in contatto con i Greci riu-
scendo però a conservare la propria indipendenza sul piano politico e
culturale. Una delle relazioni piu durature e complesse fu quella che i
Greci intrattennero con le antiche civiltà africane nord-orientali di Ku-
sh (la moderna Nubia) e Aksum (nell'attuale Etiopia ed Eritrea). Per
quanto i rapporti dei Greci con le culture africane nord-orientali siano
durati per piu di un millennio- dal VII secolo a. C. al VII secolo d. C. -
pochi studiosi si sono occupati dei contatti dei Greci con la regione.
Inoltre, salvo rare eccezioni, questi studiosi prendono in esame gli at-
teggiamenti dei Greci nei confronti degli abitanti della regione piutto-
sto che le relazioni dei Greci con le culture localP. Obiettivo di questo
capitolo è tracciare la storia dei contatti dei Greci con l'Africa nord-
2. Fonti.
Figur;l 1.
VANOF.RSLEYEN, Sources Egyptiennes pour l' Ethiopie des Grecs, in «Bulletin de l'Institut
fran1·ais J' t\rchéologie Orientale>>, LXXXI, suppl. (1981), pp. 191-95.
"Iliade, 1.423.
" Odissea, 1. 2 3.
R. D. GRIFFITH, The origino/ Memnon, in «Classical Antiquity>>, XVII (1998), pp. 213 sg.
Odissea, 4.83 sg.
"A. LESKY, Aithiopika, in «Hermes>>, LXXXVII (1959), pp. 27-38.
478 Gli «altri» e i Greci
" POLIENO, 7·3· s. M. BURSTEIN, Psamtek I and theend o/Nubiandomination in Egypt, in «}our·
nal of the Society for the Study of Egyptian Antiquities>>, XIV (1985), pp. JI·J4.
20
R. MEIGGS e o. LEWIS (a cura di), A Selection o/ Greek Historical Inscriptions to the End o/ the
Fi/th Century B.C., Oxford 1959, pp. 12 sg.
21
J. H. BREASTED, Ancient Records o/ Egypt, Chicago 1906, par. 994·
22
Attestato per la prima volta nei frammenti della Periegesi di Ecateo di Mileto !FGrHist, rA,
frr. 326 sg.).
" SNOWDEN, Iconographica/ evidence cit., pp. r 39-48. Memnone, tuttavia, di solito era raffi·
gurato con lineamenti di tipo greco.
Fi: f\.antharm attico a forma di testa di Africano (vi secolo a. C.).
Nel corso del v secolo a. C., nelle testimonianze greche su Kush l'at-
tenzione si sposta dall'interpretazione di storie intorno all' At-oLon:i.a mi-
tica alla descrizione del regno di Kush e dei costumi dei suoi abitanti.
L'elemento catalizzatore di questo cambiamento è la pubblicazione del-
le Storie delle guerre persiane di Erodoto. A differenza di Ecateo e di al-
tri scrittori di epoca arcaica, Erodoto mise al centro della sua grande ope-
ra una tematica ispirata alla storia recente piuttosto che allontano pas-
sato: l'invasione della Grecia da parte dei Persiani nel 480/479 a. C. E
in quella storia Kush aveva svolto un ruolo marginale ma significativo.
Subito dopo la conquista dell'Egitto, verso la fine degli anni venti del
VI secolo a. C., il re persiano Cambise aveva invaso il regno di Kush. L'esi-
to della spedizione e i caratteri delle successive relazioni di Kush con la
Persia sono stati al centro di controversie fin dali' antichità. Quando, nel-
la seconda metà del v secolo a. C., Erodoto visitò l'Egitto, la tradizione
egizia era ormai divenuta fortemente ostile a Cambise come fondatore
dell'odiato impero persiano: non sorprende dunque che dal resoconto ero-
doteo di quella spedizione contro la Nubia emerga l'immagine di un di-
sastroso fallimento. Tuttavia, in un altro punto delle Storie, Erodoto in-
serisce Kush fra gli stati vassalli della Persia, fra quanti cioè ne riconob-
bero la sovranità inviando doni simbolici di prodotti locali. Nel caso di
Kush, tali prodotti erano inviati ad anni alterni e includevano avorio, eba-
no e oro. Questa rappresentazione alternativa dei rapporti fra Kush e Per·
sia risulta convalidata da iscrizioni e raffigurazioni persiane a Persepoli di
inviati di Kush recanti doni e, soprattutto, dalla partecipazione di con·
tingenti kushiti nell'invasione persiana della Grecia nel48o/479 a. c.zs
.. SENOFANE, DK 21 B t6.
21
La letteratura sulla spedizione in Nubia di Cambise è abbondante. Per discussioni recenti
cfr. s. M. BURSTEIN, Herodotus and the emergence o/Meroe, in «Journal of the Society for the Study
Burstein Le relazioni dei Greci con Kush e Aksum 48 r
n Ibid., 2.29.7·
"Ibid., 2.30.4-5·
,. lbid., 2.146.2. L'identificazione di Gebel Barkal con Nisa probabilmente era basata sulla
somiglianza fonetica fra il nome egiziano della Nubia, Ta-Nehesi, e Nisa: cfr. J. DESANGES, Re·
cherches sur l'activité des Méditerranéem aux confins de I'Afrique, Rome 1978, p. 233 n. 93·
"ERODOTO, 3-I7.I, 3.114. Cfr. BURSTEIN, Herodotus cit., pp. 3 sg.
16
MEGASTENE, FGrHist, 3C, 715 FIO.
11
I'OI.IENO, 7·3·
Burstein Le relazioni dei Greci con Kush e Aksum 48 3
" molloRo SICULO, I .6o. K. 11. l'RIESE, Eine verschollene Bauinschri/t des fmhmeroitischen Ko·
m~s Aktisanes (?) vom Gebel Barkal, in Agypten und Kusch, Berlin I977, pp. 343-67.
"ARISTAGORA, FGrHist, 3C, 6o8 F 9 con 665 F 200.
'" lhid., 6o8 FIo. BURSTEIN, Agatarchides ci t., p. I45 n. 4·
AKISTUTEI.E, Meteorologia, I.I}.350b.II·I4.
42
PsEuDO-ARISTOTELE, FGrHist, 3C, 646.Io.
" Cfr. s. M. llURSTEIN, Alexander, Callisthenes, and the sources of the Nile, in «Greek, Rom an
anJ By~antine Studies», XVII (I976), pp. I35-46.
484 Gli «altri» e i Greci
X (1961), pp. 30-67; w. PEREMANS, Diodore de Sici/e et Agalllrchide de Cnide, ivi, XVI (1967), pp.
432-55; BURSTEIN, Agalllrchides cit., pp. 29·33-
11 Le testimonianze sono raccolte e discusse in K. 11. PRIESE, Orte des mittleren Nilfllls in der
Uberlieferung bis :zum Ende des Christlichen Mittelalters, in «Meroitica», VII (r984), pp. 484-97;
TOROK, The Kingdom cit., pp. 417-19.
" AGATARClliDE, fr. 51 Burstein con il commento di BURSTEIN, Agalllrchides cit., p. 90 n. 4·
" GEMINO, Elementi di astronomia, r6.
"DIODORO SICULO, 3-5-1.
" BIONE, fGrHist, 3C, 668 F r; DIODORO SICULO, J.2.r; STRADONE, q.2.2 (C 821).
" NICOLA DAMASCENO, FGrHist, zA, 90 F 103m; BIONE, FGrHist, 3C, 668 F r.
"DIODORO SICULO, 3-7-2-
11 Ibid., 3- 3.6. Lo scettro was ha un manico diritto con impugnatura con protome canina e una
base a due rebbi. La descrizione di Diodoro («a forma di aratro») dà una buona approssimazione
del suo aspetto.
Burstein Le relazioni dei Greci con Kush e Aksum 487
lomei in contatto con molte fra le culture non civilizzate della regione.
Tali contatti si rispecchiano in vivide descrizioni dei loro modi di vita,
comprese pratiche esotiche come l'uso di bere il sangue da parte dei Tro-
gloditi- popolazioni nomadiche delle colline del Mar Rosso-", oppu-
re le tecniche di mimetismo adottate durante la caccia per attirare gli
struzzi in trappole mortali 60
Se è evidente l'alto livello dei resoconti tolemaici sulla Nubia e le sue
popolazioni, sono però evidenti anche i limiti. I diplomatici dei Tolo-
mei e i loro ufficiali militari erano certo buoni osservatori, ma non esper-
ti antropologi. Non sorprende, dunque, che talvolta essi fraintendesse-
ro, in modo evidente, quanto vedevano o apprendevano per sentito di-
re. L'esempio piu eclatante è l'aver scambiato un branco di scimpanzé
con una tribu di indigeni che vivevano sugli alberi 61 • T al volta poi pote-
va sfortunatamente succedere che agli errori degli esploratori andasse-
ro a sovrapporsi quelli degli autori delle fonti giunte sino a noi, che del-
la Nubia non avevano un'esperienza diretta. Troppo spesso le loro in-
terpretazioni erano influenzate da stereotipi sui barbari e, soprattutto,
da idee aprioristiche sull'evoluzione umana come quelle formulate dal
filosofo peri patetico Dicearco, da cui derivavano teorie etnografiche che
sostenevano uno schema evoluzionistico da uno stadio di «comunismo
primitivo» alla civilizzazione62 •
Analoghe imprecisioni si riscontrano nei racconti ellenistici sulla sto-
ria di Kush. Mentre erano mantenute le acquisizioni fatte dagli scritto-
ri del rv secolo a. C. nella comprensione della XXV dinastia, sulla sto-
ria kushita precedente non si registrarono progressi paragonabili. L'esat-
ta percezione, in Erodoto, dell'esistenza di un'influenza di lunga durata
dell'Egitto sulla cultura della Nubia fu respinta in favore delle rivendi-
cazioni sciovinistiche di una colonizzazione kushita dell'Egitto6 '. Quan-
to alla storia di Kush prima della XXV dinastia, continuava ad essere
dominata dalla figura leggendaria di Memnone: vari monumenti egizia-
ni, noti collettivamente come «Memnonia», erano ritenuti la prova del-
la sua conquista dell'Egitto64 •
D'altra parte, il numero di veri e propri «errori» nei racconti elleni-
stici sulla storia contemporanea di Kush è limitato. Anzi, nonostante la
loro brevità, i resoconti ellenistici sui sovrani kushiti dell'epoca supera-
bcdito ai sacerdoti essendone stati soverchiati non con armi o con la violenza ma
per il semplice fatto che la loro ragione era stata incatenata dalla loro stessa super·
stizione. Ma durante il regno di Tolomeo II, Ergamene, il re degli Etiopi, che ave-
l'a avuto un'educazione greca e aveva studiato filosofia, fu il primo ad avere il co-
raggio di contraddire all'ordine. Cosf, avendo assunto un atteggiamento degno di
un re, con i suoi soldati penetrò nel luogo inaccessibile dove stava, come risultò, il
sacrario d'oro degli Etiopi, passò i sacerdoti a fil di spada e, abolita che ebbe que-
sta usanza, da allora in poi trattò gli affari a suo piacimento"
" La piu completa discussione sugli oggetti di provenienza classica trovati in si ti del regno di
Kush e sul loro significato si trova in L. TOROK, Kush and the extemal world, in «Meroitica», X
!t989), pp. 93·102, 117·50. La sezione di colonna è pubblicata in A. R. MILLARD, BGD ... Magic spe/l
oreducational exercise?, in «Eretz-Israel», XVIII (!985), p . 40.
Figura 4·
La famiglia reale rende gli onori al dio Apedemak. Tempio di Apedemak (Naq'a, 1 secolo d . C .).
Burstein Le relazioni dei Greci con Kush e Aksum 491
7· Roma e Kush.
77
Cfr. l'. w. JHNKEL, Agyptische Elle oder griechischer Modu/?: Metro/ogische Studien an bistori-
seben Bauwerken im mit/lern Ni/ta/, in «Das Altertum», XXXIII (1987), pp. 150-62.
71
F. IIINTZE, Die lnschri/tendes Lowentempe/s von Musawwarates Sufra, Berlin 1962, tavv. 21-
22; ID., Musawwarates Su/ra, I/2. Der Lòwentempe/, Berlin 1971, tavv. 20-21, 2JC, 25, 37·
79
Arte: R. s. BIANCHI, Ptolemaic in/luences on the arts of the late Napatan and early Meroitic pe·
riods, in «Meroitica», V (1979), pp. 68-69. Anubis: J. YELLIN, The Role and lconography of Anubis
in Meroitic Re/igion, Ph.D. Thesis, Brandeis University, 1978.
Burstein Le relazioni dei Greci con Kush e Aksum 493
Figura 6.
Testa in bronzo di Augusto.
Da Meroe (I secolo d. C.).
496 Gli «altri» e i Greci
"Ibid., 6.181-86.
89
Secondo Eliodoro l'impero di AHho1tiu andava situato al tempo del governo persiano in Egit·
t o. Cfr. J. R. MORGAN, History, romance and realism in the 'Aithiopika' of Heliodoros, in «Ciassical
Antiquity», I (1982), pp. 221-65; s. M. MARENGO, L'Etiopia nel Romam:odi Eliodoro, in 1'. }ANNI
e E. LANZILLOTIA (a cura di), TEQTPA<I>lA, Roma 1988, pp. 108-19; T. HAGG, The black-/and o/ the
Sun:Meroe in Heliodoros' romanticfiction, in «Graeco-Arabica», VII-IX (1999).
90
I sovrani e gli altri ufficiali di questi regni portavano titoli greci e usavano il greco come Iin·
gua in documenti e iscrizioni ufficiali. Cfr. ID., Some remarks an the use ofGreek in Nubia, inJ. M.
PLUMLEY (a cura di), Nubian Studies: Proceedings o/ the Symposium far Nubian Studies (Cambridge
1978), Warminster 1982, pp. 103·7; ID., Titles and honorific epithets in Nubian Greek texts, in <<Sym'
bolae Osloenses», LXV (1990), pp. 144·77·
" PROCOPIO, Storie, r. 19.28-35. Cfr. v. CIIRISTIDES, Once again the narrations of Nilus Sinaiti·
cus, in <<Byzantion», XLIII (1973), pp. 39-50; R. T. UPDEGRAFF, The Blemmyes I, in ANRW,!If 1 o.I
(1988), pp. 62-67.
Burstein Le relazioni dei Greci con Kush e Aksurn 497
nici della Dama di Elche prosegue. Si tratta di un esempio tra gli altri dei
dubbi che attraversano la nostra letteratura scientifica.
Superare il quadro di riferimento regionale, per quanto vasto, e im-
maginare relazioni tra Greci e gruppi che costituivano entità diverse cul-
turalmente e, in buona parte, anche etnicamente, è un arricchimento
della prospettiva. Lo studio delle relazioni, degli scambi, ne risulta am-
pliato, poiché, anche se l'interlocutore greco è sempre lo stesso, da un
lato i Celti e dall'altro gli Iberi, popolazioni che utilizzavano una lingua
non indoeuropea e una scrittura semisillabica derivata dall'alfabeto fe-
nicio, poterono appropriarsi in diversi modi dell'apporto straniero e di
ciò che veicola e rappresenta, per lo meno in teoria. Il dialogo tra ele-
menti comuni e tratti differenti viene arricchito proprio grazie a questo
tipo di studi4 •
La distanza tra il punto di partenza dei Greci e i luoghi in cui giun-
sero nell'area del mondo costituita dal semicerchio che chiude a ovest e
a nord-ovest il Mediterraneo è, probabilmente, una delle piu vaste che
siamo in grado di osservare. La stabilità e la regolarità degli scambi tra
Oriente greco ed estremo Occidente si afferma verso il6oo a. C., cioè
piuttosto tardi rispetto ad altre regioni come la Magna Grecia o la Sici-
lia, benché si intravedano alcune relazioni già a partire dall'ultimo quar-
to dell'viii secolo e anche prima. I Greci non erano soli nelle zone estre-
me dell'Occidente. A partire dalla metà dell'viii secolo i Fenici erano
' Al di fuori delle grandi sintesi sulla colonizzazione greca, pochi lavori abbracciano l'insieme
delle regioni iberiche e celte. Tuttavia si deve sottolineare che, nella maggior parte delle opere col-
lctLive c dei convegni degli ultimi due decenni che si sono occupati di una determinata regione, la
rcg1one vicina è sempre oggetto di studio. Alcuni approcci globali: M. BATS e H TRÉZINY, Le città
/oece, in E. GRECO (a cura di), La città greca antica, Roma 1999, pp. }95·412. Sui Greci in Gallia
dr. sotto, nota 2}, a proposito di Marsiglia; inoltre, F. BENOiT, Recherches sur /' hellénisation du Mi-
di dt la Goule, Aix-en-Provence 1965; Voyage en Massalie, roo ans d'archéologie en Gaule du Sud,
ult<dogo della mostra, Marseille 1990; J.·P. MOREL, Les Grecs et la Gau!e, in Les Grecs et I'Occident,
Rome 1995, pp. 41-69; cfr. in particolare gli Atti dei seguenti convegni: M. BATS (a cura di), Les
umphores de Marseille grecque, Lattes · Aix-en-Provence 1990; Marseille grecque et la Gaule, Lattes
i\ix-cn-Provence 1992; A. HERMARY e Il. TRÉZINY (a cura di), Les cultes des cités phocéennes, Aix-
cn-Provcnce 2000. Sui Greci e la penisola iberica cfr. sotto, nota 47, a proposito di Ampurias, e
A. I;ARclA Y BELLIDO, Hispania Graeca, Barcelona 1948; G. TRiAs DE ARRIBAS, Certimicas griegas de la
/'cninsula Ibérica, Valencia 1967-68; P. ROUILLARD, Les Grecs et la Péninsule Ibérique du vm' au Iv"
Hcdeav f.-C., Paris 1991; A. J. DOMINGUEZ MONEDERO, Los griegos en la Peninsula Ibérica, Madrid
1~<Jf>; 1.. ANTONELLI, I Greci oltre Gibilterra. Rappresentazioni mitiche dell'estremo occidente e navi-
gazioni commerciali nello spazio atlantico fra VIlle IV secolo a. C., Roma I 997; M. BLECil, Los griegos
en fheria, in Protohistorio de la Peninsula Ibérica, Madrid 2001, pp. 28}·}26; e gli Atti dei seguen·
ti convegni: P. ROUILLARD e M.·C. VILLANUEVA·PUIG (a cura di), Grecs et Jbères au IV sièc/e ovant Jé-
sus-Christ, commerce et iconographie, Bordeaux 1987; P. CABRERA, R. OLMOS e E. SANMARTI (a cura
di), lbcros y Griegos: lecturas desde la diversidad, Huelva 1994; P. CABRERA e M. SANTOS (a cura di),
Ceràmiques iònies d' època arcaica :centres de producci6 i commerzialitzaci6 al Mediterrani Occidental,
Rarcelona 2000; due cataloghi di mostre: Les Ibères (Parigi, Barcellona, Bonn), Paris 1997; Los
(;rÌ<'Ros cn Espaiia, Tras las huellas de Heracles, Madrid 2000.
502 Gli «altri» e i Greci
attivi a sud, sul litorale di quella che diventerà l'Andalusia, in cui poi si
stabilirono, come fecero di fronte, in Sardegna e nella Sicilia orientale.
Tuttavia, a seconda che si consideri il litorale orientale della penisola
iberica oppure la bassa valle del Rodano, l'eco degli scambi orientali ri-
sulta diverso. Una diversità che rimane sensibile anche se a est di Mar.
~iglia si trova l'Etruria, anch'essa in contatto con il bacino orientale del
Mediterraneo, per quanto spesso in modo indiretto, attraverso la Cam.
pania e l'Italia del Sud.
Il momento dell'insediamento dei Greci, attorno al6oo, la loro iden-
tità prevalentemente focese, la vicinanza di insediamenti fenici, sono
tutti fattori che condizionano i caratteri propri degli stessi insediamen-
ti greci. Un altro tratto, già accennato, è la vastità dei continenti su cui
si stanziarono gli insediamenti costieri e che accolsero materiali greci
differenti, in momenti differenti, per usi differenti.
I.
I PRIMI INCONTRI E LA SCOPERTA DELL'ESTREMO OCCIDENTE.
'J. MARTIN DE LA CRUZ, Mykenische Keramik aus bronzezeit/ichen Sied/ungschichten von Mon·
toro, in «Madrider Mitteilungen», XXIX (1988), pp. 77-91.
Rouillard Greci, Iberi e Celti 503
.r . M. SOLER GARdA, El oro de las tesoros de Vi/lena, Va!encia 1969; A. PEREA , Or/evreria Prer-
•wlluliil . !lrqueologia del oro, Madrid 1991; M . s . IIERNANDEZ, La Edad del Bronceen Alicante, in M.
s 111-:R~ ,iNDEZ (a cura di), Y acumularon tesoros. Mi! aiios de historia en nuestras tierras, Alicante
Pfl· 201-16.
• Siti greci
• Altri si ti
• Chàtillon-
sur-Giane
Lione o
~; -;jo•
0~%
Theline/Arles <>:: Nikaia
Antipolls
~
Agathe
Pech Maho Massalia • Olbia
Isola di
Rhode Porquerolles
- Duero ---.....____; <%_ Emporion
0
~ Valld'Ux6
Palma~~
. . Denia ~ Mruorca
s.1u,., Jfcl~ Orbiza
Sanra Pola
504 Gli <<altri» e i Greci
7
M. E. AUBET SEMMLER, Tiro y las colonias fenicias de Occidente, Barcelona 1994'; M. GRAS,
P. ROUILLARD e J. TEIXIDOR, L'universofenicio, Roma 2000.
1
E/ asentamiento orientalizante e ibérico antigua de «La Rdbita», Guardamarde/Segura (AlicfJII·
te). Avance de las excavaciones I9')6·I9'}8, in «Trabajos de Prehistoria>>, LV, 2 (1998), pp. II 1-26.
9
ROUILLARD, Les Grecs cit., pp. 8J·IOI; M. PELLICER, Hue/va tartesia y fenicia, in <<Rivista di
Studi fenici», XXIV, 2 (1996), pp. 119-40.
Rouillard Greci, Iberi e Celti 50.5
li.
GLI INSEDIAMENTI E LA STABILIZZAZIONE DEGLI SCAMBI ALL'INIZIO
DEL VI SECOLO.
r. Le grandi tappe.
Le affermazioni degli autori antichi sul primo popolo che «rivelò»
l'Iberia sono contraddittorie. Troviamo menzionati un abitante di Sa-
'" l' AMORES CARREDANO, La ceramica pintada esti/o Carambolo: una revisi6n necesaria de su
"'''"''"Ria, in Tartesso, 2.5 anos despues, Jerez de la Frontera
1995, pp. 159·78.
" "· ROUILLARD, Note surquelques vases d'inspiration gréco·géométrique de Toscanos (z967), in
•MaJridcr Mitteilungen», XXXI (1990), pp. q8-85; c. BRIESE e R. DOCTER, Der phonizische
Skypbos Adaptation einer griechischen Trinkschale, ivi, XXXIII (1992), pp. 25-69.
" EI.IANO, Storia varia, 5.).
" LICUFRONE, Alessandra, 633-43.
506 Gli «altri» e i Greci
" 11. FREYER-SCHAUENBURG, El/enbeine aus dem samischen Heraion, Figurliches, Gefiisse und Sie-
/1.<'1, I Imnhurg 1966.
11
I'RUDOTO, 1.16_3.
508 Gli «altri» e i Greci
fondazione, che, forse, non era neanche il principale obiettivo dei Fo.
cesi. In effetti, quando i Facesi fuggirono i Persiani e quando abban-
donarono Alalia (dove erano giunti in due ondate, attorno al 565 e poi
al545), si diressero verso Reggio e poi fondarono Velia.
Molte pagine della storia dei Greci di Occidente sono state anneb-
biate dai dibattiti sulle localizzazioni (quella di Mainakè e quella delle
«tre piccole colonie di Marsiglia» che Strabone2 situa nel Sud-Est del-
la penisola iberica) e sulle qualifiche, in particolare gli aggettivi di foce-
se o di marsigliese. Certo, queste riflessioni conservano la loro impor-
tanza, ma sono state superate dalle analisi che sottolineano la coerenza
delle modalità di insediamento. Due ritratti possono essere tratteggiati
preliminarmente, quello di Ampurias e, in primo luogo, quello di Mar-
siglia, la cui storia nel mondo focese è un hapax.
2. Marsiglia.
22
STRABONE, 3-4·6.
" Dopo la tesi di F. VILLARD, Lo céramique grecque de Marseille (vt'-w s.). Essai d'histoire éco-
nomique, Paris 1960, si leggerà, soprattuto per i contributi di scavi recenti, A. HERMARY, A. HES-
NARD e Il. TRÉZINY, Marseille grecque, la cité phocéenne (6o0-49 av.].-C.), Paris 1999.
" Timeo, apud PSEUDO·SCIMNO, 211-14, e SOLINO, 2.52.
" M. BATS, Marseillearchai"que, Etrusques et Phocéens en Méditerranée nord-occidentale, in «Mé-
langes d'archéologie et d'histoire de l'Ecole française de Rome. Antiquité», CX, 2 (1998), pp. 6o9·
633; 11:1· GRAS, Les Etrusques et la Caule méditerranéenne, in T. JANIN (a cura di), Mailhac et lepre-
mier Age du /er en Europe occidentale, Lattes 2ooo, pp. 230-41.
" GIUSTINO, Epitoma historiarum Philippicarum, 43·3·4·
27
ARISTOTELE, Costituzione dei Marsig/iesi, citato da ATENEO, 13·576.
Rouillard Greci, Iberi e Celti 509
tarco colloca nella classe dei mercanti anche Protis, evidenzia «che fondò
Mmiglia dopo essersi ingraziato i Celti che abitano sulle sponde del Ro-
dano»28 Il successo della città alla fine dell'età arcaica e in epoca classi-
ca. quando intrattiene relazioni con il cuore dell'area celtica e quando
il suo vino è assai ricercato, hanno certamente contribuito a una ri-
scrittura della storia di Marsiglia. Questa infatti presenta molti tratti
che avvicinano la città alle ùnoud.m della Magna Grecia o della Sicilia.
Una conoscenza preliminare, un accordo con la comunità già insediata
sul posto o con il principe locale caratterizzano numerosi insediamenti
focesi: come nel caso di Ampurias, in cui i Greci furono accolti da una
comunità; o in quello di Argantonio, che invano offrf ai Greci un terri-
torio. Questi punti cruciali sono sempre in discussionen, allo stesso mo-
do di altri, come la fuga da Focea, quando venne presa da Arpago, pri-
ma verso Chio, poi verso la Corsica; oppure la battaglia di AlaliaJ0 , a cui
sembra che Marsiglia non abbia partecipato; o anche l'insediamento dei
fuggitivi in parte a Velia, in parte a Marsiglia, come suggerisce anche, a
suo modo, l'archeologia. Ma sottolineiamo piuttosto come questi dati
isolano la penisola iberica da un insieme che comprende la Gallia meri-
dionale e le coste italiane.
Il territorio della futura Massalia sembra essere stato occupato dai
Liguri in modo piuttosto disperso. Questi, traendo origine da popola-
zioni locali della fine dell'età del Bronzo, a partire dalla fine dell'vm se-
colo, avrebbero accolto gruppi piu celtizzati del nord. Il sito, circonda-
to Ja una fascia di rilievi interrotta da due avvallamenti, è costituito da
un promontorio delimitato a sud dal Vieux-Port (fig. 3). Strabone cosi
lo Jescrive: «Massalia è una fondazione focese, impiantata su un sito
roccioso. Il suo porto si estende ai piedi di un'altura in forma di teatro
che guarda a sud. L'altura è dotata di una bella fortificazione, cosi co-
me l'intera città, che è assai estesa. Sul promontorio si alzano l'Efesion
e il santuario di Apollo Delfico: questo è comune a tutti gli Ioni, men-
tre l'Efesion è un tempio dedicato ad Artemide di Efeso>>Jl.
L'insediamento dei Greci ha inizio con un fulmine che ci viene ri-
cordato sia da un contemporaneo di Augusto, Trogo Pompeo, un Gallo
voconzio della valle della Durance, la cui opera ci è pervenuta grazie
12
GIUSTINO, Epitoma historiarum Philippicarum, 43·3·4·
H ATENEO, 13.576.
" GIUSTINO, Epitoma historiarum Philippicarum, 43·4·5·
Tipo l
Tipo4
V-111 secolo a. C.
Tipo 5
m-n secolo a. C.
fine v· inizi tv secolo a. C.
TipoJ
rn
IV secolo a. C.
\_.! /
~
so cm
Rouillard Greci, Iberi e Celti 513
Figura 6. Frammenti di vasi ritrovati a Pointe Lequin (isola di Porquerolles; c. 520-510 a. C.).
~··~
G)
y
Figura 7· Dramma pesante di Marsiglia (Iv-III secolo a. C.).
Rouillard Greci, Iberi e Celti 515
Figura 8. Stele con dea seduta in un'edicola (Marsiglia, seconda metà del VI secolo a. C.) .
516 Gli «altri» e i Greci
Agde, già frequentata dai Greci all'inizio del VI secolo, alla fine del
v ospitava una colonia massaliota. Piu tardi, attorno al33o, i Marsigliesi
fondarono Olbia, dandole una struttura a pianta quadrata che la rese si-
mile a un grande acquartieramento. Marsiglia non fu mai lontana, tan-
to che Olbia è stata presentata come un «quartiere di Marsiglia», e a
Nikaia, in età romana, amministrava la giustizia un magistrato di Mar-
siglia. Se tutti questi fenomeni sono attestati nel Sud della Gallia, non
si ritrovano invece sulle coste iberiche.
0
STRABONE, 4. I. 5.
"lbid., 2-4-1-7 e 2.5.7·8.
"Ibid., 4.1.5.
Rouillard Greci, Iberi e Celti 517
3. Ampurias.
L'insediamento greco di Ampurias è solo di poco posteriore a quel-
lo di Marsiglia e, assieme a quello di Rhode, è l'unico ad essere noto nel-
la penisola iberica47 •
Due testi di epoca tarda ritraggono Emporion: Tito Livio48 la de-
scrive al tempo della seconda guerra punica e un capitolo di Strabone4'
poco piu tardi (ma prima di Augusto). Entrambi forniscono una serie di
notizie sulla storia dell'insediamento a partire dalla sua nascita, attorno
al 590-580, cioè molto vicina a quella di Marsiglia. Dall'inizio del XIX
secolo Emporion è nota grazie all'archeologia, ma bisognerà attendere
gli scavi di]. Puig i Cadafalch negli anni 1910-20 per avere un'idea di
quella che era chiamata Neapolis e gli scavi di M. Almagro Basch per
rintracciare il primo insediamento nell'isolotto di Sant Marti d'Empu-
ries. Dopo il 1980 campagne di scavo di grande portata, dirette princi-
palmente da Enrique Sanmarti Grego, Xavier Aquilué Abadias e Mar-
ta Santos Retolaza, hanno consentito di conoscere meglio l'urbanesimo
classico di Neapolis e i primi livelli della Palaiapolis; gli scavi del de-
" !\l. BATS e H. (a cura di), Le territoire de Marseilk grecque, Aix-en-Provence 1986.
TRÉZINY
l\ l. ALMAGRO BASCH, Las necr6po/is de Ampurias, 2 voli., Barcelona 1953-55; R. MARCET e E.
'"'·'IAKTI, Empuries, Barcelona 1989; Les ceriìmiques gregues arcaiques de la Pa/aià Po/is d'Empo-
rum, in t:AilRERA e SANTOS (a cura di), Ceriìmiques cit., pp. 285-346; Intervencions arqueològiques a
.\ant M arti d' Empuries (1994- 1996). De/' assentamene preco/onial a/' Empuries actua/, Barcelona zoo 1.
" I.IVIO, 34·9·
" STRABONE, 3-4.8-9.
518 Gli ({altri» e i Greci
pe differenti e notiamo come alla paura che portò a ronde notturne sul-
le mura, segui il mutui usus desiderium e, infine, la messa in vigore di leg-
gi comuni. La localizzazione di questa comunità indigena non è ancora
certa, tuttavia può essere ragionevolmente posta a ovest della città gre-
ca, alla quale si avvicinò sempre piu nel corso dei secoli. Accanto a que-
sto problema si pone quello della xooga, quando Ampurias entrò rego-
larmente nella categoria delle <~città senza territorio». A nostro avviso
ciò avvenne per lo meno dalle epoche arcaica e classica, quando lo spa-
zio economico era dominato dagli indigeni. Le relazioni erano fondate
sullo scambio e si svilupparono sempre piu verso l'interno, soprattutto
a partire dalla metà del v secolo. Anche in questo caso rimane aperta la
questione dell'area di intervento dei mercanti di Ampurias, ma pare ve-
rosimile che navi greche come quella affondata presso l'isolotto d'El Sec,
nella baia di Palma di Maiorca, si trovassero nelle basi commerciali lun-
go tutta la costa mediterranea della Spagna (come quella di La Picola a
Santa Pola, presso Elche, di cui parleremo).
Il ruolo di Marsiglia rimane un'altra questione aperta. Si tratta di un
punto basilare in quanto riguarda l'origine dei primi Greci: Facesi di
Focea o di Marsiglia? Sostengo la prima ipotesi, perché credo che, at-
torno al6oo, i Facesi abbiano moltiplicato gli insediamenti e i luoghi di
scambio dall'Andalusia alla Provenza in un lasso di tempo molto breve,
adattandosi in seguito alle situazioni locali. Nel caso di Ampurias, è ve-
ro che Marsiglia fornisce vasellame, vino (ma a sud di Ampurias l'anfo-
ra di Marsiglia è molto rara, come d'altronde tutte le anfore greche), ma
le quantità sono esigue e l'anfora piu comune è quella iberica. Proba-
bilmente, in questa regione, Marsiglia si riforniva di argento e parteci-
pava al commercio dei cereali, particolarmente abbondanti nella regio-
ne dell' Ampurdan. Ma i segni di autonomia di Ampurias mi sembrano
forti, innanzitutto in campo politico, ma anche nelle ceramiche in uso,
nella presenza molto scarsa di anfore di Marsiglia, nella scelta dei mo-
delli monetari. Non si tratta certo di semplificare le relazioni tra Am-
purias e Marsiglia, e, se vi fu una comune identità tra le due città, que-
sta si nota nel popolamento iniziale e nella cultura materiale dei primi
occupanti. L'onomastica ci illumina rimandando alla Ionia, come rias·
sume L. Robert in una bella formula: «sulla costa di Spagna e all'estua·
rio del Rodano è sempre la Ionia a vivere» 52 In entrambe le città la so·
pravvivenza dei nomi - talvolta tratti dai nomi dei fiumi - testimonia
la persistenza di ricordi comuni e l'attaccamento alla stessa patria. Co·
" L. ROBERT, Noms de personnes et civi/isation grecque, in «Journal des Savants», 1968, pp. 197·
213; o. MASSON, Hermokai"koxanthos, ivi, 1985, pp. 17·24.
Rouillard Greci, Iberi e Celti 52 1
" STRABONE, 3·4·8 e 14.2. IO; PSEUDO-SCIMNO, 20I·IO; M.]. PENA, Encore sur fa colonisation rho-
dicm;c dc Rhodè, in «Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik», CXXXIII (20oo), pp. 109·12.
" IJ. VIVO CODINA, Rhodè: Arquitectura i urbanisme del barri hel.lenistic :, in « Revista d' Ar-
l[lll'ologia de Ponent», VI (1996), pp. 8r-II7.
STRABONE, 3·4·6.
M. E. AUBET, Mainake, la primera Malaka, in Tovixeddu, la necropoli occidentale de Karales,
Cagliari 2000, pp. 27-42.
" P JACOB, Mainakè. Réflexion sur !es sources, in «Ktema», XIX (1994), pp. 169-94; ANTO-
~IILI, I Greci cit.
" P. CADRERA, El comercio foceo en Huelva: cronologia y fisionomia, in « Huelva Arqueol6gi-
ca .. , X-XI, 3 (1988-89), pp. 41-Ioo; El santuario protohist6rico hai/ado en la Calle Méndez Ntinez
(/ iuc!vaJ, in CABRERA e SANTOS (a cura di), Ceràmiques cit., pp. rn-88.
522 Gli «altri» e i Greci
--~
524 Gli «altri» e i Greci
" Bisogna sottolineare che tutte le tracce della necropoli sono scomparse in seguito ai lavori
di terrazzamento agricolo: si tratta di una lacuna incolmabile nelle nostre informazioni.
Rouillard Greci, Iberi e Celti 525
III.
MODALITÀ DI SCAMBIO E GEOGRAFIA.
Gli attori degli scambi sono stati identificati. Conviene ora ritorna-
re su alcuni aspetti del contenuto e della geografia degli scambi stessi.
Ciò riguarda sia i prodotti del suolo, soprattutto delle miniere, come
l'argento, lo stagno, il ferro, sia quelli della terra, ciascuno con una pro-
pria geografia e con proprie modalità di circolazione.
Non mancano problemi complessi a proposito degli schiavi, dei mer-
cenari, del sale, del ferro, presente - ma in quantità differenti - in nu-
merose regioni. Vi è poi l'argento di Tartesso. La maggior parte degli
scambi riguarda lo stagno, indispensabile per le armi, cosi come per le
statue. Cipro è un grosso fornitore della Grecia, ma c'è anche lo stagno
delle regioni nord-occidentali d'Europa, che arriva a diversi destinata-
ri per vie differenti. Gli utenti sono i Fenici, i Greci - sia quelli della
Grecia vera e propria, sia quelli della Magna Grecia-, gli Etruschi.
Vi sono molte rotte che conducono al Mediterraneo occidentale o
all'Adriatico. L'accesso avviene tramite una serie di vie lungo la Saona
e il Rodano, o secondo un asse est-ovest che segue il corso della Loira e
dei suoi affluenti, tutti percorsi scanditi da prodotti mediterranei tra cui
dominano il vasellame attico - soprattutto vasi per bevande - e le anfo-
re greche (presso Lyon-Vaise sono stati trovati tremila frammenti di piu
di una cinquantina di anfore da vino di Marsiglia della prima metà del
v secolo). I depositi di bronzo in Linguadoca, detti «launaciens», il ca-
rico del relitto di Rochelongue (Agde), apprestati da «procacciatori di
clienti», sono segni importanti di un cospicuo flusso di scambi; oggi si
ipotizza che il destinatario fosse etrusco. A partire dalla fine dell'viii se-
colo lo stagno, recuperato dai Fenici sulle coste dell'Andalusia, a Huel-
va, segue un itinerario atlantico, fino alle Colonne d'Ercole. L'interes-
se per lo stagno era probabilmente condiviso dai Greci (per esempio da
colui che in quel tempo offri il grande cratere/pisside di Huelva), dagli
Euhei; poi, un secolo dopo, da Coleo di Sarno e anche dai Facesi, un
tempo tentati dagli inviti di Argantonio re di Tartesso. Ma ora esiste un
altro asse per raggiungere l'Adriatico: tra i1540 e il48o viene oltrepas-
sato il Valais svizzero e il Gran San Bernardo. Proprio su questa via si
situa Chatillon-sur-Glane, ricca di materiale attico e anfore greche, al-
c~tne di Marsiglia, la quale partecipa anche agli scambi con questa re-
gJOne.
526 Gli «altri» e i Greci
Gli scambi marittimi sono illuminati dai relitti. Il litorale della Pro-
venza e la Costa Azzurra ne contano nove, datati alla seconda metà del
VI secolo (la maggioranza greci, ma anche etruschi). Tra i piu noti vi è il
relitto 1A di Pointe Lequin, a Porquerolles, con il suo carico suddiviso
in un insieme di vasi standardizzati, che ritroviamo poi a Marsiglia e a
Vix". Il relitto di El Sec, nella baia di Palma di Maiorca, stando ai re-
cuperi effettuati, presenta tratti differenti: datato al secondo quarto del
IV secolo, accanto a una serie di vasi attici e di calderoni di bronzo, of-
fre un repertorio estremamente vario di anfore greche; un'altra testi-
monianza dei circuiti complessi percorsi da questa nave è fornita dalla
presenza in eguale numero di graffiti greci e punici67
Gli attori degli scambi sono Fenici, Greci, Etruschi. Ma le scoperte
di piombo commerciale mostrano sempre piu come, nell'ambiente co-
smopolita dei mercanti del tempo, anche gli indigeni fossero protagoni-
sti. Ad Ampurias, un Iberico e un Greco partecipano alla stessa inizia-
tiva'8: il piombo di Pech Maho (fig. 1 1), della prima metà del v secolo,
viene scritto su due facciate, una in etrusco, l'altra in greco" Il primo
testo presenta la prima menzione di Matalia/Massalia in cui gli Etruschi,
insediati in Linguadoca, effettuano una transazione; il secondo, sullo
stesso piombo reimpiegato, è in alfabeto ionico e riporta l'acquisto fat-
to da un mercante greco di un'imbarcazione da alcuni mercanti dell'em-
porio. Tutto viene minuziosamente regolato alla presenza di sei testi-
" c. ROLLEY, Les échanges, in P. BRUNe B. CHAUME (a cura di), Vix et !es éphémères principautés
celtiques. Les vf. v' siècles avant ].-C. en Europe centre-occidentale, Paris I 997, pp. 2 39-42.
," El barco de EIS~c (Costa de Calviti,Mallorca). Estudio de /os materia/es, Maiorca I987; L' épa·
ve d E/Sec (Mal/orca), In ROUILLARD e VILLANUEVA·PUIG (a cura di), Grecs et fbères ci t., pp. I J·I46.
68
Cfr. nota 49·
" M; LEJ":UNE, J. POUILLOux_ e Y. SOI.IER, Etrusqueet ionien surun plomb de Pech Maho, in «Re·
vue archeolog1que de Narbonna•se», XXI (1988), pp. I9-59; da ultimo, con bibliografia, J.·C. DE·
couRT, Le plomb de Pech Maho. Etat de la recherche 1999, in «Archéologie en Languedoc», XXIV
(2000), pp. I I I·24.
moni, in maggioranza dai nomi iberici; gli Iberi abitavano nell' oppidum
di Pech Maho, ed erano in continui rapporti di scambio con Ampurias.
1. Il mondo celtico.
Il legame tra mondo celtico e Greci appare in modo spettacolare nel-
le «residenze principesche» (le Fiirstensitze) in cui sono compresenti for-
tificazioni, tombe a tumulo ricche di oggetti funerari e oggetti mediter-
ranei nelle abitazioni, in un'ampia regione tra Borgogna, con Vix come
punto piu a occidente, e Wiirttenberg. Bisogna aggiungervi la regione
di Bourges e, in un asse tra Mediterraneo e centro della regione celtica,
hanno un posto importante anche siti come Lione« Vaise» o Bragny sul-
la Saona, benché non rispondano alla formulazione abituale, citata so-
pra, di residenze principesche. Il fulcro del dibattito attuale'0 è costi-
tuito dal ruolo dei contatti mediterranei nel processo di sviluppo dell'ari-
stocrazia indigena e dal significato degli oggetti mediterranei dei secoli
V! c v nel contesto di un'economia assai aperta. Il vino e l'alcool (non
necessariamente importati) esercitano un'attrazione particolare presso
le popolazioni hallstattiane e il vasellame da banchetto, greco o etrusco,
che è stato ritrovato presso alcuni siti principeschi è l'attributo ricerca-
to dai gruppi privilegiati che si preoccupano di affermare il loro rango e
la loro autorità 71 •
Gli scambi coinvolgono la regione di Vix- in una tomba principe-
sca si è trovato un cratere in bronzo greco datato attorno al 530 (fig.
1 2), di una bottega di Paestum che ha prodotto anche il cratere ritro-
vato nell'altro sito hallstattiano di Hochdorf- e, a est, la regione del
WLirttenberg, soprattutto nella seconda metà del VI secolo. L'itinerario
verso Mont-Lassois è discusso, ma allo stesso tempo sono in funzione
quello della valle del Rodano e quello dei valichi alpini, a partire
dall'Adriatico e dall'Etruria. Vi è una perfetta coincidenza tra la pro-
sperità di Marsiglia, dimostrata dall'archeologia, e quella dei siti prin-
cipcschi. Ma è necessario anche rilevare l'aspetto puntuale di tali scam-
bi a lunga distanza e l'esiguità del loro volume: cosi i 200 frammenti di
una dozzina di anfore greche di La Heuneburg vanno raffrontati con i
2500 delle stesse anfore portati alla luce a Pian de La Tour, a Gaillan in
Linguadoca, su una superficie di 500 mq 72
71
Materia/es de la necropo/is ibérica de Or/ey/ (Va/l d'Ux6, Caste/16n), Valencia 1981.
" c SANCHEZ, Vasos griegos para los principes ibéricos, in Los Griegos en Espana cit., pp. 179·
1'l 3, con bibliografia.
Figura 13. Cratere attico da Orleyl (Vali d'Ux6, Castellén; inizi IV secolo a. C.).
1 Coppa attica bassa; 2. Patera attica; 3· Cratere attico a figure rosse; 4· Piatto di bilancia; 5· Pesi;
l, H. Iscrizioni iberiche; 9· Resti umani calcinati.
530 Gli «altri>> e i Greci
IV.
GLI SCAMBI CULTURALI.
Tra Greci da un lato, Iberi e Celti dall'altro, gli scambi assunsero va-
rie forme e le differenze si riferirono innanzitutto alle comunità indi-
gene stesse. La flessibilità degli schemi greci, ancora una volta, risulta
un elemento essenziale da valutare nel presentare alcuni esempi, per
quanto rari.
In queste regioni l'uso della scrittura fu innanzitutto caratteristica
di Fenici, Greci o Etruschi, come hanno mostrato i piombi commercia-
li. A partire dall'epoca arcaica, la Spagna meridionale e, poi, orientale"
vide la nascita di vari sistemi di scrittura; alcuni segni somigliavano a
quelli fenici e greci, mentre altri erano diversi o furono impiegati con
un significato differente. A sud della regione di Valenza, alla fine del v
secolo, si diffuse un sistema di scrittura greca, ionica (di Samo), per tra-
scrivere l'iberico. Tale opzione, che non fu proseguita in seguito, ven-
ne determinata da un ambiente commerciale. Ma, in questa stessa re-
gione della Contestania, si avviò anche un sistema di scrittura iberica il
cui uso, soprattutto in campo commerciale, si impose fino alla Lingua-
doca. Altro caso esemplare è il Sud della Gallia", dove bisognerà aspet-
tare la fine del m secolo per vedere apparire, in particolare in alcuni si-
ti indigeni della Linguadoca orientale e nella bassa valle del Rodano, no-
mi propri gallici scritti in caratteri greci. La scrittura ionica era in uso
"J. DE HOZ, Las sociedades paleohispdnicas del tirea no indoeuropea y la escritura, in «Archivo
Espaiiol de Arqueologia», LXVI (1993), pp. 3-29; ID., Ensayo sobre la epigrafia griega de la Penin-
sula ibérica, in «Veleia», XII (1995), pp. 151-79.
76
M. BATS, La logique de l' écriture d'une société à l' autre en Gaule méridionale protohistorique,
in «Revue archéologique de Narbonnaise», XXI (1988), pp. 121-48.
Rouillard Greci, Iberi e Celti 53 1
2oK-..J ), figg. 2 r-22; V. PAGE DEL POZO e J. M. GARclA CANO, La escu/tura en piedra del Cabecico del
1<·\IJI'r) rverdolay, La Alberca,Murcia), in «Verdolay», v (I993l. p. 38 n. 2 e pp. 38·39 n. 4·
"'' GARr:IA Y BELLIDO, Hispania Graeca ci t., Il, pp. I 14-15, tav. XLVI.
NEGUERUELA, Lor monumentos ercult6ricos del Cerri/lo Bianco de Porcuna (Jaén), Madrid
534 Gli «altri» e i Greci
L ArtO' Viraz Niimak x.8 edito da w. BELARDI, The Pahlavi Book o/ the Righteous Viraz, Ro-
ml· it)/9.
' Cfr. c. A. CIANCAGLINI, Alessandro e l'incendio di Persepoli nelle trattazioni greca e iranica, in
A 1'.\I.Vo (a cura di), La diffusione dell'eredità classica ne/l'età tardoantica e medievale, Alessandria
l ~·!7. pp. 69-70.
' Cfr. 1.. BRACCESI, Livio e la tematica d'Alessandro in età augustea, in «Contributi dell'Istitu-
to Ji Storia Antica dell'Università del Sacro Cuore», IV (1976), pp. 179-99; F. DE POLIGNAC, Ales-
samlm o la f!.enesi di un mito universale, in I Greci, II/3, Torino 1998, pp. 271-92.
' Cfr. CIANCAGLINI, Alessandro cit., pp. 78-81.
538 Continuità e riusi
me romeo può costituire però un fil rouge che aiuti a esplorare, almeno a
grandi tappe, il cammino talora tortuoso che ha condotto alla costitu-
zione di una realtà politica e culturale nella quale associare ad Alessan-
dro l'epiteto di romeo non rappresenta un grossolano abbaglio.
Il punto da cui parrebbe inevitabile prendere le mosse è la fonda-
zione o la consacrazione della nuova Roma, cioè della città da cui trag-
gono nome i nuovi Romani: Costantinopoli. In realtà il processo che
conduce l'Oriente di lingua e cultura greca ad essere, e soprattutto a per-
cepirsi, come la continuazione, l'erede e la quintessenza di Roma affon-
da le radici in tempi ben pio remoti del3 30 d. C. e si realizza in una dia-
lettica tra posizioni opposte, tra tentativi di mediazione e ricerca di con-
trasti, tra innovazioni repentine e altrettanto bruschi ritorni al passato.
Una fortunata formulazione del singolare sincretismo bizantino distri-
buisce, individua e insieme fonde con icastica efficacia i tre ingredien-
ti fondamentali: «Bisanzio è l'impero romano, divenuto cristiano, del-
la nazione greca» 5
In questa prospettiva si viene a ricomporre in un quadro articolato,
ma unitario, ciò che di piu specifico e al contempo universale hanno ela-
borato la Grecia, Roma e il Vicino Oriente; in realtà questa immagine
irenistica coglie solo in parte il risultato di un confronto complesso, che
ha conosciuto fasi alterne e che ha attinto un equilibrio instabile, in cor-
so di perenne ridefinizione, piu che una assestata compenetrazione. Del-
la dialettica tra romano ed ellenico, delle forme di fusione e rifiuto, cer-
cheremo di cogliere momenti e aspetti.
11
Cfr. ELIO ARISTIDE, Orazioni, 26 Keil. Per una raccolta dei testi dedicati alle lodi di Roma
in tessute da parte greca cfr. L. PERNOT, Eloges grecs de Rome. Discours traduits et commentés, Paris
1997. Per una recente valutazione dell'atteggiamento di Elio Aristide verso Roma cfr. A. STER'fZ,
Aelius Aristides' politicalideas, in ANRW, II, 34/2 (1994), pp. 1250-54·
12
Cfr. ibid., pp. r 268-70.
11
Resta sempre fondamentale E. GABBA, Storici greci dell'impero romano da Augusto ai Severi,
in «Rivista storica italiana», LXXI (1959), pp. 361-8r.
" Continuando per molti versi atteggiamenti e prospettive critiche che già precedentemenle
avevano caratterizzato gli intellettuali greci nei confronti di Roma: cfr. M. A. GIUA, Il dominio ro·
mano e la ricomposizione dei conflitti sociali, in I Greci cit., pp. 869-82.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 541
dal l· ideale platonico del principe filosofo giunge puntuale la lode o il bia-
simo; né sono escluse piu sottili operazioni di censura che non preve-
dono forme dirette di dissociazione, bensi rivalutazioni di personaggi
storici tradizionalmente impiegati come contraltari polemici a Roma: è
forse da leggere in questa chiave la scelta di Arriano, ritiratosi a vita pri-
vata ad Atene dopo la morte del suo protettore Adriano, di dedicare
l'opera storica di maggior impegno ad Alessandro 15 • Arriano, allievo del
filosofo Epitteto, ma anche capace di inserirsi nell'apparato statale ro-
mano sino a raggiungere il titolo di vir c!arissimus e la carica di console
suffecto, rappresenta uno stadio ulteriore, rispetto a Dione di Prosa e a
Elio Aristide, nell'integrazione tra mondo culturale ellenico e imperium.
Con Cassio Dione, originario della Bitinia, senatore e per due volte
console, collaboratore di Settimio Severo e autore di una storia roma-
na, sembrerebbe raggiunta una sorta di equilibrata sintesi dei due mon-
di; Cassio Dione non ha come esclusivo orizzonte politico e culturale
l'Oriente, ma la conoscenza della realtà istituzionale romana, la disin-
voltura con cui si muove tra le fonti letterarie e documentarie latine, do-
vuta anche al bilinguismo, non devono pagare lo scotto di alcuna stra-
niazione rispetto all'ambito da cui egli proviene. Benché capace di in-
tendere e descrivere la complessa macchina istituzionale, militare e
sociale dell'impero, Cassio Diane resta pur sempre un elleno che tende
a interpretare sulla base di archetipi politici greci la realtà di un princi-
pato ormai avviato a trasformarsi in dominatus''.
l,' ellenismo in tesse dunque un rapporto di circospetta attenzione ver-
so Roma, instaurando un faticoso compromesso tra accettazione cauta
e sempre ricorrente tentazione di isolamento e rifiuto. L'iniziativa di
Costantino di fondare la sua città sul sito dell'antica colonia megarese
di Bisanzio viene a sconvolgere un calibrato sistema di contrappesi, a
riaccendere un dibattito mai sopito, a fornire nuove occasioni a ombro-
se c mal celate gelosie. La crisi non solo economica dell'Occidente, le
urgenze strategiche che si andavano delineando con sempre maggiore
chiarezza, il progressivo indebolimento dell'elemento italico, su cui si
era fondata la costruzione del principato, avevano indotto già Diocle-
ziano a spostare verso oriente il baricentro dell'impero: a prima vista
una tale decisione parrebbe destinata a riscuotere ampi consensi in un
Oriente che vi avrebbe scorto il riconoscimento di una superiorità sem-
Cosi c;AmlA, Storici ci t., p. 3 73: contra A. B. BOSWORTH, Arrian and Rome;the minor works,
inll.\"/{117, Il, 34/1 (1993), p. 232. Sulla posizione di Arriano verso Roma cfr. recentementeSWAIN,
Heli<"l!nm cit., pp. 242-48.
''· Cfr CRESCI, Introduzione, in CASSIO DIONE, Storia romana (libri L/l-LVI), Milano 1998,
Pp. 2S.
542 Continuità e riusi
17
Cfr. G. DAGRON, Costantinopoli. Nascita di una capitale (JJ0·45I), Torino 1991, pp. 46 sgg.
" Cfr. ID., L 'empire romain d'Orient au IV siècle et /es traditions politiques de I'Hellinisme. Le
témoignage de Thémistios, in <<Travaux et Mémoires>>, III (1968), pp. 2 sgg.; R. MAlSANO, Introdu·
zione, in TEMISTIO, I discorsi, Torino 1995, p. 24.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 543
26
Cfr. A. BRANCACCI, Rhetorikè philosophousa_ Dione Crisostomo nella cultura antica e bizanti·
na, Napoli 1986, PP- I I0-97; MAlSANO, Introduzione cit., pp. rr·I2-
27 Cfr. G. DOWNEY, Philanthropia in religion and statecra/t in the Iv"' century a/ter Christ, in «His-
toria>>, IV (1955), pp. I99-209; 11. MARTIN, Theconceptofphilanthropia in Plulllrch's Lives, in «Ame·
ricanJournal of Philology~>, LXXXII (I96I), pp. I64·75; MAlSANO, Introduzione ci t., pp. I7·I8.
"TEMISTIO, I discorsi, LI I Maisano; cfr_ DAGRON, L'empire cit., pp. 85-86.
"TEMISTIO, I discorsi, L2I Maisano; cfr. DAGRON, L'empire ciL, PP- 29 sgg.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 545
Cfr. Messaggio di Costanzo al senato, 5 Maisano. Cfr. DAGRON, L'empire ci t., p. 62; CRiscuow,
/.:!>amo. i Latini cit., p. I 55·
" Cfr. PALLADA, Antologia patatina, I I. 292.
TEI\IISTIO, I disconi, 26 Maisano; cfr. MAlSANO, Introduzione cit., p. 33-
" Cfr. u. CRISCUOLO, Giuliano e l'Ellenismo:conservazione e riforma, in «Orpheus», n.s., VI
(' <JX6), pp. 272·92.
" <;n JI.IANO, Epistola a Temistio, 6-7, pp.
20-2 I Bidez; cfr. u. CRISCUOLO, Sull'epistola di Giu-
lranu imperatore a/filosofo Temistio, in <<Koinonia>>, VII, 2 (I983), pp. 94-95.
546 Continuità e riusi
Anna Comnena, storica vissuta nel XII secolo, narra che a Costanti-
nopoli in mezzo al foro di Costantino, in cima a una colonna di porfi-
" Cfr. A. GARZYA, Sui rapporti tra teoria e prassi nella grecità tardoantica e medievale, in Studi in
'"'"~'"di C. Carbonara, Napoli 1976, pp. 371 sgg. (ristampato in ID., Il mandarino e il quotidiano,
\.opoli 1983, pp. 199-2 19); ID., Visages de/' Hellénisme dans le monde by:zantin (nl'-xif siècles), in
"1\\'Z<llltion», LV (1985), p. 471.
"' Encomio attribuito con buona verosimiglianza a Leone Diacono; cfr. 1. SYKUTRIS, AÉovroç
'"'' \w>tcivot• àvhdiorov t'yx<il!ttov Baaù.dov B', in «'EnEtt]Qlç 'EtaLQElaç Bu~avnvwv DwuMiv>>, X
1"'Il l, rr. 425-34.
" C:fr. 1.. R. CRESCI, Echi di Temistio e di Sinesio in un encomio del x secolo, in «Koinonia>>,
XXI II<)l)7), pp. 117-24.
" Si veda quello che viene considerato il <<manifesto» de li 'umanesimo bizantino: MICHELE
1'\I.U.o, !:'pistola a Giovanni Xifilino, seconda edizione riveduta e ampliata a cura di U. Criscuolo,
0:apnli 1990.
548 Continuità e riusi
do, si ergeva una statua di bronzo raffigurante in origine Helios, cui Co-
stantino aveva imposto il suo nome: con lo scettro stretto nella mano
destra e un globo nella sinistra, essa era volta verso orienteH In poche
righe, a nove secoli dalla fondazione della città imperiale, vengono for-
niti molti indizi {l'universalità dell'impero simboleggiata dal globo, la
regalità dallo scettro, l'attenzione all'Oriente dalla direzione della sta-
tua) circa le intenzioni che indussero Costantino, una volta ripristinata
l'unità dell'impero con la vittoria riportata a Crisopoli contro Licinio
nel settembre del324, a fondare la sua città sul sito dell'antica colonia
megarese di Bisanzio, assediata e distrutta da Settimio Severo e rico-
struita da Caracalla come colonia Antoninia. Sulla scorta dell'esito con-
seguito da quella epocale decisione fu quasi ovvio attribuire a Costanti-
no il progetto preciso e meditato di sostituire alla declinante Roma una
capitale che la soppiantasse in ogni aspetto e a tutti gli effetti; in realtà
la fondazione di Costantinopoli nel 324 e la dedicatio l'II maggio 330
si iscrivono in un disegno politico che mira a riformare Roma44 •
Il pericolo costituito a est dall'impero sasanide e a nord dalla fron-
tiera danubiana consigliarono di rendere piu incisiva la presenza roma-
na in quell'area vitale dell'impero: la nascita di Costantinopoli non era
la resa all'alienità dell'Oriente rispetto a Roma, ma il tentativo di por-
vi rimedio rinnovandone la romanità. Cosi la nuova città nasce a im-
magine di Roma anche nel progetto urbanistico, nella delineazione de-
gli spazi politici e istituzionali e nelle denominazioni (un ippodromo che
corrisponde al circo, un foro, la Mese come parallelo del miliario aureo,
il palazzo imperiale, l'epiteto di Anthusa che corrisponde a quello di Flo-
ra attribuito a Roma) 4', non per sostituirla, ma per rappresentarne una
sorta di propaggine in Oriente46 • L'unitarietà del progetto costantinia-
no si coglie da alcuni palesi indizi: iniziative edilizie a Roma e a Co-
stantinopoli, ruolo primario nella gestione dell'impero riconosciuto ai
senatori romani e creazione di un senato a Costantinopoli.
Una peculiarità segna dall'inizio la nuova città: essa è la città di Co-
stantino, legata a lui da un rapporto esclusivo, in prospettiva la capita-
le della sua dinastia47 Questo, che sarà un fattore vincente, poteva rap·
presentare anche una debolezza, come si avverte dall'inquietudine che
" Cfr. Temistio, I discorsi, 3.2 Maisano: «ÉV tti oxo1tl.(i tijç otxoui!Évt]ç».
" Cfr. ibid., 3. 3 Maisano: «ÈV tfj ~QOIÀEll01JO]l tÙJV 1tOÀIOUlV avabti tÒV ~aOLÀElJOvta tÙJV avtiQÙmwv
11 H t ,\r\'tf('U bL' 'Òj.uiç; ~UOLÀE\!ouoa».
" Cfr. ibid., 3·4 Maisano: «tii VÉCjl 'PW~tJ1tQÒçtT)v aQxaiav».
" Cfr. ibid., 6. r6 Maisano: «~ xaitéutEQ ow~atoç i:v6ç, ol.t]ç tijç yijç btutEQoç 6<pita1.~6ç, ~àÀÀov
b, Zu!)òiu xuì O~t<jlaÀÒp>.
" Cfr. ibid., 14.3 Mais ano: «twv yE buoiv ~t'ltQ01t61-twv ti'jç otxou~tÉVl]ç 1-Éyw bhijç 'Pw~tlll.ou xaì
TfJ; KitJV<Jtuvti.vou)>.
" Cir. DAGRON, Costantinopoli cit., pp. 49·53·
11
Cfr. Expositio totius mundi et gentium, 55 Rougé (Paris 1966).
550 Continuità e riusi
" Sul senato costantinopolitano cfr. G. ARNALDI, Rinascita,/ine, reincamazione e successive me·
tamorfosi del senato romano (secoli V· XII), in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CV
(1982), pp. 5·56; DAGRON, Costantinopoli cit., pp. 145-87. Sul ruolo di Temistio cfr. ID., L'empire
cit., pp. 37·42; MAlSANO, Introduzionecit., pp. 28-3r.
16
Motivo, quest'ultimo, di profondo cruccio da parte di Libanio: cfr. Orazioni, 49.2 (= III
453 Forster).
" Cfr. nel Xli secolo COSTANTINO MANASSE, Breviario storico in versi, 3838-39.
,. Cfr. A. CAMERON, Procopius, London 1985, pp. 192 sgg.; P. CAROLLA, Roma vista da Belisa·
rio e dai Goti l'epistola di Belisario a Toti/a in Procopio, in «Quaderni medievali>>, XLVI (199 8),
pp. 6-18.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 551
" Cfr., oltre all'ancora fondamentale F. DOLGER, Rom in der Gedankenwelt der Byzantiner, in
"Zeitschrift fiir Kirchengeschichte», LVI (1937), pp. 1-42 (ristampato in ID., Byzanz und die eu·
mpiiische Staatenwelt, Ettal 1953, pp. 70-1 15), G. DAGRON, Rome et I'Italie vues de Bysance (Iv'-VIf
';cc/es J, in Bisanzio, Roma e/' Italia nell'Alto Medioevo, XXXIV Settimana di studio del Centro ita-
li.lllo Ji studi sull'Alto Medioevo (Spoleto, 3-9 aprile 1986), Spoleto 1988, pp. 45-64.
''' Cfr. 11. G. BECK, Zur byzantinische Miinchchronik, in Speculum historia/e, Freiburg-Miinchen
•<J!>'), pp. 188-97; E. IVANKA, Die byzantinische Wcltgeschichtsschreibung, in A. RANDA (a cura di),
,\lcnsch und Wleltgeschichte, Salzburg-Miinchen 1969, pp. 89-109; B. CROKE, The origins of the Chris-
''"'1 world chronicle, in B. CROKE e A. EMMETI (a cura di), History and Historians in Late Antiquity,
SI-U!le\' 1983, pp. 199·238.
'" Cfr. E. M. JEPFREYS, The attitudes o/ Byzantine chroniclers towards ancient history, in «By-
%antion>>, XLIX (1979), pp. 199-238.
''' Cfr. ibid., pp. 205·7·
" Cesare viene visto come il primo imperatore: cfr. GIOVANNI MALALA, 214 Dindorf; Chroni-
conl'aschale, 354 Dindorf; GIORGIO MONACO, 293 De Boor; COSTANTINO MANASSE, Breviario stori-
co Il/ VCI'SÌ, l 751·79·
552 Continuità e riusi
sul creato con il governo del pari esclusivo del sovrano bizantino in ter-
ra. L'ampia diffusione di cui godette il genere cronografico e le numero-
se traduzioni in lingue pio o meno periferiche accreditarono in forma au-
torevole una rivisitazione del passato che cancellava proprio la compo-
nente della po!is cui era vincolato strettamente l'ellenismo, nel momento
stesso in cui affermava la linea di continuità con Roma.
Proprio l'esclusivismo, basilare per la definizione dell'identità dei
Romei, non fu posto in discussione nei periodi in cui costoro dovettero
affrontare l'espansionismo arabo a sud-est e slavo a nord, con i conse-
guenti drastici ridimensionamenti territoriali; sul volgere dell'vw seco-
lo però, la fine della potenza longobarda e l'emergere di quella franca,
nonché la grave crisi nei rapporti con il papato dovuta alla controversia
sul culto delle icone, fecero maturare un evento che esercitò un violen-
to impatto sull'ideologia dei Romei e sulla visione che essi nutrivano dei
rapporti tra le due Rome.
L'incoronazione di Carlo Magno come imperatore romano apriva una
crisi gravissima, poiché contestava per la prima volta il principio indi-
scusso dell'unicità dell'impero, che andava identificato con quello ro-
mano con capitale a Costantinopoli. Gli imperatori bizantini non ac-
cettarono mai nemmeno l'ipotesi di una condivisione del loro titolo'\ e
la polemica diplomatica e ideologica si acui ogni qual volta sovrani oc-
cidentali osarono rivendicare per sé la qualifica di imperatori o di im-
peratori dei Romani, cioè nel x secolo con la dinastia degli Ottoni e nel
XII secolo con gli Hohenstaufen'' L'appoggio fornito dal papato a que-
ste pretese e il nuovo ruolo che vi giocava Roma, non pio antica capita·
le di un impero che aveva ormai centro a Costantinopoli, ma centro po·
litico e ideologico di imperi che volevano rivendicare l'eredità di quel-
lo romano, con l'aggiunta della difesa della vera fede, finirono per
modificare l'atteggiamento di reverente devozione che i nuovi Romani
avevano sempre coltivato verso la madrepatria. Roma non fu pio consi-
derata come il luogo di memorie sacre dal punto di vista politico e reli-
gioso66, ma come una pericolosa rivale, strumento di un'operazione che
poteva essere percepita solo come appropriazione indebita .
.. Cfr. P. GRIERSON, The Carolingian empire in the eyes of Byzantium, in Nascita dell'Europa ed
Europa carolingia: un'equazione da verificare, XXVII Settimana di studio del Centro italiano di stu·
di sull'Alto Medioevo (Spoleto, 19-25 aprile 1979), Spoleto 1981, pp. 885-916.
" Cfr. DOLGER, Byzanz cit., pp. 281 sgg.
66
È questo, sostanzialmente, l'atteggiamento che traspare (accanto alla rivendicazione di una
continuità culturale, preludio alla richiesta di un aiuto), alla fine della storia millenaria dell'impe-
ro, dalla OU'fKQIOLç tra la vecchia e la nuova Roma di Manuele Crisolora: cfr. E. v. MALTESE e G.
CORTASSA (a cura di), Roma parte del cielo. Confronto tra l'Antica e la Nuova Roma di Manuele Cri·
so/ora, Torino 2000.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 553
71
Cfr. D. A. ZAKYTIUNOS, Continuité de l'Empire romain a Constantinople JJO·I45J, in La no-
zione di «Romano» tra cittadinanza e universalità, Napoli I984, pp. 239-42; T. LOUNGIIIS, Le pro-
grammc politique des 'Romains orientaux' après 476, in La nozione ci t., pp. 369-75; The Oxford Dic-
tionary o/ Byzantium, New York- Oxford I99', s.v <<Romans>>, II, pp. 9I I -I 2. Sul pensiero politi-
co bizantino anche nei suoi risvolti di continuità con quello romano cfr., oltre all'ampia trattazione
di A. Pertusi in L. I'DI.PO (a cura di), Storia delle idee politiche,economichee sociali, II/I, Torino I986,
pp. 54I-96; II/2, Torino I983, pp. 667-8I6; III, Torino I987, pp. 69-I55, l'utile messa a punto di
J. IRMSCIIER, Il pensiero politico a Bisanzio, in Lo spazio letterario, II, Roma I995, pp. 529-6I.
" Cfr. A. CARlLE, Impero romano e Romania, in La nozione ci t., pp. 247-61.
"Cfr. ZAKYT!llNOS, Continuité cit., pp. 239-40; The Ox/ord Dictionary ci t., s.v. <<Hellenes», Il,
pp. 9 I I- I 2. Il fenomeno comincia ad essere evidente già negli encomi imperiali del x n secolo: cfr.,
a puro titolo esemplificativo, NICEI'ORO BASILACE, Monodia per Costantino Basi/ace, 266 Pignani. Per
l'ultima fase della vicenda bizantina cfr. 11. G. BECK, Reichsidee and nationale Politik im Spiitbyzanti·
nischen Staat, in «Byzantinische Zeitschrift», LIII (I96o), pp. 86-94; 1. SEVCENKO, The decline o/
Byzantium seen through the eyes o/ its intellectuals, in <<Dumbarton Oaks Papers», XV (I 9 6I), pp.
I 69-86; 11. DITTEN, Bap{Javo1, ''E).).•1v.-ç und 'PwJiaìOf bei den letzen byzantinischen Geschichtschreibem,
in Actcs du XIr Congrés International d'Etudes Byzantines, Belgrade I964, pp. 273-99.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 555
Nelle vivaci polemiche del IV secolo che funsero da crogiolo delle di-
\'erse e antitetiche anime della civiltà bizantina, un ruolo centrale fu ri-
" Si veda la conoscenza del passato che emerge dall'esame della Suda: cfr. H. HUNGER, Was
1:u·ht in der Suda steht, oder: Was konnte sich der gebildete Byzantiner des ro ./u. Jahrhunderts von ei-
"""' «Konversationslexicon» erwarten?, in w. IIORANDNERe E. TRAPP (a cura di), Lexicographica by-
~<11!1 ilw Bcitriige zum Symposium zur byzantinische Lexicographie (Wien, r -4 .J .r 91J9), Wien I 99 I,
l'l' r 17·53; G. ZECCHINI (a cura di), Il Lessico Suda e la memoria del passato a Bisanzio, Atti della
~iornata di studio (Milano, 29 aprile 1998), Bari 1999.
" Cfr. il ruolo di Alessandro in NICEFORO BASII.ACE, Encomio per Giovanni Comneno, 7 (=p. 54
<;arzva), r 5 (=p. 59 G.), 25 (=p. 62 G.), 27 (=pp. 64-65 G.), 32 (=pp. 68-69 G.), 38 (=p. 74 G.).
Cfr. MICHELE PSEI.J.O, Cronografia, 6.134 Impellizzeri, che contrappone polemicamente Te-
miqoclc e Pericle a uno Spartaco. Una lettura politica e ideologica del ricorso a exempla greci ero-
mani i- già possibile in Libanio: cfr. P. RIVOLTA TIBERGA, Ideologia e comunicazione:/' impiego della
citazume cianica in Libanio, in Metodologie della ricerca sulla tarda antichità, Atti del I Convegno
dell'associazione di studi tardoantichi, Napoli 1987, pp. 493-509.
" Cf r. Roma Costantinopoli Mosca. Da Roma alla terza RotmJ. Documenti e studi, I, Napoli 198 3.
556 Continuità e riusi
vestito dalla lingua: una figura emblematica di tali contrasti come Giu-
liano riservò particolare spicco all'interno del suo progetto di rinnova-
mento culturale e politico all'H.À.TJVLOJ.I.Oç (cioè alla capacità di parlare
greco e di intenderne la letteratura e la filosofia). Anche in questo cam-
po l'impianto in territorio orientale di una città strettamente legata
all'esercizio del potere militare e amministrativo comportò la rottura di
un equilibrio: il latino, che non godeva in Oriente di prestigio lettera-
rio, era la lingua dell'esercito e della gestione del potere, e come tale de-
finita da Libanio lingua dei padroni78 • Il greco non era del resto né la lin-
gua parlata dalla totalità dei sudditi orientali dell'impero né una lingua
che non conosceva al suo interno distinzioni e fratture.
Il prestigio indiscusso di cui godeva dipendeva, oltre che dalla glo-
ria letteraria e filosofica, dal fatto che era il mezzo comunicativo delle
élite cittadine: chi ambiva a esercitare nella pienezza il ruolo di noÀ.Lt'l]ç
si sottoponeva a un'accurata e lunga educazione di impronta nettamen-
te retorica che lo abilitava a parlare nei consigli municipali, nelle cui se-
dute aveva agio di fornire ampia esemplificazione della capacità di per-
suadere, determinando il successo della propria linea, secondo un mo-
dello di dialettica politica che affonda le radici nella prassi della polis
greca79 • L'attrazione sempre piu forte che andava esercitando l'altro mo-
dello di istruzione, fondato sulla conoscenza di discipline tecniche, co-
me il diritto o addirittura la tachigrafia, viatico migliore per rapide car-
riere nell'amministrazione dello Stato (lavori da schiavi nell'ottica liba-
niana)80, divenne quasi irresistibile, quando il centro della politica
imperiale non fu piu la lontana Roma, bensi Costantinopoli••. La con-
correnza svuotò le scuole di retorica e i lamenti smarriti di un Libanio,
ma anche di un Gregorio di Nissan, dimostrano che erano posti in di-
scussione un intero sistema educativo e un modo di concepire l'uomo
politico e le forme del suo impegno nella realtà.
Il contrasto non coinvolgeva solo due prototipi di cultura, ma anche
due lingue, perché lo studio del diritto e l'immissione n~i ranghi dell'am-
ministrazione imponevano la conoscenza del latino. E cosi che l'orgo-
gliosa dichiarazione libaniana di non conoscere il latino si correla con la
" Cfr. LIBANIO, Epistole, 668 (= X 609 sg. Forster). Si trattava del resto deUa dizione in voga
nell'ambiente grecofono, come dimostra TEMISTio, I discorsi, 6.1 Maisano; cfr. CRISCUOLO, Liba·
nio, i Latini cit., p. 160 nota 20.
79
Cfr. DAGRON, L'empire cit., pp. 53 sgg.; CRISCUOLO, Libanio, i Latini cit., p. 157·
8
° Cfr. UBANIO, Orazioni, 18.16o (=II 305-6 Forster).
81 Cfr. DAGRON, L 'empire cit., p. 71; ID., Aux origines de 14 civi/isation byzantine: lllngue de cul-
ture et lllngue d' Etat, in «Revue historique», CCXLI (1969), pp. 24-36; CRISCUOLO, Libanio, i La-
tini cit., pp. 157-61.
82
Cfr. GREGORIO DI NISSA, Epistole, 14.6-9, pp. 47-48 Pasquali.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 557
"' Cfr. P. PETIT, Libanius et la vie municipale à Antioche au IV siècle après]. C., Paris 1955; A.
l- FISI'UGIF:RE, Antioche pai'enneetchrétienne, Paris 1959, pp. 92,411 sgg.;J. H. W. G. UEBESCHUTZ,
t1ntioch. City and Imperia! Administration in the Later Roman Empire, Oxford 1972, pp. 242 sgg.
"' Cfr. DAGRON, Aux origines ci t., pp. 36-37.
"Cfr. Codex lustinianus, 7·45-12.
lhid., 6.2 3.2 r; Novellae Theodosianae, r6.8. Cfr. DAGRON, Aux origines, pp. 38-42.
558 Continuità e riusi
ovvio cosi come quello al greco per le regioni orientali. Con la partitio
dell'impero prima e con il tramonto del sogno giustinianeo di restauratio
poi, il configurarsi di una fisionomia geografica prettamente orientale
dell'impero portò come conseguenza una progressiva rarefazione del ri-
corso allatino87 Si trattò comunque di un processo graduale, poiché la
fine del bilinguismo si fa tradizionalmente coincidere con il regno di Era-
clio (610·41 d. C.), quando il latino scompare dalla titolatura imperia-
le88. Del resto con Eraclio finisce l'impero tardoantico che aveva eredi-
tato da quello romano il modello politico e amministrativo e ha inizio la
faticosa elaborazione di quello bizantino. Esigenze pratiche, riconosci-
mento dell'usus, efficacia della gestione amministrativa furono fattori
determinanti nell'assegnare al greco la vittoria nella contesa che lo op-
poneva al latino come lingua dello stato. Non mancarono però anche pre-
se di posizione dettate da scelte ideologiche: il prefetto del pretorio Ci-
ro, sotto Teodosio II, volle bruscamente sostituire il greco al latino
nell'amministrazione, come parte rilevante di un programma di revanche
nazionalista ellenica che si opponeva alla ormai dilagante romanizzazio-
ne8'. In realtà la gradualità con cui procedette l'ellenizzazione linguisti-
ca dell'amministrazione e del diritto non si oppone al repentino tentati-
vo (fallito) di Ciro in termini solo temporali: essa era indizio eloquente
della flessibilità e della capacità di adattamento con cui un sistema poli-
tico squisitamente romano si andava integrando con una dimensione in-
tellettuale greca, configurando l'unica forma in cui l'eredità romana si
sarebbe perpetuata in un Oriente tradizionalmente ellenico.
La lenta scomparsa del latino suscitò rimpianti e promosse tenaci di-
fese di quello che era avvertito come un patrimonio ineliminabile senza
il quale non era concepibile uno stato che si vantasse di essere romano:
lo sgomento di Giovanni Lido nel VI secolo davanti alla grecizzazione
dell'apparato statale è l'altra faccia dello smarrimento provato da Liba-
nio nel IV secolo davanti alla diffusione del latino e alla burocratizzazio-
ne dell'Oriente!)(). Del resto tra le due lingue si era andata delineando una
separazione di settori e competenze nuova rispetto a quella che si era con-
solidata ormai da secoli: quando si fu pienamente formata la consapevo-
87
Cfr.H. ZILLIAcus, Zum Kampf der Weltsprachen in ostròmischen Reich, Helsingfors 1935; a.
BAI.DWIN, Latin in Byzantium, in ID., From Late Antiquity to Early Byzantium, Prague 1985, pp. 23 7·
42 r; The Ox/ord Dictionary ci t., s.v. «Latin>>, II, p. rr83; B. ROCHETTE, Le latin dans le monde grec
Recherches sur la diffusi an de la langue et des lettres latines dans !es provinces hellénophones de l' Em·
pire romain, BruxeUes 1997.
88
Cfr. 1. SHAHID, On the titulature o/ the Emperor Heraclius, in «Byzantion», LI (r98r), pp. 288-96.
•• Cfr. GIOVANNI LIDO, Le magistrature, 2.12. Cfr. DAGRON, Aux origines cit., p. 41.
90
Cfr. GIOVANNI LIDO, Le magistrature, 2.30.
Cresci I nuovi Romani parlano greco 559
.,. Cfr. Novel/ae, 13 pr., 22.2, JD.j; GIOVANNI LIDO, Le magistrature, 2.12.
Cfr. DAGRON, Aux origines cit., pp. 54·56 .
.,, Cfr. A. CASSIO, La lingua greca come lingua universale, in I Greci cit., pp. 1004·5 .
., Ur B. SCIIOULER, La tradition hellénique chcz Libanios, Paris-Lilla 1984, pp. 334 sgg.
560 Continuità e riusi
Jutto solo uomini d'armi e gli storici che ne hanno cantato le gesta, co-
me Polibio o Dionigi d'Alicarnasso, sono romani, non greci"
La riproposizione della radice romana dell'impero dei Romei, sotte-
sa alla vigorosa ripresa dello studio del diritto, che suscita il fastidio di
Psello, incontra invece l'evidente approvazione di un contemporaneo
di quest'ultimo, anch'egli autore di una monografia storica, nonché ver-
sato in materia giuridica: Michele Attaliate. Per costui, che individua
nell'incuria verso l'esercito la causa prima della crisi dell'impero bizan-
tino, la potenza militare di Roma costituisce un punto di riferimento
costante e attuale, una pietra di paragone su cui misurare in bene e in
male il suo tempo. Cosi, per tracciare la genealogia dell'imperatore Ni-
cdoro Botaniate cui va la sua predilezione, egli attinge alla storia ro-
mana, individuando una linea di continuità tra la stirpe dei Fabi e poi
degli Scipioni e quella dei Foca e dei Botaniate100 Non si tratta ovvia-
mente di valutare l'inverosimiglianza di questa ricostruzione prosopo-
graiica, ma di soppesare quanto l'aggancio al passato romano valga an-
cora nell'xi secolo a livello ideologico.
Analogamente l'antica Roma è revocata in gioco per misurare la de-
cadenza contemporanea: i Romei, infatti, non si curano di mantenere
con Dio quel rapporto devozionale, garanzia di successo militare, che
gli antichi Romani, benché non ancora fruitori del messaggio cristiano,
sapevano mantenere con grande attenzione 101 • Non sarà un caso che a
questo contrasto tra Psello e Attaliate nel giudicare il ruolo dell'eredità
romana nella civiltà bizantina corrisponda una analoga contrapposizio-
ne a livello di impasto linguistico: col purismo atticizzante di Psello con-
trasta la lingua di Attaliate, aperta ai prestiti latini cosi come ai tecni-
cismi del lessico politico e amministrativo 102 , a conferma della coerenza
tra scelte linguistiche e posizioni ideologiche.
Sulle ragioni di una autocoscienza che sconfina nello snobismo cul-
turale prevarrà solo lentamente e in parte l'intensificarsi dei rapporti
(spesso traumatici) con il mondo occidentale, soprattutto a partire dalle
crociate: termini del lessico giuridico, militare, commerciale e marinaro
entrarono nel greco parlato; i riti, gli ideali, addirittura le pratiche spor-
tive della cavalleria occidentale esercitarono la loro influenza su sovrani
bizantini e su settori di una corte nella quale la presenza di nobili latini
si andava incrementando; cominciarono a fare la loro comparsa tradu-
"Cfr. M!CIIELE PSELLO, La geometria, p. 158 Boissonade.
Cfr. MICIIELE AITALIA TE, Storia, 218-20 Bekker.
"'' Cfr. ibid., 193-97 Bekker.
"'' Cfr. 11. Il UNGER, Die hochsprachliche profane Literaturder Byzantiner, Miinchen 1978, I, pp.
3Xì.gg
562 Continuità e riusi
••• Non si tratta qui del cristianesimo, oggetto di altri saggi nel presente volume.
'"' Cfr. TEODORO METOCIIITA, Miscellanea storico-filosofica, 67 (=pp. 432·35 Miiller-Kiessling),
93 (=pp. 591·96 M.·K.).
••• Cfr. ibid, 37 (=pp. 230·37 M.-K.), 38 (=pp. 237·44 M.·K.), 39 (=pp. 244·50 M.-K.).
ROLAND KANY
Grecità e cristianesimo
. . IIA'rCII, The Influence of Greek Ideas and Usages upon the Christian Church, a cura di A. M.
h11rbairn, London-Edinburgh r89r' (rist. New York 1957).
564 Continuità e riusi
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auf die Gegenwart, Berli n 191 2; J. z. SMITII, Drudgery Divine. On the Comparison of Early Christia-
nities and the Religions o/ Late Antiquity, London 1990.
1
A. voN IIARNACK, Lehrbuch der Dogmengcschichte, l-III, Tlibingen 1909-10' [trad. it. Men-
drisio 191 2-14].
' Una prima impressione dell'abbondanza di ricerche recenti sul rapporto fra il cristianesimo
antico e i Greci è offerta da E. A. JUDGE, 'Antike und Christentum' Towards a De/inltion o/ the Fie/d.
A Bibliographical Survey, in ANRW, II, 23/1 (1979), pp. 3-58; w. BURKERT, Klassisches A/tertum
und antikes Christentum. Probleme einer iibergrei/enden Religionswissenscha/t, Berli n New York
1996. Esposizioni d'insieme: M. SIMON, La civi/isation de f'antiquité et le christianisme, Paris 1972;
M. SIMONETD, Cristianesimo antico e cultura greca, Roma 1983; e soprattutto il monumentale Rea/-
lexikon/iir Antike und Christentum, Stuttgart 1950 sgg. (RAC).
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Kany Grecità e cristianesimo 565
\l. IIENGEL, Judentum un d Hellenismus. Studien xu ihrer Begegnung unter besonderer Beriicksich-
ti~lll::: l'ulàstinas bis xur Mitte des 2. ]h s v .Chr., Tiibingen I 988' Sulla problematica del concetto di
«cll~nismo» cfr. A. MOMIGLIANO, Introduzione all'Ellenismo, in m., Quinto contributo alla storia de-
Clt ''t"/i classici e del mondo antico, I, Roma I975. pp. 267-9 I.
Una panoramica completa in E. SCHURER, The History o/ the ]ewish People in the Age o/Jesus
c;,,N, 111-I/z, Edinburgh I986-87, pp. 470-889. Papiri e iscrizioni scoperti nel xx secolo hanno
l! l'da! o l'esistenza in Palestina di un numero sempre maggiore di documenti giudaici in lingua gre-
566 Continuità e riusi
ca: cfr. M. HENGEL e CII. MARKSCHIES, The 'He/leni:J;ation' of]udaea in the Fint Century afterChrist,
London-Philadelphia 1989 [trad. it. Brescia 1993] (versione tedesca aggiornata in M. IIENGEL, fu·
daica et Hel/enistica, Tiibingen 1996, pp. 1-90).
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tesfiirchtige und Sympathisanten. Studien :zum heidnischen Umfeld von Diarporasynagogen, Tiibingen
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Kany Grecità e cristianesimo 567
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be raccolto le parole di Gesu in ebraico (vale a dire in aramaico) è molto dubbia.
" Cfr. G. BARDY, La question des langues dans /' E?,lise ancienne, !, Paris 1948.
Kany Grecità e cristianesimo 571
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pp. 'i 3·7 2. Alcuni testi della biblioteca gnostica in copto di Nag Hammadi non mancano di ambi-
zioni letterarie. Ma significativamente l'unico tentativo qui conservato di tradurre in copto un bre-
ve brano della grande filosofia greca è fallito: la Repubblica di Platone è riconoscibile a stento (Nag
l lami!Jadi Codex VI, 5, a cura di L. Painchaud, in Bib/iothèque copte de Nag Hammadi. Section « Tex-
tcJ», ''· (.Juébec 1983, pp. 109-64).
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DRIJVERS,
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Zum Umgang mit/remden Sprachen in der griechisch-riimischen Antike, Stuttgart 199z, pp. 1·20.
" Le antiche traduzioni latine e orientali della letteratura patristica greca sono elencate in Cla·
vis patrum Graecorum, J.V e suppl., Turnhout 1974·98; le traduzioni greche dal latino in E. DEKKERS,
Les traductions grecques des écrits patristiques latins, in «Sacris erudiri>>, V (1953), pp. 193-233· An-
cora piu rare sono le traduzioni greche da lingue orientali.
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Kany Grecità e cristianesimo 573
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'Ilio per un periodo a Bisanzio; in seguito, tuttavia, da Roma scrisse con disappunto a una signo·
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Kany Grecità e cristianesimo 575
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verehrung h>, in RAC, XIV (1988), coli. 96-150.
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60
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61
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62
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1979]; 11. AUI' DER MAUR, Feiem im Rhythmus der Zeit, l, Regensburg I983, pp. 26-53.
61
Codex Theodosianus, 2.8. I; Codex ]ustinianus, 3· I 2.2.
Kany Grecità e cristianesimo 577
E il terzo aspetto del tempo, il futuro? Cosa attende gli uomini do-
po la morte~? Secondo la credenza america (come anche secondo le par-
ti piti antiche della Bibbia ebraica) i defunti conducono un'esistenza
misera e definitiva come ombre prive di consapevolezza nel regno dei
morti; solo alcuni eletti possono vivere piu gioiosamente nei Campi Eli-
si. Tuttavia i culti misterici, le cui piu antiche attestazioni sono da da-
tare non molto dopo Omero, contavano su premi e punizioni nella vi-
ta terrena o nell'aldilà. I misteri orfico-dionisiaci promettevano agli ini-
ziati una vita beata in un altro mondo dopo la morte" I misteri e la
dottrina platonica dell'immortalità dell'anima si rifletterono anche nel-
le credenze popolari. Nonostante questo, tuttavia, nel loro complesso
le piti di centomila iscrizioni funerarie conservate di Greci e Romani
pagani lasciano scorgere un'idea della morte ben poco sostenuta dalla
speranza"
La concezione di un evo futuro dopo il giudizio universale e la ri-
surrezione dei morti cominciò a formarsi presso gli Ebrei all'epoca
dell'esilio e si sviluppò poi con chiarezza durante l'ellenismo, forse sot-
to influssi persiani". Accanto a questa visione «apocalittica», che per-
lopiti trattava di una risurrezione sia del corpo che dell'anima, durante
l'ellenismo si aggiunse nella letteratura giudaica anche l'idea di una vi-
ta individuale dell'anima dopo la morte, probabilmente per diretta in-
fluenza dei Greci~8 • Secondo la fede cristiana i miracoli di Gesu o, al piu
tardi, la risurrezione di Cristo segnavano già l'inizio del nuovo evo. Ma
la risurrezione universale dei morti si faceva attendere. In tal modo si
pose nuovamente il problema del destino del singolo nel tempo prece-
dente il giorno del giudizio, giungendo a risposte diverse nel corso del-
la storia del cristianesimo. Agostino riteneva per esempio che in questo
periodo intermedio le anime dei santi regnassero già insieme a Dio, an-
che se non ancora ricongiunte con i loro corpi~ 9 Grazie a tale opinione
fu possibile ridurre alla variante «platonica» la molteplicità stratificata
delle concezioni bibliche dell'aldilà e della risurrezione.
''' Su 4uanto segue cfr. s.v <<Jenseits», in RAC, XVII (1996), coll. 246-407.
<òRAI', I culti misterici, in I Greci, Il/2, pp. 309-43.
I.A'ITIMORE, Themes in Greek and Latin Epigraphs, Urbana 1942.
DANIELE, I l.
\'apicnxa, 1-5, 1 5 .8; cfr. J. M. REESE, He/lenistic Inf/uence on the Book of Wisdom and its Con-
se'!"<'nces, Rome 1970. Sulle due forme principali di escatologia nel giudaismo dell'epoca elleni-
Sttca dr ~-W ALTER, Praeparatio evangelica, Tiibingen 1997, pp. 234-72.
"' AcosTINO, De civitate dei, 20.9.
578 Continuità e riusi
5· L'etica e il comportamento.
70
Etica nicomachea, I 108a24; Efesini, 5-4·
ARISTOTELE,
71 GIOSUÈ, DIOO,ORO SICULO, I 7. 100; Passio Perpetuae et Felicitatis, IO. I 1. Cfr. 1'. J. oi.iL·
I 0.24;
GER, Der Kampf mit dem Agypter in der Perpetua- Vision, in «Antike und Christentum», III (1 9pl.
pp. I 77 -88.
72
Iliade, 11-452 sg.; Genesi, 40.4; AGOSTINO, Confessiones, 9.I2.29.
71
Cfr. A. DIIILE, <<Ethih, in R!IC, VI (I966), coli. 646-796; E. OSI!ORN, Ethical Pattems in
Early Christian Thought, Cambridge I976.
Kany Grecità e cristianesimo 579
fia antica intendeva essere una forma di vita, una terapia dell'anima 74
In epoca ellenistica anche il giudaismo assunse elementi dell'etica po-
polare che gli erano precedentemente estranei, come la regola aurea
(«fai agli altri solo quello che vuoi che sia fatto anche a te»Ys. Anche
la predicazione evangelica di Gesu era vicina, sotto diversi aspetti,
all'etica popolare degli stoici e dei cinici e ai loro metodi d'insegna-
mento. A volte Gesu è ancora piu radicale di costoro: per esempio nel
comandamento dell'amore per il nemico, nella richiesta di povertà vo-
lontaria e nella proibizione del divorzio. Tuttavia, di Gesu sono state
tramandate soprattutto le parole rivolte al gruppo limitato dei seguaci
che lo accompagnavano nelle sue peregrinazioni; quando il cristianesi-
mo fu predicato a persone che abitavano stabilmente in città, le rego-
le che derivavano dalla fede nella risurrezione e salvezza si dovettero
tradurre in un'etica praticabile per tutti. Le singole norme etiche spes-
so non si distinguevano da quelle dell'etica popolare pagana. Nuova era
invece la struttura dei principi fondanti dell'etica, la quale ora entrava
nell'ambito della religione, mentre presso i Greci apparteneva all'am-
bito della filosofia.
Già presso gli esponenti maschili dei ceti alti pagani dei primi due
secoli dopo Cristo si era diffusa una forte preoccupazione per il proprio
corpo, per la giusta misura nella sessualità, per un controllo e addome-
sticamento della donna76 • Il cristianesimo trasformò queste preoccupa-
zioni in una questione che riguardava tutti, offrendo cosi alla donna in
misura maggiore la possibilità di un'ascesi per libera scelta, e permet-
tendo sia agli uomini che alle donne una pronta realizzazione di questo
ideale mediante la vita monastica. Si potrebbero ricostruire fin nei det-
tagli le continuità e le trasformazioni dell'etica antica nel cristianesimo
per molti ambiti, come l'indagine della propria anima, la coscienza,
l'umiltà, l'onestà. Si accenneranno qui solo due esempi.
L'uccisione di un bambino non ancora nato non era considerata un
delitto capitale nell'antico Oriente, compreso Israele, bensi un sempli-
ce danno materiale. Solo a partire dall'ellenismo questa fu considerata
1
" l' IIAOOT, Exercices spirituelsetphi/osophieantique, Paris 1993 ; A.-J. VOELKE, Laphi/osophie
crmmJ<' thérapie de l'ome, Fribourg-Paris 1993.
" A. DIIILE, Die Goldene Rege/, Gottingen 1962.
A. aoussELLE, Pomeia. De la maitrise du corps à la privation sensorie/le. If-rv' siècles de l'ère
chréticllnc, Paris 1983; M. FOUCAULT, Histoire de la sexualité, III. Le souci de soi, Paris 1984 [trad.
i t Milano r99I]; P. BROWN, The Body and Society. Men, Women and Sexual Renunciation in Early
Cbristianity, New York 1988 [trad. it. Torino 1992]; G. CLARK, Women in Late Antiquity Pagan
ami Christian Ufe-styles, Oxford 199 3; 1. STAHLMANN, Der gefesselte Sexus. Weib/iche Keuschheit und
!lsl·csc im Westen des Romischen Reiches, Berlin 1997.
580 Continuità e riusi
siderava un disonore il fatto che gli Ebrei si occupassero dei loro pove-
ri. i cristiani nutrissero la propria gente e oltre a questa anche i pagani,
mentre i pagani stessi non attuavano alcuna forma di assistenza socia-
le" L'umanitarismo non fu certo inventato dai cristiani, né venne da
loro sempre praticato: la schiavitu, per esempio, continuò ad essere ac-
cettata ancora a lungo nell'età cristiana. Tuttavia nell'insieme potrebbe
cogliere nel segno la tesi di Henry Chadwick, secondo cui, con i suoi
principì etici, la sua rottura con i sacrifici cruenti, la sua insistenza sul-
la iormazione delle coscienze e le sue istituzioni per i bisognosi, il cri-
stianesimo ha favorito e accelerato l'umanitarismo che era già iniziato84 •
Anche al di là dell'ambito dell'etica, la questione dell'ellenizzazione
del cristianesimo sempre piu è stata sostituita nella ricerca da quella del-
la cristianizzazione dell'impero romano•'. Il problema può adesso esse-
re posto in questi termini: come mai fra le tante religioni di lingua gre-
ca. all'interno e all'esterno dell'impero, proprio il cristianesimo riusd a
ottenere un rilievo sempre maggiore? In tale prospettiva, oltre alla pras-
si e ai contenuti di dogmatica o di etica sono importanti anche le stra-
tegie di persuasione con le quali i cristiani crearono un nuovo discorso
che faceva apparire alle persone i loro racconti e i loro argomenti con-
vincenti, e addirittura modificava la loro vita•'. La ricerca piu recente
ha inoltre mostrato come, nel rapporto dei primi cristiani con l'ambiente
circostante, non si debbano presupporre concezioni simili a quelle di og-
gi su cosa sia profano e cosa sacro, cosa pagano e cosa cristiano: distin-
zioni di questo tipo sono nate, in parte, solo fra il IV e il VI secolo, o so-
lo in quest'epoca furono riversati in esse i contenuti che da allora sono
dcterminanti87
6. Le arti e le scienze.
/'éducation dans /'Antiquité, Paris I965' [trad. it. Roma I95o1; H. CIIADWICK, Early Christian Thought
and the Classica/ Tradition. Studies in ]ustin, Clement, and Origen, Oxford I 966 [trad. i t. Scandicci
I9951; o. GIGON, Die antike Kultur und das Christentum, Giitersloh I966; 11. IIAGENDAIIL, Von Ter-
tullian xu Cassiodor Die profane literarische Tradition in dem lateinischen christlichen Schri/ttum, Go-
teborg I983 [trad. i t. Roma 19881; L HADOT, Arn libéraux etphilosophiedans la penséeantique, Pa-
ris I 984; J. PELIKAN, Christianity and Classica/ Culture Tbe Metamorphosis o/ Natura/ Theology in the
Christian Encounter with Hellenism, New Haven London 1 99 3.
•• P. PIZZAMIGLIO, Le scienxe e la patristica, in A. QUACQUAREILI (a cura di), Complementi inter-
disciplinari di patrologia, Roma 1989, pp. 185-221.
91
R. SODER, Die apokryphen Apostelgeschichten und die romanhafte Literatur der Antike, Stutt·
gart 1932; D. R. MACDONALD, Christianizing Homer, Oxford 1994-
91 F. w DEICIIMANN, Ein/iihrung indie Christliche Archiiologie, Darmstadt 1983, pp. 75-85,
124-32 [trad. it. Roma 19931.
Kany Grecità e cristianesimo 583
Nella filosofia nessun cristiano raggiunse prima della fine del v seco-
lo il livello di riflessione di Platino e Proclo o le conoscenze di storia del-
la filosofia di Simplicio. Come il giudaismo anche il cristianesimo, a cau-
sa della sua fede in una rivelazione, assumeva una posizione ambivalen-
le nei confronti della filosofia greca. La traduzione greca della Bibbia
ebraica aiutava a gettare un ponte verso la filosofia - per esempio, !ad-
dove il dio, che secondo il testo ebraico, di difficile traduzione, è ciò che
è, diventava ò oov, «l'Esistente))'2 • Eppure nel Nuovo Testamento solo
con molta buona volontà si trovano tracce di filosofia" Anche il con-
cetto dellogos nel prologo del Vangelo di Giovanni oppure l'Epistola agli
Ebrei sono molto distanti dalla mediazione intellettuale fra giudaismo e
filosofia greca che troviamo per esempio in Filone. Degna di nota è la
sentenza di Paolo, secondo il quale la croce di Cristo avrebbe trasformato
la sapienza di questo mondo in follia!l4. Questa però non è stata l'ultima
parola del cristianesimo sul problema del pensiero filosofico.
Il cristianesimo non si poteva limitare a raccontare soltanto le paro-
le e le azioni di Gesu. Infatti, come viene detto in una dichiarazione di
fede di pochi anni dopo la morte di Gesu, il nocciolo della fede cristia-
na sostiene «che Cristo morf per i nostri peccati secondo le Scritture,
fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture))" Si trat-
tava dunque di formulare questa fede, di svilupparla nelle sue conse-
guenze e renderla plausibile sia per il proprio pensiero sia anche per gli
altri uomini. Già nel II secolo singoli cristiani cominciarono a illustrare
la loro fede con gli strumenti della filosofia greca contemporanea: a Ro-
ma, per esempio, questo è il caso di Giustino e Valentino%. Piu tardi il
primo fu considerato un grande apologeta, il secondo il padre di un'ere-
sia, poiché i discepoli di Valentino ampliarono la sua teologia filosofica
fino a farla diventare una mitologia filosofica fantastica che contraddi-
Cl'va la concezione di fondo del cristianesimo di un dio unico, della bontà
della sua creazione e della salvezza mediante Cristo. La nascita di una·
simile «gnosi)) rese i cristiani, da allora in poi, ancora piu prudenti nei
confronti della teologia filosofica''
,. CII. STEAD, Divine Substance, Oxford I977; ID., «Homousios», in RAC, XVI (I994), coli.
364-433; J. HAMMERSTAEDT, «Hypostasis>>, in RAC, XVI (I994), coli. 986-I035; L. ABRAMOWSKI,
Drei christo/ogische Untersuchungen, Berlin · New York I 98 I.
"w. SPEYER, Biicheroemichtung und Zensurdes Geistes bei Heiden,]uden und Christen, Stutt·
gart I981.
100
N. saox, «Haresie», in RAC, XIII (I986), coli. 248-97.
Kany Grecità e cristianesimo 585
nesimo hanno adottato elementi diversi della filosofia greca 106 A gran-
di linee si può affermare che del platonismo i cristiani erano attratti so-
prattutto dall'idea della trascendenza e immutabilità di Dio, dalla
creazione del mondo, dal dualismo di anima e corpo e dall'immortalità
dell'anima. In Aristotele essi erano interessati soprattutto alla logica -
che a periodi fu sentita anche come pericolosa - poiché con il suo aiuto
essi potevano esaminare e formulare le argomentazioni, ma anche alla
teoria della sostanza e dell'accidente nell'interpretazione neoplatonica
di Porfirio, utilizzata nella dottrina su Dio e sull'eucarestia, e infine al-
la dottrina dell'anima. Dalla Stoa i cristiani recepirono soprattutto con-
cetti etici, dalla scuola cinica la dottrina della vita semplice, dallo scet-
tkismo alcune figure dell'argomentazione.
La ricezione cristiana della filosofia greca era predeterminata dalla
teologia (del resto anche la filosofia greca conteneva presupposti reli-
giosi). Cosi dalla fede cristiana nella creazione del mondo da parte di
Dio deriva che la materia (dunque anche il mondo dei corpi celesti) ha
un inizio, e non è eterna e trascendente. Giovanni Filopono cercò per-
ciò di confutare la dottrina aristotelica dell'eternità del mondo. Mentre
egli poté discutere liberamente le sue opinioni ad Alessandria, l'Acca-
demia pagana di Atene fu chiusa dall'imperatore cristiano Giustiniano
nel529. Nell'aspra polemica che contro Filopono fu condotta dal filo-
sofo pagano ateniese Simplicio si mescolano perciò argomenti filosofici
e amare esperienze biografiche. Ma si trattava in sostanza anche di mo-
tivi religiosi: Simplicio faceva risalire a un difetto di purezza spirituale
il fatto che i cristiani non ritenessero divino il cosmo e che cosi non tro-
vassero la via dell'ascesa spirituale al demiurgo divino 107 •
Le cose piu importanti che i cristiani impararono dalla filosofia gre-
ca furono il pensiero e l'argomentare razionali. Cosi nacque ciò che qua-
si nessun'altra religione conosce, cioè una «teologia sistematica». Ori-
gene, uno dei massimi teologi cristiani e forse uno dei discepoli diretti
del maestro di Platino, tentò per primo di dare alla teologia la forma di
un unico «corpo della verità», cioè di un tutto organico 108 • Proprio que-
sto era già stato considerato il contrassegno della filosofia da Attico, un
rappresentante del medio platonismo, corrente cosi importante per i pri-
mi cristiani 109 Problematico rimase il fatto che le affermazioni fonda-
mentali della teologia cristiana dovevano la loro validità alle Sacre Scrit-
ture e alla tradizione, non a una fondazione razionale. Da ciò derivò un
conflitto continuo fra ragione e autorità che divenne uno dei motori del-
la storia europea: esso rese possibile il sorgere, per esempio, dell'Illu-
minismo, il quale poté rivolgersi anche contro il cristianesimo.
107
l'l!. llOFFMANN, Simplicius' Polemics, in R. SORABJ! (a cura di), Philoponus and the Reiection
of Aristotelian Science, lthaca N.Y 1987, pp. 57-83.
108
ORIGENE, I principi, r pref. ro; ID., Commento al Vangelo di Giovanni, I}.}O} sg.
109
A1TICO, fr. 1 Des Places.
Kany Grecità e cristianesimo 587
7. La religione e lo stato.
La religione dei Greci era un affare di pertinenza della polis 110 • Cia-
scun dio proteggeva una città e una famiglia. Il diritto e la sovranità sca-
turivano dalla religione ed erano conseguentemente limitati in primo
luogo alla propria polis e poi alle altre città greche. L'identità comune
dci Greci al di là della singola città si doveva, non da ultimo, alla con-
sapevolezza di praticare la stessa religione. I culti misterici invece era-
no organizzati come associazioni e avevano carattere privato. Con l'enor-
me allargamento geografico del dominio durante l'ellenismo nacque il
problema che gli dèi greci protettori dello stato non erano in grado di
nascondere la loro origine locale, mentre i culti misterici erano troppo
privati per continuare a garantire l'abituale relazione fra religione, so-
vranità e diritto. La religione romana ebbe difficoltà analoghe. Il culto
del sovrano nell'ellenismo e nell'impero romano non suscitava grandi
vincoli emozionali. I culti misterici permettevano certo un'esperienza
religiosa, ma è dubbio se ne facesse parte un rapporto personale con il
dio venerato e se potesse essere stabilita una relazione con la vita quo-
tidiana. Tutto ciò probabilmente contribui a far si che il giudaismo su-
sci tasse tanto interesse nei pagani ali 'inizio dell'era cristiana. Essi vi tro-
vavano una religione che venerava un dio che agiva nella storia e dava
espressione a esperienze umane che andavano dalla gioia esultante alla
di,perazione piu profonda. Tuttavia si può supporre che la maggior par-
te dei pagani anche come proseliti non riuscissero mai a sentirsi com-
pletamente integrati nel giudaismo, mentre il cristianesimo offriva loro
un senso di appartenenza totale 111 •
I cristiani si rifacevano a un fondatore il cui regno non doveva esse-
re «di questo mondo»; un fondatore che raccomandava di dare a Cesa-
re quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, e che dette l'incarico
di ammaestrare e battezzare tutti i popolim Una separazione cosi radi-
cale fra popolo, stato e diritto da una parte, e religione dall'altra, era
una novità. Il cristianesimo esigeva molto da colui che aderiva a questa
feck: niente di meno che una conversione che coinvolgeva l'intera per-
sona. Una cosa del genere non si era mai avuta nella religione greca, nep-
1\1. 1•. NILSSON, Geschichte der griechischen Religion, 1-11, Miinchen 1967'; BURKERT, Grie-
chllche Relil!.ion cit.; J. BREMMER, Greek Religion, Oxford I994·
'" Sul problema dell'identità presso Greci, Giudei e cristiani cfr. E. P. SANDERS (a cura di),
]<'IL'llb and Christian Se/fDefinition, 1-111, London r98o-82.
"' (;JOVANNI, 18.36; MARCO, 12.17; MA'ITEO, 28.19.
588 Continuità e riusi
pure nei culti misterici. Le conversioni come svolte radicali nella vita
erano tutt'al piu esperienze note ai filosofim. Per questo e altri motivi
il cristianesimo fu chiamato una nuova «filosofia»" 4 • Ma il cristianesi-
mo offriva a ciascun uomo la speranza di una vita eterna. Anche l'asso-
luta trascendenza divina non era probabilmente una caratteristica cosi
nettamente propria del dio dei Giudei, con le sue molte qualità «uma-
ne», quanto lo era invece del dio dei cristiani. Su cosa fosse la trascen.
denza aveva riflettuto sul piano filosofico piu elevato Platone, il quale
si era già confrontato anche con il problema di come il trascendente fon-
di nello stesso tempo ciò che è terreno. Il dio dei cristiani era trascen-
dente e contemporaneamente, secondo la concezione cristiana, era di-
venuto vero uomo, fino alla morte sulla croce.
Il cristianesimo offriva probabilmente i giusti presupposti come re-
ligione universale per un impero mondiale. Tuttavia l'opinione tradi-
zionale secondo la quale nel IV secolo il cristianesimo avrebbe «sconfit-
to» completamente il paganesimo va abbandonata: una cristianizzazio-
ne completa non si è mai avuta w. Varrebbe anche la pena di non vedere
sempre solo i pagani dal punto di vista, critico, dei cristiani, bensf di ri-
baltare le prospettive 116 • Una difficoltà è creata dal fatto che si è con-
servata una quantità molto minore di fonti pagane sulla ~ligiosità gre-
ca e romana rispetto a quelle cristiane. E naturalmente si pone anche un
problema ermeneutico, poiché fra gli interpreti d'oggi e i testi antichi si
collocano uno o due millenni di storia improntata dal cristianesimo. Ri-
mane indiscutibile il fatto che il cristianesimo ebbe piu successo delle
religioni concorrenti dell'epoca. I culti misterici, per esempio, scom-
parvero poco tempo dopo la loro proibizione del39I/392, mentre il cri-
stianesimo sopravvisse anche alle epoche di persecuzione 117 • I motivi so-
no molteplici. Il cristianesimo era accessibile a persone di entrambi i ses-
si, di tutte le classi sociali e di tutti i popoli; nel suo culto e nella sua
Chiesa, modellata e ordinata con il tipico talento organizzativo roma-
no, permetteva di placare bisogni spirituali e anche materiali e sociali -
mentre la religione greca e romana non ebbe mai una Chiesa.
'" 1'. ilROWN, Power and Persuasion in Late Antiquity. Towards a Christian Empire, Madison
19•J.' [traJ. it. Roma 1995].
'''' c. COLPE, Die Re!igionsgeschichtliche Schu!e. Darste!!ung und Kritik ihres Bildes vom gnosti·
schct: l ·.rliiscrmythus, Géittingen 1961; ID., Zur mytho/ogischen Struktur der Adonis-, Attis- und Osi-
ris-I "hcrlicferungen, in w. ROLLIG (a cura di), !iiiin mitburti. Festschrift Wo!fram Freiherrvon Soden,
fne!aer-Neukirchen·VIuyn 1969, pp. 23-44; c. COLPE, Mysterienku!t und Liturgie. Zum Verg/eich
tdlll.lchcr Rituale und christ/icher Sakramente, in C. COLPE, L. HONNEFELDER e M. LUTZ·BACHMANN
(a cura di), Spiitantike und Christentum, Berlin 1992, pp. 203·28.
"" 1 I.·J. KLAUCK, Herrenmah! und he!lenistischer Ku!t, Miinster 1986' Sulla questione fonda-
lllentalc delle radici della liturgia cristiana cfr. A. BAUMSTARK, Vom geschichtlichen Werden der Li-
tr~ie, Freiburg 1923, pp. 13-29; P. F. BRADSHAW, The Searr:h/or the Origins o/Christian Worship,
cw ì' ork · Oxford 1 99 2.
590 Continuità e riusi
terno della liturgia è irrilevante il fatto che essa appaia anche in epoca
precristiana nelle religioni ellenistiche, per esempio nel culto dell'impe-
ratorem.
Nella prima metà del 11 secolo qualcuno formulò queste parole: i cri-
stiani dovevano venerare il dio unico e invisibile, il creatore dell'uni-
verso, in una maniera nuova, cioè né alla maniera dei Greci, né a quel-
la dei Giudei, bensi come «terza stirpe~> 122 • Piu di duecento anni dopo
l'imperatore Giuliano, allontanatosi dal cristianesimo, argomentò con-
tro quest'affermazione: o il dio di Mosè è solo il dio particolare del po-
polo d'Israele - e allora i cristiani non avrebbero alcun diritto di uni-
versalizzarlo -,oppure si tratta del creatore del mondo, del signore di
tutto - e allora si doveva aderire alla filosofia greca; una terza possibi-
lità non era data 123 Giuliano aspirava a qualcosa che non era mai esisti-
to prima, a un pendant pagano alla Chiesa cristiana con propri teologi e
istituzioni sociali. Egli chiamò questa religione 'EÀÀ.'IlVLO!loç, termine che
si può tradurre sia con «grecità~> sia, letteralmente, con «ellenismo)) 124 •
Coerentemente con quanto affermato egli proibi ai cristiani di dare le-
zioni sui classici greci: chi non condivideva la fede degli antichi Greci
non doveva neppure insegnare la loro letteraturam.
Il vescovo Gregorio Nazianzeno, che aveva usufruito di un'istruzio-
ne simile a quella di Giuliano, si difese: l'imperatore aveva modificato
subdolamente il senso della parola «greco)) ("EÀÀ'Ilv), come se riguardasse
la religione ('ltQT]oxELa) e non la lingua (yì..wooa), per escludere i cristia-
ni dal complesso della cultura grecau'. Basilio, amico di Gregorio, scris-
se un intero trattato sull'utilità che gli scolari cristiani, previa una giu-
sta selezione, potevano trarre dalla letteratura, retorica e filosofia gre-
che; piu di mille anni dopo gli umanisti considerarono questo trattato la
loro magna charta 121 Gli effetti di queste posizioni giungono fino al gior-
m Cfr. per esempio ARRIANO, Dissertazioni di Epitteto, 2. 7 .12; cfr. F. J. oOLGER, Sol salutis,
Miinster 19252 , pp. 60-103.
122
Kerygma Petri, in CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 6.5.39·41.
12
' GIULIANO IMPERATORE, Contro i Galilei, 148b/c (fr. 25-28 Masaracchia).
'" Due esempi illustri: A. LESKY, Geschichte der griechischen Literatur, Bern-Miinchen 1971'
1
ltraJ. i t. Milano 1975 ]; P. E. EASTERLING e B. M. W. KNOX (a cura di), Tbe Cambridge History of
Cianica/ Uterature, I. Greek Literature, Cambridge 1985.
GUGLIELMO CAVALLO
Nel XIV secolo Teodoro lrtaceno, letterato non di grido ma legato al-
le cerchie di corte della Bisanzio dei Paleologi - tanto da avere tra i cor-
rispondenti del suo epistolario non solo Teodoro Metochita e Niceforo
Cunmo, letterati altrimenti celebri per scritti e funzioni pubbliche, ma
lo stesso imperatore Andronico II -, cosi lamentava, con un tocco di
umorismo, la sua grama condizione di insegnante e uomo di lettere: «Se
io possedessi i poeti tragici, Eschilo, o magari Euripide o Sofocle, una
yolta vendutili, il mio cavallo avrebbe largamente di che nutrirsi: poco
o nessun danno infatti ne deriverebbe alla mia vita. Ma poiché invece
'çhe di quei poeti si tratta di teologi, ovviamente Gregorio [Nazianzeno]
ma anche Basilio e [Giovanni] Crisostomo, astri terrestri che sempre
brillano, quale, se anche solo uno di questi fosse venduto, sarebbe ven-
duto a giusta ragione ?» 1 • In questa breve sequenza è contenuto il noc-
ciolo di quello che era l'atteggiamento dei Bizantini verso la cultura clas-
sica e il loro modo di rappresentarsi rispetto a questa: ai tragici, cosi co-
me ai grandi autori della letteratura greca antica, si può rinunciare, se
ne possono vendere i libri anche solo per risollevare l'economia dome-
stica, ma non si può rinunciare ai Padri della Chiesa e alla retta fede-
fondamento di vita dell'uomo bizantino - che gli stessi Padri hanno in-
terpretato, sistemato e trasmesso rivestendo le Sacre Scritture di <do-
glie che fremono sui rami» 2 , si da rendere piu gradevoli e attraenti i frut-
ti insiti nel Aoyoç del Signore. Qualsiasi discorso sull'atteggiamento ver-
so i classici e la loro ricezione a Bisanzio deve misurarsi con uno sfondo
' Sulla lingua della cultura alta a Bisanzio si leggano le dense pagine su «Geschichte und Funk·
tion der Rhetorik in ByzanZ>> e <<Theorie der Rhetorib di H. HUNGER, Die hochsprochliche pro/a·
ne Literaturder Byzantiner, l, Mtinchen 1978, pp. 65·91.
4
NICOLA CALLICLE, Carmi, a cura di R. Romano, Napoli 1980, p. 107.
1
IOHANNIS EUCHAITORUM METROPOLITAE quae super;unt cit., p. I r6 [trad. it. Discor;o cit.,
p. 751-
6 PG, CXXII, col. 901A [trad. it. MICIIELE PSELLO, Caratteri stilistici di Gregorio i/ Teologo. di
Basilio Magno, del Crisostomo e di Gregorio di Nissa, in Cultura e politica ci t., p. 39 (trad. di C. Cri·
mi)].
7
IOIIANNIS EUCIIAITORUM METROPOLITAE quae ... super;unt ci t., p. 109 [trad. it. Discorso cit.,
p. 66].
' Ibid., pp. II5 sg. [trad. it. pp. 75 sg.].
9
K. N. SATHAS, Meamwvt><i"fBt{J)..,oiNptT/, V, Paris r876, pp. 152 sg. [trad. it. MICHELE PSELLO,
Encomio per Giovanni, piissimo metropolita di Eucaita e protosincello, a cura di R. Anastasi, Pado·
va 1968, p. 54].
Cavallo Bisanzio e i testi classici 595
'"A. MAYER, Pseltos' Rede iiber den rhetorischen Charakter des Gregorios von Nazianz, in .. By-
zantinische Zeitschrift», XX (I9It), pp. 48 e 50 [trad. it. MICHELE PSEU.O, Discorso improvvisato
per zl vt•starca Poto, che gli aveva chiesto di scrivere sullo stile del Teologo, in Cultura e politica ci t.,
pp. '' c 24 (trad. di M. Solarino)].
" PG, CXXII, col. 904D [trad. it. p. 41].
11
SATIIAS, MEOQIWVtld/BI{J).w{hjl<'ICit., p. 150 [trad. it. p. 52).
'' E. v. MALTESE, Michele Psello commentatore di Gregorio di Nazianzo: nok per una lettura dei
•Th,•ologica», in Ivvt'ieop.Oç. Studi in onore di R. Anastasi, II, Catania 1994, pp. 289·309.
" P. A. AGAPITOS, Teachers, pupils and imperia/ power in eleventh-century Byzantium, in Y. LEE
TOo c N. LJVJNGSTONE (a cura di), Pedagogy and Power. Rhetorics o/Classica/ Leaming, Cambridge
198H, pp. 170·91.
596 Continuità e riusi
sia ai livelli della cultura alta sia anche nella fascia di individui piu o me-
no saldamente istruiti e adusi alla pratica di libri - non erano quelle
dell'antichità classica, ma scritti biblici, patristici, agiografici, liturgici,
in sostanza testi teologici scanditi secondo momenti, occasioni, fini. Una
ricerca quantitativa, pur se parziale e per scandagli sparsi, sui libri-ma-
noscritti direttamente conservati o indirettamente testimoniati da fon-
ti diverse (testi letterari, cataloghi di biblioteche antiche) rivela in ogni
epoca della lunga vita di Bisanzio un numero di libri di autori classici
scarso, molto scarso anzi, se confrontato con la quantità immensa di li-
bri teologici; e per di piu molti libri si dimostrano miscellanee di scritti
profani e sacri.
Ai livelli della cultura intellettualmente piu agguerrita, laica ed ec-
clesiastica, una fonte importante si rivela l'epistolografia, giacché mol-
te sono le lettere nelle quali si parla di opere e di libri trascritti, messi
in circolazione, prestati, letti, discussi. Si tratta spesso di scritti lette-
rari contemporanei, molti teologici o devozionali, mentre i classici oc-
cupano uno spazio minore di quanto ci si sarebbe aspettato. Un'indagi-
ne in tal senso condotta per il XIV secolo in particolare sulla produzione
epistolare di Teodoro lrtaceno, Niceforo Cumno e Michele Gabra, mo-
stra che in piu di settecento lettere ricorre, su un totale di ventotto au-
tori per circa una sessantina di titoli, solo qualche copia di Omero, Ero-
doto, Aristotele, Platone, Demostene, Elio Aristide, Plutarco.,. Ma que-
sto vale anche per altre epoche. Quando nel x secolo Leone, metropolita
di Sinada, nel suo testamento si mostra contrito per aver troppo spesso
trascurato la letteratura teologica a favore di quella profana, è solo una
civetteria 1' .
Sul versante di una piu ampia fascia di lettori, si prenda la bibliote-
ca di Eustazio Boila, magnate di provincia dell'XI secolo, quale ci è te-
stimoniata dal suo testamento 17 : a parte qualche libro di incerta identi-
ficazione, su un'ottantina di titoli, sessantacinque sono testi teologici di
varia indole, soprattutto liturgici; e quelli che non lo sono, si dimostra-
no di contenuto tecnico-strumentale o d'uso scolastico, come un ma-
nuale di grammatica e un Esopo, mentre le letture di testi letterari an-
tichi si riducono al Romanzo di Alessandro e al Leucippe e Clito/onte di
Achille Tazio, l'una e l'altra letture di intrattenimento, ma con l'avver-
"A. KARPOZIWS, Books and bookmen in the 14th C. The epistolographical evidence, in «Jahr·
buch der osterreichischen Byzantinistik», XLI (1991), pp. 255-76.
16
The Correspondence of Leo, Metropolitano/ Synada and Syncellus, a cura di M. P. Vinson,
Washington 1985, pp. 48-53.
17
P. LEMERLE, Cinq étudessur le xf siècle byzantin, Paris 1977, pp. 15-63.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 597
Approcci.
anche Achille T azio e Longa Sofista - allestito circa un secolo prima nel-
le cerchie di corte dei Comneni. «Insegnamento», peraltro, a Bisanzio
non significava alcuna scuola rigidamente organizzata, ma piuttosto una
fioritura di J.Lai.m:ogeç e 3tQO~LJ.LOL, maestri e assistenti-insegnanti, che
spesso tenevano scuola in privato, trascrivendo testi e curandone edi-
zioni. Titoli come quelli di cui nell'xi secolo vengono insigniti grandi
uomini di cultura come Michele Psello o Giovanni Xifilino per indicar-
ne la dignità di carica ai vertici di una disciplina rispondono solo alla
1:a~Lç, all'ordine gerarchico garantito dallo stato che regolava la società
di Bisanzio, ma non sono connessi a precisi compiti istituzionali.
E tuttavia, anche se a Bisanzio non vi fu mai un sistema scolastico
istituzionalizzato, ma soltanto una desultoria e disorganica attenzione
dell'autorità imperiale verso l'insegnamento superiore, fu comunque nel-
le scuole - intese perciò come cerchie di maestri e scolari piuttosto che
come curricula iscritti in luoghi e tempi definiti - che si veniva a con-
tatto delle opere classiche come fondamento della lingua alta e modello
retorico da imitare7 • Lasciando da parte l'istruzione elementare, fon-
data in pratica sul solo Salterio, al secondo livello - quello che preve-
deva, ma senza rigide distinzioni, le arti liberali del trivio e del quadri-
via - a costituire gli strumenti di base erano grammatiche, lessici, epi-
merismi, compilazioni schedografiche8 , e Omero, il primo autore di cui
si affrontava la lettura e il piu letto2 ' Oltre che i trattati tradizionali di
grammatica e le raccolte lessicografiche, a partire dall'età dei Comneni
e soprattutto piu tardi, dopo la sistemazione fattane da Manuele Mo-
scopulo, nell'uso scolastico risultano molto adoperati anche gli Ègotti·
J.LUta, in sostanza trattazioni grammaticali in forma catechetica sui qua-
li gli scolari si esercitavano prima di affrontare la compilazione schedo-
grafica30. Questa, a sua volta, consisteva per lo piu di estratti di autori
27
In fatto di scuola e istruzione superiore a Bisanzio, mi sembra di poter sostanzialmente con·
cordare, pur con certi aggiustamenti o aggiornamenti dovuti a nuove ricerche, con le tesi di P.
SPECK, Die kaiserliche Universitiit von Konstantinope/. Priil:isierung zur Frage des hOheren Schulwesen
in Byzanz im 9· und ro. ]ahrhundert, Miinchen '974· Sui diversi livelli di insegnamento rimando
alle brevi ma dense sintesi di A. MARKOPOULOS, 'H OQYclVWUij roii CJXOÀEtOV. llaQcil!oo11 xaiiçÉÀIXI/,
in ·H '"'ihiWQtVI) ~<m) aro Bv~civrw, Athinai 1989, pp. 3 2 5·33, e di E. v. MALTESE, Eco/e et ensei·
gnementà Byzance, in <<Europe>>, LXXV (1997), pp. 21·33·
28
R. 11. ROB!NS, The Byzantine Grammarians. Their Piace in History, Berlin · New York 1993,
pp. 125·48.
" R. llROWNING, Homer in Byzantium, in «Viaton>, VIII (1975), pp. 15-33 (rist. in ID., Studies
in Byzantine History, Literature and Education, London 1977), e The Byzantines and Homer, in R.
LAMBERTON e J. J. KEANEY (a cura di), Homer's Ancient Readers, Princeton 1992, pp. 134-48; ma si
veda anche il meno noto e parimenti utile contributo di A. BASIUKOPOULOU·IOANN!DOU, 'H avayévvl1·
o
lJTI nilv ypalt!tcirwv xarà ròv IB' aiwva eiç rò BvCcivrwv xai 'O!JIIf!Oç, Athinai r 97 2.
>• A. PERTUSI, 'Eponj!Jara. Per la storia e le fonti delle prime grammatiche a stampa, in.«Italia me·
dioevale e umanistica», V (1962), pp. 328-45; ROBINS, The Byzantine Grammarians cit., pp. 235·41.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 601
3· Figure.
lJ n'idea molto concreta e sintetica del contenuto della Biblioteca di Fazio si può avere dal-
le t a\·olc riassunti ve di w. T. TREADGOLD, The Nature o/ the Bibliotbeca o/ Photius, Washington 1980,
[lp l l 7·76.
n La figura di Fazio e la composizione della sua Biblioteca implicano un complesso di que·
stio111 assai dibattute. Un inquadramento generale si può trovare in LEMERLE, Le premier humanis-
mc ci t pp. 177·204, cui mi limito a rimandare.
Su libri e testi passati nelle mani di Areta basti ancora una volta il rinvio a ibid., pp. 204-37.
" Rispettivamente codd. BodL D'Orville 301, BodL Clark. 39, Vat. Urb. gr. 35, Paris. gr.
"'n' Laur. 6o.3, Lond. Harl. 5694.
" Cod. Paris. gr. 45 r. .
Sull'attività filologica di queste figure mi limito a rimandare alle pagine dedicate alla «Phi-
lologic» eia llUNGER, Die hochsprachliche profane Literaturcit., Il, pp. 3-83.
6o6 Continuità e riusi
" L'attività di Giorgio-Gregorio di Cipro si trova ricostruita sotto tutti gli aspetti nella mo·
nografia di 1. PÉREZ MARTIN, E/patriarca Gregorio de Chipre (ca. 1240-1290) y la trasmision de los
textos cltisicos en Byzancio, Madrid 1996.
"Rispettivamente codd. Ambros. M 71 sup., Mare. gr. 227, Paris. Suppl. gr. 642, Scor. Y.
I. 13, Paris. gr. 2998, Paris. gr. 2953, Scor. X. I. 13 + CII. I. 18.
" È il cod. Paris. gr. 2953.
" Sulla figura di Massimo di Planude, la sua attività come insegnante, le sue frequentazioni
testuali si veda in generale c. N. CONSTANTINIDES, Higher Education in Byzantium in the Thirteenth
and Early Fourteenth Centuries (1204- ca. rpo), Nicosia 1982, pp. 66-89.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 6o7
'·' Cod. Laur. 32.16. A. TURYN, Dated Greek Manuscripts o/ the Thirteenth and Fourteenth Cen-
tum·s in the Libraries o/ Italy, l. Text, Urbana-Chicago-London 1972, pp. 66-89.
" Cod. Ambros. Et 157 sup.; TURYN, Dated Italy cit., pp. 78-81.
Cod. Ambros. C 126 inf., che contiene solo i Moralia, e Paris. gr. 1671, che, oltre agli stes-
si .ltoralia trascritti dal codice precedente, reca pure le Vite parallele. TURYN, Dated Italy cit., pp.
~, X7, e, in particolare sul Paris. gr. 1671, Les manuscripts grecs datés des XIIf et XIV siècles con-
smù dans Ics bibliothèques publiques de France, l. xuf siècle, Paris 1989, pp. 69-73.
" Cod. Ven. Mare. gr. 481. TURYN, Dated Italy cit., pp. 90-96.
"' Cod. Vat. gr. 177.
"Cod. Edimburgo, National Library of Scotland, ms Advocates' 18.7.15. A. TURYN, Dated
Crc,•k Manuscripts o/Thirteenth and Fourteenth Centuries in the Libraries ofGreat Britain, Washing-
'"" ll)Ho, pp. 57·59·
" Cod. Vindob. phil. gr. 21. E. GAMILLSCJIEG, Eine Platonhandschrift des Nikephoros Moscho-
{lldr" !Vind.phil.gr 21), in Byzantios. Festschrift/ur H. Hungerzum 70. Geburtstag, Wien 1984, pp.
()')-100.
6o8 Continuità e riusi
67
Codd. Bodl. Barocci 120, Paris. Coisl. 169, Va t. Urb. gr. 140, Va t. gr. 40. Sulla mano del
copista Giovanni, la quale collega questi manoscritti, si veda c. GALLAVOTTI, L'edizioneteocritea di
Moscopulo, in <<Rivista di filologia e di istruzione classica», n.s., XII (1934), pp. 349-69 (rist. in
ID., Theocritea, Roma 1999, pp. 12-27).
•• A. D' ACUNTO, Su un'edizione platonica di Nice/oro Moscopulo e Massimo P/a nude: il Vindo·
bonensis phil.gr. 21 (Y), in «Studi classici e orientali», XLV (1995), pp. 262 e 264.
•• Cod. Malat. D.XXVII.2. TURYN, Dated Italy cit., pp. II3·I6.
70
s. MERGIALI, L' enseignementet /es lettrés pendant l'époque des Paléologues ( 126I·I45J), Athè·
nes 1996, pp. 54·56.
" Cod. Laur. p.z.
72
Cod. Neapol. II.F.3r.
" Mare. gr. 464. TURYN, Dated Italy ci t., pp. I 23-27.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 6o9
78
Fondamentali i lavori di G. PRATO, La produzione libraria in area greco-orientale nel periodo
del regno latino di Costantinopoli (I 204-I 26 I), in «Scrittura e civiltà>>, V (1981 ), pp. t 05-47 (rist.
in ID., Studi di paleografia greca, Spoleto 1994, pp. 3 1-7 2), e Un autografo di Teodoro II Lascaris im-
peratore di Nicea?, in <<]ahrbuch der i:isterreichischen Byzantinistib, XXX (1981), pp. 249-58.
" K. IIROWNING, Recentiores non deteriores, in <<Bulletin of the lnstitute of Classica! Studies»,
VII (196o), pp. tt-21 (rist. in ID., 5tudies cit.).
80
1. SEVC:ENKO, 5ociety and intellectual /ife in the fourteenth century, in Actes du XIV Congrès In-
ternational des Etudes Byzantines, !, Bucarest 1974, p. 70 (rist. in ID., 5ociety and Intellectual Li/e in
Late Byzantium, London 1981).
" Sull'argomento riescono di consultazione assai utile i saggi di CONSTANTINIDES, Higher Edu-
cation ci t., pp. 31-65 e 90-162, e di MERGIALI, L' enseif!.nement ci t., pp. t5·112.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 6II
sa, uno dei suoi scolari, Costantino Lucita, chiede che gli sia cercata una
copia dell'Odissea, e Lucita a sua volta, uomo colto di provincia, ltQW-
tovmò.gtoç e ltQWto~EOtUlQLOç dell'imperatore di Trebisonda, aveva tra
diversi libri anche un'Iliade. Un altro dotto, Costantino Acropolita, pos-
sedeva nella sua biblioteca, per la quale aveva speso non poco delle sue
sostanze, scritti di Democrito e di Eraclito, il Menone di Platone, Pio-
tino, Elio Aristide. Teodosio Principe, legato di Michele VIII e poi pa-
triarca di Antiochia, fece forse trascrivere egli stesso una copia della Fi-
sica di Aristotele. Un certo diacono Callisto aveva un esemplare dell' Eti-
ca dello stesso Aristotele, verisimilmente il medesimo Callisto ch'ebbe
tra le mani una buona edizione dell'Iliade. !sacco monaco del Mesopo-
tamon in Epiro, poi metropolita di Smirne nel tardo secolo XIII, aveva
un Aristotele dovuto alla mano di uno scriba Nicandro. Giorgio Laca-
peno, figura sfumata di grammatico e di retore, ebbe tra i suoi libri una
raccolta di epistole di Libanio. Cipriano, un altro unatoç twv cplÀooocpwv,
possedette il piu antico manoscritto a noi noto del commentario di lp-
parco ai Fenomeni di Arato e di Eudosso. Demetrio Casandreno, che ac-
compagnò nel 1361 Giovanni VI Cantacuzeno nel suo ritiro a Mistrà,
fece qui scrivere l'anno seguente da Manuele Tzicandile, copista e filo-
logo, un esemplare delle Vite parallele di Plutarco. E per i Cantacuzeni
risultano prodotti pure un Arriano e un Tucidide nei quali si ritrova la
mano di Tzicandile. Due anonimi eruditi, l'uno di Nicea, l'altro di Tes-
salonica, si procurarono diversi classici: all'anonimo di Nicea apparten-
ne il famoso corpus Pala tino delle o razioni di Lisia82 , e a quello che do-
veva essere un vero erudito di Tessalonica una collezione di libri che
comprendeva, tra l'altro, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, Dionigi di
Alicarnasso, Arriano, Isocrate, Temistio. Infine va richiamata l'atten-
zione su Giorgio Carbone, il quale commentò tragedie di Eschilo e di
Sofocle e, a quanto pare, svolse un certo ruolo come insegnante. Eque-
sta rassegna potrebbe ancora continuare con nomi di laici ed ecclesia-
stici colti, come quelli di Alessio Macrembolita, Niceforo metropolita
di Monembasia, Alessio Apocauco, Stefano Sguropulo. In particolare
Tessalonica diviene nel XIV secolo centro importante di cultura grazie
non solo a filologi come Manuele Moscopulo, Tommaso Magistro e De-
metrio Triclinio con le loro cerchie, ma anche a figure quali Nicola Ca-
basila, Demetrio Ciclone e altri, tanto che la città - a quest'epoca so-
vente residenza imperiale - è celebrata per la sua vita intellettuale co-
me una nuova Atene, metropoli di dotti e di libri83
4. Maniere di leggere.
Ai livelli alti la ricezione dei classici a Bisanzio, come del resto di te-
sti di qualsiasi altra indole, avveniva attraverso pratiche di lettura, pra-
tiche di scrittura o all'incrocio tra le due pratiche, giacché si tratta di
realtà assai complessa e sfumata, spesso senza precisi confini.
Una lettura competente- come ricorda un commentario a Dionisio
Trace di epoca bizantina - richiedeva che di ciascun libro-testo si con-
siderasse il titolo, l'autore, lo scopo, l'utilità, la struttura, il risultato fi-
nale84. Ma al di là di queste sclerotiche considerazioni di ordine genera-
le, va tenuto conto anche di altri fattori nella ricezione della letteratu-
ra greca antica. Quando chi fruisce del testo si serve di un libro
materialmente fatto trascrivere a prezzo o acquistato di seconda mano,
la ricezione è condizionata da una parte da dispositivi editoriali già or-
ganizzati, dall'altra dalle maniere di lettura: i primi - impaginazione,
suddivisioni interne dello scritto - incidono sulla relazione che viene a
istituirsi tra materialità del libro e percezione del testo, mentre le altre
si iscrivono nelle competenze e convenzioni culturali del lettore. Va ri-
cordato, pure, che individualmente o in comune a Bisanzio si leggeva-
no piu e assai piu opere teologiche che classiche, e perciò la lettura in-
tensiva che di queste ultime si faceva rifletteva la maniera di leggere le
prime: maniera traguardata a interpretare e introiettare la parola del Si-
gnore mediante uno sforzo continuo sui testi o su passi scelti spesso ri-
trascrivendoli, un lavorio esercitato sullo scritto con il conforto di com-
mentari, un procedimento cognitivo che prevedeva il riuso mnemonico
di termini o frasi a edificazione e salvazione dell'anima. Si consideri,
ancora una volta, quanto scrive Cecaumeno: «Dopo aver letto un po',
non cominciare a contare le pagine o a scegliere le parti che ritieni mi-
gliori e a leggerle: non ti sarebbe utile, infatti; ma iniziando dalla prima
pagina, dove comi11cia lo scritto, leggilo fino all'ultima lettera. Molto ne
tr'arrai vantaggio. E proprio infatti del ciarliero non leggere due ed an-
che tre volte tutto il libro, ma scegliere solo poche cose per chiacchie-
rarne»". Cecaumeno si riferisce, si sa, alla lettura di <<dogmi» e di «li·
bri di Chiesa», ma è questa stessa maniera di lettura che vale per i clas·
tury, in 'H eeooW.ovixt/llf'Ta;v 'A vmo.l.ijç xai Livoewç, Thessaloniki I 98o, pp. I 2 I-3 I (rist. in JD.,
Studies in Late Byzantine History and Prosopography, London I986).
" J. DIETHART e c. GASTGEBER, Sechs endringliche Hinweise /iir den byzantinischen Leser aus der
Kommentarliteratur zu Dionysios Thrax, in «Byzantinische Zeitschrift», LXXXVI-LXXXVII
h993•94). pp. J86·40I.
., CECAUMENO, Raccomandazioni cit., pp. I90 sg.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 613
1. SEVCENKO, Théodore Métochites, Cbora et !es courant intellectuels de l' époque, in Art et So-
90
ciété à Byzance sous !es Paléologues, Actes du Colloque organizé par l' Association Internationale
cles Etudes Byzantines, Venise 1971, pp. 15· 39 (rist. in m., Ideology, Letters and Culture in the By-
zantine World, London 1982).
91
Alla mano del medesimo votaQLoç va attribuito il famoso codice Crippsianus degli oratori
attici (cod. Lond. Burney 95), ma è possibile che tal votaQLOç trascrivesse libri anche per altri com-
mittenti, o anche per sé in quanto, date le sue funzioni presso la cancelleria imperiale, non poteva
trattarsi che di un individuo colto. Sull'attività del cosiddetto <<Metochitesschreiben> si veda, piu
in generale, G. PRATO, I manoscritti greci dei secoli XIII e xrv: note paleografiche, in Paleogra/ia e co-
dicologia greca, Atti del II Colloquio internazionale (Berlino-Wolfenbiittel, 17-21 ottobre 1983),
Alessandria 1991, pp. 513·21 (rist. in PRATO, Studi cit., pp. 123-31); in particolare sul codice di
Aristotele (cod. Paris. Coisl. 157), s. KOTZABASSI, Byzantinische Kommentatoren der aristotelischen
Topik:]ohannes Italos und Leon Magentinos, Thessaloniki 1999, pp. 22 sg.
" c. M. MAzzuccm, Leggere i classici durante fa catastrofe (Costantinopoli, maggio-agosto I20J):/e
note marginali al Diodoro Siculo Vaticano gr IJO, I, in <<Aevum>>, LXVIII (1994), pp. 202-6, e Diodo-
ro Siculo fra Bisanzio e Otranto (cod. Par gr. 1665), ivi, LXXIII (1999), pp. 385-421; N. WILSON, The
Naples MS. o/Thucidides, in «Studi italiani di filologia classica», serie 3, XVIII (2ooo), pp. 196-99.
" Cod. Vat. gr. 90. Mi limito a rimandare al recente contributo di A. MARKOPOULOS, Oberle-
gungen zu Leben und Werk des Alexandros von Nikaia, in <<]ahrbuch der osterreichischen Byzanti-
nistib, XLIV (1994), pp. 313-26.
" Si leggano in proposito alcune pertinenti osservazioni di c. MANGO, Byzantinism and Ro-
mantic Hellenism, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institute>>, XXVIII (1965), p. 32.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 61 5
Forse già a partire dall'xi secolo e comunque piu tardi sembra vi sia
stata una piu larga fioritura di questi circoli, indicati con termini quali
-&èmgov, À.oytxòv -3ia'tQOV, xuxÀ.oç. A Bisanzio, in verità, resisteva la
consuetudine di circoli colti, scuole-comunità, sodalizi di dotti, quali so-
no saldamente attestati fin dalla tarda antichità paga:1a e cristiana": si
pensi alla scuola di Libanio ad Antiochia fornita di un -3Éa'tQOV per le
riunioni'\ o ai circoli di Alessandria desunti dai resti archeologici di au-
ditoria nei quali si tenevano letture'\ o al salon di Marciano a Costanti-
nopoli ricordato da Sinesio!lll, o alle scuole-comunità filosofiche soprat-
tutto neoplatoniche. In età medio- e tardobizantina, pur se la realtà di
questi circoli è piu sfumata, si tenevano comunque riunioni nelle quali
gnrppi di individui colti si incontravano per leggere e commentare testi
letterari" In queste riunioni si potevano ascoltare per lo piu orazioni,
epistole, poemi scritti da membri del gruppo, ma non si può escludere
che fossero lette in comune anche opere di letteratura greca antica co-
me già nel circolo di Fazio. Oltre a quest'ultimo, un circolo pare si rac-
cogliesse, nella prima età dei Comneni, intorno all'imperatrice !rene Du-
caina. Una comunità erudita era nel XII secolo anche quella in cui Eu-
stazio di Tessalonica teneva «quotidiane letture in comune» illustrando
il contenuto e lo stile delle opere, e magari arricchendo l'esposizione con
digressioni pertinenti 100 •
All'inizio del secolo successivo, in un esemplare di Diodoro Siculo-
uno degli stessi in cui è attestata la mano di Gregora - si son volute ri-
conoscere tracce di una cerchia dotta nella quale si praticavano letture
t\ i circoli letterari o filosofici e ai sodalizi dotti della tarda antichità è dedicato il contribu-
to di 1c uzzr, Le comunità di dotti nell'impero tardoantico fra selezione e specializ:t.azione del sapere,
in l'c1/ezione del sapere e comunità dei sapienti. Dal medioevo all'età informatica, Atti del Colloquio
di l:ircnzc (Certosa del Galluzzo, I7 ottobre I998), Firenze 2001, in corso di stampa; ma si veda
anche G. AGOSTI, I poemetti del codice Bodmer e il loro ruolo nella storia della poesia tardoantica, in
L· mdex des Visions, Colloque Charles Bally (Genève, I -4 giugno 2000), Genève 200 I, in corso di
St;llllflU, ove sono proposti materiali e suggestioni pertinenti. Un sincero ringraziamento a Rita Liz-
ZJ c· a c; ianfranco Agosti per avermi consentito di leggere e utilizzare i loro contributi non ancora
p11hhlic•tti.
"· I.IBANIO, Discorsi, 22.3r.
1:. t<OD2IEWICZ, Late Roman auditorio in Afexandria in the fight of ivory caroings, in << Bulletin
dc la ~ociété d'Archéologie d'Alexandrie», XLV (I993), pp. 269-79.
" '1:-<i'SIO, Epistole, Ior.66-78.
" Si veda il documentato lavoro di M. MULLETT, Aristocracy and patronage in the literary circles
of C'o11mcnian Costantinople, in M. J. ANGOLD (a cura di), The Byzantine Aristocracy IX-XIII Centuries,
(Jxlord 1983, pp. 173·20r.
100
MizwiÀ 'Axo~J,LVUtou wù XuJVLatou rà aw~owva, a cura di S. P. Lampros, l, Athinai 1879,
pp. 287 sg. Sulla cerchia di dotti gravitante intorno a Eustazio si può rimandare ad A. KAZIIDAN e
s. II<A~KI.IN, Studies on Byzantine Literature o/ the E!eventh and Twelfth Century, Cambridge-Paris
I<JH.j, pp. I 38-40.
616 Continuità e riusi
101
Si tratta del Vat. gr. 130, sul quale va segnalato l'importante lavoro di MAZZUCCHI, Legge·
re i classici cit., l, pp. 165-218, insieme alla parte Il, in <<Aevum», LIX (1995), pp. 200·57.
101
Ibid., l, pp. 187 sg.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 6q
da Niceforo Cumno oocpo-r<hTJ per il suo amore dei classici e la sua pas-
sione di trascriverne, copia di sua mano una raccolta dei discorsi di Elio
Aristide e il commentario di Simplicio alla Fisica di Aristotele 106 ; rna
Teodora possedette anche un Demostene, che invia in prestito a Gior-
gio-Gregorio di Cipro, e opere di armonica e di matematica. Essa fa
avere altresi libri - perché le ritornino riveduti e corretti - a Planude,
a Costantino Acropolita, allo stesso Giorgio-Gregorio di Cipro. E in-
fatti note di mano di quest'ultimo si incontrano in margine all'Elio Ari-
stide della Paleologina 107 La quale, a sua volta, riceve da Cumno un
esemplare dei Metereologica di Aristotele con il commento di Alessan-
dro di Afrodisia perché ne legga e ne emendi il testo 108 : testimonianza
ulteriore di queste letture dotte, attente e ripetute. Né Teodora, com'è
ovvio, trascura la letteratura teologica, giacché pratica - scrivendone
essa stessa- l'agiografia 10' Anche la data della morte di Teodora, il6
dicembre I 300, si trova annotata, quasi segno delle sue letture di au-
tori antichi, sui margini di un manoscritto tucidideo: e annotata pro-
prio dalla mano di Planude 110 • E ancora, non vanno dimenticate altre
figure di eruditi di varia levatura che trascrivono libri nei secoli tardi
di Bisanzio: Arsenio, metropolita di Creta, ricopia un anonimo, antico
commentario alla Introduzione aritmetica di Nicomaco di Gerasa; e Mi-
chele Lullude, uomo di vasta cultura letteraria e copista-filologo vissu-
to tra Efeso e Creta trascrive l'opera medica di Paolo d'Egina, allesti-
sce una copia dell'Organon di Aristotele, collabora a un manoscritto
della triade euripidea 111 •
Il rinnovato atteggiamento verso la tradizione classica è a fonda-
mento, pure, della diffusione di una pratica che si può documentare già
nei secoli precedenti e fin dalla tarda antichità, ma che prima del XIII·
XIV si dimostra piuttosto limitata: la collaborazione assai stretta tra piu
mani, pur se queste talora operano anche singolarmente, nella trascri-
zione e nella cura editoriale dei testi. Si tratta di quelli che- già a pro·
posito delle cerchie di Giorgio-Gregorio di Cipro, Massimo Planude,
106
r. SCIIRF.INER, Kopistinnen in Byzanz mit einer Anmerkung zurSchreiberin Eugenia im Par lot
7560, in «Rivista di studi bizantini e neoellenici», n.s., XXXVI (1999), pp. 37 sg.
107
È il cod. Vat. gr. 1899.
100
J.·F. BOISSONADE, Anecdota nova, Paris 1833, pp. 92 sg.
10
' F. RIZZO NERVO, Teodora Raoulena. tra agiografia e politica, in ItòvllWIID>. Studi in onore di
R.Anastasi, l, Catania 1991, pp. 147-6r.
11
° Cod. Monac. gr. 430.
111
A. TURYN, Michael Lulludes (or Luludes). A scribe o/ the Palaeologan era, in <<Rivista di stu·
di bizantini e neoellenici>>, n.s., X-Xl (1973-74), pp. 3-15. Sull'attività scrittoria di Lullude si ve·
da anche G. DE GREGORIO, Per uno studio della cultura scritta a Creta sotto il dominio veneziano: i co·
dici greco-latini del secolo XIV, in <<Scrittura e civiltà>>, XVII (1993), pp. 130-67.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 6I 9
111
11. IIUNGER, Schreiben und Lesen in Byzanz. Die byzantinische Buchkultur, Miinchen 1989,
pp. ~~ sg. e I IO.
6zo Continuità e riusi
" <:AMERON, Constantine the Rhodion and the Greek Anthology, in «Byzantinische For-
Scllllngcn», XX (1994), pp. 261-67, e ID., The Greek Antho/ogy cit., pp. J00·7-
'" Rimando all'importante contributo di M. CACOUROS, Le Laur 85.1 témoin de l'activité
con,,,inte d'un groupe de copistes travaillont dans lo seconde moitié du XHI' sièck, in I manoscritti gre-
ci tm ri/lmione e dibattito, Atti del V Colloquio internazionale di paleografia greca (Cremona, 4-
Io Jlltobre 1998), a cura di G. Prato, l, Firenze 2ooo, pp. 295-310.
'" Questi aspetti dell'attività di Giovanni Cortasmeno sono stati indagati dallo stesso M. CA-
COl· t<os, jean Chortasménos katholikos didaskalos. Contribution ii l' histoire de l' enseignement ii By-
:ance, in u. CRISCUOLO e R. MAlSANO (a cura di), Synodio. Studia humanitatis A. Garzya septuagena-
rio al> amicis atque discipulis dicata, Napoli 1997, pp. SJ-107, e Un manuel bylantin d'enseignement
rk>ttm' à étre copié «ii lo pecio», in «Gazette du livre médiéval», XXXVI (2ooo), pp. 17-24.
622 Continuità e riusi
'" A. TURYN, Codices graeci Vaticani saeculis xnr et XIV scripti annorumque notis instructi, in Ci·
vita te Vaticana 1964, pp. 89-97.
uo Su questo e sugli esemplari che seguono trascritti da numerose mani si veda P. CANART,
Que/ques exemples de division du travail chezles copistes byzantines, in PH. IIOFFMANN (a cura di), Re-
cherches de codicologie comparées. La composition du codex au Moyen Age, en Orient et en Occident,
Paris 1998, pp. 49-67, ove tuttavia il fenomeno è riferito in generale a tecniche di manifattura li-
braria da laboratorio di copia piuttosto che a una pratica intellettuale di scrittura e di studio all'in-
terno di cerchie erudite. Nel riconoscere la rilevanza del contributo di Canart, che apre la strada
a problematiche nuove, mi sembra tuttavia che, all'interno del fenomeno, sia da operaie di volta
in volta una distinzione, secondo i casi, tra pratiche puramente librarie e pratiche intellettuali.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 6z 3
~tANGO, Discontinuity ci t., p. 49· Si vedano anche 11. AIIRWEILER, Recherches surla société
br~uli!Ìnc au xf siècle: nouvelles hiérarchies et nouvelles solidaritès, in <<Travaux et Mémoires», VI
( 1'>ji>J, [lp. 99·124, e, ultimamente, E. L!MOUSIN, Les lettrés en société:'(liÀoç;{Jioçou :n:oÀn:txòç;flioç?,
in" llyzantion», LXIX (1999), pp. 344-65.
"' MICHELE PSELW, Imperatori di Bisanzio (Cronografia), Introduzione di D. Del Corno, testo
critico a cura di S. lmpellizzeri, commento di V. Criscuolo, traduzione di S. Ronchey, Milano
l<JX.J, fl· 43·
'" Si leggano in proposito le osservazioni di w. IIORANDNER, La poésie profane au xf siècle et
la omnaissance des auteurs anciens, in «Travaux et Mémoires», VI (1976), p. 252.
624 Continuità e riusi
'" Das Eparchenbuch Leons des Wesen, a cura diJ. Koder, Wien 1991, pp. 74 sg.
"' The Correspondence o/ Leo ci t., pp. 48 sg.
"' Sull'istruzione dei funzionari di vario rango si veda, pur con i suoi limiti, G. WEISS, Ostrii·
mische Beamte im Spiegel der Schriften des Michael Psellos, Miinchen 1973, pp. 65-76.
127
IL IIUNGER, Prooimion Elemente der byzantinische Kaiseridee in den Arengen der Urkunden,
Wien-Graz-Koln 1964.
128
Si leggano le acute osservazioni di c. MANGO, Byzantium. The Empire o/ New Rome, Lon·
don 1980, pp. 147 sg. (trad. it. La civiltà bizantina, Roma-Bari 1991, p. qr).
"'v. VON FALKENIIAUSEN, Il vescovo, in G. CAVALLO (a cura di), L'uomo bizantino, Roma-Bari
'992, pp. 261-68.
Cavallo Bisanzio e i testi classici 62 5
zione che risaliva ai Padri della Chiesa e ai grandi vescovi di età tar-
doantica, e che si protrasse senza soluzione di continuità fino all'epoca
bizantina tarda.
Questa élite nel suo complesso era fatta dunque di uomini di stato,
alto clero, funzionari diversi civili ed ecclesiastici, militari di rango, mo-
naci eruditi (o meglio eruditi fattisi monaci), ai quali tutti facevano da
supporto «scolastico» insegnanti diversi: grammatici, retori, filosofi.
Dal rx secolo e fino alla caduta di Bisanzio questa categoria non viene a
mutare sostanzialmente fisionomia: nel corso del tempo si accresce, so-
prattutto tra i secoli XI-XII, o si disloca quando, dopo la conquista di Co-
stantinopoli da parte dei crociati, la capitale è trasferita a Nicea, o si de-
centra e si estende, come nell'età dei Paleologi durante la quale, e in par-
ticolare tra i secoli XIII-XIV, «l'orgoglio etnico» conforta la rinascita -
non solo in Costantinopoli ritornata capitale, ma anche in altre città
dell'impero- di circoli colti e dediti alla lettura o alla cura editoriale dei
classici; ma è una categoria che resta sempre la stessa, e questa «immo-
bilità;) ne conferma il carattere di casta. Quel che si leggeva o si scrive-
va quindi restava sempre all'interno di essa, o meglio circolava tra indi-
vidui e cenacoli dotti che ne erano espressione.
N el x secolo l'Anonimo di Londra - qui già presentato nella sua ve-
ste di insegnante-filologo- offre un'immagine assai vivida di quelle cer-
chie che lavoravano sui testi classici e nonno. Sono lo stesso Anonimo,
suoi colleghi quali il~-taLo'tWQ Michele, il~-taLO'tWQ Filareto, il f.tULO"tWQ e
àoqr.Ql]nç Pietro; sono scolari piu avanzati, i :rtQO~t~-tm magari talora de-
stinati a loro volta a diventare insegnanti; sono alti funzionari della can-
celleria imperiale e dell'amministrazione centrale, molti ecclesiastici piu
o meno d'alto rango, alcuni egumeni e qualche monaco. Non diversa,
grosso modo, la composizione sociale della classe intellettuale a Bisan-
zio qualche secolo piu tardi, nel xrv: si rileva la presenza, tra gli eccle-
siastici, di patriarchi, metropoliti, arcivescovi e vescovi, funzionari del
Patriarcato; e tra i laici, soprattutto di uomini di corte, dagli stessi im-
peratori fino ai dignitari intorno a questi gravitanti e all'alta burocra-
zia; ma- fenomeno peculiare di quest'epoca come anche altrimenti s'è
visto - oltre alla cerchia di palazzo di Costantinopoli vengono in consi-
derazione corti eccentriche e minori, come quelle di Trebisonda, di E pi-
ro, di Cipro.
La coesione sociale di questa classe si rivela in encomi, orazioni fu-
nebri, carmi, epistole, scritti letterari diversi rivolti da membri a mem-
dell' idiorritmia, di dialogo individuale con Dio, e non era tenuto perciò
a formare monaci istruitiu4 ; tanto meno - giacché libri e lettura vi oc-
cupavano un posto secondario rispetto a una vita e a un agire virtuosi-
era centro di cultura retorica e letteraria, né mai risulta tale nel mondo
delle rappresentazioni. Ove non limitata alla lettura delle Sacre Scrit-
tun:, magari del solo Salterio, l'istruzione del monaco non andava co-
munque oltre la conoscenza di qualche scritto ascetico o agiografico e di
florilegi, detti, sentenze, aneddoti sacri e profani opportunamente scel-
ti. Nel xn secolo Teodoro Prodromo rivolgeva i suoi strali, sottolinean-
donc l'ignoranza, contro un monaco che lo accusava di eresia perché leg-
ge\·a Platone e Aristotele. Intellettuali come Eustazio e Michele Glica
esortavano i monaci a istruirsi, e magari ad attingere un minimo di «sa-
pienza profana» perché anche questa può riuscire utile a quanti se ne
servono con senno. Ma l'atteggiamento del monachesimo bizantino ver-
so le lettere greche antiche rimase quello del rifiutai"
Una riflessione richiede, piuttosto, la circostanza che in ogni epoca
non sono mancate figure di monaci letterati e magari di alta cultura, i
quali si sono cimentati nella composizione di opere, o nell'edizione e nel
commento di testi. Queste figure di profilo elevato non possono essere
poste in relazione a una cultura monastica intesa nel suo complesso, ma
vanno spiegate altrimenti. Monaci istruiti, anche ai livelli massimi, era-
no membri di quella stessa élite sociale e intellettuale qui disegnata, i
quali avevano preso l'abito monastico per vocazione, o per scelta di ser-
vin: meglio Dio nel corso della vita, o perché costretti dalle circostan-
ze, o per altri e vari motivi, talvolta magari fondando essi stessi un mo-
nastero in cui ritirarsi per la salvezza dell'anima; ma questi individui
avevano comunque acquisito la loro cultura, fatta non solo di libri sacri
ma anche di un lungo tirocinio di lettura dei classici, prima di entrare
nella vita monastica, da laici, frequentando scuole e insegnanti pubbli-
ci c privati. E tuttavia, questi monaci di cultura elevata, lo restavano in-
di\'idualmente: potevano accrescere la biblioteca del monastero con i lo-
ro libri di letteratura profana oltre che teologica, con le loro stesse ope-
re se letterati, con gli autori che trascrivevano o facevano trascrivere
mossi dai loro interessi, ma tutto questo non coinvolgeva l'ambiente
'" 1-: quanto risulta, ad esempio, da uno studio specifico dedicato ai monasteri della Grecia
biz.11Hina: P. SCIIREINER, Klosterkultur und Handschriften im mitte/alterlichen Griechen/and, in R.
LAIU< c P sCIIREINER (a cura di), Die Kultur Grieche/ands in Mitte/alter und Neuzeit, Atti del Col-
loquio della Siidosteuropa-Kommission (28-3 r ottobre 1992), Gottingen 1996, pp. 39-54.
'" Su queste testimonianze si veda G. CAVALLO, Monasterios cultos o mon;es cultos? Prelimia-
ws ,J,. una investigacion, in P. BADENAS, A. BRAVO e L PÉREZ MARTIN (a CUra di), 'Eniynoçov(!avdf;. El
cielo en la terra. Estudios sobre el monasterio bizantino, Madrid 1997, pp. 1•17·55·
628 Continuità e riusi
"' Pertinenti considerazioni in P. MAGDALINO, The Empire of Manuell Komnenos, u 4J· II So,
Cambridge 1993, pp. 391 sg. e 404-6.
ANTHONY CUTLER
Smnonc apodittico sulle sante e venerabili icone, in PG, XCV, col. 313b. Il sermone è con-
sen·ato in almeno sedici manoscritti, in alcuni dei quali, però, i nomi di Crono e Ares sono sosti·
lui ti da altri dèi, oppure Zeus e Dios sono considerati entità diverse. Sono grato ad A. Alexakis
per av ... r attirato la mia attenzione su questo passo, e a W L. North, L. Rydén eJ.-M. Spieser per
altre informazioni da me utilizzate nel presente saggio.
' Tra le altre ragioni, perché l'imperatore iconoclasta Costantino V Kaballinos (741-75 d. C.)
mori quando Giovanni Damasceno aveva circa ro anni.
630 Continuità e riusi
' Questo sermone non è affatto un unicum. Per un altro passo che contrappone un'icona di
Cristo a una statua (xoavov) di Zeus cfr. s. EI'TliYMIADIS (a cura di), The Li/e o/ the Patriarch Tarli·
sios by lgnatios the Deacon, Aldershot 1998, pp. 145, 198, 255.
• Cfr., per esempio, K. WEITZMANN, Das klassische Erbe in der Kunst Konstantinopels, in .. Alte
und Neue Kunst~>, III (1954), pp. 41-59, e il titolo di una raccolta di suoi scritti The Classica/ He·
ritage in Byzantine and Near Eastern Art, London 1981.
' P. BOURDIEU, Esquisse d'une théorie de la pratique, Genève 1972.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 631
"IZ>c mcssa11e o/Byzantineart, in Byzantine Art. An European Art, catalogo deUa mostra, Athens
1964' P- 52.
Figura r. Alessio I Comneno presenta la Panoplia dogmatica a Cristo.
Usi e costumi bizantini in campi che hanno a che fare con l'arte e
l'architettura presentano molte rassomiglianze con la Grecia antica. Ras·
somiglianze che comprendono, tra l'altro, i pellegrinaggi a santuari lo n·
tani, con tanto di offerte recate dai fedeli; il timore reverenziale susci·
tato da montagne remote, che diventano luoghi spirituali con conse·
guente istituzione di culti; l'importanza annessa all'arte oratoria, nella
quale rientrano i panegirici e le descrizioni di città e di altre realizza·
7
Cfr. lo studio approfondito, quantunque lineare, di K. WEITZMANN, The origins o/ the thre·
nos, in M. MEISS (a cura di), De artibus opuscula XL. Essays in Honoro/Erwin Panofsky, New York
r96r, pp. 476-90, nel quale la linea di derivazione delle immagini della lamentazione di Maria sul
Cristo deposto viene fatta passare attraverso scene della lamentazione di Atteone raffigurate su
sarcofagi romani.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 635
Figur<l ).
Ascensi one. Mosaico della cupola di Santa Sofia a Salonicco.
636 Continuità e riusi
" 1. KALAVREZOU, The cup of San Marco and the "classica/" in Byzantium, in Studien zur mittel-
alterlicben K.unst, Boo-1 2 50. Festschrift/iir Fiorentine Miitherich zum 70. Geburtstag, Mii nchen 1985 ,
pp. l 1•7·74 .
" '' · c uTLER , Imagery and Ideology in Byzantine Art, Aldershot 1992, Study IX e Addenda
and ( orril',enda, pp. 2-3. Cfr. anche c. MANGO e M. MANGO, Cameos in Byzantium, in M . HENIG e
M. Yt<: KlcR S (a cura di), Cameos in Context. The Benjamin Zucker Lectures 1990 , Oxford 1993 , pp.
57-11'
" R. SCOTT, Malalas' view o/ the classica/ past, in G. CLARK (a cura di), Reading the Past in Late
Antiquity, Canberra 1990, pp. 147-64.
14
E. M. JEFFREYS, The Attitudes o/ Byzantine Chronic/ers towards Ancient History, in <<Byzan·
tion», XLIX (1979), pp. 199-238.
" Cfr., per esempio, GIOVANNI CINNAMO, 2. 7, in c. M. BRA ND, Deeds o/ fohn an d Manuel Com·
nenus, New York 1978, pp. 47-48. Cfr. anche P. MAGDALINO, The Empire o/ Manuel Komnenos,
Cambridge· New York 1993, p. 432.
16
c. MANGO, Discontinuity with the past, in M. MULLETT e R. scorr (a cura di), Byzantium and
the Classica/ Tradition. University o/ Birmingham Thirteenth Spring Symposium o/ Byzantine Studies
1979, Birmingham r98r, p. 54·
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 639
to che sarà oggetto del nostro interesse anche nelle pagine seguenti. Nel-
la miniatura che riproduce Mosè mentre riceve la legge sul monte Sinai
(fig. 8) la figura che personifica la montagna assomiglia a un gran nu-
mero di nudi maschili antichi visti da tergo. Ma, nella misura in cui era
necessario un modello per questa pastura, è assai probabile che sia sta-
to utilizzato un modello analogo alla statuetta in avorio di Ares risalen-
te ,dia tarda antichità ora conservata a Dumbarton Oaks (fig. 9). Nello
stesso dipinto il gesto di meraviglia di Mosè davanti alle mani di Dio
protese verso di lui richiama l'immagine antica di Silenzio, mentre l'ab-
bigliamento dei personaggi rappresentati è quello della statuaria roma-
no-imperiale piu che greco-antica. In particolare, quando una miniatu-
ra presenta due o piu caratteristiche dell'arte tardoantica possiamo ipo-
tizzare un legame di dipendenza di un'opera, o di un gruppo di opere,
da quel periodo. Ciò vale per un'altra miniatura del citato manoscritto
parigino, che raffigura un momento culminante nella vita di Davide, la
sua incoronazione (fig. 10). Qui, infatti, oltre alla presenza di figure vi-
ste da dietro simili ai soldati raffigurati nella stessa pastura nei volumi
romani del v e VI secolo, ad esempio nel Virgilio vaticano17 , c'è il fatto
che l'intera scena ripropone un uso tardoantico di elevazione alla dignità
regia; ossia l'elevazione sullo scudo, come nel caso dell'acclamazione a
imperatore di Giuliano da parte delle sue truppe a Parigi nel 361.
Ciò non significa che tutti i nostri motivi siano di invenzione tar-
doantica. Ma quello che ci interessa è piuttosto la loro ricorrenza in
un epoca cronologicamente piu prossima e culturalmente forse piu affine
ai Bizantini rispetto a epoche precedenti. L'elevazione sullo scudo è sta-
ta <lttribuita per la prima volta al costume germanico da Tacito"; benché,
per i Bizantini, Giuliano fosse l'emblema del paganesimo, la sua celebra-
zione di un'antica usanza romana -la processione annuale dell'immagi-
ne Jclla Madre degli dèi - durante una campagna in Mesopotamia" vie-
ne ripresa, a distanza di otto secoli, da un illustratore della cronaca di Gio-
vanni Scilitze, che raffigura, all'incirca nella stessa maniera, l'icona della
MaJrc di Dio elevata su un carro (fig. 1 I). L'ipotesi di esemplari tar-
doantichi rivisitati dagli artigiani bizantini, spesso a distanza di secoli, ac-
quista consistenza maggiore quando i media del modello e del suo deri-
vato coincidono, facendo cosi pensare sia a un nesso non riconosciuto tra
artigiani che lavorano lo stesso materiale, sia a un interesse per versioni
molto anteriori che traspare da commesse piu tarde. Cosi, tra gli avori del
11. WRIGIIT, The Vatican Vergi/. A Masterpieceo/Late Antique Art, Berkeley 1993, fig. p. 72.
TAc:!Tu, Historiae, 4.15.
AMMIANO MARCELLINO, 23·3·7·
Continuità e riusi
,\. c:UTLER, The Hand o/ the Master. Craftsmanship, Ivory, and Society in Byzantium (9th· I I th
Ctnl:mn), Princeton 1994, figg. 3·4·
lhid., figg. 6!·62.
~l. M ULLE'IT, Alexios Komnenos and imperia l renewa/, in P. MAGDAUNO (a cura di), New Con·
rta>::.''"'s tbc Rhythm o/ Imperia/ Renewal, Aldershot 1994, pp. 265·66.
"J·~ouJPIO, Degli edifici, 1.2.2.
Figllra 11 .
•• Il. !!unger, in MULLETT e scoTT (a cura di), Byzantium cit., pp. 40-41.
Per una lodevole eccezione cfr. A. KAZIIDAN, Il History o/Byzantine Literature, Athens 1999.
" Cfr. in proposito A. CUTLER, Reuse or use? Theoretica/ and practical attitudes toward obiects
in t!.c carly Middle Ages, in <<Settimane di Studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo>>,
XLVI !1998), II, pp. 1055-83.
" L ll!NnoRF (a cura di), Chronographia, Bonn r831, p. 354· La comprensione di molti com-
menti Ji Malala sull'architettura è stata notevolmente favorita dai lavori di A. Moffatt, di cui cfr.,
644 Continuità e riusi
tici, come per esempio i due edificati dagli Argonauti, sarebbero stati
convertiti in chiese cristiane; destino condiviso dalla loro visione di una
grande figura alata a Sosthenion rappresentata sotto forma di statua e
opportunamente trasformata da Costantino I in un'effigie dell'arcange-
lo Michele,... La datazione precoce di tali «conversioni» dipende in gran
parte dal senso di inevitabilità intrinseco nelle visioni retrospettive; ciò
nondimeno, invece di liquidare queste espressioni come aberrazioni te-
leologiche di uno storico dei primi secoli, è piu utile considerarle carat-
teristiche di un'intera cultura. Per esempio, Malala ritiene che il nome
di Ikonion (oggi Konya) derivi dal fatto di essere stata fondata da Per-
seo recante l'Eixwv, ossia l'immagine, della Gorgones A Bisanzio siri-
teneva che il corpo contorto della Gorgone tenesse lontani i dolori del
parto, e il suo «ritratto», col volto cinto da sette serpenti, compare sia
su un medaglione d'argento conservato a Houston sia su un disco di rame
smaltato (oggi al Louvre) recante l'iscrizione: «[Oh] grembo, scuro [e]
nero, come un serpente ti contorci, come un drago sibili)>" Ma occorre
cautela nell'attribuire un'unica funzione a immagini cui si riconosceva-
no grandi poteri: sul coperchio di un calamaio d'argento dorato risalen-
te al x secolo e oggi conservato a Padova (fig. 1 2) la Gorgone potrebbe
aver avuto la funzione di proteggere Leone, proprietario dell'oggetto,
dalle sue macerazioni di scrittore dalla vena inaridita!
La molteplicità delle possibili utilizzazioni personali di un motivo an-
tico trova un equivalente nella varietà di reazioni nei confronti dei mo-
numenti piu grandi, soprattutto templi e statuaria, che costituivano il
paesaggio urbano del cristiano. Infatti, mentre si sa di una statua mar-
morea di Afrodite a grandezza naturale mutilata, smembrata e gettata
in un pozzo ubicato sotto una basilica di Cartagine, per essere poi rico-
perta con un mosaico cristiand7 , un vescovo di Gaza decretò la legitti-
mità della riutilizzazione di marmi del Marneion per la pavimentazione
in particolare, A record o/ public buildings and monuments, in Studies in fohn Malalas, Sydney 1990,
pp. 87·109.
" DINDORF, Chronographia cit., pp. 78-79. Sull'intera questione cfr. ora G. PEERS, The Sosthe-
nion near Constantinople :fohn Ma/a las and ancient art, in << Byzantion>>, LXVIII (1998), pp. 11 o-20.
GREGORIO MAGNO, Epistole, 10.2, racconta che anche un prete possedeva un idolo (citato in s. SET-
ns, Archeologia in Calabria ,figure e temi, Roma 1987, p. 302).
11
DINDORF, Chronographia cit., p. 36; MOFFATI, A record cit., p. 104.
16
Houston: G. VIKAN, Art, Medicine, and Magie in Early Byzantium, in «Dumbarton Oaks Pa-
pers», XLIV (1984), pp. 77-78; Paris: H. c. EVANS e w. D. WIXOM (a cura di), The Glory o/ Byzan-
tium. Artand Culture o/ the Middle Byzantine Era A.D. B4;·r26r, catalogo della mostra, New York
1997, n. 114.
17
M. A. ALEXANDER, A. BEN ABED-BEN KIIADER e G. P. R. MÉTRAUX, The corpus of the mosaics oj
Tunisia: Carthage pro;ect, 1992-1994, in <<Dumbarton Oaks Papers>>, L (1996), p. 367.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 645
" 11. c;REGOIRE e M .·A. KUGENER (a cura di), Vie de Porphyre, évèquede Gaza, Paris 1930, cap.
76. r-c,,, Il . 5·8 .
" H. CORMACK, The classica/ tradition in the Byzantine provincia/ city the evidence o/Thessalo·
nil·.' ,,m/ 11phrodisias, in MULLEIT e scorr (a cura di), Byzantium ci t ., pp. 103 · 18. Fondamentali su
q11,·< 1c «conversioni» al cristianesimo: F. w. DEICI-IMANN, Friihchristliche Kirche in antiken Hei·
UfiÙIIIern, in <<]ahrbuch des Deutschen Archaologischen Instituts», LIV (1939) , pp. 105·39; J.·M.
Si' l 1_, l J(. La christianisation des sanctuaires pai'ens en Grèce, in u. JANTZEN (a cura di),
Neue Forschungen
in,rìcchi.,chcn Heiligtumem _Intemationalen Symposion in 0/ympia vom Io_ bis I 2 _ Oktober I 974 .. .,
Ti'thingen 19 76, pp. 310·20.
Fi gma r 2 .
Calamaio d'argento dorato con figure mitologiche.
646 Continuità e riusi
40
11. !IELLENKEMPER, Die Kirche im Tempel. Zeustempel und Paulusbasi/ika in Seleukeia am
Kalykadnos, in Orbis romanus christianusque:ab Diocletiani aetate usque ad Heraclium. Travaux sur
/'Antiquité tardive rassemblés autourdes recherches dc Noiil Duval, Paris 1995, pp. 191-203.
" G. DAGRON, Vie et miraclcs de sainte Thèc/e, in <<Subsidia hagiographica>>, LXII (1978), pp.
290·96.
" c. MANGO, The Conversion o/ the Parthenon into a Church: the Tiibingen Theosophy, in <<t.rhiov
n]ç XQlO'tlUVlXijç; 'AQxmoÀoyuniç 'EtaLQfiap>, XVIII, ser. 4 (1995), pp. 201-3.
"Antologia greca, 16.282.
44
A. CUTLER, Late Antique and Byzantine Ivory Carving, Aldershot 1998, Study IV, tavv. 51, 57·
" Cfr., per esempio, D. M. BRINKERHOFF, A Collection o/Sculpture in Classica/ and Early Chris-
tian llntioch, New York 1970; v KARAGEORGIIIS, in <<Bulletin de Correspondance Hellénique~.
1969, pp. 560-61; 1970, p. 291 (scultura nella <<Casa dei gladiatori>> a Kourion [Cipro)).
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 647
no indisturbati; perché qui non debbono essere gettati nel fuoco dentro
al crogiuolo che produce i piccoli cambiamenti necessari» 46 • Una colle-
zione certamente piu ampia, e ben nota perché esposta nei Bagni di Zeu-
sippo nei pressi dell'Ippodromo (a sua volta luogo di importanza pri-
maria per la scultura, come avremo modo di vedere), era quella di un uf-
ficiale dell'esercito di nome Lauso, che, precorrendo una pratica mo-
derna, la donò «alla nazione~> intorno all'anno 400. Di tale collezione
a\'l·ebbero fatto parte, si dice, l'Afrodite di Cnido di Prassitele, l'Era di
Samo di Lisippo e lo Zeus di Fidia. Circa un secolo dopo sono descrit-
te almeno un'ottantina di statue47 di questa collezione sopravvissuta for-
se sino al 713, anno cui risale l'ultima citazione conosciuta di questi ba-
gni ancora in attività. Chiaramente, il gusto colto e raffinato poteva tal-
volta salvare ciò che lo zelo religioso avrebbe altrimenti distrutto. Ma
pure il valore venale del bronzo era elevato e duraturo. Il metallo scol-
piLo fu una fonte notevole di approvvigionamento di materia prima per
le zecche della tarda antichità, dei primi secoli dell'Islam e, tra il 1204
e il 1261, della Costantinopoli latina411 •
11ntologia greca, 9.528. La trasformazione di statue di bronzo e d'argento in padelle per frig-
~n·· diventa un topos poetico: cfr. 9· 773 e 16.194. Sull'epigramma n. 528 cfr. il commento di c.
hl"<:o, I. 'attitude à l'égard des antiquités gréco-romaines, in A. GUILLOU e J. DURANO (a cura di), By-
Z<II:cc cl Ics images. Cycle de con/érences organisés au musée du Lo uv re par le Service culture/ du 5 oc-
tolm· au 7 decembre 1992, Paris 1994, p. 99·
"Questi epigrammi di Cristodoro di Copto compongono il libro II dell'Antologia greca. Sul-
la collezione e la relativa sistemazione cfr. R. STUPPERICII, Das Statuenprogramm in den Zeuxippos-
ncrwcn, in <dstanbuler Mitteilungen», XXXII (1982), pp. 210-35.
" Quando, nel 389/390, Teodosio I accoglie la proposta di distruggere i templi pagani avan-
zata dal vescovo di Alessandria, ordina che gli <<idoli» in essi contenuti siano fusi e il ricavato de-
\·ohuo ai poveri: cfr. DE BOOR (a cura di), Theophanis Chronographia cit., p. 71, Il. 7-16; c. MANGO
eu. v:oTT (a cura di) The Chronicle o/Theophanes the Con/essor, Oxford 1997, p. 109. Analoga-
n~t·!nc, quando nel654 il califfo omayyade Mu'awiya saccheggiò l'isola di Rodi portandosi via i re-
sti del Colosso, un mercante ebreo di Edessa li avrebbe caricati, secondo quanto riferisce Teofa-
nc. su 90 cammelli, ricevendone un congruo compenso in monete di bronzo: cfr. DE BOOR (a cura
di), 'f'hcophanis Chronographia ci t., p. 345, Il. 9-11. Per quanto riguarda infine le statue di Romo-
lo ,. Remo e di Elena di Troia, fatte fondere dai crociati nell'Ippodromo di Costantinopoli, cfr.
l.' l'AN lliETEN (a cura di), Nicetas Choniates, Historia, Berlin 1975, pp. 649-52.
648 Continuità e riusi
" Lo studio piu recente è quello di s. G. DASSETI', The antiquities of the Hippodrome at Con·
stantinople, in <<Dumbarton Oaks Papers», XLV (1991), pp. 89-96.
10
A. MUTIIESIUS, ByzantineSilk Weaving AD 400 to AD 1200, Wien 1997, n. M36 e tav. 22B.
11
A. GOLDSCIIMIDT e K. WEITZMANN, Die byzantinischen E/fenbeinsku/pturen des X. bis .'\111
Jahrhunderts, l. Die Kiisten, Berlin 1930, rist. 197•1. nn. 27, 67. Meno convincente l'interpreta·
zione dell'Ercole esausto come fonte per le immagini di Adamo afflitto dopo la cacciata dal Para·
diso Terrestre (ibid., nn. 79, 82, 90). Sembra invece preferibile l'osservazione di 11. MAGUIRE, The
depiction ofsorrow in Middle Byzantineart, in <<Dumbarton Oaks Papers», XXXI (1977), pp. 152·
So, che la posa di Adamo è comune nelle raffigurazioni bizantine dell'afflizione.
" Patria Constantinopoleos, Il, in T. PREGER, Scriptores originum Constantinopolitanum, Lcip·
zig 1907, p. 75· Secondo Costantino Rodio, le porte bronzee del senato, sulle quali erano raffigu·
rate una gigantomachia e una statua di Atena, provenivano anch'esse daii'Artemision: cfr. E. LE·
GRAND, Description des ceuvres d'art et de l' église des Saints-Apotres de Constantinople. Poème en vers
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 649
Mllil'"l""' par Constantin le Rhodien, in «Revue des Etudes Grecques>>, IX (1896), pp. 40-41. Su
un '"'wssivo, e vano, tentativo di Costanzo Il di portare via delle statue bronzee da Roma cfr. c.
MA\r,ll, 11ntique statuary and the By:zantine beholder, in «Dumbarton Oaks Papers», XVII (1963),
p. i·'-'
Crulcx Theodosianus, 15.1.14.
'' l'ltocoPio, La guerra persiana, 1.19-37·
1.·1'. FESTUGIÈRE (a cura di), Vie de Théodore de Sykeon, in <<Subsidia hagiographica»,
XI.\'! II, 1 (1970), p. 94,1. 35; p. 95,1. 26.
l. CIIMERON e J.IIERRIN (a cura di), Constantinople in the Early Eighth Century, Leiden 1984.
1 IIEKKER (a cura di), Georgius Cedrenus, I, Bonn 1838, p. 346. Tra i poteri maligni delle
ltatu~ c'era quello di suscitare il desidero sessuale nei loro proprietari: cfr. l'aneddoto della donna
ltnt at a Jalle sculture dell'Ippodromo, in L RYDÉN (a cura di), The Li/e o/ Andrew the Fool, Uppsala
1
9'!>. Il, p. 174,1l. 2491-94.
'' t t BELTING, Bi/d und Kult, eine Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, Miinchen
19'!'•, pp. 261-62.
65o Continuità e riusi
con lastre di marmo, di cui una conservata tutt'oggi (fig. 13) 59 Le altre,
trasportate in Inghilterra da cacciatori di antichità nei primi decenni dei
xrx secolo, comprendevano una scena tratta dall'Iliade che raffigura il
corpo di Ettore trascinato attorno alle mura di Troia (fig . 14). In que-
sta raffigurazione l'eroe o merico venne visto come un martire cristiano
e il luogo in cui ne veniva mostrato il supplizio assunse il nome di Por-
" Cfr. c. I'OSS, Ephcsus a/ter llntiquity :a Late Antiquc, Byzantinc an d Turkish City, Cambridge
l 979, p. I I 3 C fig. 36.
Figiii':J 1 'i Socrate e i Sapienti. Disegno al tratto del mosaico pavimentale sottostante la
cattedrale di Apamea (Turchia).
652 Continuità e riusi
che un ecclesiastico di una certa età offre all'imperatore Leone VI (886-9 I 2 d. C.) per ottenere un
favore: cfr. G. MORAVCSIK e R. J. 11. JENKtNS (a cura di), De administrando imperio, Washington D.C.
I967, p. 50.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 653
Figurot 16.
Seu c 11\cdici.
654 Continuità e riusi
dascalico del n secolo a. C., e alcune sue prescrizioni sono riprodotte nel
Dioscuride di Vienna). Per questo motivo, forse, alcune miniature han.
no poco o nulla a che spartire col testo. Un esempio famoso sono i Gi-
ganti (fig. 17), precursori, secondo la mitologia greca, degli abitanti
dell'Olimpo nel loro ruolo di signori dell'universo. La raffigurazione
nel fregio dell'ara di Pergamo, della loro battaglia titanica con le divi:
nità antropomorfe ne costituisce in qualche modo il lontano antenato,
e le numerose versioni intermedie, quale per esempio quella di un mo-
saico romano a Piazza Armerina 65 , indicano le varie tappe del cammino
percorso da questa raffigurazione per giungere a Bisanzio. Ma, ancora
una volta, le modalità di questo cammino rivestono un interesse mino-
re rispetto al fatto che, nel x secolo, un pittore greco, o magari il suo
committente, decidesse di aggiungere un nuovo anello a una catena che,
a questo punto, possiamo chiamare tranquillamente tradizione.
In questo caso, date le molteplici rassomiglianze, possiamo essere piut-
tosto sicuri delle connessioni ipotizzate. In altri casi, abbiamo ben pochi
motivi cui appigliarci. Cosi, la pastura da generale seduto con cui viene
" K. WEITZMANN, The suroival o/ mythological representations in early Christian and Byzantine
art and their impact on Christian iconography, in «Dumbarton Oaks Papem), XIV (1960) , fig. 8.
Figura 17.
I Giganti. Dai Theriaca di Nicandro.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 655
FigllLI 18.
Trio11Jo Ji Giosuè.
656 Continuità e riusi
Fig11r:1 • 9 .
Donne cl'l sraele danzano al cospetto di Saul e Davide.
~~o-v'i\ Et-r
X'H?'H_b.Cl
IrA.J.A..J>.À4..•
~N.MYPI
/(C 1 b
658 Continuità e riusi
Figura 20. •
me coevi. Sicché, gli spettatori delle corse dei carri trainati dai cavalli
nell ·Ippodromo di Costantinopoli, competizioni sportive che continua-
vanl) a disputarsi nel x secolo, erano inclini a considerarle un normale
fattl) della loro quotidianità piu che una pratica di antica data. Il che
non significa che non potessero prendersi gioco di tale occupazione. Il
frammento di uno scrigno ricoperto d'osso ora a Madrid (fig. 21) è ov-
viamente una tarda espressione di una tradizione visiva che risale, per-
lomeno, alle figure nere della pittura vascolare. Ma è altrettanto ovvio
che il proprietario di questo scrigno potesse considerare con divertita
ironia la raffigurazione del vecchio barbuto che tenta di condurre la sua
quaJriga e i cavalli capitombolati a causa della sua imperizia.
1\nche quando un'opera d'arte di particolare spicco di questo perio-
do, come per esempio lo scrigno Veroli ora a Londra, fornisce in alcune
sue placchette riproduzioni fedeli di episodi mitologici - nella fattispe-
cie il sacrificio di Ifigenia (fig. 22) -, altre immagini classiche possono
essere trattate in maniera non proprio reverenziale. Come avviene in ef-
fetti sul retro di questo scrigno, dove un putto fa la parodia del Ratto
di Europa (fig. 23) in una maniera assai piu diretta di quanto non av-
venga nel sottile gioco di queste creature con le figure di Bacco e Arian-
na in una pittura murale pompeiana75 Invece di pie rivisitazioni di pre-
cedenti antichi, faremmo meglio a considerarle una specie di rappre-
sentazione satirica, sulla falsariga della considerazione di un aspetto del
carattere di Socrate da parte di Alcibiade nel Simposio 76 • Ritenere tutti
i Bizantini devoti e pieni di deferenza nei confronti dei loro antenati si-
gnilica fornire un'interpretazione monolitica della loro civiltà. Come di-
ce 1\ristodemo in conclusione del citato dialogo platonico77 , la stessa per-
sona può saper comporre tragedie e commedie.
Decorati con fregi di avorio prezioso, oggetti come lo scrigno Vero-
li cr.mo confezionati per un pubblico sofisticato e edotto della mitolo-
gia greca, che riteneva probabilmente divertente cosi come gli ideologi
della Chiesa la ritenevano perniciosa. Agli occhi degli stranieri, il fatto
che Bisanzio avesse ereditato il sapere classico e i suoi frutti era segno
della sua superiorità culturale; superiorità che, dal canto suo, lo stato bi-
Zalllino tentava di far valere nei confronti di quelli che, nel x secolo,
continuava a chiamare barbari. Non è un fatto accidentale che nel972,
quando la principessa T eofano lasciò Bisanzio per andare sposa a Otto-
Per le raffigurazioni parodistiche nelle incisioni su avorio e altri aspetti della cultura bizan·
tina dr A. cun.ER, On Byzantinc boxcs, in «}ournal of the Walters Art Gallery», XLII-XLIII
(I9~4-85), pp. 32"47·
'" PI.ATONE, Simposio, 221e.
Ihid., 22 3d.
66o Continuità e riusi
Figura 2 r.
Corsa di carri trainati da cavalli. Placchetta d'osso.
Figura 22.
Figura 23.
Coppia di amanti e putti che scimmiottano il ratto di Europa. Particolare dello scrigno Veroli.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 661
'' 11. WENTZEI., Alte und altertumliche Kunstgewerbe der Kaiserin Theophano, in «Pantheon>>,
XXX lo<J72), pp. 3-18.
L'episodio non è riportato dagli storici bizantini. Per le fonti arabe cfr. M. CANARD, Les re·
flltzon, politiques entre Byzance et /es Arabes, in «Dumbarton Oaks Papers», XVIII (1964), p. 40,
nota 2~
81
W. BRUNET DE PRESLE e l. BEKKER (a cura di), Historia, Bonn r853, p. 9o,JJ. 5-8.
"c. MANGO, Byxantine Architecture, New York 1976, p. r8o.
"G. DAGRON, Psellos epigraphirte, in <<Harvard Ukrainian Studies», VII (r983), pp. 117·23.
" L. STERNBACH, Beitriige zur Kunstgeschichte, in «]ahreshefte der Òsterreichischen Archaolo-
gischen lnstituts in Wien», V, suppl. pp. 83-85. Per questo e qualche altro esempio cfr. H.
(1902),
SARADI, Aspects o/ the Classica/ Tradition in Byzantium, Toronto 1995, p. 3 r.
8
' G. A. RllALLES e M. POTLES, l:tlvra)'JIU Tciiv EJniiv ><ai iEQCiiv><avovwv, IJ, Athinai 1852, p. 545·
86
E. JEI'I'REYS (a cura di), Digenis Akritis. The Grottaferrata and Escorial Versions, Cambridge
1998, pp. 206- 7 , Il. 8s-9o.
Cuder I Bizantini davanti all'arte e all ' architettura greche 663
MAG UJRE, The cage o/ crosses: ancient and medicva/ scu/ptures on the Little Metropolis in
Ati·""'· in (-)(•llia~Ja OTrl/.lVIÌ!J'I n;ç Aaa>~avivaç JUWL'(!aç, Athinai 1994, pp. r69·72.
tazione convincente di queste aggiunte; essa però non spiega il dato pri-
mario dell'inserimento di queste lastre nei muri della chiesa. Analoghe
stele scolpite con iscrizioni sono state reperite in un numero assai limi-
tato di altri siti, tra cui le chiese di Nauplio e di Merbaka'8 All'estre-
mità orientale del muro settentrionale della Piccola Metropoli, sull'ester-
no, si trova il rilievo di un satira, e a Nauplio una scena di libagione su
un altare: raffigurazione di un sacrificio incruento che sarebbe stata col-
locata in questo luogo per analogia col sacrificio di Abramo e perché la
posizione della lastra è in rapporto con la prothesis, ossia lo spazio in-
terno nel quale si preparano gli elementi dell'eucarestia8' Una simile in-
terpretazione presuppone che, in epoca medievale, si fosse in grado di
comprendere il soggetto rappresentato dall'antico scalpellino. Inoltre,
poiché la sua collocazione in un punto secondario ha carattere di uni-
cità, la sua interpretazione in termini di simbolismo teologico rimane
indeterminata. Non può escludersi una pura coincidenza; in un'epoca
in cui i muri esterni delle chiese venivano sempre piu arricchiti con de-
corazioni in mattoni, una semplice esigenza di abbellimento dell'ester-
no potrebbe inoltre essere una parziale spiegazione. Ammesso che sia
cosi, è comunque strano che i costruttori abbiano scelto di incorporare
nelle loro strutture immagini che, come abbiamo visto, erano conside-
rate minacciose. Una volta ancora, non dobbiamo cercare un'unica spie-
gazione!IO Raramente, del resto, le motivazioni umane sono semplici e
una spiegazione in grado di combinarne diverse appare maggiormente
attendibile come approccio per un comportamento complesso, quale la
scelta di inserire immagini di tal genere in un edificio sacro o, come ve-
dremo in seguito, in un libro sacro. In tal modo, queste immagini mi-
nacciose risultano almeno parzialmente catturate e imbrigliate, piutto-
sto che libere di andarsene in giro indisturbate.
Questa neutralizzazione è completata, per un verso, dalla loro «rico-
dificazione» come arte: «l'estetica anestetizza>), com'è stato recente-
mente affermato". Ma questo è soltanto il primo passo di un processo di
familiarizzazione, di addomesticamento. Affinché perdano il loro carat·
tere, l'unico e l'alieno possono essere estirpati, com'è accaduto a una co-
88
G. IIADJl·MlNAGLOU, L' Eglise de la Dormition de la Vierge à Merbaka (Ha11ia Triada), Paris
1992, pp. 98-99 e tav. IX g-h.
89
11. SARADI, The use of ancient spolia in Byzantine monuments: the archaeological and literary
evidente, in «international]ournal of the Classica! Tradition», III (1997), pp. 418-19.
90
Come nella razionalizzazione tradizionale, queste immagini hanno funzione apotropaica.
" M. CAMILLE, The Gothic !do!: Ideology and lmage-Making in Medieval Art, Cambridge 1989,
pp. 78-81. Per un atteggiamento analogo nei confronti degli oggetti portati in Europa dalle Ame-
riche nel corso del XVI e XVII secolo cfr. s. GREENBLATI', Maroel/ous Possessions. Tbc Wonders ofthe
New World, Chicago 1991, p. 17.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 665
pia realizzata nel x secolo di due opere di Archimede, Sui corpi galleg-
gianti e Metodo dei teoremi meccanici, quando, a distanza di un paio di se-
coli, il testo scritto fu raschiato via e la pergamena riutilizzata per un le-
zionario92 Un secondo passo è la dimostrazione della sconfitta della mi-
naccia. Sconfitta già proclamata nel v secolo, quando il monaco Mosco
parla della distruzione di un tempio di Asclepio in Cilicia da parte della
«chiesa di Cristo», e aggiunge che Costantino il Grande ha abbattuto la
statua dello «svalutato Apollo» a Dafne di Siria per rimpiazzarla con un
santuario contenente le reliquie del martire Babila". Sul piano visivo,
questo soggiogamento è raffigurato come potere di un santo di abbatte-
re gli idoli; tematica che riecheggia, per esempio, nell'illustrazione an-
nessa alla vita di san Cornelio il Centurione nel cosiddetto menologio di
Basilio II, ora in Vaticano {fig. 25). Nell'xx secolo la raffigurazione degli
idoli sulle loro colonne - figure maschili sempre ignude e talvolta arma-
te come nella scultura classica; figure femminili in genere abbigliate che
brandiscono una palma o un'arma - è diventata un topos delle pitture de-
pur:tte, mediante il loro confinamento nelle pagine dei commentari dei
Sul testo originale cfr. J. L. IIEIBERG, Eine neue Archimedeshandschri/t, in <<Hermes>>, XLII
(19" 71, flfl · 235-303. Dovrebbe essere chiaro che io considero il ben noto costo della pergamena a
Bisanzio una spiegazione soltanto parziale di questo palinsesto .
.,. Cfr. A. ALEXAKIS, The Dialogue o/ the Monk and Recluse Moschos conceming the ho/y icons,
an c.lrlv iconophi/e text, in «Dumbarton Oaks Papers», LII (1998), p. 187.
Fipura 2) .
Figura 26.
Zeus e Dioniso; venerazione di Semele, Afrodite e Artemide.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 667
1 o. L'invenzione dell'ellenismo.
'' K WEITZMANN, Greek Mytho/ogy in By:r.antine Art, Princeton 1951, rist. 1984, pp. 74·76,
142-~l e [igg. 74-78, 164-65.
"· -~ FESTA (a cura di), Theodore Ducae Lascaris epistulae CCXVII, Firenze 1898, pp. 107-8.
I l. SARIIDI, The Ka//os o/ the By:r.antine city: the deve/opment o/ a rhetorica/ topos and bistori-
ca/ rcality, in <<Gesta», XXXIV, 1 (1995), pp. 37-56.
'" Per questa elegia su Atene cfr. s. G. MERCATI, in Eiçllvril''lv:Dr. A<iJI.Irpov, Athinai 1935, pp.
~2)-lì
668 Continuità e riusi
tropolita di Atene dal u82 al 1204, sembri diretta tanto contro Co-
stantinopoli, per aver fatto la parte del leone nell'appropriarsi delle ric-
chezze dell'impero, quanto contro le devastazioni del tempo. Infine, la
glorificazione dell• «ellenico» da parte di Teodoro era un atteggiamento
colto. Alla vigilia della conquista latina della capitale, scrittori come
Giorgio Tornicio e Niceforo Crisoberge avevano menato vanto di que-
sto passato in una maniera che rammenta Breisacher, il dotto ebreo del
Doctor Faustus di Thomas Mann, a tal punto affascinato dal barbarismo
dell'antichità da non rendersi conto della barbarie che lo circonda nel-
la Germania nazional-socialista. Questi autori non utilizzano il termine
"EllT]vEç nell'accezione di «pagani», come abbiamo visto per i primi se-
coli del cristianesimo, ma gli conferiscono una connotazione geografica
e, in definitiva, nazionalistica". La grande potenzialità di questo reco-
pero risulta implicitamente dall'osservazione di Teodoro Metochite
(morto nel 1332), secondo cui i Bizantini appartenevano alla stessa stir-
pe e parlavano la stessa lingua dei Greci dell' antichità100
Se il nazionalismo greco nacque quando le città italiane s'impadroni-
rono del commercio internazionale di Bisanzio e, di li a poco, di molti
suoi possedimenti territoriali, questa è soltanto un'ulteriore dimostrazio-
ne che le tradizioni le si inventa soprattutto in momenti di tensione cul-
turale101. L'aio di Teodoro II Lascaris, Niceforo Blemmida, aveva perlu-
strato Tessalonica, Ochrida e i monasteri dell'Epico, della Tessaglia e del
Monte Athos alla ricerca di libri antichP 0z. La capacità del temps retrouvé
di rinvigorire il presente non andò perduta nel suo discepolo, che, per
esempio, riportò in auge un simbolo antico di almeno dieci secoli quale
l'aquila bicipite!O}, l'uccello che poteva ora guardare a est e a ovest i pos-
sedimenti perduti dell'impero. E, sebbene sia eccessivo voler vedere tut-
te le utilizzazioni successive degli antichi motivi con la lente del nazio-
"JEFFREYS, The Attitudes ci t., pp. 237-38. Per le implicazioni politiche di questa terminolo-
gia cfr. H.-G. BECK, Reichsidee und nationa/e Po/itik im spiitbyzantischen Staat, in «Byzantinische
Zeitschrift», LIII (196o), pp. 86-94. 1. SEVCENKO, The Pa/aeo/ogan Renaissance, in w. T. TREAD·
GOLD, Renaissances be/ore the Renaissance. Cultura/ Reviva/s o/ Late Antiquity and the Midd/e Ages,
Stanford 1984, p. 205, nota t6, cita un'occorrenza dell'espressione <<popolo ellenico» (per indica·
re i Greci di Bisanzio) di poco posteriore al932. Va osservato che la titolazione imperiale non ven·
ne cambiata in tal senso: Manuele II e sua moglie Elena sono ancora acclamati, all'incoronazione
del I 39I, ~aoiÀE1iç e Aùyoùom twv 'PwJ!alwv. Cfr. PSEUDO·KODINOS, Traité des o/fices, a cura di].
Verpeaux, Paris I966, p. 357·
100
c. MULLER (a cura di), Theodori Metochitae miscellanea phi/osophica et historica, Leipzig I 8zt,
Amsterdam I966', p. 595·
101
HOBSBAWM e RANGER, The /nvention cit.
102
A. HEISENBERG (a cura di), Curriculum vitae et carmina, Leipzig I896, p. 39·
10
' Per un esempio risalente all'epoca dell'occupazione bizantina della Bulgaria cfr. EVANS e
WIXOM (a cura di), The G/ory cit., n. 2208.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 669
'"' :-.lonostante nel titolo del suo citato saggio compaia «Renaissance»,lo stesso Sevcenko pre-
fni,rc il termine revival, che precisa di utilizzare «in maniera neutra, per significare una generale
Ìlltelhilicazione dell'attività culturale» (p. 145).
"" lbid., pp. 147·48.
""Ora a San Pietroburgo. Cfr. A. CUTLER, TheAristocratic Psalters in Byzantium, Paris 1984,
p 1·1 l'fig. 153·
'"'l! n particolare analogo figura in un'icona dell'Annunciazione risalente al XIV secolo e ora
con,nvata a Mosca: cfr. A. CUTLER e J. w. NESBITT, L'arte bizantina e il suo pubblico, Torino 1986,
ll.lif\.p.}41.
"" A. KARAIIAN, The Palaeologan iconography o/ the Chora church and its relation to Greek anti-
lJIIll)', in «Konsthistorisk Tidskrift», LXVI (1997), pp. 89-95.
Continuità e riusi
Figure 27-28.
Davide salmista.
Cutler I Bizantini davanti all'arte e all'architettura greche 671
'" Sui Primi Sette Passi : P. UNDERWOOD, The Kariye Diami, New York 1966, Il, tav . 104 . Cfr.
anche· J. I.AFUNTAINE·DOSOGNE, L' iconographie de/' En/ance de la Vie~e dans l'Empire by;:anlin el en
O<"cidcfll , Bruxelles 1992 1, pp. 122-24 e fig. 70; sul sacrificio cruento di animali: UNDERWOOD, The
Kariv<· Diumi cit., Il, tav. 233 .
"' Donde i nomi dati alle statue ubicate nei Bagni di Zeusippo (STUPPERICII, Das Statuenpro-
gwnm ci t.) e all'Ippodromo (VAN DIETEN (a cura di), Nicetas Choniales cit. , pp. 648-53).
111
WEITZMANN, Greek Mythology ci t., figg. I I2-IJ.
112
m., The survival cit., figg. 5·6.
"' MANUELE CRISOLARA, Epistole, I, in PG, CLVI, coli. 45 sgg. Su questo confronto, H. HOF-
MEYER, Zur Synkrisis des Manuel Chrysoloras, einer Vergleich zwischen Rom und Konstantinope/, in
<<Clio>>, LXII (I98o), pp. 525-34.
114
F. MASAI, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris I956.
J\IAURO ZONTA
Purtroppo, questo debito nei confronti dei Greci, anche per ragioni
ideologiche, non è stato riconosciuto facilmente neppure dalla storio-
grafia moderna. Di rado tale fatto emerge dagli studi dedicati all'esame
dei rapporti tra cultura ebraica e cultura greca, in specie per quanto ri-
guarda il periodo piu antico'; e comunque nessuno di questi studi, an-
che quando abbia sviscerato un singolo aspetto di tali rapporti, ha for-
nito un quadro realmente complessivo ed esauriente della questione 2
Pur senza pretendere di condurre un esame globale ed esaustivo di un
fenomeno cosi ampio e complesso, in questo saggio si cercherà di enu-
cleare alcuni dati di portata generale e di suggerire un'interpretazione
dei fatti storico-culturali che meglio di altri potrebbero contribuire a
chiarire almeno le linee principali dell'uso della cultura greca presso gli
Ebrei, dall'età ellenistica sino alla fine del Medioevo.
1
Si vedano in particolare, in Italia, gli scritti di Arnaldo Momigliano, raccolti in A. MOMI·
GLIANO, Saggezza straniera. L'ellenismo e le altre culture, Torino r98o, e ID., Pagine ebraiche, Torino
1987 (in specie le pp. 13-31). Per tutta la questione dei rapporti tra giudaismo e grecità in epoca
antica rimandiamo comunque al saggio di L. TROIANI, Gli ebrei, in questo volume, e alla bibliogra-
fia ivi segnalata.
2
Per quanto concerne il periodo talmudico cfr. però l'ottima sintesi fornita da G. STEMBER·
GER, Il Giud<Jismo classico. Cultura e storia del tempo rabbinico (d<Jl7o al ro4o d. C), Roma 1991,
pp. 225·43·
> Tra i primi riferimenti greci agli Ebrei in quanto popolazione a sé stante e alla Palestina co-
me «Giudea>> sembrano esservi quello del peripatetico Clearco di Soli (320 a. C. circa), riportato
in GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giud<Jiche, 1.176-83, e quello di Teofrasto (fine del IV secolo a. C.),
contenuto nel suo trattato Sulla pietà citato in PORFIRJO, Sull'astinenza, 2.26: cfr. al riguardo MO·
MIGLIANO, Saggezza ci t., pp. 78-100. In generale cfr. la raccolta di testimonianze di M. STERN, Greek
and Latin Authors an Jews and Judaism, 3 voli., Jerusalem 1974-84.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 675
7
Cfr. al riguardo le testimonianze raccolte in M. ZONTA, La filosofia antica nel Medioevo ebrai-
co, Brescia 1996, pp. 74·76.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 677
ne degli ambienti piu rigoristi si era manifestata con la rivolta dei Mac-
cabei, guidata dagli esponenti della famiglia degli Asmonei, che avreb-
be condotto all'instaurazione di una forma piu rigoristica di ebraismo
e alla fondazione, dopo il 135 a. C., di uno stato autonomo ebraico in
Palestina e nelle aree circonvicine. Ma anche questa reazione naziona-
listica e religiosa non poteva prescindere dali' assimilazione di modelli
culturali ellenistici: non solo i sovrani della dinastia asmonea si pre-
sentano spesso nelle vesti di tipici regoli ellenistici, ma persino i testi
che si ricollegano in qualche modo alla celebrazione della loro vittoria
si rivelano impregnati di elementi tratti dal pensiero greco. Tale è il ca-
so, tra l'altro, del IV libro dei Maccabei, databile forse alla fine del I se-
colo a. C., che, reinterpretando vicende già narrate nel II libro dei Mac-
cabei, fa riferimento a modelli etico-culturali propri dello stoicismo (la
resistenza alle sofferenze ingiustamente inflitte, il dominio sulle pas-
sioni), impiegati però per difendere aspetti della rivolta ebraica alla gre-
cizzazione seleucidica 11 •
11
L'opera risalirebbe alla fine del 1 secolo d. C., e si ricollegherebbe alla Seconda Sofistica:
cfr. A. DUPONT·SOMMER (a cura di), Le Quatrième livre des Machabées, Paris 1939.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 679
11
Per gli scritti esegetici di Filone si veda la traduzione italiana pubblicata in FILONE m AI.ES·
SA \I>IUA, Tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia, a cura di R. Radice, Milano 1994.
68o Continuità e riusi
11 Cfr. B. CIJIESA, Dawud ai-Muqammi~ e la sua opera, in «lfenoch», XVIII (1996), pp. 1}2·37·
" Per una presentazione del pensiero di Filone nei suoi rapporti con la filosofia greca cfr. r..
BREIIIER, Les idées phi/osophiques et religieuses de Philon d'A/exandrie, Paris 1925; H. A. WOLFSON,
Phi/o. Foundations o/ Re/igious Philosophy in Judaism, Christianity and Is!.am, 2 voli., Cambridge
1947·48. Su tutta la questione dell'interpretazione dell'ebraismo come filosofia cfr. TROJANI, Gli
ebrei cit.
" ID., Commento storico al 'Contro Apione' di Giuseppe, Pisa 1977.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 681
anzi accostata alle piu venerande civiltà del Vicino Oriente (l'egiziana
e l'assiro-babilonese). Questo suo intento si palesa piu apertamente nel-
le Antichità giudaiche, dove, in venti libri, Giuseppe scrive la storia del
popolo ebraico dalla Creazione sino al 66 d. C. Qui, il modello non è
certo un Tucidide o un Polibio; semmai, l'operazione compiuta da Giu-
seppe va accostata a quella di un Manetone e di un Beroso, che aveva-
no scritto nel m secolo a. C. la storia degli Egizi e dei Babilonesi in lin-
gua greca si, ma secondo metodi tutt'altro che tucididei, e per lo piu ser-
vendosi di fonti, spesso inaffidabili, della tradizione sacerdotale locale.
Si tratta, insomma, non di un'opera di storiografia razionale ma di una
storia sacra, dove i dati storici (che coincidono sostanzialmente con quel-
li offerti dalla tradizione biblica) vengono piegati a esigenze ideologiche
di carattere apologetico nazionale e religioso, secondo un modello ri-
corrente già nei libri «storici» della Bibbia' 6 • Insomma, con Flavio Giu-
seppe la cultura greca, piu che essere assimilata nei suoi aspetti sostan-
ziali, viene impiegata come strumento per difendere gelosamente la tra-
dizione ebraica.
Non del tutto diverso è l'atteggiamento di fondo dei rabbini, eredi
dei farisei, che riorganizzano il giudaismo palestinese e mesopotamico
dopo il fallimento delle rivolte antiromane dei secoli 1-11 d. C. La di-
struzione del tempio di Gerusalemme, che coinvolse anche l'Egitto (do-
ve il tempio di Leontopoli venne chiuso nel 73 d. C.), non comportò,
almeno nell'immediato, la fine di ogni autonomia dell't-6-voç ebraico. In
Mcsopotamia, dove sopravvivevano numerosi i discendenti degli Ebrei
colà esiliati da Nabucodonosor, il discendente dell'antica dinastia davi-
dica, designato con il titolo di «esilarca» (in ebraico, ro 'sh ha-galut), con-
tinLwva a conservare il ruolo di guida anche politica degli Ebrei «babi-
lonesi», e li rappresentava di fronte all'autorità locale (i sovrani arsaci-
di c, piu tardi, sasanidi). In Palestina si impose, nel corso del II secolo
d. C., l'autorità del patriarca (nassi), ossia del capo di una delle scuole
giuridiche della setta farisaica, la Bet-Hillel, che presiedeva un tribuna-
le rabbinico (la bet-din) con giurisdizione su tutto quanto concerneva la
vita religiosa e sociale del popolo ebraico palestinese. Grazie all'azione
dei rabbini, il giudaismo andò cosi, dopo il 70, acquisendo le caratteri-
stiche che ancor oggi lo contraddistinguono: quelle non di una «filoso-
fia» deritualizzata e aperta al proselitismo, come era stata presentata ai
Greci dagli Ebrei egiziani e della diaspora, bensi quelle di una religione
da un lato nazionale, ossia connessa all'appartenenza a una determina-
17
M. ZONTA, Religione e filosofia nell'ebraismo medievale: un tenllltivo di panoramica storica, in
«Discipline filosofiche», IX (1999), pp. 90-92.
18
Cfr. Mishnah, trattato Sanhedrin, X, r.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 683
Lo stesso metodo è applicato nell'esegesi del teologo ebreo del x secolo Saadia Gaon: cfr.
al proposito Il. CIIIESA, Creazione e caduta dell'uomo nell'esegesi giudeo-araba medievale, Brescia
l9k~, p. 185 e nota 9-
"' «Chi legge i si/re Hamiram [sci/. i libri di Omero; ma la lezione è incerta] li legga come una
leu~r"" CJ'almud di Gerusalemme, trattato Sanhedrin, X, 1).
684 Continuità e riusi
del Talmud sembrano aver ripreso molto, se non da Omero stesso, al-
meno dai metodi e dagli schemi della critica omerica dei filologi ales-
sandrini, che potrebbe essere servita da modello per la costruzione del
diritto ebraico, fondato sull'interpretazione del testo biblico. In effet-
ti, da una parte la stessa costituzione di un «canone» biblico, ossia di
un insieme di testi ufficialmente riconosciuti come facenti parte della
Bibbia ebraica, per quanto avvolta nella leggenda (che vorrebbe collo-
carla nel 90 a Yavne in Palestina), sembra imitare quanto era accaduto
con la costituzione del canone omerico: come infatti con quest'ultimo
si erano divise in ventiquattro libri tanto l'Iliade quanto l' Odissea, cosi
in ventiquattro libri venne diviso il textus receptus della Bibbia ebraica.
Allo stesso modo, come la critica omerica aveva stabilito la regola di
«"0~-tfJQOV è!; '0~-tftQOU oacpEvt~ELv», <<spiegare Omero con Omero», iso-
lando completamente la spiegazione dei poemi omerici dal loro natura-
le contesto storico e letterario e presentandoli come un unicum, cosi la
critica biblica rabbinica tradizionale mirerà a spiegare ogni passo della
Bibbia con altri passi della Bibbia stessa, eliminando qualsiasi riferi-
mento a notizie desunte da altre fonti, e in particolare alla letteratura
dei cosiddetti «apocrifi», esclusi dal canone e pertanto indegni di con-
siderazione. Ma le regole ermeneutiche dei filologi alessandrini potreb-
bero aver esercitato un'influenza ancora piu ampia sul diritto ebraico:
alcune di esse sembrano avere senz'altro ispirato le analoghe regole uti-
lizzate dai rabbini per l'interpretazione in chiave giuridica della Bib-
bia21.
Infine, non poche sembrano essere le tracce lasciate dalla filosofia
greca nella letteratura rabbinica di epoca talmudica, anche se non tutte
sono chiaramente e univocamente interpretabili come tali 22 .
Certo, nel Talmud, secondo l'interpretazione tradizionale, si viete-
rebbe ai giovani Ebrei di studiare la filosofia prima dei venticinque an-
ni2); in realtà, i compilatori stessi dell'opera rivelano, sia pure en passant,
di avere avuto una qualche conoscenza delle dottrine delle principali
scuole filosofiche della tarda antichità. L'unico filosofo greco esplicita-
mente menzionato nel Talmud sarebbe il cinico Enomao di Gadara (n
secolo d. C.), non a caso originario di una città delta Transgiordania ma
geograficamente compresa nella« terra d'Israele». E probabilmente a lui
21
Per tutti questi esempi cfr. STEMIJERGER, Il Giudaismo ci t., pp. r62-63 e 240-43.
22
Cfr., tra gli altri, H. A. L. FISCHEL, Rabbini c Literature and Greco-Roman Philosophy. A Study
o/ Epicurea and Rhetorica in Early Midrashic Writings, Lei d e n r 97 3, dove si individuano allusioni
critiche all'epicureismo e l'uso di argomentazioni stoiche, specialmente nei passi del Midrash ascrit·
ti dalla tradizione rabbinica alle figure di Ben Zoma (rro d. C. circa) e Ben 'Azzai.
" Il passo addotto a base di questa interpretazione è Talmud babilonese, trattato Sotah, 49a.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 685
" Si vedano Talmud babilonese, trattato l:fagiga, I 5b; Genesi Rabbah, 65. I; Esodo Rabbah,
lJ.i
'· 'CIIECIITER (a cura di), Avot de-Rabbi Natan, Wien I 887, p. 26.
Midrash Leqab Tov a Genesi 4.8; Targum Neofiti I a Genesi 4.8.
Cfr. n•ICURO, Sentenze principali, 2.
Talmud babilonese, trattato l:fagiga, I4b.
686 Continuità e riusi
" La leggenda del martirio di rabbi 'Aqivà si legge tra l'altro in Talmud di Gerusalemme, trai·
tato Berakot, IX, 1· Per un simile racconto del martirio di un filosofo greco cfr. per esempio la vi·
ta di Anassarco in DIOGENE LAERZIO, 9.10. Per l'identificazione farisei = stoici si veda ora A. CA·
TASTINI, Stoici ed epicurei in Flavio Giuseppe, Ant. X 266-2BI, in «Studi classici e orientali», XLVI
(1997), pp. 495·514.
" G. VELTRI, On the in/luence o/ 'Greek wisdom' theoretical and empirica! sciences in rabbinic
Judaism, in <<]ewish Studies Quarterly», V (1998), pp. 300·17.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 687
La fine della civiltà ellenistica nei paesi del Vicino Oriente, defini-
tinlmente sancita dall'invasione araba del634, pose fine all'esistenza di
rapporti diretti tra la cultura ebraica di questi paesi e quella greca: la
parte culturalmente piu attiva e influente degli Ebrei viveva ora sotto
il dominio islamico; e proprio l'Islam era diventato il maggiore interlo-
cutore e rivale del giudaismo, al posto della Grecia e di Roma, al punto
che si è potuto parlare, per il Medioevo, di una «simbiosi» arabo-ebrai-
ca realizzatasi in tutta l'area del bacino del Mediterraneon.
Tuttavia, l'islamizzazione, o almeno l'arabizzazione linguistica e cul-
turale di Palestina, Egitto e Mesopotamia non comportò affatto la com-
pleta cancellazione dell'eredità lasciata dall'ellenismo. Al contrario, gli
Arabi, prima in modo occulto, e poi piu palesemente, ripresero diversi
aspetti della cultura greca, volgendoli però ad altri fini, e servendosene
proprio come strumenti per meglio difendere la loro tradizione cultura-
le- non diversamente da come avevano fatto i rabbini del Talmud. In
tal senso andrebbe infatti intesa, secondo Dimitri Gutas}\ anche l'ope-
ra di traduzione e di reimpiego dei testi e delle dottrine della filosofia e
della scienza greca fatta dagli Arabi dopo il 750-Soo, specialmente a Ba-
ghdad: in questo periodo e in questo ambiente Aristotele, Platone, Ga-
leno, Tolomeo e altri autori greci vennero tradotti in arabo forse con
l'intento di contrapporre la loro grecità <<pagana» alla nuova grecità cri-
stiana dell'impero bizantino, e di servirsene come strumento per raffor-
zare la nuova cultura arabo-islamica e imporre la sua egemonia sulle al-
tre culture del Vicino Oriente, che gli Arabi intendevano assorbire e
porre sotto la propria egida. Nasceva cosi non solo la nuova filosofia ara-
ba, la falsa/a, che si presentava - grazie alla costruzione e diffusione di
una leggenda di translatio studii da Alessandria a Baghdad - proprio co-
mc l'crede diretta della filosofia antica, ma anche una teologia raziona-
le islamica, il kalam, che impiegava metodi e dottrine del pensiero anti-
co, c specialmente della logica e della metafisica greca, per difendere i
principi dell'Islam. Nel caso del kalam, però, la via attraverso cui si era
avuta la ricezione di questi aspetti della cultura classica era rappresen-
tata proprio dalla teologia patristica di lingua greca, e in particolare da
Si veda al riguardo l'opera di s. o. GOITEIN, Jews and Arabs. Their Contacts Through the Ages,
t'lcw York 1974 (trad. it. Roma 1980).
' " Il. WTAS, Greek Thought, Arabic Culture, London · New York 1998.
688 Continuità e riusi
" P.,r la conoscenza di questi scritti galenici nella letteratura giudeo-araba ed ebraica medie-
vale dr 11.1. ZONTA, Un interprete ebreo della filosofia di Galeno, Torino 1995.
i<_ "Cfr. M. MANSOOR (a cura di), Bahya ben Joseph ibn Pakuda, The Book o/Direction to the Du-
,;e, f!j the Heart, London 1973, pp. 17-18.
" Cfr. D. FLUSSER (a cura di), The ]osippon, 2 voli., Jerusalem 1978-So.
690 Continuità e riusi
Per questo bisogna che, quando il polo nord raggiunge le novanta parti [sci!. il cir.
colo polare] e fino a che arriva allo zenith, la rotazione del sole, in quel clima, sia
diversa da quella che si ha nei climi dell'ecumene. Infatti, quando il sole è nell'emi-
sfero boreale, appare sempre al di sopra di quel clima, mentre quando è nell'emisfe.
ro australe è sempre nascosto al di sotto, sicché l'anno è là di un solo giorno: sei me-
si di luce e sei mesi di tenebra''.
Sarà però solo con I~Q.aq lsraeli, nato in Egitto e vissuto in Tunisia
tra l'85o e il950, che la filosofia, disciplina «greca» per definizione, tro-
verà adepti anche nel mondo ebraico, e non come semplice <(ancella»
della teologia e dell'apologetica. Nasce infatti con lui il cosiddetto «neo-
platonismo ebraico»: un pensiero espresso in lingua araba, da parte di
autori di religione e cultura ebraica, e fondato su quell'adattamento del
neoplatonismo plotiniano e procliano che era stato elaborato a Baghdad
nel IX secolo nella cerchia del filosofo arabo musulmano al-Kindi. Le
fonti di questo neoplatonismo ebraico erano infatti rappresentate da te-
sti redatti proprio in questo ambiente, quali: la Teologia di Aristotele,
una parafrasi rielaborata delle Enneadi IV, V e VI di Platino, nella qua-
le si identificava senz'altro l'Uno plotiniano con il Dio rivelato comune
a cristianesimo, giudaismo e Islam, ponendo cosi le basi per un'inter-
pretazione in chiave filosofica di tutte le strutture dottrinali di queste
tre religioni; il Trattato sul bene puro, noto nel Medioevo come Liberde
causis, che rappresenta una parafrasi espansa di alcune delle proposizio-
ni degli Elementi di teologia di Proclo; infine- se è corretto inserire l'ope-
ra in questo contesto - il Libro delle cinque sostanze dello pseudo-Em-
pedocle, un testo apocrifo che fonde alcune dottrine realmente attri-
buibili al filosofo agrigentino (quale la dialettica di q:JIÀta e vdxoç,
«amore» e <wdio», come forza motrice del mondo) ad altre in realtà di
origine gnostica e neoplatonica: tale appare, per esempio, la dottrina per
cui alle origini di tutto stia una pentade (volontà divina, materia, intel-
letto, anima e natura) 0 . Il contributo ebraico alla diffusione di queste
tre opere, che funsero da veicoli della cultura filosofica greca tardoan·
tica nel Medioevo arabo ed europeo, fu probabilmente fondamentale: il
testo originale della Teologia venne rielaborato in una «versione lunga»,
che potrebbe essere stata redatta proprio negli ambienti giudeo-arabi
egiziani dei secoli x-xn e che venne volta in latino nel Cinquecento a
partire da una traduzione ebraica'\ il De causis ebbe ben quattro tradu-
4
' w. BACilER, Il. e J. (a cura di), Version arabe du Livre de fob de R. Saadia ben Io·
DERENBOURG
sefai-Fayyoumi, Paris 1899, p. (testo arabo).
112
" Per la bibliografia relativa a queste opere cfr. quella segnalata nel saggio M. ZONTA, I desti·
ni della scienza e della filosofia greca nel Medioevo, in questo volume.
44
r. FENTON, The Arabic and Hebrew versions o/ the Theology of Aristotle, in J. KRAYE, w. f.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 693
RYA' e c. D. scHMI'IT (a cura di), Pseudo-Aristotle in the Middle Ages. The Theology and Other Texts,
L""'"ll I<J86, pp. 241·64.
" Il testo è edito in D. KAUFMANN, Studien iiberSalomon Ibn Gabiro/, Budapest 1899, pp. 1-63.
'· M. STERN, Ibn Hasday's Ncop/atonist_ A Neop/atonic treatise and its inf/uence on Isaac Israe-
li «~:,l t be !onger version o/ the Theo/ogy o/ Aristotle, in «Oriens>>, XIII-XIV (196!), pp. 58-120.
" Cfr s. FIUED (a cura di), Das Buch iiber die Elemente von Isaac b Sa/omon Israeli, Frank-
fun am Main 1900, testo ebraico, p. 5, 11. 2-4; ARISTOTELE, Sul cielo e sul mondo, 302a15-18 (do·
Ve ,j afferma, in realtà, che l' «elemento>> è ciò in cui gli altri corpi si lasciano dividere, e che è es-
IO 'lc>Sn indivisibile). Per i contenuti dell'opera cfr. J. GUTTMANN, Die phi/osophische Lehrm des
lsau,· lsrac!i, Miinster 1911, pp. 56-68.
"Cfr (a cura di), The Improvement of the Mora/ Qua/ities, New York 1903, pp. 8o-
s. s. WISE
8I
de AVICEllRON, Fons vitae, 3.27; cfr. J. scHLANGER, La phi/osophie de Sa/omon Ibn Gabiro/_ Etu-
d un néoplatonisme, Leiden 1968, pp. 183-84.
694 Continuità e riusi
ti greche si sarà fatto ancora piu stretto, e i filosofi ebrei andalusi arri-
veranno a citare alla lettera, sempre attraverso le versioni arabe, nume-
rosi passi di autori antichi: tale è il caso di Mosheh lbn 'Ezra (1085-
I I35 circa), che farcisce il suo zibaldone filosofico, il Libro del giardino,
di riferimenti diretti a Platone (di cui cita passi del Timeo e delle Leg-
gi), ad Aristotele (Sul cielo e sul mondo, Sulle parti degli animali), aGa-
leno, nonché a scritti apocrifi della tradizione neopitagorica e neopla-
tonica, quali i Detti aurei dello pseudo-Pitagora, lo scritto già citato dello
pseudo-Empedocle, e il De causis 50 Talora, proprio grazie alle testimo-
nianze di qualcuno di questi autori siamo in grado, oggi, di tentare una
ricostruzione di testi greci il cui originale non è piu disponibile: si pen-
si, tra l'altro, alle preziose citazioni di opere perdute di Galeno, quali i
già menzionati scritti etici e il Compendio della Repubblica di Platone,
contenute nella Medicina delle anime di Yosef ben Yehudah Ibn 'Aqnin,
un filosofo ebreo marocchino attivo intorno al I 200H.
" Sulle fonti antiche del Libro del giardino cfr. M. ZONTA, Linee del pensiero islamico nella sto·
ria della filosofia ebraica medievale, in <<Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli•,
LVII (1997l. pp. I 14-15.
" A. s. IIALKIN, Classica/ and Arabic materia! in Ibn Aknin's "Hygiene of the Souf', in «Proceed·
ings of the American Academy for Jewish Research>>, XIV (1944), pp. 25-147; ZONTA, Un inter-
prete ci t., pp. 79-Bo.
" Sulla fortuna di Aristotele nella cultura ebraica medievale cfr. M. ZONTA, La filosofia antica
nel Medioevo ebraico, Brescia 1996; G. TAMANI e M. ZONTA, Aristoteles Hebraicus, Venezia 1997·
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 695
" Con Opera della creazione e Opera del carro la tradizione rabbinica intende rispettivamente
i m>Jtcnmi dei testi di Genesi I da una parte, di Ezechiele I e di alcuni passi di Isaia e Zaccaria
dall'altra,
" C)uesto passo riprende liberamente ARISTOTELE, Sul cielo e sul mondo, 291b24-28.
-;, MUNK (a cura di), Le Guide des Egarés. Traité de théologie et de philosophie par Moi"se ben
1-faimoun dit Maimonide, l, Paris I856, p. I6r, Il. 7·I9 (testo arabo).
1 ''' Si tratta di due scritti pseudoaristotelici di carattere neoplatonico, il primo dei quali è una
696 Continuità e riusi
attribuite ad Aristotele, ma che non sono in realtà sue I libri di Aristotele sono
come le radici e i fondamenti di tutte queste opere scientifiche, e non si compren-
dono ... se non con i loro commenti Le opere di altri autori, come quelle di Em-
pedocle, di Pitagora, di Ermes e di Porfirio, contengono tutte una filosofia anti-
quata: non è dunque il caso di perderei tempo. Le parole di Platone, maestro di Ari-
stotele, sono, nei suoi libri, espresse in termini difficili e metaforici, e non servono,
perché bastano quelle di Aristotele, e non abbiamo bisogno di affaticarci sui libri
dei suoi predecessori, perché l'intelletto di Aristotele è il grado supremo dell'intel-
letto umano, se si eccettuano coloro che hanno ricevuto l'ispirazione divina ... "
rielaborazione del trattato Sul mondo: cfr. al riguardo F. E. PETERs, Aristoteles Arabus, Leiden 1968,
pp. 61-62 e 65-66.
7
' La traduzione è ripresa da ZONTA, La filosofia ci t., pp. 139-40.
•• La traduzione è ripresa da ID., Linee cit., p. 472.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 697
lbid., p. 474·
'·' Cfr. manoscritto di Oxford, Christ Church College Library, n. 201, f. 37V. Masfa'im è un
arahi>mo, dall'arabo maffii'iin, «Camminatori&.
61
ZONTA, La filosofia cit., p. 247·
" Cfr. G. TAMANI, Un epistof4rio immaginario: le /et~ ebraiche di Aristotele e di Alessandro, in
R. H. FJ:><AZZI e A. VALvo (a cura di), La diffusione dell'eredità c/4ssica nell'età tarrloantica e medieva·
le.II «Romanzo di Alessandro» e altri scritti, Alessandria 1998, p. 306. Per la leggenda dell'Arista·
tele ebreo cfr. N. SAMTER, Der ']ude' Aristoteles, in «Monatschrift fiir Geschichte und Wissen·
schaft cles Judenthums&, XLV (1901), pp. 453·59·
698 Continuità e riusi
61
I testi di queste «preghiere» sono raccolti nel manoscritto di Parma, Biblioteca Palatina,
parmense 1753.
"' GUTAS, Greek Thought cit., pp. 34-45.
" Cfr. ZONTA, La filosofia ci t., pp. 79-80.
66
Un quadro storico delle traduzioni filosofiche ebraiche medievali è ibid., pp. 175-277.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 699
" w , H ebraica Veritas: Temistio, Parafrasi del De Coe/o. Tradi:l:.ionee critica del testo, in «Athe-
nacum», LXXXII (1994), pp. 403-28.
" Una lista delle traduzioni ebraiche degli scritti medici di Galeno è in ID., Un interprete cit.,
pp. 2·}.
"'E. l.lEUER, Galen in Hebrew:the transmission o/Galen's works in the medieva/ ls/4mic world,
in v "V'I"l'ON (a cura di), Galen: Problems and Pettpects, Oxford 1981, pp. 167-86.
702 Continuità e riusi
la tradizione greca 77 , e tra gli altri pochi testi di lppocrate volti in ebrai-
co si contano gli Aforismi, i Prognostici e il trattato Sull'aria, l'acqua e i
luoghi (questi ultimi due, però, non nel testo originale ma nei commen-
ti di Galeno), nonché scritti apocrifi, in specie sull'uroscopia78 • Piu mo-
tivata appare la scelta dei testi astronomici e matematici antichi tradotti:
tra di essi, si annoverano infatti tanto l'Almagesto (con l'introduzione
di Gemino), il Centiloquio, il Planisfero e parte delle Ipotesi planetarie di
Tolomeo, quanto gli Elementi e l'Ottica di Euclide, e l'Introduzione
all'aritmetica di Nicomaco di Gerasa, nonché scritti geometrici di Ar-
chimede e di autori ellenistici minori (le opere di Autolico di Pitane, del
IV secolo a. C., nonché le Sferiche di Menelao e di Teodosio di Tripo-
li)19. Anche in questo campo, tuttavia, le scelte dei traduttori ebrei siri-
velano pesantemente (e forzatamente) influenzate da quelle fatte, pri-
ma di loro, dai traduttori arabi.
Infine, una menzione merita la tradizione ebraica medievale della
letteratura greca d'intrattenimento. Una delle pochissime opere del ge-
nere tradotte fu, insieme alle favole di Esopo, il Romanzo di Alessandro,
che gli Ebrei conobbero in diverse recensioni, in buona parte derivate
da rielaborazioni della Vita di Alessandro (Historia de proeliis) dell'arci-
prete campano Leone (x secolo), a sua volta rielaborazione latina dello
pseudo-Callistene; solo in qualche caso la conoscenza del Romanzo po-
trebbe essere stata ripresa direttamente dalla cronachistica greca tar-
doantica o bizantina80 • Comunque, piu che un interesse letterario è un
motivo ideologico che sembra aver guidato molti dei traduttori ebrei del
Romanzo: Alessandro Magno è visto da loro soprattutto come perso-
naggio della storia ebraica, alla luce della già riferita leggenda del suo
viaggio a Gerusalemme.
77
Il testo di questa traduzione è contenuto nel manoscritto di Parma, Biblioteca Palatina, par·
mense 3040, ff. 25r-2811.
78
Per queste traduzioni cfr. STEINSCHNEIDER, Die hebriiischen Obersetxungen cit., pp. 65o-68.
" Per tutte queste versioni cfr. ibid., pp. 502-42; T. LÉVY, Theestab/ishmento/ the mathemat-
ica/ bookshe/f of the medieva/ Hebrew scholar: trans/ations and translators, in «Science in context»,
X (1997), pp. 431-57, e la bibliografia ivi citata.
.. Cfr. TAMANI, La traJlizione cit.
Zonta La cultura greca nella tradizione ebraica 703
" Sulla cabbala si veda G. SCHOLEM, La cabala, Roma 1982 (raccolta di voci di enciclopedia in
tra<.luzionc italiana); G. BUSI e E. LOEWENTHAL (a cura di), Mistica ebraica, Torino 1995 (antologia
di testi in traduzione); G. BUSI, La qabbalah, Roma-Bari 1999 (breve quadro storico).
" lltJSI e LOEWENTIIAL, Mistica ci t., p. IX, nota 3.
" fbiJ., p. XXIII.
704 Continuità e riusi
m~ ISIJÀQ AL·NADiM, Kitab al-Fihrist, a cura di R. Tajaddud, Teheran '97', in particolare pp.
29'1·)6o e 417-25 (trad. ingl. The Fihrist o/ Al-Nadim, 2 voli., New York 1970). Uno dei primi stu·
di, Jiwntato oggi un classico, è quello di M. MEYERIIOF, Von Alexandrien nach Bagdad. Ein Beitrag
Zur G<'schichte des philosophischen und medizinischen Vnterrichts bei den Arabem, in «Sitzungsberi-
dJtt tlcr Berliner Akademie der Wissenschaften. Philologisch-historische Klasse>>, 1930, pp. 389-
42'1
706 Continuità e riusi
I.
TRASMISSIONE E TRADUZIONE: IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA.
' R. RASHED, Problems o/ the transmission of Greek scientific thought into Arabic: examples /rom
mtJtbematics tJnd optics, in «History of Science», XXVII (1989), pp. 199-209; ripreso in ID., Opti·
ques et mtJtbémtJtiques. Recherches sur l' histoire de !tJ pensée scientifique en tJrtJbe, Aldershot 1992, I.
Cfr. anche o. GUTAS, Greek Thought, ArtJbic Culture. The Graeco-Arabic Trans!tJtion Movement in
&ghdtJd tJnd EtJrly 'Abbasid Society (2nd-4th/8th-roth centuries), London New York 1998; J. L
KRAEMER, Humanism in the RentJissance o/ Is!tJm. The Cultura/ RevivtJI during the Buyid Age, Leiden
1992'
Rashed Scienze «esatte» dal greco all'arabo 707
mica che interessano la storia della tecnica come quella delle istituzio-
ni. Ma all'interno di tale patrimonio si trova anche un corpus di testi
per cosi dire sepolti, e un insegnamento elementare, in particolare in
teologia, astrologia, alchimia o medicina. Secondo fatto: a quest'eredità
vengono ad aggiungersene altre, emananti da altri orizzonti (persiano,
sanscrito e siriaco soprattutto). Dimenticare questi fatti vuol dire tra-
scurare il ruolo importante delle pratiche, della conoscenza, degli og-
getti tecnici o delle istituzioni nella circolazione del sapere. Questa di-
menticanza non tarderebbe a ridurre la questione della trasmissione a
quella della sola traduzione; dell'eredità greca non resterebbe cosi che
la parte libresca. In altri termini, ci si espone in tal caso a non cogliere
tutto ciò che è connesso ai mezzi evocati: una geometria elementare, una
logistica, un'agronomia, un'idrostatica, una metrologia, ecc. -tutti ra-
mi del sapere che piu tardi faranno parte di discipline costituite, o sem-
plicemente della geometria pratica. Certo, quest'eredità da sola non può
spiegare il sorgere e lo svilupparsi delle scienze e della filosofia nella nuo-
va cultura islamica; resta nondimeno un elemento importante di que-
st'ultima.
Non è raro, d'altronde, che l'atto di tradurre venga presentato co-
me passivo, scolastico, e di livello sempre identico, qualunque sia il cam-
po di esercizio. Si tratterebbe allora dell'atto di un traduttore- spesso
un medico - che conosce il greco, e che tradurrebbe alla rinfusa, secon-
do le circostanze e la casualità degli incontri, scritti greci appartenenti
a varie discipline, che non sarebbero quindi sempre di sua competenza.
La traduzione a partire dal greco sarebbe perciò stata aleatoria, non ob-
bedendo a nessuna necessità nella scelta dei libri, né nell'opportunità di
tradurli. In breve, se si accetta questa rappresentazione spesso implici-
ta, si sarebbe tradotto ciò che si trovava e come si poteva. Si sarebbe
trattato inoltre di una traduzione scolastica, nella misura in cui i testi
tradotti avevano per sola destinazione l'insegnamento. Di livello sem-
pre identico, infine, poiché l'atto di tradurre non richiedeva altro che
la conoscenza del greco (se non del siriaco).
Questa immagine della trasmissione e poi della traduzione ha gene-
rato una dottrina che si incontra ogni tanto, soprattutto nei biobiblio-
grafi modernP Secondo i suoi sostenitori, la traduzione sarebbe il pri-
mo stadio di una «legge» di tre stadi che si succedono logicamente e sto-
ricamente: tradurre per acquisire le scienze e la filosofia greche;
assimilare ciò che si è acquisito, in una seconda fase, prima di passare
alla terza tappa: la produzione creatrice. Questa dottrina, per lo meno
Cfr. per esempio F. SEZGIN, Geschichte des arabischen Schrifttums, V, Leiden 197 4, pp. 2 5 sgg.
708 Continuità e riusi
' Ci si può riferire alla figura emblematica del patriarca Timoteo, che collabora alla traduzio-
ne dei Topici di Aristotele dal siriaco in arabo, ordinata dal califfo al-Mahdi. Cfr. s. P. BROCK, Two
letters o/ the patriarch Timothy /rom the late eighth century on translations /rom Greek, in «Arabic
Sciences and Philosophy>>, IX (1999), pp. 233·46. Cfr. anche J. VAN Ess, Theologie und Gesellscha/t
im 2. und J. ]ahrhundert Hidschra. Eine Geschichte des religiosen Denkens im f,.Uhen Islam, 6 voli.,
Berlin 199t·97, III, pp. 22-28.
10
H. IIUGONNARD·ROCHE, Les traductions du grec en syriaque et du syriaque en arabe, in J. HA·
MESSE e M. FATTORI (a cura di), Rencontres de eu/tures dans la philosophie médiévale, Louvain-la·
Neuve 199o,pp. 131~7·
11
AL-NADIM, Kitab al-Fihrist ci t., pp. 303-4-
Rashed Scienze «esatte» dal greco all'arabo 711
" AL·NUWAYRi, Nihtiyat al-arab /i funiin al-adab, a cura di M. al-l:lini, ai-Qahira I984, XXII,
pp. 223-24; IBN AL·ATHiR, al-Ktimilfi al-tiirikh, ed. a cura di C. J. Tornberg con il titolo Ibn-EI·
Athiri Chronicon quod perfectissimum inscribitur, I 2 voli., Lugduni Batavorum I 85 I -7 I; rist. 13
voli., Bairut r96s-67.
17
AL·NADiM, Kittib al-Fihrist cit., p. 355·
"AL·MAs•Cmi, Muriii al-dhahab cit., IV, p. 333·
" Leggiamo in AL-NUWAYRi, Nihiiyat al-ara h/ifuniin al-adab ci t., XXII, p. 90: «Egli [ai-Man~url
ha scritto a tutti i paesi perché inviino degli artigiani, dei muratori, e ha ordinato che vengano scel-
ti uomini eminenti, giusti, informati in giurisprudenza, onesti e che conoscano la geometria».
•• AL·NADiM, Kitiib al-Fihrist ci t., pp. 299-300.
Rashed Scienze ((esatte~ dal greco all'arabo 713
l'er un caso simile di contatto cfr. AL-JAI.II?, Kiliib al-Bayiin wa al- Tabyin, a cura di A. M.
fiariln, 4 voli., ai-Qahira s.d., I, pp. 88-93; trad. frane. del passo: M. AOUAD e M. RASHED, L 'exégè-
re dc fa "Rhétorique » d'Aristate. Recherches sur quelques commentateurs grecs, ara bes et byzantins, in
IMecliocvo», XXIII (1997), pp. 89-91.
" AI-MAS'UDi, Muriij al-dhahab cit., IV, p. 333·
lhid.
714 Continuità e riusi
24
AL·NADiM, Kitiibal-Fihrist cit., p. 327 .
., Ibid., p. 304.
" R. RASHED, Al-Kindf's commentary on Arr:himedes' "The Measurement o/ the Cirr:le", in ~Ara·
bic Sciences and Philosophy», III (1993), pp. 7·53·
27
R. RASIIED, Les catoptriciens grecs, l. Les miroirs ardents, Paris zooo, pp. 343·59·
Rashed Scienze «esatte» dal greco all'arabo 715
e cosi della cultura del tempo, essa indica anche un metodo individuabi-
le attraverso la lettura dei libri di Tabaqat- «classi di dotti»- e dei bio-
bibliografi antichi: una specializzazione accresciuta. Un dotto non solo
appartiene principalmente a una professione, a volte a due riunite insie-
me (per esempio mutakallim, filosofo-teologo, e giurista), ma, all'inter-
no della professione stessa, afferisce all'una o all'altra scuola: Cufa e Bas-
sora, per esempio, per un grammatico, o Bassora e Baghdad per un teo-
logo-filosofo11. Tutte queste nuove discipline con i loro specialisti, il cui
numero cresceva continuamente, hanno creato una domanda e formato
un pubblico. Il teologo-filosofo voleva conoscere di piu e meglio la filo-
sofia, la logica, e persino la statica e la fisica12 . Le esigenze di ordine re-
ligioso (determinare la direzione della Mecca e le ore di preghiera in un
impero cosi vasto) richiedevano nuove conoscenze astronomiche, cosi co-
me i progressi della scienza medica erano resi necessari dai bisogni me-
dici nei centri urbani. Funzionari del Diwan, segretari privati (divenuti
una vera e propria professione))}: funzioni che esigevano una cultura ge-
nerale piuttosto ampia. In breve, tutti costituivano un largo pubblico per
delle discipline e una cultura da tradurre, in particolare dal greco e dal
persiano. Troviamo anche tra i libri tradotti un certo numero di opere a
destinazione culturale, che hanno per oggetto temi come le sentenze mo-
rali dei filosofi 14 o l'interpretazione dei sogni".
Si assiste rapidamente, con questa seconda fase del movimento di
traduzione, all'istituzionalizzazione simultanea della traduzione e
dell'eredità greca. Abbondano fatti e aneddoti dai quali apprendiamo
che califfi, visir, principi, benestanti e persino certi dotti avevano fon-
dato librerie e osservatori e incoraggiato la traduzione e la ricerca". Tut-
tavia, non è stato sottolineato a sufficienza che in queste nuove istitu-
" Queste differenze sono state percepite fin dalle origini come costitutive. Cfr., nei due cam·
pi menzionati, ABÙ SA•in AL-ANBARi, Al-In~iiffi masii'i/ a/-khilii/ bayn a/-nabwiyyin al-ba~riyyin wa
al-kiifryyin, Bairiit 1987, e AB ii RASHiD AL-NisA.BiiRi, Al-masii'ilfi al-khiliif bayn ai-Ba$riyyin wa al·
Bal,dtidiyyin, a cura di M. Ziyada e R. ai-Sayyid, Bairiit 1979.
'
2
Basti pensare a Abu ai-Hudhayl e a suo nipote ai-Na~~am. Cfr. M. A. ABU RiDA, Ibriihim b.
Sayyiiral-Na?:?:iim wa arii'iihu al-kaliimiyya al-falsafiyya, ai-Qahira 1946; A. DHANANI, The Physical
Theory o/ Kaliim _Atoms, Space and Void in Basrian Mu 'tazili Cosmology, Leiden 1 994·
n Cfr_ per esempio IBN QUTAYBA, Adad al-kiitib, a cura di A. Fa'iir, Bairùt 1988; AL-JAH-
SHAYYAi, Kitiib al-uzarii' wa al-kuttiib, Bairùt s.d.
,. Per esempio la traduzione di l:lunayn ibn Is):Iaq del Testamento di Platone per/'educazione
dei giovani, in L CHEIKHO (a cura di), Traités philosophiques anciens, Beyrouth 1911.
" Per esempio la traduzione di l:lunayn ibn Is):Iaq del Libro dei sogni di Artemidoro di Efeso:
cfr. l'ed. critica di Toufic Fahd, Damasco 1964.
"M. G. BALTY-GUESDON, Le Baytal-lfikma de Bagdad, in <<Arabica», XXXIX (1992), pp. 131·
150; Y. ECHE, Les bib/iothèques arabes publiques et semi-pub/iques en Mésopotamie, en Syrie et en
Egypte au Moyen-Age, Damas 1967.
Rashed Scienze «esatte~ dal greco all'arabo 717
zioni non figurano solo degli individui, come avveniva anche prima, ma
dei gruppi, delle équipe, spesso rivali e in competizionen; altrettanti
mezzi per integrare il patrimonio greco nella nuova comunità scientifi-
ca. A titolo di esempio, la Casa della Sapienza (Bayt al-bikma), fondata
a Baghdad da al-Ma'miin, comprendeva astronomi come Yal)ya ibn Ahi
Man~ùr, traduttori come al-l:lajjaj ibn Matar- traduttore degli Elementi
di Euclide e dell'Almagesto di Tolomeo -, matematici come al-Khwa-
rizmi. Troviamo piu tardi, in un altro gruppo legato a questa stessa ca-
sa. i tre fratelli matematici e astronomi Banii Miisa, che hanno finan-
ziato e incoraggiato la traduzione; il traduttore di Apollonio, Hilal ibn
Hilal al-l:lim~i, e il traduttore e matematico Thabit ibn Qurra. Sappia-
ffi(1 anche che traduttori e dotti formavano dei gruppi attorno ai Banii
dici librj. Si è proposto di mostrare in essa la via per dimostrare ciò che si dimostra necessaria-
mente. E l'obbiettivo di Aristotele nel libro IV deii'O'lanon. Finora nessuno dei nostri contem·
poranei ha ottenuto una copia completa di quest'opera; maJibril si è dedicato con grande cura al-
la sua ricerca, e l'ho cercata anch'io con grande zelo; ho viaggiato alla ricerca di quest'opera in Me-
sopotamia, in tutta la Siria, in Palestina e in Egitto, finché sono giunto ad Alessandria. Non ho
trovato niente, tranne a Damasco circa la metà. Ma si tratta di libri non successivi e incompleti.
Ora Jibril aveva trovato dei libri di quest'opera, che non sono gli stessi che avevo trovato io•.
Emerge da questa testimonianza che il luogo delle «missioni» non è solo Bisanzio, ma tutto l'an-
tico impero; che, tra l'altro, ci si recava ad Alessandria per la ricerca di manoscritti greci, e che il
manoscritto di un'opera importante come questa si trovava «semplicemente» a Damasco; che i tra·
duttori stessi viaggiavano indipendentemente dalle grandi missioni, come quella che fu ordinata
da ai-Ma'mun, alla ricerca dei manoscritti. E che infine la nostra conoscenza della traduzione dal
greco in siriaco e in arabo è ancora molto insufficiente. Queste conclusioni sono ulteriormente con-
fermate da un'altra testimonianza, che è utile riportare qui. Ya):tya (Yu):tanna) Ibn ai-Bi!riq, mem-
bro della celebre missione inviata dal califfo ai-Ma'mun a Bisanzio alla ricerca di manoscritti gre·
ci, racconta come ha ricevuto l'ordine del califfo di cercare il manoscritto del «Segreto dei segre·
ti»: «il traduttore Yu):lanna b. ai-Bi!riq ha detto: non ho trascurato di recarmi in nessuno di quei
templi nei quali i filosofi hanno depositato i loro segreti; e non ho trascurato di vedere nessuno di
quei grandi tra gli asceti, divenuti piu sottili per la conoscenza di tali segreti, e che penso deten·
gano l'oggetto della ricerca, finché sono giunto al tempio che Esculapio ha costruito per se stesso.
Vi ho incontrato un asceta pio e devoto, in possesso di una scienza eminente e di un'intelligenza
penetrante. Ho mostrato benevolenza nei suoi confronti, sono rimasto suo ospite, e mi sono ser·
vito dell'astuzia, fino a quando mi ha affidato i libri depositati nel suo tempio. Vi ho trovato tra
gli altri il libro oggetto della mia ricerca e della mia brama» (A. BADAWI, Fontes Graecae doctriiiiJ·
rum politicarum islamicarum, Il Cairo 1954, p. 69).
" R. RASIIED, Les mathématiques in/initésimales du Ix' au xt siècle, III. Ibn ai-Haytham. Théo-
rie des coniques, constructions géométriques et géométrie pratique, Londres zooo, cap. 1.
Rashed Scienze «esatte>> dal greco all'arabo 719
le scienze. Il tipo ideale, per cosi dire, è il celebre J:Iunayn ibn ls}:liiq40 •
Il racconto della sua biografia a noi pervenuto è di grande interesse: una
composizione letteraria molto colorita che, vera o leggendaria, delinea
in ogni caso i tratti ideali del nuovo mestiere (tutto porta a credere co-
munque che questo percorso ideale abbia piu che delle vaghe somiglianze
con la realtà storica). Arabo cristiano (nestoriano), nato nell'8oS da un
padre farmacista ad al-J:Iira, il suo percorso inizia a Bassora, dove egli
perfeziona il suo arabo: sapeva dunque che la lingua di traduzione non
è quella che si usa nella vita quotidiana. Questa scelta, del resto, fonda
la leggenda secondo la quale J:Iunayn avrebbe incontrato uno dei piu
grandi linguisti arabi: al-Khalil ibn A}:lmad 41 • Questa leggenda assume
nel racconto della sua vita un ruolo insieme iniziatico ed emblematico:
in arabo, egli avrebbe come patrono al-Khalil ibn A}:Imad in persona. Lo
si trova in seguito a Baghdad, tappa della sua formazione scientifica pro-
priamente detta; vi compie degli studi di medicina sotto l'egida di uno
dei piu grandi medici dell'epoca: Yii}:Iannii Ibn Miisawayh. Qui il nostro
eroe incontra il suo destino. Cacciato dal suo circolo da Ibn Masawayh,
I:Iunayn riprende il cammino della sua formazione: è la terza tappa. Si
reca in uno dei centri dell'ellenismo per perfezionare il greco- nell'im-
pero bizantino o ad Alessandria, i biografi esitano su questo punto. Ri-
compare qualche anno piu tardi, a Baghdad, citando a memoria dei ver-
si di Omero4z; una tale padronanza del greco costituisce ovviamente-
allivello emblematico- il pendant del patronato di al-Khalil in arabo.
Tre tappe regolate, dunque, e necessarie alla formazione del nuovo
tipo di traduttore. Si tratta ormai di un traduttore-dotto, che padro-
neggia il greco, l'arabo, il siriaco e la scienza. Queste esigenze forti d-
specchiano due fatti: la scienza tradotta è ancora una scienza attiva (ve-
dremo infatti che non si traduceva per ricostruire la storia di una scien-
za, ma per far avanzare una ricerca e una pratica vivente); uno dei
compiti del traduttore, ed è il secondo fatto, è ormai di edificare l'ara-
bo scientifico. Si tratta qui di una ricerca linguistica nel senso piu spe-
cifico, che rende necessaria una formazione simile a quella che può aver
ricevuto J:Iunayn ibn ls}:Iiiq.
I_Iunayn trascorre il resto della sua vita a tradurre i libri medici gre-
Cfr G. DERGSTRASSER, ljunain ibn lspaq iiber die Kunde syrischen und arabischen Galen-iiber-
sett.u~:~cn, Lcipzig 1925. Cfr. anche G. c. ANAWATI e A. z. ISKANDAR, «l:lunayn ibn lsl;tiiq», in Dic-
tionan· o/Scienti/ic Biography, XV, suppl. I, New York 1978, pp. 230-48.
" «Egli [l.Iunayn ibn lsl;tiiq] ha soggiornato per qualche tempo e il suo maestro di arabo era
al-Khalil ibn Al;tmad» (IBN ADi u~AYBI'A, 'Uyun a/-anba' fi tabaqat al-a{ibba', a cura di N. Ril;lii,
Bain.tt 1965, pp. 257 e 262) .
•, /h id.' p. 258.
720 Continuità e riusi
Thabit ibn Qurra è uno dei piu grandi matematici non solo dell'Islam
ma di tutti i tempi. Inizia la sua vita come agente di cambio; la sua lin-
gua materna è il siriaco, e perfeziona il greco e l'arabo abbastanza da
Il.
TRADUZIONE E RICERCA: UNA DIALETTICA MULTIFORME.
•• R. RASHED, Le commentaire par al-Kindi de l' «0ptique» d'Euclide: un traité iusqu' ici incon-
nu, in <<Arabic Sciences and Philosophy», VII, I (1997), pp. 9·57-
•• A. LEJEUNE, L 'Optiquede Claude Ptolémée dans la version latine d' après l'arabe de l' émir Eugè·
nedeSicile, Louvain 1956.
•• R. RASHED, CEuvres philosophiques et scientifiques d'al-Kindi, l. L'Optique et la Catoptrique
d'al-Kindi, Leyde 1996, Appendice II, pp. 541-645.
•• RASHED, Les catoptriciens cit., parte l.
•• Ibid., p. 2 r.
" Ibid., Appendice, pp. 343-59-
Rashed Scienze <<esatte» dal greco all'arabo 723
tore rende con il verbo fa' ala (fare) il greco vm~at: traduzione per lo meno maldestra. Nel caso,
del resto improbabile, in cui egli avesse voluto evitare una forma del verbo wahama (immaginare,
concepire), la sua scelta avrebbe potuto cadere su ;a'ala o kal'lll. Notiamo d'altra parte il suo uso di
'a/ama (segno), per rendere mu~tov. Benché lo si incontri ancora nel IX secolo, quest'uso si fa già
sempre piu raro. Leggiamo la seconda traduzione di questa stessa frase: «wa-li-takun nuq{at H/i
ai-wasaf /ima bayna khattay BE, BC 'ala niif z:awiyat EBC. wa-nukhri; HG ila nuq{at l (che il punto
H si trovi in mezzo, tra le due rette BE [la retta solstiziale d'inverno] e la retta Br [la retta equi·
noziale], sulla metà dell'angolo EBr Prolunghiamo HZ fino al punto 8)». Si nota che il lessico e
la sintassi della seconda traduzione sono piu conformi all'arabo e alla lingua dell'ottica geometri·
ca. Proseguiamo ulteriormente con quest'esempio. Il testo greco continua cosi: dàv toivuv l«<là
t~v itÉatv ti'jç HZ E1Ìitdaç votjowf.LEV É1tiJtEI>ov ta01ttQOV, fJ BZE àxtìç 1tQ001tllttovaa 1tQÒç tò HZS tOOII·
tQOV ÀÉyw ott àvaxì..aaittjanm È1ti tò A OTJ~tElov» (ibid., p. 350, I4-I7). Il traduttore antico lo rende
in questi termini: «/a-mati ma nabnu tawahamna mir'a dhat satb mustawin fi mawt/i' khafl HG di·
mustaqim mawuqi'an li-al-shu'ii' alladhi da/a'iluhu BGE 'ala mir'at GHI, az'umu annahu yu'ta/u
riiii'an ila mawt/i' A (Quando immaginiamo allora uno specchio che ha una superficie piana nella
posizione della retta HZ, luogo per il raggio i cui segni sono BZE sullo specchio ZH8, pretendo
che esso si riflette sulla posizione A)>>. Osserviamo che l'espressione «/a-mati mii l'lllbnu taW4h·
hamnii» comporta una ridondanza e ha un andamento sintattico non arabo; è meglio scrivere «/d-
mati tawahhamnii». Ugualmente, è piu corretto utilizzare la preposizione 'ala invece di/i. Ne1111·
che il resto tiene; dopo al-mustaqim bisognava scrivere: «Wa-kiinat mir' at GHI mawqi'an li-shu'i'
da/a'iluhu BGE;/a-aqulu innahu yan'akisu ila maw4i' A>>. Osserviamo dunque che la traduzione
letterale ha qui un effetto negativo. D'altra parte, l'uso di «daia'iluhu BGE» è un arcaismo, ab·
bandonato dai traduttori successivi. Anche 'atafa riii'an, per rendere «riflettere», comincia a scom·
parire nel1x secolo. Infine, l'uso di a'zamu (opino, pretendo) invece di aqulu (dico) per rendere
ÀÉyw non appare nelle traduzioni della metà del1x secolo. Veniamo ora alla seconda traduzione del·
la seconda frase. Vi si legge: «/a-in tawahamnii sa!ban mirii'iyan maw!jU'an 'ala maw4i' kha!f HGI,
fa·innahu yakun shu'i' BGE, idhii waqa'a 'ala mir'at HGI, yarja'u ila nuq{at A (Se immaginiamo
una superficie di specchio collocata sulla posizione della retta HZS, allora il raggio BZE, se cade
sullo specchio HZS, ritorna al punto A)». Meno letterale, questa traduzione, se non traduce esat·
tamente la lettera del testo greco (supponendo che si tratti precisamente dello stesso testo, cosa
che non è assolutamente sicura), ne rende il senso in un arabo corretto, tanto dal punto di vista del
vocabolario che da quello della sintassi.
" AL·JAl;lq:, Kitib a/-f:layawan, a cura di 'Abd ai-Salàm Harun, ai-Qàhira s.d., l, pp. 75 s111.
Cfr. ABO I;IAYYAN AL·TAWI;IiDi, Kitib a/-imti 'wa al-mu'iinasa, a cura di A. Amin e A. al-Zayn, ri-
st. Bulàq s.d., pp. I I 2, I I~- 16, I 2 r. Cfr. anche MUHSIN MAHDI, Language and logic in classicalls/alfl,
in G. E. VAN GRUNBAUM, Logic in Ethnica/ [s/amic Culture, Wiesbaden I970, pp. 5I·~3·
Rashed Scienze <<esatte» dal greco all'arabo 725
di namento delle sue parole è difficile, benché i significati ne siano chiari per colo-
ro che si incaricano di tradurre i suoi libri dal greco in arabo, poiché la difficoltà
dell'ordinamento delle parole è diventata la ragione della difficoltà della loro com-
prensione per il traduttore. Cosi, per timore di invocare le proprie opinioni invece
del significato delle sue parole, e di farsi indurre in errore sulla loro vera essenza, [i
traduttori] si sono limitati a riprodurre lo stesso ordinamento in arabo, e hanno scrit-
to, al posto di ogni parola, ciò che essa vuoi dire in arabo, successivamente.
I traduttori hanno riflettuto a lungo su ciò che hanno ottenuto da questo libro,
hanno cercato e portato alla luce i suoi significati per liberarsi dell'errore. Ma, tra
quelli che hanno tradotto alcuni di questi libri, non tutti vi sono riusciti, bensi so-
lo i piu sicuri e abbastanza abili in greco da non lasciarsi sfuggire due cose insieme,
la conoscenza dei significati del libro, e l'esattezza delle sue parole. Infatti, colui
che si appresta a interpretare il senso di quanto ha tradotto, senza comprendere que-
sto senso, provoca entrambe le cose contemporaneamente: perde i significati e le
parole. E, a tal riguardo, ciò è pregiudizievole per chi esamina le loro traduzioni, al
fine di cogliere veramente qualche cosa delle opinioni dell'autore del libro.
Invece, se il traduttore gli descrive la parola tale e quale, anche se la sua com-
prensione è difficile, suscita allora la comprensione del pensiero dell'autore, anche
se la si raggiunge a fatica' 8
" AL-KINDi, Risiilafi dhiit al-pa/aq, ms Parigi, Bibliothèque Nationale, n. 2544, ff. 56-6o.
" R,\SIIED, L 'Optique cit.
726 Continuità e riusi
60
tottrica e redige un trattato sugli specchi ustod. È a quest'epoca che
la maggior parte dei trattati sugli specchi sono stati tradotti in arabo,
come mostra uno studio attento del vocabolario. Il progresso della ri-
cerca compiuta da al-Kindi, e in seguito da altri, porta a un risultato in
parte paradossale: da un lato, esso incita a rifare la traduzione, miglio-
randola, dei Paradossi meccanici, che verrà usata dai successori di al-
Kindi, come lbn 'Isa (un autore di secondo rango)''; d'altro lato, esso
spinge a ridurre il ruolo dei testi greci tradotti al solo valore storico. Se
all'inizio del x secolo un 'Utarid e un Ibn 'Isa si interessano ancora ad
essi, alla fine del secolo, neli'opera di lbn Sahl, dei suoi contemporanei
e successori, non ne resta piu che un pallido ricordo.
Gli specchi ustori non rappresentano tuttavia che un capitolo dell'ot-
tica ellenica. Vi figurano anche l'ottica propriamente detta, cioè lo stu-
dio geometrico della prospettiva e delle sue illusioni ottiche; la catot-
trica, cioè lo studio geometrico della riflessione dei raggi visivi sugli spec-
chi; l'ottica meteorologica, in cui si esaminano fenomeni atmosferici
come l'alone o l'arcobaleno, ecc. Sono questi capitoli che al-Farabi ri-
corda nella sua Classificazione delle scienze. A tali capitoli geometrici bi-
sogna ancora aggiungere le dottrine della visione che costellano i lavori
di medicina e le opere dei filosofi. Ora, in tutti questi campi, la tra-
smissione dell'eredità greca si è operata secondo il modello già analiz-
zato per gli specchi ustorl.
Le ricerche storiche non sono ancora in grado di dirci quali erano le
nozioni ottiche trasmesse prima della fine dell'viii secolo dalla pratica
medica. Assistiamo invece in questo periodo e durante la prima metà
del IX secolo a una ricerca oftalmologica da parte di medici come Jibra'il
ibn Bakhtishii' (m. 8z8/9) 62 e piu tardi Yu}:tanna ibn Masawayh. Tale ri-
cerca era in ogni caso oggetto di un interesse sufficiente perché I:Iunayn
ibn ls}:taq componesse per la comunità medica un compendio in cui espo-
ne il contenuto degli scritti di Galeno sull'anatomia e la fisiologia dell' oc·
chio" I:Iunayn traduce anche il trattato pseudo-galenico Sull'anatomia
dell'occhio'~. La ricerca e la pratica oftalmologica hanno stimolato lo stu·
Euclide, ma anche la Catottrica a lui attribuita. Nel capitolo x del suo li-
bro Ibn Luqa sembra utilizzare la prima proposizione della Catottrica;
ugualmente nel capitolo xxn, in cui si possono identificare tracce delle
proposizioni 7, 16 e 19 di questo stesso libro. Nel capitolo seguente si
riconosce la proposizione 2 1 della Catottrica, e nel xxviii la proposizio-
ne 5. Questi accostamenti, se non attestano che Ibn Luqa aveva fra le
mani una versione araba della Catottrica, suggeriscono con forza che egli
aveva accesso a una fonte, attualmente sconosciuta, che riprendeva cer-
te proposizioni del libro.
Il secondo trattato importante !asciatoci dall'ottica greca è quello di
Tolomeo. Siamo purtroppo privi di qualsiasi informazione riguardo al-
le date e al contesto della sua traduzione, oggi perduta. Recentemente,
è sembrato di poter riconoscere nel De aspectibus di al-Kindl diversi pas-
saggi «che si ispirano in modo evidente alle esposizioni che si trovano
nella versione di Eugenio»66 , cioè la traduzione latina dall'arabo; al-Kindl
sarebbe cosi un terminus ante quem per la traduzione araba. Ciò ci sem-
bra inesatto. Il prologo alla redazione attribuita a Teone, come abbia-
mo mostrato altrove'7 , basta a spiegare ciò che si trova nel De aspecti-
bus. La prima testimonianza a noi nota attualmente della traduzione ara-
ba dell'Ottica di Tolomeo è assai tarda, della fine del x secolo: si tratta
di <11-'Ala' ibn Sahl'8 • Se bisogna dunque procedere per congetture, ci
sembra che questa traduzione sia stata realizzata alla fine del IX secolo
o all'inizio del x. Crediamo da parte nostra che la traduzione di questo
libro si sia imposta quando la ricerca sulla rifrazione si è sviluppata tan-
to in ottica quanto in catottrica per le lenti, come provano appunto i la-
vori di Ibn Sahl. Del resto non è un caso che sia stato il libro V diTo-
lomeo ad attrarre l'attenzione di quest'ultimo. Ma fino a quando igno-
reremo la data della traduzione, qualsiasi affermazione, a cominciare
dalla nostra, resta una congettura. Ad ogni modo, resta vero che il pro-
gresso dell'ottica araba, con lbn Sahl e soprattutto con Ibn al-Haytham
(m. dopo il ro4o), ha ridotto queste traduzioni alloro interesse storico
e non ne ha potuto impedire, spesso, un certo naufragio testuale.
Con l'ottica geometrica abbiamo visto in che modo si articolano le
fasi del movimento di traduzione. Benché facilmente individuabili, que-
ste fasi si moltiplicano e si sovrappongono. Abbiamo notato inoltre un
certo tipo di traduzione, traduzione per cosf dire in medias res, in quan-
to è direttamente legata alla ricerca e ne segue l'evoluzione. Antemio ed
"'Cfr. D!OFANTO, Les Arithmétiques, Livres V, VI, VII, a cura di R. Rashed, Paris 1984, IV,
p. lOJ.
70
R. 1\ASIIED, Analyse combinatoire, analyse numérique, analyse diophantienne et théorie des nom-
brc,, in m. (a cura di), Histoire des sciences arabes, 3 voli., Paris 1997, II, pp. 55-91.
732 Continuità e riusi
mente gli effetti di questa lettura sulla ricerca, ma anche sulla traduzio-
ne. Prima di esaminarli, diciamo qualcosa del traduttore. Qusta ibn Lùqà
è un greco, cristiano di Baalbek, che, secondo al-Nadim, traduceva be-
ne e padroneggiava il greco, il siriaco e l'arabo". Sempre secondo i bio-
bibliografi antichi, fu chiamato nella capitale, Baghdad, per partecipa-
re al movimento di traduzione dell'eredità greca. Vi si trovava negli an-
ni intorno all'86o. Apparteneva dunque a quella generazione di tradut-
tori di epoca un poco piu tarda che, per eredità e formazione, erano in
possesso di una terminologia già elaborata e perfezionata in numerosi
campi (tra i lessici, va segnalato quello dell'algebra). Faceva parte inol-
tre di quella categoria di professionisti, i traduttori-dotti, ferrati nelle
diverse discipline scientifiche, e che disponevano quindi dei mezzi per
penetrare il senso delle opere che traducevano. I titoli delle opere tra-
dotte da Qusta e a noi pervenute rivelano un largo spettro di compe-
tenze. Vi si trova la «piccola astronomia» (I tramonti eliaci di Autolico;
Sulle abitazioni, Sui giorni e le notti e la Sferica, di Teodosio; Delle gran-
dezze e distanze del sole e della luna di Aristarco). Vi figurano anche la
Meccanica di Erone di Alessandria, Sulla sfera e sul cilindro di Archime-
de, il commento di Alessandro a La generazione e corruzione e una par-
te del suo commento alla Fisica. A ciò vanno aggiunti i libri XIV-XV di
Ipsicle, entrambi aggiunti agli Elementi di Euclide. Qusta ha tradotto
dunque essenzialmente libri di matematica e di filosofia, campi nei qua-
li h~ inoltre composto i suoi scritti.
E dunque con tutte le competenze che ci si attende da un tradutto-
re-dotto che Qusta ibn Liiqa ha affrontato l'Aritmetica intorno agli an-
ni settanta del IX secolo. La sua traduzione si segnala per la sua aperta
impostazione algebrica. Per il traduttore-dotto, era come se Diofanto
(osse il successore di al-Khwarizmi e parlasse la lingua di quest'ultimo.
E infatti dal lessico di al-Khwarizmi che egli ha attinto per rendere in
arabo gli esseri matematici e le operazioni. Questa scelta lessicale riflette
il partito preso interpretativo di lbn Liiqa: l'Aritmetica è un'opera di al-
gebra. Questo partito preso resisterà a lungo: lo ritroviamo in T. Heath 73 ,
e persino ancora oggi.
La scelta di Ibn Liiqa è rivelata fin dalla traduzione del titolo
dell'opera. Invece di Problemi aritmetici (nQof3À.TJJ.I.n1:a ÙQtl'tJ.I.TJt'LXa, che
incontriamo del resto nei colophon di alcuni libri, al-Masa' il al-' ada-
diyya), troviamo come titolo L'arte dell'algebra (Fi $ina'at al-iabr). I ter·
71
AL·NADiM, KitJb ai-Fihrist cit., p. 304.
72
Cfr. T. HEATH, Diophantus ofAlexandria. A Study in the History o/ Greek Algebra, Cambridge
t885.
Rashed Scienze <<esatte>> dal greco all'arabo 733
mini primitivi sono, anch'essi, tradotti con quelli usati dagli algebristi,
nonostante la differenza semantica irriducibile. L'espressione aÀ.oyoç
àQdlftòç, concetto chiave della teoria aritmetica di Diofanto, che desi-
gna il numero provvisoriamente indeterminato che sarà necessariamen-
te determinato alla fine della soluzione- concetto che ha messo in dif-
ficoltà i traduttori moderni come Ver Eecke, che lo rende con «aritmm>
-,è stato cosi tradotto da Ibn Liiqa con il termine «cosa» (res), cioè «l'in-
cognita>> degli algebristi. Le potenze successive di questo essere- Mva-
I'Lç, x\Jf)oç, ecc. - sono ugualmente rese con i termini degli algebristi:
mal (quadrato), ka'b (cubo), ecc. Ma soprattutto, Ibn Liiqa traduce il
termine nÀ.EUQa con la parola araba ;idhr, «radice del quadrato», allon-
tanandosi cosi dall'uso di Diofanto.
Anche le operazioni sono algebrizzate. Cosi, quando Diofanto for-
mula la prima operazione: «1tQOO~tivm ,;à À.ti.novm etbTJ èv Ò.!.UJlO'tÉQOLç
toì~ !lEQt::OLV» (sommare le specie sottratte da una parte e dall'altra dei
due membri), Ibn Liiqa traduce con un solo sostantivo: al-iabr -la pa-
rola stessa da cui è stato derivato il nome della disciplina. Ugualmente,
quando Diofanto scrive: «Ò.cptÀ.Eiv ,;à OJ10La ò.nò ,;(i)v OJ10i.oov» (sottrarre
il simile dal simile), Ibn Liiqa rende di nuovo la formula con una sola
parola, quella con cui gli algebristi designano questa operazione: al-mu-
qabala. Proseguendo l'esame, si giunge alla conclusione che questa scel-
ta di algebrizzazione è deliberata e sistematica.
Ma tale scelta non poteva coprire tutto il vocabolario di Diofanto.
lbn Luqa doveva inevitabilmente inventare nuovi termini e nuove espres-
sioni, se non altro per rendere i termini propri con i quali Diofanto de-
signava certi metodi di soluzione. Egli dunque forgiò i propri termini,
come quando traduce i) biJtÀ.fj Ì.OO'tTJç, concetto caro a Diofanto, con al-
musdwdt al-muthanna, «la doppia uguaglianza» -ritrovando cosi con que-
sta espressione l'approccio semantico del matematico greco. Infine, per
tradurre le espressioni di origine filosofica impiegate da Diofanto, come
yho;, dooç, olxeiov, cpumç, J1É~oboç, Ibn Liiqa, egli stesso traduttore di
opuscoli filosofici, attinge al lessico già canonico di questa disciplina.
L'Aritmetica di Diofanto è dunque stata tradotta alla luce dell'Alge-
bra di al-Khwarizmi. Questa traduzione si distingue nettamente da quel-
la degli scritti sugli specchi ustori e sull'ottica; essa si distingue anche dal-
la traduzione degli Elementi di Euclide o dell'Almagesto di Tolomeo. Re-
sta il problema di sapere quali sono le ragioni di tale traduzione, e quali
quelle che hanno spinto il traduttore alla sua scelta. Comprenderemmo
allora forse meglio la trasmissione di questa parte dell'eredità greca.
Per rispondere alla domanda è utile esaminare il destino di questa tra-
duzione. Le prime ricerche sull'analisi indeterminata (chiamata oggi ana-
7 34 Continuità e riusi
76
Ibid., III.
77
Ibid., I, pp. 458-673.
" Ibid., I.
Rashed Scienze «esatte» dal greco all'arabo 737
'f'abit b Quml's arabiscbe Obersetzung der «Arithmetiche eisagoge» des Nikomachos von Ge·
~'"· a cura di W Kutsch, Beyrouth 1958.
1 " 1· woECI'KE, Notice sur une théorie a;outée par Thàbit Ben Qomlh à /'arithmétique spéculati-
~~· dc, grccs, in <<]ournal Asiatique», IV, 2 (r852), pp. 420·29.
738 Continuità e riusi
Nel corso di circa mezzo secolo assistiamo dunque ad almeno tre tra-
duzioni dell'Almagesto, piu una revisione da parte di uno dei piu pre-
stigiosi matematici e astronomi dell'epoca. Durante il IX secolo veniva
tradotta in arabo, tranne qualche eccezione, la biblioteca greca di astro-
nomia. Altrettanto significativo è il fatto che i due decenni del regno di
al-Ma'mun abbiano visto produrre due traduzioni dell'Almagesto. Que-
sto fatto notevole non può essere compreso al di fuori della ricerca. Ora
questa, cosa inconsueta, è stata descritta da un eminente astronomo
dell'epoca, I:Iabash al-I;Iasib.
Habash comincia col descrivere la situazione della ricerca in astro-
no~ia prima di al-Ma'mun. Ricorda che alcuni astronomi hanno for·
mulato dei principi e preteso di aver raggiunto una grande scienza in
materia di conoscenza del Sole, della Luna, delle stelle, ma senza aver
81
R. MORELON, L'astronomie arabe orientale entre le Vllf et le xf siècle, in RASIIED (a cura di),
Histoirecit., I, p. 37 (p. 155, 12-18, testo arabo dell'ed. a cura di P. Kunitzsch: IBN AL·~ALAI.l, Zur
Kritik der Koordinatenuberlie/erung im 5temkatalog des Almagest, Gottingen 1975).
Rashed Scienze «esatte» dal greco all'arabo 739
per un buon numero di esse è alla svolta del secolo che il movimento di
traduzione si conclude.
Conclusione programmatica.
' Ibid., l, p. 5·
' Ibid., l, pp. 22, 67.
• Tiba' al-hayawan (Historia animalium) e Ai:;:a' al-hayawan (De partibus anima/ium), a cura di
A. Bada wi, Kuwait 1977 (separatamente a cura di R. Kruk, Amsterdam 1978); Fi kawn ai-Hayawan
(De generationeanimalium), a cura diJ. Brugman e H. J. Drossaart Lulofs, Leiden 1971.
r.tusallam La biologia greca nella scienza e nel pensiero religioso arabi 745
certa urgenza, «la controversia sul seme e sul feto, non secondo losche-
n1<l di Aristotele, ma seguendo ciò che consideriamo piu adatto nel no-
stro tempo»'. La collocazione normale di questo tema avrebbe dovuto
essere nei libri XV-XIX (in cui Avicenna doveva tracciare un compen-
dio magistrale del De generatione), ma la sfida di Galeno lo aveva evi-
dentemente spinto ad affrontare la questione prima di quanto previsto
dal modello aristotelico. I titoli dei primi tre capitoli del libro IX dan-
no la sensazione palpabile dello sviluppo di questa parte del Hayawan:
r Sulla pubertà, il seme, il ciclo mestruale e la disputa su essi.
2. Sulla critica di Galeno ad Aristotele, la confutazione di tale criti-
ca e la dimostrazione della sua inconsistenza.
3. Il ritorno alla fonte aristotelica e la prova che le donne non sono
in realtà dotate di seme, e che la materia femminile detta seme
non ha alcuna facoltà formativa, ma soltanto facoltà passiva.
Il dibattito sulla riproduzione in questi capitoli divenne il tema cen-
trale del Hayawan e determinò il metodo di Avicenna in biologia nel suo
complesso. I pensatori greci erano stati profondamente divisi sul tema
deli' apporto dei genitori nella riproduzione. Ippocrate sostenne che sia
il maschio che la femmina contribuiscono con un «seme», argomentan-
do che la somiglianza del figlio a entrambi i genitori significa che en-
trambi hanno contribuito ad esso con analogo materiale riproduttivo 10 •
Aristotele rifiutò categoricamente tale teoria e postulò una differenza
radicale tra l'apporto maschile e quello femminile, sostenendo che la
femmina fornisce soltanto la materia passiva (il sangue mestruale) alla
quale il seme maschile, come solo vettore dell'anima, dà forma di feto.
Egli affermò che il seme è un residuo del sangue che soltanto il maschio,
in virtu del suo adeguato calore vitale, può trasformare in seme. La fem-
mina, priva di tale facoltà perché non sufficientemente «calda», libera
il proprio apporto in forma di sangue mestruale 11 • In contrasto con que-
sta posizione, Galeno riaffermò l'originaria tesi ippocratica dell'appor-
to paritetico, sostenendola con una nuova prova. Sebbene egli concor-
dasse con Aristotele nel ritenere che il seme fosse un residuo del san-
gue, egli insisteva che la donna poteva produrlo al pari dell'uomo.
Secondo lui, sia il maschio che la femmina contribuiscono in modo egua-
le alla «forma» come alla «materia» del feto. La sua nuova prova fu la
12
GALENO, Sul seme, pp. 527 sgg. Kuhn. La trad. araba medievale, Kitab Jalinus /i al-mani,~
stata curata da I. Cassels per i tipi della University of Cambridge.
"IBN SINA, Hayawan cit., pp. 145·46.
" Ibid., pp. '45. I6I, 388·90.
" Ibid., p. 399.
" IBN RUSHD, Al Kulliyat, a cura di S. Shaiban e A. Ammar al-T alibi, al-Qahira 1989, pp. 68·7°·
" G. SARTON, Introduction to the History o/ Science, 5 voll., Baltimora 1927·48, II/r, p. 63.
Jl,lusallam La biologia greca nella scienza e nel pensiero religioso arabi 747
'' Vedi «Avicenna», in Encyclopaedia !ranica cit., tav. 3 (<<Concordanza tra i testi del Hayawan
e '["ciii Jel Qanun»), p. 98.
" IBN SINA, Qanun cit., l, p. 22, e Kitab a/-na/s, sezione 6 del Tabi'iyyat della Shifa ', a cura di
G C. J\nawati e S. Zayid, al·Qiihira 1974, p. 234.
IBN SINA, Hayawan cit., pp. 40-46.
748 Continuità e riusi
"fllN MALKA, Mu'tabar, 3 voli., Haydarabad A.H. 1358, II, pp. 236-71; RAZI, Mabahith, 2
Voli., Ilaydarabad A.H. 1343-,II, pp. 226-29, z58·79; QAZWINI, Hikmatal-ain, Mashad 1974, pp.
6~<>-~6; MULLA SADRA, Asfar, Teheran A.H. 1378, VIII, pp. 108-29, 143-48; KARMANI, Rahat,
Baynn s.d., pp. 430·3 I.
" Nel Mabahith Razi segui fedelmente Aristotele e Avicenna e presentò le loro tesi con chia-
rezza. Nclla sua enorme esegesi del Corano (Tafsir) egli introdusse una massiccia quantità di infor·
llazioni scientifiche, comprese le teorie della riproduzione. Sfortunatamente per lui, le afferma-
aioni dd hadith erano esplicitamente contrarie alla teoria aristotelica. Una disamina dell'incertez·
a& di Razi avrebbe finito per concentrarsi sui tre seguenti elementi che caratterizzano la sua analisi
clelia riproduzione nel Tafsir: I) egli introduce ripetutamente la teoria aristotelica del seme (ma·
IChilcJ c del mestruo (femminile), sembrando quasi sempre approvarla, ma senza affermarlo espii-
750 Continuità e riusi
citamente (XXIII, pp. 6 sgg., 83 sgg.; XXIV, p. 144; XXVII, p. 85; XXX, p. 236); 2) attaccata·
!ora i «naturalisti» come «non credenti», ma lo fa in modo piu esplicito quando espone le tesi ip·
pocratico-galeniche (l'esempio migliore in XXXI, pp. r 30-3 r); 3) espone con forza la tesi che, sia
che si sostenga l'omogeneità del seme (Aristotele) che la sua eterogeneità (lppocrate), la riprodu·
zione richiede comunque l'intervento divino dal momento che null'altro potrebbe spiegare la strut·
turazione e la divisione del feto (XIX, pp. 224-25). Colpisce l'affinità di questo concetto con il
ruolo che Aristotele aveva assegnato al pneuma. lbn Qayyim, che conosceva bene le questioni me-
diche, considerò aristotelica la posizione di Razi e replicò ad essa in tal senso (Kitab al-tibyan /i IIIJ·
sam a/-Qur"an, al-Qahira 1933, pp. 330·31). Un differente approccio a Razi e alla riproduzione è
di s. BELGUEDJ, La co/lection hippocratique et/' embriologie coranique, in La collection hippocratique
et son ro/e dans /'histoire de la medicine, Leyde 1975, pp. J21·JJ.
•• JBN QAYYJM, A/-tibyan /i aqsam a/-qur"an, al-Qahira 1933 e Tuhfat a/-mawdud bi ahkam al·
maw/ud, Dimashq 1971.
Musallam La biologia greca nella scienza e nel pensiero religioso arabi 751
roe hanbalita) o nel suo tempo (il XIV secolo), o la collocazione testuale
della sua disamina (nei commentari al Corano, piuttosto che nella me-
dicina e nella filosofia naturale).
Egli incomincia con una descrizione del seme che segue da vicino
quella del trattato Il seme di lppocrate. Egli non ha indugi nel ricono-
Scere che la sua ipotesi (che il seme provenga da ogni parte del corpo)
non è che una delle due possibilità in un dibattito nel quale l'altra par-
te (cioè Aristotele) controbatte che il seme è una sostanza omogenea, un
residuo del nutrimento finale 25 Cosf Ibn Qayyim si inserisce nel seco-
lare dibattito sulla riproduzione. La disamina organica del tema della ri-
produzione negli scritti di lppocrate ha inizio prestando attenzione al
dato di fatto della somiglianza. Dal momento che i figli assomigliano a
entrambi i genitori, lppocrate deduceva che padre e madre contribuis-
sero al feto con un materiale riproduttivo analogo. A suo parere, il se-
me si forma quando l'eccitazione sessuale fa si che tutti gli organi e i
fluidi del corpo rilascino particole della loro essenza che rappresentano
e possono duplicare il loro aspetto nel figlio. Il seme è la massa compo-
sita di tali particole. Deriva da tutte la parti del corpo di ciascuno dei
aenitori e raggiunge ogni parte del corpo del figlio: «[il figlio] deve ine-
vitabilmente assomigliare, in qualche aspetto, sia all'uno che all'altro
dei genitori, dal momento che è da entrambi i genitori che lo sperma
muove per formare il figlio. Il figlio assomiglierà nella maggior parte del-
le sue caratteristiche a quel genitore che ha contribuito con il pio gran
numero di proprie particole corporali»26 • Questa tesi di lppocrate sem-
brava spiegare la somiglianza generica dei figli ai genitori, quanto le so-
miglianze specifiche di alcuni organi, come ad esempio la forma del na-
so o delle mani. Nel XIX secolo Charles Darwin avrebbe avanzato quasi
la medesima teoria per spiegare l'ereditarietà, e le avrebbe dato il nome
di pangenesi21 •
lbn Qayyim sostenne la propria scelta della teoria della pangenesi
usando una serie di argomentazioni. 1) Il piacere sessuale, quando rag-
giunge l'orgasmo, coinvolge l'intero corpo. 2) Gli organi dei bambini as-
somigliano a quelli dei genitori; la somiglianza complessiva indica che
ogni organo contribuisce per la propria parte. 3) Se il seme fosse una so-
stanza unitaria, sarebbe impossibile che venissero generati organi diversi
~on le loro differenti forme, dal momento che una singola forma agisce
sopra una materia soltanto producendo ciò che le è simile. Anche la de.
bolezza generale del corpo dopo l'eiaculazione dimostra che il seme è
formato dal corpo intero 28 •
Queste argomentazioni a favore della pangenesi erano sostanzialmente
quelle che lo stesso Aristotele ha enumerato nel De generatione animalium
(7 2 I b), ma per confutarle. Ibn Qayyim presenta subito le obiezioni di
Aristotele in un breve ma accurato resoconto dell'originale. x) Se il se-
me dovesse passare dalla testa alle altre estremità del corpo, allora si do-
vrebbe provare l'orgasmo in continuazione prima dell'eiaculazione, dal
momento che il piacere sessuale deriva dal passaggio del seme attraver-
so gli organi (723b-724a). 2) Se il padre e la madre contribuissero en-
trambi con il seme, allora i due semi dovrebbero sempre dare luogo a due
embrioni nell'utero, uno maschio, dal padre, l'altro femmina, dalla ma-
dre - poiché ogni seme contiene un insieme completo delle sostanze dei
corpi di tutti gli organi di entrambi i genitori (722b). 3) Come per l'ar-
gomentazione fondata sulla somiglianza completa, anche quella della so-
miglianza generale si estende alle unghie e ai capelli, che - tutti concor-
dano- non secernono alcunché (722a). 4) Il figlio può assomigliare a un
lontano antenato piuttosto che ai propri genitori (722a). C'è un hadith
che sostiene tale punto: Un uomo si lagnava che sua moglie aveva dato
alla luce un bambino nero. Il Profeta gli domandò se egli possedeva dei
cammelli, e quando l'uomo rispose «Si», il Profeta gli domandò: «Di che
colore sono?» «Neri». «Generano mai essi cammelli grigi?» «Si» «E co-
me spieghi ciò?» «Forse c'è una tendenza nell'eredità». «Dunque il [bam-
bino] deriva allo stesso modo da una tendenza nell'eredità». 5) Se il se-
me comprendesse parti di tutti gli organi, allora tali parti occuperebbe-
ro ciascuna il proprio posto in relazione l'una con l'altra, oppure no. Se
lo facessero, allora ciò implicherebbe che il seme è un minuscolo anima·
le completo in se stesso, ma se tale implicazione viene rifiutata, allora
non c'è alcuna somiglianza definitiva (722b) 2'
Queste sono le argomentazioni originali di Aristotele contro la pan·
genesi, illustrate da un hadith appropriato, cui Ibn Qayyim aggiunse un
elemento dall'opera di Fakhr al-Din Razi, il quale aveva elaborato l'ul-
tima argomentazione aristotelica sostenendo che un organismo di tal sor-
ta è impossibile perché il seme è un liquido che non può conservare la
posizione precisa dei differenti organi e il loro specifico ordineJO. La pre-
sentazione di Ibn Qayyim rispecchia l'argomentazione cosi come ap-
"Ibid., pp. 334·35· Il tema è affrontato in modo parallelo in ID., Tuh/atcit., pp. 274·75, 277,
e ID., Turuq, al-Qahira A.H. I3I7, pp. 198-99·
" ID., Tibyan cit., p. 335·
Musall~m La biologia greca nella scienza e nel pensiero religioso arabi 755
alla realtà sociale piuttosto che alla biologia (e, ovviamente, la realtà so-
ciale muta). La teoria del pari contributo di maschio e femmina conte-
nuta nel hadith pare aver escluso la possibilità di dare fondamento ra-
zionale a un trattamento non paritetico delle donne richiamandosi a sup-
poste inferiorità biologiche femminili.
Questa teoria impregnò l'intero pensiero religioso islamico e fu cen-
trale, ad esempio, per l'argomentazione di Ghazali a favore della con-
traccezione41. Senza di essa sarebbe difficile comprendere pienamente
il notevole consenso tra i giuristi musulmani classici sulla liceità della
contraccezione42 • Ghazali defini <mulla» il seme maschile quando non
era unito a quello femminile e «insediato» nel ventre. Qurtubi nel suo
commentario al Corano non fa giri di parole: «il seme non è nulla di de-
finito (yaqinaan) e non ha importanza se la donna se ne libera prima che
sia insediato nel ventre; infatti, prima di ciò è come se esso si trovasse
ancora nel corpo stesso dell'uomo» H. Né il seme maschile né quello fem-
minile in sé avevano grande rilievo, e la legge religiosa non si spingeva
a proteggere nessuno dei due. Nell'opposta teoria aristotelica al seme
maschile spettava invece una supremazia evidente, e per i suoi seguaci
esso era addirittura il vettore dell'anima umana. Avicenna, nel Hayawan,
affermò abbastanza esplicitamente che il seme maschile «è in ogni suo
organo simile al principio mobile. Da esso si forma l'anima»44 . Sarebbe
difficile sostenere che Ghazali e Qurtubi ignorassero l'alternativa ari-
stotelica quando formularono le loro tesi. Se i giuristi musulmani aves-
sero seguito Aristotele, avrebbero trovato davvero difficile consentire
la distruzione del seme come avviene nella contraccezione. I religiosi
musulmani, dunque, non attribuirono alcun valore sacrale al seme in
quanto tale e alcuni giuristi ortodossi giunsero addirittura a permettere
la masturbazione4J
Vi sono due concetti centrali che descrivono la posizione nei con-
fronti della riproduzione nella letteratura religiosa islamica. Il primo,
che abbiamo esaminato sino a questo punto, è che il padre e la madre
forniscono in modo paritetico la forma e la materia del nascituro. Il se-
condo, che andremo a discutere ora, è che il feto sia una nuova creatu-
ra che procede attraverso differenti stadi e si sviluppa'" La convinzio-
ne che il feto passi attraverso differenti stadi, e che gli organi si svilup-
pino non tutti insieme e immediatamente, bensi l'uno dopo l'altro, vie-
ne definito epigenesi. Su questo punto i teologi musulmani non ebbero
alcun disaccordo con Aristotele, dal momento che sia la tradizione scien-
tifica medica che la filosofia naturale sostenevano l'epigenesi quale mo-
dello dello sviluppo fetale 47 •
Il Corano non lascia dubbi sul fatto che il feto sia sottoposto a una
serie di trasformazioni prima di divenire umano. La riproduzione- co-
me segno inconfutabile della maestà e del potere di Dio - è il soggetto
di alcuni tra i piu eloquenti passi del Corano. Alla luce dell'attenzione
che essi hanno ricevuto nella storia dei commentari del Corano e della
Legge islamica, i due passi piu importanti sono tratti dai capitoli Il pef.
legrinaggio (Sura XXII, 4) e I credenti (Sura XXIII, 12-14). Il primo pas-
so recita:
O umanità! Se tu dubiti della resurrezione,
a. [considera] che ti abbiamo creato dalla terra;
b. poi dal seme;
c. poi da un grumo come di sangue;
d. poi da un pezzo di carne;
dd. [che ha] forma o non ne ha;
cosi che possiamo dimostrarti [il nostro potere];
.,. La presa che questi due concetti ebbero sui pensatori religiosi islamici mostra che le opinioni
preformazioniste rimasero decisamente circoscritte. Quando tali opinioni si espressero, rimasero stret·
t a mente limitate dall'esplicita posizione del Corano che il feto è una nuova creatura, sottoposta a nu·
merose trasformazioni. Un corollario necessario all'idea della preformazione è che Dio creò tutti i fu·
turi individui, compresa ogni anima umana, sin dal principio. La riproduzione è il processo di disve·
lamento di queste anime preesistenti in serie; implica la crescita, ma non la differenziazione. Se l'lslam
avesse sostenuto la creazione di ogni anima individuale per la prima volta come feto nell'utero, ciò
avrebbe precluso, di per sé, la possibilità di prendere seriamente in considerazione la preformazione;
ma anche la posizione secondo cui entrambi i genitori contribuiscono in modo paritetico alla ripro·
duzione è di ostacolo all'ipotesi della preformazione. Dal momento che la preformazione immagina·
va il futuro individuo come una creatura minuscola e completamente formata che aveva bisogno
dell'ambiente dell'utero soltanto per crescere, uno solo dei genitori poteva esserne l'origine. Il futu·
ro individuo poteva preesistere nel padre come nella madre. Il hadith che descrive come Dio trasse
ogni uomo futuro dalla schiena di Adamo in modo che essi potessero riconoscere la Sua sovranità eon
il giuramento (il «giuramento originale») venne interpretato principalmente alla luce delle due teorie
islamiche dominanti sulla riproduzione, che abbiamo descritto piu sopra. Cfr. IBN QUTAIBA, Ta'wi/,
al-Qihira A.H. IJ26, pp. I04·7, e IBN QAYYIM, Ruh, Haydarabad A. H. I357• pp. I77, I82, I92 sgg.
(in particolare I 98-99). w8, 2 I 3- I6. L'esegesi coranica trascurò quasi completamente questo hadith
occupandosi della riproduzione (cfr. oltre, nota 48). Alcuni commentatori sciiti del Corano lo intro·
dussero improvvisamente nel xvn secolo: cfr. FAID AL·KASHI, Safi, 2 voli., Teheran A.H. IJ87, Il,
parte I, pp. I I I -12, e BAHRANI, Burhan, 4 voll.,Teheran I956, III, p. 78.
47
È certo che vi fu una discussione accesa sulla successione dello sviluppo degli organi prin·
cipali, cuore, cervello e fegato. Questa disputa oscura spesso la concordanza scientifìca di fondo
sull'epigenesi.
Mudlam La biologia greca nella scienza e nel pensiero religioso arabi 759
'AHARI, Jami, 30 voli., ai-Qiihira 1954, XVIII, p. 7; Tusr, Tibyan, ro voli., Najaf 1962.,
VII. r 2\)1; BAGIIAWI, Ma'a/im cit., V, p. 4; TABARSI, Ma;ma' a/-bayan, Teheran A.H. 1379. VII,
p. 7• 111~ AL·JAWZI, Zad a/-masir, 9 voli., Bayriit 1965, V, pp. 406, 462; RAZI, Tafsircit., XXV, pp.
109. '7l; BAIDAWI, Ta/sir, 8 voli., Bayriit s.d., VI, p. 282 (ABU AL·SA'UD, Irshad, 5 voli. Riyad s.d.,
IV, pp. 6 sgg. e 48 sgg., segue Baidawi); KHAZIN, Lubab cit., V, p. 4; IBN JUZAI, Tashi/, 4 voli.,
Baynn 1 \l7J, III, p. 35; IBN KATHIR, Tafsir, 4 voli., Bayriit 1969, III, p. 206.
" Le affermazioni piu esplicite sono di Tusi e Baidawi; le si veda alla nota precedente.
"Cfr. le fonti citate alla nota 49: TABARI,]amicit., XVIII, pp. I r, I 17; TUSI, Tibyancit., VII,
p. y; J, TAIIARSI, Ma;ma' al-bayan cit., VII, p. ror; ZAMAKHSHARI, Kashshaf, 4 voli., Bayriit, 1947,
III, p. 178; RAZI, Tafsir cit., XXX, p. 234; BAIDAWI, Tafsir cit., VI, p. 323; IBN AL-JAWZI, Zad al-
111aw ci t., V, p. 406; IBN AL·JUZAI, Tashi/ ci t., III, sull'epigenesi (ma le si confronti con l'interpre-
tazione esoterica di Ism'ilil della citazione dal capitolo I credenti, in KARMANI, Rahat cit., pp. 48I·
82, c '"III AB AL·DIN, Idah, Bayriit I964, pp. 28 sgg·.).
" MU~ALLAM, Sex cit., pp. 57·59·
760 Continuità e riusi
se: Ciascuno di voi si forma nel ventre di sua madre per quaranta gior-
ni come nut/a, poi diventa 'alaqa per un periodo altrettanto lungo, poi
mudgha per un altro periodo eguale, poi viene inviato l'angelo e questi
gli soffia dentro l'anima».
Queste fasi dello sviluppo stabilite per i credenti dal Corano e dal ha-
dith si accordano, in sostanza, con la descrizione scientifica datane da
Galeno. Nel De semine (Kitab al-mani), ad esempio, Galeno parla di quat-
tro fasi nella formazione dell'embrione: I) materia seminale; 2) agglo-
merato di sangue (ancora senza carne, e in cui gli inizi di cuore, fegato e
cervello sono formati in modo rozzo); 3) l'embrione acquista carne e con-
sistenza (il cuore, il fegato e il cervello sono ben delineati e incomincia-
no a formarsi le me~bra); 4) tutti gli organi raggiungono la perfezione e
il feto incomincia a muoversi52 • I musulmani medievali apprezzarono que-
sta coincidenza di opinioni tra il Corano e Galeno, dal momento che la
scienza araba si servi dei medesimi termini adoperati da Galeno per de-
scrivere gli stadi di formazione del feto (sulla base del Canone di Galeno
elaborato da Avicenna): nut/a per il primo, 'alaqa per il secondo, mudgha
informe per il terzo e mudgha «formato» per il quartd'
Quando Ibn Qayyim volse la propria attenzione all'embrione nelle pri-
me fasi del suo sviluppo, forni la descrizione scientifica tradizionale della
sua crescita e della sua differenziazione cosi come può essere letta in Avi-
cenna e in qualsiasi testo arabo medievale54 • Quando i due semi entrano in
contatto nell'utero e si mescolano, l'utero sviluppa un conglomerato den-
so e ha inizio il concepimento: I) l'unione dei due semi gira su se stessa e
diviene sferica. Cresce in questo modo per sei giorni interi e, mentre cre-
sce, nel centro compare un punto, e quella è la sede del cuore. Un altro
punto compare in alto ed è il punto del cervello, e uno sulla destra, che è
il punto del fegato. 2) Questi punti incominciano a separarsi l'uno dall'al-
tro e fra loro compaiono delle linee rosse, processo che si protrae per altri
tre giorni interi. 3) In altri sei giorni i vasi sanguigni raggiungono ogni par-
te dell'embrione e i tre organi assumono forma precisa. 4) In altri dodici
giorni si sviluppa il midollo spinale (portando cosi il totale a ventisette gior·
bo, e il seme attira l'aria dentro questa membrana e la respira, nel modo che abbia-
mo menzionato sopra ... Quando il seme diventa feto si formano numerose altre
membrane e crescono all'interno della membrana originaria, formandosi nello stes-
so modo della prima. Alcune membrane si formano all'inizio, altre dopo il secondo
mese, altre dopo il terzo mese ... » (B) Questa è la ragione per cui Dio dice :«Egli ti crea
ne/grembo di tua madre,dandoti una/orma dopo l'altra, in tre oscurità» (Corano, 39.6).
(c) Poiché ognuna di queste membrane ha la propria oscurità, quando Dio parlò degli
stadi della creazione e del passaggio dall'uno all'altro stadio parlò anche dell'oscurità
delle membrane. (D) La maggior parte dei commentatori spiega che si tratta dell'oscurità
del ventre, dell'oscurità dell'utero e dell'oscurità della placenta ... (E) e lppocrate af-
ferma: «Le membrane esistono soltanto quando si sono formati la carne e il corpo;
quando il feto cresce, anche le membrane crescono e formano delle sacche fuori del
feto. Quando il sangue scende dalla madre al feto, esso lo attira a sé e lo adopera
come nutrimento, e la sua carne cresce. Il sangue in eccesso, che non è adoperato
come nutrimento, scende negli interstizi fra le membrane, e questa è la ragione del
nome di 'chorion' dato alle membrane quando formano sacche per contenere il san-
gue ... (F) E io dico che questa è la ragione per cui la donna incinta cessa di mestruare, e
se il sangue compare, ciò avviene a causa di un male, non a causa della mestruazione. (G)
Questo punto è sostenuto da uno dei due hadith che seguono il quesito di 'Aisha (H) e
la ben nota posizione di Ibn Hanbal, invariabilmente accettata dai suoi seguaci. (I) È an-
che la posizione di Abu Hanifa. (J) Al-Shafi'i, secondo la sua personale traduzione del
hadith che segue il quesito di 'Aisha, ha invece tenuto fermo che questo sangue deve es-
sere ritenuto mestruale; (K) e Ibn Hanbal si trova d'accordo con lui in una linea tradi-
zionale che è stata accettata dal mio maestro (Ibn Taimiyya). (L) La razionalità di que-
ste posizioni è evidente, dal momento che la Legge islamica consente alle donne di aste-
nersi dal digiuno e dalla preghiera quando appare il sangue;e si tratta di una legge_ generale.
alla quale né Dio né i suoi messaggeri hanno introdotto alcuna eccezione. (M) E vero che
il sangue viene deviato per nutrire ilfeto, ma dopo che il feto è stato saziato può forse re-
stare del sangue in eccesso, che si manifesta come sangue mestruale ... (N) lppocrate af-
ferma: «Le ossa divengono dure per il calore, poiché il calore rafforza le ossa ... Il
capo spunta dalle spalle e le braccia, con gli avambracci, spuntano dai fianchi, e le
gambe si separano l'una dall'altra. I tendini si sviluppano intorno a tutte le artico-
lazioni per tenerle insieme e renderle forti . . . La bocca si apre spontaneamente e
dalla carne prendono forma il naso e le orecchie. Le orecchie sono aperte, come gli
occhi, che sono colmi di un liquido chiaro». (o) Diceva il Profeta in una preghiera
«Benedico Colui che ha fatto il mio viso e ne ha plasmato la forma, e mi ha dischiuso le
orecchie, e la vista» .. .
66
IBN QAYYIM, Tibyan cit., pp. 340-41; ID., Tuhfat ci t., p. 28r.
" Ibid., pp. 20-2 r.
61
ID., Tibyan cit., pp. 374·75·
DIMITRI GUTAS
Il presente comributo raccoglie idee e riflessioni che ho già presentato in diversi articoli e
corliercnzc, in parte pubblicati: Fiiriibi and Greek phi/osophy, in E. YARSIIATER (a cura di), Ency-
~l"{lacdia lranica, IX, New York 1999, pp. 219-23; Avicenna. Die Metaphysik der rationalen See/e,
Philosophen des Mittelalters, Darmstadt 2000, pp. 27·41; Theheritageof
lll'l K<>BlJSCII (a cura di),
Atiwma thc Rolden age of Arabic philosophy, woo-IJJO, di prossima pubblicazione negli Atti del-
la <'<~nlncnza internazionale su Avicenna e la sua eredità, tenuta a Lovanio nel settembre 1999 (a
.çura di]. Janssens). Desidero esprimere qui la mia sincera gratitudine ad Amos Bertolacci per la
~a magistrale traduzione del presente contributo.
t ' Sui cambiamenti strutturali avvenuti nella società bizantina durante il VD secolo e le loro
~lise cfr J. F. IIALDON, Byzantium in the 5eventh Century: The Transformation o/ a Culture, Cam-
. rùgc 1990, specialmente pp. 425·35·
768 Continuità e riusi
l x origini, cause e sviluppi del movimento di traduzione greco-arabo sono discusse in det·
tagli" in Il. GlJTAS, Greek Thought,Arabic Culture, London 1998. Per un sommario degli argomenti
prin, lpali della prima parte di questo libro cfr. la recensione di C. D'Ancona in «Elenchos», XX
( 19'J•JI, pp. 209-15.
' Ur J. VAN Ess, Theologie und Gesel!schaft im 2 und 3. jahrhundert Hidschra. Eine Geschich·
tedn rdi.~iosen Denkens im/riihen lslam, Berlin 1991·97, I, pp. 423·34, 436·43.
770 Continuità e riusi
' La provenienza di queste idee non è ancora chiara. Un'ipotesi molto probabile è che furono
trasmesse da teorie sostenute da pensa tori dualisti come i manichei e i bardesaniti. Di fatto lepri·
me discussioni astratte in cui la teologia islamica si impegnò hanno a che fare con questioni di teo·
ria fisica: atomi, spazio e vuoto. L'atomismo e il dogma ad esso concomitante, l'occasionalismo,
rimasero per secoli uno dei capisaldi della corrente principale della teologia islamica.
6
Cfr. A. DIIANANI, The Physical Theory of Ka/am Atoms, Space, and Void in Basrian MtOazili
Cosmology, Leiden 1994, pp. 182-86.
7
Su questi pensatori cfr. VAN ESS, Theologie cit., I, pp. 349 sgg., e III, pp. 296 sgg.
' Al-Kindi enuncia esplicitamente questo obiettivo programmatico in diverse opere, tra cui la
Filosofia prima e il suo Almagesto. Cfr., rispettivamente, A. IVRY, Al-Kindi's Metaphysics, Albany
1974, p. 58, e F. ROSENTIIAL, Al-Kindi and Ptolemy, in Studi orientalistici in ono" di Giorgio Levi
della Vida, Roma 1956, pp. 444-45.
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 771
.. Cfr. D. GUTAS, Plato's Symposion in the Arabic tradition, in «Oriens>>, XXXI (1988), pp. 36·
6o; rist. in ID., Greek Phi/osophers in the Arabic Tradition, Aldershot 2000, tV.
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 773
sahilc per un pensiero serio e rigoroso. Sebbene nella serie dei suoi im-
mediati successori, in particolare as-Sarakhsi (m. 889), Abu-Zayd al-
Balkhi (m. 934) e al-'Amiri (m. 992), la filosofia lentamente svani con
un graduale declino verso l'apologetica, la sua causa fu ripresa da una
nuova generazione di pensatori che, per cosi dire, reintrodussero la fi-
losoiia a Baghdad, approfittando del fatto che, grazie agli sforzi di al-
Kindi e del suo circolo, essa aveva trovato spazio nell'ambiente intel-
lettuale della capitale. Questa seconda serie di filosofi che scrissero in
ara ho è quella degli aristotelici di Baghdad, iniziata dallo studioso e tra-
duttore nestoriano Matta lbn-Yunus (m. 940). L'aristotelismo di que-
st'ultimo può essere ricondotto direttamente ai commentatori alessan-
drini, e raggiunge, al di là di questi, Alessandro di Afrodisia e Temistio.
Il suo collega al-Farabi (m. 950), il discepolo di al-Farabi Yal;tya Ibn-'Adi
(m. 974) e l'ampia cerchia degli studenti di quest'ultimo, primi tra tut-
ti Abu-Sulayman as-Sijistani (m. 985 c.), 'Isa lbn-Zur'a (m. wo8), al-
I:Iasan Ibn-Suwar (m. 1030 circa) e Abu-1-Faraj Ibn-a!-Tayyib (m. 1043),
intrapresero un'analisi testuale e un'interpretazione filosofica rigorosa
delle opere di Aristotele e composero monografie indipendenti su tutti
i rami della filosofia.
Il curriculum filosofico adottato dagli aristotelici di Baghdad rispec-
chiòla classificazione delle scienze che era corrente ad Alessandria du-
rante la tarda antichità, una classificazione che si era sviluppata a par-
tire da quella delle opere di Aristotele. L'Organon di Aristotele, segui-
to dalla Retorica e dalla Poetica e preceduto dall'Isagoge di Porfirio, co-
stituiva il gruppo canonico dei nove libri della logica, lo strumento del-
la filosofia. La filosofia vera e propria era poi divisa in teoretica e pra-
tica, la filosofia teoretica era ulteriormente articolata in fisica, mate-
matica e metafisica, mentre la filosofia pratica era suddivisa in etica,
economia (conduzione domestica) e politica. L'intero curriculum, com-
prensivo di tutte le opere esistenti di Aristotele, fu tradotto in arabo.
La richiesta di traduzioni proveniva da vari settori sociali, ma special-
mente dai filosofi che, ad eccezione di al-Farabi, in molti casi erano an-
che gli autori stessi delle traduzioni. L'intero corpus degli scritti di Ari-
stmde (con la sola eccezione della Politica, della quale solo alcuni estrat-
ti furono resi disponibili) e la serie completa dei commenti, da Alessan-
dro di Afrodisia in poi, furono assunti come curriculum arabo dei testi
canonici di logica, fisica, metafisica ed etica; questo avvenne ad opera
di Matta Ibn-Yunus, il quale forni anche le direttrici metodologiche per
lo studio di questi testP 5
Cfr. G. ENORESS, Matfli b.Yiinus, in Encyclopaedia o/ Islam, VI, Leiden 19891, pp. 844-46.
774 Continuità e riusi
Ur D. GUTAS, Pau/ the Persian on the classification of the parts ofAristotle's phi/osophy :a mile-
s~onc :,c/li'<'OJ!I/exandria and Baghdad, in «Der Islam», LX (1983), p. 252 e n. 51, p. 256 e n. 61;
flst. in Il> , Grcek Phi/osophers cit., IX.
. (.l r m., The starting-point of phi/osophica/ studies in A/exandrian and Arabic Aristote/ianism,
N\X 11· 1 ORTENIIAUGJJ (a cura di), Theophrastus ofEresus. On His Lifeand Work, New Brunswick
.J Oxford 1985, pp. 115-16; rist. in GUTAS, Greek Philosophers cit., x.
"Ur m., Pau/ the Persian cit., pp. 231·38, 255.
Cfr. m., Galen's Synopsis o/Piato's Lawsand Fiinibi's Ta/khi$, in R. KRUK e G. ENDRESS (a cu-
ra di'. 'JIJ,· !lncient Tradition in Christian and Islamic Hellenism, Leiden 1997, pp. Ioi-19; rist. in
GUT,,, Greck Philosophers cit., v.
Cfr !Il., Aspects o/ /iterary form and genre in Arabic logica/ works, in c. s. F. BURNETT (a cu-
ra di,, (,fosscs and Commentaries on Aristote/ian Logica/Texts, London 1993, pp. 47-50.
776 Continuità e riusi
27
Per un'analisi, particolarmente rilevante per la comprensione che ne ebbe al-Farabi, della
teoria e pratica del metodo scientifico in Aristotele cfr. gli articoli di Balme, Lennox, Bolton e
Gotthelf in A. GOTIIIELF e J. G. LENNOX (a cura di), Philosophical Issues in Aristotle's Biology, Cam·
bridge 1987, parte II (<<Definition and demonstration: theory and practice»), pp. 65-198.
" Cfr. la discussione e gli ulteriori riferimenti in c. HEIN, De/inition und Enteilung der Philo·
sophie, Frankfurt · Bern- New York 1985, pp. 131-45·
" PORFIRIO, Isagoge, ed. Busse, pp. 4 sgg.; trad. araba in 'A. BADAWi, Man{iq Aristu, JII, al·
Qahira 1952, pp. 1027 sgg.
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 777
" Questo tema è stato trattato con una certa ampiezza nella letteratura recente. Cfr. in par-
ticolare R. WAI.ZER, New studies on ai-Kindi, in «Oriens», X (1957), pp. 229-30, rist. in ID., Grcek
into Arabic, Oxford 1962, pp. 201-2; ID., Aristotle's active intellect vovç JWtJJW<Òç in Greekand early
Islamic philosophy, in Platino e il neoplatonismo in Oriente e Occidente, Roma 1974, pp. 423-36.
Cfr. anche J. FINNEGAN, AI-Farabi e le :repi vov d'Alexandre d'Aphrodise, in Mélanges Louis Massi·
gnon, Il, Damascus 1957, pp. 133·52, e J. JOI.IVET, L 'intellect selon al-Farabi: quelques remarques,
in «Bulletin d'Etudes Orientales», XXIX (1977), pp. 251-59.
H GUTAS, Pau! the Persian cit., pp. 256·57, 265-66.
,. Cfr. R. WAI.ZER, Al-Farabi on the Per/ect State. Abu Na!ral-Fiiriibi's Mabiidi' ara' ah/a/-madina
al·fii4ila, Oxford 1985, pp. 363-65.
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 779
Traduzione basata sul testo (piu attendibile) della Falsafat Aristii di al-Farabi che viene ci-
t•uo nd 1\itiib an-Na$ipatayn di 'Abdallaçif al-Baghdadi, ms Bursa Hiiseyin çelebi 823, f. 87r; cfr.
M.llll>J, !1/farabi's Philosophy cit., p. IJO.
" WALZEK, Al-Farabi cit., pp. 229, 241.
AIUSTOTELE, Politica, IJJ4b15-17 (trad. di C. A. Viano).
" Cfr M. MAROTH, Griechische Theorie und orientalische Praxis in der Staatskunst von ai-Fiirtibi,
780 Continuità e riusi
in «Acta Antigua» (Budapest), XXVI (r978), pp. 465-69, e, per un'analisi piu dettagliata, ID., Die
Araber und die antike Wissenschaftstheorie, Budapest-Leiden 1994, pp. 215-22, e s. PINES, Aristo-
t/e's Politics in Arabic Philosophy, in <<lsrael Oriental Studies», V (1975), pp. 156-6o.
"Mabiidi', capp. 15-19, in WALZER, AI-Farabi cit., pp. 229-329, e in particolare pp. 277-85.
"TheMuqaddimah, trad. di F. Rosenthal, Princeton 1967, Il, p. 138.
41
Cfr. WALZER, AI-Farabi cit., pp. 425-26.
" Cfr. F. DVORNIK, Early Christian and Byzantine Politica/ Phi/osophy, Washington D.C. 1966,
capp. r r-12.
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 781
. . -~cl mondo islamico le opere di filosofia pratica nel senso aristotelico (etica, economia, po-
litrc:ll lmmarono una tradizione distinta ed ebbero piu la natura di Fiintempiege/ che di trattati fi-
los"lici Cfr. n. GUTAS, EthischeSchriften im Islam, in w. HEINRICHS (a cura di), Neues Handbuch
tkr I.Iteratuwissenschaft, V. Orienta/isches Mittelalter, Wiesbaden 1990, pp. 353-62.
" Cfr in particolare R. WALZER, Lost neoplatonic thought in the Arabic tradition, in Le Néo·
Pi.It"""""'• Colloques lnternationaux du CNRS (Royamount, 9-13 giugno 1969), Paris 1971, pp.
3 1 '12~, c, per un resoconto piu dettagliato, il commento in ID., Al-Farabi cit.
" Ur. M. MAIIDI, Al-Ftirtibi's imperfect state, in «]ournal of the American Orientai Society>>,
x
C (f'J<JO), pp. 691-726.
" Per una panoramica esaustiva su Avicenna e sulla sua opera cfr. la voce «Avicenna» in E.
YAK'IIATER (a cura di), Encyc/opaedia Ironica, III, London 1988.
782 Continuità e riusi
I. Isagoge;
2. Categorie;
3· De interpretatione;
4· Sillogismo (Analitici primi);
5. Dimostrazione (Analitici secondi);
6. Dialettica (Topici);
7. Sofistica;
8. Retorica;
9· Poetica.
B. FILOSOFIA TEORETICA:
"Al-Ishiiriit wa-t-Tanbihiit, a cura di S. Dunyii, 4 voli., al-Qahira 196o-68; trad. frane. di/...-
M. Goichon, Ibn Sinii, Livre des Directives et Remarques, Beyrouth-Paris 1951.
" Kitiibal-Shifii', 22 voli., ai-Qiihira 1952-83. La trad.latina medievale è edita da S. Van Rie 1•
Avicenna Latinus, Leiden 1968 sgg., 8 voli. finora (2ooo).
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 783
FII.OSOFIA PRATICA:
1. Etica;
11. Conduzione domestica;
111. Politica.
telletto per mezzo del quale pensiamo. Il retroterra della discussione avi-
cenniana è rappresentato senza dubbio dai capitoli Ill.4-5 del De anima
di Aristotele e dalla lunga serie di interpretazioni che essi generarono
nella tradizione greca. Questa tradizione fu continuata, come descritto
in precedenza, nell'opera di al-Farabi, in cui la noetica svolge un ruolo
unificante, e fu portata a perfezione da Avicenna, che si considerò un
successore di al-Farabi. Lo studio dei differenti aspetti della dottrina
dell'anima razionale in Avicenna coinvolge quasi tutte le branche della
filosofia e, per di piu, incorpora nel medesimo insieme razionale alcuni
argomenti appartenenti alla tradizione religiosa, come la profezia, lari-
velazione, i miracoli, la teurgia e la provvidenza divina.
L'anima razionale, secondo Avicenna, è una sostanza che sussiste di
per sé senza essere impressa nel corpo umano o in qualcos'altro di cor-
poreo; essa è completamente separabile e astratta dalla materia. Viene
all'esistenza assieme al corpo umano, non prima di esso, e vi mantiene
un certo legame fintanto che una persona è in vita. Avicenna definisce
questo legame in termini strettamente aristotelici, chiamando l'anima
razionale «l'entelechia prima di un corpo naturale dotato di organi», e
spiega la parte «razionale» dell'anima con l'aggiunta «in quanto spetta
ad essa compiere atti derivanti dalla scelta razional_e e dalla scoperta de-
liberativa, e in quanto percepisce gli universali»4' E chiaro pertanto che
l'anima razionale ha due funzioni, una teoretica (percepire gli universa-
li) e un'altra pratica (fare scelte razionali e prendere decisioni che con-
ducono ad azioni). Questa duplice funzione dell'anima razionale costi-
tuisce per gli uomini il nesso tra il mondo trascendente e il mondo del-
la natura, e rappresenta cosi la totalità dell'universo: la parte teoretica
percepisce il mondo sopralunare della realtà metafisica - gli intelligibi-
li, come vedremo tra poco - e la parte pratica regola il mondo subluna-
re della generazione e della corruzione che avvengono in natura. Altro-
ve Avicenna si dilunga sulla funzione dell'anima razionale dicendo che
il suo legame con il corpo deve essere inteso come la relazione tra colui
che usa uno strumento e lo strumento stesso, non come quella tra una
cosa e il suo ricettacolo; l'anima razionale, in altri termini, non è nel cor-
po, ma è in una posizione in cui, grazie alla percezione degli universali
e alle scelte razionali che ne derivano, governa e coordina il corposo
La sostanza che è l'anima razionale è immortale: quando il corpo a
cui è associata muore, l'anima razionale sopravvive in felicità o in tri-
•• F. RAIIMAN, Avicenna's De Anima, being the psychological parto/ Kittib ai-Shifii', Oxford 1959
[testo arabo], p. 40.1-4, corrispondente ad ARISTOTELE, Sull'anima, 2.1.412b5·6.
'" Nel suo opuscolo tardo Sull'anima razionale; trad. ingl. in o. GUTAS, Avicenna and the Aris·
totelian Tradition, Leiden 1988, p. 74·
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 785
C)ucsto è ciò che Avicenna afferma nelle sue Discussioni (Kitab al-Mubiibiithiit, a cura di M.
Bidiirlar, ()um 1413/1992, par. 237; trad. ingl. in GUTAS, Avicenna cit., p. 166, L12, par. 3).
786 Continuità e riusi
Il tema dell'intuizione è trauato in deuaglio in GUTAS, Avicenna cit., pp. 159-76. Cfr. an-
che 11, lntuition and thinking: the evolving structure o/ Avicenna's epistemology, in R. WISNOVSKY
(a CUi a JiJ, IJ.Spects of Avicenna, Princeton 2001.
788 Continuità e riusi
tro canto, possono essere regolate seguendo le norme che i libri di etica
dettano, e compiendo i doveri e le pratiche che la legge religiosa stabi-
lita dal profeta specifica. La condotta virtuosa, la. preghiera, il digiuno,
il pellegrinaggio e cose simili mirano tutte a equilibrare il temperamen-
to e a dare a una persona un carattere eccellente, facendo si che le fa-
coltà corporee dell'anima, l'appetitiva e l'irascibile, siano sottomesse
all'anima razionale. Quando le facoltà corporee sono soggiogate in que-
sto modo, l'anima razionale può concentrarsi sull'attività che piu le ar-
rec~l felicità, l'intellezione - cioè la scoperta dei termini medi o intui-
zione. Questo, per inciso, spiega perché Avicenna dica nella sua auto-
biografia che, quando aveva difficoltà a trovare il termine medio di un
sillogismo, andava alla moschea a pregare e poi tornava a casa a studia-
re aiutandosi con un po' di vino: il vino nella farmacologia antica e me-
die,·ale era un fattore di bilanciamento degli umori ben conosciuto. Per-
ciò, quanto piu un temperamento è vicino a uno stato di equilibrio, tan-
to più una persona è predisposta a sviluppare tratti eccellenti sia di
condotta che di conoscenza.
Il. vicenna conferma questa dottrina considerando la differenza spe-
cifica tra l'anima razionale umana e quella delle sfere celesti. Entrambe
sono sostanze la cui essenza consiste nel pensare gli intelligibili; ciò in
cui differiscono è la natura dei corpi a cui sono associate. L'intelletto
umano è associato a un corpo che è costituito dalla mescolanza dei quat-
tro clementi, la cui combinazione produce i quattro umori, e delle loro
qualità contrapposte (caldo, freddo, umido e secco). Le sfere celesti, al
contrario, la cui intellezione degli intelligibili è continua e perfetta, non
sono costituite in questo modo, e perciò sono completamente prive dei
suddetti opposti. Risulta chiaro pertanto che è il coinvolgimento in que-
sti opposti, e lo squilibrio nella costituzione dei corpi umani che ne de-
riva. ciò che impedisce all'anima razionale di intuire i termini medi q_,
detto altrimenti, di ricevere l'influsso divino dall'intelletto agente. E
dunque per questa ragione che quanto piu un temperamento è vicino a
uno stato di equilibrio, tanto piu una persona è predisposta a ricevere
questo influsso. E tuttavia gli esseri umani, non importa quanto i loro
temperamenti siano equilibrati, non sono mai completamente privi dei
diferti dovuti alloro coinvolgimento negli opposti. Finché l'anima uma-
na è associata al corpo, nessuno può essere totalmente pronto a inten-
dere alla perfezione tutti gli intelligibili, sebbene egli possa tendenzial-
mente avvicinarsi a questo stato dedicando tutti i suoi sforzi, con lo stu-
dio c il comportamento virtuoso, ad acquisire un temperamento equili-
brato, privo degli opposti che impediscono la ricezione dell'influsso di-
vino. Quando ciò accade, nella persona si crea una certa somiglianza con
792 Continuità e riusi
le sfere celesti. In questo stadio, se egli non pensa in atto gli intelligibi-
li (come intelletto acquisito), è tuttavia pronto a renderli presenti quan-
do vuole, poiché la relazione del suo intelletto con essi è quella di intel-
letto in atto. L'anima razionale diviene, come Avicenna menziona piu
volte, <<come uno specchio lucido sul quale vengono riflesse le forme del-
le cose cosi come esse sono in se stesse [cioè gli intelligibili] senza alcu-
na distorsione»' 6 • La pratica delle discipline filosofiche di carattere teo-
retico consiste in questo.
L'intellezione perfetta e continua degli intelligibili viene compiuta
dall'anima razionale solo quando il suo legame con il corpo è rescisso
dalla morte, dopo aver acquisito la conoscenza corretta ed eseguito le
azioni giuste. In questo stato postumo l'anima razionale conosce gli in-
telligibili proprio come, fanno gli intelletti delle sfere celesti, e diviene
simile a questi ultimi. E lo stato finale di beatitudine.
In questo sistema il soggetto dell'intellezione (l'intelletto umano), il
processo di intellezione (la scoperta del termine medio), il metodo di in-
tellezione (la logica) e l'oggetto dell'intellezione (gli intelligibili) sono
connessi l'uno all'altro in una relazione di interdipendenza e di spiega·
zione reciproca, e varie branche della tradizione filosofica aristotelica e
neoplatonica vengono armonizzate e interrelate: la dottrina dell'anima
costituisce la cornice entro cui l'epistemologia, per mezzo della logica,
riproduce la cosmologia (o l'ontologia), la quale a sua volta fonda la dot-
trina dell'anima. Anche la filosofia pratica, sotto forma di etica e legge
religiosa, viene incorporata nel sistema, come pure la medicina, la qua-
le fornisce una base biologica all'intera analisi dell'anima razionale- un
altro aspetto per il quale Avicenna dimostra di essere un valido seguace
di Aristotele.
Si tratta di una costruzione teorica affascinante, che riflette una vi·
sione integrale dell'universo e della posizione dell'uomo in esso, ed è re·
sa ancora piu potente dal suo assoluto razionalismo. Essa si rivelò irre·
sistibile nel mondo islamico 57 , dove dominò la filosofia araba e le cor-
renti intellettuali di rilievo ben oltre l'inizio dell'età moderna.
do di circa tre secoli di intensa attività filosofica, una vera e propria «età
aurea)), durante la quale tre linee principali di sviluppo possono essere
oss~rvate nella filosofia araba: a) le tendenze reazionarie di coloro che
obiettarono alla filosofia di Avicenna ponendosi in una prospettiva ari-
stotelica; b) le tendenze riformiste di coloro che la ritennero imperfet-
ta c si adoperarono per migliorarla; c) le tendenze lealiste di coloro che,
in generale, difesero le sue grandi linee.
a) I reazionari, cioè i conservatori, volevano invertire il corso della
storia e ritornare a un aristotelismo percepito come «originario», rifug-
gendo le sintesi innovative di Avice nn a. A questo gruppo appartiene
tutta la scuola dei filosofi andalusi. La linea aristotelica di Baghdad, e
specialmente l'opera di al-Farabi, fu trasmessa alla Spagna islamica (al-
Andalus) verso la fine del x secolo, e costituila base della tradizione fi-
losofica di quella regione, i cui maggiori esponenti furono Avempace
(Ibn-Bajja, m. I 139), Ibn-Tufayl (m. n86), Averroè (lbn-Rushd, m.
I 198) e Maimonide (lbn-Maymiin, m. 1 204). Questa tradizione fini con
la n.•conquista di tutta la Spagna islamica, ad eccezione di Granada, cir-
ca due decenni dopo la morte di Ibn-Tumliis (m. 1223), l'ultimo filo-
sofo andaluso di rilievo. Fin dall'inizio gli Andalusi se~brano essere sta-
ti scarsamente informati sulla filosofia di Avicenna. E chiaro, in ogni
caso, che Avempace, il loro primo esponente, conobbe solo al-Farabi: il
suo commento continuo della prima parte dell'Organon fino alla fine de-
gli Analitici secondi, che è conservato, è in realtà un commento del fa-
moso compendio di logica in dodici parti scritto da al-Farabi, non del
testo di Aristotele. Lo stesso vale per i sommari dell'Organon scritti da
Averroè - erroneamente chiamati «epitomi»s8 - che sono sommari del
testo di al-Farabi, non di Aristotele. L'esito finale della posizione rea-
zionaria fu, per questa scuola di pensiero, l'irrilevanza filosofica nella
tradizione araba. Averroè e i suoi due piu giovani contemporanei, Mai-
monide e Ibn-al-' Arabi, furono i prodotti di una cultura fiorente in al-
Andalus alla fine del XII secolo. A differenza dei suoi due conterranei,
tuttavia, che influirono in maniera profonda, rispettivamente, sulla tra-
dizione giudaica e su quella musulmana, Averroè, nonostante tutto il
suo acume come commentatore aristotelico apprezzato anche oggP', do-
po la sua morte non lasciò alcuna impronta nella filosofia araba.
Reazioni velleitarie pro-aristoteliche di questo tipo possono essere
" Per una classificazione dei commenti di Averroè ad Aristotele cfr. GUTAS, Aspects cit., pp.
54·)) .
.,, Cfr. s. !IARVEY, Conspicuous by his absence: Avenves' piace tod4y as an interpreter of Arista-
t/e, in c;. ENilRFss e J. A. AERTSEN(a cura di), Ave"oes and the Aristote/ian Tradition, Leiden 1999,
pp. \2-~<).
794 Continuità e riusi
'" La rilevanza di questo filosofo è stata rivendicata daU'opera di S. Pines. Cfr. la collezione
di articoli in s. PINES, Studies in Abii'1-Barakiit ai-Baghdiidi, Jerusalem 1979.
" Cfr. H. ZIAI, The illuminationist tradition, in s. H. NASR e o. LEAMAN (a cura di), History o/
Islamic Philosophy, London- New York 1966, I, pp. 466-67, con ulteriori riferimenti bibliografici.
" Cfr. H. ZIA!, Knowledge and 11/umination, Atlanta 1990.
" La storia di questa scuola è stata studiata in dettaglio e documentata da l I. Corbin e i suoi
studenti. Cfr. soprattutto H. CORBIN, En Islam lranien, 4 voU., Paris 1971.
Gutas Filosofia greca, filosofia araba 795
dio nelle scuole tradizionali (madrasa) del mondo islamico fino all'inizio
di questo secolo.
L'allievo di Athiraddin al-Abhari, Najmaddin al-Katibi, uguagliò, se
non oltrepassò, il maestro nella composizione di testi di studio destina-
ti a durare nel tempo. La sua opera logica Il trattato solare (ar-Risala ash-
Shamsiyya) godette di una reputazione tanto gloriosa quanto quella
dell' lsaghiiii di al-Abhari, cosi come la sua opera filosofica L'essenza del-
la filosofia (lf.ikmatal- 'ayn) gareggiò in popolarità con la Guida. Nel se-
colo successivo degni di nota sono al-'Allama al-l:lilli (m. 1325)- il gran-
de teologo della shi'a duodecimana, le cui opere logiche e filosofiche in-
trodussero il marchio dell' avicennismo nel pensiero sciita -, il suo allievo,
Qutbaddin at-TaQ.tani (m. 1364), e il discepolo di quest'ultimo, il fa-
moso as-Sayyid ash-Sharif al-Jurjani (m. 141 3).
La corrente principale dell'avicennismo e la sua variante illumina·
zionista continuarono per tutto il periodo mamelucco nel Vicino Orien·
te (1250-I517), nell'Iran safavide (I501-1732), nell'impero ottomano
dopo la conquista di Costantinopoli (1444-1730) e nell'India moghul
(1526-1858)". La filosofia (al-bikma) era una delle materie regolarmen·
te impartite agli studenti, come riportato in numerose descrizioni dei
curricula. Una storia particolareggiata dell'avicennismo dopo AviceiUla,
e della sua relazione con la filosofia greca e con gli sviluppi apportati da
Avicenna, tuttavia, deve ancora essere scritta.
La colonizzazione del mondo arabo da parte delle potenze occiden-
tali a partire dal XIX secolo ha provocato la diffusione della filosofia eu-
ropea moderna, soprattutto francese, tra gli intellettuali arabi. Il pen-
siero filosofico arabo moderno si sta adesso sviluppando lungo queste li-
nee, mentre, al tempo stesso, tentativi vengono fatti per riconnetterlo
con la filosofia araba tradizionale.
67
Per la filosofia araba in India sotto i Moghul cfr. M. G. ZUBAID AIIMAD, The Contribution o/
Indo-Pakistan to Arobic Literature, Lahore 1946, pp. 395·429. La filosofia araba durante l'epoca ot·
tomana rimane a tutt'oggi territorio inesplorato. Per un resoconto sulla sua vitalità ad opera del
grande bibliografo ottomano I:Iajji Khalifa (m. 1657) si veda il suo &shf a;-?uniin (Keif ei-Zunun),
a cura di Yaltkaya e Bilge, lstanbul 1941, I, p. 68o; trad. ingl. in GUTAS, Greek Thoughtcit., p. 173-
OLEG GRABAR
Figura I .
Luoghi menzionati nel testo.
• Manzikert
cy
/ Diyar~akir
,-:~d~sa
• Kalat Siman • Harran
• Aleppo MESOPOTAMIA
Dura·Europo
• Hama SIRIA
• Pa!mira
• Qasr al·llayr
• Damasco
• Anjar
• Basra
Kbirbat al-Mafjar• • Qujayr 'Amra
Ge.rusalcmme! • Amman Ukhaydir e
T • Mshatta
::!,.---B-et-lemme • PALESTINA
Kufa •
GIORDANIA
EGITTO
Grabar Memoria dell'arte classica nel mondo islamico 799
lh Damasco e Gerusalemme nella prima età islamica si vedano manuali classici come R. ET-
TINWWSFN e o. GRABAR , Islamic Art and Architecture, 640-1z6o, London 1987; le discussioni piu
appr"fonditc in o. GRABAR, The Formation o/ lslamic Art, New Haven 1983'; ID ., The Shape o/ the
Holr Princcton 1996.
Figura 2.
La grande moschea di Damasco.
Soo Continuità e riusi
'T. ALLEN, A Reviva/ o/Classica/ Architecture in Syria, Wiesbaden 1986; Y. TABBAA, Suroivaa
and archaisms in the architecture ofSyria, in «Muqarnas>>, X (1993).
' A. ABEL, La citade//e ayyoubide de Bosra, in <<Annales Archeologiques de Syrie», VI (1956).
' H. BLANCK, Bine penische Pinse/;zeichnung, in «Archeologische Anzeigen>, 1964, pp. 307-12;
u. PENNATI, La Ta:z:za Farnese, in Techno/ogie et Analyse des Gemmes Antiques, Atti del Convegno
di Ravello, Louvain 1994; c. GASPARI (a cura di), La Gemma Farnese, Napoli 1994.
Figur:t l 1\appresentazione della Tazza Farnese dai disegni negli «album Diez>>.
getto delle incisioni a renderla cosi preziosa finché non entrò nella col-
lezione di Lorenzo, ma il costo elevato della gemma in sé. Forse si cre-
deva che avesse qualche potere magico in grado di guarire, come spesso
accadeva per le pietre antiche che presentavano raffigurazioni e inci-
sioni oscure. A un certo punto di questo processo di trasmissione, sa:
rebbe stato l'interesse di un artigiano di corte per gli aspetti decorativi
dell'oggetto a conservare tracce di una gemma antica nel mondo dei Ti-
muridi, che regnarono nel xv secolo, anche se non vi è alcuna prova di
una possibile influenza della gemma sulle arti del tempo, e neppure a li-
vello di memoria collettiva.
In tutti questi casi di contatto di tipo grafemico possiamo dire in ge-
nerale che la cultura ospite, il mondo islamico nello specifico, ha avuto
la funzione di trasmettere un oggetto, una forma artistica, oppure ne ha
fatto uso, senza manifestare particolare attenzione per il suo significa-
to o per la sua destinazione originaria. L'interesse di questi esempi non
risiede tanto nel singolo caso, anche se curioso, quanto nella lezione che
essi offrono sulla modalità con cui forme artistiche specifiche possono
circolare o venire riutilizzate senza alcuna funzione semantica signifi-
cativa. Un giorno sarà forse possibile tracciare una mappa di tutti que-
sti casi, dividendoli per regione e per categoria, per separare gli esempi
di semplice riutilizzo da quelli in cui è stata operata qualche modifica,
anche se occasionate, come è accaduto con la cittadella di Bosra e il suo
teatro. Questa operazione servirebbe a definire meglio il processo di tra-
smissione delle forme, che nel suo carattere automatico e meccanico so-
miglia quasi a un processo biologico.
Le riprese e le connessioni di tipo morfemico sono identificabili per
due caratteristiche. La principale è che è possibile di solito rintracciare
una decisione concreta, una scelta specifica operata dall'ospite islamico;
la seconda caratteristica, corollario della prima, è che tali connessioni so-
no inferiori come numero e hanno una diffusione geografica molto piu
diseguale.
Ancora una volta predominano gli esempi del primo periodo islami-
co. Un caso interessante è rappresentato dalla tecnica di decorazione mu-
siva murale e pavimentale: entrambe possono essere considerate grafe-
miche per il fatto che i primi committenti islamici si limitarono a copia-
re un modo di decorare edifici privati, e pubblici che era stato per secoli
diffuso in tutta l'area mediterranea. E affermazione ricorrente - nono-
stante alcuni studiosi mettano attualmente in discussione la validità del-
la notizia - che vi fu uno spostamento di mosaicisti dalla stessa Bisanzio
a Gerusalemme, Damasco o Cordova, rispettivamente nel vrr, vm e x se-
colo. Ad ogni modo, questi mosaici del primo periodo islamico sono in-
Grabar Memoria dell'arte classica nel mondo islamico 803
Fi~urc ~ - 6.
Part i c- nl ;~ ri del mosaico pavimentale della grande sala termale di Khirbat ai-Mafjar.
8o4 Continuità e riusi
7
ETI1NGHAUSEN e GRABAR,Js/amic Art cit.; R. ETI1NGHAUSEN, From By:t.antium to Sasanian Iran
and Early lslam, Leiden 1972.
Figura 7 Particolare dei mosaici della moschea di Damasco, con architetture <<pompeiane>>.
tri, non possiamo a questo stadio della ricerca penetrare nella mente di
chi operò la :;celta o di chi reagi di fronte ad essa'.
A Mshatta, mentre la forma del largo quadrato centrale, con le tor-
ri massicce, mostra una chiara somiglianza con l'architettura romana dei
confini dell'impero (fig. 9), la celebre decorazione della facciata con i
monumentali triangoli (ora al Museo di Berlino) non ha alcun legame
strutturale o di altro tipo con il mondo antico, eccetto per alcuni detta-
gli grafemici nei motivi decorativi (fig. IO). Ma la disposizione della sa-
la del trono con la struttura a tre conche fu certamente scelta all'inter-
no di una rosa di possibilità diverse e implica una certa conoscenza e
comprensione delle forme antiche (o per lo meno della tarda antichità)
e delle loro implicazioni ideologiche. Mshatta è tuttavia un caso isola-
to, senza un contesto culturale che vi faccia da supporto; non possiamo
cosi spiegare la modalità con cui tale forma può aver attirato l'attenzio-
ne di un architetto o di un committente a metà dell'viii secolo' Il pro-
blema è ancora piu complesso se si guarda al caso di Qu~ayr 'Amra, il
famoso piccolo edificio termale dell'inizio dell'viii secolo, situato nella
steppa giordana, le cui pareti sono interamente coperte di dipinti. Seb-
bene gli affreschi siano stati puliti, pur con risultati un po' diseguali, e
sia in arrivo una pubblicazione congiunta del Dipartimento per le anti-
chità giordano e della missione archeologica francese in Giordania che
li illustra splendidamente, essi sono ancora noti soprattutto attraverso
i raffinati volumi di disegni pubblicati all'inizio del '900 da A. Musil 10
Essi offrono una panoramica su quasi ogni tipo di stile conosciuto
nell'area mediterranea e in Iran dal II secolo, comprese alcune singolari
rappresentazioni di personaggi nudi, un soffitto astronomico che imita·
va il globo romano e altri motivi che vanno dall'evocazione di scene di
vita del tempo (fig. 1 I) fino alle personificazioni di sovrani o di concet·
ti astratti, a cui spesso si affianca il nome greco insieme a quello arabo.
Possiamo solo presumere che chi fece costruire e utilizzò Qu~ayr 'Am-
ra sentisse l'eco antica dei motivi ornamentali di cui si serviva, ma qua-
si sicuramente i temi da rappresentare vennero scelti fra molti altri pos-
sibili.
Questi sono soltanto pochi esempi di un fenomeno che fu certamen-
• I reperti da Qa~r ai-I;Iair Ovest non sono stati pubblicati sistematicamente; l'ultima pubbli·
cazione, parziale, è Qasrei-Heirei-Gharbi, Paris 1986.
'1. LAVIN, The House of the Lord, in «The Art Bulletin», XLIV (1962).
•• Una pubblicazione parziale dopo i restauri è QusayrAmra, Madrid 1975; o. GRABAR, Lapio·
ce de Qusayr Amra dans l'artprofanedu Moyen Age, in «Cahiers Archeologiques», XXXVI (1988);
è in arrivo una pubblicazione completa a opera di C. Vibert-Guigues. Un'interpretazione interes·
sante del palazzo è stata proposta da G. FOWDEN, Empire o/Commonwealth, Princeton 1993, pp.
142 sgg.
,,
11
ETI1NGHAUSEN e GRABAR, [s/amic Art cit., p. 309 .
' OI'URD, The Seliuqs of Rum and the Antique, in «Muqarnas >>, X (1993) .
" N. LOWICK, The re/igious, the roya/ and the popular in the figura/ coinage of the ]az ira, in J. RABY
(a cura di), The Art o/SyriB and the Jazira ccoo-I2JO, Oxford 1985.
" R. ETTINGHAUSEN, Arab Painting, Geneva 1962.
11
o. GRABAR, Is/amic art and Byzantium, in « Dumbarton Oaks Papers», XVIII (1964), fig. r 5·
" E. IIOFFMAN, A Fatimid book cover:/raming and re/raming, in M. BARRUCAND (a cura di),
L'Egypte Fatimide, son art et son histoire, Paris 1999.
Grabar Memoria dell ' arte classica nel mondo islamico 811
" Ili N AL· RAZZAZ AL·JAZARJ, Book o/ Knowledge o/Ingenious Mechanical Devices, Boston 1974;
1. "J :JTZMANN , The Greek sources o/ Islamic scienti/ìc illustrations, in G. c. MILES (a cura di), Ar-
ehaeofo?,ìca Orientalia in Memoriam Emst Herz/eld, Locust Valley N.Y. 195 2 .
Figura 14.
La cupola deUa Sala deUe due soreUe all'Alhambra.
Grabar Memoria dell'arte classica nel mondo islamico 813
18
O. GRABAR, The A/hambra, London 1978, in particolare capp. 3·4; J. M. PUERTA VILCHEZ,
Los codigos de utopia de la Alhambra de Granada, Granada 1990. Per una prospettiva diversa, A.
FI!RNANDEZ·PUERTAS, The Alhambra I, London 1997.
" u. MONNERET DE VILLARD, Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina in Palermo,
Roma 1950; per una nuova interpretazione, w. TRONZO, The Cultures of his Kingdom: Roger II and
the Cappella Palatina in Palermo, Princeton 1997.
814 Continuità e riusi
Figura 15.
La moschea di Suleimaniyye a Istanbul, opera dell'architetto Sinan (1550-57l-
Grabar Memoria dell'arte classica nel mondo islamico 815
l.
l;LI ORIZZONTI DELLA PERSISTENZA LINGUISTICA.
1• Bisanzio: Greci/Pwf:.taioL.
ma, con la conquista della Roma «greca» da parte dei Turchi. Nel con-
testo cosi delineato, stabilire cosa sia propriamente «bizantino» rispet-
to alla cultura greca in Occidente, non è distinzione facile: senza dub-
bio la questione non può ridursi né a un fatto linguistico, che portereb-
be a considerare la civiltà bizantina come la naturale, e unica, evoluzione
delhi cultura greca, né al dato cronologico, che forzerebbe a creare una
cesura netta, sul piano letterario, artistico e generalmente culturale, in
corrispondenza della fondazione di Costantinopoli come capitale (330
d. C.). La stessa lingua ci mostra segnali di una percezione diversa: la
parte orientale dell'impero, permeata burocraticamente e amministrati-
vamente di «romanità», non era stata però linguisticamente colonizza-
ta. L'impero romano, dunque, si trovò a parlar greco: un greco certo con
un lessico farcito di latinismi, che spesso appaiono come dirette traslit-
terazioni, ma che anche nelle strutture retoriche, soprattutto nel lessi-
co amministrativo e giuridico, e pure nella prosa storica, tenderà a pie-
gare l'articolata libertà sintattica originaria verso la prevedibile concin-
nitas latina} Romani parlanti greco; greci - di lingua e di cultura - che
chiamano se stessi non con il nome antico di "EÀ.À.TJVEç, adoperato per
indicare spregiativamente i «pagani», ma con il termine 'PwJ!aiot4 • Una
particolarità che è spia di un'autocoscienza identitaria fondata sulla
complessità storica, per non dire su una vera e propra scissione dell'im-
maginario. Perché se linguisticamente e politicamente i bizantini si vor-
ranno tenacemente «Romei», culturalmente il patrimonio letterario bi-
dioe,·o e Rinascimento» (E. GARIN, Medioevo e Rinascimento (1954), Roma-Bari 1984, pp. 98-1oo).
La traecia teorica che vede nel «rinascimento>> l'acquisizione di un sentimento di distanza dell'an-
tico e solo in forza del distacco, di possibilità di un suo recupero - è uno dei fili argomentativi
del 1aggio di s. SETTIS, Continuità, disttJn:a, conoscenza. Tre usi dell'antico, in ID. (a cura di), Me-
mon,, dell'antico nell'arte ittJ/iana, III, pp. 373-486, in cui, all'interno dei meccanismi di trasmis-
sione, vengono messi a fuoco «i due aspetti peculiarmente distinti di auctorii/Js e di vetusi/Js. L' auc-
toril<ll implica l'adozione dei modelli classici data come normativa e insomma un riuso di elemen-
ti e regole in quanto fissati una volta per tutte, lungo una linea continua. La vetusi/Js, invece, è la
fornw che assume la tradizione quando, pur riconoscendo a determinati elementi del discorso di
riuso il valore di modello, li colloca al di là di ogni linea continua, quasi tessere di un mosaico che
adorni un'altra casa in un'altra città L'auctorii/Js implica successione cronologica e superiorità
gerarchica, la vetusi/Js implica stacco cronologico e persegue l'intenzione dello straniamento, e cioè
presenta elementi e norme del discorso di riuso come folgorazioni che piombino dall'esterno (da
un'et a remota e conclusa) sulla trama del presente».
' " l.a 'N uova Roma' del Bosforo mantenne il latino artificialmente solo negli usi ufficiali
dell'amministrazione, del diritto, dell'esercito, ma la lingua del popolo, della cultura e della reli-
gione era il greco. E fu appunto il greco che ebbe il sopravvento sul latino, anche negli usi uffi-
ciali, lino a farlo completamente sparire dalla cultura bizantina verso il principio del VII secolo»
(s. ll\ti'H.I.IZZERI, La letteratura bizantina, Firenze 1975, pp. t8-19).
' .. cosi i Greci assunsero spontaneamente il nome di 'Romei' ('Pwf.UJi:rn.) e si servirono da al-
~or~ in poi del loro antico, glorioso nome di 'Elleni' ("EUlJVEç) in senso dispregiativo e ostile per
tndJcare i pagani>> (K. KRUMBACHER, Letteratura greca medievale (19072 ), trad. it. a cura di S. Nico-
sia,l'alermo 1970, pp. 14-15).
820 Continuità e riusi
' Sull'icona come riproduzione dell'immagine «originale», che risponde solo alle sue proprie
leggi di fedeltà, arrivando a tradire i principi base del realismo e della verosimiglianza, cfr. P. FLO·
RENSKY, La prospettiva rovesciata, trad. it. a cura di N. Misler, Roma 1990, p. 123: «La rappre·
sentazione si limita inevitabilmente a esprimere, indicare, suggerire, alludere all'idea dell'origi·
naie, ma non riproduce affatto questa immagine in una copia o modello ... Nella contemp/4zione
del quadro [dell'icona] l'occhio dell'osservatore ... riproduce nello spirito l'immagine di nuovo pro·
lungata nel tempo di una rappresentazione che scintilla e pulsa, ma ora piu intensa e piu compat·
t a d eli' immagine derivante dalla cosa stessa, poiché qui i momenti piu splendenti, osservati asin·
cronicamente, sono dati allo stato puro, già concentrati, e non richiedono un dispendio di sforzi
psichici per fonderli senza scorie >>. L'intuizione di una «culturologia della spazialità» nell'arte, con
particolare riferimento allo spazio dell'icona, è sviluppata e ampiamente argomentata ancora da
ID., Lo spazio e il tempo nell'arte, trad. it. a cura di N. Misler, Milano 1995. In particolare sull'ico·
na come «finestra sull'invisibile» cfr. anche dello stesso autore Le porte regali. Saggio sull'icona,
trad. it. a cura di E. Zolla, Milano 1977, p. 65: «Come attraverso una finestra vedo la Madre di
Dio, la Madre di Dio in persona ... non la sua raffigurazione, ma Lei stessa, contemplata attraverso
la mediazione, con l'aiuto dell'arte dell'icona Il pittore di icone me l'ha indicata, si, però non
l'ha creata: egli ha tirato la cortina e l'ha rivelata». In generale, per la storia e la lettura spirituale
dell'arte iconica, resta fondamentale L. ousPENSKY, Theologie de l'icone, Paris 1982 [trad. it. Mi·
!ano 1995]. Una sintesi di straordinaria pregnanza sul significato dell'iconaè in DIMJTRIOS 1, I/ con·
ci/io di Nicea e 14 teologia delle icone. Enciclica di Dimitrios I, Patriarca Ecumenico di Costantinopo·
li, e Lettera apostolica di Papa Giovanni Paolo II sul Niceno II (in occasione del XII centenario del
concilio di Nicea), Magnano 1988, p. 5: <<La tradizione orientale conduce definitivamente alla
realtà delle icone. Questa tradizione insegna il valore teologico dell'espressione estetica dell'In·
carnazione divina, usando l'immagine al servizio dell'economia divina La tradizione ortodossa
va sempre piu lontano: essa dichiara che attraverso l'icona viene svelata la manifestazione della
presenza, dell'ipostasi divina, e vengono posti da parte o nell'ombra tutti i dettagli che cadono sot·
to i nostri sensi». Sull'ammissibilità delle immagini come «vere immagini» contrapposte agli eibw·
À.a pagani cfr. gli studi di E. KITZINGER, Il culto delle immagini. L'arte bizantina dal cristianesimo del·
le origini all'Iconoc!IJstia (1976), trad. it. Firenze 1992.
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 821
Nella selva dei testi della patrologia greca, ci troviamo di fronte alla
fioritura di una vera e propria nuova letteratura, con suoi generi e temi,
che solo sporadicamente presenta tracce di continuità verificabile e cer-
ta rispetto al ceppo classico da cui, almeno linguisticamente, deriva: si
tratta peraltro di una letteratura che, come origine e obiettivi essenzia-
li, nasce da istanze e ha esiti del tutto diversi da quelli della civiltà let-
teraria di partenza. L'esegesi e la parafrasi dei testi biblici, l'approfon-
dimento teologico, la fioritura del nuovo genere retorico dell'omelia, la
nascita dell'innologia, rispondono a funzioni- esegetiche, didascaliche,
teoretiche, liturgiche- sfasate, quando non discoste, rispetto all'inven-
zione, tutta occidentale e prima di tutto greca, di una letteratura com-
pletamente svincolata da necessità cultuali. Quindi una vera e propria
svolta che trasmuta in letteratura religiosa una lingua e una tradizione
letteraria che fin dalle origini risponde soltanto a regole sue proprie, a
canoni assolutamente artistico-letterari, e si vuole sciolta da ogni rigida
formalità rituale. Sarà peraltro proprio questa trasmutazione che con-
sentirà la continuità linguistica del greco come lingua liturgica della cri-
stianità orientale.
I.a cultura greca è originariamente, essenzialmente, profana. L'ag-
gettivo le si attaglia in modo specifico, secondo la sua etimologia: «da-
vanti al luogo sacro», pro-fana, la cultura greca muove le sue tensioni piu
feconde perché sta fuori dalla dimensione del sacro, ma sta pure in pros-
simità di quell'orizzonte, in dialogo aperto e continuo con la sacralità
del reale: questo principio si esprime in modo chiaro nel carattere sa-
cra/c, ma non religioso-liturgico in senso stretto, delle rappresentazioni
7
Sul carattere religioso e non liturgico della tragedia e sul suo profondo legame con la di·
mensione dionisiaca cfr.]. WINLER e F. ZEITUN (a cura di), Nothing to Do with Dionysus?, Prince·
ton N.}. 1990; in particolare F. ZEITUN, Thebes: theater o/ sei/ and society·in Athenian dramtl, pp.
I 30·37, e R. PADEL, Making space speak, pp. 336-65. Per una ricostruzione dello spettacolo tragico
e per le sue indirette ma indiscusse connessioni con la ritualità dionisiaca cfr. H. c. BALDRY, IGrr-
ci a teatro (I971), trad. it. Roma-Bari 1984. Da poco disponibile anche in traduzione italiana lo
studio complessivo di A. LESKY, La poesia tragica dei greci (I972), trad. it. a cura di V Citti, Bolo·
gna I 996. Per una interpretazione piu strettamente cultuale dei generi teatrali, in connessione con
le origini rurali dei culti dionisiaci, cfr. F. R. ADRADOS, Fiesta, comedia y tragedia, Madrid 1983.
1
Per la presenza di Dioniso nella cultura letteraria greca il punto di riferimento resta lo stu·
dio di w. OTTO, Dioniso (I93J), trad. it. a cura di A. Ferretti Calenda, Genova 1990; per l'ap-
profondimento di alcuni aspetti del dionisismo nella cultura letteraria ellenistica e romana cfr. il
piu recente R. MERKELBACH, I misteri di Dioniso. Il dionisismo in età imperiale romana e il romarr:co
pastorale di Longo (I988), trad. it. a cura di E. Minguzzi, Genova 1991.
' Sulla funzione e l'esecuzione degli «inni» e sulla genesi del termine cfr. F. CASSOLA, Intro·
du::done, in Inni omerici, Milano I975· Il fatto che gli inni «senza dubbio» non fossero destinati al
culto è opinione che, a partire dall'ipotesi di T. BERGK, Griechische Literaturgeschichte, I, Berlin
I872, viene poi ripresa da G. PASQUAU, «Omero», in Enciclopedia Italiana, XXV, Roma 1935, ed
è condivisa da gran parte degli studiosi che leggono le invocazioni agli dèi contenute negli inni co-
me preludio alle recitazioni epiche dei rapsodi. Di parere diverso è chi vuole identificare in queste
composizioni i «proemi degli dèi» di cui parla per primo TUCIDIDE, J.I04, menzionando un nQOOi·
j.UOV 'AnòUwvoç, recitato in occasione delle feste Delie. Ma questa ipotesi di un uso dell'inno co-
me «proemio>> rituale appare difficilmente conciliabile con la lettura critica, generalmente condi·
visa, dell'inno come «preludio rapsodico»: cfr. A. LESKY, Storia della letteratura greca (1957·58),
trad. it. a cura di F. Codino, Milano I962, pp. I2o sgg. Certamente cultuale, nell'ambito della ri·
tualità misterica, è invece la funzione dei cosiddetti «inni orfici», prodotti della religiosità sincre·
tica della tarda antichità: cfr. G. FAGGIN, Introdu:cione, in Inni or/ici, a cura di G. Faggin, Roma
I986.
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 823
Il.
GLI ORIZZONTI DELLA PERSISTENZA CULTURALE.
Parole dure, difficili, sulla bocca del «Teologo». Gregorio tenta, per
tutta la vita e in tutti i suoi scritti, la difficile conciliazione tra la sa-
pienza antica - sapienza tragica e disperata - e la fede. Solo guardando
nell'abisso profondo di questa contraddizione Gregorio può opporsi, con
ragioni e argomenti forti e radicali, al pericolo della restaurazione dei
«gentili>), di cui il tentativo rivoluzionario di Giuliano, consumatosi tra
il 360 e il 364, aveva rivelato tutta l'imminente pericolosità. Se la <<ri-
nascita pagana» aveva tentato, con sfortuna, la via della «coesistenza
ideologica>) tra la tradizione classica e la religiosità cristiana, Gregorio,
grazie alla sua solidissima formazione «classica», poteva rivendicare a
se stesso, contro Giuliano, il nome di «Elleno» 12 • Si tratta di una ri-
12
«La libertà costantiniana era il fondamento per la 'coesistenza pacifica' tra i due mondi:
rantico c il nuovo. La rinascita pagana di Giuliano faceva sentire la necessità di una 'coesistenza
ileo logica'; la teologia cristiana, per imporsi, doveva diventare una grande scienza basata sulla piu
826 Continuità e riusi
" Come nota Tuilier in GRÉGOIRE DE NAZIANZE, La passion cit., p. 58, «La tragedia sulla Pas·
sione di Cristo è molto probabilmente un'opera apologetica del1v secolo, ed era destinata a ren-
dere noti i misteri cristiani nel momento della reazione pagana».
ze «In accordo con l'ispirazione diffusa dai Padri della Chiesa dopo l'età degli Apostoli, la pro·
duzione apologetica cristiana mostrava in modo preciso che la religione di Cristo costituiva il com-
pimento perfetto di questa tradizione. Questa è la ragione per la quale il Christus patiens risolve
tutte le contraddizioni che apparirebbero irresolubili nel dramma antico, e in particolar modo nel-
le Baccanti, il dramma da cui trae piu diretta ispirazione>> (ibid., p. 73).
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 829
(;Ii aui del concilio di Efeso sono pubblicati in Acta conci/iorum oecumenicorum, l/r·4. Con·
cii/l/w univl'rsale ephesenum, a cura di E. Schwartz, Berlin 1923·30.
830 Continuità e riusi
noscritti, che era nativo della colonia egizia di Panopoli, nella Tebaide:
argomentazioni stilistiche, metriche e lessicali interne al poema, e l'esa-
me delle citazioni posteriori e delle fonti secondarie, portano a datarne
la cronologia verso la metà del v secolo. A differenza di altre opere an-
tiche, che nella lunga tradizione letteraria hanno conosciuto periodi al-
terni di fortuna e di oblio, i libri dei Dionisiakà, se si fa eccezione per
un breve capitolo letterario di riprese erudite del perfetto esametro non-
niano (i poemetti epici di soggetto iliadico di Trifiodoro e di Colluto),
non hanno mai conosciuto una stagione di successo, in cui siano stati
sottoposti a una seria lettura esegetica e neppure hanno mai avuto una
fortuna editoriale, colta o popolare, significativa24 • All'epoca della sua
composizione pesò senza dubbio sul poema l'inattualità di un'opera che
ripercorreva le vicende mitiche di un dio «antico», composta sui mar-
gini, per non dire fuori tempo massimo, rispetto alla vitalità, anche mi-
sterica, della divinità; un'inattualità aggravata dalle impegnative di-
mensioni dell'opera e dalla sua complessa architettura compositiva, ele-
menti che senza dubbio non ne favorirono la lettura e la diffusione.
Il velo di oblio antico e medievale non era destinato ad alzarsi nep-
pure in età moderna. Su questo poema mistico ed estatico, che propo-
neva un'immagine di Dioniso cosi lontana dal leggero e spensierato «Bac-
2
CO» ovidiano o filostrateo recuperato nel Rinascimento ' , sarebbe cala-
to poi, in età classicistica, il giudizio stilistico che lo catalogava come
opera enfatica ed eccessiva, infarcita di digressioni che esasperavano gli
stilemi omerici: un poema insomma, come si trova ripetuto in tanti ma-
nuali, «ben lontano dalla bellezza armoniosa e classica di Omero e an-
che dei poeti classicisti dell'ellenismm>. Pregiudizio che, come succederà
per il favoloso Romanzo di Alessandro (ma solo a partire dall'età moder-
" li n panorama completo, ancorché ormai datato, delle edizioni e della bibliografia critica su
Nonno è in G. D'IPPOLJTO, Studi nonniani, Palermo 1964, pp. 271-89.
" Sulla limitatissima fortuna del poema di Nonno tra xv e XVI secolo cfr. ora L. CIAMMITI,
Do'''' as a storyteller:reflections on bis mythologicalpaintings, in L CIAMMm, s. F. osTRow e s. SET·
ns '"cura Ji), Dosso's Fate: Painting and Court Culture in Renaissance Italy, Los Angeles 1998, pp.
83-1 11 in particolare sulla ricostruzione della diffusione delle copie manoscritte dell'opera di Non-
no, prima Jcll'editio princeps del 1569, e sul progetto di un'edizione aldina a cura di Lascaris nel
15<··, ·)o8, cfr. pp. 87-90. Ciammiti rilancia la tesi già avanzata da S. Béguin, secondo cui l'opera
di 1\oniHl (conosciuta grazie al ms Laur. XXXII.16) sarebbe la fonte di ispirazione per il dipinto
COmcnzionalmente intitolato Mito de/dio Como di Lorenzo Costa per lo Studiolo di Isabella d'Este,
datato tra il 1510 e il 1515; e quindi, in riferimento ai libri XV e XVI dei Dionisiakà che narrano
il mito della ninfa Nicaia, Nonno sarebbe la fonte anche del discusso soggetto della cosiddetta Sce·
tlllmitoloRica di Dosso Dossi, ora custodita presso il Pau! Getty Museum di Los Angeles. Una ri-
Cipitolazionc delle varie ipotesi sul soggetto del dipinto di Dosso e una critica della recente ipote-
ai di Ciammiti sono proposte da Mauro Lucco, che intitola genericamente il dipinto Allegoria con
P11n in DOlw Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento, catalogo a cura di A. Bayer, Ferrara
199~. pp. 203·8.
832 Continuità e riusi
Figura I. Dioniso bambino, nimbato, sulle ginocchia di Ermes in trono, tra figure allego·
riche e personaggi adoranti. Mosaico a Pafos Nuova (v secolo d . C.).
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 835
III.
CONTINUITÀ DELL'ANTICO: IL «ROMANZO DI ALESSANDRO».
" Cosi Plutarco nel prologo alla prima coppia delle sue Vite parallele (Alessandro e Cesare),
1.1 "Non scrivo storie ma biografie: non credo che nelle gesta piu famose ci sia comunque la ma·
niftstazionc di una virtu o di un difetto. Credo piuttosto che un piccolo episodio, una parola, una
banuta, restituisca l'evidenza di un carattere piu che non battaglie con miriadi di morti, immensi
1Chi<:ramcnti di eserciti e assedi di città».
" Sulla figura del itdoç ÒvftQ e sui suoi rapporti con la letteratura agiografica giudaico-cristia·
na dr M. DZIELSKA, Il «theios aner>>, in I Greci, II/3, Torino 1998, pp. 1261-8o.
" IJ na buona versione italiana della vita filostratea di Apollonio, figura leggendaria di mae-
ltrn-santonc, sapiente e stregone, è contenuta in FII.OSTRATO, Vita di Apollonia di Tiana, a cura di
D. elci Corno, Milano 1978.
836 Continuità e riusi
Romanzo di Alessandro, a cura di M. Centanni, Torino 1991; il testo greco a cui fa riferimento la
traotizione è un manoscritto di Leida che, nello stemma codicum proposto da Merkelbach, appar-
til'ne al gruppo denominato «redazione g».
" Romanzo di Alessandro, r.38.
'' Ihid., 2. 2o.
L'espressione :rtMoç n.aj3EV mhov <<io prese il desiderio di ... » è quasi formulare nel Ro-
11/r/l;;:o - ma anche in Arriano, Dionigi di Alicarnasso, Flavio Giuseppe, Diane Cassio, e poi nel-
la \'rtu rlutarchea- per introdurre di volta in volta nuovi episodi dell'avventura di Alessandro.
P <,oi'KOSWSKY, Essaisur!esoriginesdumythed'Alexandre, Nancy 1978, l, pp. 173-74, mette in
conn,..ssionc l'espressione con un brano di Aristotele (fr. 675 Rose), frammento di un Inno ad Areté
eh(' il filosofo, maestro di Alessandro, avrebbe composto in occasione della morte sul campo
dell'amico Ermia. L'orizzonte di valori in cui si iscrive l'elogio funebre composto da Aristotele,
~poi la ,,,ì.on!Iia, <da brama di gloria» di Alessandro, è l'etica arcaica che muove l'eroe alla ricerca
Inquieta di un teatro di espressione della sua virtu e di conquista della gloria.
" Romanzo di Alessandro, 2. 3 7.
840 Continuità e riusi
E ancora giunge fino al giardino del paradiso, dove stanno gli alberi
della Luna e del Sole, alberi parlanti che conoscono il destino di tutti.,
Questa parte, che costituisce il cosiddetto Romanzo delle Meraviglie,
è quella destinata a influenzare piu diffusamente, per molti secoli, l'im-
maginario letterario e iconografico di Oriente e di Occidente. Conqui-
2. Il mito di Alessandro.
lbid, 2.38·41.
lhid, 2-39·41.
842 Continuità e riusi
"J. G. DROYSEN, Alessandro il grande. La vita e la leggenda (1833), trad. i t. Milano 1994'.
" Sul tema d eli' imitatio Alexandri restano fondamentali gli studi di P. TRE VES, Il mito di Ales-
sandro e la Roma di Augusto, Milano-Napoli 1953; MAZZARINO, l/pensiero cit., II, pp. 540 sgg.; m..
L'impero romano, Roma-Bari 19762 , II, pp. 438 sgg. Cfr. anche o. LASSANDRO, La figura di Aks·
sandro Magno nell'opera di Seneca, in M. soRDI (a cura di), Alessandro Magno tra storia e mito, Mila·
no 1984, pp. 155-68; G. ZECCHINI, Alessandro Magno nella cultura dell'età antonino, in SORDI (a eu·
radi), Alessandro Magno tra storia e mito cit., pp. 195-212.
"L. BRACCESI, L'ultimo Alessandro, Padova 1986, in particolare pp. 43-67. A proposito di
Alessandro come modello pericoloso e negativo nella lezione senecana rivolta a Nerone, cfr. LAS-
SANDRO, La figura cit., pp. 156 sgg.
60
PLUTARCO, Vita di Augusto, 50.
61
GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia XXVI in epistulam Il ad Corinthios.
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 845
''' 1. BAUMGARTNER, La fortuna di Alessandro nei testi francesi medievali del secolo XD e l' esoti·
rmr, nel Roman d' Alexandre, in Le Roman d' Alexandre. Riproduzione del ms. Venezia, Biblioteca Cor-
rtr '-1'!3. a cura di R. Benedetti, Tricesimo 1999, p. 12 .
Figura 4· Profilo di Costantino e del suo modello, Alessandro il Grande. Medaglia (IV se-
colo d. C.).
846 Continuità e riusi
«l chierici medievali non mascherano, tuttavia, non fosse altro che per rammaricarsene, il
caLtttc·rc pagano del loro eroe. Eliminano in cambio tutto quanto potrebbe appannarne l'immagi·
ne: """ si trovano allusioni agli eccessi di ogni genere di un eroe sul quale si erano da tempo eser·
citate critiche e riserve di filosofi antichi e medievali. La storia di Alessandro e l'insieme delle tra-
dizioni storiche e/o leggendarie uscite dall'antichità ... sono invece per lo scrittore medievale illuo·
go pri\'ilcgiato in cui immaginare e ornare di immagini, in funzione di un pubblico moderno, un
modello nuovo di società e di civiltà e, nel caso di Alessandro, un ritratto ideale della monarchia»
(BAI .\I! ;AN 1'NER, La fortuna cit., p. 17).
N. WITTKOWER, Allegoria e migrazione dei simboli (1970), trad. it. Torino 1987, p. 171 .
Figure 7-9 . Episodi della vita leggendaria di Alessandro il Grande. Arazzi (xv secolo).
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 849
zo, agitata dalle angosce per la morte imminente, Alessandro, dopo aver
conquistato tutta la terra, esaurite le possibilità di ricerca sulla superfi-
cie terrestre, vuole esplorare anche altri mondi, per impadronirsi dell'in-
tero cosmo: il fondo del mare, gli inferi, il cielo.
Continuavo a pensare tra me e me se davvero era là il confine del mondo, do-
ve il cielo poggia sulla terra: decisi allora di indagare per sapere la verità. Ordinai
che fossero catturati due degli uccelli che erano in quel luogo: erano enormi, bian-
chi, fortissimi e mansueti, tanto che stavano a guardarci senza scappare. Alcuni dei
soldati li montavano, afferrandosi ai loro colli, e quelli volavano in alto; traspor-
tandoli su mangiavano carogne di animali e proprio per questo motivo molti degli
uccelli venivano da noi, per le carcasse dei nostri cavalli. Ne feci catturare una cop·
pia e ordinai che non fosse dato loro cibo per due giorni: al terzo giorno ordinai di
preparare un giogo di legno e di legarlo al collo di quegli uccelli; feci preparare quin-
di una sorta di grande canestro di pelle di bue e ci montai dentro, tenendo in ma-
no una lancia, sulla cui punta avevo infilzato del fegato di cavallo. Gli uccelli subi-
to si alzarono in volo, tesi per mangiare il fegato, e io andai su con loro, nell'aria,
tanto in alto che mi sembrava di essere vicino al cielo: tremavo tutto perché l'aria
si era fatta fredda per il moto delle ali degli uccelli. E allora mi si fa incontro un es-
sere alato, antropomorfo, che mi dice: <<0 Alessandro, è forse perché non riesci a
far conquiste sulla terra, che cerchi quelle del cielo? Torna giu in fretta se non vuoi
diventare pasto di questi uccelli!» E ancora mi dice: <<Sporgiti giu verso la terra,
Alessandro!» Io mi sporgo, pieno di paura, e vedo un grande serpente arrotolato,
e in mezzo alle sue spire un piccolissimo disco. E quell'essere che mi era venuto in-
contro mi dice: «Punta la lancia nel disco, fra le spire del serpente, perché quello è
il cosmo e il serpente è il mare che circonda la terra»"
Già nel testo greco l'episodio del volo viene presentato in modo am-
bivalente: da un lato l'ascensione al cielo è una tappa dell'esplorazione
cosmica di Alessandro e, nel finale del racconto, il Macedone viene in-
vitato dalla creatura alata a guardare il mondo dall'alto e a puntare la
sua lancia «nel disco, fra le spire del serpente»: ovvero a siglare, sim-
bolicamente, la conquista e il possesso di tutta la terra. D'altro canto
però l' «essere alato, antropomorfo», al suo incontro con Alessandro fer-
ma il suo volo, lo invita a ritornare sulla terra, minacciandolo di venir
divorato dagli uccelli come punizione per aver troppo osato nella sua
cerca dei confini cosmicF0 • Le due interpretazioni opposte di segno-
positiva e negativa- dell'episodio del volo conosceranno entrambe una
stagione di rilancio in chiave simbolico-politica tra il XII e il XIII secolo
69
Romanzo di Alessandro, 2.41.
70
Lo studio piu completo sull'episodio dell'ascensione di Alessandro resta c. SETIIS rRIIGONJ,
Historia Alexandri elevati per griphos ad aerem. Origine, iconografia e fortuna di un tema, Roma 1973;
ma cfr. ora v. M. SCHMIDT, A Legend and its Image. The Aerial Flight o/ Alexander the Great in Me·
dieval Art, Groningen 1995, e soprattutto l'importante aggiornamento contenuto in c. FRIIGONI,
La fortuna di Alessandro nel Medioevo, in c ALFANO (a cura di), Alessandro Magno. Storia e mito, ca·
talogo della mostra di Palazzo Ruspoli (Roma 1995·96), Milano 1995, pp. r6o·73·
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 851
MAlTEO, 4·5·7·
(;cncsi, II.I·9·
Fi~ t t ra 1 1. Ascensione di A!exander Rex. Particolare del pavimento musivo deUa cattedra-
le di Otranto (xn secolo) .
852 Continuità e riusi
Figura 12. Apoteosi del princeps. Stoffa bizantina dal reliquiario di Carlo Magno (x secolo).
Figura 13 . Ascensione di Alessandro sul carro tirato dai grifoni. Disegno da una stoffa copta
(VII secolo).
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 853
Fig11ra r 4· Ascensione di Alessandro sul carro tirato dai grifoni . Lastra marmorea prove·
niente da Costantinopoli (XI secolo).
854 Continuità e riusi
nel I 204, a seguito della quarta crociata: è indubbio che il carro solare
che trasporta il Kosmokrator approdato sulla facciata settentrionale del-
la basilica marciana rappresenti il carro di Alessandro e il suo volo alla
scoperta dei confini del cielo. Quando all'inizio del XIII secolo il doge
Enrico Dandolo decide il programma iconografico della cappella doga-
le (che sarà poi la basilica marciana), la lastra marmorea che rappresenta
il volo di Alessandro viene collocata in posizione ben visibile e il suo
significato è chiaro e leggibile. Il bottino che Venezia preda a Bisanzio
è dunque ben piu che materiale: viene traslocato in Occidente anche il
carisma del potere regale mediante le sue simbologie. Il trionfo della
regalità di Alessandro è figura dell'autorità imperiale romana e poi bi-
zantina. Ora, finalmente, veneziana 73 Anche la quadriga bronzea- il
pezzo piu prestigioso del bottino veneziano da Costantinopoli - viene
collocata nel punto simbolicamente cruciale della basilica, rivolta da
oriente verso occidente: a seguire il corso del sole, certo, ma anche a
segnare la direzione del percorso che porta il potere imperiale da Co-
stantinopoli a Venezia. L'Alessandro marciano è dunque insieme l'Ales-
sandro del Romanzo, ma anche la prefigùrazione mitica dell'autorità
imperiale del doge della «terza Roma». E il volo di Alessandro con i
grifoni è anche rappresentazione temporale del potere pantocratico di
Cristo, della cui ascensione il princeps, il ~aotÀ.Euç - ora il doge - è il
doppio terreno.
Una conferma viene anche da altri reperti, provenienti dallo stesso
sacco di Costantinopoli del I 204, e collocati nel Tesoro della basilica,
incastonati nella pala d'oro. Si tratta di una serie di placchette smalta·
te di forma circolare e di piccole dimensioni (da 3 a 5 cm l'una). Sono
circa una sessantina: i soggetti sono la Madonna, gli evangelisti e i loro
simboli, e svariati santi (molti santi di origine orientale, san Giorgio ri-
petuto piu volte, ecc.). All'interno di questa serie, però, si trova un pie·
colo gruppo di «eccezioni»- per cosi dire- dal repertorio religioso. Si
tratta di un Costantino (che però, specie in ambito bizantino, era sta·
to del tutto cristianizzato e oggetto di venerazione come santo, al pun·
to di far riferimento a un «San Costantino»): e poi, soprattutto, un
gruppo di cinque placchette, assolutamente omogenee fra loro per stile
e fattura (fig. I5). Tutti e cinque questi «smalti profani» raffigurano
episodi della leggenda di Alessandro; in una, in particolare, è stato ri·
conosciuto l'episodio dell'apoteosi di Alessandro, in un'iconografia sti·
lizzata, che probabilmente risente di un modello persiano: una testa di
" Sulla relazione «necessaria» tra Venezia e la seconda Roma cfr. D. M. NICOL, Venezia e Bi·
sanx:io (1988), trad. it. Milano 1990, in particolare pp. 73 sgg. e 167 sgg.
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 855
sovrano con corona decorata di pietre preziose e, ai lati, due grifoni sti-
lizzati (corpo azzurro e teste verdi) con le ali spiegate, in atto di pren-
dere il volo verso l'alto. In altre tre vediamo la stessa figura regale men-
tre caccia con il falcone diversi animali; l'ultima della serie raffigura l'al-
bero della vita: sotto stanno due pavoni e intorno al paradiso, simbolo
della perfezione terrestre, strisciano due serpenti attorcigliati.
Accanto alla lastra marmorea esterna (di cui esiste a Venezia, nel mu-
seo di Santa Apollonia, un altro esemplare di piu rozza fattura, eviden-
temente portato da Costantinopoli come riserva), la presenza di queste
raffigurazioni di Alessandro come unico soggetto profano nel Sancta
Sanctorum della basilica conferma l'importanza conferita alla figura e
al soggetto.
E nella catena di contaminazioni che fomenta il proliferare delle leg-
gende, l'Alessandro di San Marco potrebbe aver influenzato anche un
episodio fantastico che si trova nel Milione di Marco Polo; a un certo
punto del racconto, nel Madagascar Marco Polo dice di aver sentito da
certi mercanti che
,. ·à uccelli grifoni, e questi uccelli apaiono certa parte dell'anno, ma non sono cosi
la tti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come agu-
Fipll ra r 5. Alessandro tra i grifoni (a) , scene di caccia del re (b-d), visione del cosmo dal
cielo (e). Placchette di smalto provenienti da Costantinopoli (IX·XII secolo) .
856 Continuità e riusi
glie, e sono grandi com'io vi dirò. Egli pigliano l'alifante e pòrtallo su in aire, e po.
scia i lasciano cadere e quelli si disfa del tutto; poscia si pasce sopra di lui"
Nella versione francese del Livre des Merveilles, a questi uccelli porten-
tosi viene dato il nome di «Roe». In molti passi del racconto di Marco
Polo troviamo riferimenti specifici ed espliciti alle avventure del «Re
Alessandro»: in questo caso manca la citazione diretta ma non si può
trascurare la somiglianza tra questi uccelli fantastici e gli uccelli del Ro-
manzo, anch'essi usi a cibarsi di «carogne di animali che trasportano in
alto». Nota Wittkower: «Senza alcun dubbio Marco Polo aveva osser-
vato a Venezia raffigurazioni di grifoni. Subito ci sovviene del rilievo
raffigurante il viaggio celeste di Alessandro, posto sulla facciata di San
Marco» 75
Si può affermare dunque che, nella scarsa circolazione di testi scrit-
ti, il motivo del volo di Alessandro sia stato l'unico ad avere una fortu-
na iconografica propria e quindi l'unico ad essere noto anche a chi non
avesse familiarità con la parola scritta. Una fortuna immensa, che corre
parallela alla fortuna piu colta dei testi letterari, che mescola motivi sim-
bolici e politico-ideologici con suggestioni fantastiche. Ma, incredibil-
mente, il significato di un motivo cosi diffuso e noto nei secoli è anda-
to smarrito. Anche il visibilissimo rilievo marciano dell'ascensione di
Alessandro fino a poco piu di cento anni fa non veniva piu riconosciu-
to: le fonti del XVIII e xrx secolo parlano della lastra marmorea attri-
buendole i significati piu disparati: nelle descrizioni della basilica si tro-
va menzione di un «Mitra sul carro solare», di una <<Cerere con torce)),
ecc. 76 Questo oscuramento secolare del primo, elementare, significato
74
Il Milione di Marco Polo, cap. x86.
"WITI'KOWER, Allegoria cit., p. 157.
" Ancora verso la metà del secolo scorso, nelle molte ristampe dell'importante opera di Cico-
gnara (pubblicata in seconda edizione ampliata negli anni venti del XIX secolo) cosf si legge: c Le
statue, i bassi rilievi e gli ornamenti della facciata sono in molta parte contemporanei alla pro-
gressiva costruzione della medesima, ma vi si veggono misti agli eroi della religione antica anche
quelli del gentilesimo in alcuni quadrati di pietra lavorati in piu antico basso rilievo, che rappre·
sentano le forze di Ercole ed altre figure mitologiche o allegoriche; e singolarissimo sul fianco del-
la basilica verso l'orologio, è il basso rilievo di Cerere coi pini accesi nelle mani sul carro tirato da
draghi o ippogrifi volanti, espresso in una forma del tutto originale essendo schiacciata la compo-
sizione con una simmetria particolare che non so se renda piu un'idea delle produzioni degli anti-
chi popoli d'Italia, o delle sculture persiane» (L. CICOGNARA, Storia della scultura dal suo RisoTRi·
mento in Italia fino al secolo di Canova, edizione seconda riveduta e ampliata dall'autore, Prato
1823, Il, 73 sgg.). Interessante è il fatto che Cicognara, ben !ungi dal menzionare di sfuggita il bas-
sorilievo <<di Cerere», appare colpito in modo particolare da questa opera «stranissima» e si di-
lunga per diversi paragrafi sulla questione della sua interpretazione; nello stesso capitolo e altrove
ritorna, con insistenza, anche sulla presenza, nella facciata principale, dei due Eracle impegnati
nelle «forze». Ma lo studioso, pur concedendo tanta attenzione a queste inquietanti presenze «gen-
tili», espressamente rifiuta qualsiasi interpretazione «allegorica». Al contrario Cicognara si acca-
Centanni Tradizione greca e Medioevo occidentale 857
niscc, con particolare aire, contro il tentativo di cercare il significato, e tanto peggio, un significa·
to '"ercntc e unitario, agli «ornamenti» della facciata: <<Non v'ha dubbio che questi lavori indi-
stimamcnte furono inseriti nella facciata e nei fianchi, quantunque a nulla si riferissero di relati·
vo ,, quei tempi, e niente si combinassero col resto delle decorazioni>>. E ancora, poco oltre: «Scul-
ture di 4uella forma sono disgiunte affatto dal resto delle opere, e unicamente poste per
intnromrcre il nudo muro della facciata, acciò splendesse l'arte dovunque è la magnificenza, ivi
coJI.,cne riuttosto per pompa che per allegoria~>. Si tratta di un vero e proprio filtro ermeneutico
che, nel volontario esilio dall'orizzonte simbolico, esclude a priori qualsiasi lettura in chiave «ai·
legorica,>. Il motivo dell'inserzione è, per lo studioso, semplicemente la «pompa~> (ovvero l'auclo·
riliJ, conferita dalle vestigia antiche al nuovo edificio): e a questa prima motivazione si sarebbe as·
SOciato un intento di conservazione- una preoccupazione di salvaguardia proto-museale- del re·
l'erto: «Era santo costume in quella età il raccogliere ogni cosa per arte preziosa e disporla affinché
non perisse ove il decoro dei nuovi monumenti poteva garantire la conservazione~> (ibid., p. 74).
" Spetta a uno studioso francese, in un saggio del r865, il corretto riconoscimento del sog·
~tto della rappresentazione: J. DURANO, La Legende d'Aiexandre le Grand, in «Annales Archeolo·
liqucs•>, XXV (r865).
858 Continuità e riusi
" Sulle «Nozze di Alessandro e Rossane», il soggetto antico che avrà piu riprese, a partire dal-
la riconversione di Raffaello dall'€xq>gnocç di Luciano, cfr. L FAEDO, Le immagini dal testo , in LU ·
CIANO DI SAMOSATA, Descrizione di opere d'arte, a cura di S. Maffei, Torino 1994 , pp. 134 · }8.
dca: la versione greca del Romanzo di Alessandro, àlmeno per alcune sue
parti r!ti antica. degli ~riano, dei ~l~tarc~ e dei Curzio Rufo, su cui il
RinasCimento nfondera la personahta stanca del «vero» Alessandro.
1\'
PERCORSI FRAMMENTATI E FANTASMI DELL'ANTICO.
l.a presente indagine è un primo tentativo di sintesi di alcuni risultati di un progetto di ri-
cerc., molto piu vasto sul tema «immagini e scienza. L'iconografia medievale delle costellazioni
fin" al I)OO>> che l'autore conduce, insieme a Mechthild Haffner, presso la Friedrich-Schiller-
Un;-_,.";l;it di Jena. Il tema complessivo delle raffigurazioni astrologiche dei pianeti è esposto in
lllanic-ra piti dettagliata nel mio libro Regenten des Himmels. Astrologische Bi/der in Mittelalter und
R.ena11sance, Berlin 2000.
DE SANTILLANA e H. VON DECHEND, Hamlet's Mi/l. An Essay on Myth and the Frame o/Time,
Boston 1969 [trad. it. Milano 2ooo], hanno mostrato con particolare rilievo come nei miti dei po-
r!• ptù diversi venga raccontata una cosmologia con basi astronomiche, nella quale fin dal Paleo-
ttKo 'npcriore sono confluite osservazioni del cielo straordinariamente precise.
862 Continuità e riusi
i\! piti tardi dal v secolo a. C., evidentemente, era già definito un ca-
none stabile di circa quaranta costellazioni che fu fissato anche icono-
graficamente su globi celesti. Per la diffusione e ricezione successiva del-
la descrizione greca del cielo fu tuttavia determinante un'opera lettera-
ria: il poema didascalico di Arato di Soli, del m secolo a. C. Quest'opera,
priva di valore scientifico e piena di errori, consente a stento di localiz-
zare una costellazione in cielo e inoltre presuppone come già noti i re-
lativi miti. Non si tratta dunque propriamente di un testo didattico; es-
so fonda comunque il suo successo su una rassegna avvincente delle di-
verse costellazioni, descrivendo il cielo come una mirabile composizione
divina. Il poema mostrava agli uomini, che utilizzavano soltanto singo-
le stelle o costellazioni per orientarsi nel tempo o nello spazio, il com-
plesso delle relazioni reciproche degli astri nella sua grandiosità. A par-
tire dal n secolo a. C. il testo è tramandato insieme ad ampi commen-
tari che integrano le informazioni mancanti nel poema'
I versi di Arato furono piu volte tradotti in latino, fra gli altri anche
dal giovane Cicerone8 e da Germanico, figlio adottivo dell'imperatore
Tibcrio (15 a. C. 19 d. C.)9; nella stessa epoca Igino scrisse un fonda-
mentale testo didattico che doveva integrare i versi del poeta 10 • Ma sol-
tanto nella tarda antichità questi testi furono dotati di immagini che mo-
stravano le costellazioni descritte. Già nel III secolo d. C. furono crea-
ti, molto probabilmente ad Alessandria, rotoli con illustrazioni che
accompagnavano il testo. Nella Roma del IV secolo fu realizzato un am-
pio ciclo iconografico che affiancava la traduzione di Germanico e che
non mostrava solo le costellazioni, ma anche l'autore con la sua musa,
Edizione dell'Almagesto: Claudii Ptolemaei opera quae exstant omnia, 1/1·2. Syntaxis mathe-
mattcù, •t cura di]. L. lleiberg, Leipzig 1898-1903. Edizioni del Tetrabiblo: Claudii Ptolemaei ope·
l'tlqu<Jct•xstant omnia, III/1, a cura di F. Boli e H. Boehr, Leipzig 1940; Ptolemy. Tetrabiblos, a cu-
ra di \YJ C. Waddell e F. E. Robbins, London 1956 (con trad. ingl.); CLAUDIO TOLOMEO, Lepre-
visiont astrologiche (Tetrabiblos), a cura di S. Feraboli, Milano 1985.
Arati Phaenomena, a cura di E. Maass, Berlin 1893; Arati Phaenomena, a cura di J. Martin,
Firenze 1956; ARATOS, Phainomena:Sternbilderund Wetterzeichen, a cura di M. Erren, Milnchen
19; r, AJ<ATUS, Phaenomena, a cura di D. Kidd, Cambridge· New York 1997.
' r:ICERON, Aratea;/ragments poétiques, a cura di J. Soubiran, Paris 1972.
·:RMANICUS, Les Phénomènes d'Aratos, a cura di A. Le Boeuffle, Paris 1975.
IIYCaN, L'astronomie, a cura di A. Le Boeuffle, Paris 1983.
864 Continuità e riusi
11
M. HAFFNER, Ein antiker Stembilderzyklus und seine Tradierung in Handschriften vom friihen
Mittelalter bis zum Humanismus. Untersuchungen zu den Illustrationen der« A ratea» des Gemzanicus,
Hildesheim 1997, pp. 75 sgg.
12
AGOSTINO, De civitate Dei, 5-4·7 (trad. di C. Carena); ID., De doctrina christiana, 2.29; cfr.
anche L. TIIORNDIKE, A History ofMagicand Experimenta/Science, New York 1923, l, pp. 50~ sgg.;
BLUME, Regenten cit., cap. 3·
" Aratea è il nome collettivo per indicare tutti gli scritti che sono stati tràditi come commen·
tari o integrazioni insieme ai versi di Arato. HAFFNER, Ein antiker Stembi/derzyklus ci t., p. 26; A-
BORST, Das Buch der Naturgeschichte. Plinius und reine Leser im Zeitalter des Pergaments, Heidelberg
1994, pp. 64 sgg.
Blume Astronomia, astrologia e iconografia 865
l )ai Vangeli si deduce che la crocifissione di Cristo avvenne un venerdf e la risurrezione una
don:,·::"a Jurante il periodo della Pasqua ebraica. La Pasqua viene festeggiata il quattordicesimo
gior:~.' del mese di Nisan, il primo nell'anno ebraico. L'inizio dell'anno ebraico non è fisso, in quan-
to dq>,·nJe dal ciclo lunare: per questo nella determinazione della Pasqua sorge un conflitto fra pa·
ran"·" i diversi. Cfr. UORST, Das Buch cit., pp. 77 sgg.
<Jucsta traduzione è denominata Aratus latinus (a cura di E. Maas, Berlin 1898); 11. LE UOUR·
0EIJ 1 ', l. '11 ratus latinus. Etude sur la culture et la langue latines dans le Nord de la France au VIII siè-
c/e,Jillc 1'!85. IIEDA, De temporum ratione, inBedae Venerabilis opera, VI/2, a cura di C. W.Jones,
J;rnholti 1 977; su Beda cfr. BORST, Das Buch ci t., pp. 98 sgg., e ID., Computus, Zeit und Zahl in
r,,._d,icbte F.uropas, Berlin 1990, pp. 31 sgg.
Das Bueh ci t., pp. 156 sgg.
866 Continuità e riusi
Lcida, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, ms Voss. lat. Q. 79; Aratea , Nachbildung der Hand-
schrilt Ms. Voss. Lat. Q. 79 der Riiksuniversiteit Leiden , l-11, Luzern 19 87-89 ; R. MOSTERT e M. MO-
STJ l' T r lsinR astronomy as an aid to dating manuscripts. The example o/ the Leiden A ratea planetarium,
in ,, CJ uacrcndo », XX (r99o), pp. 248-6r ; A. STUCKELBERGER , Sterngloben und Stemkarten . Zur wis-
sm,chafilichcn Bedeutung des Leidener Aratus, in <<Museum Helveticum », XLVII h 990) , pp. 7 0-81.
Figma 1.
Andro meda.
868 Continuità e riusi
se, anche una descrizione delle costellazioni: abbiamo invece a che fare
con un unico testo classico, pubblicato in maniera estremamente accu-
rata e lussuosa, probabilmente per l'imperatore stesso. Le costellazioni
si presentano vivide all'occhio del lettore nel loro stile pittorico anti-
cheggiante e illusionistico, stagliandosi sullo sfondo scuro del cielo not-
turno (fig. I). Le singole stelle sono riportate con grande esattezza co-
me rombi dorati di grandezza diversa nelle loro rispettive posizioni astro-
nomiche: si tratta dunque di un vero e proprio atlante illustrato del cielo
stellato. Il codice mira alla chiarezza delle immagini, le quali contengo·
no le vere informazioni, mentre i versi poetici sono solo un accompa-
gnamento. I dati astronomici, che non possono essere ricavati dal poe·
ma didascalico di Arato, derivano dal dettagliato catalogo delle stelle di
Tolomeo, che dunque deve essere stato disponibile in quest'epoca ad
Aquisgrana, probabilmente in una copia bizantina. Anche le immagini
non sono affatto una semplice riproduzione delle antiche illustrazioni
di Germanico, come spesso si sostiene; si tratta invece di un accurato
lavoro di compilazione che attinge a fonti diverse ed è guidato chiara·
mente dall'idea di una sintesi delle diverse tradizioni.
Per illustrare la cura minuziosa nella scelta dei motivi e il modo di
procedere peculiare degli eruditi carolingi che idearono questo mano·
scritto è caratteristica la rappresentazione dei Gemelli (fig. 2): eviden·
temente qui sono combinati in maniera sistematica elementi di due mo·
delli diversi. La nudità e la lira corrispondono alle immagini dei mano-
scritti di Germanico (fig. 3) . La riproduzione separata delle due figure
Figura 2. Gemelli.
Figura 3· Gemelli e Cancro.
Blume Astronomia, astrologia e iconografia 869
I manoscritti del testo di Germanico mostrano i Gemelli abbracciati con il Cancro ai loro
piedi. dr. Madrid, Biblioteca Nacional, Cod. 19, f. 58r. Il ciclo greco di Arato era presente a Cor·
bic nell'v m secolo. Cataloghi di stelle che si rifanno a questo sono accompagnati da una serie ico-
nograiica diversa, anch'essa presente ad Aquisgrana. Cfr. HAFFNER, Ein antiker Sternbi/Jerzyk/us
ci t., pp. 4 r sg. La lira quale attributo non rimanda ai guerreschi Dioscuri, Castore e Polluce, ben-
ai ai gemelli tebani Anfione e Zeto, figli di Antiope: cfr. SCHADEWALDT, Stemsagen cit., pp. 50 sg.
Ludovico il Pio come mi/es christianus si trova per esempio in una miniatura in RADANO MAURO, De
lsudihu< Sanctae Crucis, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms Reg.lat. 124, f. 4v.
87o Continuità e riusi
" Parigi, Bibliothèque Nationale, ms lat. 5543· Ad eccezione dei manoscritti della corte ca·
~lingia di Aquisgrana e di singoli manoscritti derivanti dall'ambito piu ristretto intorno a questo
Centro, fino al x secolo troviamo solo riproduzioni a disegno delle costellazioni. Sull'abbazia di
Fleury dr M. MOSTERT, The Politica! Theology o/ Abba o/Fleury A Study of the Ideas about Society
~
. d l.aw o/ the Tenth-Century Monastic Refonn Movement, Hilversum r987; ID., The Library of
cury.ll Provisional List of Manuscripts, Hilversum r989; A. BORST, Astro/ab und Klosterreform an
r jahrtausendwende, !Ieidelberg r989, cap. 8.
872 Continuità e riusi
" Londra, British Library ms Harley 2506; anche il manoscritto di Aquisgrana che servi da
modello si trova oggi a Londra, British Library ms Harley 647; a questo riguardo cfr. w. KOEHLEK
e F. ~tiiTI lERICI!, Die karolingischen Miniature~~, IV. Die Ho/schule Kaiser Lothars. Eim:elhamlschrift-
tilaus Lotharingien, Berlin 1971, pp. 101-7. Sul manoscritto di Fleury cfr. P. SAXL e H. MEIER, Ver-
ztichllis astrologischer und mythologischer Handschri/ten des lateinischen Mittelalters, III. Hamlschri/t-
1!11 in eng/ischen Bibliotheken, London 1953, pp. 151-6o, xm sgg.
Fkura 8. Perseo.
~jgura 9· Acquario.
. \..~
.........
u ...~
l pfl:.a~L&l...,......o1Q"'rqi30NlnTt~,_..
r tfàJ, 1l'•I•'-"""''""J~·~"'uffa'è~\qo.,1M
:.. nTo.rkwol.,cuf""nr""f"t'ru•n~ "r"utt.
~ •...-yf.Ju u..rw~. JlUI:tf""T~·mf.,.L.n(:;
874 Continuità e riusi
dèi del vento che l'autore aveva visto nella sua fonte carolingia. Com.
pletamente nudo, Perseo attraversa veloce gli spazi celesti come un es-
sere ibrido, summa di uomo e uccello: proviene da un altro mondo e ha
perduto da tempo ogni connessione con le sue eroiche gesta terrene.
Anche l'Acquario è fissato in questo manoscritto in un'immagine al-
trettanto impressionante (fig. 9). Il modello carolingio lo mostra in pie-
di, frontalmente, con un berretto frigio in testa, mentre versa in tutta
tranquillità l'acqua del suo vaso. Il monaco inglese lo fa ruotare di pro-
filo, gli fa tenere il vaso con il braccio teso lontano da sé, mentre l'altra
mano è sollevata al cielo in un gesto declamatorio. Anch'egli è rappre-
sentato in completa nudità, ad eccezione di un sottile drappo avvolto
intorno al torso. Dalla sua testa spuntano le stesse ali degli dèi del ven-
to, come nel caso di Perseo, cosicché anche lui è identificato come uno
spirito dell'aria. Il disegnatore ha rielaborato la tradizione antica in ma-
niera molto autonoma e ha creato l'immagine di uno strano essere cele-
ste, estraneo alla civiltà umana, tutto assorto nell'attendere alla sua pe-
culiare occupazione.
Tutte queste immagini contenute nei manoscritti del x secolo rive-
lano il grande fascino emanato all'epoca da quegli esseri celesti che, se-
condo le antiche descrizioni, si celavano dietro ai luminosi punti scin-
tillanti delle stelle. L'orbita degli astri indicava chiaramente il loro mo-
vimento veloce, ma la loro vera forma si poteva manifestare solo con
l'aiuto di immagini dipinte. Solo cosi, con i mezzi dell'arte, l'uomo le
poteva scorgere e in tal modo poteva ottenere nello stesso tempo una
comprensione piu profonda della divina costruzione del creato. Lo scet-
ticismo nei confronti del mondo iconografico pagano, che ancora all'epo-
ca di Carlo Magno aveva fatto esitare i monaci cristiani a occuparsi di
quelle antiche rappresentazioni, aveva ora ceduto a un fascino che evi-
dentemente attribuiva proprio alle immagini un particolare valore co-
noscitivo.
Nell'xi secolo da piu parti il sapere allora disponibile fu raccolto in
grandi compendi che accordavano il debito spazio anche alle immagini
dei corpi celesti. Nel monastero di Santa Maria di Ripoli, nella Spagna
settentrionale, il monaco Oliva redasse l'enciclopedia piu vasta mai esi-
stita fino a quel momento su tempo, natura e cosmo24 • La novità consi-
ste soprattutto nella disposizione del molteplice materiale: le informa-
zioni sui vari corpi celesti sono raggruppate insieme in una sorta di espo-
>< Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms Reg. 123; BLUME, Regenten cit., cap. 3; F. sAXL.
Ve17.eichnis astrologischer und mythologischer Handschriften des lateinischen Miltelalters, L Dic rii-
mischen Bibliotheken, Heidelberg 1915, pp. 45·59-
Blume Astronomia, astrologia e iconografia 875
Madrid, Biblioteca Nacional, Cod. r9; HAFFNER, Ein antiker Stembilderzyklus cit., pp.
91 ·~ g .
Fi ~ 11ra ro . Sole.
Fi;: ma r r Mercurio .
876 Continuità e riusi
Figura 12.
Poco tempo dopo lo scienziato piu noto alla corte di Federico II, quel
Michele Scoto che Dante bollava come mago nell'Inferno, concepisce
un'iconografia piu articolatau. All'interno di un trattato complessivo
sulle questioni dell'astronomia e dell'astrologia, composto con il titolo
DANTE, Inferno, XX, 115·17. Su Michele ScolO cfr. BLUME, Regenlen cit. , cap. 8, e L. MI·
Michael Scot, in c. c.
NICI I'AI.liEU.o, GILLESPIE (a cura di), Dictionary of Scientific Biography, IX,
Ncw York 1974, pp. 361 sgg.
" Scoto tratta separatamente i due luminari S<?le e luna a causa del loro ruolo peculiare, rima·
nendo cosl nel solco della tradizione degli Aratea. E dimostrato che egli utilizzò il manoscritto SO·
pra menzionato di Montecassino, Madrid, Biblioteca Nacional, Cod. 19, dell'xi secolo. Il mano-
scritto illustrato p iti antico è quello di Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, ms lat . 1 oz68. Silke
Ackermann, a Londra, prepara un'edizione di questa descrizione del cielo di Michele Scoto.
Figura 15.
I pianeti.
Blume Astronomia, astrologia e iconografia 881
Cosi egli attribuisce a ciascuno di loro ruoli sociali diversi, che corri-
spondono al rispettivo raggio d'azione descritto nei trattati (fig. I 5). Sa-
~rno avanza nei semplici panni di un contadino, ma nello stesso tem-
po è armato e anche la falce è da lui impugnata come un'arma; Giove
entra in scena indossando il tipico costume contemporaneo del mercan-
te, o del giudice, o anche del vescovo; Marte è invece un guerriero ar-
mato di tutto punto e dotato delle armi piu moderne, come per esempio
la balestra; Venere è descritta come una bella dama abbigliata alla mo-
da che odora una rosa, figura simbolica della sensualità: quest'ultima im-
magine è presa in prestito dalla tradizione delle rappresentazioni dei me-
si, che caratterizzano in questo modo la primavera come la stagione piu
propizia per l'amore. Mercurio, dal canto suo, tiene un libro in mano e
siede su una cattedra da oratore, corrispondendo cosf al tipo iconogra-
fico del professore, come all'epoca era diffuso in ambito sepolcrale. Poi-
ché Scoto indica Mercurio anche come-chierico e menziona una corona
adorna di pietre preziose, cosa che rimanda a prelati, vescovi e abati,
nelle miniature egli è interpretato per lo piu come vescovo.
Evidentemente, Michele Scoto utilizza in maniera programmatica
tradizioni iconografiche preesistenti e familiari al suo pubblico per ren-
dere palesi i tratti caratteristici di ciascun pianeta. Tuttavia anche lui
ricorre esclusivamente ad Abii Ma'shar e ad altri autori di opere di astro-
logia, ma in nessun caso alle fonti mitografiche della tradizione occi-
dentale. Egli presenta gli dèi-pianeti come personaggi diversi in modo
da includere i piu importanti gruppi sociali dell'epoca. Saturno è il cam-
pagnolo, sia come agricoltore che come guerriero, Giove è il ricco citta-
dino, Marte il cavaliere o il soldato di professione, Venere la bella e no-
bile dama e Mercurio l'intellettuale, che nel XIII secolo è quasi sempre
un chierico. In tal modo i tipi sociologici fondamentali risultano deri-
vati dalla scienza del cielo, e la struttura sociale viene per cosi dire fon-
data su basi cosmologiche.
L'opera di Michele Scoto rimase incompleta a causa della sua morte
prematura nel 1235. La ricezione dei suoi scritti iniziò solo negli ultimi
decenni del XIII secolo, dopo che l'astrologo Bartolomeo da Parma, at-
tivo a Bologna, ebbe intrapreso una sorta di rielaborazione redazionale
ed ebbe inserito nelle proprie trattazioni interi passaggi del Liber intro-
ductoriusH. Molto probabilmente una copia era nota anche a Pietro
d'Abano all'inizio del XIV secolo, quando il famoso astrologo e profes-
HURNE'IT, Miche/ Scot and the tmnsmission of scientific culture /rom Tokdo to Bologna via
Jhc cnurt o/ Frederic II Hohenstaufen, in «Micrologus>>, II (I994l, pp. I I I sgg.; su Bartolomeo da
llarma cfr. anche THORNDIKE, A History cit., Il, pp. 835 sgg.
882 Continuità e riusi
" Maggiori dettagli al rigurdo in BLUME, Regenten cit., cap. ro.r; cfr. anche Il Palazzo della
Ragione a Padova, Roma 1992; Il Palazzo della Ragione di Padova, Venezia 1964 .
., G. FEDERICI·VESCOVINI, La teoria delle immagini di Pietro d'Abano e gli affreschi astrolop)ci del
Palazzo della Ragione di Padova, in w. PRINZ e A. BEYER (a cura di), Die Kunst und das Studium der
Naturvom 14. bis zum 16 Jahrhundert, Weinheim 1987, pp. 213 sgg.
" Chantilly, Musée Condé, ms 754, f. 2v.
Blume Astronomia, astrologia e iconografia
" Su questa raffigurazione cfr. F. F. o• AJ!CAIS, Guariento, Padova 1965, pp. 61 sgg., e BLU-
ME, Regenten ci t., cap. 11. 1.
Figura 19.
Venere.
Blume Astronomia, astrologia e iconografia 885
Figura 20 .
111, in !."Italia e l'arte straniera, Atti del X congresso internazionale di storia dell'arte (Roma 1912),
Roma I<)ll, pp. 179 sgg. [trad. it. in ID., La rinascitade/paganesimoantico, Firenze 1966, pp. 247
'Bg.l; Jc VARESE (a cura di), Atlante di Schifanoia, Ferrara-Modena 1989.
" 1· SAXJ., La fede astrologica di Agostino Chigi, Roma 1934; M. QUINTA-MCGRALH, The Villa
FameJma Time-te//ing conventions and renaissance astrologica/ practice, in «Journal of the Warburg
anu (:onrtauld lnstitutes», LVIII (1995), pp. 52 sgg.; ID., The astrologica/ vault in the Villa Fame-
~na il)!ostino Chigi's rising sun, ivi, XLVII (1984), pp. 91 sgg.
888 Continuità e riusi
r <<Scienza» greca.
Sono grata al professor Settis, al professor Lloyd e ad Anthony Turner per l'attenta lettura
di una precedente elaborazione di questo saggio e per le osservazioni e i suggerimenti preziosi.
890 Continuità e riusi
T TOOMER (a cura di), Ptolemy's Almagest, New York 1984, p. 56, ha osservato che l'al-
te~~" .\lanJarJ di 45 linee delle tavole dell'Almagesto fu «scelta, probabilmente, per adattarsi a
un alt~zza standard del rotolo di papiro».
892 Continuità e riusi
' Cfr. A. 1. SA BRA, The scienti/ic enterprise: Islamic contributions to the development of science, in
B. LEwrs (a cura di), The W or/d of Islam: Faith, Peop/e,and Culture, London 1976, pp. 186·87.
' Cfr., per esempio, A. r. SABRA, The appropriation and subsequent natura/i:;;ation of Greck science
in Medieval Islam:a preliminary statement, in <<History of Science>>, XXV (1987), pp. 223·~3· Cfr.
inoltre D. L. E. O'LEARY, How Greek Science passed to the Arabs, London 1957'; s. L. MONTGOMERY,
Science in Translation. Movements o/ Know/edge through Cu/tures and Time, Chicago 2000.
7
Non analizzo l'eredità greca in India poiché si tratta di argomento sul quale non ho compe·
tenza. Il lettore eventualmente interessato può consultare D. PINGREE, Astronomy in India, in c.
WALKER (a cura di), Astronomy before the Te/escope, London 1996, pp. 123·42, con un'utile bi·
bliografia; m., Census of the Exact Sciences in Sanskrit, I· V, Philadelphia 1970-94; ID., Eastern Astro·
labes, di prossima pubblicazione (Chicago).
' G. E. R. LLOYD, Science and mathematics, in M. 1. FINLEY (a cura di), The Legacy of Gtttee:
A New Appraisal, London 198 r, pp. 2 57·58.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 893
Per quanto riguarda gli Elementi euclidei il lettore può rifarsi agli scritti di W. R. Knorr, tra
i quali ricordiamo: The Evolution o/ the Euclidean Elements: A Study o/ the Theory o/ Incommensu·
mhl" .\la~nitudes and its Significance /or Early Greek Geometry, Dordrecht-London 1975; Textual
Studics in Ancient and Medieval Geometry, Boston 1989; The Ancient Tradition o/ Geometrie Prob-
ktm, Cambridge Mass. 1985.
'"Ci r. P. OUllEM, Sozein ta phainomena:essai sur la notion de théorie phisique de Platon à Ga·
li/i,., Paris 1908 [trad. it. Roma 1986]; G. E. R. LLOYD, Saving the appearances, in ID., Methods cit.,
pp. 2-J~-77
li lhid.
11
Cfr OUllEM, Sozein ta phainomena ci t.
894 Continuità e riusi
"LLOYD, Scienceand mathematics ci t., p. 262, ribadisce che non può darsi per scontata l'esa t·
ta corrispondenza tra categorie moderne e antiche.
" Ibid., p. 298.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 895
" I contributi di s. LIVESEY, Scienti/ic writing in the Latin Middle Ages, e J. SESIANO, lslamic
•oc11ce, in A. IIUNTER (a cura di), Thomton and Tully's Scientific Books, Libraries and Collectors, Al-
dcrsiJOt 20oo', rispettivamente pp. 72-98 e 99-114, sono particolarmente utili per quanto riguar-
da le opere di carattere matematico e scientifico. D. GUTAS, Greek Thought, Arabic Culture: The
( •racco-!lrabic Translation Movement in Baghdad and Early Abbasid Society (2nd-4th/ 8th- I oth Cen-
lurin), London 1998, conduce un'analisi approfondita dell'opera di traduzione dal greco all'ara-
ho. Le opere citate forniscono particolari sui singoli trattati e sulla loro vicenda storica; anche le
bibliografie in essi contenute sono di grande utilità. Benché non tratti direttamente dei lavori scien-
tifici o filosofici, il lettore può anche consultare L. D. REYNOLDS e N. G. WILSON, Scribes and Scho-
far.l Il Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature, Oxford 1991'
" P. LETI1NCK, Aristotle's Meteorology and its Reception in the Arab W or/d, Leiden 1999; P.
o;u HJONIIEIM, Aristotle 's Meteorology in the Arabico-Latin Tradition, Leiden 2ooo; R. FONTAINE, Otot
1/a-Shamayim. Samuel Ibn Tibbon's Hebrew Version of Aristotle's Meteoro/ogy, Leiden 1995.
896 Continuità e riusi
" Disponiamo di documentazione anche per altri tipi di strumenti scientifici; ne riparleremo
tra poco.
" J. EVANS, The materia! culture of Greek astronomy, in «Journal for the History of Astronomy»,
XXX ( r 999), pp. 2 3 7-307. Evans cita l'organizzazione delle scienze matematiche descritta da Ge-
mino (I secolo d. C.) nel suo libro sulla matematica, nella quale la creazione di sfere fa parte inte-
grante della meccanica, a sua volta branca della meccanica applicata. Questo libro non ci è perve-
nuto, ma è stato riassunto da Proclo nel suo Commentario al primo libro degli «Elementi» di Eucli-
de, del quale esiste una traduzione inglese a cura di Glenn R. Morrow edita dalla Princeton
University Press nel 1970. Cfr. anche T. IIEATII, A History o/ Greek Mathematics, Oxford 1921,
rist. New York r98r, l, p. r8.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 897
1
' Numerosi esempi di illustrazioni di questi strumenti in J. BENNETT e D. BERTOLONI MELI,
Sph<icra Mundi. Astronomy Books 1478-r6oo, Cambridge 1994.
Figura r
Frontespizio di The Cosmographical Glasse di William Cuningham (1559).
898 Continuità e riusi
4· Meridiane.
losofi antichi Io dobbiamo in primo luogo alla sua opera . Mentre il suo
racconto della scoperta dello gnomone potrebbe essere apocrifo, resta
tuttavia il fatto che le meridiane venivano usate nell'intera Grecia anti-
ca. Gli gnomoni erano inseriti nelle meridiane per segnare il tempo tra-
mite l'ombra che proiettavano su una serie di linee che indicavano le ore
(giornaliere) e, salvo poche eccezioni, i periodi dell'anno (equinozi e sol-
stizi). Tali rnisuratori del tempo furono realizzati in Egitto e in Grecia.
La scala oraria sarebbe stata messa a punto per la prima volta nel IV se-
colo a. C. Il quadrante greco di piu antica datazione, trovato a Delo, ri-
sale al m secolo a. C. Vitruvio, autore romano del I secolo cui dobbiamo
un trattato sull'architettura, analizza in maniera molto dettagliata le me-
ridiane, descrivendone almeno una quindicina di tipi. In molti casi la pro-
gettazione è attribuita a una persona determinata. Ad alcuni famosi astro-
nomi, quali Aristarco ed Eudosso, viene assegnata l'invenzione di un ti-
po particolare; attribuzioni da prendere con cautelan.
I quadranti greco-romani conservati ammontano a oltre duecento-
cinquanta, di cui un centinaio provenienti da siti grecF 4 • Un numero
piuttosto elevato presenta linee equinoziali e solstiziali, a testimonian-
za del fatto che venivano usati per indicare periodi e stagioni dell'anno.
Inoltre, molti sono di graqde dimensione, concepiti per essere collocati
stabilmente in un luogo. E probabile che le meridiane avessero molte-
hgllra 2 .
Mcriuiane.
900 Continuità e riusi
" Cfr. o. PEDERSEN, A Survey of the Almagest, Odense 1974, pp. 403 sg.; A. G. DRACIIMANN,
Heron and Ptolemaios, in «Centaurus», I (I950), pp. I I7·3 I; o. NEUGEBAUER, Ober eine Methotk
zur Distanzbestimmung Alexandria-Rom bei Heron, I-II, in «Historisk-filoiogiske Meddeielser ud-
givet af det Kongelige Danske Videnskabernes Selskab>>, XXVI, 2 e 7 (I9J8·J9)-
" m., A History of Ancient Mathematical Astronomy, Il, Berlin 1975, p. 840, nota 5·
27
Cfr. A. J. TURNER, Mathematical Instruments in Antiquity and the Middle Ages, London 1994,
p. 6x, sui quadranti solari bizantini. Cfr. anche J. v. FIELD, Some Roman and Byzantineporlilble sun·
dials and the London sundial-calendar, in «History of Technologp, XII (I990), pp. IOJ·J5; J. v.
FIELD e M. T. WRJGHT, Gearsfrom the Byzantines :a portable sundial with mechanical gearing, in «An·
nals of Science>>, XLII, 2 (I985), pp. 87-I_38.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 901
5· Calendari.
La nostra conoscenza dei calendari greci è alquanto limitata, tuttavia
è chiaro che computo, costruzione e vari usi dei calendari sono campi nei
quali il lavoro degli antichi servi da base a numerosi sviluppi e applica-
zioni in epoca medievale. Lo studio dei calendari richiede un'ampia gam-
ma di considerazioni (tra cui la cronologia politica) che non interessano
direttamente in questa sede. Concentreremo pertanto la nostra atten-
zione su alcuni esemplari di calendari greci conservati, che, a quanto sem-
bra, ebbero una notevole influenza in epoca medievale. Il primo tipo è
una specie di calendario astro meteorologico denominato JtUQWtTJYJ.lU, del
quale si conservano attestazioni sia sotto forma di frammenti incisi su
pietra, sia di testo letterario. Nei primi decenni del xx secolo sono stati
trovati a Mileto frammenti di due esemplari in pietra datati, rispettiva-
mente, agli ultimi decenni del n secolo e ai primi del 1 secolo a. C. 28
A quanto sembra, in origine, il termine JtaQ03tTJYJ.lU, che significa
«qualcosa su cui si può fissare qualcosa vicino a qualcos'altro» 2' , indi-
to conterrebbe le istruzioni per l'uso. Si ritiene inoltre, per induzione, che il termine nu~.>fin1mia
facesse parte dell'iscrizione. Sulle istruzioni per l'uso del calendario, parzialmente conservate, e su
quelle relative alla collocazione del piolo cfr. DIELS e REHM, Parapegmen/ragmente cit. Cfr., inoltre,
H. G. UDDELL e R. scoTI', A Grr!ek-Eng/ish Lexicon, Oxford 1968, s.v. «ltUQaJtljyvuJlu>, dove si so-
stiene che l'uso di questo verbo nel dialogo platonico spurio Axiochus (J70C) testimonia la cono-
scenza dei ltUQaJtljyJla"ta; EVANS, The History (1983) cit., pp. A-579-80, sull'uso dell'infinito na-
Qanayijvm nelle istruzioni per collocare il piolo. Sui naQanljyJLma cfr. anche D. R. mcKs, &r/y
Grr!ek Astronomy to Aristot/e, Ithaca 1970, pp. 84-85.
lO Cfr. NEUGEBAUER, A History cit., p. 587. Altri frammenti sono noti e menzionati da Neuge·
bauer; cfr. anche A. REHM, Parapegma, in RE, XVIII/4 (1949), coll. 1295-366. I frammenti milesi
sono gli esempi meglio conservati di ltUQ<In1'rvJLam di pietra iscritti che elencano fenomeni astrono-
mici. Rehm e, sulla sua scorta, Neugebauer, nella loro analisi dei ltllQruniYJla'ra, fanno riferimento
a due piccoli frammenti, uno proveniente da Atene (Kerameikos = A3 in Rehm), l'altro da Pozzuoli
(Puteoli = A4 in Rehm). Non è chiaro se il frammento del Ceramico sia astronomico (ringrazio Ro-
bert Hannah e Joyce Reynolds per averne discusso con me). Il frammento di Pozzuoli sembra esse-
re astrometeorologico. Sul frammento del Ceramico cfr. A. BRlicKNER, Mittei/ungen aus dem Kenz-
meikos V Vorbericht iiber Ergebnisse der Grabung 1929, in «Mitteilungen cles deutschen Archiiolo·
gischen lnstituts, Athenische Abteilung>>, LVI (1931), p. 23; 1. KIRCHNER, Inscriptiones Atticae
Euc/idis Anno Posterio1Y!s, Chicago 1974, II, p. 785 (n. 2782). Sul frammento di Pozzuoli dr. r. MIN-
GAZZINI, VI. Pozzuoli. Frammento di calendario perpetuo, in <<Notizie degli Scavi di Antichità», VI
(1928), pp. 202-5; A. DEGRASSI (a cura di), Inscriptiones lta/iae, XIII/2, Roma 1963, n. 57 (<<Para·
pegma Pvteolanum»), pp. 3 1o-11. (Alcuni altri naQanljyJLa"ta, menzionati per esempio da Rehm e
Degrassi, non sembrano avere molto in comune con i reperti di Mileto e Pozzuoli, e non sembrano
inoltre astrometeorologici; considero queste iscrizioni come parte di un altro progetto). Cfr. EVANS,
The History (1983) cit., p. A-578; ID., The History (1998) cit., p. 201; w. K. PRITCHETI e B. L VAN
DER WAERDEN, Thucydidean time-1Y!ckoning and Euctemon's seasona/ calendar, in <<Bulletin de Corre·
spondance Hellénique>>, LXXXV (196!), p. 40, per la menzione dell'uso pubblico.
" Cfr. REHM, Parapegma ci t.; DEGRASSI, lnscriptiones Ita/iae cit., sezione sui naQalt~YJLUTU, pp.
305 sgg.
" Ibid.; CICERONE, Epistulae ad Atticum, I4-I5- E. O. Winstedt, nella sua traduzione della !et·
tera 14 (London 1956, p. 3 73), spiega che la locuzione naQciltTJYJlll Èvtaumov della lettera 14 corri·
sponde alla locuzione clavus anni della lettera 15, e che <d'espressione deriva dall'uso di conficca-
re un chiodo nella parete destra del tempio di Giove, ogni anno alle idi di settembre, per tenere il
conto degli anni». G. R. Mair, nell'Introduzione dell'edizione Loeb dei Phaenomena di Arato, p.
205, osserva che «era usuale per gli astronomi antichi 'affiggere' (naQan'T'(Vilvm) i loro calendari
sulle colonne delle pubbliche piazze, per cui ltUQWnrvJlll, oggetto affisso, diventò sinonimo di 'ca·
lendario' ». Mair cita ELIANO, Varia historia, 10.7, che fa riferimento alle colonne (o-rijÀm) erette da
Metone per registrarvi i solstizi. Nel dialogo platonico spurio Axiochus, 370c, Socrate avanza l'ipo·
tesi che la produzione di nnQanljyJLa"ta sia un'attività umana particolare, collegata allo spirito di·
vino (nvEiiJLU iteiov).
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 903
" Sui calendari antichi cfr. E . J. BICKERMAN, Chronology of the Ancient World, London 198o',
pp. 1\ ·61 .
" ARISTOFANE, Nuvole, 614 sgg., si prende gioco del calendario ateniese e riporta le !amen te·
le cldla Luna per il fatto che gli Ateniesi non fanno combaciare i giorni con le sue fasi . Cfr. anche
B. 11 MERITI", The Athenian Calendar in the Fifth Century, Cambridge Mass. 1928.
" NEUGEDAUER, A History cit., p. 588. In maniera abbastanza sorprendente, Neugebauer so-
sri~llc (pp . 617, 622) che <d'intento primario dei cicli [calendariali] noti del v e IV secolo era la rea-
li zzol zionc di 1taQmtt\Y!!Uta affidabili, e non la riforma dei calendari civili». Secondo G. J. TOOMER,
•M cton», in OCD, Metone ed Euctemone non erano interessati alla riforma del calendario, ben-
si ,dia definizione di una solida base per le osservazioni astronomiche. Per un'analisi approfondi-
ta ' " Mctone come autore di 1taQa1tt\Y1!Uta cfr. A. c. BOWEN e B. R. GOLDSTEIN, Meton of Athens and
Ollmnomy in the f4tefifth century B.C., in E. LEICHTY, M . DEJ. ELUSe P. GERARDI (a cura di), A Scien-
tific l lronanist:Studies in Memory of Abraham Sachs, Philadelphia 1988, pp. 39-81.
.........
• L'Uccello inizia a tramontare al calar della notte .
"Joyce Reynolds ha sostenuto correttamente, nel corso di una conversazione, che la località
di ritrovamento dei frammenti dovrebbe essere indagata in maniera piu approfondirà . Harry Pleket,
sernrre in una conversazione, ha avanzato l'ipmesi che i naQmnjyj.lata dovevano avere un qualche
sr arus ufficiale .
" s. JENKS, Medieval astrometeorology , in «lsis », LXXIV (1983) , pp. 185 - 210 . Jenks fornisce
alt rl' si un indice degli incipit.
Figura 4·
Il meccanismo a ingranaggi di Antikythira.
906 Continuità e riusi
41 D. J. DE SOLLA PRICE, Gears /rom the Greeks. The Antikythera mechanism. a calendar compu·
terfrom ca. Bo B.C., in «Transactions of the American Philosophical Society», n.s., LXIV, 7 (1974),
pp. 13, 22, 59-60. Cfr. anche A. G. IJROMLEY, Notes on the Antikethera mechanism, in «Centaurus,.,
XXIX (1986), pp. 5·17; m., Obscrvations o/ the Antikythera Mechanism, in «Antiquarian Horo·
logy», XVIII (1989·90), pp. 641·52; E. c. ZEEMAN, Gears/rom the Greeks, in <<Proceedings of the
Royal Institution of Great Britain>>, LVIII (1986), pp. 137·56.
•• I'RICE, Gears ci t., p. 48; cfr. anche p. 46. Price osserva che la piastra su cui è inciso i11tai}UntiY·
~a pone qualche problema, e che non ne è molto chiara l'utilizzazione nell'ambito del meccanismo
di Antikythira.
4
' D. R. HII.L, Al-Biruni' s Mechanical Calendar, in <<Annals of Science», XLII ( 1985), pp. r 39-63.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 907
" Cfr. FIELD e WRIGIIT, Gears ci t., pp. 87-138, che si avvalgono ampiamente del saggio di Price.
Cl r. anche ID., Early Gearing: Geared Mechanisms in the Ancient and Medi eva/ W or/d, London 1 985.
Ur. anche J. v. FIELD, Some Roman and Byxantine portable sundials and the London sundial-calen-
dar, in <dlistory of Technology>>, XII (1990), pp. 124-27, in cui vengono prese in esame le possi-
bili utilizzazioni della meridiana-calendario; M. T. WRIGHT, Rational and irrational reconstruction:
tbc /.ondon sundial-calendarand the early history of geared mechanisms, ivi, pp. 65-102; J. v. FIELD,
Europea n astronomy in the first millenium: the archaeological record, in c. WALKER (a cura di), Astro-
nomy be/ore the Telescope, London 1996, pp. 110-22 .
Figura 5· Astrolabio persiano con congegno a ingranaggi con funzione di calendario, rea-
lizzato da Muhamrnad ben Abi Bakr al-ibari al-Isfahani (1221{22) .
908 Continuità e riusi
" PR_rcE, Gears ci t., pp. 54·5 5· Cfr. J. o. NORTII, Richard o/ Wallingford, 3 voU. , O xford 1976.
Su Dondt cfr. s. BEDINI e F. MADDISON, Mechamca! Universe in «Transactions of the American Phi·
losophical Society >>, LVI, 5 (r966) . '
" F M. CORNFORD, Plato's Cosmology:the 'Timaeus' o/ Plato Translated with a Running Com·
'""''tar, London 1937 (risi. lndianapolis 1975), p. 74, che cita anche u. VON WILAMOWITZ·MOEL·
J L:-;noRFF, Platon, Berlin 1920, II, p. 390, e PLATONE, Epinomide, 2.312d.
" TEONE m SMIRNE, De uti/itate mathematicae, 3· 16, tradotto in J. DUPUIS, Theon de Smyme.
i'bdosophe platonicien, Paris 1992 (rist. Bruxelles 1966).
910 Continuità e riusi
XQLXWtfl acpaiga «nella quale i moti della sfera esterna e dei pianeti sono
raffigurati da anelli (XQLXOL)». Sempre secondo Cornford, la sfera cui si
riferisce l'Accademia sarebbe stata di questo tipo, e perciò non altret·
tanto complessa della «sfera matematica» costruita da Archimede, che,
secondo quanto si dice, avrebbe riprodotto tutti i moti celesti48 • Pertan-
to, quello utilizzato dall'Accademia era un anello, e non una sfera, per·
ché un globo vero e proprio avrebbe celato alla vista gli anelli interni49
Non si sono conservati esemplari di sfere armillari antiche, ma nell'In-
troduzione ai fenomeni Gemino ne descrive l'utilizzazione in qualità di
strumenti didattici che chiama XQLXWtat acpai(lm (sfere ad anello), per di·
stinguerle dalle <JtEQEat ocpai(lm (sfere solide), ossia i globi celestP0
David Sedley ha studiato la documentazione scritta relativa alla scuo-
la di matematici di Cizico, allievi di Eudosso (Iv secolo a. C.), partico·
larmente interessati alla costruzione di strumenti atti a dimostrare le lo·
ro idee in materia di moto planetarios 1• Nel 1 secolo a. C. Cicerone guar·
dava ad Archimede (m secolo a. C.) come al fondatore della branca della
meccanica dedita alla costruzione di planetari. Molti altri autori antichi
accennano ai modelli di Archimede'z. Secondo Pappa di Alessandria, at-
tivo intorno al320 d. C.", Archimede avrebbe scritto un'opera sulla Co-
struzione della sfera (lle(Ji arpat(JOJtoLia~), oggi perduta. Anche al filosofo
Posidonio (c. I 35-50 a. C.) si attribuiva la costruzione di un modello di
moto planetario 54 • A una significativa distanza di tempo, nel II secolo d.
C., l'astronomo T olomeo e il medico Galeno accennano a modelli di mo-
ti planetari e ai relativi costruttori" Non si è conservato nessuno di que-
sti modelli di moti planetarP\ ma i racconti sugli antichi planetari con-
48
CORNFORD, Plato's Cosmology cit., pp. 75·76, descrive la sfera armillare in maniera partico·
lareggiata e fa osservare che l'anello esterno avrebbe dovuto corrispondere, nelle intenzioni,
all'equatore della sfera delle stelle fisse. Sui modelli di Archimede dr. PLUTARCO, Vita di Marcel·
lo, 17.3-5; OVIDIO, Fasti, 6.277·80; CICERONE, Derepubfica, 1.14; ID., Tuscu/anae, 1.25, ID., De114·
tura deorum, 2.34-35, in cui si fa menzione del modello planetario di Posidonio.
"CORNFORD, Plato's Cosmology cit., pp. 75·76. L'analisi della sfera armillare occupa alcune
pagine. Che Cornford abbia interpretato questo passo platonico in riferimento a una sfera armi!·
!are con funzione dimostrativa è confermato anche dall'utilizzazione di un'immagine ottocemesca
sul frontespizio del suo libro.
10
GEMINO, Introduzione ai fenomeni, 16.10·12; J. EVANS, The materia/ culture o/Greek uslro·
nomy, in <<Journal for the History of Astronomy», XXX, 3 (1999), pp. 241-42.
" D. SEDLEY, Epicurus and the mathematicians o/ Cyzicus, in <<Cronache Ercolanesi», VI (1 'J76),
pp. 23·54·
" CICERONE, De republica, 1.14; dr. anche sopra la nota 48.
"ID., De natura deorum, 2.34-35.
14
Ipotesi sui pianeti, 1.1.; GALENO, Su/l'utilità de/le parti, 2.295.
TOLOMEO,
" PAPPO,Co/lezione, 8.3.
" EVANS, The materia! culture cit., p. 242, menziona la raffigurazione murale di una sfera ar·
miliare trovata a Stabia, vicino a Pompei. Cfr. P. ARNAUD, L 'image du globe dans le monde romain:
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 91 I
Jc.'CIIcc, iconographie, symbolique, in <<Mélanges des I'Ecole Française de Rome», CVI (1984), p.
7l. Il. CAMARDO e A. FERRARA, SttJbiae·le ville, Castellammare di Stabia 1989, pp. 67-68. Sono gra-
ta al professar Settis per aver richiamato la mia attenzione sul cosiddetto «monumento di Arato»,
dal monastero di Sant'Emmeram a Ratisbona (c. 1060), del quale scrive in Memoria dell'antico
'" llurtc italiana, III. Dalla tradizione all'archeologia, Torino 1986, p. 419 (e figg. 386-87): «Si trat-
ta di un pilastro ottagonale sormontato da un ampio disco, che su una faccia reca la proiezione in
p~;~no Jclla sfera celeste di Tolomeo, con scritte latine che ne agevolano la lettura, mentre sul lato
11pposto c'è Arato che leva il volto in alto, a fissare sul cielo lo sguardo. La sinistra, ora mancante,
d"'"""" reggere un radius, una bacchetta; e infatti la scritta dichiara e commenta: SIDEREOS MOTVS
H.\lllll I'ERCVRRIT ARATVSI>.
P. 1.. ROSE, The ltalian Renaissance o/ Mathematics: Studies o/ Humanists and Mathematiciam
f,,,,ll l'ctrarch to Galileo, Genève 1975, pp. 8-1o, ricorda l'ammirazione di Petrarca e Ficino per
:\r, hi mede costruttore di un planetario.
'"l\1. COMES, Equatorium, in R. BUD e D. J. WARNER (a cura di), lmtruments o/Science:An His-
torica! Encyclopedia, New York- London 1998.
''' o. GINGERICII, Astronomica/ paper instruments with moving parts, in R. G. w. ANDERSON, J. A.
:-<):t:rr e w. F. RYAN (a cura di), Making Instruments Counts: Essays on Historical Scienti/ic lnstru-
lllcl/11 presented to Gerard L'Estrange Tumer, Aldershot 1993, pp. 63-74.
" !'ROCLO, Hypotyposis astronomica'I'Um positionum, 3.66-72, in c. MANITIUS (a cura di), Procli
Diad"chi Iiypotyposis astronomicarum positionum, Leipzig 1909, pp. 72-77. Cfr. anche EVANS, The
materia! culture ci t., pp. 262-64.
912 Continuità e riusi
ni del Sole, della Luna e dei pianeti ai fini di facilitare i calcoli61 La teo-
ria tolemaica servi da base a due testi dell'xi secolo (i primi noti in ma-
teria) sugli equatoria redatti nella Spagna islamica da Ibn al-Samh (mor-
to nel 1035) e da al-Zarqali (1029-87) 62 • Si continuò a realizzarne, e a
scriverne, in epoca medievale e poi rinascimentale6 ) The Equatorie of
the Planetis è un testo datato al 1392 che potrebbe essere stato redatto
da Geoffrey Chaucer, morto nel 1400, a complemento del suo scritto
sull'astrolabio del 1391. Un esemplare medievale di equatorium perve-
nutoci è conservato al Merton College di Oxford (fig. 9) 64 •
Le macchine tridimensionali fungevano sia da illustrazione dei moti
astronomici, sia da quadro cosmologico e sistema di coordinate. Una do-
cumentazione di vario tipo attesta l'uso delle sfere armillari, a quanto
sembra dotate sovente di impugnatura per facilitarne la maneggevolez-
za. Immagini di sfere armillari di questo tipo sono presenti nei mano-
scritti, talvolta con funzione di elementi decorativi (fig. 10) . Lo stru-
mento didattico potrebbe risalire, nell'Occidente latino, agli ultimi de-
cenni del x secolo; secondo alcuni studiosi, Gerberto di Aurillac avrebbe
" Claudii Ptolemaei Opera que exstant omnia, a cura di J. L. Heiberg, Leipzig 1898·•954, Il,
pp. 165-69. Cfr. anche N. IIALMA (a cura di), Commentane de Théon d' Alexandrie sur !es tables ma·
nuel!es astronomiques de Ptolémée, Paris 1822-25, l, pp. 7-1 I .
"EVANS , The materia! culture cit., pp. 263-64; D. J. DE SOLLA PRICE, Precision instrumcnts:lo
1500 , in A History ofTechnology, III , Oxford 1957, pp. 6r6-17 [trad. it. Torino 1963]. Cfr. an·
che TURNER, Mathematical lnstruments cit., pp. 83 -84 .
61 Cfr. E. POULLE, Les lnstruments de la théorie des planètes selon Ptolémée:équatoires et horla·
ges planétaires du XII! au xvt siècle, 2 voli., Paris-Genève 1980. '
"PRICE, Precision instruments cit., p. 617.
Figura 8. Volvelles per trovare la posizione del Sole (a) e quella di Giove (b) , dallo Specu-
lum Uranicum di Giovanni Paolo Gallucci (1593).
b
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 913
Figur<t '.!· a. Equatorium inglese (c. 1350). b. Equatorium francese (c. r6oo).
" o . GINGERICII, The 1582 'Theorica Orbium' o/ f-Jieronymus Vulparius , in «]ournal for thc His·
tory of i\stronomy », VIII (1977), pp. 38-.n .
68
PR!CE, Precision instruments cit. , p. 6I6.
"J . NORTH, The Fontana f-listory o/ Astronomy and Cosmology , London 1994, p. 246 .
70
11. c. KING e J. R. MILLBURN , Geared to the Star! : the Evolution of Planetariums , Orrerit•s, and
Astronomica/ Clocks, Toronto-Buffalo 1978, pp. 28-41.
lr~trra q. Coppia di sfere armillari di Richard Glynne (Londra): a. tolemaica (c. 1715);
b. copernicana (c. 1725).
b
916 Continuità e riusi
" Questo tipo di sfera armillare è anche conosciuta come zodiacale. Tolomeo la descrive in
maniera particolareggiata nel Trattato di matematica, 5. 1. Per una traduzione inglese del Trattato
con utili annotazioni cfr. TOOMER (a cura di), Ptolemy's Almagest cit., pp. 217-19; a p. 219, nota
5, Toomer sottolinea le difficoltà di interpretazione del testo. Cfr. anche PRICE, Precision imtru-
ments ci t., pp. 591-92; PEDERSEN, A Survey ci t., p. 183; NEUGEBAUER, A History ci t., p. 871; J. A.
IJENNETT, The Divided Circle: A History of Instruments [or Astronomy, Navigation and Surveying,
Oxford 1987, p. 13.
76
SCHECHNER GENUTH, Armillary sphere ci t. Cfr. anche A. SAYILI, The Observatory in Islam and
its Piace in the Genera! History of the Observatory, Ankara 1960. Nel XVI secolo anche Tycho Brahe
costrui sfere armillari sul modello di Tolomeo: cfr. Astronomica instaurate mechanica, Wandeshur·
gi 1598, e H. RAEDER, E. STROMGREN e B. STROMGREN (a cura di), Tycbo Brahe's Description of bis
Instruments and Scientific Work, Copenhagen 1946.
71
Cfr. PEDERSEN, A Survey cit., p. 15; utile per ulteriori particolari sulla storia della traduzio-
ne dell'Almagesto.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 917
7. Astrolabi.
TURNER, Mathematica/ Instruments cit., p. 70. Cfr. anche GUTAS, Greek Thought ci t.
" Non è questo il luogo adatto per tentare neppure una storia per sommi capi dell'astronomia
araba, né per un'analisi particolareggiata dell'interazione con quanto fatto in Grecia. Al lettore in-
teressa w potranno essere utili, per un primo approccio all'argomento, Studies in the Islamic Exact
Socnccs, Beirut 1983; w. HARTNER, Oriens-Occidem, 2 voli., Hildesheim 1968; D. A. KING, Islamic
.lluthcmatica/ Astronomy, London 1986; ID., Islamic Astronomica/ Instruments, London 1987; ID.,
il.,tnmomy in the Service o/ lslam, Aldershot 1993; G. SAUBA, A History of Arabic Astronomy: Plan-
ctury Thcories during the Go/den Ages o/ lslam, New York 1994; J. SAMSo, Islamic Astronomy and
Mcdicva!Spain, Aldershot 1994·
'" SCI!ECHNER GENUTH, Anni//ary sphere cit.
918 Continuità e riusi
81
F. MADDISON, A Fifteenth Century spherica/ astroklbe, in «Physis», IV (r962 ), pp. ror-9; E.
CANNOBIO, An importantfragment o/ a west Isklmic sphericalastroklbe, in «Annali dell 'Istituto e Mu·
s~~ di Storia ~ella Scienza di Firenze», I, 1 (1976), pp. 37· 41, per la descrizione degli astrolabi sfe·
nc1 conservati.
02
D. A. KING, Astroklbe, in BUD e WARNER (a cura di), Tnstruments o/ Science cit.
81
D. R. D!CKS, The Geographica/ Fragments o/ Hipparchus, London r96o, frammento 63 (pp.
IOl·J) e relauvo commento (pp. 194-207), contesta l'affermazione secondo cui Ipparco sarebbe
stato a conoscenza delle proiezioni stereografiche. NEUGEBAUER, A History cit., p. 869, nota 2, è
piuttosto critico sull'attribuzione a lpparco dell'invenzione della proiezione stereografica, che ri-
tiene abbastanza infondata. Cfr. anche ID., The early history of the astrolabe: studies in ancient astro-
"om1·IX, in <<isis>>, XL (1949), pp. 240-56, dove cita un passo di Sinesio di Cirene (c. 370-413 d.
C. l. allievo di lpazia, possibile punto di riferimento per il lavoro di lpparco sulla proiezione. Cfr.
liiNI·:sm, Lettera a Peonio, in PG, coli. 1583-84; trad. ingl. parziale in HARTNER, Oriens-Occidens
ci t :cfr. DICKS, The Geographical Fragments cit.; NEUGEBAUER, A History cit., pp. 874-76; trad. in-
gl. integrale in A. FITZGERALD, The Letters o/Synesius ofCyiY!ne, Oxford-London 1926. Trad. fr. di
A. Scgonds dei paragrafi 4-5 in J. PHILOPON, Traité de l'astrolabe, Paris 1981. Sono grata a A. Turn-
er per questa informazione bibliografica. Cfr. anche A. J. TURNER, The Time Museum Catalogue of
the Collection, l/1. Time Measuring Instruments. Astrolabes and Astrolabe Related Instruments,
Rockford 1985, p. 10. Secondo Turner, VlTRUVIO, 9.8, descrive una proiezione stereografica nel-
la sua presentazione dell'orologio. Se Vitruvio avesse avuto realmente dimestichezza con la proie-
zione stereografica lo si sarebbe saputo un po' prima.
" TUI.OMEO, Planisphaerium, in ID., Opera Q$/ronomica minora, a cura di J. L. Heiberg, Leip-
zig 1907, pp. 227 sgg.
s
+
t
osservatore
920 Continuità e riusi
gno» (àQ<iXVTJ}, basato su una proiezione della sfera celeste85 • Egli af-
ferma inoltre che coloro che praticano l'astrologia, compresi i medici,
userebbero svariati strumenti del genere86 • Olaf Pedersen ha ipotizzato
che questo strumento fosse una specie di orologio anaforico destinato a
un uso invernale in assenza di sole, e descritto da Vitruvio nel trattato
Sull'architettura'7 In quest'opera Vitruvio descrive un orologio dotato
di tamburo sul quale sono disegnate le costellazioni88 • T eone di Ales-
sandria (c. 300 d. C.) avrebbe descritto un astrolabio planisferico in
un'opera andata perduta". Anche il testo greco del Planispherium diTo-
lomeo è andato perduto, ma una versione araba (probabilmente incom-
pleta) di Maslama ben Ahmed al-Majriti (morto nel xoo7/8) fu tradotta
in latino da Ermanno il Dalmata nel x143!10·
In una lettera a Peonio, Sinesio di Cirene (c. 370-413 d. C.) descrive
uno strumento astronomico che presenta come un dono. Lo strumento
consentiva di misurare il tempo nelle ore notturne mediante proiezione
stereografica delle stelle su una superficie curva dotata di una parte mo-
bile (probabilmente una sorta di rullo). Lo strumento di Sinesio potrebbe
esser messo in relazione con l'astrolabio''. Il piu antico Trattato sull'astro-
labio a tutt'oggi esistente è quello di Giovanni Filopono; esso risale al VI
secolo e ne illustra le modalità di costruzione e utilizzazione72 • Si è con-
servato anche un testo del vn secolo: scritto in siriaco prima del 66o, è
opera di Severo Sebokt e, al pari del precedente, deriva dal trattato
sull'astrolabi!J di T eone di Alessandria'} I primi astrolabi di cui si ha una
p 24 3. Neugebauer sostiene che entrambi i testi sono basati sull'opera di Teone di Alessandria
sull'astrolabio, ma che il testo di Sebokt è piu aderente all'opera di Teone.
" KING , Astrolabe cit.
" lbid., non fornisce ulteriori particolari in proposito.
"Brescia, Civici Musei d'Arte e di Storia, IC n. 2, riprodotto in A. JONES, Later Greek and
By~anline astronomy, in WALKER (a cura di), Astronomy ci t., p. 106.
" KING, Astrolabe ci t.
" TURNER, The Time Museum ci t.
cidente prima della fine del XVI secolo sono almeno quaranta o cinquan-
ta e derivano tutti dalla cultura araba fiorita in Spagna. Un'opera im-
portante è quella attribuita a un autore ebreo, Masha' allah. L'influenza
esercitata da quest'opera- che si è soliti citare come «pseudo-Masha'al-
lah» - fu assai ampia e può essere constatata, per esempio, nel Treatise
on Astrolabe scritto nel I 3 9 I dal poeta inglese Geoffrey Chaucer. Il trat-
tato di Chaucer si è conservato in numerose copie manoscritte. A un au-
tore francese suo contemporaneo, Pèlerin de Prusse, si deve la Practique
de Astralabe" Sotto molti aspetti, l'astrolabio sembra essere lo strumen-
to astronomico medievale per eccellenza; in realtà, deve parecchio al sa-
pere greco di epoca ellenistica. In Occidente, la costruzione di astrolabi
continuò sino al XVII secolo, nel mondo islamico sino al XIX 100 •
Lo strumento descritto da Giovanni Filopono è relativamente sem-
plice, ma quelli successivi presentano modificazioni che li rendono sem-
pre piu versatili. Per esempio, il modello basilare dell'astrolabio con-
sente la Inisurazione degli angoli, utile tanto nel rilevamento che in astro-
nomia. A partire almeno dal IX secolo molti astrolabi sono dotati di un
quadrante delle ombre che consente di risolvere i problemi di rileva-
mento mediante le proporzioni 101 • Nel corso del XVI e XVII secolo furo-
no messi a punto vari tipi di nuove proiezioni, trasformando l'astrola-
bio in uno strumento «universale», ossia tale da non richiedere piu al
viaggiatore di utilizzare dischi diversi a seconda dei diversi luoghi in cui
si trova 102 • L'astrolabio fu uno strumento utilizzato per molto tempo; la
sua longevità si spiega, senza dubbio, con la varietà degli usi e le inno-
vazioni che consentiva e sollecitava. Come strumento di osservazione
astronomica, la maggior parte degli astrolabi erano probabilmente di di-
99
Cfr. w. w. SKEAT (a cura di), A Treatiseon the Astrolabe;Addressed tohis Son Lewys by Geo/·
frey Chaucer, London 1872. Cfr. anche c. EAGLETON, Chaucer's Treatise on the Astrolabe, M.Phil.
thesis, Department of History and Philosophy of Science, University of Cambridge, 1999 (inedi-
to). Si è molto discusso sulla relazione tra il trattato di Chaucer e un'opera simile di un autore co-
nosciuto come Masha'alla. Una versione latina dell'opera, attribuita a Giovanni Ispano, è intito·
lata De compositione et utilitate astrolabii. L'identità dell'autore di questo trattato è oggetto di di-
scussione, e talvolta viene citato come pseudo-Masha'alla. Cfr. P. KUNIT/.SCII, On the authcnticity
o/ the Treatise o/ the astrolabe on composition and use o/ the astrolabe attributed to Messahalla, in «Ar-
chives Internationales d'Histoire cles Sciences», XXXI (1981), pp. 42-64. Cfr. anche E. I.AIRD e R.
FISCHER, Pelerin de Prusse on the Astrolabe, Binghampton 1995.
100
KING, Astrolabe ci t. Un elenco delle opere fondamentali sull'astrolabio deve necessariamente
comprendere R. T. GUNTIIER, The Astrolabes o/ the W or/d, 2 voli., Oxford 1932; s. L. GIBBS, J. HEN·
DERSON e D. DE SOLLA PRICE, A Computerised Checklist o/ Astrolabes, New Haven 1973.
101
Secondo TURNER, The Time Museum cit., p. 21, al-Biruni, nell'Ifrad al-maqal /t amr az-Zilal
(Trattato generale sulle ombre), attribuisce ad al-Khwarizmi l'invenzione del quadrante delle ombre.
102
Un opuscolo realizzato dal Department of Navigation and Astronomy, National Maritime
Museum di Greenwich, intitolato The Planispheric Astrolabe, Greenwich 1976, è un'introduzione
eccellente per comprendere il funzionamento dell'astrolabio. I vari tipi di astrolabio universale so·
no analizzati alle pp. 3 2-41.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 923
mcnsioni troppo limitate per essere veramente precisi. Era inoltre uno
strumento di misurazione del tempo costoso e raffinato, ed è probabile
che venisse acquistato anche per altre finalità, tra cui il calcolo e l'inse-
gnamento. Bellezza e complessità lo resero certamente un oggetto ap-
petibile, e non è da escludere che abbia avuto acquirenti attratti dal pre-
stigio conferito dal possesso di oggetti di tale rarità. Collocando l'astro-
labio nel contesto del destino della scienza greca, Anthony Turner ne
ha fornito un'utile sintesi: «Bello, per la forma come per la semplicità
costruttiva, l'astrolabio, frutto della competenza geometrica della tarda
antichità, è stato il veicolo piu importante per la trasmissione a due ci-
viltil del bagaglio di conoscenze della Grecia nel campo della geometria
e dell'astronomia. In ciò consiste la sua importanza storica» 10l
R. Globi.
di strumenti, tra cui dispositivi per la misurazione del tempo quali orologi
ad <lcqua e clessidre, oltre che le meridianem. Non abbiamo conoscenza di-
rett<l dell'ambiente nel quale Tolomeo lavoravam, né siamo molto infor-
mati di quelle che erano, in generale, le concrete condizioni di lavoro di
chi praticava l'osservazione degli astri. Strabone accenna all'osservatorio
di Eudosso a Cnido, dal quale ebbe modo di osservare la stella Canopo, e
a un altro nei pressi di Eliopoli nel quale lavorò durante il soggiorno in
Egitto 12 H Si può ipotizzare l'allestimento di una sorta di osservatorio astro-
nomico o di un posto di osservazione ad Alessandria, come del resto an-
che in altre località. In ogni caso, la documentazione è troppo scarsa per
potcrne parlare piu diffusamente. Sappiamo, peraltro, che gli astronomi
delle epoche successive, dagli scienziati islarnici a Tycho Brahe, si dotaro-
Per l'orologio ad acqua (clessidra) cfr.la descrizione che ne fonisce VITRUVIO, 9.8. Cfr. an-
che 11 t(~ER, Mathematicallnstruments cit., pp. J2·JJ, 38-41, con ulteriori utili indicazioni.
Turner afferma che «gli strumenti di Tolomeo erano ubicati nel Museo di Alessandria, an-
che,,. gli studiosi non concordano sulla loro precisa collocazione" (ibid., p. 44), e rimanda a SAYI-
u, r;,,. Ohwrvatory cit., pp. 349-54, per uno studio introduttivo della questione. Cfr. anche TAUB,
Instr:t •li<'//II ci t.
'" mcKs, Ancient Astronomicallnstruments cit., p. 85.
IO. Bilance.
La nostra analisi del destino della scienza greca in epoca medievale ha
privilegiato in larga misura gli strumenti scientifici collegati all' astrono-
mia e alla misurazione del tempo. La documentazioni relativa a questo
genere di congegni è piu abbondante che per altri, il che però non signi-
fica un totale silenzio su strumenti diversi, anche assai specializzati. Nel
XII secolo, per esempio, Abu al-Fath 'Abd ar Rahman al-Mansur al-Kha-
zini (attivo nel periodo I I I 5/I6-n21/22) osserva nel suo Kitab mizan al-
Hikma (Libro della bilancia della saggezza) che, al pari di strumenti astro-
"' RAEDER, STROMGREN e STROMGREN (a cura di), Tycho Brahe's Description cit.
110
A. LEJEUNE, Euclide et Ptolomée. Deux stades de /'optique geometrique Grecque, Louvain
1948, pp. 40-41, IJI.
111
Mathematical lnstruments ci t., p. 47; PRICE, Precision inslruments cit., p. 591 An-
TURNER,
che Archimede ha descritto uno strumento da lui utilizzato per misurare il diametro apparente del
Sole; cfr. TURNER, Mathematical lnstruments cit., p. 47, nota 155, per i dettagli.
"' lbid., pp. 47-48; PRJCE, Precision instruments cit., p. 61o per il piu antico, ma incompleto,
manoscritto esistente di questo libro. Per la diottra di Erone cfr. anche H. SCHONE (a cura di). He-
ronis Alexandrini Opera quae supersunt omnia, Leipzig 1903; A. G. DRACHMAN, Hero's dioptra and
levelling instrument, in A History o/ Technology ci t., pp. 609·12; ID., A detail o/ Hero's dioptra, in
«Centaurus», XIII (1950), pp. 241-47·
m PRICE, Precision instruments ci t., p. 591; cfr. anche w. F. J. MORZER BRUYNS, The Cross-sta//:
History and Development o/ a Navigational Instrument, Vereeniging Nederlandsch Historisch Scheep·
vaart Museum, [Amsterdam] 1994.
Taub Eredità e longevità degli strumenti scientifici 929
~. KIIANIKOFF,
1
" Analysis o/ the Book o/ the ba/ance o/ wisdom, in «]ournal of the American
Orimt<d Society>>, VI (1858), p. 87.
1
" TUHNER, Mathematical Instruments cit., p. 85. Cfr. anche R. LORCII, AI-Kha:r.ini's "sphere that
'"'"'"' hy itJe/f', in <<]ournal for the History of Arabic Science,., IV (1980), pp. 287-329, per un esa-
mc dello strumento, i cui possibili legami con strumenti ellenistici sono analizzati alle pp. 290-91.
1
" Sull'utilizzazione dell'astronomia a fini religiosi nell'Islam si possono leggere KING, Islamic
Al,lll•cmatica/ Astronomy cit.; ID., Islamic Astronomica! Instruments, ci t.; ID., Astronomy cit.
117
Corano, 21.47 (trad. di M. M. Moreno).
1
" KIIANIKOFF, Analysis cit., pp. 12, 85. Cfr. anche D. HIU., Arabic water-clocks, inSourcesand
Studies in the History o/ Arabic-Islamic Science: History ofTechnology, Aleppo 1981, pp. 47-68.
"'' KllANIKOFF, Analysis cit., pp. 40-52.
I'URNER, Mathematical Instruments cit., pp. 76, 88-89.
930 Continuità e riusi
lance greche, arabe e latine Wilbur Knorr sostiene che la tradizione me-
dievale nel campo della meccanica, in ambito latino come arabo, fu ini-
zialmente caratterizzata dall'interesse per le opere greche dedicate alla
teoria geometrica della stadera o bilancia romana. Knorr sottolinea le
complesse interazioni tra queste tre tradizioni linguistiche, pur facendò
presente che i testi scritti devono essere studiati in parallelo con la do-
cumentazione di carattere pratico e la conoscenza delle singole bilance
pervenuteci 141 • L'interesse pratico per l'uso delle bilance era strettamente
connesso con la trattazione teorica dell'argomento. Knorr infatti affer-
ma che «la concomitanza tra caratteristiche progettuali del concreto stru-
mento e livello di conoscenza in termini di teoria geometrica e mecca-
nica indicano inequivocabilmente una stretta interrelazione tra fattori
teorici e pratici nella realizzazione della stadera romana» 142 • Tale stret-
ta interrelazione è per molti aspetti caratteristica della tradizione.
I I. Conclusione.
' Cfr. R. KLIBANSKY, The Continuit.y o/ the PIJJtonic Tradition During the Middle Ages, Miinchen
1<)8!
'' CII. B. SCHMITI e D. KNOX, Pseudo-Aristoteles Latinus:a guide lo Latin worksfa/se/y attributed
lo liristotle be/ore IJOO,London 1985.
' CII. H. LOHR, Mediaeva/ Latin Aristotle commentaries, in «Traditio», XXIII (1967), pp. 313-
\IJ; XXIV (1968), pp. 149-245; XXVI (1970), pp. 135-216; XXVII (1971), pp. 251-351; XXVIII
l llJ72), pp. 281-396; XXIX (1973), pp. 93-197; XXX (1974), pp. 119-44; in «Bulletin de philo-
"'Phie médiévale», XIV (1972), pp. 1 16-26; ID., Commentateun d'Aristoteau Moyen Age IJJtin. Bi-
hlio)!.raphie de k1 littérature secondaire récente, Fribourg-Paris 1988.
' Cfr. tra gli altri K. BARDONG (a cura di), Galeni de causis procatarcticis /ibe//us a Nico!JJo Regi-
"" in sermonem latinum tram!atus, Lipsiae-Berolini 1937.
' M. CLAGETT, Archimedes in the Middle Ages, 5 voll., Madison 1964- Philadelphia 1984.
'" J .-P. ROTIISCHILD (a cura di), Bibliographie annue/le du Moyen Age tardi/ (auteun et textes !a-
tins), 7 voli., Turnhout 1991 sgg.
9 34 Continuità e riusi
17
m., Af!atun/ii-Is!am, Teheran 1974.
" Cfr. la lista in KLIBANSKY, The Continuity cit., pp. 5·7.
19
Cfr. l'ultimo volume uscito della serie: A. z. ISKANDAR (a cura di), Galen on Examinations by
\\"hich the Best Physicians Are Recognized, Berlin 1988.
10
r;. BERGSTRASSER, Hunain ibn Ishaq iiber die syrischen und arabischen Galen-Ubenetzungen,
l.cipzig 1925; m., NeueMaterialien zu Hunain Ibn lshaq's Galen-Bibliographie, Leipzig 1932.
21
r. SEZGIN, Geschichte des arabischen Schri/ttums, 9 voli., Leiden 1967-84, e in particolare i
l'olumi Il! (dedicato alla medicina), IV (dedicato all'alchimia e all'agricoltura), V (dedicato alla ma-
l<:malica), VI (dedicato all'astronomia) e VIII (dedicato all'astrologia e alla meteorologia). Sulla
medicina cfr. anche M. ULLMANN, Die Medizin im Is!am, Leiden-Kiiln 1970; sulle scienze naturali
'mineralogia, botanica, zoologia), nonché su alchimia, astrologia e magia, cfr. ID., Die Natur- und
("·beimwissenschaften im Is!am, Leiden 1972.
" P. KUNITZSCH, Der Almagest. Die Syntaxis Mathematica des C!audius Ptolemiius in arabisch-
latcinischer Uberlie/erung, Wiesbaden 1974·
" Cfr. l'ultimo volume degli atti di questi convegni: A. V ALVO e R. o. FINAZZI (a cura di), La
<h/fusione del/' eredità classica nell'età tardo antica e medievale. Il' Romanzo di Alessandro' e altri scrit-
ti, Alessandria 1998.
" M. sTEINSCIINEIDER, Die hebraeischen Obenetzungen des Mitte!altm und die ]uden als Dol-
lllchcher, 13erlin 1893.
936 Continuità e riusi
" M. ZONTA, La filosofia antica nel Medioevo ebraico, Brescia 1996; G. TAMANI e M. ZONTA, Ari·
stoteles Hebraicus, Venezia 1997, pp. IJ·53·
"Cfr. la Bibliografia degli scritti di Giuseppe Furlani dal I9I4 a tutto il r956, in <<Rivista degli
studi orientali>>, XXXII (1956), pp. XIII-XXVII.
"Cfr. la bibliografia elencata in H.IIUGONNARD·ROCI!E e A. ELAMRANI·JAMAL, L'Organon. Tra·
dition syriaque et arabe, in R. GOULET (a cura di), Dictionnaire des philosophes antiques, Paris 1989
sgg., I, pp. 502-28.
" R. DEGEN, Galen im 5yrischen, in v. NUTTON (a cura di), Galen: Problems and Prospects, Lon·
don 1981, pp. IJI·66.
" 1. E. IJARSAUM, Histoire des sciences et de la littérature syriaque (in arabo), Baghdad 1976.
1
° Cfr. la sintesi offerta in L. TER PETROSIAN, Ancient Armenian Translations, New York 1992.
H Cfr. la bibliografia degli scritti di Conybeare sulla tradizione dei testi greci antichi presen·
tata da L. Mariès in <<Revue des études armeniennes>>, VI (1926), pp. 200-13.
12
Cfr. al riguardo K. SALIA, La littérature georgienne. I, in «Bedi Kartlisa>>, XVII-XVIII (1964),
pp. 43-45 e 53·55·
"K. II. KUI!N, Philosophy, in A. s. ATIYA (a cura di), The Coptic Encyclopaedia, New York- To-
ronto 1991, VI, p. 1958.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 937
DE LIBERA, Storia de/la filosofia medievale, trad. it. Milano 1995, pp. 13·52.
, " Jheophrastus of Eresus. Sources /or His Life, Writings, Thought and Inf/uence, Leiden New
ì ork Koln 1992 sgg.
938 Continuità e riusi
"o. GUTAS, Greek Thought, Arabic Culture, London- New York 1998.
"F. ROSENTIIAL, Das Fortleben der Antike im Islam, Ziirich-Stuttgart 1965.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 939
'' La bibliografia sulla fortuna medievale di Aristotele è naturalmente vastissima. Per la for-
;una delle singole opere si vedano le ampie bibliografie, a cura di vari autori, riportate sotto le re-
ati\·~ \'oci di GOULET (a cura di), Dictionnaire cit.
940 Continuità e riusi
" Sulla fortuna araba di Platone, resta fondamentale l'articolo (seppure datato) di F. RO-
SENTIIAL, On the knowledge o/ Plato's philosophy in the Islamic world, in <<lslamic Culture», XIV
(1940), pp. 387-422, e XV (1941), pp. 396-98; si veda anche F. KLEIN-FRANKE, Zur 'Oberlieferung
der platonischen Schri/ten im Islam, in «<srael Orientai Studies>>, III (1973), pp. 120-39.
'"Cfr_ al proposito ZONTA, La filosofia cit., pp. 138-4o.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 94 I
111 cnte i contenuti del Fedone: si tratta dello scritto noto al Medioevo la-
tino come De pomo sive de morte Aristotelis, probabilmente redatto in
Mesopotamia, da un autore arabo forse appartenente alla cerchia di al-
Kindi (IX secolo) 41 • Piu in generale, in questi ambienti i nomi di Plato-
ne e Aristotele servirono per veicolare e avvalorare dottrine e testi spu-
ri, spesso di carattere non filosofico, bensi medico, alchimistico e ma-
gico, la cui origine antica non può essere facilmente accertata42 •
In realtà, la fortuna del pensiero greco antico nel Medioevo venne
,tffidata, piu che ai testi di Platone e Aristotele, a quelli dei loro inter-
preti tardoantichi. Per quanto riguarda il Peripato, i suoi scritti ebbero
iortuna soprattutto tra arabi e latini: in siriaco vennero tradotti i Me-
teorologici di Teofrasto (che sono invece perduti nel testo originale gre-
co)<), in arabo i Problemi e la Metafisica dello stesso autore (il secondo
dci quali venne poi volto in latino); dei commentatori di Aristotele, gli
arabi conobbero Alessandro di Afrodisia44 (un'influenza notevolissima
ebbero, per l'interpretazione della filosofia di Aristotele, piu che i suoi
commenti al Corpus Aristotelicum, le monografie da lui dedicate a temi
specifici, quali i trattati Sull'intelletto, Sulla provvidenza4' e Sui principi
dell'universo - gli ultimi due, perduti in greco), Olimpiodoro (impor-
tante il suo commento ai Meteorologici di Aristotele, noto agli arabi in
una forma rielaborata rispetto all'originale) 4' e Temistio (del quale ven-
nero tradotte le parafrasi di Categorie, Analitici secondi, Fisica, Sull'ani-
ma e del libro A della Metafisica, e al quale la tradizione arabo-ebraica
attribuisce un'altrimenti sconosciuta parafrasi della zoologia aristoteli-
ut~7, mentre alcuni dei suoi scritti retorico-filosofici risultano conserva-
" Sulle origini del De pomo cfr. J. KRAEMER, Das arabische Originai des pseudo-aristotelischen
l.ihcr de pomo, in Studi orientalistici in onore di Giorgio Levi della Vida, Roma 1956, l, pp. 484-506;
r 1\IELAWSKI, Phédon en venion arabe et le Risalat a/-Tuffaha, in). M. BARRAL (a cura di), Orientalia
liispanica sive studia F.M. Pare;a octogenario dicata, Leiden 1974, l, pp. 120-34.
'' Cfr. al riguardo i testi elencati in ULLMANN, Die Natur- und Geheimwissenschaften cit., pp.
l )2·79. 364·81.
" 11. DAIBER, The Meteoro/ogy o/ Theophrastus in Syriac and Arabic translation, in w. w. POR·
1 I 'WAUGH e D. GUTAS (a cura di), Theophrastus. His Psycho/ogica/, Doxographica/ and Scientific Writ-
New Brunswick · London 1992, pp. 166-293·
« R. GOULET e M. AOUAD, A/exandros d'Apbrodisias, in GOULET (a cura di), Dictionnaire cit.,
l'P r 25-35.
" Si veda ora l'edizione e traduzione italiana di quest'opera in s. PAZZO e M. ZONTA (a cura
di l, Alessandro di A/rodisia. La provvidem:a. Questioni sulla provvidenza, Milano 1999, pp. 87-179.
" c. BAPFIONI, La tradizione araba del libro IV dei 'Meteorologica' di Aristotele, Napoli 1980,
rp. 53•59; LETTINCK, Aristotle's Meteoro/ogy cit., p. 9·
" A. BADAWI, Commentaires sur Aristate perdus en grec et autres épitres, Beirut 1971, pp. 193-
2 7o; per una discussione sull'autenticità del testo cfr. da ultimo M. ZONTA, The zoologica/ writings
1111he Hebrew tradition, in c. STEEL, G. GULDENTOPS e P. BEULLENS (a cura di), Aristot/e's Anima/sin
the Midd!e Ages and Renaissance, Leuven 1999, pp. 44-68.
942 Continuità e riusi
" Cfr. le edizioni della versione siriaca del trattato temistiano Sulla virtti e della versione ara-
ba dell'Epistola sul govemo del/o stato in II. SCIIENKL, G. DOWNEY e A. F. NORMAN (a cura di), T'bt•·
mistii Orationes quae supersunt, III, Lipsiae 1974, pp. 7-119.
•• II. J. DROSSAART LUI.OFS, Nicolaus Damascenus on the Philosophy o/ Aristotle, Leiden 1965
(seconda edizione riveduta 1969).
10
Si veda, per la tradizione latina, la sintesi di c. MARCIIESI, L'Etica Nicomachea nella tracli-
:done latina Medievale (Documenti ed Appunti), Messina 1904, in particolare le pp. 105-28.
" L. ALEXIDSE, Griechische Philosophie in den 'Kommentaren' des Joane Petrizi zur 'Elementa·
tio Theologica' des Proklos, in «Oriens Christianus>>, LXXXI (1997), pp. 148-68.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 943
conosciuti dagli arabi. Sappiamo infatti che in questa lingua venne tra-
dotta una parte della Sinossi dei dialoghi di Platone di Galeno (quella re-
lativa a Crati/o, So/ista, Politico, Parmenide, Eutidemo, Repubblica, Ti-
meo, Leggi), un testo completamente perduto nell'originale greco, che
venne successivamente utilizzato, con ogni probabilità, dai filosofi al-
Farabi e Averroè come fonte per i loro stessi compendi platonici (dedi-
cati, rispettivamente, alle Leggi e alla Repubblica). Anzi, l'opera filoso-
fica originale di Galeno, rappresentata soprattutto da scritti etici quali
il trattato Sui costumi e il Protrettico, dall'operetta autodossografica Sul-
le sue opinioni, dal libro Sulla dimostrazione e da altri scritti, ebbe vasta
fortuna nel mondo arabo (e, di riflesso, in quello ebraico) 52 , finendo ad-
dirittura per rappresentare la fonte principale, se non esclusiva, dell'eti-
ca filosofica islamica medievale. Anche nel caso del neoplatonismo, le
fonti principali utilizzate dagli arabi non furono testi greci originali, ben-
si rielaborazioni che compendiavano e adattavano il pensiero degli an-
tichi alle nuove esigenze culturali e religiose del Medioevo. Cosi accad-
de per la quarta, quinta e sesta delle Enneadi di Platino: esse vennero,
nella Mesopotamia del IX secolo, parafrasate in un'ampia letteratura fi-
losofica, il cui nucleo principale è costituito dalla cosiddetta Teologia di
Aristotele, opera che forni le strutture portanti del neoplatonismo isla-
mico ed ebraico. Un caso analogo si verificò per gli Elementi di teologia
di Proda, i quali furono compendiati, nello stesso ambiente, in uno scrit-
to arabo, il Libro del bene puro, che venne successivamente tradotto con
grande successo in latino con il titolo Liber de causisH. Si tratta, in en-
trambi i casi, di scritti la cui fortuna venne garantita sia dal rimaneg-
giamento da essi subito ad opera dei traduttori arabi, che avevano abil-
mente adattato la figura dell'Uno plotiniano a quella del Dio rivelato
Jei cristiani, degli ebrei e dei musulmani, sia dalla falsa attribuzione ad
Aristotele: fu proprio grazie a questa che il De causis, inserito nel Cor-
pus Aristotelicum latino sin dal I 250, venne commentato da Alberto Ma-
gno e Tommaso d'Aquino, ed ebbe poi ben quattro traduzioni in lingua
ebraica. Proclo venne «cristianizzato» anche in area bizantina: fu !sac-
co Sebastocratore a realizzare, intorno al 1 qo, un rimaneggiamento di
tre suoi opuscoli sulla provvidenza, che ci resta solo nella traduzione la-
tina di Guglielmo di Moerbeke; e il commento georgiano agli Elementi
di teologia, redatto pochi decenni prima da Giovanni Petric'i, si è rive-
lato un'autentica miniera di informazioni su testi e dottrine del pensie-
" Il. GUTAS, Greek Wisdom Literature in Arabic Translation. A Study of the Graeco-Arabic Gno-
mr,fo&ia, New Haven 1975.
" 11. DAJBER, Aetius Arabus. Die Vorsokratiker in arabischer Oberlieferung, Wiesbaden 1980.
" Cfr. M. MORANJ, La tradizione manoscritta del 'De natura hominis' di Nemesio, Milano 1981;
Il lllWWN WJCHER, Nemesius Emesenus, in CRANZ, BROWN e KRISTELLER (a cura di), Cat4logus cit.,
\'II, pp. 31-72.
" u. RUDOLPH, Die Doxographie des pseudo-Ammonios. Ein Beitrag zur neuplatonischen Ober-
lr,faung im lslam, Wiesbaden-Stuttgart 1989.
61
c. BAFFIONJ, Frammenti e testimonianze di autori antichi nelle Epistole degli lhwan as-Safa',
Ro111a 1994.
" A. DE LIBERA, Epicurisme, stoi'cisme, péripatétisme L'histoire de la philosophie vue par /es La-
tim (XII-XIII sièc/e), in A. HASNAWI, A. ELAMRANI·JAMAL e M. AOUAD (a cura di), Perspectives arabes
et médiévales sur la tradition scientifique et philosophique grecque, Paris-Leuven 1997, pp. 343-64.
946 Continuità e riusi
61
D. DE SMET, Empedocles Arabus. Une lecture néoplatonicienne tardive, Bruxelles 1998.
6
\E. G. SCHMID1', Die altarmenische "Zenon"-Schri/t, Berlin 1961.
61
'N. DAIBER, Neuplatonische Pythagorica in arabischen Gewande. Der Kommentardes Iamblichus
zu den Carmina Aurea, Amsterdam· New York · Oxford · Tokyo 1995.
66
Cfr. la bibliografia relativa in u. E. PERRY, Anonymus, Vita Secundi philosophi, in CRANZ,
BROWN e KRISTELLER (a cura di), Cata/ogus cit., Il, pp. 1·3·
67
M. PLESSNER, Der OIKONOMIKOS des Neupythagoreers 'Bryson' und sein Einfluss au/ die
islamische Wissenschaft, Heidelberg 1928.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 947
dell'Enciclopedia dei Fratelli della purità)1 6 • Anche qui, sono gli arabi ad
aver conosciuto, trasmesso e commentato il maggior numero di testi:
in astronomia, conoscono il trattato Sulla sfera di Autolico di Pitane,
l'opera di Aristarco di Samo Sulle dimensioni del Sole e della Terra, iFe-
nomeni di Arato di Soli (che la tradizione latina conosceva fin dall'an-
tichità), scritti di lpsicle e Teodosio di Bitinia, il Libro della sfera ar-
millare di Teone di Smirne (perduto nell'originale), ma soprattutto le
opere di Tolomeo quali l'Almagesto (del quale sussistono almeno due
traduzioni, e piu di trenta rielaborazioni e commenti arabi medievali,
oltre naturalmente alle traduzioni latine dall'arabo e dal greco, e alla
traduzione ebraica dell'Introduzione all'Almagesto dell'astronomo Ge-
mino), le Ipotesi planetarie e il Planisfero pseudo-tolemaico. Per via ara-
ba (e solo di rado direttamente dagli originali greci), buona parte di que-
sti testi giunge anche agli ebrei e ai latini, mentre, per contro, poco re-
sta dell'astronomia siriaca e armena (con l'eccezione di testi minori, quali
una versione armena dell'Introduzione all'astronomia di Paolo di Ales-
sandria). Lo stesso Tolomeo rappresenta, per il Medioevo, anche la piu
antica autorità astrologica: sono noti e molto commentati, in arabo, in
ebraico e in latino, il suo Quadripartito (tradotto anche in siriaco) e il
Centiloquio, ma accanto ad essi sono tradotti e citati dagli arabi anche
gli scritti astrologici di Doroteo di Sidone e di Vettio Valente di Antio-
chia. Infine, per quanto riguarda l'ottica, furono punti di riferimento
insostituibili, nel Medioevo, i relativi trattati di Tolomeo e di Euclide,
dove si sosteneva la dottrina dell'uscita dei raggi visuali dall'occhio uma-
no - almeno sino alla diffusione delle nuove dottrine esposte nel x se-
colo dall'ottico arabo lbn al-Haytham 77
La matematica antica, rappresentata dagli scritti greci di aritmetica
ma, soprattutto, di geometria piana e solida, ebbe una radicata tradi-
zione nel mondo arabo medievale (passata solo in parte all'Europa lati-
na), mentre, con la sola eccezione degli Elementi di Euclide (tradotti in
armeno nell'xi secolo da Gregorio Magistros), venne piuttosto trascu-
rata nell'area caucasica; a Bisanzio, dal canto suo, essa fu sempre og-
getto di insegnamento nelle scuole di stato. Ne fa fede la lunga lista di
opere matematiche di cui restano testimonianze in arabo, sia nelle tra-
duzioni sia nelle rielaborazioni redatte da uno dei massimi astronomi
arabi, Na~ir al-din al-Tusi (xm secolo): il Libro sul movimento della sfe-
;, A. !IAUSANI, L'Enciclopedia dei Fratelli della purità, Napoli 1978, pp. 19-20.
n Per la fortuna araba e medievale in genere dei testi astronomici greci cfr. SEZGIN, Geschich-
lc ci t., VI!, pp. 68-104; per l'Almagesto in particolare cfr. P. KUNITZSCH, Von Alexandria uber Bag-
dad nach Toledo. Ein Kapital aus der Geschichte der Astronomie, Miinchen 1991.
950 Continuità e riusi
71
Sulla fortuna medievale delle fonti dell'aritmetica, geometria e ottica dei Greci cfr. (spe-
cialmente per il settore arabo) SEZGIN, Geschichte cit., V, pp. 70-191.
" M. CLAGETI, The Science of Mechanics in the Middle Ages, Madison-London 1959.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 951
1·. A. GALLO, Musici scriptores Graeci, in CRANZ, BROWN e KRISTELLER (a cura di), Cata/ogus
III, pp. 63-73·
"' Cfr. G. B. PARKS e E. CRANZ, Dionysius Periegetes, in CRANZ, BROWN e KRISTEI.LER (a cura di),
C.ltu/fJ.~/Jl cit., Ili, pp. 2r-6r; M. BOYER, Pappus, in CRANZ, BROWN e KRISTELLER (a cura di), Cata-
/r,,:t/1 ci[., IJ, pp. 205- I 3.
'' Sulle traduzioni arabe dei testi meteorologici greci cfr. SEZGIN, Geschichte ci t., VII, pp. 2 r 2-
ca) ebbe uno scritto risalente forse al IV secolo, che costituf il modello di
un'ampia produzione sul tema delle «proprietà», piu o meno meravi-
gliose, degli enti naturali: il Fisiologo, che a sua volta rielaborava proba-
bilmente uno scritto di mineralogia, botanica e zoologia di Bolo di Men-
de85 Nel mondo arabo, altrettanto diffusi furono gli scritti greci di bo-
tanica applicata ali' agricoltura, come i Geoponici dello stesso Bolo, e
quelli degli autori tardoantichi Vindanio Anatolia di Berito e Cassiano
Basso Scolastico (tutti perduti nel testo originale) 86 •
Infine, va ricordato come, sempre grazie alla tradizione araba e lati-
na, il Medioevo conobbe scritti antichi pertinenti alle cosiddette «pseu-
doscienze» (magia, fisiognomica, oniromantica, chiromanzia), quali l'In-
terpretazione dei sogni di Artemidoro di C nido e la Fisiognomica di Pole-
mone87. Ma, come si è detto, è ancora difficile dire quanto di questa
letteratura «pseudoscientifica» medievale abbia effettive origini nell'an-
tichità, in seguito alla perdita di buona parte delle testimonianze in me-
rito nella lingua originale - perdita, questa, dovuta forse a una forma di
«censura ideologica» esercitata dai Bizantini.
" Per una presentazione generale del Fisiologo e della sua fortuna cfr. M. WELLMANN, Der Phy·
siologos, eine religionsgeschichtlich-naturwissenschaftliche Untersuchung, Leipzig 1930.
86
ULLMANN, Die Natur- und Geheimwissenscha/ten cit., pp. 428-39.
87
Buona parte dei testi fisiognomici arabi e latini di origine greca sono editi in R. FOERSTER,
Scriptores physiognomonici graeci et latini, 2 voli., Lipsiae I 89 3.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 953
88
Per la storia della filosofia siriaca medievale cfr. E.-L YOUSIF, Les phi/osophes et traducteun
syriaques. D'Athènes à Bagdod, Paris-Montréal 1997; cfr. anche alcuni dati sommari in ZONTA, La
filosofia cit., pp. 39-45·
" Cfr. al riguardo le tesi sostenute in GUTAS, Greek Thought cit.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 955
ba (la falsa/a) che, a Baghdad, matura una propria autonomia dalla teo-
logia islamica, crea proprie scuole e si perpetua nei secoli successivi: ad
al-Kindi, che si era limitato a rifondere e interpretare liberamente i te-
sti della metafisica aristotelica e neoplatonica, nel quadro di una armo-
nizzazione tra le due che ispirerà tutto il pensiero arabo successivo, se-
gue al-Farabi (870-950), che aveva preso lezioni di logica dai filosofi si-
ri e che conferisce particolare dignità al genere letterario del commento
filosofico (è autore di numerosi commenti letterali ai testi aristotelici,
che si ispirano a quelli della scuola alessandrina). Alla scuola di al-Fara-
bi, continuata a Baghdad sino alla metà dell'xi secolo, e rappresentata
soprattutto da arabi cristiani, si contrapporrà poi Avicenna (980-1037),
che si pone non tanto come un «commentatore», bensi come un nuovo
Aristotele, autore di enciclopedie che rielaborano la filosofia e le scien-
ze greche ai fini di un progressivo assorbimento di queste nella cultura
religiosa islamica. Efficaci, anche se involontari continuatori e divulga-
tori dell'interpretazione avicenniana di Aristotele nel Vicino e Medio
Oriente islamico saranno al-Ghazali (Io58-I I I I) e Fakhr al-dio al-Razi
(m. nel 12Io), che contro Avicenna polemizzeranno sul piano teologi-
co, accettandone poi molte delle conclusioni filosofiche, mentre nella
Spagna islamica il metodo dei commenti alfarabiani avrà seguaci in Ibn
Bagga (m. nel II38) e in Averroè (IIz6-98). Quest'ultimo, in partico-
lare, porterà questo metodo a compimento, creando i tre generi di com-
mento (compendio, parafrasi e commento grande) che troveranno poi,
attraverso le numerose traduzioni ebraiche e latine delle sue opere, gran-
de fortuna nell'Europa tardomedievale, e che veicoleranno nel Medioevo
ebraico e latino numerose notizie sulle interpretazioni tardoantiche di
Aristotele (da Alessandro di Afrodisia a Giovanni Filopono). Nel frat-
tempo, la teologia islamica del kakzm, individuando ormai nella filoso-
fia greca un nemico ideologico, avrà segnato il destino di quest'ultima:
dopo il I zoo, la filosofia non avrà piu uno status autonomo nel mondo
arabo 90 • Ciò non toglie che, proprio nel xm secolo, il Vicino Oriente isla-
mico abbia assistito a una rinascita degli studi matematici (aritmetica,
geometria, astronomia) sulla scorta dello studio dei testi greci, ad ope-
ra del filosofo e scienziato Nasir al-dio al-Tusi. Le vicende della scien-
za greca, da parte loro, non se~pre si identificano con quelle della filo-
sofia: se, per la medicina, Avicenna si pone, con il suo Canone, come il
nuovo Galeno, nelle scienze matematiche e naturali avranno un ruolo
'" Per una storia della filosofia islamica che considera i suoi rapporti con il pensiero greco cfr.
Storia della filosofia is/amica, Milano 1991; si veda però anche H. CORBIN, Histoire de
<.. IIAFFIONI,
la phtlosophie is/amique, Paris 1986 [trad. it. Milano 1991].
956 Continuità e riusi
•• I rapporti tra la scienza astronomica araba e quella greca emergono, ad esempio, dagli stu·
di raccolti in G. SAUBA, A History o/ Arabic Astronomy, New York · London 1994.
" A. BAUSANI, Un filosofo 'laico' del Medioevo musulmano. Abu Bakr Muhammad ben Zakariyya
Razi, Roma 198r.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 957
" La bibliografia sulla filosofia latina medievale è naturalmente amplissima. Per una sintesi
recente cfr. DE LIBERA, Storia cit., pp. 231·457 .
.. Cfr. al proposito ZONTA, La filosofia ci t., e la bibliografia ivi menzionata.
Zonta Filosofia e scienza greca nel Medioevo 959
" Sulla filosofia bizantina cfr. la bibliografia sommaria offerta in DE LIBERA, Storia cit., pp.
41>1-64.
960 Continuità e riusi
" Sulla filosofia armena e georgiana cfr. le indicazioni bibliografiche segnalate in Christi4-
nismes orientaux. lntroduction à !'étude des langues et des littératures, Paris 1993, pp. 142-54, 292-
294.
Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
' J. r.. IIAMANN, Aesthetica in nuce. Eine Rhapsodie in Kabbalistischer Prose, in Siimtliche Werke,
Il \cbriften uber Philosophie, Philologie, Kritik, a cura di}. Nadler, Wien 1950, p. 199: «Reden ist
tibersetzcn». L'opuscolo apparve in francese nel primo numero della rivista «Mesures» (pp. 3}·59)
nd ''>3'), tradotto da H. Corbin, che nello stesso anno avrebbe pubblicato per la <<Société des étu-
Jes iraniennes» (n. 16) il saggio Suhrawardi d'Alep (t I 191) fondateur de la doctrine illuminative
rnbrdqiJ.
'Corano, Siiratar-Rum (Sura dei Romani), [3o].zo.22: <<E uno dei Suoi segni è che Egli v'ha
cw:11o Ji polvere, ed ecco che diventaste uomini sparsi sopra la terra! ... E uno dei Suoi segni è la
'''l'azione dei cieli e della terra e la varietà delle lingue vostre (ibtiliifu a/sinati-kum) e dei vostri co-
lori Certo in questa v'ha un segno pei saggi!» (trad. di A. Bausani). Cfr. J. LANGHADE, Du Coran
'' fu f>hilowphie La langue arabe et la formation du vocabulaire philosophique de Farabi, Damas 1994,
p ~l
' "Diversa è la lingua di uomini dispersi» (Iliade, 2.8o4).
' Cfr., per esempio, w. BURKERT, Da Omero ai Magi. La tradizione orientale nella cultura greca,
a cura Ji C. Antonetti, Venezia 1999.
' È da pensare a questa eventualità quando non ci fidiamo di riconoscere l'origine persiana
Jcl celebre koyoç ~QIJtOÀLTLxoç. Naturalmente l'eventuale interpreta/io graeca degli informatori non
poteva che essere perfezionata dallo stesso Erodoto.
962 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
' L'ha ricostruita, con l'intelligenza e l'erudizione consuete, L. CANFORA, Il viaggio di Aristea,
Roma-Bari 1996. Il testo della lettera, la cui composizione va collocata tra il regno del Filadelfo
(285-247 a. C.) e i11 secolo d. C., può essere letto ora con la trad. it., l'introduzione e le note di
F. Calabi, Milano 1995.
7
«E Dio disse: "Sia la luce, e la luce fu; sia la terra, e la terra fu"» (9.9). Piu che di una ci-
tazione precisa, si tratta di un'eco di Genesi, 1·3 e r .9: cfr. J>SEUDO-LONGINO, Del sublime, a cura
di F. Donadi, Milano 20oo', p. r68 nota 14.
• PG, XLIII, col. 252; cfr. CANFORA, Il viaggio ci t., p. 39·
' Naturalis historia, 30-4-
10 Questo pendant filologico del fenomeno dei «Mages hellénisés» appare strano ad A. MOMI·
GLIANO, Saggezza straniera. L'ellenismo e le altre culture, Torino 1980, p. 169, ma non a 1.. CANr•o-
RA, Ellenismo, Roma-Bari 1987, p. 75 nota 7·
11
Trovo questa espressione, applicata all'arabo, in G. SCARCIA, Storia di ]osaphat senza Barlaam,
Soveria Mannelli 1998, p. r r.
Serra Introduzione 963
rivi della scrittura sacra degli Arabi22 • L'arabo diventerà in fine, come lo
era stato il greco, la lingua-monumento di una biblioteca universale.
Il 30 luglio del 762 il secondo califfo abbaside, al-Man~iir (754-75),
,1bbandona Damasco, dove gli Omayyadi si erano trasferiti da Medina,
c fonda Baghdad, la nuova capitale dell'impero, poche miglia dalle rovi-
ne della reggia iranica di Ctesifonte. A Baghdad, fautori lo stesso califfo
c alcuni tra i grandi della sua corte, si cominciano ben presto a raccogliere
c a tradurre dal greco in arabo libri di scienza e di filosofia: la vastità
dell'impresa, che durerà fino al x secolo, è stupefacente. Quali che siano
le ragioni prossime del fenomeno - necessità pratiche23 (non ultimo il bi-
sogno di strumenti dialettici per la difesa e l'approfondimento dell'Islam
nei confronti degli altri monoteismi) o illuminata decisione di vertice4 - ,
certo è che esso si verificò in un ambiente propizio, tanto che ci stupi-
remmo se in quelle circostanze non fosse avvenuto. Da secoli la Meso-
potamia era per cosf dire il luogo naturale della traduzione, e da Ales-
sandro ai Sasanidi aveva vissuto l'incontro fra le culture greca, aramaica
e iranica: il trasferimento della sede del califfo a Baghdad colloca gli Ara-
bi nel cuore di quella sintesi culturale ai cui margini l'Islam stesso si era
formato. Il regime abbaside adotta strutture amministrative e forme del
cerimoniale che risalgono alla tradizione iranica; nasce una nuova cultu-
ra cortese in lingua araba, che vede nell'Iran preislarnico la «preistoria
stessa del califfato» ed elabora «una visione storiografica profana nutri-
ta di filosofia politica di conclamata matrice ellenistica e persiana, e ani-
mata dal tema del buon sovrano, giusto e ben consigliato»u. Ne è spec-
chio esemplare la figura di Cosroe I Anosarwan (531-79), il re sasanide
innamorato dei libri, a cui Paolo il Persiano aveva dedicato un'introdu-
zione alla logica (aristotelica)2' e che aveva accolto i filosofi greci dopo la
chiusura della Scuola di Atene ordinata nel529 da Giustiniand'
of rcligions>>, III (1964), pp. 22o-6o, e G. SCARCIA, Il volto di Adamo. Islam: la questione estetica
>:e/l'altro Occidente, Venezia 1995-
" Su una delle facce recano entrambe incisa la brevissima sura 112, detta Del culto sincero,
polemicamente anticristiana: «Egli, Dio, è uno 1Dio, l'Eterno. l Non generò né fu generato 1e nes-
'llllo Gli è pari» (trad. di A. Bausani).
" Si veda qui il saggio di R. Rashed sulle traduzioni scientifiche.
" È l'ipotesi di D. GUTAS, Greek Thought,Arabic Culture. The Graeco-Arabic Translation Move·
11/cti/ in Baghdad and Early 'Abbiisid Society, London- New York 1998 (trad. it. in corso di stam-
pa rresso Einaudi).
" SCARCIA, Storia cit., p. 11. Sull'ellenismo persiano, in quanto modello di quello arabo abba·
'id c, cfr. GUTAS, Greek Thought ci t., pp. 34 sgg.
" Ibid., pp. 25·27, 34·45·
" Tra quei filosofi c'erano Damascio e Prisciano, del quale si conservano in latino le Solutio-
ncs mrum de quibus dubitavi/ Chosroes Penarum rex (ed. L Bywater, Suppl. Aristotelicum, 1/z, Ber-
lin 1886).
966 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
21
Sulla Chiesa siriaca si veda P. BETTIOLO, Lineamenti di patro/ogia siriaca, in Complementi in·
terdiscip/inari di patro/ogia, Roma 1989, pp. 503-6oJ.
" Anche sotto i Sasanidi libri greci passarono al persiano attraverso il siriaco (GUTAS, Greelt
Thought cit., p. 44).
10
Cosi ci rivela uno di loro, il medico I;Iunayn ibn Is~àq, grande traduttore eg.li stesso e mae-
stro di traduttori: cfr: J;IUNA YN IBN ISI;IÀQ, Uber die syrischen und arabischen Ga/en- Ubenellungen, a
cura di G. Bergstrasser, Leipzig 1925.
" La tecnica di traduzione dal greco in siriaco si era evoluta da un tipo di <<traduzione-spie-
gazione» (il ciceroniano sensum exprimere de sensu) a uno di <<traduzione-specchio» (H. HUGONNAKD·
ROCIIE, Sur /es venions syriaques des «Catégories» d'Aristate, in <<Journal Asiatique», CCLXXV
(1987), p. 221). Questo fatto probabilmente spiega la singolare fedeltà al greco di certe traduzio·
ni arabe dal siriaco.
, Cfr. G. ENDRESS, Grammatik und Logik. Arabische Phi/o/ogie und griechische Philosophie im
Widentreit, in o. MOISISCH (a cura di), Sprachphi/osophie in Antike und Mittelalter, Amsterdam
1986.
" G. ENDRESS, Die wissenschaft/iche Literatur, in Gnmdriss der arabischen Phi/ologie, Il, Wies·
baden 1987, pp. 400-506; III, Wiesbaden 1992, pp. 3-152; GUTAS, Greek Thought cit.
,. IBN AN-NADÌM, Kittib a/-Fihrist, a cura di G. Fliigel, Leipzig r871-72; trad. ingl. di B. DODGE,
The Fihrist o/ lbn ai-Nadim. A Tenth-Century Suroey o/ Muslim Culture, London- New York 1970.
Una nuova edizione del Fihrist è uscita a Teheran nel 1977.
Serra Introduzione 967
"' F. ROSENTIIAL, Das Fortleben der Antike im Islam, Ziirich-Stuttgart 1965, p. 344·
" s. MARIOTTI, Livio Andronico e la traduzione artistica, Urbino 1986'; G. FOLENA, Volgarizza·
re c tradutTe, Torino 1994.
" «Perciò si parla appena di traduzioni di opere latine in greco prima di Massimo Planude»:
m si osservava w. KROLL, Studien zum Ventiindnis der romischen Literatur, Stuttgart 1924, rist. Darm-
sl•iJl 1973, p. 9· Ma sul bilinguismo romano converrebbe leggere ancora tutto il primo capitolo di
quel grande libro. Quanto alle traduzioni poetiche del Planude, si veda, in questo volume, il sag-
gio Ji W Berschin.
" Lo ha dimostrato G. Garbini (Cantico dei cantici, a cura di G. Garbini, Brescia 1992), che
percii1 colloca la composizione dell'opera intorno al roo a. C. L'ellenismo ebraico antico si espri-
me cosi, <<allusivamente», o direttamente in greco; quello medievale si esprime in arabo o dipen-
Je, sia nelle opere originali sia nelle traduzioni, dalla mediazione araba (si veda, in questo volume,
il saggio di M. Zonta).
" M. uu.MANN, Die arabische Oberlie/erung der sogennanten Menandersentenzen, Wiesbaden
1 ,,c, t, p. r o (da Sahraziiri).
" «Ego enim non solum fa teor, sed libera voce profiteor me interpretatione Graecorum abs-
quc scripturis sanctis, ubi et verborum orde mysterium est, non verbum e verbo sed sensum ex-
primere de sensu. Habeoque huius rei magistrum Tu!Iium, qui Protagoram Platonis et Oeconomi-
cum Xenophontis et Aeschini et Demosthenis duas contra se orationes pulcherrimas transtulit»
[Quanto a me, non solo confesso, ma apertamente dichiaro che nel tradurre i Greci, con la sola ec-
cezione della sacre scritture, dove anche l'ordine delle parole è «mistero», non rendo ogni parola
w n una parola, bensf ogni pensiero con un pensiero. E proprio in ciò ho a maestro Cicerone, che
tradusse il Protagora di Platone, l'Economico di Senofonte e i due bellissimi discorsi che Demo-
>lcne ed Eschine pronunciarono l'uno contro l'altro]. Cosi si esprimeva Girolamo, il santo patro-
no dci traduttori, nella Epistula ad Pammachium de optimo genere interpretandi (57·9), appoggian-
dosi al De optimo genere oratorum di Cicerone e alla Poetica di Orazio (cfr. nota seguente).
" Boezio traduce consapevolmente parola per parola e se ne scusa col lettore, che, memore
Ji Orazio, potrebbe rinfacciargli «la colpa delfidus interpreS>>. L'An poetica, 133-34, infatti am-
moniva: «nec verbum verbo curabis reddere fidus 1 interpres»; cfr. w. SCIIWARZ, The meaning o/
'fidus interpres" in mediaeval tramlatiom, in «}ournal of Theological Studies>>, XLV (1944), pp.
73"78.
" Cfr. G. SERRA, Filologia occidentale-orientale, in Autori classici in lingue del Vicino e Medio
Orienti!, Roma 1990, pp. 20J·5·
•• CICERONE, De/inibus, J-15, e dr. il testo di Girolamo riportato alla nota 57·
" Il Libro delle cagioni, come lo chiama Dante nel Convivio, era attribuito dalla tradizione ara-
ha ad Aristotele: solo Guglielmo di Moerbeke, che traduceva dal greco, scopri che si trattava di
una ridaborazione della Elementatio theologica di Proda.
" Sugli sviluppi originali della filosofia e della scienza arabe si vedano, in questo volume, i
1a~gi di D. Gutas e R. Rashed.
" Nel XII secolo alcune opere di Aristotele, come precisò L. MINIO·PALUELLO, Aristotele dal
lll()ndo arabo a quello latino, in Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, Spo-
leto 1965, II, pp. 6oJ-J7 = Opuscula. The I..atin Aristotle, Amsterdam 1972, pp. 501·35, furono
auJirittura tradotte prima dal greco che dall'arabo. Sulle traduzioni medievali greco-latine si ve-
Ja, in questo volume, il saggio di W. Berschin.
972 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
Queste parole, eco d'un vecchio luogo comune", rivolge al suo protet-
tore, il vescovo di Norwich, un giovane inglese, Daniele di Morley",
giustificandosi d'aver abbandonato Parigi, aduggiata da «bestiali» glos-
S:ltori del Digesto, per recarsi a Toledo, ormai da un secolo cristiana e
tuttavia ricca di libri arabi di scienza e di filosofia. Piu serenamente l'an-
daluso Averroè, gran commentatore di Aristotele e qaqi musulmano, di-
fendendo davanti ai presunti custodi della sua fede il proprio amore per
la saggezza straniera, qualche anno prima sentenziava:
Se qualcuno si è già preso la cura di indagare sul ragionamento razionale, è ov-
vio che ci competa, per quanto ci poniamo sulla strada da lui percorsa, di far riferi-
mento a ciò che il nostro predecessore ha già affermato, si tratti di qualcuno che
professa la nostra religione oppure no. lnvero, se nel praticare un sacrificio si usa
uno strumento idoneo, non ha alcuna importanza per la validità del sacrificio se lo
strumento appartiene a qualcuno che professa la nostra stessa religione oppure no.
L'essenziale è che vengano rispettate le condizioni della cerimonia. E chiaro che per
«coloro che non professano la nostra religione», io intendo gli antichi prima dell' av-
vento dell'Islam"
Per Averroè quegli «antichi prima dell'avvento dell'Islam» altri non era-
no che i Greci.
64
La guerra santa è ili,ihad musulmano e per certi aspetti la crociata gli assomiglia: c. SCHMITI,
Der Nomos der Erde, Berlin 1950, p. 27 nota 2 [trad. it. Milano 1991].
" "Perciò anche a noi, che siamo stati misticamente liberati dall'Egitto, il Signore comanda
di prendere dagli Egiziani i vasi d'oro e d'argento per farne ricchi gli ebrei. Prendiamo dunque,
per ordine del Signore e col Suo aiuto, dai filosofi gentili la sapienza e l'eloquenza e spogliamoli,
loro che non hanno la fede, per arricchirci nella fede con le loro spoglie».
" «Per larga parte della tradizione benedettina, a partire dal secolo IX, i testi profani riman·
gono l'oro che nell'Esodo Dio comanda di sottrarre agli Egizi per l'utile del popolo, oppure sono
la 'prigioniera pagana' (captiva gentilis) da purificare e sottomettere, di cui parla il Deuteronomio»
(F. ALESSIO, Conseroa:zione e modelli di sapere nel Medioevo, in P. ROSSI (a cura di), La memoria del
sapere, Roma-Bari 1988, pp. 114-15).
" Liber de naturis in/eriorum et superiorum, a cura di K. Sudhoff, in «Archi v fiir die Geschich-
te der Naturwissenschaften und der Technik>>, VIII, I·J (1917), p. 7·
61 AVERROÈ, Il tratlllto decisivo sull'accordo della religione e della filosofia, a cura di M. Campa·
nini, Milano 1994, p. 51.
ROBERTO AJELLO
' La data del4o2/403, proposta a suo tempo da J. MARQUART, Ober den Ursprung des armeni-
schen Alphabets in Verbindung mit der Biographie des heil. Maitoc' (già in « Handes Amsoreay>>, 1911 ),
Wicn 1917, p. 6o, non è accettata senza riserve; la maggior parte degli studiosi oggi ritiene piu
probabile una data di poco posteriore, e propone il 406.
974 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
2
Cfr. ad esempio G. SARKISSIAN, Storiografia armena di età ellenistica, in R. B. FINAZZI e A. VAL·
v o (a cura di), La diffusione dell'eredità classica nell'età tardoantica e medievale_ Il «Romanzo di Ales·
sandro» e altri scritti, Alessandria 1998, pp. 249-56.
' Nel periodo che va dal n secolo a. C. al m d. C. il greco è attestato dalle epigrafi di Arma·
vir, Garni, Aparan, Tigranocerta, e l'aramaico dalle nove stele di Artases l, da un testo di Garni
e da altre iscrizioni su oggetti vari.
' Uno dei piu tenaci sostenitori di quest'ipotesi è indubbiamente A. G. Abrahamyan, in par·
ticolare nell'opera Hayoc' gir ew grè' ut' yun (Scrittura e letteratura degli Armenz), Erevan 1978. Non
crede invece all'esistenza di un alfabeto pre-mesropiano F. Feydit, di cui si veda in particolare Con·
sidérations sur /' A/phabet de Saint Mesrop et recherches sur la phonétique de l' arménien, Vie nne 198 2-
Ajello Traduzioni e citazioni dal greco in armeno 975
' Cfr. P. s. COWE, The two Armenian venions o/ Chronicles, their origin and translation techni-
'/11<', in «Revue des Etudes Arméniennes», XXII (1990-91), pp. 53-96, che ritiene anche che il te-
sto di partenza non sia siriaco, ma greco lucianico, diverso da quello probabilmente origenico che
s l a alla base della traduzione armena successiva; cfr. anche ID., Tendentious tramlation and the evan-
Rcltcal imperative: religious polemic in the early Armenian Church, i vi, pp. 97-1 14.
976 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
ri centri culturali del mondo bizantino per compiervi una completa istru-
zione teologica e linguistica, anche numerosi testi apocrifi sia dell'An-
tico sia del Nuovo Testamento, come i due libri non canonici, indicati
per lo piu come III e IV Esdra, dell'ultimo dei quali è andata perduta la
versione greca; il terzo libro dei Maccabei; la breve preghiera del re Ma-
nasse (Alawt'k' Manasei), che era intesa come appendice al secondo li-
bro delle Cronache; la lettera di Geremia (T'ult' Eremiay); la terza let-
tera di Paolo ai Corinzi; la lettera dei Corinzi a Paolo; la Morte di Gio-
vanni apostolo (Hangist Yovhannu arak' eloy) e la supplica di Eutalio
(Alers Ewt' ali). La letteratura apocrifa conservata nei manoscritti ar-
meni, di cui solo una piccola parte è stata pubblicata, comprende molte
altre opere oltre a quelle sopra menzionate. Molti di questi testi tratta-
no di personalità ed eventi biblici e sono spesso molto diffusi in varie
lingue sia orientali sia occidentali, cosi che non è facile individuare la
lingua del modello originario e stabilire l'epoca della traduzione in ar-
meno. Da probabili originali greci derivano l'Apocalisse di Mosè, la Vi-
ta dei profeti e la Penitenza di Salomone, ma la datazione della versione
armena non si può agevolmente stabilire'.
La scuola traduttiva voluta da Mastoc'/Mesrop produsse nella prima
metà del v secolo, in uno stile considerato raffinatissimo dai contem-
poranei e dai posteri, attento alla corrispondenza letterale con l' origi·
naie, tuttavia mai pedissequo, una messe notevolissima-di traduzioni
principalmente dal greco, in minor misura dal siriaco, mentre non sono
pervenute traduzioni dal latino appartenenti a questo periodo. Dal mo-
mento che lo scopo di questa iniziativa mirava a rafforzare le attività
dottrinali e liturgiche della Chiesa e a fornire testi per l'istruzione reli-
giosa, vennero scelte opere appartenenti a tutti i vari generi della sa-
pienza cristiana: agiografia, diritto canonico, storia della Chiesa, erme-
neutica, patristica, apologetica e testi liturgici. Per quanto riguarda le
fonti greche, queste sono le opere piu rilevanti volte in armeno: l' Espo-
sizione dei patriarchi e metropoliti, Sulle dodici gemme, alcune omelie e
salmi di Epifania di Salamina; numerose omelie esegetiche e di argo-
mento vario di Giovanni Crisostomo; alcune omelie di Atanasio di Ales-
sandria; le omelie attribuite a Severiano di Gabala; alcune omelie e il
Commento all'Ottateuco, completo nella versione armena e frammenta-
rio nell'originale greco, di Eusebio di Emesa; i Commentari attribuiti a
Cirillo di Alessandria e i suoi Anatematismi; le Catechesi di Cirillo di Ge-
' Sugli apocrifi nella tradizione armena si veda in panicolare M. E. STONE, Selected Studies in
l'lCudc•piRrapha and Apocrypha with Special Reference to the Armenilln Tradition, Leiden · New York
11.)91.
978 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
• La traduzione delle omelie sull' Hexaemeron viene invece considerata di derivazione siriaca,
non greca: cfr. L. H. TÈR PETROSYAN, Base/ Kesarac'u Vec'oreayk'i hayeren t'argmanut'yan naxori·
nak.J (I/ sostrato della traduzione armena dell'Hexaemeron di Basilio di Cesarea), in «Patma-Banasi·
rakan Handes», 11-111 (1983), pp. 264-78.
' La Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea invece è stata probabilmente tradotta in arme·
no da una versione siriaca in parte lacunosa.
10
Le ipotesi riguardo alla traduzione degli Elementi di Euclide sono molteplici. In particola·
re alcuni studiosi, come M. Leroy,la attribuiscono a Gregorio Magistro (XI secolo): cfr. M. LEROY,
La lraduction arménienne d'Euclide, in «Annuaire de l'Institut de philologie et d'histoire orienta·
!es et slaves», IV (1936), pp. 785-816.
Ajello Traduzioni e citazioni dal greco in armeno 979
meno efficaci. Tra i testi piu significativi che vengono tradotti in que-
sto periodo figurano due opere di Esichio di Gerusalemme, il Commen-
to a Giobbe, costituito da 24 omelie, e l'omelia su Giovanni, che sono
conservate solo in armeno, essendo perduti gli originali greci, e i Discorsi
e l'Elogio funebre di Basilio, scritti da Gregorio Nazianzeno. La tradu-
zione del Romanzo di Alessandro dello Pseudo-Callistene, che alcuni stu-
diosi armeni 11 collocano in questo periodo, è probabilmente un prodot-
to piu tardo, appartenente a quella successiva scuola di traduttori che
viene designata come «scuola ellenizzante» (yunaban dproc'), detta an-
che «ellenofila» o «grecofila», la quale si caratterizza per una adesione
talmente rigida al testo greco da arrivare al punto di violare la struttu-
ra della lingua armena. Studi recentiu condotti su un gran numero di
manoscritti armeni di quest'opera hanno evidenziato che il gruppo dei
piu antichi riproduce molto fedelmente il testo greco, mentre i mano-
scritti piu tardi mostrano interpolazioni testuali ad opera di letterati ar-
meni, con aggiunte in prosa e in composizioni versificate, chiamate ka-
fa. La grande fortuna di quest'opera si può ricondurre all'interpretazio-
ne che la figura di Alessandro aveva ricevuto nell'immaginario collettivo
armeno, che vedeva in questo eroe il liberatore dei popoli dal giogo per-
siano.
Per lo piu le opere tradotte dai seguaci della scuola ellenizzante so-
no di carattere scientifico, filosofico o grammaticale in ispecie, ma in
buon numero sono anche rappresentati testi di argomento religioso co-
me la Dimostrazione della predicazione apostolica di lreneo di Lione, e,
dello stesso autore, Contro gli eretici, del quale rimangono in traduzio-
ne armena il IV e V libro, oltre a una lunga catena. La controversia cri-
stologica contenuta nella Confutazione del concilio di Calcedonia di Ti-
moteo di Alessandria (Eluro), che tanta parte ha avuto nella elabora-
zione dogmatica anticalcedoniana della Chiesa armena, ci è nota
principalmente attraverso la versione armena realizzata dalla scuola el-
lenizzante: il testo armeno, a differenza della versione siriaca molto sin-
tetica, è completo e consente di ricavare indicazioni molto precise ri-
guardo all'originale greco perduto. Proprio quest'ultima opera viene con-
siderata da alcuni come il primo prodotto di questa nuova scuola di
traduttori e sulla base della sua datazione vengono collocate cronologi-
'' Cfr. v. INGLISIAN, Die armenische Literatur, in Handbuch der Orientalistik, 1/7, Leiden-Koln
llJ7 2' pp. 156·250.
" Cfr. in particolare H. SIMONYAN, Patmut'iwn A/ek'sandri Makedonac'woy. Haykakan xmba-
Rru t' iwnner (Storia di Alessandro il Macedone. Redazioni armene), Erevan 1 989; ID., La versione ar-
JJJcna del Roman:r:o di Alessandro e i principi ispiratori dell' edi:r:ione del testo, in FINAZZI e VALVO (a
cura di), La diffusione cit., pp. 281-87.
980 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
" Cfr. CH. MERCIER, L'école hellénistique dans la littérature arménienne, in «Revue des Etudes
Arméniennes», XIII (1978·79), pp. 59·75· B. Coulie si distingue perché amplia la scelta dei crite·
ri, proponendo di prendere in considerazione anche criteri retorico-stilistici: cfr. B. COUUE, Style
et traduction. réflexions sur !es versions arméniennes de textes greques, in « Revue des Etudes Armé-
niennes», XXV (1994-95), pp. 43-6r.
" Essa risale a Y. Manandean, che ritiene la traduzione di Timoteo Eluro di poco preceden·
te il concilio di Dvin del555.
" coULIE, Style cit., in base a criteri di stile, giudica la traduzione di Ireneo pre-ellenizzante.
" La tradizione armena aggiunge a quest'opera altri quattro scoli relativi al Panegirico di san
Cipriano dello stesso Gregorio, che sono sconosciuti in greco. Probabilmente sono composizioni
armene originali che testimoniano, insieme alla traduzione georgiana e alle traduzioni siriache, la
grande fortuna dell'opera nelle culture periferiche del mondo bizantino.
17
Cfr. A. TERlAN, The Hellenizing school. Its time, piace and scope of activities rr:considered, in
N. GARSO!AN, T. MATHEWS e R. THOMSON (a cura di), East of Byzantium. Syria and Armenia in the
Formative Period, Washington D.C. 1982, pp. 175-86.
Ajello Traduzioni e citazioni dal greco in armeno 981
gua armena al punto da renderla molto diversa da quella che appare nel-
le prime opere scritte. Se questa operazione ha arricchito indubbiamente
il patrimonio lessicale armeno, fornendo i materiali espressivi per la crea-
zione di un linguaggio tecnico-specialistico adatto alle esigenze scienti-
fiche di una società che intendeva acquisire gli strumenti culturali del-
la grande civiltà greca classica e bizantina, rimane da spiegare come fos-
sero utilizzabili dei testi che corrispondevano piu al greco che all'armeno
e che possono essere paragonati a una moderna traduzione interlineare.
Considerando il carattere peculiare dei testi scelti per essere volti in
armeno, si ha l'impressione che fossero testi destinati all'istruzione di
quegli studenti armeni che si formavano nelle scuole bizantine dell'epo-
ca, probabilmente a Costantinopoli. Le opere tradotte appartengono in
gran parte alle discipline del Trivium, ovverosia la grammatica, la reto-
rica e la dialettica, che probabilmente in questo periodo includeva filo-
sofia e teologia e dovevano servire come base per le esercitazioni, per-
ché gli studenti potessero avere precisa conoscenza delle particolarità
anche le piu sottili dei testi greci sui quali dovevano forgiare la loro abi-
lità speculativa, che essi mostravano in particolare nei commenti alle
opere filosofiche. La lingua delle traduzioni ellenizzanti rappresenta lo
strumento creato per aderire il piu possibile alla lingua tanto ammirata
che costituiva la porta di accesso a una cultura giudicata superiore, ma
dalla quale l'Armenia tentava di affrancarsi secondo un piano di auto-
nomizzazione che prevedeva la creazione, soprattutto in campo storia-
grafico e teologico, di opere originali che potessero reggere il confronto
con quelle greche e siriache.
A meno che studi futuri sui numerosissimi manoscritti che si trova-
no depositati in molte biblioteche armene20 non modifichino il quadro
generale della cultura di questo periodo, allo stato attuale delle cono-
scenze sembra possibile affermare che mancano nel periodo della scuo-
la ellenizzante traduzioni di opere classiche di poesia e di storia, proba-
bilmente in conseguenza di una precisa scelta di interessi. Tuttavia i te-
sti ellenizzanti forniscono alcune preziose testimonianze21 : si ha cosi nel
Libro delle Crie l'indicazione della trama di due tragedie greche perdu-
te, Peliadi e Auge, la prima riferita a Euripide, la seconda genericamen-
10
Oltre che nella Biblioteca nazionale Matenadaran di Erevan, raccolte imponenti di mano·
scritti sono depositate nel monastero di San Giacomo a Gerusalemme, nei monasteri mechitaristi
di Venezia e Vienna, nel monastero del Santissimo Salvatore di Nuova Giulfa, in Persia, nel mo·
nastero di Bzommar in Libano e in varie biblioteche europee e nordamericane.
n Cfr. M. MOKANI, Problemi riguardanti le antiche venioni armene di testi greci, in G. FIACCA·
DORI e M. PAVAN (a cura di), Autori classici in lingue del Vicino e Medio Oriente, Roma 1990, pp.
189·98.
Ajello Traduzioni e citazioni dal greco in armeno 983
" Mosè Corenese riporta un frammento di un'opera, altrimenti ignota, di Firmiliano di Ce-
'arca dedicata alla storia delle persecuzioni contro la Chiesa e dimostra di conoscere la Topographia
ChriJiiana che attribuisce, forse con ragione, a Costantino d'Antiochia, laddove la tradizione oc-
cidentale attribuisce l'opera a Cosma lndicopleuste; cfr. M. MORANI, Situazioni e prospettive degli
11udi .1ul!e versioni armene di testi greci con particolare riguardo agli storici, in M. PAVAN eu. cozzou,
l_ eredità classica nelle lingue orientali, Roma 1986, pp. 39-46.
PAOLO MARRASSINI
* Nelle pagine che seguono si è cercato di ridurre al minimo le indicazioni bibliografiche, ri-
nlaodando sempre alle grandi raccolte o ai manuali, e integrando con i titoli usciti successivamen-
te. Queste indicazioni risultano anche molto squilibrate verso l'etiopico, dato che per il copto
un'utile opera di riferimento è ora la Coptic Encyc/opedia (qui di seguito indicata sempre con l'ab-
hreviazione CE), diretta da A. S. Atiya, 8 voli., New York- Toronto 1991, mentre nulla di simi·
le l''i'tc al momento per l'etiopico (una Encyclopaedia Aethiopica in 5 voli. è in preparazione ad
Amburgo, diretta da S. Uhlig con la collaborazione di Bairu Tafla, D. Crummey, G. Goldenberg,
P Marrassini, Merid Wolde Aregay,]. Tubiana).
' Si veda specialmente il Perip/o del Mare Eritreo, edito da ultimo da L. CASSON (a cura di), The
l'<'riplus Mori Erythraei, Princeton 1989. Anche dal punto di vista delle fonti sudarabiche la data-
zione è ormai da assegnare alla metà del! secolo d. C., dopo la collocazione in questo periodo del
re l'leazos ('fz Y/t di Hadramawt); cfr. c. ROBIN, L'Arabie du Sud et la date du Périp/e de la Mer
l:rythrée (nouveltes données), in <<Journal Asiatique», CCLXXIC (1991), pp. 2-30.
' Perip/o, 5 (Casson, pp. 52-53).
' Per esempio le iscrizioni DAE 4=6-7 (E. LITIMANN, Deutsche Aksum-Expedition, IV, Berlin
986 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
• Il copto è attestato dal III secolo d. C., e si articola in vari dialetti, fra cui i principali sono il
sahidico (Alto Egitto, fino all'xi secolo),l'akhmimico (Akhmim, specialmente nei testi di Nag Ham·
nudi, su cui cfr. piu avanti) e il bohairico (Delta, fino all'xi secolo).
' Cfr. T. ORLANDI, Traduzioni dal greco al copto:quali e perché, in G. FIACCADORI (a cura di), Au·
tnri classici in lingue del Vicino e Medio Oriente, Atti del III, IV e V Seminario ... , Roma 1990, pp.
SI l·• 04. Orlandi aggiunge (p. 94) anche un estratto del trattato ermetico chiamato Asklepios, pro·
vcnicnte da Nag Hammadi (cfr. piu avanti) e risalente a un originale greco del III o IV secolo, e una
citazione, in un'omelia, della Teoso/ia, testo cristiano del v secolo; ambedue però non si possono
considerare citazioni «classiche» a pieno titolo.
988 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
r. L'Antico Testamento.
anche che l'Antico Testamento copto venne tradotto dal greco, e che in
questa traduzione ebbero grande parte i monasteri, sviluppatisi via via
che il cristianesimo si espandeva•~. Il testo greco è quello dei Settanta (a
sua volta versione dall'ebraico, come noto, condotta proprio in Egitto
nel III secolo a. C., sotto Tolomeo Filadelfo), nella sua recensione detta
esichiana, universalmente usata in questo paese. Da notare tuttavia che
una recensione sahidica e bohairica dei Profeti minori sembra risentire
dell'originale ebraico in misura assai maggiore; derivano quindi da una
versione greca diversa da quella dei Settanta, forse la stessa V Colonna
delle Esapla di Origene. Non esiste a tutt'oggi, dell'Antico Testamento
copto, una edizione critica, che dunque si presenta come un desideratum
della massima urgenza; perciò, anche il valore della versione copta per
la ricostruzione del testo greco rimane per il momento scarso. Si può so-
lo ribadire che le due versioni sahidica e bohairica derivano ciascuna da
un testo dei Settanta diverso, e che quella akhmimica deriva dalla tra-
duzione copta (quindi non dal greco) sahidica 15
Anche l'Etiopia esegui una traduzione completa del testo dell' Anti-
co Testamento, ma stavolta possediamo tale traduzione per intero, at-
testata in varie decine di manoscritti tutti posteriori al XIII secolo 1' Ta-
le traduzione si colloca fra un momento imprecisato del IV secolo, do-
po l'introduzione del cristianesimo, e il v secolo. Questa seconda data
è fornita da una iscrizione in lingua gheez e in scrittura etiopica par-
zialmente vocalizzata, quella di Saro, che contiene una citazione di Sal-
mi 140(139).2 17 Non ha probabilmente valore, invece, l'ipotesi che vor-
rebbe porre la fine della traduzione dell'Antico Testamento etiopico nel
678, data supposta per la traduzione dell' Ecclesiastico 18 •
La traduzione venne condotta su un testo greco. Questo è certissi-
•• I monasteri piu prestigiosi furono per l'Antico Testamento sahidico il Monastero Bianco,
nell'Alto Egitto, e quello di Hamuli, nel Fayyiim; per l'Antico Testamento bohairico, attestato in
età tarda, il convento di Macario nella Nitria.
" Per ampia bibliografia cfr. P. Nagel in CE, VI, pp. 1836-4o, e R.-G. COQUIN, Langue et litti-
rature copte, in Christianismes orientaux. lntroduction à l' étude des langues et littératures, Paris 199 3,
pp. 187·90.
" Introduzioni generali alla Bibbia etiopica: B. DOTIE, Versions éthiopiennes, in Dictionnaire
de la Bible. Supplément, XXXIII, Paris 1960, pp. 825-29; E. CERULLI, Ethiopic versions, in New
Catholic Encyclopaedia, II, Washington D.C. 1967, pp. 458-59; E. ULLENDORFF, Ethiopia and the
Bible, London 1968.
17
Iscrizione pubblicata da A. J. DREWES, Inscriptions de l'Ethiopie antique, Leiden 1962, n. 72
p. 29 = BERNAND, DREWES e SCHNEIDER, Recuei[ ci t., n. 2 jO pp. 336-3 7.
18
Questa data (che equivale anche, secondo un altro tipo di computo, al nostro 1677) è indi-
cata in un codice, dove, come usuale, essa indica l'anno di copiatura del manoscritto, e non certo
quello di composizione dell'opera; che tale data ricorra pure in un altro codice, che porta poi an-
che la data del 1755, è dovuto al fatto che quest'ultimo è un descritto del precedente (A. RAIILFS,
Septuaginta Studien, ~ottingen 19652 , pp. 679-80).
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico 991
mo, per via degli innumerevoli fraintendimenti e del caso non raro di
intere parole non tradotte ma solo trascritte, che si spiegano solo con un
originale greco. Come per il copto, il testo greco era fondamentalmen-
te quello dei Settanta, nella sua recensione detta esichiana, corrente, co-
me si è detto, in Egitto; ciò corrisponde in pieno a quanto osservato sul-
la connessione fra Etiopia ed Egitto in età cristiana. In vari passi, tut-
tavia, si notano elementi che richiamano altre recensioni, senza che
ancora questa presenza sia stata spiegata in modo soddisfacente. Co-
munque, l'utilità della traduzione etiopica per la ricostruzione del testo
greco è da ritenersi nel complesso modesta, dato che mai, o quasi mai,
essa aiuta a una migliore comprensione dell'originale.
Non si sa chi siano stati gli autori di questa traduzione. Molti pen-
sano che almeno in parte essa sia stata opera di monaci provenienti dal-
la Siria, e parlanti siriaco 1' Questo si ricollega a un problema storiogra-
fico assai piu ampio. Il Vecchio Testamento in gheez, in effetti, sembra
talvolta piu vicino al testo ebraico che non a quello greco; e dato che la
tradizione etiopica parla di monaci, provenienti da varie località asiati-
che (Cesarea, «Asia», e altre), che si sarebbero rifugiati in Etiopia do-
po il concilio di Calcedoni a (4 51), si è supposto appunto che questi fug-
giaschi fossero dei Siri che avrebbero fornito ai traduttori il loro apporto
Ji conoscitori dell'ebraico. Questa interpretazione era stata promossa
da Ignazio GuidF 0 , specialmente nel presupposto che i nomi di questi
personaggi (conservati dalla tradizione etiopica) fossero siriaci, e che si-
riaco fosse anche il sistema di trascrizione in gheez da loro adottato per
i nomi propri della Bibbia greca. Dato che è stato poi notato21 che i no-
mi sono soltanto arabi preislamici, e che il sistema di trascrizione non è
specificamente siriaco, ma è quello comune a tutte le lingue semitiche,
tale teoria sembra ora completamente abbandonata. I supposti ebraismi
" Speci al mente E. ULLENDORFF, Hebrew, Aramaic and Greek: the venion under/ying Ethiopic
lramlatiom of the Bib/e and intertestamenta/ /iteratures, in The Bib/e W or/d. Essays in Honor o/ Cyrus
l l (,'ordon, New York 1980, pp. 249-57; A. vooous, Die Spuren eines iilteren iithiopischen Evange-
ftentextes im Lichte der /iterarische Monumente, Stockholm 1951; M. A. KNIBB, Hebrew and Syriac
clell/cnts in the Ethiopic venion of Ezekie/?, in «Journal of Semitic Studies», XXXIII (1988), pp.
1 1-Js, Piu o meno lo stesso è stato sostenuto per il libro di Enoch: E. ULLENDORFF, An Aramaic
\ orlap,e'' in the Ethiopic text of Enoch?, in Convegno lntemaliona/e di Studi Etiopici, Roma 1960,
pp. 25y-66; giustamente contrario P. PIOVANELLI, Sulla «Vor/age» aramaica de//'Enoch etiopico, in
«Studi Classici e Orientali>>, XXXVII (1987), PP- 545-89.
20
1. GUIDI, Le tradulioni degli Evange/ii in arabo e etiopico, in «Reale Accademia dei Lincei .
.\lcmorie>>, serie 5, II (1894), p. 33-
" t•. MARRASSINI, Some considerations on the prob/em o/ the "Syriac influences" on aksumite Ethio-
J>ia, in <<]ournal of Ethiopian Studies», XXIII/I (1990), pp. 35-46; ID., Ancora sul problema degli
ù:flussi siriaci in età aksumita, in L. CAGNI (a cura di), Biblica et Semitica. Studi in memoria di Fran-
C<'>eo Vattioni, Napoli 1999, pp. 325·37·
992 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
sono in realtà dovuti alla revisione del testo gheez fatta nel XIV secolo
in Egitto, sulla base di una redazione araba a sua volta tradotta dal si-
riaco. La situazione risulta ulteriormente complicata dalla supposta esi-
stenza di una terza redazione, anch'essa caratterizzata da ebraismi (ori-
tenuti tali), da alcuni datata all'età aksumita (e in tal caso facente uso
di un testo esplarico), da altri al xv-xvi secolo; e dal fatto che tutti i ma-
noscritti sono tardi (dopo la fine del XIII secolo), quindi con ampio spa-
zio per rimaneggiamenti e contaminazioni, ai quali ovviano solo in pic-
cola parte le pur ampie citazioni bibliche nelle iscrizioni aksumite.
L'unica edizione completa dell'Antico Testamento etiopico è quella
di Francesco da Bassano22 • Si tratta di un lavoro piuttosto scadente, non
critico e con molte correzioni arbitrarie. Migliori le edizioni di libri sin-
golin. Nel complesso, dunque, una edizione critica generale dell'Antico
Testamento etiopico si presenta ugualmente come una delle imprese piu
urgenti.
2. Il Nuovo Testamento.
Il Nuovo Testamento fu probabilmente tradotto in copto nel corso
del III secolo, e per le stesse ragioni. Anche in questo caso i manoscritti
sono del III e soprattutto del IV secolo, e la traduzione, ovviamente, ven-
" FRANCESCO DA BASSANO, Beluy Kidan · Vetus Testamentum, 4 voli., Asmara 1924-25.
" Ottateuco: J. o. BOYD, The Text o/ the Ethiopic Vmion o/ the Octateuch, Leiden-Princeton
1905; ID., The Octateuch in Ethiopic. PartI. Genesis, Leiden-Princeton 1909; ID., The Octateuch in
Ethiopic. PartII. Exodus and Leviticus, Leiden-Princeton 1911; A. DILLMANN, Biblia Veteris Testa-
menti Aethiopica, I. Octateucus Aethiopicus, Leipzig 1853-55; II. Libri Regum, Paralipomenon l,
Esdrae, Esther, 2 voli., Leipzig 1861-71; F. M. ESTEVES PEREIRA, Le livre d'Esther, in «Patrologia
Orientalis», IX (1913); ID., Le Troisième livre de Ezra (Esdras et Néhémie canoniques), ivi, XIII
(1919). Cronache: J. ACLEAR, The Ethiopic textof 2 Para/ipomenon, in «Textus», VIII h973), pp.
126-p; ID., A list of corrections for S. Grébaut's edition of Ethiopic I Chron., in <<Le Muséon•,
LXXXV (1973), pp. 259-68; LXXXVII (1974), pp. 207-21; s. GRÉBAUT, Les Para/ipomènes. Livrt
l et Il, in «Patrologia Orientalis», XXIII (1932). Libri poetici e sapienziali: H. CRASSWALL GI.EA·
vE, The Ethiopic Version oftheSong ofSongs, London 1951; A. DILLMANN, Veteris Testamenti tomus
quintus. Libri apocryphi Baruch, Epistu/a Jeremiae, Tobith, Judith, Ecclesiasticus, Sapientia, Esdrae
Apocalypsis, Esdrae Graecus, Berlin 1894; F. M. ESTEVES PEREIRA, Le Livrt de ]oh, in «Patrologia
Orientalis», II (1907). Libri profetici: J. BACHMANN, Die Klagelieder Jeremiae in deriithiopischen
Bibe/iibersetzung, Halle I88J; ID., Dodekapropheton Aethiopum oder die zwolf kleinen Propheten
deriithiopischen Bibeliibersetzung, I. Der Prophet Obadia, Halle 1892; ID., Der Prophet ]esaia nach der
iithiopischen Bibe/iibersetzung, I. Der à'thiopische Text, Berlin 1893; A. DILLMANN, Der à'thiopische
Text des Joel, in A. MERX, Die Prophetie des Joel und ihre Ausleger, Balle 1879; F. M. ESTEVES PE·
REIRA, O /ivro do propheta Amos, in «Academia da Sciencias de Lisboa. Boletim da secunda clas-
se», XI (1917); H. F. FUHS, Die iithiopische Obersetzung der Propheten Micha, Bonn 1968; ID., Die
iithiopische Obersetzung des Propheten Hosea, Bonn 1970; O. Lofgren, Die iithiopische Ubmetzung
des Propheten Daniel, Paris 191 7; m., Jona, Nahum, Habakuk, Zephania, Haggai, Sacharja, und Ma·
leachi, Paris-Cambridge-Uppsala 1930.
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico 993
ne fatta sul greco. Il testo che servi di modello fu quello della recensio-
ne cosiddetta alessandrina, pur con influssi di quella cosiddetta <wcci-
dentale»z4 nella versione sahidica. Dato che questa versione è attestata
solo in frammenti o in parti separate, provenienti da epoche e località
diverse, l'edizione Horner (191 1-24) del Nuovo Testamento sahidico,
che ricompone tutte queste parti in un testo unico, viene universalmente
ritenuta insufficiente. Ovviamente anche in questo caso occorre una edi-
zione critica moderna, sulla base della quale potranno essere meglio de-
finiti i rapporti con le recensioni greche5
In etiopico, meno complicata la situazione per il Nuovo Testamen-
to rispetto a quella dell'Antico. Il testo greco che servi di modello fu
quello della versione cosiddetta lucianica (o sira, o siriana, o antioche-
na, o bizantina), la piu diffusa nelle Chiese antiche, e dovuta a Luciano
di Samosata, martire nel 312; anche in questo caso, tuttavia, si notano
influssi della versione «occidentale». Il testo del Nuovo Testamento
etiopico è ben noto in Europa fino dal Cinquecento, e viene ristampa-
to di continuo in diverse versioni non scientifiche. In realtà, eccetto che
per alcune parti, manca anche qui una edizione critica moderna com-
pleta, per fortuna in· fase di realizzazione in Germaniaz'.
3 . Gli apocrifi.
" Tale denominazione non implica che l'origine di questa versione sia stata realmente «occi-
dentale»; il termine fu coniato in un'epoca nella quale il manoscritto principale era il Codex Be-
zac greco-latino di Cambridge. La nascita di questa recensione avvenne in Siria o in Asia Minore,
anche la sua diffusione maggiore si ebbe in Oriente.
" Per il Nuovo Testamento copto cfr. B. M. Metzger in CE, VI, pp. 1787-89, e COQUIN, Lan-
~1/c ci t., pp. r88-9o.
16
Introduzione generale al Nuovo Testamento: B. METZGER, The Ear/y Vmions o/ the New
Fntament, Oxford 1977. Edizioni parziali: J. IIOFMANN, Dieiithiopische Obersenung der ]ohannes-
apol:alypse, Louvain 1967; cfr. anche m., Der arabische Einf/uss in der athiopischen Ubersetzung der
/"hanncsapoka/ypse. Textkritische Untmuchung auf Grund der Handschri/ten, in «Oriens Christia-
llltsn, XLIII (1959), pp. 24-53; XLIV (1960), pp. 25-39; R. ZUURMOND, Novum Testamentum
!lcthiopice · The Synoptic Gospe/s. Genera/ Introduction. Edition o/ the Gospel o/ Mark, Stuttgart
l<JX<); G. MAEHLUN e s. UIILIG, Die athiopische Obmetzung der Gefangenschaftsbriefe des Pau/us,
S11ntgart 1993; J. HOFMANN e s. UIILIG, Novum Testamentum Aethiopice Die Kato/ischen Brie-
(c Stllttgart 1993. L'edizione del Vangelo di Matteo è in preparazione da parte di Zuurmond. Si
veda anche il vecchio articolo di L. HACKSPILL, Die iithiopische Evange/ieniibersenung, in « Zeit-
'chrift fur Assyriologie», XI (1896), pp. 117-96 e 367-88.
27
Usiamo qui questo termine, invece di quello di <<letteratura apocrifa>> dell'Antico e del Nuo-
"" Testamento, sia perché è talvolta difficile assegnare un apocrifo all'uno o all'altro (per esempio
l';hccnsione di Isaia, i Paralipomeni di Geremia, ecc.), sia per il diverso significato che ha il termi-
994 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
ne di «apocrifo» nella tradizione protestante e in quella cattolica: nella prima esso indica i libri esi·
stenti nel canone greco, ma non accolti in quello ebraico (J &ra, Tobia, Giuditta, Siracide, Baruch,
Susanna, l e Il Maccabei, e altri), libri che vengono chiamati <<deuterocanonici» presso i cattolici;
nella seconda, i testi di cui parleremo qui, falsamente attribuiti a personaggi famosi, e di contenu-
to molto vasto e ambizioso, detti «pseudepigrafi» presso i protestanti.
" ORLANDI, Traduzioni cit., p. 95·
" Cfr. P. PIOVANELLI, Lesaventuresdesapocryphesen Ethiopie, in «Apocrypha», IV (1993), pp.
197·224.
" Per gli apocrifi tradizionalmente assegnati all'Antico Testamento cfr. i testi in traduzione
e la bibliografia nelle raccolte generali piu note, e cioè in italiano: P. SACCIII, Apocrifi dell'Antico
Testamento, 5 voli., Torino 1981-89 (l-Il), Brescia 1997·2000 (III-V); in inglese: R. H. CHARLES,
The Apocrypha and Pseudepigrapha o/ the 0/d Testament, 2 voli., Oxford 1913 (rist. 1963-68); J. 11.
CHARLESWORTH, The 0/d Testament Pseudepigrapba, 2 voli., London 1983-85; H. F. D. SPARKS, Tbe
Apocrypha/ 0/d Testament, Oxford 1984; in francese: A. DUPONT·SOMMER e M. PIIILONENKO, La Bi·
b/e. Ecrits intertestamentaires, Paris 1987; in tedesco: E. KAUTZSCH, Die Apokryphen und Pseudepi-
graphen des Alten Testaments, 2 voli., Tiibingen 1900 (Hildesheim 1962 2); w. G. KUMMEL, ]iidische
Schri/ten aus he//enistisch-romischer Zeit, Giitersloh 1984 sgg.; P. RIESSLER, A/t;iidisches Schri/ttum
ausserha/b der Bibe/, Heidelberg 1928, 1975'; in spagnolo: A. DIEZ MACIIO, Apocrifos del Antiguo
Testamento, 4 voli., Madrid 1983-84. Bibliografie sistematiche e rassegne: J. 11. CJJARLESWORTH,
The Pseudepigrapha and Modem Research, Chico 1981 2 ; G. DELLING (e M. MASER), Bib/iographie zur
;udisch-he/lenistischen und intertestamentarischen Literatur I9DO·I970, Berlin 1975; J.·C. HAELEWYCK,
C/avis apocryphorum Veteris Testamenti, Turnhout 1998; inoltre bibliografia sistematica annuale
nelle sezioni apposite delle riviste «Biblica», «Byzantinische Zeitschrift» e «lnternationale Zeit-
schrift fiir Bibelwissenschaft». Per i resti delle versioni greche si veda A. M. DENIS, Fragmenta pseu·
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico 995
dcpiRraphorum quae supenunt Graeca, una cum historicorum et auctorum iudaeorum hellenistarum frag-
11/cntis collegit et ordinavit, Leiden 1970; ID., Introduction aux pséudepigraphes grecs d' Ancien Testa-
11/ent, Leiden 1970. Per gli apocrifi tradizionalmente assegnati al Nuovo Testamento cfr. i testi in
traduzione e la bibliografia nelle raccolte generali piu note, e cioè in italiano: M. ERBETIA, Gli apo-
crifi del Nuovo Testamento, 3 voli. in 4 tomi, Torino 1966-68; L. MORALDI, Apocrifi del Nuovo Te-
l/amento, 2 voli., Torino 1971; in francese: F. BOVONeP. GEOLTRAIN, Ecritsapocrypheschrétiens, l,
l'aris 1997; in tedesco: (E. IIENNECKE e) w. SCIINEEMELCIIER, Neutestamentliche Apokryphen in
dcutscher Ubersetzung, 2 voli., Tiibingen 1959', 1966-684 , Berlin 1987-89' Bibliografie sistemati-
che c rassegne: J. u. CIIARLESWORTII, Research on the New Testament Apocrypha and Pseudepigrapha,
in ANRW, XXV/5 (1988), pp. 3919-68; M. GEERARD, C/avis apocryphorum Novi Testamenti,
Turnhout 1992. Per il copto si veda soprattutto T. ORLANDI, Gli apocrifi copti, in «Augustinianum»,
XXIII (1983), pp. 57-7r.
996 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
conservato per intero solo in essa, con circa una settantina di manoscritti
che presentano un'opera in xo62 versettP'.
" L'ultima edizione deU' Enoch etiopico è queUa di M. A. KNIBB, The Ethiopic Book of Enoch.
A New Edition in the Light of the Aramaic Dead Sea Fragments, z voli., Oxford 1978. L'ultima tra·
duzione è quella di M. BLACK, The Book of Enoch or I Enoch, Leiden 1985. Per importanti critiche
e bibliografia ulteriore cfr. P. i'IOVANELLI, Il testo e le traduzioni dell' Enoch etiopico 19]6·I9IJ7, in
<<Henoch>>, X (1988), pp. 85-95; inoltre M. BLACK, A bibliography of 1 Enoch in theeighties, in <<}our·
nal for the Study of the Pseudepigrapha», V (1989), pp. 3-16; IIAELEWYCK, Clavis cit., 61, 70, 72,
73· Per l' Enoch copto cfr. G. Aranda Perez in CE, VI, pp. 16z-63, con bibliografia p. 167 (da in-
tegrare con queUa deUe raccolte di apocrifi indicate alla nota precedente, e con G. w. E. NICKEL·
SBURG, Two Enochic manuscripts, unstudied evidence /or Egyptian Christianity, in 11. w. AITRIDGE
(a cura di), Scribes and scrolls. Studies on the Hebrew Bible and Intertestamental Judaism in Honor o/
]. Strugnell, Lanham 1990, pp. Z51-6o) e in DIEZ MACIIO, Apocri/os, IV cit., pp. 329·40.
" L'ultima edizione e traduzione dei Giubilei etiopici è queUa di J. c. VANDERKAM, The Book
offubilees, 2 voli., Louvain 1989. Alla bibliografia delle raccolte aggiungere M. KISTER, Newly iden·
tifiedfragments of the Book oflubilees:]ub. 23.21-23 .JO·JI, in «Revue de Qumran», XII (1987),
pp. 329-536. Si veda anche J. c. VANDERKAM, Textual and HistoricalStudies in the Book of]ubi/ees,
Missoula 1977; HAELEWYCK, Clavis cit., 132.
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico 997
3·4· Le Apocalissi}4.
Sono opere che sviluppano visioni sulla fine del mondo, e che por-
tano esplicitamente tale titolo (elementi« apocalittici» si trovano infat-
ti in molti altri testi). Distinguiamo, qui e di seguito, fra le opere per le
quali l'originale greco ci è pervenuto, da quelle in cui tale originale non
si è conservato, rendendo quindi particolarmente importante la presen-
za del copto e/o dell'etiopico.
" ERBEITA, Gli apocrifi ci t., III, pp. 235-308; GEERARD, Clavis apocryphorum ci t., p. 1052. Ag-
giungere oraR. BEYLOT, Hermas: le pasteur Quelques variantes inédites de la version éthiopienne, in
1< COQUIN (a cura di), Mélanges A. Guillaumont, Genève 1988, pp. 159-62, e o. RAINERI, Il Pa-
llore di Erma nel secondo testimone etiopico, in «Orientalia Christiana Periodica>>, LIX (1993), pp.
~27-64; N. DROX, Der Hirt des Hermas, Giittingen 1991; M. LEUTZSCH, Hirt des Hermas, in u. H. J.
KORTNER e M. LEUTZSCH, Papiasfragmente. Hirtdes Hermas, Darmstadt 1998; per il Papiro Bodmer
cfr. A. CARLINI, Papyrus Bodmer XXXVIII. Erma: Il Pastore (la-/Ila visione), Coligny-Génève 1991;
lll., Testimone e testo: il problema della datazione di P Iand I 4 del Pastore di Erma, in «Studi Clas-
sici e Orientali», XLII (1992), pp. 17-3o; ID., Congiunzione e separazione di/rammenti di tradizio-
nt· diretta (su papiro) e di tradizione indiretta, in Paideia cristiana. Studi in onore di M. Naldini, Roma
1994, p. 208 e n. 5·
" Per quelle copte cfr. Aranda Perez in CE, l, pp. 164-65, con bibliografia p. 168.
998 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
" Nuova traduzione in P. MARRASSINI, L'Apocalisse di Pietro, in Etiopia e oltre. Studi in onore
di Lanfranco Ricci, Napoli 1994, pp. 171·232; stato della ricerca in R. IIAUCKIIAM, The Apocalypse
of Peter An account of research, in ANR W, XXVI/5 (1988), pp. 4712·50.
16
GEERARD, C/avis apocryphorum cit., p. 315; HAELEWYCK, C/avis cit., 218; per il copto cfr.
Aranda Perez in CE, l, p. 166 con bibliografia pp. 168-69.
" Salvo in un testo chiamato Apocrifi di Geremia nella cattività babilonese, ispirato alla stessa
tematica ed esistente anche in arabo (Aranda Perez in CE, I, p. 166; HAELEWYCK, C/avis cit., 227l.
,. SACCIII, Apocrifi cit., III, pp. 237·384; IIAELEWYCK, C/avis cit., 225-29; ottima l'edizione
critica di P. Piovanelli, tesi di laurea Firenze 1985-86 [inedito].
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico 999
3.6. I Testamenti.
Molti testi della letteratura intertestamentaria appartengono a un
«genere» assai diffuso, quello del «Testamento», ossia delle raccoman-
dazioni rivolte a successori o discepoli da parte di un personaggio bibli-
co in punto di morte. Della principale di queste opere, il Testamento dei
dodici patriarchi, non sono attestate per ora né traduzioni copte né tra-
duzioni etiopiche, ma vi sono altri Testamenti dello stesso tipo.
a) Originale greco conservato:
Testamento di Adamo. Greco conservato solo in parte; copto, etiopico dall'ara-
bo (Haelewyck 3);
Testamento di Abramo. Da una versione abbreviata (conservata in greco come
quella completa) derivano una traduzione copta, una araba e una etiopica at-
traverso la precedente (Sacchi IV, pp. J7·Io4; Haelewyck 88 e 95);
Giuseppe e Aseneth. Copto, etiopico dall'arabo (Haelewyck I05 e cfr. I IO-I 2);
Testamento di Giobbe. Copto (incompleto; Sacchi IV, pp. 105-82; Haelewyck
207).
b) Originale greco perduto:
Testamento di !sacco. Copto (traduzione dal greco in sahidico e, indipendente-
mente, in bohairico); etiopico dali' arabo, ugualmente attestato (Charlesworth
Il, pp. 903-I2; Haelewyck 98);
Testamento di Giacobbe. Copto; etiopico dall'arabo, ugualmente attestato (Char-
lesworth II, pp. 913-18; Haelewyck 99);
Giuseppe figlio di Giacobbe. Etiopico dall'arabo (Haelewyck r 13, I 17).
Vangelo di Bartolomeo. Copto (Erbetta l/2, pp. 288-319; Moraldi I, pp. 749-8or;
Geerard 6 3);
Dormizione di Maria. Copto; etiopico dall'arabo (Erbetta I/2, pp. 407-632; Mo-
raldi l, pp. 807-926; Geerard 90-177 [su tutte le Dormizioni]).
1
' In J.·M. PRIEUR, Acta Andreae, 2 voli., Turnhout 1989, si cercherà invano una chiara indi·
cazione delle versioni.
40
Si veda ora F. BOVON, B. BOUVIER e F. AMSLER, Acta Phi/ippi, 2 voJJ., Turnhout 1999·
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico IOOI
Atti di Marco Evangelista. Copto; etiopico dall'arabo (Moraldi Il, pp. I633-34;
Geerard 287-88).
b) Originale greco perduto:
Epistola di Dionigi Pseudo-Areopagita sulla passione di Pietro e Paolo. Etiopi-
co dall'arabo (ugualmente attestato), siriaco, armeno, georgiano (Geerard
I97);
Atti di Giacomo Zebedeo. Latino; copto; etiopico dall'arabo, ugualmente atte-
stato (Erbetta II, pp. 54I-48; Geerard 272-79).
Nulla può dirsi dell'eventuale originale greco degli Atti di Mattia e degli Atti di
Simone il Cananeo (Erbetta Il, pp. 56 I -7 I; Moraldi II, pp. I 539-53), entrambi
attestati anche in copto ed etiopico (Geerard 280-82).
3·9· Le Epistole.
Si tratta di un genere letterario consistente in una corrispondenza
fittizia fra Gesu Cristo e gli apostoli, oppure fra lui e/o gli apostoli e va-
ri personaggi o comunità.
a) Originale greco conservato:
Epistola inviata dal cielo da Nostro Signore Gesu Cristo. Etiopico dall'arabo (Er-
betta III, pp. II3·I8; Moraldi Il, pp. 1703-I8; Geerard 3II);
Corrispondenza apocrifa di Paolo (Laodicesi, Alessandrini, Corinzi, a Seneca).
Copto (Erbetta II, pp. 63-70, 85-92; Moraldi II, pp. I718-55; Geerard 21 I .IV,
305, 306);
Lettera di Abgardi Edessa a Gesu. Copto; etiopico dall'arabo (Erbetta III, pp. 77-
84; Moraldi II, pp. 1657-68; Geerard 88).
3. I 2. Altri apocrifi.
Testo greco conservato: Storia dei Recabiti (etiopico, Haelewyck I66),
Odi di Salomone (copto; Haelewyck 205). Testo greco non conservato:
Conflitto di Adamo ed Eva con Satana (etiopico, Haelewyck q), Collo-
quio di Mosè con Dio (etiopico, Haelewyck I3o). Su Mosè presso i Fa-
lascia (con originale non greco, ma probabilmente arabo) Haelewyck I4I
e I42 (etiopico).
4· La patristica.
41
Cfr., in CE, I, C. W Hedrick, pp. 156-57: W. R. Schoedel e C. W Hedrick, pp. 157-59;
M. Scopello, pp. 159-60; S. K. Brown e C. W Griggs, pp. 160-61.
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico 1003
settore della patristica, per quanto attiene alla loro capacità di conser-
vazione di originali greci. Le opinioni, qui, sembrano divergere: da un
lato, la patristica copta parrebbe poco incline a tradurre pio o meno pas-
sivamente, e la sua qualità di deposito di testi altrui non sembra perciò
troppo elevata42 ; dall'altro, quella etiopica, conformemente alla minore
capacità innovativa di quest'area, sembra poter riservare non poche sor-
prese, soprattutto se si vorrà procedere a uno spoglio sistematico della
enorme massa di materiale a disposizione, in special modo di quello con-
tenuto negli omeliari liturgiciH.
Diamo in Appendice un elenco, per ordine alfabetico di autore o di
opera, dei principali testi patristici tradotti in copto e in etiopico (per
brevità si rimanda alla Clavis patristica di Geerard44 , dove si troverà la
bibliografia essenziale), avvertendo di consultare, come è ovvio, anche
i volumi sulla patrologia di Altaner4' e di Quasten46 • Non elencheremo
le opere normalmente ritenute dubbie o spurie, ma anche cosi tutta la
lista è soggetta alle pio gravi ed esplicite riserve di autenticità. Le indi-
cazioni seguono i medesimi criteri adottati sopra per gli Apocrifi.
In etiopico si segnala infine il Qerellos, raccolta di 25 scritti sull'unità
di Cristo (il titolo, «Cirillo», deriva dal primo di essi, un trattato «Sul-
la retta fede» di Cirillo di Alessandria), nella prima parte antinestoria-
ni riferiti al concilio di Efeso (4 3 1), nella seconda parte antiariani rife-
riti al concilio di Nicea (325). I testi sono di Cirillo, Teodoto di Anci-
ra, Severo di Sinnada, Acacia di Melitene, Giovenale di Gerusalemme,
Regina di Costanza (Cipro), Eusebio di Eraclea, Firmo di Cesarea (Cap-
padocia), Giovanni di Antiochia, Epifania di Salamina, Proclo di Cizi-
co, Severiano di Gabala47 • La traduzione fu fatta dal greco, probabil-
mente nel corso del v secolo. Di alcuni di questi scritti non è noto l'ori-
" Si veda T. ORLANDI, Patristica copta e patristica greca, in« Vetera Christianorum», X (1973),
pp. ì 27·4 1; m., LA patrologia copta, in A. QUACQUARELLI (a cura di), Complementi interdisciplinari
di l'atrologia, Roma 1989, pp. 457-502. ORLANDI, Traduzioni cit., p. 100, nota che, rispetto alla pa·
tristica greca, sono in copto piu importanti le assenze che le presenze.
" Cfr. il saggio di G. LUSINI, Appunti .sulla patristica greca di tradizione etiopica, in <<Studi Clas·
'ici e Orientali», XXXVIII (1988), pp. 469-91..
'' M. GEERARD, Clavis patruum greacorum, 3 voli., Turnhout 1979-83 (abbreviata nel testo
con(;).
" B. ALTANER, Patrologie, Freiburg-Basei-Wien 1957 (1963') [trad. it. Torino 1968, 1983].
"J. QUASTEN, Patrologia, l, Utrecht 1966; II, Westminster Md. 1964; III, Utrecht 1966.
" Edizione e traduzione: B. M. WEISCIIER, Qerellos 1 Der Prosphonetikos <<Ober den rechten
(,fauhen» des Kyrillos von Alexandrien an Theodosios 11, Hamburg 1973; Qerellos 11. Der Dialog
"Dass Christus Einer ist» des Kyrillos von Alexandria, Wiesbaden 1977; Qerellos IV/1. Homi/ien und
llric/e zum Kon:r.i/ von Ephesos, Wiesbaden 1979; Qere/los IV/z Traktate des Epiphanios von Zypem
und dcs Proklos von Ky:r.ikos, Wiesbaden 1979; Qere/los IV/J. Traktate des Severianos von Gabala,
(;re&rJrios J'haumaturgos und Kyril/os von Alexandrien, Wiesbaden 1980.
1004 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
5· L'agiografia.
stati tradotti dal greco; quasi tutti i testi sono posteriori al XIII secolo, e
quelli tradotti (in ogni caso una minoranza) lo sono stati dall'arabo dei
Copti egizianis~.
6. Testi vari.
6.1. Il Fisiologo.
Si tratta della famosa operetta di simbolismo naturalistico, antesi-
gnana dei «bestiari» medievali, scritta forse ad Alessandria fra il n e il
m secolo d. C., e attribuita falsamente a Epifania di Salamina. Vi si par-
la di 48 animali (reali o mitici) e delle loro caratteristiche allegoriche,
ciascuna come tipo di Cristo, del diavolo, della Chiesa o degli uomini.
L'originale greco è ben noto, ma restano da chiarire i rapporti fra le va-
rie versioni e quelli con la tradizione orientale. La piu importante edi-
zione critica del greco è quella di F. Sbordone (1936), che sulla base di
quasi 8o manoscritti identificava tre redazioni (o secondo altri tre ope-
re diverse): <<antica» (n secolo d. C.), «bizantina~> (V-VI secolo) e «pseu-
do-basiliana» (attribuita falsamente a san Basilio Magno, X-XI secolo);
la versione antica avrebbe a sua volta 4 redazioni, da archetipo diverso.
Ma Sbordone non aveva potuto tener conto del codice piu importante
di tutti (per esempio ha 47 capitoli, contro i 38 dei migliori manoscrit-
ti fino ad allora noti), quello di Grottaferratass Del piu alto interesse si
presenta la tradizione orientale, dove a una versione etiopica completa,
tradotta da una delle redazioni greche antiche, e affiancata da quella si-
riaca, araba, armena e georgiana, si contrappone una miriade di testi
frammentari copti e siriaci, con passi e animali ignoti all'originale gre-
co, che mostrano come questa tradizione orientale fosse allora molto piu
ampia e variegatas6 •
'' Un utile elenco dei santi di origine etiopica (però con pessima bibliografia) in KINEFE-RIGB
'liLEKE, Bib/iography o/ the Ethiopic hagiographica! tradition, in <<Journal of Ethiopian Studies>>,
XIII/2 (1973), pp. 57-102; per una tipologia delle Vite si veda p_ MARRASSINI, Gad!a Yohannes Me-
ll'uqawi- Vita di Yohannes l'Orientale, Firenze 1981, pp. Ull-CIX.
" Il Cryptoferratensis JJ = Pierpont Morgan Library J97; la cosa venne subito segnalata da Perry
nella sua recensione a Sbordone in «American Journal of Philology>>, LVII (1938), pp. 492-93; il
ms è stato pubblicato solo nel 1966 (Offermans), e una edizione complessiva dei codici della re-
dnione piu antica solo nel 1974 (Kaimakis), entrambi indicati nella bibliografia di Zambon cita-
ta alla nota seguente.
" Cfr. GEERARD, C/avis patruum ci t., 3766; cenni e biliografia su quanto precede anche in QUA-
STEN, Patro/ogia cit., 111, pp. 394-95; traduzione italiana e bibliografia ulteriore in F. ZAMBON, Il
I'iiiolof!.o, Milano 1975, 1990 1 • Per il testo greco u. TREU, Von Li:iwen bis :zum Wildese!: Die dritte,
<of!.cnannte pseudobasi!ianische Redaktion des Physiologus, in A. VON REXEIIEUSEN e K. H. RUFFMANN
1006 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
(a cura di), Fs./ur F von Lilien/eld ... , Erlangen-Niirnberg 1982, pp. 446-78; P. T. EDEN, Theobal-
dus, Physiologus, Leiden 1972. Per le traduzioni, aggiungere quelle dall'etiopico di F. Hommel, in-
clusa nella sua edizione; F. HOMMEL, Deriithiopische Physiologus uberset:r.t, in «Romanistische For-
schungen>>, V (I 890), pp. 13-136; c. CONTI ROSSINI, Il Fisiologo etiopico, in <<Rassegna di Studi Etio-
pici», X (1951), pp. 5-5 r. Sulla tradizione manoscritta A. coTÉ, Un manuscrit oublié du Physiologus
(New York, P. Morgan M 397), in <<Scriptorium», XXVIII (1974), pp. 276-77; J. H. DECLERK, Re-
marques sur la tradition du Physiologus grec, in «Byzantion», LI (1981), pp. 148-58; D. KAIMAKIS,
Physiologus et sa tradition manuscrite, in «Cyrillornethodianurn», V (1981), pp. 173-84; F. SBORDO·
NE, Rassegna di studi sul Physiologus, in «Rivista di Filologia e Istruzione Classica», CV (1977), pp.
496-500. Per il copto L s. a. MACCOULL, Coptic tradition of the Ethiopian Physiologus, in Fi/teenth
Annua! Byzantim.' Studies Confercnce (27-29 ottobre 1989), University of Massachussets, Amherst
1989, p. 15; G. F. LUSINI, Osservazioni sulla versione copta del Fisiologo, in «Egitto e Vicino Orien-
te», XVI (1993), pp. 67-72. Per il siriaco A. VAN LANDSCHOOT, Fragments syriaques du Physio/ogus,
in «Le Muséon», LXXII (I959l, pp. 37-5I (cfr. anche G. FURLANI, Il manoscritto siriaco 9 dell'In-
dia 0/fice, in «Rivista degli Studi Orientali», X (1923"25), pp. 315-20 [edito da K. AIIRENS, Das
«Buch der Naturgegenstiinde», Kiel I892]; per iconografia in Rabbuia si veda]. Fink in «Theologi-
cal Review», I957, pp. 24I-47, e Rahner in «Scholastik», 1957, pp. 4Io-16). Per il georgiano,
l'edizione è di N. Ja. Marr in «Teksty i Raziskania po Armeno-Gruzinskoi Litertur», VI (I904l.
Cfr. «Bollettino Italiano di Studi Orientali», l, p. 447, e G. GRAF, Caucasica, Leipzig 1926, pp. 93·
I I 4 (trad. tedesca). Tralasciamo qui le traduzioni antiche in italiano, francese, inglese, alto-tede-
sco, islandese e bulgaro.
17
Edizione e traduzione recente in M. CENTANNI, Il romanzo di Alessandro Magno, Venezia
I988 (con scarsissimi dati sulla tradizione orientale); per il copto si veda C. D. G. Miiller in CE,
VII, pp. 2059-6o; sull'etiopico gli importanti contributi di G. r. LUSINI, Sulla tradizione manoscrit·
ta dello «Zènii Eskender», in «Rassegna di Studi Etiopici», XXXIII (I989), pp. 143-55; Origine e
significato della presenza di Alessandro Magno nella letteratura etiopica, ivi, XXXVIII (I994), pp.
95-I !8.
Marrassini Traduzioni e citazioni dal greco in copto ed etiopico 1007
Appendice.
Principali testi patristici tradotti in copto e in etiopico.
Originale greco non conservato (o anche, in certi casi, probabilmente mai esistito):
Alessandro di Alessandria (G 2004 fr. greci, anche versione siriaca abbreviata)"
Anfiloco di lconio (G 3240)
Atanasio di Alessandria (G 2102: greco fr., copto, siriaco, armeno)
Basilio di Cesarea (G 2965-73)
Cirillo di Alessandria (forse G 5406-10, 5437)
Dionigi Pseudo-Areopagita (G 6633, copto, siriaco, arabo, georgiano, armeno)
Egemonio (G 3570 latino, copto fr.)
Epifanio di Salamina (G 3798 etiopico, G 3803 copto)
Evagrio Pontico (G 2461, etiopico)
Firmo di Cesarea (G 6121, etiopico)
Giovanni di Antiochia (G 1310, etiopico)
Gregorio Taumaturgo (G 1787 arabo ed etiopico)
Hexaemeron (falsamente attribuito a Epifanio G 3763, etiopico)
lppolito di Roma (G 1887: frr. copti e arabi)
Regino di Costanza (G 6486, etiopico)
Severo di Sinnada (G 6145, etiopico)
Teodosio di Gerusalemme (G 6715)
Teodoto di Ancira (G 6132, etiopico)
Teofilo di Alessandria (G 2585, 26o8-1o; anche versioni latine, e frr. siriaci, arabi,
armeni; G 2622-23: altre omelie anche in etiopico, dall'arabo64 ; G 2684).
" Si tratta dell'omelia De anima et corpore deque passione Domini, attribuita anche ad altri, fra
cui lo stesso Atanasio di Alessandria (ORLANDI, Patristica cit., p. 329).
64
Cfr. sopra quella sul Monte Qusqam, e QUASTEN, Patrologia cit., III, pp. 104-5-
CLAUDIA A. CIANCAGLINI
1
Per tutti gli aspetti linguistici e culturali delle traduzioni siriache dal greco cfr. s. BROCK,
(;rak into Syriac and Syriac into Greek; Aspects of translation technique in antiquity; From antago-
nism to assimilation. Syriac attitudes to Greek learning, in ID., 5yriac Perspectives on Late Antiquity,
London 1984, rispettivamente Il, III e V; ID., Towards a history of Syriac translation technique, in
lll., Studies in Syriac Christianity. History, Literature and Theology, Hampshire 1992, X; ID., From
Ephrem to Romanos. Interactions between Syriac and Greek in Late Antiquity, Hampshire 1999; in
generale si veda A. BAUMSTARK, Geschichte der syrischen Literatur, Bonn 1922.
' Cfr. J. A. FITZMYER, A Wandering Aramean, Ann Arbor 1979, pp. 29-56 e 6o sgg.
1010 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
1
Cfr. BROCK, From antagonism cit., p. 19.
' Cfr. m., Greek and Syriac in lateantiqueSyria, in A. K. BOWMAN e G. WOOLF (a cura di), Lite-
racy and Power in the Ancient World, Cambridge 1994, pp. 149-60; s. BROCK, Syriac culture, in
CAI-f, XJII (1998), pp. 708-19.
' Ed. e trad. w. CURETON, Spicilegium Syriacum, London 1855, pp. 38-42 (testo), 61-69 (trad.).
6
Ed. e trad. J. R. HARRIS, The Apology o/ Aristides, Cambridge 1891.
7
Ed. P. DE LAGARDE, T Bostreni contra Manichaeos libri quattuor, Berlin 1859; cfr. P. POIRIER
e c. SENSAL-, Quelques réflexions sur la version syriaque du Contra Manichaeos de Titus de Bostra, in
V Symposium Syriacum 1988, «Orientalia Christiana Analecta», CCXXXVI (1990), pp. 307-19-
Ciancaglini Traduzioni e citazioni dal greco in siriaco e aramaico IOI r
La maggior parte delle opere greche tradotte in siriaco sono testi re-
ligiosi. Nella prima metà del VI secolo si collocano le traduzioni dei
G laphyra (Commenti eleganti) di Cirillo di Alessandria, 13 libri di com-
mento a passi del Pentateuco, da parte di Mose di lnghilene e di diver-
se omelie di Severo di Antiochia da parte di Paolo Callinico. Inoltre, a
partire dal VI secolo, quando venne riconosciuta la superiorità della ver-
sione greca dei LXX, iniziò l'opera di revisione delle precedenti tradu-
%ioni siriache della Bibbia, la piu importante e antica delle quali è la
Pesitta, basata nel suo nucleo piu antico sulla compresenza di tradizio-
' Ed. e trad. s. LEE, E. Bishop ofCaesarea. On the Theophania, Leiden 1842 (ed.); Cambridge
1843 (trad.).
' Ed. R. w. TIIOMSON, TheSyriac Version ofthe Hexaemeron by &si/ofCaesarea, in esco, 550,
l.ouvain 1995.
1
° Cfr. J. w. DRIJVERS, Nisibis, in Theolologische Realencyclopiidie, XXIV, Berlin 1996, pp. 573·
576; E. R. HAYES, L'écoled'Edesse, Paris 1930; A. vooaus, History oftheSchool o/Nisibis, Louvain
1965 (=esco, 266, Subsidia t. 26);J. M. FIEY, Nisibe,metropolesyriaqueorientaleetsessuffragants,
dès origines à nos iours, Louvain 1977; ID., Assyrie chrétienne, J voli., Beirut 1965-68; J. B. SEGAL,
Edcssa The Blessed City, Oxford 1970.
ror2 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
11
Cfr. la voce Bibeliibersetzungen, in Realencyclopiidie, VI, Berlin 1980 (in particolare il para·
grafo di s. BROCK, Die Obersetzungen ins Syrische, pp. r81-89); P. BEITJOLO, Lineamenti di patrolo-
gia siriaca, in R. QUACQUARELLI, Complementi interdiscip/inari di patro/ogia, Roma 1989, pp. 503·
6o3; A. DE HALLEUX, La philoxénienne du Symbole, in «Orientalia Christiana Analecta», CCV
(1978), pp. 295·3 r 5; B. ALANO, Das Neue Testament in syrischer Oberlie/erung, Berlin 1986.
Edita da A. vooBus, The Pentateuch in the Version o/ the Syro-Hexapla, Louvain 1975
12
zianzeno /atta da Candidato di Amed, in Actes du X' congrès des orientalistes, III, Leiden 1896.
14
Cfr. c. CRIMI, Fra tradizione diretta e tradizione indiretta :note alla versione siriaca dei «Carmi))
di Gregorio Nazianzeno, in A. VALvo (a cura di), La diffusione dell'eredità classica nell'età tardoanti·
ca e medievale Forme e modi di trasmissione, Alessandria 1997, pp. 83·93·
11
Cfr. B. COULIE, Les versions orienta/es des commentaires mytho/ogiques du Pseudo-Nonnos et
la réception de la mythologie classique, in R. B. FINAZZI e A. VALVO (a cura di), La diffusione dell'ere-
dità classica nell'età tardoantica e medievale, II. Il «Romanzo di Alessandro)) e altri scritti, Alessan·
dria 1998, pp. 113-23; s. BROCK, The Syriac Version o/ the Pseudo-Nonnos Mythological Scholia,
Cambridge 197 r.
Ciancaglini Traduzioni e citazioni dal greco in siriaco e aramaico 1013
,. Cfr. BAUMSTARK, Geschichte cit., p. 86; M. SIMONE'Ml, La letteratura cristiana antica greca e
/,llina, Milano 19881 , pp. 288 sg.
" Cfr. BAUMSTARK, Geschichte cit., p. 274; P. KESELING, Die Chronik des Eusebius in der syri·
,ciJcn Ueber/ieferung, in «Oriens Christianus~>, XXIII (1927), pp. 23·48 e 223·41; XXIV (1927),
l'fl. l3·j6.
'"Ed. P. BEDJAN, Nestorius.Le/ivred'Hérac/idedeDamas, Paris 1910.
" Cfr. BAUMSTARK, Geschichte cit., pp. 78 sgg.; F. GRAFFIN, ]acques d' Edesse réviseurdes homé-
II<'s de Sévère d'Antioche, in «Orientalia Christiana Analecta~>, CCV (1978), pp. 243-55.
1014 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
2. Aristotele.
20
In generale cfr. A. BAUMSTARK, Aristate/es bei den Syrern, vom 5· bis B.]ahrhundert, Leipzig
1900; ID., Lucubrationes Syro-Graecae, Leipzig 1894; le sezioni curate da H. Hugonnard-Roche e
Q. Elamrani.Jamal sulle traduzioni siriache di Aristotele in R. GOULET e P. HADOT (a cura di), Dic-
tionnaire des philosophes antiques, I, Paris 1994, pp. 413-590.
" Contro la datazione al v secolo si esprime BROCK, From antagonism cit., pp. 2I e 26.
" Ed. di A. Nagy, in <<Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei», V/7 (1898), pp.
321·47·
" Cfr. BROCK, From antagonism cit., p. 21, che rimanda a G. FURLANI, Sul trattato di Sergio
di Resh'ayna circa le Categorie, in «Rivista di Studi Filosofici e Religiosi>>, III (1922), pp. 135-
172; cfr. anche 11. IIUGONNARD·ROCHE, Aux origines de l'exégèse orientale de la logiqued'Aristote:
Sergius de ReS'ainti (t 534), médicin et philosophe, in <<]ournal Asiatique», CCLXXVII (1989),
pp. 1·!7·
" Cfr. v. RYSSEL, Ober den textkritischen Werth der syrischen Obersetzungen griechischer Klas-
siker, l, Leipzig 188o, pp. 4-48; II, Leipzig 1881, pp. 1-29; l'ed. principale dell'opera è in P. DE
LAGARDE, Analecta Syriaca, Leipzig 1858 (rist. Osnabri.ick 1967), pp. 134-58; una trad. it. si deve
a G. Furlani, in <<Rivista di Studi Filosofici e Religiosi>>, IV (1923), pp. 1-22.
" Cfr. J. M. HORNUS, Le corpus dionysien en syriaque, in «Parole de l'Orient>>, I (1970), pp. 69-
93; G. WIESSNER, Zur Handschriftenuberlieferung der syrischen Fassung des Corpus Dionysianum, in
«Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Gottingen, Philologisch-Historische Klasse,.,
III (1972), pp. 165·216.
16
Cfr. J. w DRl]VERS, The School o/ Edessa: Greek learning and /oca/ culture, in J. w. DRIJVERS
e A. A. MACDONALD (a cura di), Centres o/ Learning. Learning and Location in Pre-modern Eu rape and
the Near East, Leiden 1995; K. GEORR, Les catégories d'Aristate dans leurs versions syro-arabes, Bei·
rut 1948; BAUMSTARK, Geschichte cit., pp. 248-56.
Ciancaglini Traduzioni e citazioni dal greco in siriaco e aramaico 1015
" Cfr. J. HABBI, Giorgio (Girgis), vescovo degli Arabi, in Enciclopedia dei Santi. Le chiese orien·
u/i, Roma 1998, I, coli. I08I-82.
" G. Furlani ha curato l'ed. del De interpreta/ione (Le Categorie e gli Ermeneutici di Aristotele
nella versione siriaca di Giorgio del/e Nazioni, in «Memorie dell'Accademia dei Lincei», serie 6, V/ I
r, '! 33), pp. 46-68) e la trad. degli Analitici primi (Il primo libro dei Primi Analitici di Aristotele nel-
;,, r·cr.1irme siriaca di Giorgio delle Nazioni, in «Memorie dell'Accademia dei Lincei», serie 6, V/3
11 '> 35), pp. I43-23o; Il secondo libro dei Primi Analitici nella versione siriaca di Giorgio delle Nazio-
in «Memorie dell'Accademia dei Lincei», serie 6, VI/3 (I937), pp. 233-87).
" Il commento di Probo agli Anaiitici primi è stato edito da A. Van Hoonacker, in «]ournal
:\,iatique», serie 9, XVI (I900), pp. 83·I 12; il commento al De interpreta/ione da J. G. E. IIOFF-
.\L\~~. De Hermeneuticis apud Syros Aristoteleis, Leipzig r869, pp. 62-90, sulla base del testo in-
rornplcto che si trova nel ms Berlin syr. 88; un testo molto piu completo è tramandato dal codice
Br Lih., Add. I466o.
1
° Cfr. G. FURLANI, La versione e il commento di Giorgio delle Nazioni all'Organo aristotelico, in
.. ~tudi Italiani di Filologia Classicu, III (1923). pp. 305-33; l'ed. del commento di Giorgio è di
(;ottheil, in «Hebraica», IX (1893), pp. 166-215; una ed. successiva si deve a Furlani, in <<Me-
tnoric dell'Accademia dei Lincei», serie 6, V/1 (1933), pp. 3·45·
11
Ed. n. MARGOLIOUTH, Analecta Orientalia ad Poeticam Aristoteleam, London r887, pp. I I4-
' l<>; cfr. o. J. SCHRIER, The Syriac and Arabic versions of Aristotle's Poetics, in G. ENDRESS e R. KRUK
la cura di), The Ancient Tradition in Christian and Islamic He/lenism, Leiden 1997, pp. 259-78.
" Cfr. BAUMSTARK, Geschichte cit., pp. 316·19; M. ZONTA, Fonti greche e orientali dell' Econo-
mia di Bar-Hebraeus nell'opera «La crema della scienza», Napoli1992.
1016 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
Dalle fonti arabe è noto che sono esistite le traduzioni siriache (non
conservate) dei Topici e delle Confutazioni sofistiche compiute da Ata-
nasio di Balad, patriarca siriaco ortodosso dal 68o al 686, autore anche
di un'introduzione alla logica aristotelica", e un'altra traduzione delle
Confutazioni so/istiche del maronita Teofilo (vm secolo) 1~.
Un'ulteriore introduzione alla logica aristotelica in siriaco si deve a
Paolo il Persiano, ed è dedicata al sovrano sasanide Cosroe Anusirvan
(531-79 d. CY\ secondo alcuni studiosi, tale introduzione sarebbe la
traduzione di un originale persiano perduto16 •
Tra i testi greci di commento ad Aristotele, l' Isagoge di Porfirio è dei
piu tradotti: la prima traduzione ci è giunta anonima (ma forse è di Ser-
gio di Rd'aina), la seconda è la revisione fatta da Atanasio di Balad nel
645}7, e ancora nel 1705 è stata ritradotta in siriaco dal patriarca caldeo
Giuseppe II. Una rielaborazione dell'Isagoge di Porfirio e dell'Organon
aristotelico si trova anche nell'opera di Dionisio bar Salibi (xii secolo).
L'attività di traduzione del corpus aristotelico e delle altre opere
scientifiche greche, dopo una fase di declino nell'viii secolo, riprende
con grande vigore nel secolo successivo a Baghdad, dove gli Abbasidi
avevano trasferito la capitale, che in epoca omayyade era a Damasco. A
Baghdad opera con la sua scuola l;lunain ibn ls}:taq18 , uno dei piu gran-
di traduttori di testi filosofici e scientifici dal greco in siriaco e dal si-
riaco in arabo; le traduzioni siriache intermedie sono andate quasi com-
pletamente perdute9 Tra gli scritti di Aristotele che l;lunain ha tradotto
in siriaco ricordiamo: il De interpreta/ione, il De generatione et corruptio-
ne, il De anima, il secondo libro della Fisica con il commento di Ales-
" Ed. e trad. di Furlani, in «Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei», V/25 (I9J7),
pp. 717-78; cfr. anche G. FURLANI, Sull'introduzione di Atanasio di Baladh alla logica e sillogistica
aristotelica, in «Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti>>, serie 9, VI (1921-22),
pp. 635-44·
"Cfr. F. E. PETERS, Aristate/es Arabus, Leiden 1968, pp. 20, 21, 23 e 25.
" Ed. e trad. J. P. N. LAND, Anecdota Syriaca, IV, Leiden 1875, pp. 1·32 (testo), 1·30 (trad.).
" Cfr. voosus, History cit., p. 171 notar 19.
n Pubblicata da A. FREIMANN, Das Isagoge des Porphyrius in der syrischen Obersetzung, Erlang.
Diss., Berlin r897.
" Su I:Iunain ibn Is):J.aq cfr. G. BERGSTRASSER, Jjunayn ibn Ispaq und seine Schule, Leiden 191 3;
ID., Jjunain ibn Ispiiq iiber die syrischen und arabischen Galen· Obersetxungen, << Abhandlungen flir die
Kunde des Morgenlandens», 17{2, Leipzig 1925; J. HABBI, Jjunayn ibn Ispaq, Baghdad 1974; ID.,
Le r6/e de Jjunayn, médicin et traducteur, in «Medicina nei Secoli. Arte e Scienza~>, VI, 2 (1994),
pp. 293-308; G. STROHMAIER, ljunayn ibn Ispaqai-'Ibiidi, in Encyclopaedia o/Islam, nuova ed., III,
Leiden 1971, pp. 578-8r; M. SALAMA-CARR, La traduction à l'époque abbaside. L'école de l}.unain
ibn Ispaq et son importance pour la traduction, Paris 1990; s. BROCK, The Syriac Background to
ljunain's Translation Techniques, in <<Aram>>, III (1991), pp. 139-62.
" Soprattutto per le opere greche conservate solo in traduzione araba cfr. i saggi di R. Rashed
e D. Gutas in questo volume, e BAUMSTARK, Geschichte cit., pp. 230 sg.
Ciancaglini Traduzioni e citazioni dal greco in siriaco e aramaico 1017
san dro di Afrodisia, il libro XI della Metafisica, parte degli Analitici; fra
le traduzioni di commenti ad Aristotele dovute a I;Iunain, una delle piu
importanti è la traduzione dell'epitome di Nicola Damasceno alla filo-
sofia aristotelica, perduta in greco, oltre al commento di un certo Teo-
ne alle Categorie.
3. Opere scientifiche.
'" Cfr. R. DEGEN, Ein Corpus Medicorum Syriacorum, in «Medizin Historisches Journal», VII
pp. 1 14·2 2; ID., The oldest known Syriac manuscript of Ifunayn b. lspiiq, in II Symposium Sy-
l 1 'J7 2),
rwcum 1976, «Orientalia Christiana Analecta», CCV (1978), pp. 63-71; ID., Galen imSyrischen:
eme Ohersicht iiberdie syrische Oberlieferung der Werke Galens, in v. NUTION (a cura di), Galen: Pro·
i>lcms and Prospects, London 1981, pp. 131·66.
" Su Sergio di Rd'aina cfr. BAUMSTARK, Lucubrationes cit., pp. 358-84; J. HABBI, Sergius
/{,., Ayna, in «Journal of Iraqi Academp, XXXII (198!), pp. 3·4, 265-88; H. HUGONNARD·ROCHE,
.\'ote sur Sergius de Rei' ainii, traducteur du grec en syriaque et commentateur d'Aristate, in ENDRESS e
KIWK (a cura di), The Ancient Tradition cit., pp. 12 1·43·
"Ed. E. SACHAU, lneditaSyriaca, Halle 1870, pp. 94-97 .
., lbid., pp. 88·94·
1018 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
" Ed. H. POGNON, Une version syriaque des Ap.~orismes d' Hippocrate. Texte et Traduction, p~r
te l, Leipzig 1903; cfr. R. DEGEN, Zur syrischen Ubersetzung der Aphorismen des Hippokrates, in
«Oriens Christianus», LXII (1978), pp. 36-52.
" Cfr. J. DARMESTETER, ]acques d' Edesse et Claude Ptolemée, in «Revue cles Etudes Grecqucs»,
III (1890), pp. 18o-88; A. HJELT, Etudes sur !'Hexaméron de ]acques d'Edesse, Helsingfors 1892.
46
Ed. J. P. N. LAND, Anecdota Syriaca, III, Leiden 1870, pp. 327·40; cfr. F. NAU, La cosmo·
graphie au VIf siècle chez /es syriens, in <<Revue de I'Orient chrétiem>, XV (1910), p. 249.
47
Ed. P. DE LAGARDE, Gesammelte Abhand/ungen, Leipzig 1866, pp. 120-46; cfr. J. HABBI, Te-
sti geoponici classici in siriaco e in arabo, in G. FIACCADORI (a cura di), Autori classici in lingue del Vi-
cino e Medio Oriente, Roma 1990, pp. 77-92.
" Cfr. c. A. NALLINO, Tracce di opere greche giunte agli Arabi per tra/ila peh/evica, Roma 1922,
pp. 346·51.
Ciancaglini Traduzioni e citazioni dal greco in siriaco e aramaico 1019
4. Letteratura gnomica.
" Cfr. o. NEUGEBAUER, The early history o/ the astrolabe, in «Isis», XL (1949), pp. 240-56; ID.,
i\llistory o/ Ancient Mathematical Astronomy, Berlin Heidelberg- New York 1975, II, p. 878.
" Cfr. F. NAU, Le traité sur !es constellations écrit en 661 par Sévère Sebokht, in <<Revue de
l'Oricnt chrétien>>, XXVII (1929·30), pp. 327-410; XXVIII (I9JI·J2), pp. 85-100.
" Ed. e trad. latina in A. MERX, Historia artis grammaticae apud Syros, Leipzig 1889, pp. 50-72
!testo), 9-28 (trad.).
12
Cfr. Considerazioni inter/inguistiche sull'adattamento siriaco della TEXNH rPAM-
R. CONTINI,
.\/ATTKH di Dionisio Trace, in FINAZZI e V ALVO (a cura di), La diffusione cit., II, pp. 95-1 I I.
" Cfr. BAUMSTARK, Geschichte cit., p. 173.
" Cfr. E. SACHAU, Ober die Reste der syrischen Oberset1,ungen classischgriechischer, nichtaristote-
li.-cher Literatur, in «Hermes», IV (1870), pp. 69-80.
" Ed. LAGARDE, Analecta cit., pp. 167·77.
" Jbid., pp. 186-95·
" Ed. e trad. E. NESTLE, Studia Sinaitica, IV, London 1894.
rozo Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
" Ed. LAGARDE, Analecta cit., pp. 177-86; un'ed. successiva, comprensiva anche della parte
iniziale che è stata ritrovata solo in un secondo tempo, si deve a w. ROIILFS, Pseudo-P/utarch, «Pe-
ri askeseos», in Pau/ de Lagarde und die syrische Kirchengeschichte, Gottingen 1968, pp. 176-84.
" Ed. SACHAU, Inedita cit., pp. 1-16.
60
L'ed. del testo siriaco delle due orazioni si trova ibid., rispettivamente pp. 48-65 e 17·47·
" Ed. e trad. B. E. PERRY, Secundus the Silent Phi/osopher («American Philological Association
Monographs>>, XXII), New York 1964; cfr. anche s. BROCK, Secundus the silent phi/osopher:some
notes on the Syriac tradition, in <<Rheinisches Museum .. , CXXI (1978), pp. 94·100.
62
Ed. LAGARDE, Ana/ecta cit., pp. 195·201; cfr. G. LEVI DELLA VIDA, Sentenze Pitagoriche in
versione siriaca, in «Rivista di Studi Orientali», III (1910), pp. 597·98, ristampato in R. coNTINI
(a cura di), Giorgio Levi Della Vida. Pitagora, Bardesane e altri studi siriaci, Roma 1989, pp. 1-16;
o. wliNscn, Zur syrischen Obersetzung der Pythagoraspriiche, in Pau/ de Lagarde ci t., pp. 252-64; per
la gnomologia greco-siriaca cfr. N. ZEEGERS·VANDER VORST, Une gnomo/ogie d'auteurs grecs en syria-
que, in «Orientalia Christiana Analecta», CCV (1978), pp. 163-77·
" Edd. delle sentenze di Menandro: J. P. N. LAND, Anecdota Syriaca, l, Leiden 1862, pp. 156·
164; SACHAU, Inedita cit., pp. 8o-82. Ed. delle sentenze di Sesto: LAGARDE, Analecta cit., pp. I·3 1.
"' Ed. SACHAU, Inedita cit., pp. 66-67 e 69-70.
" Ibid., pp. 67-69.
" Cfr. BROCK, From antagonism cit., p. 27 e nota u8; F. ROSENTHAL, The profecies ofBaba the
Harranian, in A Locust's Leg:Studies in Honouro/S. H. Taqizadeh, London 1962, pp. 220-32.
" Cfr. BAUMSTARK, Geschichte cit., pp. 218 sg. e bibliografia ivi citata.
Ciancaglini Traduzioni e citazioni dal greco in siriaco e aramaico I 02 I
" Ed. o. G. TYCHSEN, Physiologus Syrus seu Hist. animalium XXXII in S.S. rememoratum, Ro·
'rock 1795; per la tradizione del Physiologus nella cultura siriaca cfr.BAUMSTARK, Geschichte cit.,
pp. 1 70sg.
"Cfr. ibid., p. 341.
70
Sul modo in cui Omero compare nella letteratura siriaca cfr. BROCK, From antagonism cit.,
pp. 28-29; H. RAGUSE, Syrische Home~itate in der Rhetorik des Anton von Tagrit, in Pau/ de Lagar·
dc ci t., pp. 162-75·
71
Ed. e trad. E. A. w. BUDGE, The History of Alexander The Great, Cambridge 1889.
Cfr. C. A. CIANCAGUNI, Gli antecedenti del .o-Romanzo~> siriaco di Alessandro, in FINAZZI e VAL·
72
Graeca non leguntur, «Il greco non si legge»: questa sentenza diffu-
sa è valida per il Medioevo latino in quanto soltanto pochi occidentali
di quest'epoca erano in grado di leggere e comprendere in lingua origi-
nale un testo greco di un certo livello. Tuttavia si sottovaluta di solito
la quantità di traduzioni dalla lingua greca prodotte durante il Medioe-
vo e con ciò anche la presenza, grazie ad esse, di autori greci nella vita
intellettuale occidentale.
Si sono avute complessivamente quattro epoche post-classiche nelle
quali il patrimonio di letteratura greca presente in Occidente si molti-
plicò grazie a traduzioni in latino: l'epoca tardoantica, i secoli IX-X, il
pieno Medioevo e l'umanesimo.
I. La tarda antichità.
In quest'epoca lo stimolo piu duraturo agli studi greci per gli erudi-
ti di qualunque orientamento fu costituito dal neoplatonismo, che do-
minò nei secoli IV e v anche il pensiero di cristiani come il retore roma-
no Mario Vittorino, traduttore dell'Introduzione di Porfirio, e il retore
milanese Manlio Teodoro. Negli ultimi decenni si ritiene che il tradut-
tore e commentatore tardoantico del Timeo di Platone, il cristiano Cal-
eidio., vada situato anch'egli nell'ambito del platonismo milanese in-
torno al 400. Fino alla metà del XII secolo il Timeo di Calcidio rimase
l'unico dialogo platonico che l'Occidente potesse leggere in traduzione
latina.
Anche gli scritti sacri del cristianesimo e la loro esegesi risvegliaro-
no nei Latini il desiderio di traduzioni fedeli, visto che la lingua origi-
nale del Nuovo Testamento era, quasi senza eccezione, il greco. Fra le
1
Plato latinus, IV Timaeus a Calcidio translatuscommentarioque instruclus, a cura di J. H. Was-
~ink, London-Leiden 1962.
1024 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
' EUSEBIUS, Werke, II. Die Kirchengeschichte, a cura di E. Schwartz e T. Mommsen, Leipzig
1903·909.
' ORIGENES, Vier Bucher von den Prim:ipien, a cura di H. Gi:irgemanns e H. Karpp, Darmstadt
1976.
' Nuova ed. a cura di A. Ceresa·Gastaldo, Firenze 1988, p. 232.
Berschin Traduzioni dal greco in latino 1025
cidente latino', tuttavia, mostra che qui non si sviluppò una tradizione
stabile di registrazione e traduzione dei testi greci.
In Italia all'epoca dei Goti si ebbe ancora una volta un grande rap-
presentante dell'ellenismo filosofico: Boezio. Egli coltivò l'ambizione
di portare a compimento la signoria di Roma sul mondo mediante la tra-
smissione delle <<arti della sapienza greca~~ ai suoi concittadini romani.
A tale scopo intendeva tradurre in latino in primo luogo tutte le opere
di Aristotele e poi i dialoghi platonici, per corredarli di un commento e
armonizzarli in una concordia. Boezio realizzò soltanto una minima per-
centuale dei suoi propositi: egli tradusse e commentò parti delle opere
logiche del corpus aristotelico'.
Cassiodoro (m. dopo i158o) fondò una scuola per traduttori nel suo
monastero di Vivario. Epifanio tradusse Didimo, Bellator tradusse ope-
re di Origene, Muziano testi di Giovanni Crisostomo, anonimi tradus-
sero Clemente Alessandrino. Il lavoro dei traduttori di Vivario è parti-
colarmente degno di nota per quanto riguarda le opere storiografiche.
Cassiodoro, che era stato negli anni precedenti lo storico del popolo go-
to, fece sf che l'Occidente latino, la cui storia della Chiesa fino a quel
momento presentava molte lacune, avesse un quadro storico piu com-
pleto. «Con molta fatica» 7 egli fece tradurre in latino le Antichità giu-
daiche di Giuseppe Flavio; con l'aiuto soprattutto di Epifania riunf gli
storici della Chiesa Teodoreto, Sozomeno e Socrate, che si ricollegava-
no a Eusebio, nella Historia !ripartita in lingua latina.
Quale mediatore di testi dal greco operò a Roma, al servizio della po-
litica ecclesiastica, il monaco Dionigi, che si attribui come appellativo
«il Piccolo» (m. metà del VI secolo). Cassiodoro era in contatto con lui
l: lodava il suo talento di traduttore. Accanto alle raccolte di canoni la
sua traduzione piu importante fu L'uomo di Gregorio di N issa. Inoltre
Dionigi il Piccolo tradusse atti di concili e opere agiografiche come le
vite di Pacomio, padre del monachesimo, e di Taide, la cortigiana.con-
vertita.
La forte presenza bizantina in Italia dalla metà del VI secolo fino
all'viii avanzato ha fatto supporre a molti studiosi un intenso rapporto
di scambi anche sul terreno delle traduzioni. Su questo punto, però, ci
sono poche certezze. Infatti nell'intera «epoca bizantina del papato»
2. I secoli IX e x.
• w. RERSCIIIN, Boni/atius Consiliarius. Ein romischer Obersetzer in der byzantinischen Epoche des
Papsttums, in Lateinische Kultur im VIII ]ahrhundert. Traube-Gedenkschri/t, St. Ottilien 1989, pp.
25·40-
• ID., Die Ost- West-Gesandtscha/ten am Ho/ Karls des Grofien und Ludwigs des Frommen ( i68-
84o), in Karl der Grafie und sein Nachwirken, I, Turnhout 1997, pp. 157-71.
10
Il manoscritto si è conservato: Parigi, BN gr. 43 7.
11
MGH, Epistolae, 6, p. 159 (PL, 122, coL IOJI).
" Maximi Con/essoris Ambigua ad Iohannem iuxta Iohannis Scotti interpretationem, a cura di
E. Jeauneau, Turnhout 1988.
Berschin Traduzioni dal greco in latino 1027
3· Il pieno Medioevo.
Con l'operato del cardinale Umberto di Silva Candida (m. 1061) ini-
zia una nuova epoca. Costui è il primo traduttore dal greco che si inte-
ressa esclusivamente delle controversie fra Oriente e Occidente. Per
esempio egli tradusse la lettera che Leone di Achrida aveva spedito nel
1053 al vescovo Giovanni di Trani contro il digiuno del sabato e la con-
sacrazione del pane azzimo in uso fra i Latini, provocando in tal modo
la reazione del papato. Con lui inizia la disputa fra Greci e Latini sulle
questioni dogmatiche e di politica ecclesiastica che perdurerà nel pieno
e basso Medioevo: la controversia sulla clausolafilioque, inclusa in ma-
niera dimostrativa nella propria professione di fede (Credo) dalla Chie-
sa occidentale, giunge dall'epoca carolingia fino ai giorni nostri"
Le divergenze teologiche non ebbero quasi alcuna ripercussione ne-
gativa sullo scambio intellettuale fra Bisanzio e le città marinare cam-
pane Amalfi e Salerno. Tutta una serie di traduzioni greco-latine, so-
prattutto di genere agiografico, è stata attribuita negli ultimi decenni al-
la scuola di traduttori di Amalfi, operante nell'xi secolo". Tuttavia è
anche possibile che questi traduttori fossero attivi nei punti di appog-
gio d'oltremare della loro città, come per esempio a Costantinopoli; ad-
dirittura sul sacro Monte Athos dal 985 circa fino al 1287 ha avuto se-
de un monastero latino di Amalfitani (il Pirgos Amalfinon ne costitui-
sce un resto). Qui intorno alla metà dell'xi secolo un monaco di nome
Leone tradusse il famoso Miraculum a S. Michaele Chonis patratum; for-
se fu lo stesso Leone che commissionò la traduzione del romanzo greco
di Barlaam e ]osa/at (corrispondente, nel nucleo essenziale, alla leggen-
da di Buddha), eseguita da un Occidentale a Costantinopoli nel 104i'.
In Occidente questo romanzo incontrò lo stesso favore di cui godeva in
Oriente.
Ad Amalfi fu soprattutto la famiglia Comiti(s) Mauronis a promuo-
vere i rapporti culturali con Bisanzio. Intorno al 1080 Lupino, un espo-
nente di questa famiglia, fece tradurre una Vita di santa Irene al mona-
co e sacerdote Giovanni, che viveva nel monastero di Panagiu a Co-
stantinopoli. Lo stesso Giovanni fu da Pantaleone «esortato spesso
" J.·M. GARRIGUES, L'esprit qui dit «Père! ».L'Esprit-Saint dans la vie trinitaire et le problèmedu
/ilioque, Paris 1982.
16
w. BERSCHIN, I traduttori d'Amalfi nell'XI secolo, in Cristianità ed Europa. Miscellanea in ono·
re di Luigi Prosdocimi, l, Roma· Freiburg irn Breisgau 1994, pp. 237·43.
17
Hystoria Barlaeet Iosaphat, a cura diJ. Martinez Gazquez, Madrid 1997.
Berschin Traduzioni dal greco in latino 1029
a tradurre in latino ... qualcosa che si trovasse nei libri o racconti gre-
ci». Giovanni esaudi questo desiderio con il suo Liber de miraculis, che
contiene racconti ascetici greci, soprattutto dal Pratum spirituale di Gio-
vanni Mosca.
A Salerno si può osservare come il greco rimanga presente all'inter-
no dell'ambiente latino mediante la liturgia. Qui intorno al uoo è ope-
rante una scuola scrittoria che produce sontuosi manoscritti liturgici in
lingua greca, evidentemente per proprio uso 18 • Questo può essere un in-
dizio per capire da quale ambiente provenissero i traduttori di lettera-
tura medica che lavorarono per la scuola di Salerno, divenuta presto fa-
mosa. L'influenza araba è minore di quanto si sia creduto in passato.
Delle cinque parti dell'Articel!a, opera didattica della scuola medica di
Salerno diffusissima a partire dal XII secolo, almeno tre sono tradotte
dal grecd' Il piu famoso traduttore salernitano per il greco è Alfano,
arcivescovo di Salerno (m. 1085), il quale, «Latinorum cogente penu-
ria», pubblicò la traduzione dell'opera medico-antropologica Sull'uomo
di Nemesio di Emesa.
Costantinopoli ospita nel XII secolo un gruppo di Latini, conoscito-
ri delle lingue e attivi letterariamente: per esempio Mosè di Bergamo,
l'interprete, traduttore e collettore di manoscritti, e Giacomo da Vene-
zia, il mediatore della «nuova logica» di Aristotele20 . Non è possibile de-
lineare qui con completezza l'intero panorama della letteratura frutto di
traduzioni che si sviluppò nella metropoli costantinopolitana. Ci limi-
teremo ai soli nomi dei traduttori occidentali e degli autori oggetto del-
le loro traduzioni. Traduttori: Cerbano, Ugo Eteriano, Leone Tusco,
Pascale Romano. Opere e autori greci tradotti: Giovanni Damasceno,
il Libro dei sogni di Acmete, il Libro dei Ciranidi sul potere degli anima-
li, delle pietre e delle piante, Epifania di Costantinopoli21 •
Il pisano Burgundia (m. II9J), il piu grande traduttore del XII se-
colo22, cominciò intorno al I I 40 con un lavoro di traduzione di argo-
mento giuridico: le citazioni in lingua greca nei Digesta del Corpus iuris
civilis. Seguirono traduzioni teologiche su impulso di papa Eugenio III,
originario di Pisa: nel I I 5 I le 90 Omelie su Matteo di Giovanni Criso-
4· Umanesimo.
T aie passo ulteriore lo si deve agli umanisti, nei quali Petrarca ave-
va destato il desiderio di ottenere una conoscenza diversa della lingua
greca rispetto a quella di una «lingua sacra» studiata alla meno peggio
su tavole alfabetiche e testi bilingui, venerata in cerimonie simboliche
e limitata alla teologia e alla filosofia. Le aspirazioni degli spiriti pro-
grediti si indirizzavano adesso a Omero, Platone, Esiodo, Euripide,
Sofocle e Plutarco. L'autore piu ambito era Omero. Poiché nel XIV se-
colo in Occidente non si era ancora in grado di leggerlo in lingua origi-
nale, si dovette predisporre una traduzione. Petrarca incaricò nel 1359
l'italo-greco Leonzio Pilato, il quale fino al 1362 lavorò a questo pro-
getto su Omero e nello stesso tempo a Euripide'
Le traduzioni di Leonzio furono una delusione per il suo committen-
te. Il modo di tradurre del Medioevo, cioè la traduzione letterale, pote-
va avere un senso quando si trattava di testi nei quali era importante la
precisione scientifica, ma nel caso di opere poetiche aveva un effetto di-
sastroso. Quando la frase nell'originale greco scorreva piu o meno in pa-
rallelo con le regole della costruzione della frase latina si otteneva una
traduzione accettabile. Si veda, per esempio, l'inizio dell' IliadeJ 0 :
Iram cane dea Pelidis Achillis
pcstiferam, que innumerabiles Grecis dolores inposuit.
alle sue previsioni. Ma gli spiriti erano stati risvegliati; Omero era tor-
nato nella coscienza occidentale. Adesso si sapeva che non c'era altra
via se non lo studio scolastico sistematico della lingua greca se si vole-
vano trovare presso i Greci «la fonte e l'origine di ogni invenzione di-
vina» (come, seguendo Macrobio, Petrarca si esprime a proposito di
Omero).
Intorno al 1373, alla corte papale di Avignone, Simone Atumano,
greco di nascita, tradusse il Controllo dell'ira di Plutarco, introducendo
in tal modo il vero Plutarco nella letteratura latina dell'Occidente. La
sua traduzione suscitò immediatamente l'interesse e la critica dei primi
umanisti. Coluccia Salutati, cancelliere di Firenze (I 375-I406), s'indi-
gnò a tal punto per il latino di Atumano da intraprendere egli stesso una
revisione stilistica della traduzione di costui, pur senza poterla con-
frontare con l'originale greco per mancanza delle conoscenze linguisti-
che necessarien Salutati dovette superare notevoli difficoltà per riusci-
re a venire in possesso dell'opera principale di Plutarco, le Vite paralle-
le. Juan Fernandez de Heredia, che ad Avignone negli anni I 384-88 ne
aveva ottenuto una traduzione in aragonese, non voleva divulgarne al-
cuna copia. Solo quando Salutati offri l'Odissea in latino di Leonzio Pi-
lato si giunse, intorno al I395, a uno scambio. Il Fiorentino mise im-
mediatamente in moto la traduzione in latino del Plutarco aragonese.
Ma, prima ancora che potesse realizzare questo progetto, l'inizio dell'in-
segnamento di greco a Firenze da parte di Manuele Crisolora, nel I 397,
rese superfluo il passaggio intermedio della traduzione da una lingua vol-
gare. Adesso a Firenze era disponibile il Plutarco originale in lingua gre-
ca, del quale ben presto si diffusero molti esemplari.
Le biografie di Plutarco iniziarono cosi la loro inarrestabile marcia
trionfale. Proprio negli anni immediatamente precedenti, con Petrarca,
era stata raggiunta l'acme della fama postuma di Svetonio. Una genera-
zione piu tardi il biografo romano era già stato sostituito da quello gre-
coJ4. Il xv secolo trovava in Plutarco la conferma che virtus e fortuna so-
no ciò che fa la felicità dell'uomo; la società italiana dell'epoca si rico-
nosceva nei personaggi di Plutarco. Il ritorno del vero Plutarco nella
cultura occidentale costituisce, accanto a quello di Omero, la translatio
studii greco-latina del primo umanesimo piu ricca di conseguenze.
RONYMUS, Chronicon, a cura di R. Helm, Berlin 1956, p. 4). Cfr. anche GIROLAMO, Epistulae, 57
(<<Ad Pammachium de optimo genere interpretandi>>).
" G. DI STEFANO, La découverte de Plutarque en occident, Turin 1968.
"w. BERSCIIIN, Sueton und Plutarch im r4 Jahrhundert, in A. BUCK (a cura di), Biographieund
Autobiographie in der Renaissance, Wiesbaden 1983, pp. 35·43·
Berschin Traduzioni dal greco in latino 1033
I.
PRELIMINARI.
1 c. F. WEDER, De Latine scriptis quae Graeci veteres in /inguam suam transtu/erunt, Particulae
l-IV, Casseliis 1835·52.
1
' E. NORDEN, Antike Kunstprosa (1898), Leipzig 1915 , p. 666 nota r [trad. it. Roma 1986].
1
Ibid., p. 8. Cfr. w. BERSCHIN, Griechisch-Lateinisches Mittelalter. Von Hieronymus zu Niko-
laus von Kues, Bern-Miinchen 1980, p. 25 [trad. it. Napoli 1989].
' In «Philologus», suppl., XXXIV, 3 (1943).
A. LUMPE, Abend/iindisches in Byzanz, in Rea//exikon der Byzantinistik, Amsterdam 1970-76,
A l/~, coli. 304-45.
1036 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
2.1. Limitazioni.
La produzione di traduzioni in lingua greca è un aspetto del piu am-
pio problema «l Greci e l'Occidente», che ne ha molti altri, spesso in-
trecciati fra loro: linguistici (lessico greco di origine latina), culturali, re-
ligiosi. Per ragioni di spazio, noi non ci occuperemo di essi se non nella
misura in cui ciò risulti indispensabile.
La menzione di nomi di scrittori romani in scrittori greci e l'esposi-
zione del contenuto delle loro opere o delle loro idee non implica ne-
cessariamente l'esistenza di corrispondenti traduzioni. Altrettanto si
può dire per gli influssi «sotterranei» (cioè non immediatamente pale-
si) di scrittori romani su testi greci.
• Cfr. M. GIGANTE, La cultura latina a Bisanzio nel secolo XIII, in <<La Parola del Passato»,
LXXXII (1962), pp. 32·5r.
1
Cfr. E. DEKKERS, Les traductions grecques des écrits patristiques latim, in «Sacris Erudiri», V
(1953), pp. 193·233·
0 Per es. Boezio in A. PERTUSI, La fortuna di Boezio a Bizanzio, in «Annuaire de l'Institut de
Philologie et d'Histoire Orientales et Slaves de l'Université libre de Bruxelles», Xl (1951), pp.
301·22.
' Per es. Planude in w. o. SCHMITT, Lateinische Literatur i!! Byzanz. Die Ubenetzungen des Maxi-
mos Planudes und die moderne Forschung, in «Jahrbuch der Osterreichischen byzantinischen Ge·
sellschaft», XVII (1968), pp. 127-47.
Nikitas Traduzioni greche di opere latine 1037
Il.
LE TRADUZIONI.
r. Primo periodo.
" L. IIAIIN, Rom und Romanismus im griechisch-romischen Osten mit besonderer Beriicksichtig-
unR der Sprache bis au/ die Zeit Hadrians, Leipzig 1906; ID., Zum Sprachenkampf im romischen Reich
hù au/ die Zeit ]ustinians, in «Philologus», suppL, X (1907), pp. 675-716; B. HEMMERDINGER, Les
!l'tires latines à Constantinople jusqu 'à Justinien, in «Byzantinische Forschungen», I (1966), pp. 17<1·
'78; 11. ZILLIACUS, Zum Kampf der Weltsprachen im Ostromischen Reich (1935), Amsterdam 1965,
p. 35-
1038 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
11
Suda, Z 73·
12
Suda, A 3868.
u CGL, III (1892), pp. 1·72.
I< G. GOETZ, «Dositheos 8>>, in RE, V/2 (1905), col. r6o6, e «Glossographie>>, in Vll/r (1910),
col. 1438.
1
' A partire dal n secolo: H. GORGEMANNS e E. A. sCHMIDT, Studien :r.um antiken Epos, Mei·
" Grammatici Latini, VII, Leipzig 1870, pp. 263-436; cfr. GOETZ, <<Dositheos 8» cit., col.
t6o6.
10
ZILUACUS, Zum Kampf cit., p. 22.
11
11. e R. KAIIANE, Abendland und Byzam::Sprache, in Rea/lexikon cit., coli. 499-523.
12
Esempi di traduzioni di Eusebio: Storia ecclesiastica, 8.17; Vita di Costantino, 2.48-6o.
ro4o Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
Per i due secoli e mezzo (secoli «bui») che seguono la morte di Giu-
stiniano non possediamo testimonianze per quanto riguarda la cono-
scenza dellatino) 4 • Nel IX secolo, con il funzionamento della scuola del-
la Magnaura e, soprattutto, con la contrapposizione tra il papa di Roma
Niccolò I e il patriarca di Costantinopoli Fozio (867: primo scisma), il
latino fa sentire maggiormente la propria presenza a Bisanzio: vengono
inviate epistole papali e messi papali giungono a Costantinopoli, men-
tre contestualmente nelle dispute teologiche sono ricordati sempre piu
spesso i Padri occidentali. Per il XII secolo è attestato che il Nomofilace
bizantino doveva sapere il latino, lingua che l'imperatore Romano III
parlava correntemente>'. La contesa teologica fra Oriente e Occidente,
che porta nel 1054 al definitivo scisma delle Chiese, si intensifica e sfo-
cia in una rivalità nazionale con la presa di Costantinopoli da parte dei
Latini (1204).
Le traduzioni prodotte in questo periodo sono poche in rapporto al-
la sua lunga durata, e riguardano principalmente testi agiografici. La let-
Alle quali nel533 furono destinati otto professori: ZILLIACUS, Zum Kampf cit., p. 84.
ll WENGER, Die Que/len cit., pp. 686-87.
" lbid., pp. 682 sgg. e 688 sgg.
" ZIL!.IAcus, Zum Kampf cit., p. 85.
l5 lbid., pp. 85-86.
1042 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
" In varie versioni, dal VI secolo in poi: w. LEVISON, Konstantinische Schenkung und Silvester-
Legende, in Scritti di storia e paleogra/ia. Miscellanea Francesco Ehrle, II. Per la storia di Roma, Ro-
ma 1924, pp. 224 sgg.
n Ed. A. PAPADOPOULOS KERAMEUS, flaVÀiVOV 8ioç roii ayiov flar(!i>ç 1jpwv 'Ap(JQooiov É.lr«»cOJrOV
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•• PL, LXXVII, coli. I49-43o.
42
Teodoro aveva letto la Vita a Roma neli'8z4: LUMPE, Abend/iindisches cit., col. } 19.
4
' Ed. K. CII. DOUKAKIS, Miyaçivva;apumjç, III (M1jvNoÉI4Jpwç), Athinai 1890, pp. 290-302.
44
LUMPE, Abendliindisches cit., col. }I4.
•• PG, CIV, coli. 96-100 (parziale) .
.. La traduzione è perduta: DEKKERS, Les traductions cit., p. 215.
47
LUMPE, Abendliindisches cit., coli. 3 17-18_
•• Ibid., col. 320.
•• PG, CXIX, coli. 928-33.
Nikitas Traduzioni greche di opere latine 1043
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•• WENDEL, «Planudes Maximos» cit., col. 2245.
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niki 1980, p. 384.
" Ed. PETIT, SIDERIDES e JUGIE, (Euvres cit., VIII, pp. 265-82.
1050 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
to nel I I 54), De sex principiis 100 ; Pietro lspano (morto nel 1277), Sum-
mu!ae !ogicales101 ; Rodolfo il Bretone, An vetus 102 .
La teologia occidentale non attira l'interesse di traduttore di Gen-
nadio, ad eccezione delle due opere principali dell'Aquinate, la Summa
contra genti/es e la Summa theo!ogiae; egli conosce le traduzioni di que-
ste opere ad opera dei fratelli Ciclone, ma redige, per uso personale e ba-
sandosi direttamente sul testo latino, riduzioni, in certi casi alquanto
estese, della Summa contra genti/dO) e della Summa theo!ogiae, Pan pri-
ma1ll'l e Prima secundae 10'.
100
Jbid., pp. 339·50.
101
Jbid., pp. 283·3)8.
101
Ed. s. EBBESEN e J. PINBORG, Gennadios and the Westem Scholasticism. Radulphus Brito 's "llrs
Vetus" in Greek translation, in «Classica et Mediaevalia», XXXIII (1981-82), pp. 278-3 r 2.
101
Ed. PETIT, SIDERIDES e JUGIE, (Euvres cit., V, pp. 1-338.
1
.. Ibid., pp. 339-510.
107
Ibid., VI, pp. 1-153.
1
.. Del quale redige due versioni: ed. 1. SALANITRO, Theodorus Gaza. M Tu/Iii Ciceronis li ber de
senectute in graecum translatus, Leipzig 1987.
107
M. SAVONAROLA, De balneis et thermis naturalibus omnibus Italiae sicque totius orbis, Ferrara
1485, e Physiognomiae speculum (inedito).
'" PG, CLX, coli. 1201-12.
••• Ed. E. D. KAKOULIDI, Tci J«>IIÌIIUTU mii 'Av<'ieia IxÀéVT~a, in <<BJtJVtX<i», XX (1967), pp.
123 e 126.
Nikitas Traduzioni greche di opere latine 1051
zazioni dei Padri occidentali, anonime (come nel ms Vindob. theol. gr.
190) o meno 110 •
Conclusioni.
110
Giuseppe di Metone (I429-I5oo) nella sua Apologia, in PG, CLIX, coli. I I09·494·
111
n. z. NIKITAs, Ovidius a!!egoricus. Die neugriechische Obmetzung derMetamorphosen durch
.\py1·idon Blantes (r798), in w. SCHUBERT (a cura di), Ovid Werk und Wirkung. Festgabe /iir M. von
,-1/l>recht, Il, Frankfurt 1998, pp. I 105-19.
GAGA SHURGAIA
del regno d'Iberia dei primi secoli. Sulla base dei dati epigrafici in greco
e in aramaico (iscrizione greca di Vespasiano, epitaffio bilingue di Ar-
mazi ed epitaffio del sepolcro familiare dei p' it' axs di Armazisxevi), si ri-
teneva infatti che a quell'epoca per fissare dei testi fossero usate lingue
straniere anziché il georgiano; in altre parole, che le manifestazioni scrit-
torie fossero alloglottografe. I materiali rinvenuti a Nek'resi dimostrano
che in realtà anche il georgiano era adoperato a tale scopo.
Risulta piu complesso invece stabilire la data della creazione dell'al-
fabeto georgiano detto asomtavruli. Ormai è sufficientemente chiarita la
sua derivazione dall'alfabeto greco arcaico\ nondimeno taluni la datano
all'epoca apostolica (cui risalirebbe la prima predicazione del cristianesi-
mo), altri invece all'epoca precristiana. L'unica testimonianza letteraria
conservata a questo proposito in georgiano si trova nella Vita di Kartli,
principale fonte storico-narrativa della storia della Georgia, secondo la
quale il re d'Iberia Parnavaz (m secolo a. C.) avrebbe dato avvio alla scrit-
tura e alla cultura del libro nel paese. Secondo alcuni studiosi a questo
periodo precristiano, piu precisamente al n secolo a. C., rimonterebbe la
redazione genuina della Vita di Parnavaz che, rielaborata poi nell'xi da
Leont'i Mroveli, fu inclusa nella sua Vita dei re georgiani-;
Purtroppo, per un concorso di varie circostanze, la produzione lette-
raria del primo feudalesimo (dalle origini agli anni 'So del x secolo), iden-
tificata da K'orneli K'ek'eli3e come il periodo iniziale della letteratura
georgiana antica (fino al I8oi), ha subito notevoli perdite6 A giudicare
dai dati a nostra disposizione, sarebbe stata costituita per la maggior par-
te da traduzioni di opere religiose, necessarie alle esigenze del culto nel-
la Kartli cristianizzata ufficialmente nel 3 3 7. Presenta precise caratteri-
stiche stilistiche, cosa che facilita notevolmente la datazione, anche ap-
prossimativa, di diversi testi- in assenza di repertori compilati dagli stessi
autori, che sono attestati solo a partire del x secolo presso il monastero
di Iviron sul Monte Athos. La prima opera originale pervenutaci, il Mar-
' T. GAMKRELIDZE, C' eris anbanuri sist'ema da ]Veli kartuli dame' erloba, Anbanuri c'eris t'ip ·o/o-
giada c' armomavloba [ScriJtura alfabetica e scrittura georgiana antica, Tipologia e provenienza de-
gli alfabeti], a cura di A. Sani3e, Tbilisi I990, pp. I I8-2o5, 258-306 (trad. ingl. Alphabetic Wri-
ting and the Old Georgian Script, A Typology and Provenience of A/phabetic Writing Systems, Delmar
I994, pp. 43·82); cfr. IV. 'AVAXISVILI, Kartuli damc'erlobatmcodneoba anu p'aleograpia [Paleogra·
fia georgiana], Tbilisi I949; G. C'ERETELI, Armazska;a bilingva, Dvu;azycna;a nadpis', na;denna;a pri
archeologiceskich raskopkach v Mccheta-Armazi [L'epitaffio bilingue di Armazi, rinvenuto durante
gli scavi archeologici a Mcxeta·Armazi], Tbilisi 194 I; R. P'AT'ARI3E, Kartuli asomtavruli [L'asom-
tavruli georgiano], Tbilisi 198o; E. MACo AVARIANI, Kartuli anbanis grapik 'uli sapu3vlebi [Le basi gra·
fiche dell'alfabeto georgiano], Tbilisi I982.
' R. BARAMI3E, Kartuli mc' erlobis sesc' avlisatvis [Per lo studio della letteratura georgiana], Tbi-
lisi 1986, pp. I·35·
' K'. K'EK'ELI3E, Karluli lit' erat' uris ist' oria [Storia della letteratura georgiana], I, Tbilisi I96o, p. 43·
Shurgaia Traduzioni e citazioni dal greco in georgiano 1055
tirio di santa Sufanik' di lak'ob Xucesi, risale al476-81. Alla stessa epo-
ca rimonterebbe, secondo diversi studiosi, la redazione originale della Vi-
ta di santa Nino, in seguito rimaneggiata numerose volte 7
Allo stesso K' K'ek'elhe va il merito di aver tentato un primo ab-
bozzo di un quadro sistematico delle traduzioni in georgiano. Le sue mo-
nografie Autori stranieri nella letteratura georgiana antica 8 , riproposta al
lettore occidentale nella rielaborazione di G. Peradze', e L'agiografia
georgiana tradotta 10 costituiscono ancora oggi uno strumento fondamen-
tale persino per il reperimento dei manoscritti delle suddette traduzio-
ni. Tuttavia, malgrado gli studi siano proseguiti in questa direzione, mol-
te questioni filologiche attinenti alla recezione di testi stranieri in am-
bito georgiano rimangono finora aperte.
Nella produzione letteraria del primo feudalesimo le traduzioni o ci-
tazioni dalla letteratura greca precristiana sono piuttosto sporadiche. Co-
si, il Martirio di san Procopio (cfr. CPG 3490), derivato dal greco proba-
bilmente nel VI-VII secolo, contiene la traduzione di un verso dal secondo
libro dell'Iliade, nonché la piu antica menzione, in area georgiana, del no-
me di Omero. Malgrado molti riferimenti e citazioni si trovino nelle ope-
re dell'xi-XII secolo, l'esistenza di una traduzione integrale del corpus ho-
mericum nel medioevo georgiano si presenta molto problematica11 • Un al-
tro esempio della presenza di testi greci prebizantini nella letteratura
georgiana è la traduzione di alcuni brani della Grammatica di Dionisio di
Tracia, cpe sarebbero stati volti prima del vn secolo e inclusi poi nella Rac-
colta di Sat'berdi 12 , trascritta prima dell'ultimo trentennio del x secolo.
7
M. CXART'ISVILI, Kartuli hagiograpiis c'q'arotmcodneobiti fese' avlis p' rob/emebi: "Cxoreba; c'mi-
disa Ninoisi" [Problemi dello studio delle fonti letterarie di agiografia georgiana: Vita di santa Ni-
no], Tbilisi 1987, pp. 63-89; R. SIRA3E, "C'mindo Ninos cxovreba" do dosac'q'isi kartuli agiograpiisa
l Vita di santa Nino e inizio dell'agiografia georgiana], Tbilisi 1997, pp. 3-So. Per la questione di in-
terventi sul testo legati a lotte confessionali si veda M. VAN ESBROECK, Le dossier de sainte Nino et
1a composante copte, in G. SIIURGAIA (a cura di), Santa Nino e la Georgia. Storia e spiritualità cristia-
na nel Paese del Vello d'oro, Atti del I Convegno internazionale di studi georgiani (Roma, 30 gen-
naio 1999), Roma 2ooo, pp. 99-123.
" K' K'EK'EL13E, Et' iudebi ]Veli kartuli lit'era t' uris ist' oriidon [Studi sulla letteratura georgiana
antica), V, Tbilisi 1957, pp. 3-116.
' G. PERADZE, Die alt-christliche Literatur in der georgischen Uberlieferung, I-VIII, in <<Oriens
Christianus», III, 3-4 (1928-29), pp. ro9-I6, 282-88; 5 (1930), pp. 8o-98, 232-36; 6 (1931), pp. 97-
107, 240-44; 8 (1933), pp. 86-92, r8o-98.
10
K'EK'ELI3E, Et'iudebi cit., V, pp. r q-211.
11
v. BAAK' ASVILI, Homerosi ]ve! kartul mc' erlobasi [Omero nella letteratura georgiana antica],
in 3veli kartuli mc'erlobis sak'itxebi [Questioni di letteratura georgiana antica], II, Tbilisi 1964,
pp. 93-109-
12 s. Q'AUXC!SVILI, Sat'berdis k'rebulis sasc'avlo c'igni [Il manuale della Raccolta di Sat'berdi],
in <<T'pilisis universit'et'is moambe» [Messaggero dell'Università di Tbilisi], III (1923), pp. 173-
r85; M. CHANIDZÉ, Les monuments de l' ancienne littérature géorgienne: Le Recueil de Chatberdi du x'
siècle, in «BK>>, XXXVIII (198o), PP-. qr-36. B. GIGINEISVILI e EL. GIUNASVILI (a cura di), Sat'ber-
dis k'rebuli X sauk'unisa [Raccolta di Sat'berdi del x secolo), Tbilisi 1979, pp. 195-96.
1056 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
Vere e proprie traduzioni dal greco sono invece quelle eseguite da te-
sJi greco-bizantini, a partire dalle Sacre Scritture. Il Martirio di santa
Susanik' testimonia negli anni '7o del v secolo l'esistenza della traduzio-
ne georgiana dei Vangeli e dei libri indispensabili per le funzioni liturgi-
che- epistole paoline e Salterio. Studi specifici hanno chiarito che i pri-
mi libri della Bibbiau dovrebbero essere stati tradotti in georgiano fra gli
anni '40 del v secolo e gli anni '6o del VI 1 ~, probabilmente dal greco, poi-
ché gli strati piu antichi, persino nelle versioni di origini palesemente ar-
mene - ad esempio, il tetravangelo di Adisi (Mest'ia, Museo storico-et-
nografico di Stato, cod. I) -presentano molti grecismi provenienti di-
rettamente dal greco, che le oppongono alle altre versioni orientali.,. Non
sono ancora sufficientemente chiariti né l'origine delle traduzioni geor-
giane dei Vangeli né il rapporto letterario tra le loro piu antiche reda-
zioni; tuttavia, la redazione piu antica è, dal punto di vista linguistico,
del tipo xanmet'P', conservata nei palinsesti A-89, A-844, H-999 (cfr.
A-737) come scriptio inferior risalente al V-VI secolo17 Le versioni esegui-
te tra il VII e l'XI secolo rimontano invece a due redazioni: la prima è rap-
presentata dal citato tetravangelo di Adisi, la seconda dai manoscritti di
3ruC'i (H-166o) e P'arxali (A-1453), e di Op'iza (Athos, Ivir. geo. 83),
Berta (Andover, Massachusetts, Museo del Newton Theologiçal Semi-
nary) e T'beti (San Pietroburgo, Biblioteca di Stato «Saltykov-Scedrin»,
serie nuova, geo. 2 I z)1 8 , ad essi affinP' Quest'ultima divenne la «prato-
vulgata» georgiana del x secolo, testo base per le versioni successive, ato-
nite20 Il complesso quadro delle differenze redazionali fra il tetravange-
" Per ampi riferimenti bibliografici si veda M. VAN I!SBROECK, Les versions orienta/es de la Bi-
h/e: une orientation bibliographique, in J. KRASOVEC (a cura di), The lnterpretation o/ the Bible. The
lntemational Symposium in Slovenia, Ljubljana 1998, pp. 393-509.
14
K'EK'I!LI3E, &rtuli lit' erat'uris cit., p. 4 x2; K'. DANEUA, Ramdenime sak'itxi bibliis u3velesi
kartuli targmanis ist' oriidan [Alcune questioni di storia delle antiche traduzioni georgiane della Bib-
bia], in «Tbilisis saxelmc'ipo universit'et'is sromebi» [Annali dell'Università statale di Tbilisi],
CLXXXIII (1978), pp. 113•15-
11 Ibid., pp. 119·21; L. KAWA, Xanmet'i t'ekst'ebi [l testixanmet'i], Tbilisi 1984, pp. 336-40.
Per altri riferimenti bibliografici si veda G. SIIURGAIA, I 7 Tetravangelo. Georgiano [Vat. iber. x], in
Vangeli dei popoli, La parola e l'immagine del Cristo nelle culture e nella storia, Città del Vaticano
2ooo, p. x66.
" Lo Xanmet'ismo è un fenomeno morfologico fondamentale per la lingua georgiana lettera-
ria nei secoli v-vn, pertanto i testi che lo comportano sono chiamati dagli studiosi xanmet'i.
17
KAlAIA, Xanmet'i t'ekst'ebi cit., pp. 4-5, 302-3; J. MOLITOR (a cura di), Monumenta iberica
antiquiora, Textus chanmeti et haemeti ex inscriptionibus, S. Bibliis et Patribus, Louvain 1956 (CSCO
166), pp. 9-40. •
" Per i riferimenti bibliografici si veda SHURGAIA, I 7. Tetravangelo ci t., pp. 166-67.
"KAlAIA, Xanmet'i t'ekst'ebi cit., pp. 303-4-
20 A. SANI31! (a cura di), Kartuli otxtavis ori JVeli redakcia sami !at'berduli xelnac'eris mixedvit
(897, 936 da. 973 c'c') [Le due piu antiche redazioni del tetravangelo georgiano secondo tre ma-
noscritti di Sat'berdi (aa. 897, 936 e 973)], Tbilisi 1945, p. o8.
Shurgaia Traduzioni e citazioni dal greco in georgiano 1057
" Ep'ist' o/eta c'igni [Libro di epistole], testo in armeno con trad. in georgiano a cura di Z. Alek-
si3e, Tbilisi 1968, p. 042.
" M. SAVROV, O tret'ej knige &dry (Opyt issledovan;;a o knigach apokrificeskich) [Sul Terzo Esra
(Saggio sui libri apocrifi)], Sankt-Pelerburg I86I, pp. 103-26; R. H. CHARLES (a cura di), The Apo-
cryphaand Pseudepigraphia oftheOidTestamentin English, II. Pseudepigraphia, Oxford I913, p. 552.
" Ed. e trad. lat. in R. BLAKE, The Georgian vetJion o/ Fourth Esdras /rom the Gerusalem ma-
nuscript, in «The Harvard Theological Review», XIX, 4 (1926), pp. 322-75; commento filologico
pp. 199-320; KURCIK't3E, 3ve/i aytkmis cit., Il, pp. 270-308; la versione ampia deriva daDa versio-
ne slava (pp. Jo6-8).
" Già Niko Marr ipotizzava la sua derivazione da una traduzione armena ancora piu antica
rispetto a quella pervenutaci: N. MARR, Predvarite/' nyj otcet o rabotach na Sinae vedennych v sotrud-
nicestve sI. A. Df.avachovym, i v lerusalime, v poezdku r9o2 [Rendiconto preliminare dei lavori sul
Monte Sinai, condotti in collaborazione con I. A. Dzavachov, e a Gerusalemme, nella missione del
1902], in «lz soobsèenija lmperatorskogo Pravoslavnogo Palestinskogo obsèestva» [Dalle comu·
nicazioni della società Imperiale Ortodossa di Palestina], XIV (1903), pp. I4-15; BLAKE, The Geor-
gian venion cit., p. 306.
l8 KURCIK'l3E, 3ve/i aytkmis cit., Il, pp. 236-90.
29
ID., Ezras ap 'ok 'alipsis kartuli redakciebi [Le redazioni georgiane dell'Apocalisse di Esdra),
in «Mravaltavi» [Omeliario], l (1971 ), pp. I02-3; ID., 3veli aytkmis cit., Il, pp. Z90-91.
0
' BLAKE, The Georgian venion cit., p. 310; KURCIK'13E, Jve/i aytkmis cit., Il, pp. Z95·30I.
" lbid., l, pp. I84-272; Il, pp. 174·220.
) l Ibid., l, pp. I I0-83; II, pp. l I 7•73·
.. K'EK'ELI3E, Kartu/i /it'erat'uris cit., pp. 441·43; M. VAN ESBROECK, Apocryphes géorgiens de
la Dormition, in <<AnBolh>, XCI (1973), pp. 69·75; ID., Les textes littéraires sur l' Assomption avant
le x' siècle, in Les Actes apocryphes des Apotres, Christianisme et monde paièn, Genève 1981, p. 268.
" La redazione B è edita in J. N. BIRDSALL, A second Georgian recension o/ the Protevangelium
Jacobi, in «Le Muséon>>, LXXXIII (1970), pp. 49·72; la C in A. SAN13E, Iak'obis p'iroelsaxarebis
xanmet' i nac' q' vet' ebi [Frammenti xanmet' i del Protevangelo di Giacomo], <<3veli kartuli enis k' ate·
dris sromebi» [Annali del Dipartimento di lingua georgiana antica], xx (1977). pp. 7•35·
"G. GARITfE, Le «Protévangilede Jacques»engéorgien, in <<Le Muséon», LXX (1957), pp. 233-65.
"c. KURCIK'I3E (a cura di), Nik'odimosis ap'ok'ripuli c'ignis kartuli vmia [La versione geor·
giana degli Acta Pilatt1, Tbilisi 1985, pp. r8·35·
•• ID. (a cura di), Kartuli versiebi ap' ok'ripebisa mocikulta fesaxeb (IX·XISs. xelnac' erta mixedvit)
[Le versioni georgiane dei libri apocrifi sugli apostoli (secondo i manoscritti de!IX·XI secolo)], Tbi-
lisi 1959, pp. 039, 21·42.
"Ibid., pp. 038, 55·9r.
•• Ibid., pp. 3-13 e 039; P. PEETERS, La Passion géorgienne des SS. Théodore, ]ulien, Eubulus,
Ma/camon,Mocimus et Salamanes, in «AnBoll», XLIV (1926), p. 70; M. VAN ESBROECK, recensio·
ne a KURCIK'13E (a cura di), Kartuliversiebiap'ok'ripebisa cit., in «AnBoll», LXXXIV (1966) P· 505.
"KURCIK'13E (a cura di), Kartuli versiebi ap'ok'ripebisa cit., pp. 14-20 e 036·037, 039; VAN
ESBROECK, recensione cit., p. 505; nuova ed. e relativa analisi filologica in G. GARITrE, Le Martyre
géorgien de l'apotre Thomas, in «Le Muséon>>, LXXXIII (1970), pp. 497·532·
Shurgaia Traduzioni e citazioni dal greco in georgiano 1061
conda metà del v secolo e dai lezionari-typika del VI-VIII'2 , uniche testi-
monianze liturgiche pervenuteci, insieme ai lezionari armeni della pri-
ma metà del vn, del genuino rito agiopolita. Del pari, lo Iadgari antico
georgiano, repertorio innografico del VI-VIII secolo, del cui originale gre-
co non è conservata alcuna traccia, colma notevoli lacune nella storia
dell' innografia bizantina'4 •
Il periodo iniziale del primo feudalesimo è relativamente povero di
opere e~egetiche. Una delle prime pervenuteci in questo ambito è il De
mensuris et ponderibus di Epifanio di Cipro (CPG 3746) tradotto prima
del VII secolo: i capp. 9-19 da un modello siriaco finora sconosciuto, i 22-
24 dal greco, non senza l'ausilio di un testo armeno" Alla prima metà
dell'vrn secolo rimonta la traduzione georgiana del Chronicon (CPG 1896)
di lppolito romano'', mentre alla fine dello stesso secolo la traduzione,
attraverso l'armeno, del Physiologus (CPG 3766) dello Pseudo-Epifanio,
attribuito nei manoscritti georgiani a Basilio di Cesarean All'inizio del
IX secolo risale la traduzione, probabilmente attraverso l'armeno, del De
XII gemmis di Epifanio (CPG 3748), unica versione integrale pervenuta-
ci'8. Al piu tardi nella stessa epoca sono eseguite attraverso l'armeno le
mediocri traduzioni dei trattati di lppolito Romano Benedictiones Isaac,
Iacob et Moysis (Gen. 27 e 49; CPG 1874-75)'', Interpretatio Cantici can-
" M. TARCHNISCHVILI, Le Grand Lectionnaire de/' Eg!ise de ]érusa!em (V·VIII siècle), Louvain
1959 (CSCO 188-89) e 1960 (CSCO 204·5). Sulla segnalazione di questa fonte come typikon si ve-
da G. SHURGAIA, Formazione della struttura del/' ufficio del sabato di Lazzaro nella tradizione cattedrale
di Gerusalemme, in «Annali di Ca' Foscari», XXXVII, 3 (1997), pp. 147·48, nota 3·
" A. RENOUX, Le Codex Arménien ]érusalem 121, II, Paris 1971 (PO 36).
" E. MET'REVELI, C. é•ANK'IEVI e L. XEVSURIANI (a cura di), U3velesi iadgari [!adgari antico],
Tbilisi 1980. Si veda inoltre H. METREVELI, Les manuscrits liturgiques géorgiens du IX'·X' siècles et
leur impor/ance pour l' étude de/' hymnographie byzantine, in Art et archéologie, Communications, A t·
Li del XV Congresso internazionale di studi bizantini (Atene, settembre 1976), 2, B, Athènes 1981,
pp. 1005·10.
" M.-J. VAN ESBROECK (a cura di), Les versiones géorgiennes d' Epiphane de Chypre Traité des poids
et des mesures, Louvain 1984 (CSCO 46o; 461, pp. 6-9).
"IL. ABULA3E, Ip'olit'e Romaelis Kronik'onis 3veli kartuli versia [Redazione antico-georgiana
del Chronicon di Ippolito Romano], in <<SMAXIM», III (1961), pp. 223-43 (rist. in ID., Sromebi
lOpera omnia], lll, Tbilisi 1982, pp. 107-27); GIGINEISVILI e GIUNASVILI (a cura di), Sat'berdis cit.,
pp. 175·90.
" N. MARR, Fiziolog, Armiano-gru:ànskii izvod [Fisiologo, redazione armeno-georgiana], in ID.,
Teksty i razyskani;a po arm;ano-gruzinsko; filologii [Testi e ricerche in filologia armeno-georgiana],
VI, Sankt-Peterburg 1904, pp. 1-4; IV. IMNAISVILI (a cura di), Kartuli enis ist'oriuli krest'omatia
[Antologia storica della lingua georgiana antica], Tbilisi 1953, pp. 283-90.
" R. P. BLAKE e H. DE VIS, Epiphanius de Gemmis, London 1934, pp. LX, LXXXV; cfr. numero·
si suggerimenti espressi nelle recensioni di G. Deeters in <<Zeitschrift der deutschen morgenHin·
dischen Gesellschaft», XC (1936), pp. 209-20, e di I. Rucker in <<Theologische Revue», XXXIV
( 1935). pp. 329-35·
" HIPPOLYTE DE ROME, Sur les bénédictions d'Isaac, de Jacob, testo greco, trad. armena e geor·
giana; Sur /es bénédictions de Moi'se, trad. armena e georgiana; a cura di M. Brièr, L. Mariès e B.-Ch.
Mercier, Paris 1954 (PO 27, 1-2), pp. xx-xxrr.
1062 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
ticorum (CPG r87r), De David et Goliath (CPG r876) 60 ; le ultime due so-
no le uniche versioni integrali pervenuteci. Grazie a una citazione del
katholikos Arsenio del IX secolo61 datiamo al piu tardi a quest'epoca la
traduzione dell' Epistula ad Marcellinum (CPG 2097) di Atanasio di Ales-
sandria, autore presente in ambito georgiano in questo periodo anche con
le Expositiones in psalmos (CPG 2 140) 62 • Infine, scartata l'ipotesi della de-
rivazione dall'armeno, il De opificio hominis di Gregorio di Nissa
(CPG 3 154)6 } si ritiene tradotto dall'arabo nell'viii-IX secolo'\ prima che
Giorgi Mtac'mideli (1009-65) lo ritraducesse direttamente dal greco. Pro-
babilmente al primo feudalesimo risalgono la versione georgiana delle
Homiliae in hexaemeron (CPG 2835)" di Basilio, tradotte prima dall'ara-
bo e poi ritradotte dal greco da Giorgi Mtac'mideli, nonché diverse tra-
duzioni di opere esegetiche di Atanasio di Alessandria, Basilio di Seleu-
cia- attribuite, come in molte letterature medievali, ad Atanasio di Ales-
sandria-, Gregorio Nisseno, Eusebio di Cesarea, Gregorio Taumaturgo,
Esichio di Gerusalemme, ecc.
Una delle prime opere dogmatiche tradotte in georgiano dovrebbe
essere il Tomus ad Flavianum di Leone Magno, approntato, secondo
K' K'ek'eli3e, prima del6o7, malgrado sia conservato solo nella tradu-
zione tarda di Arsen lq'altoeli (:xn secolo). All'incirca nel vrr secolo sem-
bra tradotto dall'armeno il De fide (CPG 1922) dello Pseudo-Ippolito'',
mentre a prima dell'vm secolo rimontano alcuni discorsi teologici di Gre-
gorio Nazianzeno, consultati da san Grigol Xan3teli (vm secolo); il The-
saurus de sancta et consubstantiali trinitate (CPG 5215) di Cirillo di Ales-
60
Traités d' Hippo/yte sur David et Go/iath, sur le Cantique Jes cantiques et sur /' Antécrist, trad.
georgiana a cura di G. Garitte, Louvain 1965 (C5CO 263; 264, pp. n).
61
K'EK'ELI3E, Kartuli lit'erat'uris cit., p. 461; TARCHNISVILI, Geschichte cit., pp. 320, 360.
62
K'EK'ELJ3E, Kartu/i /it'erat'uris cit., p. 462; PERADZE, Diealt-christliche Literaturcit., l, p. 114,
n. 2; TARCHNISVILI, Geschichte cit., p. 360.
"K'EK'ELJ3E, Kartuli /it'erat'uris cit., p. 462; L. M. MELIKSET-BEKOV, K istorii tocnych nauk v
Armenii i Gru:di [Per la storia delle scienze esatte in Armenia e in Georgia], Tiflis 1930, p. 192;
R. P. BLAKE, Cata/ogue des manuscrits géorgiens de la bib/iothèque patriarcale greque à ]erusalem, in
«Revue de I'Orient chrétien>>, XXIV (1924), p. 89.
64
U3velesi redakciebi Basi/i K'esarielis "Ekusta dyeta;sa" da Grigo/ Nose/is "K'acisa agebu!ebi-
satws" [Le piu antiche traduzioni dell' Hexaemeron di Basilio il Grande e del De opificio hominis di
Gregorio Nisseno], preparazione del testo sulla base dei manoscritti dei secoli x-xm, ricerca e glos·
sario di Il. Abula3e, Tbilisi 1964, pp. 23-26.
" P. J. FEDWICK, The translations of the works o/ Basi/ be/ore I4oo, in ID. (a cura di), Basi! o/
Caesarea: Christian, Humanist, Ascetic. A Sixteen-Hundredth Anniversary Symposium, Il, Toronto
1981, pp. 486, 493, lo ritiene tradotto dopo i1964, mentre Abula3e (U3velesi redakciebi cit., pp. 7-
zz) nell'vili-IX secolo.
" M. VAN ESBROECK, Le <<De fide» géorgien attribué à Hippolyte et ses rapportavec la «Didasca-
lie» de Grégoire I'Il/uminateurdans I'Agathange (BHO JJO), in «AnBoll>>, CII (1984), pp. 321-28;
cfr. G. GARITTE, Le traité géorgien «Sur la/oi» attribué a Hippolyte, in <<Le Muséon», LXXVIII
(1965), pp. 119-25 e 126-72.
Shurgaia Traduzioni e citazioni dal greco in georgiano 1063
86
G. GARITIE (a cura di), Lettres de saint Antoine. Versions géorgienne et fragments coptes, Lou-
vain 1955 (CSCO 148; CSCO 149 con trad. lat.).
87
K'EK'EU3E, Kartu/i lit'erat'uris cit., p. 545; G. GARITIE, Une«Lettredes.Anène» engéorgien,
in «Le Muséon», LXVIII (1955), pp. 259-67.
88
IOANE Mosxosi, Samotxe [Limonarium], a cura di Il. Abula3e, Thilisi 1960, pp. o12·019.
•• VAN ESBROECK, Les plus anciens homé/iaires cit., p. 141; FEDWICK, The translations cit., p. 494·
90
IL. ABULA3E (a cura di), Mamata sc'avlani x da XI s.·ta xe/nac'erebis mixedvit [L'insegnamen-
to dei padri secondo i manoscritti del x e dell'xi secolo], Tbilisi 1955, rispettivamente pp. 232-48,
263-72 e 259-63.
" E. KIIINTIBIDZE, Basi/i K'esarielis "Asle'et'ile'onis" leartuli redaleciebi [Redazioni georgiane
deii'Asceticon magnum (CPG 2875) di Basilio di Cesarea], Tbilisi 1968; riassunto in ID., Rédactions
Réorgiennes de l' «Ascéticon» de Basile le Cappadocien, in «BK», XXVI (1969), pp. 258-61.
l'. J. I'EDWICK, Bibliotheca Basiliana Universalis. A Study o/the Manuscript Tradition, Translations and
Editions of the Worles o/ Basi/ o/ Caesarea, III. The Ascetica, Contra Eunomium T·J, Ad Amphi/o-
chium de Spiritu sancto, Dubia et spuria, con supplementi ai voli. 1·11, Turnhout 1997, pp. 205-25;
m., The transllJtions cit., p. 494·
" K'EK'ELI3E, Kartu/i /it'erat'uris cit., pp. 545·49·
" TARCIINISVILI, Geschichte ci t., p. 13 7; G. GARITTE, Catalogue des manuscrits géorgiens littérai-
rcs du Mont Sinai; Louvain 1956 (CSCO 165), pp. 213·14, n. 6; PERADZE, Diealt-christliche Litera-
tur ci t., VI, p. 243; B. oUTTIER, Les enseignements des Pères, un recueil géorgien traduit de l'arabe, in
«llK», XXXI (1973), p. 45, n. 24.
" GARITIE, Catalogue cit., pp. 10}·8.
" ABULA3E (a cura di), Mamata sc'avlani cit., pp. 306-8.
" GARITTE, Catalogue cit., p. 62, n. IV: 3-4; p. 107, n. VI: 15.
1066 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
97
Ibid., pp. 108-10, 129; K'EK'ELI3E, Et'iudebi cit., V, p. 96; PERADZE, Die a/t-christliche Li-
teratur ci t., VIII, p. 181, n. 2; ABULA3E (a cura di), Mamata sc'avlani ci t., pp. 161-66.
" P. VAN DEN VEN (a cura di), La vie ancienne de S. Syméon Sty/ite le ]eune (J2 r-592), l, intro-
duzione e testo greco, Bruxelles 1962, pp. 53-58; K'EK'ELI3E, Monumenta cit., l/1, pp. 215-340.
"VAN ESBROECK, Les p/us anciens homé/iaires cit., pp. 1·19, con tutti i riferimenti bibliografici.
100
A. SANI3E (a cura di), Xanmet' i mrava/tavi [L'Omeliario xanmet' i], in<< T'pilisis universit'et'is
moambe» [Messaggero dell'Università di Tbilisi], VII (1927), pp. o8o-159; MOLITOR (a cura di),
Monumento ci t., pp. 65-90.
101
IL. ABULA3E, Seberiane Gabalovneli:Mociku/ta saqsenebeliJSeveriano di Gabala: Homilia in
aposto/os], in <<SMAXIM>>, V (1963), pp. 89-102 (rist. in m., Sromebi [Opera omnia], I, Tbilisi
1975, pp. 125-42), sostiene la derivazione dall'armeno; ma M. VAN ESBROECK, L'homé/ie«Surles
Apotres» de Sévérien de Cabala en version géorgienne, in «BK», XXXVII (1979), pp. 86-101, di-
mostra la sua dipendenza dal greco, completando l'edizione di Il. Abula3e con la pubblicazione e
la traduzione dei quattro fogli dell'Omeliario di Udabno.
"' SANI3E (a cura di), Sinuri mrava/tavi cit., pp. 132-40; m. (a cura di), Xanmet'i mravaltavi cit.,
pp. 145-46, 149-50 (rist. in MOLITOR (a cura di), Monumento cit., p. 88, n. rr; p. 84, n. 9); trad.
frane. in M. VAN ESBROECK, Deux homé/ies de Sévérien de Cabala (rv'-v' siècle) conservées en géor-
gien, in <<BK», XXXVI (1978), pp. 8o-9o.
Shurgaia Traduzioni e citazioni dal greco in georgiano 1067
••• SAN13E (a cura di), Sinuri mravaltavi cit., pp. 40-45; VAN ESBROECK, Les p/us anciens homé-
liaires ci t., pp. I23, 292-96; ID., ]alons pour /'histoire de la transmission manuscrite de l'homélie de
Proclus sur la Vit"Xe (BHG u29), in J. DUMMER (a cura di), Texte und Textkritik. Eine Aufsatz-
sammlung, Berlin I987, pp. I49-6o.
••• IL. ABULA3E, Mart'wlobaj ormoctaj [Martirio dei quaranta], in «SMAXIM», IV (I962),
pp. I I I-44 (rist. in ID., Sromebi cit., l, pp. 9I-I24); VAN ESBROECK, Les p/us anciens homéliaires cit.,
pp. 127, 250; FEDWICK, The lnlnslations cit., p. 494; SANJ3E (a cura di), Sinuri mmvaltavi cit., pp. 115-23.
10
' K'EK'EU3E, Kartuli lit'erat'uris cit., p. 5·14.
106
ID., Et'iudebi cit., V, p. 45; PERADZE, Die alt-christliche Literatur cit., V, p. 233; trad. e
com m. in G. GARITTE, L'homélie géorgienne d'Hésychius de ]érusalem sur /'Hypapante, in «Le Mu-
séon>>, LXXXIV (I97I), pp. 353-72.
107
Sulla prima versionie si veda T. è•o•oNIA, Eusebi aleksandrielis sit'q'va k'wiriak'isatws da
uc 'esod momyeraltatws [Il sermone di Eusebio di Alessandria Sulla domenica e sui cantori senza re-
_gola]. in «Xelnac'erta inst'it'ut'is rnoambe» [Messaggero dell'Istituto dei manoscritti], II (1960),
pp. 181-223; TH. MGALOBUCHVILI, Sur l'origine des venions géorgiennes d'une ll'UVre attribuée à Eu-
s,~be d'Alexandrie, in <<BK>>, XLI (1983), pp. 137-49.
••• 11.. ABULA3E, Ert-erti ucnobi c'q'aro Ioane Sabanis3is "Abo t'pilelis martvilobisa" [Una fonte
letteratia finora sconosciuta del Martirio di sant'Abo di Tbilisi di loane Sabanis3e], in «St'alinis
saxelobis Tbilisis saxelmc'ipo universit'et'is srornebi>> [Annali dell'Università statale di Tbilisi «Sta-
lin»], XXXV, B (1949), pp. 221-32 (rist. in ID., Sromebi cit., III, pp. 131-39); M. VAN ESBROECK,
!lmphiloque d' Iconium et Eu nome: l' homélie CPG J2 J8, in «Augustinianum>>, XXI (I 98 I), pp. 5 I 7-
539; ID., Archéologie d'une homélie sur la Ptique attribuée à Chrysostome ou à Epiphane de Chypre,
in M. E. STONE (a cura di), Armenian and Biblica/ Studies, Jerusalem I976, pp. I65-81.
10
' M. VAN ESBROECK, L 'homélie géorgienne d'Hésychius de ]érusalem sur la résurrection des morts,
in <<Le Muséon», LXXXVII (I974l. pp. I-2!.
ro68 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
colo, invece, dovrebbero essere state tradotte per la prima volta le Epi-
stulae (CPG 2900) di Basilio di Cesarea110 e forse anche le sue omelie De
dormitione (CPG 2990) e Oratio pro communione (CPG 2993)m, men-
tre le versioni particolari dei suoi De paenitentia (CPG 2991) e De invi-
dia (CPG 2992) 112 furono eseguite dall'arabo nel IX secolo. Com'è noto,
la traduzione sistematica del corpus basilianum è legata agli agioriti Eptw-
me e Giorgi, tuttavia al primo feudalesimo rimontano altre sei omelie
basiliane incluse negli omeliari del x secolo m.
Per la datazione di altre versioni invece si riesce a stabilire, quanto
meno come terminus ante quem, la data della trascrizione dei piu anti-
chi testimoni. Cosi, risultano tradotte prima dell'864 le due omelie In
annuntiationem Virginis Mariae (BHG" 1139n = CPG 1775; e BHG"
I092W = CPG rn6) dello Pseudo-Gregorio Taumaturgo 114 ; alcune Ca-
techeses ad illuminandos (CPG 3585, 2)m e l' Homilia in pentecosten
(CPG 36r 1) di Cirillo di Gerusalemme, che sembra una rielaborazione
della sua catechesi battesimale I7 116 ; l' Homilia I. In Hypapanten
(BHG 1956; CPG 6565) di Esichio di Gerusalemme 117 ; l'Homilia
XXXIII. In s. apostolum Thomam (BHG" 1839; CPG 5832) 118 di Proclo
di Costantinopoli; I'Homilia in s. Iohannem Baptistam (BHG" 847;
CPG 668o) di Antipatro di Bostra119 Prima del IX-X secolo risultano
tradotte nove omelie su varie questioni (CPG 3425) di Meletio d'An-
tiochiauo; l'Homilia de lotione pedum (CPG 4216) 121 e l'In sanctam pen-
tecosten (CPG 421 r) 122 di Severiano di Gabala, derivanti dal greco; il
110
N. KADJAIA, Les anciennes traductions géorgiennes des lettres de Basile de Césarée, in «BK»,
XLI (i98J), pp. I50-6I.
111
Rispettivamente: M. VAN ESBROECK, L' Assomption de la Vierge dans un<< Transitus>> pseudo-
Basilien, in <<AnBoll>>, XCII (I974l, pp. I25-63, e GARITTE, Cataloguecit., p. 225, n. I: r.
112
OUTilER, Les enseignements cit., pp. 36-39; FEDWICK, The translations cit., p. 493; ABULA3E
(a cura di), Mamata sc'avlani cit., pp. 138-6r.
111
c. KURCIK'I3E (a cura di), Basi/i K'esarielis "Sc'avlata" Eptwimeatone/iseu/i targmani [La tra-
duzione di Eptwime Mtac'mideli delle Omelie di Basilio di Cesarea], Tbilisi I983, p. 07.
114
K'EK'ELI3E, Kartuli /it'erat'uris cit., p. 553; SANJ3E (a cura di), Sinuri mravaltavi cit., pp. J·I5.
"' lbid., pp. 83-89 (cat. 3), 155-70 (cat. 14), I85-90 (cat. q); T. MGALOBLISVILI (a cura di),
K' /arju/i mravaltavi [L'Omeliario di K'lar:\eti], Tbilisi I99I, pp. 235-48 (cat. 14), 259-69 (cat. I8),
321-36 (cat. 16, inizio del q), 438-39 (frr. del cat. 3).
116
K'EK'EL13E, Et'iudebi cit., V, p. 179; GARI"ITE, Catalogue cit., pp. 84-85; SANI3E (a cura di),
Sinuri mravaltavi cit., pp. 185-90.
117
Ibid., p. 90.
118
Ibid., pp. I71-76.
119
Ibid., pp. 24·30.
uo A. SANI3E e z. C'UMBURJ3E (a cura di), Udabnos mravaltavi [L'Omeliario di Ubadno], Tbilisi 1994,
pp. I86-88, 238-50, 131, 220-22; MGALOBUSVILI (a cura di), K'/arju/i mmvaltavi cit., pp. 226-35.
m VAN ESBROECK, Les plus anciens homéliaires ci t., pp. 8 I -82; ID., L' homélie géorgienne de Sévé-
rien de Gabala CPG 42I6, in «Le Muséon>>, CIV (199I), pp. 73-ro8.
U2 MGALOBUSVILI (a cura di), K' /arju/i mrava/tavi cit., pp. 336-4 I; trad. frane. in VAN ESBROECK,
Deux homélies cit., pp. 75-80.
Shurgaia Traduzioni e citazioni dal greco in georgiano 1069
Già questa, seppur limitata e parziale, esposizione del viaggio dei te-
sti greci nella' Georgia del primo feudalesimo dimostra un'attività conti-
nua e sistematica, da parte di scrittori e di traduttori georgiani, mirata ad
arricchire la propria cultura con le migliori realizzazioni - e quasi solo quel-
121
ID., Les p/us anciens homé/iaires cit., p. r62; MGALOBLISVIU (a cura di), K'/arju/i mrava/tavi
cit., pp. 99·IOI, 255-59
'" VAN ESBROECK, Les plus anciens homéliaires cit., rispettivamente pp. 72 e 76.
'" FEDWICK, The translations cit., p. 494; per le diverse altre opere tradotte in georgiano pri-
nw del x secolo e attribuite a Basilio si veda pp. 496, 498, 501-2; ID., Bib/iotheca Basiliana Uni-
l'erwlis A Study o/ the Manuscript Tradition, Translations and Editions o/ the Works o/ Basi/ o/ Cae-
'"rca, Il. The homiliae mora/es, Hexaemeron, De litteris, Turnhout 1996, p. 1053.
126
G. GARITTE, Un fragment géorgien de t'homélie IX de Sévérien de Cabala, in <<Le Muséon>>,
LXVI (1953), pp. 97·ro2.
'"G. LAFONTAINE, Les homé/ies d'Eusébe d'Aiexandrie, tesi di laurea, Louvain 1966, p. 134;
\'MI ESUROECK, Les plus anciens homéliaires cit., p. 208.
128
LAFONTAINE, Les homé/ies cit., p. 132; VAN ESBROECK, Les p/us anciens homé/iaires cit.,
pp. 108, 172, 303·7·
129
lbid., p. 90; ID., Version géorgienne de t'homélie eusébienne CPC 5528 sur t'Ascension, in
«Oriemalia Christiana Periodica», LI (r985), pp. 275-306; MGALOBLISVILI (a cura di), K'larju/i
mravaltavi cit., pp. 67-79.
1070 Dal greco: tradurre, interpretare, tramandare
Molti fatti curiosi e interessanti sono sepolti nell'oblio, le opere dei tre grandi
storici di Roma non ci pervennero che mutilate e manchiamo d'una quantità di bei
passi della poesia lirica, giambica e drammatica dei Greci. Dovremmo tuttavia ral-
legrarci, ricordando che le ingiurie del tempo e degli uomini abbiano risparmiato le
opere dei classici, ai quali dal suffragio dell'antichità fu decretato il primo posto del
genio e della gloria. I maestri del sapere antico [quali Galeno, Plinio e Aristotele],
le cui opere ci sono pervenute, avevano letto e confrontato le opere dei loro prede-
cessori; né abbiamo motivo di credere ragionevolmente che qualche verità impor-
tante, o qualche utile scoperta nell'arte o nella natura sia stata sottratta alla nostra
curiosità'.
1
E. GIBBON, The History o/ the Decline and Fai/ o/ the Roman Empire, V, London 1788 [trad.
it. Torino 1967, pp. 2IIO·II].
2
Questo titolo, dovuto a Callimaco (fr. 443 Pfeiffer), l'unico a noi noto dalla tradizione an-
tica, figurava anche nei manoscritti adoperati da Libanio.
' Con la sua osservazione iniziale Libanio si mostra consapevole del carattere non d'autore dei
titoli correnti delle orazioni demosteniche. E cosi anche DIONIGI DI ALICARNAsso, Demostene, 13,
vari secoli prima di Libanio e tre secoli dopo Callimaco.
1 07 4 Riappropriazioni, riattualizzazioni
esempio quello che si legge proprio a conclusione del discorso costituisce una prova
non trascurabile della sua inautenticità: «Se voi avete il cervello tra le tempie piut-
tosto che sotto i talloni». Giacché, certo, Demostene è solito parlare con molta fran-
chezza, ma questo modo di esprimersi è intollerabile: è pura e semplice ingiuria che
travalica ogni limite. E poi l'espressione è molto piatta: per non dire che è sciocco
immaginare che gli uomini abbiano il cervello tra le tempie!
I critici piu antichi sospettarono che questo discorso non fosse di Demostene;
e anzi alcuni scoprirono che esso è da attribuirsi a Egesippo': non solo sulla base di
indizi stilistici (è suo quello stile) ma anche in base ai dati di fatto. Chi ha scritto
questo discorso, infatti, sostiene di aver presentato un'accusa di illegalità contro
Callippo di Peania: orbene risulta' che non fu Demostene ma Egesippo a presenta-
re la denunzia contro Callippo.
A questa constatazione si potrebbe obiettare quanto segue. Il discorso di cui ci
stiamo occupando suggerisce agli Ateniesi, per quanto attiene all'isola di Alonneso,
di riprendersela, non già di ricever/a (in dono). E su questa questione di parole sorti-
lizza. Orbene Eschine' sostiene che [lroprio Demostene si era espresso in tal modo.
Già, ma questo cosa dimostra? E del tutto possibile che la medesima formula-
zione l'abbiano adottata sia Demostene che Egesippo. Del resto militavano in po-
litica dalla stessa parte e si opponevano entrambi agli oratori filomacedoni: è pro-
prio Demostene che fa menzione di Egesippo come suo compagno di ambasceria e
avversario del re macedone'. Dunque è evidente che il discorso che anche Demo-
stene aveva pronunziato sulla questione di Alonneso non si è conservato, e che ap-
punto perciò, in assenza di quel discorso [gli editori postumi della raccolta] inseri-
rono' come demostenico il discorso che si era conservato e che essi scovarono. La
base per tale fraintendimento fu che, comunque, Demostene era intervenuto su que-
sta questione: ma quei postumi editori non si posero il problema se fosse proprio
questo il suo discorso.
2. Rotoli e codici.
IO (( ~ UvitQWltiVTj btJVaJ.Ltç »,
11
Cfr. il prospetto nell'ed. Viereck-Roos, l, Leipzig 1938, pp. VI-VII.
Canfora Dispersione e conservazione della letteratura greca 1077
" «Perse [Alessandria] quasi completamente il quartiere chiamato Bruchion, sede abituale dei
<.lotti eccelsi» (ibid., 22.I6.I5).
" RU~,No, Storia ecclesiastica, I I. 26.
" DIONE CASSIO, 77·7·
26
lbid., 77-22.
21
GALENo, Hippocratis de natura hominis /iberprimus et Galeni in eum commentarius, XV, p. 24
eu. Ki.ihn.
1082 Riappropriazioni, riattualizzazioni
28
GIOVANNI MALALA, p. 235 ed. Bonn.
,. svETONIO, Divus Claudius, 42.5.
0
' DIODORO SICULO, r6.J.8.
Canfora Dispersione e conservazione della letteratura greca 1083
6. La nuova scrittura.
7. La crisi.
8. La rinascenza bizantina.
Una prima spinta alla ricerca di antichi libri era venuta dal vivo del-
le lotte tra iconoclasti e iconoduli. Nell'anno 8ql'imperatore Leone V
aveva incaricato Giovanni il Grammatico, piu tardi patriarca iconocla-
sta a Costantinopoli, di cercare «dovunque gli antichi libri conservati
nei monasteri e nelle chiese»n Anche se il fine di tale ricerca era del
tutto strumentale e contingente, quello cioè di raccogliere testi in vista
della formazione di un florilegio iconoclasta, allestito infatti per il Na-
tale di quell'anno; anche se, perciò, il tipo di testi preferibilmente ri-
cercati era conforme a tale finalità e quindi attinente alla disputa teolo-
gica in atto, è tuttavia evidente che il fatto stesso di promuovere quel
lavoro di scavo, quella ricerca di «antichi libri conservati nei monaste-
ri e nelle chiese» creava le condizioni per richiamare alla luce anche al-
tri «antichi libri» non strettamente attinenti alla disputa. Emergono
dapprima testi di scienziati, filosofi, storici: autori cui pur sempre si po-
teva ricorrere come ad autorità valide anche per i problemi teologici.
Agli anni di Giovanni il Grammatico risalgono infatti i primi manoscritti
in minuscola, e sono testi scientifici: esemplari di T olomeo e del com-
mento di Teone e Pappa all:Atmagesto di Tolomeo (Laurenziano 28.18,
databile tra 1'813 e l'82o). E importante che si tratti già di manoscritti
in minuscola: ciò vuoi dire che forse a seguito della <<caccia» promossa
da Leone V e realizzata da Giovanni il Grammatico non solo sono emer-
si codici di autori non pertinenti alla disputa sulle immagini, ma che l'in-
teresse suscitato da questi t~sti ha anche indotto a passarli su nuovi co-
dici, nella nuova scrittura. E inevitabile pensare che non possono esse-
re casi isolati, e che dunque del tutto giustificata è l'anticipazione della
«rinascita bizantina» al momento in cui prende corpo, con Leone V, la
risc<;_>ssa «dottrinaria» degli iconoclasti.
E molto significativa, e impressionante nella sua nettezza, l' espres-
sione, citata prima, che si legge nella Vita di Leone Armeno: «ricercare
gli antichi libri conservati nei monasteri e nelle chiese». Ciò mostra che,
dunque, non piu nelle grandi biblioteche centrali, quella imperiale e quel-
la patriarcale, ormai andate in rovina, si poteva sperare di ripescare «an-
" Vita di Leone Armeno, in PG, CVIII, coli. 1024-28. B. HEMMERDINGER, Essai sur l'histoire
du texte de Thucydide, Paris 1955, pp. 33·41 (La Renaissance iconoclaste).
1 o88 Riappropriazioni, riattualizzazioni
tichi libri», ma, appunto, «nei monasteri e nelle chiese»: cioè in isolati
centri, dove erano piu o meno casualmente sopravvissuti, insieme a tan-
ta produzione piu recente, teologica, liturgica, agiografica, anche alcu-
ni dei grandi classici del passato. Questi centri erano rimasti al riparo
dalle varie bufere che avevano investito il centro del potere e dunque
serbavano ancora ciò che per caso vi era andato a capitare: per quanto
negletto fosse il tutto e in stato di abbandono e affidato a monaci igno-
ranti e ignari.
Al principio del x secolo possiamo osservare Areta (morto nel944),
metropolita di Cesarea di Cappadocia (il seggio patriarcale piu impor-
tante dopo quello di Costantinopoli), copiare o far copiare e annotare
di suo pugno preziosi manoscritti in minuscola di classici di estrema im-
portanza quali Platone (Clark 29), Euclide (D'Orville X-1 inf.), Lucia-
no (Harley 5694), Elio Aristide. Pochi anni piu tardi osserviamo l'im-
peratore Costantino VII (913-59) promuovere l'operazione grandiosa-
anche se alla lunga deleteria per la conservazione dei testi interi - di rac-
colta di estratti per rubriche tematiche ricavati da tutto il superstite, e
allora ancora vastissimo, patrimonio della storiografia classica ellenisti-
ca e romana di lingua greca. Gli studiosi che hanno lavorato per conto
di Costantino VII hanno avuto a disposizione, tutti insieme, i codici -
ormai in minuscola - degli storici greci (del genere di quell'isolato su-
perstite che è il Vaticano greco 124 di Polibio copiato di pugno del mo-
naco Ephraim in un convento della capitale nell'anno 947).
Ma Fazio, la cui Biblioteca è il bilancio della lettura di una vita in-
tera, a quale raccolta di codici avrà fatto capo? Coi suoi riassunti cor-
redati di estratti, quest'opera finisce con l'apparir~ come l'inventario
della letteratura greca in quel momento superstite. E pensabile che Fa-
zio potesse già contare, mentre compiva le letture confluite poi nei rias-
sunti ed estratti comRresi nella Biblioteca, su di una cosi ben fornita bi-
blioteca patriarcale? E difficile stabilire a quale «fondo» corrisponda la
Biblioteca di Fazio: forse non a uno solo. La raccolta è fortemente uni-
laterale. Non comprende neanche un'opera di poesia, è difficile però
pensare che i testi poetici fossero del tutto assenti dalle biblioteche fre-
quentate da Fazio (per quanto sia nota la preferenza dei Bizantini, fino
al x-xi secolo, per la prosa). Abbondano invece testi palesemente «ere-
tici», in particolare monofisiti: e anche questo solleva qualche difficoltà,
giacché difficilmente opere considerate eretiche saranno state messe a
disposizione del pubblico - sia pure selezionato e ristretto - dei lettori.
Deve poi trattarsi di opere, nel loro insieme, piuttosto rare e non facil-
mente rintracciabili: almeno cosi, talvolta, Fazio le presenta. Quanto
all'ordinamento, infine, con cui si susseguono i vari capitoli, chiamati
Canfora Dispersione e conservazione della letteratura greca 1089
secolo dopo Fozio, quegli autori, cosi «ghiotti>> per una collezione de le-
gationibus, non vennero fuori.
Fino alla drammatica e rovinosa rottura rappresentata dal sacco cri-
stiano di Costantinopoli (I2o4), in occasione della cosiddetta «quarta
crociata», e alla conseguente formazione dell'effimero «impero latino»
(I204-6I), non vi sono brusche interruzioni in quel periodo cultural-
mente fervido, di «rinascita», che dal tempo di Fozio giunge sino alla
fine del XII secolo. Sorprende perciò, a tutta prima, constatare che ope-
re che Fozio presenta come integralmente conservate siano note, inve-
ce, in forma molto incompleta (quando non sono date addirittura per
scomparse) a studiosi, anch'essi operanti nella capitale, dei secoli XI e
XII. Fozio (cap. 71) ad esempio ha letto un Dione Cassio completo (la
piu importante Storia romana del mondo parlante greco in 8o libri); Gio-
vanni Xifilino, invece, nipote dell'omonimo patriarca di Costantinopo-
li (dell'anno 1064), compone, su richiesta dell'imperatore Michele·Dukas
(I07I-78), una Epitome di Dione Cassio comprendente soltanto i libri
36-So, gli stessi libri che risultavano disponibili al copista che confe-
zionò il codice da cui dipende la tradizione a noi giunta di Dione. Oltre
tutto l'Epitome di Xifilino viene confezionata su richiesta dell'impera-
tore; è da pensare che dunque non siano stati risparmiati gli sforzi per
raccogliere il materiale necessario alla confezione dell'opera cosi auto-
revolmente commissionata. (Se qualche decennio dopo Xifilino, Zona-
ra, caduto in disgrazia e ritiratosi nel I I I8 nell'isola di Santa Glykeria
a comporre una grande Epitome storica, vi include anche estratti dai li-
bri I-XXI di Dione ciò significa probabilmente- come notò Ziegler40 -
che poté disporre al piu di una epitome o di estratti di quei libri, non
già di codici sfuggiti a Xifilino).
Bisogna dunque pensare che nei pacifici e «colti» duecento anni che
intercorrono tra il patriarcato di Fozio e la frequentazione della capita-
le da parte di Giovanni Xifilino fossero scomparsi i primi 36 libri (cir-
ca metà) di un'opera capitale della cultura storica bizantina quale la Sto-
ria romana di Dione? O non si dovrà pensare invece che non ci fosse mai
stato un esemplare completo e che Fozio non a Costantinopoli ma al-
trove abbia trovato quello di cui parla? E lo stesso può a rigore ipotiz-
zarsi a proposito delle Storie scitiche di Dexippo, che Fozio ha letto e che
invece Giovanni Tzetzes (I I I0-85) «sogna>> di rintracciare.
Gli artefici di questo processo furono dotti occidentali aperti alla cul-
tura greca, ma anche dotti «greci» che un po' per ragioni venali, un po'
perché consapevoli della fine non procrastinabile del decrepito impero,
un po' perché attratti dalla crescente vitalità dei nuovi centri dell'Oc-
cidente europeo trovavano sempre piu spesso modo di mettervi radici.
Dalle lettere di Giovanni Aurispa (1376-1459), siciliano d'origine, pro-
fessore di greco a Bologna, Firenze, Ferrara, segretario del papa, accor-
to visitatore della capitale bizantina, apprendiamo che una cospicua se-
rie di testi greci è giunta in Occidente per suo merito (tra l'altro il Lau-
renziano 3 2. 9 dei tragici e di Apollonia, codici aristofanei e aristotelici).
Una personalità che si muove in direzione opposta (da Bisanzio in Oc-
cidente) è Barlaam (circa 1290-1350), il monaco originario di Semina-
ra, in Calabria, trapiantatosi a Costantinopoli, dove guadagnò la fidu-
cia dell'imperatore Andronico III e divenne professore all'università di
Costantinopoli. Nel1339 egli fu inviato dall'imperatore ad Avignone,
per trattative con la corte papale (in quel momento ad Avignone) in vi-
sta anche di una eventuale ricucitura dell'antica frattura con la Chiesa
d'Oriente. È di quel periodo l'incontro con il Petrarca cui Barlaam, in
quel momento ferreo polemista antipapale, impartf un primo insegna-
mento del greco. La successiva vicenda personale di Barlaam è di gran-
de interesse nel quadro del <<ritorno» del greco in Occidente: tornato in
Italia e convertitosi al cattolicesimo, egli non solo scrisse fieri opuscoli
polemici contro la Chiesa greca (di cui era stato a suo tempo paladino),
ma compose anche trattati di filosofia e di matematica che mettevano a
disposizione dei dotti occidentali conoscenze nuove: per esempio la pa-
rafrasi del libro degli Elementi di Euclide.
Ancor piu efficace fu l'azione di un personaggio quasi coetaneo
dell' Aurispa, Emanuele Crisolora, la cui famiglia vantava remotissime
origini costantinopolitane, risalenti addirittura al tempo di Costantino
il Grande. Anche lui diplomatico in Occidente per conto di un impera-
tore della dinastia paleologa, il Crisolora trovò modo di fermarsi a lun-
go a Venezia e di mettere radici a Firenze, dove fu suo scolaro tra gli al-
tri Leonardo Bruni (il quale tradusse in latino il Pluto di Aristofane e i
primi libri di Polibio: altro segno del lento e graduale approdo di testi
greci nei centri culturali italiani).
L'impero d'Oriente cadeva pezzo dopo pezzo. Nel1430, vent'anni
prima della capitale, cadeva in mano ai Turchi Tessalonica, il maggiore
centro dell'impero nella penisola greca. Di li fuggiva in Occidente (non
a Bisanzio) Teodoro Gaza. Rapidamente impratichitosi del latino sotto
la guida di Vittorino da Feltre, docente a Mantova, tradusse in greco il
De senectute e il Somnium Scipionis di Cicerone, ma al tempo stesso pro-
Canfora Dispersione e conservazione della letteratura greca 1095
I I. Il mito dell'Athos.
" Ristampato in prefazione a E. MILLER, Mélanges de littérature grecque, stampati «par ordre
dc l'Empereur à l'lmprimerie impériale» nel 1868.
1096 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" R. SABBADINI, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli xrv e xv, Firenze 1905, pp. 67·68.
"Cfr. v. IIUGO, Eschilo, a cura di A. Paradiso, Palermo 1990, pp. ror-}. Questo scritto di
Pelhestre non è stato ancora rintracciato.
" Cfr. quanto ne scrive M. J. LUZZATIO (a cura di), Babrii Mythiambi, Lipsiae 1986, P· xxm,
nota r.
Canfora Dispersione e conservazione della letteratura greca 1097
" Con un cortocircuiw che fa onore al letterato, ma non allo studioso, llugo immagina che la
prolifcrazione di copie di Eschilo in varie città del Mediterraneo in epoca antica («le copie eseguite
per le colonie») possa costituire un indizio a favore dell'affermazione di Pelhestre.
1098 Riappropriazioni, riattualizzazioni
altra circostanza io mi sarei molto interessato a questo tipo di ricerche, ma non era
quello il fine della mia missione. Senza trascurare completamente la letteratura teo-
logica, io dovevo rivolgere le mie investigazioni su di un altro versante: tentare di
scoprire qualche pagina sconosciuta appartenente alle belle epoche della letteratu-
ra greca
"Si riferisce alla felice scoperta da lui fatta nel 1843 all'Escorial.
47
MILLER, Mélanges cit., p. VI. Colpisce la sostanziale identità di questa riflessione con quella
svolta da PASQUALI, Storia cit., p. 32 e nota 1. Pasquali attribuisce questo tipo di riflessione a u~
parere orale di Giovanni Mercati! Forse Mercati aveva in mente queste riflessioni di Miller, a lut
certo ben noto.
Canfora Dispersione e conservazione della letteratura greca 1099
" Laura De Michelis mi fa notare per !itteras (18 dicembre 1996) che il termine adottato dal
Lraduttore russo dello scritto di Wettermann non indica necessariamente, come consuetamente si
è creduto, un locale sotterraneo.
" c. DABELOW, V ber die ]uristen-Fakultiit zu Dorpat, in <<Jahrbuch fiir Rechtsgelehrte in RuB-
land», I, Riga r822, pp. 306-7.
" Cfr. 1. SEVCENKO, The date and authorof the so-ca/led Fragments o/Toparcha Goticus, in« Dum-
barton Oaks Papers», XXV (1971), pp. r 17-88.
I 102 Riappropriazioni, riattualizzazioni
con gli incendi di Mosca succedutisi nel Cinque e nel Seicento, ricorda,
per la vaghezza e per la improbabile varietà del contenuto, un'altra rac-
colta mitizzata e deludente, quella del Serraglio57 Gli studiosi talvolta
non si rassegnano alle perdite. La fine di Costantinopoli ha generato
queste ritornanti allucinazioni che sopperiscono alla dolorosa perdita,
insostenibile e perciò da alcuni cosi oniricamente risarcita.
Appendice.
DISCORSO
INTORNO ALLA LIBRERIA FAMOSA DI BUDA
DA TRADURSI IN LATINO
E REPORSI ALL'ELENCHO GIA' COMINCIATO, DE' LIBRI MSS.
ORIENTALI, CHE SI CONSERVANO NELLA
LIBRERIA
DELL'ILL-ECCELL- SIG'.
LUIGI FERDINANDO CO. MARSILLI
QUANDO QUELLO SARA' TERMINATO
essere statta in Ungaria una cosa fuori dell'usato riportata una fama maggiore del di lei
essere.
A forza d'armi dunque fu, come è noto a tutto il Mondo, sottomessa Buda, e !a-
sciatala per due giorni per libera preda alla Milizia, che fra le fiame and6 cercando ri-
chezze in ogni angolo, e piu di tutto nel Regio Palazzo di Buda composto di piu cortili,
e divisi da altri tanti recinti, ed alla parte destra dell'ultimo di questo in una stanza
trouarono quanto, ecome in ora dirò.
Nel secondo giorno della libera preda benchè debole per le mie ferrite, ad ogni mo-
do mi portai dentro della Piazza appunto col preciso intento di cercare notizia di que-
sta libraria tanto famosa, ed entrato nel suddetto secondo cortile uiddi alla destra una
camera in volta dipinta a fresco con rabeschi antici di colori vivissimi, ma e in qua, ed
in là squarciati, e che haueva tutto il di lei pauimento coperto di zappe, badili e secure,
ed alti militari instrumenti p. lauorare in terra, e legniami, e fra questi molti libri stam-
pati, manoscritti, e gettati in pezzi fra tali ferri per la stanza. Entrai in questa con quel-
la curiosità, che fu la causa, che supperassi la mia debolezza, ed a primo riscontro uid-
di 10 casse d'ordinario legnio, coperte con pelle di uitello col pelo, e che non eraua che
longe 4 piedi, e mezzo, ed alte uno, e mezzo, ed altre tanto larghe, ma tutte lazerate da
colpi di quelle manaie, che li depredatori hebbero alla mano p. sodisfare con impeto al-
la loro auidità, che li sollecitava il peso di quelle casse, che da per tutto si conosceua era-
no statte molto bene inchiodate, ed inbalate con premeditata intentione di conseruare
li libri, che conteneuano. Come, ed in qual maniera fossero statti trattati li libri da gen-
te ignorante, e che nulla stimaua ogn'altra cosa, che non li classe denaro pronto, se lo
può figurare ogn'uno, e questi lusingandossi sempre, che nel fondo delle casse almeno
ui duuesse essere altro, che libri, uollsero tutti cacciarli dalle medeme, chiappandoli per
li fogli, che lazzarono in gran parte per uso dei loro caricatori delli moschetti, ed in fi-
ne sdegniati dell'infruttuosa fatica fra ferri mentuati gettarono dispersi li libri, e con te-
nerezza uedendo questo spettacolo degni della rozeza, ed ignoranza della gregaria sol-
datesca, m'animai all'ulteriore ricerca in altre vicinanze stanze egualmente fatte inuol-
ta, non potendomi figurare, che quelli soli pochi libri capaci distare in dieci casse di tale
grandezza hauessero duute essere le sole reliquie di cossi famosa libraria, ma ogn'ango-
lo del Palazzo per riseruato, che fosse, sempre si trouò senza libri nè incassati, nè di-
spersi, e mi conuene di ueddere che quella sercè delle dieci casse fosse stata la conserua
della libraria che esisteua in Buda quando fu dato principio ali' Assedio, contro il foca
del quale forssi pensando li Turchi di conseruarla, l'incassarono con tanta diligenza, ed
al coperto di cossi bon uolto la posero, o pure che essendo statti biso-nosi di quella stan-
za per uso di magazeno di tali instromenti, che si risolsero di racogliere nelle casse i li-
bri ed hauere tutto il resto della stanza che a mio credere, ed al dire dell'Alohi duuesse
essere quella della libraria, ad uso delli loro instromenti, e questa mia diligenza fu gior-
ni poi confirmata per giusta da noua ricerca, che per ordine della Corte si fece, e per-
chè alcuni libri di piu, che questi co si lacerati si trouarono.
Tra questo dissipamento dei libri mi tratèni per piu di due ore, cercando sempre
qualche fragmento almeno, se non uolumi manoscritti Greci, ma ne meno una silabe mi
diede alle mani, non trouandone che alcuni pochi latini, ed il maggior numero stampa-
ti, ed in fine confuso d'un cossi ristretto, e miserabile auanzo per il numero e qualità di
tal famosa libraria, pigliai alcuni manoscritti latini, e libri stampati piu per una memo-
ria, ed un testimonio, che quella libraria non fu mai quello ehe la fama decantò, o che
prima del possesso Turco di Buda, duueva essere statta distrutta, giache quella diligen-
za che usarono per questi nell'incassarli, l'hauerebbero fatto per altri di piu, ed in oltre
non si sà che mai hauessero, nè meno lasciato l'accesso a veruno Cristiano nella libraria
durante il loro dominio di Buda, fuorchè quella uo!ta per grazia al Ministro Cesareo,
I I o6 Riappropriazioni, riattualizzazioni
che li sostitui il Bibliotecario che egualmente non trouò che cosa di poco momento, ed
allora ancora si potteua attribuire, che ne fosse statta causa la troppa costodia o gelosia
de Turchi, che gl'hauessero impedita la piena recognizione.
Da questo miserabile ritrouamento della Biblioteca Budense e da tutte l'altre mie
dimostrazioni creddo sempre, che di quella fosse una fama maggiore del uero essere del-
la medema saluo, ch'e li Re successori a Coruino sino all'usurpazione di Solimano di Bu-
da non l'hauessero negleta e dispersa. In tutto non credo ui fossero Soo pezzi di libri
fra intatti, e lacerati, e quelli pochi Che meritorono d'essere conseruati p. l'ordine di
Cesare all'ora spediti al Co: Rabatta Gener. Comissario, non creddo arriuassero a 300
Pezzi, oltre quelli pochi, ch'io racolsi, per me stesso, che secondo il seguente catalogo
déssi non ecedono il N° (Cataglo [sic] segue.) Piu volte stimolai il Peselio di S. M. Ces.
Bibliotecario di uolere publicare un Catalogo, benchè li libri non fossero di tanto mo-
mento, ad ogni modo la Republica litteraria sarebbe statta contenta anche di questa no-
tizia, lo promise, ma hebbe questa cosa la sorte di tante altre che fecce sperare, perchè
poi morse.
Anauseato di cossi improportionato riscontro in un ogetto doue la fama e la spe-
ranza mi haueuano permesso di trouare alla Republica litteraria un thesoro, mi risolsi
di mantenermi nel mio intento di cercare una preda litteraria, e uoltatomi nella Resi-
denza del Gran Paroco Maomettano della Moschea Maggiore, che era la Chiesa di S.
Stefano profanata col nome di Moschea Maggiore, per entrare nella di lui Biblioteca
non hebbi altro ostacolo, che il di lui pozolente cadauero, che mi trauersauva la porta
spogliato di tutte le sue uesti, e solo la di lui libreria scompigliata si, ma però meno del-
la Coruiniana, che li facceuano un rispettoso ornamento. Il cadauere fattosi da me stra-
sinare nella pubblica strada fra tanti altri, m'a p porse il comodo di fare quelli libri raco-
gliere, egualmente di quello, che doppo due anni m'occorse in Belgrado per egual glo-
riosa occasione d'espugnazione di quella Piazza, e che formando un considerabile
numero, presi animo a maggiore radunanza d'essi.
1
AGOSTINO, Con/essiones, r.14.(23).
2
P. COURCELLE, Les fettres grecques en occident, Paris 19482 , pp. 137 sgg.; H.·l. MARROU, Saint
Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1958', pp. 27 sgg. e 63 r sgg.
' w. BERSCHIN, Medioevo greco-latino, Napoli 1989, pp. 39·4!.
' Ibid., pp. 94-96.
I I o8 Riappropriazioni, riattualizzazioni
' Talvolta si è fatto ricorso a questa usanza «medievale» anche in epoca moderna. Due esem·
pi del XIX secolo: il ]oumalgrec di Benjamin Constant non è nient'altro che un diario scritto in al-
fabeto greco, per motivi morali e politici, ma in lingua francese; E. T. A. Hoffmann annotò nel
diario le sue vicende con <<Kiithchen>> in tedesco, ma con lettere greche: G. R. IIOCKE, Das europiii-
sche Tagebuch, Wiesbaden-Munchen 19782 , pp. 166 e 168.
' E. NOLAN e s. A. HIRSCII (a cura di), The Greek Grammar of Roger Bacon, Cambridge 1902,
p. SJ.
7
Per la storia di questa lettera cfr. w. BERSCI!IN, Griechisches bei den Iren, in 11. LOWE (a cura
di), Die Iren und Europa im/riiheren Mittelalter, l, Stuttgart 1982, pp. 504-6.
Berschin Il greco in Occidente: conoscenza e ignoranza 1109
" BERSCHIN, Medioevo ci t., pp. 51 sgg.; T. RADICIOTTI, Manoscritti digrafici grecolatini e latino-
Rreci nell'alto medioevo, in <<Romische Historische Mitteilungen», XL (1998), pp. 49-u8; K. BRE-
IlEIIORN, Codex Waldeccensis, in «Archiv fiir mittelrheinische Kirchengeschichte», LI (1999), pp.
455·514.
' II. SCIINEIDER, Die biblischen Oden im Mittelalter, in <<Biblica», XXX (1949), pp. 486 sg.
10
Roma, Bibl. Vat. Urb. lat. 9·
I I 10 Riappropriazioni, riattualizzazioni
11
a. BISCHOFF, Das griechische Element in der abendliindischen Bildung des Mittelalters, in ID.,
Mittelalterliche Studien, II, Stuttgart 1967, pp. 271 sg.
12
Dosithei Ars grammatica, a cura diJ. Tolkiehn, Leipzig 191 3; Grammatici latini, a cura di H.
Keil, VII, Leipzig r88o, pp. 376·436.
" A. c. DIONISOTI1, Greek grammars and dictionaries in Caro/ingian Europe, in M. w. HERREN (a
cura di), TheSacred Nectaro/ the Greeks, London 1988, pp. 1-56.
•• Sul suo studio della lingua greca si veda da ultimo w. BERSCHIN, Eine griechisch-althoch-
deutsch-lateinische Windrose von Froumund von Tegemsee im Ber/in-Krakauer Codex 4° 939, in Ve·
tustatis amore et studio. Festschri/t Kasimierz Liman, Posen 1995, pp. 22-30.
" BERSCHIN, Medioevo cit., pp. 299 sg.
Berschin Il greco in Occidente: conoscenza e ignoranza I I I I
scenza pratica della lingua greca non era cosa rara. Abbiamo notizia di
una serie di Italiani che tradussero, spesso a Costantinopoli, documen-
ti e libri dal greco 1' . Diviene sempre piu evidente che questi Occiden-
tali che si trovavano nella capitale dell'impero orientale erano coinvol-
ti direttamente nella stesura degli splendidi scritti bilingui destinati al-
le relazioni con l'estero degli imperatori bizantini 17 Per l'Occidentale
che non fosse cresciuto in questo milieu bilingue e che aspirasse ad ap-
prendere il greco non c'era altra via se non lo studio dei codici bilingui
menzionati sopra.
Dopo la conquista di Costantinopoli nell'ambito della quarta crociata
(I 204) iniziò «l'opera missionaria» della Chiesa latina fra i Greci. I nuo-
vi ordini mendicanti dei francescani e dei domenicani fondarono i loro
monasteri in molti luoghi del Mediterraneo orientale. Tuttavia questa
attività di missione in un primo tempo non diede pressoché alcun frut-
to nell'ambito della vita intellettuale, poiché gli Occidentali, padroneg-
giando il latino e la «lingua franca», non ritennero quasi mai necessario
conoscere anche altre lingue. A questo proposito, però, intorno alla metà
del XIII secolo si profilò un cambiamento d'opinione. Il francescano in-
glese Ruggero Bacone (m. I 292 circa) produsse la già menzionata gram-
matica greca, la quale era adatta come introduzione alla lettura del gre-
co. Bacone si sofferma dettagliatamente sull'alfabeto greco, sulla fone-
tica e sull'ortografia; la morfologia è delineata brevemente ed è trattata
in paradigmi facili a ricordarsi; per esercitarsi sono accluse versioni di
testi latini comuni, come il Pater naster e i Cantica. La grammatica di Ba-
cone tuttavia non ebbe alcun pubblico.
I domenicani cercarono di mettere all'ordine del giorno del concilio
di Lione (I274) il tema «Missione e conoscenza delle lingue»; ma que-
sto si avverò poi solo in occasione del concilio di Vienne (I 3 I 2). Qui si
stabili, nel cosiddetto «canone delle lingue», di costituire in ognuno dei
quattro piu importanti studia generalia dell'Occidente - Parigi, Oxford,
Bologna e Salamanca - due cattedre di ebraico, greco, arabo e siriaco;
lo stesso doveva avvenire anche presso la sede della curia romana. I mol-
ti professori coinvolti non dovevano soltanto insegnare la lingua, ma an-
che effettuare traduzioni in latino. A seguito di ciò la curia papale pre-
se ad assumere, occasionalmente, degli insegnanti di lingue (per esem-
pio Barlaam di Seminara nel I342 ad Avignone e Simone Atumano
intorno al 1380 a Roma), e anche a Parigi si ebbero dei tentativi di rea-
18
BERSCHIN, Medioevo cit., pp. 323-25.
" Milano, Bibl. Ambros. A 49 inf.
10
P. DE NOLHAC, Pétrarqueetl'humanisme, l, Paris 1907, p. 159; F. STEI-"FENS, LateinischePaliio-
graphie, Berlin-Leipzig 1929', tav. 101.
21
R. WEISS, Medieval and Humanist Greek, Padua 1977, pp. q6 sgg.
22
Ibid., p. q6.
Berschin Il greco in Occidente: conoscenza e ignoranza I I I 3
0
' PERTUSI, Leonzio Pilato cit., p. 35·
" Firenze, Bibl. Laur. Plut. LII 9, individuato come l'esemplare di lavoro di Boccaccio da o.
IIECKER, Boccaccio-Funde, Braunschweig 1902.
}2 Ibid., p. I J8.
Berschin Il greco in Occidente: conoscenza e ignoranza I I 15
gnante di greco per Firenze, non se la lasciò sfuggire. A partire dal I 397,
infatti, Manuele Crisolora'>, giunto come ambasciatore dell'imperatore
bizantino in Occidente, tenne lezioni di greco. Come ausilio per l'inse-
gnamento egli scrisse gli Erotemata, una grammatica redatta in lingua
greca sotto forma di domande e risposte. Questa divenne il primo testo
didattico per il greco diffuso nell'Occidente latino, soprattutto dopo che
Guarino Veronese, allievo di Crisolora, ne ebbe fatta una rielaborazio-
ne in latino, cosi da poterlo utilizzare anche senza un insegnante greco.
Ancor piu della grammatica del Crisolora fu apprezzata dagli uma-
nisti l'Introduzione grammaticale di Teodoro Gaza (m. 1475). Da Teo-
doro Gaza derivò l'Epitome delle otto parti del discorso di Costantino La-
scaris, il primo libro stampato in greco in Italia (Milano 1476). La pri-
ma stampa di un testo biblico in greco fu un Salterio del 1481. I nuovi
sussidi grammaticali, comunque, soppiantarono solo lentamente la tec-
nica medievale di apprendimento del greco. Cosi l'umanista e generale
camaldolese Ambrogio Traversari (m. 1439), che piu avanti avrebbe tra-
dotto Diogene Laerzio e Dionigi l' Aeropagita, imparò il greco ancora
dal confronto fra testi biblici, procedendo dal familiare Salterio a testi
piu difficili; ed egli raccomandava senza riserve il suo metodoH
" G. CAMMELLI, I dotti bizantini e le origini del/'Umanesimo, l. Manuele Crisolora, Firenze 1941.
" llERSCHIN, Medioevo cit., p. 47·
LUCIA FAEDO
11
R. MAFFEI, Commentariorum urbanorum libri octo et triginta, Roma 1506, p. r6r. Sulla cui·
tura di Maffei e sulla datazione dell'integrazione dei Commentarii vedi v. FARINELLA, Archeologia
c pittura a Roma tra Quattrocento e Cinquecento, Torino 1992, p. 3 r.
12 MAFFEl, Commentariorum cit., p. r82.
11 c. SC!lWlNN, Die Bedeutung des Torso von Belvedere /ur Theorie und Praxis der bildenden Kunst
vom r6. Jahrhundert bis Winckelmann, Bern-Frankfurt 1973; F. HASKELL e N. PENNY, Taste and the
1\ntique. The Lure o/Classica! Sculpture 1500-19oo, New Haven · London r98r, n. Bo, pp. 3II·I4;
K. WUNSCHE, Il Torso del Belvedere. Da Aiace a Rodin, catalogo della mostra Musei Vaticani Glyp·
tothek Miinchen, Città del Vaticano 1998, pp. 50 sgg.
14
Per Atene e Maratona vedi MAFFEI, Commentariorum ci t., p. r 2 3.
11 20 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Figura 2.
.: :L. - ·
Faedo Ricostruire l'arte greca, rappresentare il mito 1 I 25
27
Per la prefazione di Fonzio vedi CAST, The Calumny cit., pp. 206 sg.
28
J. M. MASSING, Erasmian Wit and Proverbio! Wisdom : an Illustra/ed Mora! Compendium /or
François l, London 1995, pp. 70·71, r66.
Figura 4· Miniatura della Calunnia nel manoscrino del Dogma moralium di Guillaume de
Chonches per il duca d ' Angouleme.
r 126 Riappropriazioni , riattualizzazioni
zione tutto privato queste illustrazionF' non ebbero alcun riflesso sulle
successive ricostruzioni dell ' EX<pQaotç. Ma non sarà grande neanche I' eco
dell'intensa Calunnia (fig. 5) che a Firenze, tra 1490 e 1495, Botticelli
dipinse e donò ad Antonio SegnP0 ; di essa, la cui storia anteriore all'ac-
cessione settecentesca nelle collezioni medicee non è nota, si conosco-
no infatti due sole repliche. Nel creare la sua Calunnia il pittore, vero-
similmente consigliato da un letterato, forse lo stesso Fabio Segni che
sappiamo aver composto l'epigramma che completava il dipinto, ha se-
guito alla lettera il testo greco per l'orientamento, la successione e l'ico-
nografia dei personaggi, che ha distinto in tre gruppi: a destra in alto
l'uomo dalle lunghe orecchie, seduto tra le sue consigliere, Ignoranza e
Sospetto; al centro la Calunnia che trascina per i capelli la sua vittima
implorante, accompagnata da Livore/Phtonos, un uomo scarno e palli-
do, e scortata da Frode e Insidia che la agghindano; segue la Penitenza,
che avvolta in vesti scure, mostrando i polsi incrociati in un gesto allu-
,. Vedi anche l'inanimata miniatura di Benedetto Bordon con una ambientazione agreste del-
la Calunnia , comune a tutte le altre immagini del volume illustrato per i Mocenigo, in FA EDO, L 'im·
pronta cit. , p. I 2 fig. 2; MASSING, Du texte cit., pp. 6o, 254 cat. 3.A.
10
O ltre alla bibliografia sopra citata vedi almeno R . UGIIT BOW N, Sandro Botticelli, London
I 9 7 8 , li, pp. 87- 9 0, 92, r 25; sul programma decorativo dell'edificio , G. I.OTSAM , Kunstl',cschichtli-
che Studien zur florentiner Renaissance, Stockholm 1980, pp. 375 sgg.; s . MEI.TZOFF, Botticelli, Si·
gnorelli e Savonarola , Firenze I 9 87, pp. 99- 28 3.
" s. R. MAC KILLOP, Franciabigio, Berkeley· Los Angeles· London 1974, pp. 42 sgg., 135 sgg.
13·
,. Oltre alla bibliografia citata sopra alla nota 22, vedi J. M. MASSING, Nicola da Urbino und Si-
~norelli's lost Calumny of Apelles, in T. WILSON (a cura di),ltalian Renaissance Pottery Papers Writ·
ten in Association with a Colloquium in the British Museum, London 1991, pp. 151 sg.; le discor·
Janzc tra il piatto di Oxford e quello di Amsterdam limitano molto il valore della loro testimo·
nìanza per la ricostruzione della pittura di Signorelli.
" R. FORSTER, Die Verleumdung des Apelles in der Renaissance, in «]ahrbuch der Preussichen
Kunstsammlungen», VIII (r887), p. 36.
•• G. AGOSTI, Precisioni su un<< Baccanale)) perduto del Signorelli, in<< Prospettiva>>, XXX (I 982),
pp. 7} sg.
IIJO Riappropriazioni, riattualizzazioni
allegoriche dedicate ai vizi e alle virtu. È certo la qualità formale del di-
segno veneto, piu che il soggetto, ad aver suscitato poi l'interesse di Rem-
brandt, giacché nella copia che egli ne ha tratto mostra un totale frain-
tendimento delle didascalie, rese come una sequenza di segni del tutto
priva di senso. Il rovesciamento operato da Mantegna nel suo disegno
non è stato avvertito da Mocetto, che, dopo avergli dato un'ambienta-
zione veneziana, forse per riferirlo a una vicenda autobiografica, ne ha
traqo un'incisione che conserva la resa in controparte.
E dall'incisione veneta che tra 1516 e 1518 Baldassarre Peruzzi41
prende lo spunto per un suo disegno (fig. 9) che, svincolato per alcuni
aspetti dalla lettera dell'Excpgamç, adotta però un linguaggio archeolo-
" c. L. FROMMEL, Baldassarre Peruzzi als Maler und Zeichner, Wien-Miinchen 1967-68, pp. 86
sg. n. 49 tav . XXXIVa; MASSING, Du texte cit., p. 274 cat. 6.C.
Figura ro.
Denario di Adriano con la Pudicitia .
I I 3z Riappropriazioni, riattualizzazioni
ne del sole; nelle sue vesti sontuose si è letta una connotazione principe-
sca e, di conseguenza, una presa di posizione in favore dell'autorità co-
stituita. L'affresco di Norimberga apre alla Calunnia le porte dei palazzi
pubblici del Nord e Centro Europa, dove continuerà ad essere raffigu-
rata in forme diverse fino agli inizi del xviii secolo, quando ormai in Ita-
lia non sembra piu suscitare una viva attenzione. Diirer esemplifica un
nuovo modo di rapportarsi all'i!xcpgamç e all'autorità del retore e del pit-
tore greco: il pittore e il suo consigliere intervengono liberamente sulla
composizione antica ampliandola e arricchendola di nuovi significati.
A questa linea si è attenuto a Mantova, nel terzo decennio del Cin-
quecento, anche Leombruno, che per la sua composizione si è ispirato
non solo al Sulla calunnia, ma anche all'lntercenale di Alberti, Virtus
dea, allora attribuita a Luciano e edita con il dialogo in questione . Nel-
la livida tavola dipinta a monocromo (fig. I 3) personificazioni dei vizi
di tradizione mantegnesca si accalcano dietro l'uomo con le lunghe orec-
chie, incoronato, seduto tra una grassa Ignoranza e «Suspecione» ar-
mata. Invidia, una !aida e scheletrita vecchia nuda che porta appesi al
collo tre sacchi coi suoi doni - mala, peiora, pessima- fa strada alla fal-
sa accusatrice e alla sua vittima, che è qui accompagnata dall'Odio; que-
sto ha preso insolitamente il posto di Insidia ed è raffigurato come un
vecchio difeso da elmo e corazza, secondo un'iconografia registrata poi
da Ripa. A capo chino, segue lentamente la Penitenza, impedita dai cep-
" Per il programma messo a punto da Zuccari vedi, oltre alla bibliografia citata sopra alla no-
ta 22, lo scritto del figlio già edito da D. IIEIKAMP, Vicende di Federigo Zuccari, in «Rivista d'Ar-
te», XXXII (1957), pp. 219-21; MASSING, Dutextecit., pp. 197·217, 356 sg. cat. z6.A-D, identi-
fica la tela di proprietà di Zuccari nel quadro della collezione Caetani, e non in quello ad l lamp-
ton Court.
Faedo Ricostruire l'arte greca, rappresentare il mito I 13 7
dro sul fondo, vicino al pittore innocente, ricorda l'iniquità della sorte.
Immagini virgiliane ritornano nella cornice, in cui Zuccari ha dipinto il
cammino di un giovane eroe verso la virtu, concludendolo con una sce-
na di serenità sovrana - il volo del carro di Giunone su un calmo mare
su cui volano gli alcioni - in consonanza con il motto «impavidum fe-
rient» dipinto nel cartiglio sottostante.
L'impeto dell'uomo dalle grandi orecchie, trattenuto da Minerva,
l'impotenza del Furore legato, l'aggressiva, orrida, arpia, cui Zuccari
aveva dato forma, attrassero Rubens assai piu che la ritmica scansione
della fortunata composizione raffaellesca, organizzata con puntuale ri-
spetto dell'excpgamç, che pure egli aveva copiato. Fu infatti alla crea-
zione di Federico, diffusa da un'incisione di Cort del 1572, che il pit-
tore si rifece tra 1618 e 1621 per la rivisitazione della Calunnia che vol-
le dipingere sulla facciata della sua residenza 47 ; ma riproponendo il
gruppo dell'accusatrice che trascina furente la sua vittima inerme egli
volle accrescere la tensione drammatica della scena, rispetto all'inter-
pretazione del suo modello italiano. In questa ripresa dell'opera antica
Rubens ha dato spazio a un'intensa espressività e ha insistito sulla com-
plessità della composizione; la scelta di privilegiare questi caratteri ba-
rocchi, rispetto alla fedeltà all'excpgamç, è particolarmente significativa
per un artista notoriamente dotato di un'eccellente cultura antiquaria e
di un vivo interesse per l'arte del passato.
Ammaestramento esemplare per i governanti e per i giudici, cele-
brazione della vittoria finale della virtu perseguitata, nei conflitti del
mondo, espressione della consapevolezza degli artisti moderni, immagi-
ne antonomastica della pittura antica, il dipinto di Apelle - un pittore
che divenne anche simbolo del riconoscimento del ruolo sociale dell'ar-
tista - ebbe, rispetto alle altre pitture perdute conservate dalle Èxcpga-
oetç, una fortuna senza pari, originata dall'ampio spettro di possibilità
di fruizione dell'allegoria, dalla fama di assoluta eccellenza del suo au-
tore e, in ultima istanza, anche dalla chiarezza icastica del testo che ne
descrive la composizione. Alla fortuna del tema ha contribuito anche
l'interesse suscitato dai grandi maestri rinascimentali che su questo sog-
getto hanno lavorato, e che hanno attivato a loro volta un processo di
imitazione ed emulazione. Il raffronto con la sorte della Famiglia dei Cen-
tauri di Zeusi48 , un idillio bucolico sapientemente descritto dallo stesso
Luciano nel dialogo Zeusi o Antioco, conferma che la fama del pittore
" Le Vite dei pittori antichi, scritte e illustrate da Cesare Dati nell'Accademia della Crusca Lo
Smarrito, alla Maestà Cristianissima di Luigi Xliii Re di Francia e di Navarra, Firenze nella stamperia
della Stella 1667, pp. 23·42.
•• l'AEDO, Immagini ci t., p. 141; non è menzionata da A. BARONI VANNUCCI, ]an van der 5traet
detto Giovanni 5tradano flandrus pietore/ inventor, Milano 1997·
" I versi dicono: «Aspice Zeuxis opus quod fama erat aequore mersum 1 Artifici salvum post
mala fata manu 1lngenia id nostri nam supplent daedala secli 1lngenio quod edax tempus et unda
rapi t»; per Cornelis Kiel vedi w. BOK·VAN KAMMEN, 5tradanusandthe Hunt, Ph. Diss.John Hopkins
University 1977, Ann Arbor 1977, p. 41.
1140 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Figura 15 . La famiglia dei Centauri di Zeusi. Incisione di Jan Collaert su disegno di Stradano.
Faedo Ricostruire l'arte greca, rappresentare il mito 1141
"J. SEZNEC, Essai sur Didero! et l'antiquité, Oxford 1957, p. 45 con bibliografia; FAEDO, L'im·
pronta ci t., p. 41.
"IL TREVELYAN, Goetheand the Greeks, Cambridge 1942, p. 218 con bibliografia; w. SCIIEI·
lllG, Goethes Preisaufgabenfurbi/dende Kunstler, Weimar 1958, pp. 371·77; FAEDO, L 'impronta cit.,
p. 4''
"R. ROSENBLUM, The internationa!Style of rBoo. A Study of Linear Abstractions, New York.
London 1976,pp. 201~.
" s. SETTIS, Citarea su una impresa di bronconi, in «Journal of the Warburg and Courtauld In-
stitllte», XXXIV (1971), pp. 170 sgg.
"J. KOHLER, Der Emblematum liber von Andreas Alciatus (I 492·1550). Eine Untersuchung zur
I I 42 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Entstehung, Formung antiker Quellen un d piicU1gogìsche Wirkung i m r6. Jahrhundert, Hildesheim I 986,
pp. 33 sgg., ma l'elenco delle riprese da Pausania in Alciati è incompleto, manca ad esempio l'Afro-
dite di Elide.
60
Si tratta degli emblemi In statuam Bacchi e In occasionem, nn . '7 e 67 dell'ed . del 1531, per
cui vedi il saggio, talvolta superficiale, di M. A. DE ANGEUS, Gli Emblemi di Andrea Alciato nell' edi-
zione Steyner del r JJI, Salerno 1984 , pp. 106, 238. Per il Kairos Alciati si limita a tradurre Anto-
logia greca, r6. 275.
" 11. MIEDEMA, The term Emblema in Alciati, in «]ournal of thc Warburg and Courtauld ln-
stitute», XXXI (r968), p. 238; A. SAUNDERS, Alciati and the Greek Anthology, in «The Journal of
Medieval and Renaissance Studies >>, XXII, 1 (1982), pp. 2-16; P. LAURENS e F . VUILLEM IER , Entre
Histoire et Emblème.le recueil des inscriptions milanaises d'André Alciat, in «Revue des Etudes La·
tines», LXXII (1994), pp. 221, 232.
"MIEDEMA, The term cit., pp. 236-41; C . BALAVOINE, Archéologie de /'Emblème littéraire·fa
dédicace à Conrad Peutinger des Emblemata d'André Alciat, in M . T . JONES·DAVIES (a cura di), Em·
blèmes et devises au temps de la Renaissance, Paris 1981, p . 12; Il. r. SCII OLZ, The IJJ r Augsburg edi-
tion o/ Alciato's Emblemata, A Survey o/ Research, in <<Emblema», V (199 1), pp. 2 '3 sgg .
Figura r6. Xilografia dell'edizione fiorentina del 1500 delle Stanze per la Giostra del Poliziano.
Faedo Ricostruire l'arte greca, rappresentare il mito 1143
burg del 153 169 la dea che ostentava il pomo della vittoria e accennava a
coprire la sua nudità era rappresentata invece in un paesaggio naturale,
sotto i raggi del sole, presso un pino frondoso, vicino alle sue colombe
(fig . 18); tre anni piu tardi nell'edizione parigina70 , che ebbe il benesta-
re di Alciati, un solenne ambiente a volte accolse la stessa Afrodite sot-
to un baldacchino, unico indizio che rivela nell'immagine una statua di
culto (fig. 19); non un tempio, ma una domestica alcova ospitò poi un'ana-
loga immagine della dea nuda (fig. 20) nell'edizione padovana del 1621 71
Anche nei versi incentrati sull' Athena Parthenos, in cui il nome illustre
del suo artefice è sottaciuto, il messaggio, che concerne qui la custodia
delle vergini, è concentrato nell'animale ai piedi della dea, il serpente che
Pausania dice essere Erittonio: a questo, chiamato da Alciati non anguis
ma draco e detto abitatore dei luoghi consacrati, è attribuita la custodia
•• DE ANGELIS, Gli Emblemi cit., p. 314 n. 99 ; F. G. w. LEEMAN, Alciatus ' Emblemata , Denk-
beelden en voorbeelden, Groningen 1984, pp. 79-81 fig. 121.
70
Ibid., fig . 12 2 ; vedi anche H . GREEN (a cura di), Andreas Alciati Emblematum Fontes Qua-
tuor, namely an account o/ the originai Collection made at Milan 152 2 , and photo-lit /acsimiles o/ the
editions Augsburg 1531, Paris 1534 and Venice 1546, Manchester 1870, emblema n. 106; in SEZ-
NEC, La sopravvivenza ci t., tav . 39, è erroneamente edita come pertinente all'edizione del 1531;
per il parere di Alciati sull'edizione del 1534 vedi KOIILER, Der Emblematum cit. , p. 77·
71
P. M. DALY e v. w. CALLAIIAN, Andreas Alciatus r The Latin Emblems lndexes and Lists, T o·
ronto-Buffalo-London 1985, emblema n. 196.
12
Per l'emblema Custodiendas Virgines, n. 22 nell'edizione del 1531, vedi DE ANGEUS, Gli Em-
/Jiemi cit., p.182; i versi sono citati anche da SEZNEC, La sopravvivenza cit., p. 1,32, dove peraltro
ntm si fa riferimento alle immagini relative.
"GREEN, Andreas Alciati cit., emblema n. 46 (Parigi 15.34). La stessa immagine è riprodotta
in una ristampa l'anno seguente dallo stesso editore Wechel: per questa vedi A. ALCIATI, Emble-
mata, Milano 1989', p. 66.
to» 74 Gli Emblemata, dunque, pur nati come rivisitazione di una forma
letteraria classica, in un milieu umanistico elitario che aveva ritrovato
l'uso romano di scambiarsi versi come doni per i SaturnalFS, e destinati
a dare vita a un genere nuovo di composizione letteraria che congiunge
immagini e parole, conservano tuttavia una forte impronta della tradi-
zione allegorizzante medievale e ne continuano l'approccio alle immagi-
ni mediato da contenuti morali esterni a queste. Tornando all'Athena
Parthenos, merita osservare che nell'edizione del 1550 (fig. 2 3), alle spal-
le della dea, di nuovo in armi, e del drago alato, che anche qui l'accom-
pagna, è raffigurato un tempio a pianta centrale coperto a cupola, con un
peribolo di colonne, assai simile al tempio di Vesta quale sarà rappre-
sentato nel 1615 in un'illustrazione di Ferroverde all'opera di Cartari,
una raffigurazione desunta da una moneta romana 7' ; è quindi possibile
leggere nell'emblema un'evocazione, del tutto appropriata, dell'antico
luogo di culto custodito da sacerdotesse votate alla castità. Il serpente
che accompagna la dea armata perderà l'atteggiamento minaccioso e, ar-
rotolato ai piedi di Atena, assumerà finalmente un aspetto classicheg-
74 Per l'interpreta/io christiana medievale vedi almeno SEZNEC, La sopravvivenza cit., pp. 122-
127; per l'adattamento dei miti all'ambiente monastico e per i versi qui riportati p. 123, dove non
si menziona l'immagine qui discussa.
" BAJ.AVOINE, Archéologie cit., p. 16.
76 ALCIAT, Emblema/a Lyons cit., p. 66; per l'illustrazione di Ferroverde vedi R. L. MACGRATII ,
Tbe o/d an d new illustrations /or Cartaris Imagini degli dei antichi. A study on paper archaeology in t be
Italian Renaissance, in <<Gazerre cles Beaux Arts», LIX (1962), p. 220 fig. 10.
11
SEZNEC,La sopravvivenza cit., pp. 268-3ot. Per l'opera di Cartari e le sue fonti vedi ora il
commento in c. VOLPI, Le immagini degli dei di Vincenzo Cartari, Roma 1996.
"' MACGRATI-1, The o/d and new illustrations cit., p. 216 fig. 3·
Faedo Ricostruire l'arte greca, rappresentare il mito 1149
81
v. CARTARI, Le imagini de i dei degli antichi nelle quali si contengono gl'idoli, riti,cerimonie, et
altre cose appartenenti alla religione de gli antichi nuovamente stampate, Venezia 1571, p. 180 tav.
XXVI; VOLPI, Le immagini cit., p. 201.
Figura 24. Era Argiva, scultura criselefantina di Policleto descritta da Pausania, e Giunone,
descritta da Marziano Capella.
I I 50 Riappropriazioni, riattualizzazioni
'" SEZNEC, La sopravvivenza cit., pp. 350-59, ha una visione meno articolata dell'intervento
progettuale di Annibal Caro rispetto alla convincente lettura di c. ROBERTSON, Annibal Caro as ico-
nographer, in <•Journal of the Warburg and Courtauld lnstitute», XLV (1992), pp. 16o-81.
" c. ROBERTSON, I Carracci e l'invenzione Osservazioni sull'origine dei cicli affrescati di Palauo
Fava, in «Accademia Clementina, Atti e Memorie» n.s., XXXII (1993), pp. 272-96 con biblio-
grafia precedente; diverse erano le ricostruzioni delle fonti in s. OSTROW, Note sugli affreschi con
Storie di Giasone in Palazzo Fava, in «Arte antica e moderna», IX (1960), pp. 68-74; M. L. PAGLIARI,
Per l'esegesi del ciclo di Giasone, in Bologna 1584. Gli esordi dei Carrocci e gli affreschi di Palazzo Fa-
va, Bologna 1984, pp. 192-95.
,. ROBERTSON, Anniba/Caro cit., p. 175·
JOSEPH RYKWERT
A proposito di Serlio si veda c. TIIOENES, Sebastiano Serlio, Milano I989; non vi è stata per
lungo tempo una monografia o una biografia a lui dedicata e dunque si veda ancora A. BOLOGNINI
AMORINI, Elogio di Sebastiano Serlio, architetto bolognese, Bologna I 82 3, e L. CIIARVET, Sébastien Ser·
/io, Lyon 1869. Fra i suoi sei o sette libri, il quarto fu il primo ad essere stampato a Venezia nel
•537. ma egli aveva pubblicato alcune incisioni degli ordini nel I528. Cinque libri vennero pub-
blkati per la prima volta insieme a Venezia nel I 55 I, per poi uscire in francese (1551), in latino
( 1 568), in tedesco (I6o8). La versione latina fu la base per la celebre edizione olandese (Amster-
Jam t6o6), sulla quale si fondò, a sua volta, la traduzione inglese (Londra I6I I). Una lista delle
cJizioni è fornita da}. B. Bury in THOENES, Sebastiano cit., pp. roo sg.
I 154 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Figura I.
l cinque ordini dell'architettura.
~
.l,.,
Rykwert L'architetto e la colonna : il modello greco e la modernità 1155
GREGOROVIUS , Geschichte des Stadt Athen ìm Mìttelalter, rist. Mlinchen 1980, pp. 5 33 sgg.
l'igura 2.
10
B. REKERS, Benito Arias Montano, London 1972, e c. SANCIIEZ, Per/il de humanista: Benito
Arias Montano, lluelva 1996.
11 Sulle fonti e sull'immediata influenza di questo tipo di esegesi si veda A. FUCilE e v. MAR-
TIN (a cura di), Histoire de l' Eglise depuis !es origines iusqu'à nos ;oun, XIX. Les luttes politiques et
doctrinales aux xvrf et xvnf siècles, a cura di A. Predio e E. Jarry, Paris 1956, pp. 710 sgg. [trad.
it. Torino 1975]; 11. JEDIN e J. DOLAN, History of the Church, New York 1980-82, IV, pp. 99 sgg.,
in particolare nota 1 1. Spesso sottovalutata in questo contesto è l'importanza capitale assunta dal
Tractatus theologico-philosophicus, che usci per la prima volta nel 1670. Sulla visione critica di Si-
mon a proposito della ricezione del testo e della natura della tradizione si veda J. LE BRUN, 5ens et
portie du retour aux origines dans l' wuvre de Richard 5imon, in « Dix-Septième Siècle>>, I 3 I (aprile-
giugno I981).
1160 Riappropriazioni, riattualizzazioni
12
RYKWERT, On A®m's House cit., p. 129.
0
Jacob Spon, lionese di famiglia tedesca e protestante, aveva preso il suo dottorato in medi-
cina alla Sorbona nel 1667. Nelr67 4 aveva poi intrapreso il tour dell'Adriatico ed era giunto a Ro-
ma, dove, l'anno seguente, aveva incontrato George Wheeler. I due avevano iniziato a viaggiare
insieme per la Grecia, raccogliendo materiale, facendo misurazioni, annotando i particolari piu in·
teressanti. L'interesse principale di Spon era per le medaglie e le iscrizioni, ma egli visitò attenta·
mente anche alcuni monumenti architettonici e ne prese talvolta le misure. Wheeler invece era so-
prattutto uno studioso di botanica e di storia naturale. Si veda R. w. RAMSEY, Sir George Wheeler
and bis travels in Greece, r650·I724, in ~Transactions of the Royal Society of Literature of the
United Kingdom», n.s., XIX (1942), pp. 1-38.
Figura 5·
Il Partenone secondo Jakob Spon.
Rykwert L'architetto e la colonna: il modello greco e la modernità u6x
" Johann Bernhard Fischer (il titolo lo acquisi molto piu tardi) si era guadagnato una buona re·
putazione a Roma e aveva lavorato per il viceré di Napoli: era già un famoso «virtuoso>> nel I688,
quando fece ritorno dal suo apprendistato italiano. Maestro in architettura per il re d'Ungheria (I 689),
egli terminò il primo progetto per il palazzo imperiale sulle colline di Schonbrunn nel I69o. Il suo li-
bro usci pochi anni prima della morte, con un testo in francese e in tedesco molto elaborato dal pun-
to di vista della stampa; fu anche ristampato piu volte, due volte con una traduzione inglese.
" William Whiston, l'astronomo portavoce della teologia ariana, esi bi un modello del Tempio
di Gerusalemme a Bath nel I726 e nel I728, mentreJohn Wood arrivò a Bath nel I726. Si veda T.
Mowr., ]ohn Wood, Architect o/ Obsession, Bath I988. I due libri di Wood che sintetizzano le sue
idee sono: The Origin o/ Bui!ding: or the Plagiarism o/ the Ancients Detected, Ba t h I 7 4 I, e An Essay
towards a Description o/ Bath, Bath I 749· Sebbene le teorie di Villalpando fossero ben conosciute
nel xvn e xvm secolo, se non altro grazie a Parallèle de l'architecture antique et de la moderne (Paris
r65o) di Fréart de Chambray, pochi trassero lo stesso genere di conclusioni che elaborò Wood.
r r6z Riappropriazioni, riattualizzazioni
Figura 6. Il Partenone.
Rykwert L'architetto e la colonna: il modello greco e la modernità II63
18
La natura degli edifici, all'inizio del xvm secolo, non era assolutamente chiara: venivano
descritti come «teatri» e uno di essi come <<ginnasio». Nel luglio del 1740 Ferdinando Sanfelice,
coinvolto nella costruzione degli edifici secondari di Capodimonte, propose di utilizzare, per ri·
sparmiare, le colonne del sito di Paestum. Alcuni scrittori pensavano che le colonne fossero di mar·
mo, probabilmente per analogia con quelle portate a Salerno da Roberto il Guiscardo. Si veda P.
LA VEGLIA, Paestum, dalla decadenza alla riscoperla fino al r86o , Napoli 1971, pp. 40 sg.
" L'artista vide alcune stampe di Paestum prima di compiere il viaggio decisivo che lo con-
dusse a Napoli e nell'Italia del Sud; poco dopo mori. Suo figlio Francesco, che lo accompagnò, pub-
blicò le incisioni (con alcune brevi note e didascalie in francese): << Différentes vues et quelques re-
stes de trois grands édifices qui subsistent encore dans l'ancienne ville de Pesto, autrement dit Po-
seidonia ... », Roma, aprile 1778: H. FOCILLON, Giovanni Battislil Piranesi, Paris 1918, pp. 120 sgg.
(nn. 583-99 del catalogo) [trad . it. Bologna 1967]; vi sono tre tavole di Francesco, una delle quali
mostra un fusto in travertino: «qui semble plutòt appartenir à l'ordre toscan qu'au dorique ... » Si
veda G. BRIGANTI, Paestum and View Painting of the Eighteenth Century, in J. RASI'! SERRA (a cura di),
Paestum and the Doric Revivali7JO·I8Jo, Firenze 1986, pp. 57 sgg.; J. WILTON·ELY, The Mind and
Art o/ Giovanni Battislil Piranesi, London 1978, pp. 1 17 sgg. [trad . it. Milano 199 4].
20
La Storia originale (Geschichte der Kunst des Altertums) fu pubblicata in tre volumi a Dresda
fra il 1764 e il 1767, e venne spesso ristampata. La prima traduzione francese , flistoire de l'art chez
Figura 8.
Il tempio di Posidone a Paestum.
Rykwert L'architetto e la colonna: il modello greco e la modernità 1165
!es Anciens, usd ad Amsterdam nel1766; venne poi ritradotta nel 1789, mentre una nuova edi-
zione venne pubblicata nel 1790. La prima traduzione in italiano, Storia delle arti e del disegno pres-
so gli Antichi, usd a Milano nel1779, anche se di molto superiore fu la versione uscita a Roma nel
1783-84, a cura di Carlo Fea. La traduzione inglese, ad opera di G. li. Lodges, venne pubblicata
a Boston nel 1849 e a Londra nel185o. Oltre a ciò, l'opera precedente alla Storia, Gedanken uber
die Nachahmung der Alten (Dresda 1756, con l'aggiunta di altri interventi minori), venne tradotta
in inglese con il titolo Re/lections on the Paintings and Sculpture o/ the Greeks, grazie al pittore e uo-
mo di lettere anglo-svizzero llenry Fuselli o Flissli (Londra 1765).
21
Per la trasformazione nella struttura del Panthéon, e per le reazioni di Soufflot alle criti-
che, si veda M. PETZET, Souf/lots Sainte-Geneviève und der Franziisische Kirchenbau des rS .]ahrhun·
derts, Berli n 1961. Cambiamenti radicali sono visibili in una stampa del1764 e ce ne furono altri ,
Figura 9·
) .-G. Soufflot, Progetto dell'Hotel Marigny in Faubourg St·Honoré (Parigi) .
1166 Riappropriazioni, riattualizzazioni
gli ultimi dei quali vennero attuati poco prima che Soufflot morisse. Sul <<capriccio>> di Hagley si
veda J. M. CROOK, The Greek Reviva!, London 1972, pp. 96 sgg.
21
w. IIERMANN, Laugierand Eighteenth-century French Theory, London 1962, pp. 44 sgg.
" Sulla dimora dorica di Marigny, opera di Jacques Soufflot, uno dci membri del seguito, si
veda J. RYKWERT, The First Moderns, London 1980, pp. 419 sgg. [trad. i t. Milano 1986].
Rykwert L'architetto e la colonna: il modello greco e la modernità I 167
Figura 10.
Karl Friedrich Schinkel, Altes/Neues Museum (Berlino).
1168 Riappropriazioni, riattualizzazioni
"G. w. F. IIEGEL, Estetica, a cura di N. Merker, Milano 1963, pp. 890 sgg.
'"F. w. J. VON SCIIELLING, Werke, Tiibingen 1856-61, V, pp. 488 sgg.
I I 70 Riappropriazioni, riattualizzazioni
"A. SCilOPENilAUER, l/mondo come volontà e rappresentazione (1859), Milano 1989, pp. 311
sgg., 1273 sgg.
Rykwert L'architetto e la colonna: il modello greco e la modernità I I 7I
10
J. RUSKIN, TheStones o/Venice, London 1851, I, pp. 14, 275, 359 sgg. [trad. i t. parziale To-
rino 1932].
11
K. o. MULLER, Geschichte hellenischer Stiimme und Stiidte, Breslau 1844' Sul valore sacro del-
la sua missione personale si veda in particolare il vol. II, pp. v, IX sgg. Sulla sua figura si veda A.
MOMIGLIANO, Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1980, pp. 48
sgg., e, con toni piu accesi, M. BERNAL, Black Athena, l, New Brunswick 1987, pp. 308 sgg.; II,
1991, pp. 72 sgg., 177 [trad. it. Parma 1991·94].
1 f7 2 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Figura 11.
Antoni Gaudf, lpostilo dorico nel Parco Gi.iell (Barcellona).
Rykwert L'architetto e la colonna: il modello greco e la modernità I I73
se, l'Efesteo, per ospitare il Teseo di Canova, mentre nei pressi di Mo-
naco Leo von Klenze eresse un sacrario in stile dorico per gli eroi na-
zionali tedeschi, il V alhalla.
Nella prima metà del xx secolo vi furono numerosi architetti, ai qua-
li pensiamo come ad avventurosi e originali innovatori, che utilizzaro-
no tutti, pur essendo fra loro profondamente diversi, le colonne greche
nei loro progetti: An toni Gaudi (fig . I I), Peter Behrens, Gunnar
Asplund, Adolf Loos. Forse Gaudi non ha mai letto Burckhardt, ma
Behrens, Asplund e Loos probabilmente si: in ciò che essi scrissero e di-
segnarono è evidente l'influsso del suo modo idealizzato e astorico di
concepire l'ordine dorico, cosi come nell'opera di un altro svizzero, apo-
logo delle linee bianche, idealizzate e cristalline, Le Corbusier. La sua
descrizione dell'acropoli ateniese in Vers une architecture, il suo libro piu
importante, ancora letto dagli studenti di architettura di tutto il mon-
do, è un peana alla bellezza delle colonne doriche del Partenone; solo
una semplice menzione invece per l'Eretteo, a colonne ioniche, o per il
tempio di Nike" Il mentore di Le Corbusier, Auguste Perret, un pio-
niere del cemento armato, aveva un approccio un po' diverso all 'eredità
antica. Gli era nota la vecchia idea in base a cui l'antico ornamento in
pietra imitava la costruzione in legno e vedeva per questa ragione l'in-
tima relazione fra il legno e il calcestruzzo (che viene versato in una cas-
" LE CORBUSIER (CH.-E. JEANNERET) , Vers une architec/ure, Paris 1923 , pp. 16 5 sgg. (trad . Ìt.
Milano 197 9 ].
Figura I 2.
Auguste Perret, Théatre des Champs Elysées (Parigi).
1174 Riappropriazioni, riattualizzazioni
saforma di legno, le cui «impronte» poi porta per sempre) come un'oc-
casione di ricreare una nuova base razionale per l'architettura classica'4
Il suo Thé:itre cles Champs Elysées a Parigi (fig. 12), impreziosito dalle
sculture di Bourdelle e dalle decorazioni pittoriche di Maurice Denis,
divenne un manifesto del nuovo classicismo, sebbene avesse anche ospi-
tato le molto rumorose prime rappresentazioni della Sagra della prima-
vera di Stravinskij (1913), un'opera certo non in armonia con lo scena-
rio che ne ospitava l'esecuzione.
Per tutto quel periodo gli edifici sede di istituzioni o di attività com-
merciali vennero costruiti sulla base di un classicismo commerciale e
pompier che riprendeva i modelli stilistici dai manuali del XIX secolo. Al-
la metà del xx secolo questa moda era già praticamente tramontata,
quando le inclinazioni dei committenti, sia pubblici che privati, si vol-
sero a una versione della modernità «preconfezionata» (alimentata dai
seguaci di Mies Van der Robe). Ci fu un improvviso quanto breve revi-
val sotto l'etichetta del «post-modernismo>> nell'ultimo quarto del xx
secolo, e ancora oggi lo stile classico viene adottato negli edifici di una
certa altezza in Cina, nel Sud-Est asiatico o in India, ma si tratta di una
parodia scadente e pretenziosa dell'architettura antica. Ad ogni modo,
questa parte dell'eredità del passato continua ad affascinare architetti e
disegnatori giovani e seri, che ora sono molto piu interessati alla storia
e alle idee che ad essa si accompagnano, mentre l'imitazione dei manuali
non riveste per loro alcuna attrattiva.
•~ Sul «classicismo>> del cemento di Perret si veda J. AllRAM, Perret et l'Eco/e du classicisme
structurel, Nancy r985.
GIOVANNI MORELLI
I585 [3 marzo] Edippo tiranno [tragedia; cori; in trad. versale it.]- Orsatto Giusti-
niani. Andrea Gabrieli
una relazione che funge da prova d'esistenza della musica europea, mo-
derna, buona, riformata, elevata nel «gusto» ...
Come a tutti i conteggi rispettabili conviene, però, che la nostra li-
sta muova da un convincente punto d'avvio, e di conseguenza anche un
punto di chiusura, entrambi sufficientemente emblematici.
Nel caso che sto per sviluppare qui, l'illustre emblematicità dell'ini-
zio della conta viene associata alla creazione storica, e anche celebre, di
un monumento ideale di multi-inventività «moderna» innalzato a una
sfera di assoluti categoricamente immaginari che piu che greci vorrei
chiamare «grecissimi», qual è l' «Olimpico» vicentino: il teatro di Pal-
ladio e Scamozzi. Un momento capitale di re-invenzione umanistica di
una idealissima spettacolarità greca - tutta finta, tutta tradotta - se-
condo il canone pluri-artistico della sua edipica inaugurazione scenica'.
1
Per ottenere una visione ben dettagliata del complesso delle vicende inaugurali dell'Olirnpi·
co si veda s. MAZZONI, L'Olimpico di Vicenza. un teatro e la sua perpetua memoria, Firenze 1998.
Per un inquadramento storico del complesso degli eventi artistici dell'inaugurazione collocati nel
contesto della vita musicale veneta si consideri il I torno dell'edizione nazionale delle opere di An-
drea Gabrieli (Introduzione storico-critica, a cura di G. Benzoni e D. Bryant, Milano 1988), e an·
che, nella loro ampia articolazione, gli atti del convegno Andrea Gabrieli e il suo tempo (Venezia,
16·18 settembre 1985), a cura di F. Degrada, Firenze 1987. Per la conoscenza del testo critico de-
gli originalissimi cori sofoclei di Andrea Gabrieli si dispone sia di una storica edizione pubblicata
dal CNRS francese nella collezione «Les chceurs des Muses» nel 1960 (La répresentation d'Edipo
Tiranno au Teatro Olimpico, a cura di L. Schrade, Paris 1960) che della piu recente, ultima fatica
di N. Pirrotta: A. GABRIELI, Chori in musica composti sopra li chori della tragedia di Edippo tiranno:
recitati in Vicenza l'anno r585 con solennissimo apparato, Venezia 1588, rist. Milano 1995 (in ap-
pendice la riproduzione in facsimile del libretto di Edipo tiranno). In entrambe le versioni i cura-
tori hanno ricostruito la parte del sesto, andata irrimediabilmente perduta.
gressi, pur senza volere, nel fare tale operazione limitativa, una qualsiasi
forma di limitazione effettivamente «ragionata».
Per affrontare l'abbozzo dei lineamenti di una cronologia di relazioni
esplicite, o meglio tematiche, fra la creazione musicale moderna e la gre-
cità, ovvero fra la creazione musicale moderna e i suoi omaggi alla «im-
pronta greca», ovvero all'idée fixe della Grecia, al «pensiero alla Grecia~>
ecc. partirò, dunque, dal 1585, da un grande momento «occasionale», con
i cori gabrieliani per l' Edippo tradotto inauguratore dell'Olimpico; per fi-
nire, in bellezza, con un discreto effetto di attualità che, nello stesso spe-
cifico, si sviluppa accanto all'ultima ri-creazione «d'autore» dell'Odissea,
affrontata da Luciano Berio (Outis)' per il Teatro alla Scala, nel 1996.
Mentre scorre la lista, do avvio allo schizzo di una lettura proble-
matica, interpretativa del dichiaratissimo amore della musica moderna
europea per la Grecia. Una problematica che spero di aver dotato, con
tante chiamate all'appello (data, titolo, poche informazioni accessorie -
rare-, nome del poeta, nome del musicista), di una incorniciatura te-
stimoniale, comunque ridondante, della rilevanza macroscopica di un
solidissimo fenomeno di storia culturale.
' Première 5 ottobre 1996: il libretto di Luciano Berio e Dario Del Corno e alcuni saggi illu·
minanti dello stesso compositore, del librettista e di David Osmond·Smith (Mor/ologia di un viag·
gio, Dei suoni e delle immagini, Teatro senza narrazione e Nessuno) sono pubblicati nel programma
di sala (Outis, Teatro alla Scala, Milano 1996). Nelle dichiarazioni di intenti dell'autore (Del Cor-
no) si richiama l'eventualità che il ri-uso classico della favola sia «forse>> un buon «antidoto per la
preconizzata morte del teatro in musica».
Ove la si commentasse, anche poco poco, vuoi punto per punto, vuoi
classe per classe di pertinenza, vuoi periodo per periodo, una simile li-
sta non potrebbe generare, forse, nient'altro che un'ombrosa impresa
analitica, traballante e molto azzardata, destinata a non produrre altro
che, almeno dapprima, comunque, poche erratiche idee, erratiche e ben
poco coerenti; non di certo comunque qualcosa di autorizzato a trova-
re degno spazio in questa sede.
Quel che si può fare, preso atto del gran dispiegamento nominale di
tanti temi greci, o pseudo-greci, coinvolti in tante manifestazioni di crea-
zione musicale, differentissime per pregio e notorietà, è valutare l'op-
portunità di chiedersi perché i musicisti questa cosa l'abbiano fatta con
tale e tanta insistenza.
Non potrò procedere che per tentativi.
Ciò detto, credo che si possa dar luogo alla escussione di una casi-
stica di queste elaborazioni del lutto del tempo fuggente in immagini
fuggenti del ritorno del tempo fuggito talmente fitta da divenire alla fi-
ne anch'essa «quasi una Storia».
... i Greci sono stati grandi in tutto, in musica come in letteratura, pittura, poe-
sia, architettura. [ergo] solo grazie a un gran gusto per l'antico, e alla osservazio-
ne penetrante dei processi creativi, semplici, veri e nobili dei Greci, gli artisti mo-
derni potranno aspirare ad attribuire alle loro opere il <<cachet dell'immortalità»'
'J.·F. LESUEUR, Observations sur /es grandes parties de la musique et de la poésie chantée, Paris
1799. Su Jean-François Lesueur (q6o·1837) vedi J. MONGRÉDIEN, La musique en France des Lu·
mières au Romantisme, Paris 1986; ma anche, piu approfonditamente, m., ]ean-François Lesueur,
contribution à /'étude d'un démi-siècle de musique française, Berne· Las Vegas r98o; ID., Catalogue
thématique de /'a~uvre complète de f.·F Lesueur, New York 1980.
7
A. PLANELU, Dell'opera in musica, Napoli 1772, nella recente edizione commentata e anno-
tata di F. Degrada, Firenze 198 1.
7. Innovazioni che passano per calchi e imitazioni, ma che non sono mai
né calchi né imitazioni.
Il nuovo linguaggio musicale, che non senza una certa quale arguzia
involontaria la candida storiografia musicale ha chiamato «classico», ov-
vero «stile classico», ecc., è un modo efficace di rappresentare l'antico
con il moderno, pari pari qual è, qual è divenuto, il moderno, quale sta
mutando nell'atto stesso della sua rappresentazione.
Si veda infatti come l'ipotetico «ritorno alle origini» sia spesso affi-
dato alle connotazioni «sbalzate» di alcuni tratti di tipicità ricorrente,
un po' codificata alla maniera delle citazioni iconologiche dell'antico,
perpetrate nelle arti visuali (tipo il gioco sfondo/figura nell'iconografia
dei vasi greci), non senza indulgere al portar tutto in un ordine di legi-
ferazione del gusto che coordina la determinazione di un vero e proprio
sistema-moda, in specie nelle connotazioni strumentali (preferibilmen-
te quelle «auletiche»: rimembranze delle antiche canne e degli auloi, os-
sia, trasdotti: oboi, clarinetti, flauti ... ). Le quali proprietà connotative
si insinuano nei testi della musica piu «classica» raggiungendo posizio-
ni in cui s'annicchiano le figure simboliche-simbolistiche del dettaglio-
facendo prolungare ad esempio, sempre piu di frequente nei drammi mu-
sicali, agli strumenti auli-formi le sonorità umane della parola cantata,
le quali vengono lanciate in dissolvenza verso altre sonorità di incerta,
mistica, immemoriale provenienza ambientale, ovvero dando spessore
sonoro e suono «antico», ben sincronizzato, a gesti e movimenti sceni-
Deriva da tutto ciò una serie di penose perdite: la perdita del fasci-
no persuasivo del pensiero, la perdita della grazia del saggio giudizio e
dell~ qualificazione delle idee.
E interessante notare come a dar seguito a questa patetica deplora-
zione, accigliata e disfattista, il padre dell'Enciclopedia auspichi una fa-
cile riconquista del vigore e del primato da parte delle arti che sanno
toccare le corde della sensibilità, ed è altresi interessante notare come
preconizzi l'avvento della palingenesi, ossia della «rivoluzione», nelle
forme dinamiche di un grande giro di ritorno etico-classicistico, del qua-
le s'adombra una sorta di affidamento «professionale» alla perizia e al-
la passione di nuovi geni creativi, indifferentemente musicisti o poeti,
con il musicista però, forse, in pole position: «Solo un grande musicista
- va a finire la profezia del principe dei philosophes - o un grande poe-
ta lirico potrebbero rimediare a tanto male». Indi va a proporre uno
slogan, ovviamente trinitario, che suona: «Natura! Verità! Anti-
chità! >> 8 •
Che le cose del ritrovamento a portata di mano di un prodotto arti-
stico di valore classico siano a buon punto lo va credendo, a un certo
punto della sua carriera di generoso tragediografo che cede il passo nel-
la corsa alla qualificazione ai musico-tragedi italiani che battono l'Eu-
ropa con le loro opera-drammi lirici, Voltaire quando a varie domande
che si pone risponde con bonario ottimismo:
• D. DIDEROT, <Euvres complètes, ed. Lewinter, Paris, 1970; l'esclamazione d'appello trinitario
è in III, p. 57 .
Dove cercare mai un teatro che ci renda l'immagine della scena greca? Dove?
Odo ancora la domanda: un'Opera italiana rassomiglia a una tragedia nel Tea-
tro d'Atene?
Si, rispondo, sf, senza alcun dubbio. Il recitativo italiano che declama sulle no-
te, accompagnato da strumenti, rifà la vera, naturale melopea degli antichi!'
Nei primi decenni di vita del teatro musicale moderno (ossia il pri-
mo periodo, secentesco, del cosi detto melodramma, alla greca) la di-
scendenza del dramma musicale da vaghi modelli antichi, che vantava
d'essere inscritta per l'appunto nella sua stessa denominazione, era sta-
ta attribuita soprattutto ad alcune modalità <<esteriori» della scrittura
drammatica, fra le quali in primis era l' aulicità sempre garantita degli ar-
gomenti, preferibilmente mitologici, ovvero «miticamente storici»: co-
me «argomenti e antefatti» dei quali erano state ricalcate, non senza co-
spicue variazioni, le allures piu intricate e complesse.
Nelle fasi evolutive successive alle prime performances l'intento pro-
grammatico era andato cambiando di segno: concepire e creare in vista
del modello classico andava significando in maniera sempre piu esplici-
ta la ricerca di un senso della sacralità dignificata dalla evocazione di un
immaginario essenzialmente, patentemente alieno, significativamente
<<altro» dall'immaginario sacro-cristiano. Evidentemente ricerca di un
immaginario orientato alla conservazione e al restauro, apparenti, di me-
morie di civiltà remote, di fatto un immaginario impegnato a trascina-
' Appel à toutes /es nations de l' Europe des ;ugements d'un écrivain anglais ou Manifeste au su;et
des honneurs du pavillon entre /es Théatres de Londres et de Paris, I 761.
10
Se ne veda I' epico sviluppo nella rigogliosa Risposta che ritrovò casualmente nella gran città di
Napoli il licenziato Don Santigliano di Gilblas y Guzman y Tormes y A/farace di Ranieri Calzabigi
che occupa la grandissima dimensione polemica di quasi duecento pagine nella moderna edizione
critica degli scritti teatrali e letterari del Livornese pubblicata da A. L. Bellina (R. CALZABIGI, Scrit·
ti teatrali e letterari, Roma 1994, pp. 360·551).
11
Cosi si esprime Calzabigi per bocca di Gluck, prefatore nell'edizione a stampa dell'A/ceste
in parti tura (Vie nn a 1769): «Quando presi a far la musica dell'A/ceste mi proposi di spogliarla af-
fatto di tutti quegli abusi, che introdotti o dalla malintesa vanità de' cantanti o dalla troppa com-
piacenza de' Maestri da tanto tempo sfigurano I'Opera ... pensai di restringer la musica al suo ve-
ro ufficio di servire la poesia per l'espressioni e le situazioni della favola senza interrompere l'azio-
ne o raffreddarla».
vrapposti a quelli della poesia, della lirica, del racconto, del dramma in-
tonato. Altri stati, infine, di emozionalità aliena e ineluttabile. Altri sta-
ti della personalità focalizzati dal dramma come essenzialmente « tragi-
ci», indipendentemente dalla seriosità dei racconti, o delle espressioni,
e in specie tragici nel senso espresso dalla presenza di potenzialità di svi-
luppo delle azioni sovrastate da un altro ordine, incognito e non verba-
le ma concomitante e sincrono, sottratto attivamente alla giurisdizione
di ogni singolo eroe o personaggio e messo al centro di una favola piu o
meno convissuta emozionalmente dal pubblico: l'ordine delle sonorità
assolute).
Non è facile, neppur oggi, anche alla grandissima distanza, distin-
guere se questa disposizione a intendere il progresso stilistico come una
ritrazione, up.a riduzione quasi auto-punitiva alle ragioni superiori del-
la naturalezza la piu semplice e la piu vera, sia stata o meno una diver-
sione, quasi capricciosa, eretistica, isterica, da un cammino linguistico
evolutivo, indisponibile ad essere interpretato in prospettiva retrover-
sa, o non piuttosto l'espressione necessaria e attuale di un quadro dina-
mico-espressivo della modernità. (Già molto presto, nel 1787 del Viag-
gio in Italia, Goethe sembrava, appoggiandosi sull'autorità a suo parere
avversa a una svolta radicale neo-classica di un Mozart ancora vivente
e al momento ancora trentunenne, avvertire come cogente l'opportunità
di un altro ripensamento attraverso Mozart della poetica del simplex et
unum: «Sono andati già perduti, all'apparire di Mozart, tutti i nostri
sforzi volti a confinarci in ciò che è tutto semplice e tanto esplicitamente
limitato»).
Giuseppe II con Maria Josepha di Baviera (in effetti Coltellini, calza bigiano temperato, contami·
na il soggetto classico con diverse allusioni barocche o comunque mitologicamente molto impure e
miste: Medea, Armida, Alcina, Didone ecc.).
" F. x. NIEMETSCHEK, Leben des K. K. Capellmeister. Wolfgang Gott/ieb Mozart nach Originale-
Que/len (Praga 1798), trad. it. Torino 1990, p. 54·
1 2. Bravi i morti! 16
Questa situazione, in cui finirà per spiccare, prevalente, il valore as-
soluto dell'autonomia auto-espressiva delle forme musicali soprattutto
strumentali (non compromesse da diretti rapporti con la verbalità/scrit-
tura della parola/verso/vocalità), specie di quelle grandi «forme» (sona-
ta, sinfonia ecc.) che sembrano «tradurre» in sensibili esperienze i di-
segni di una teoresi e di una filosofia metafisica che, una volta raggiun-
to il fine di essere perfettamente interpretata dalle piu elette sonorità
musicali, sembra ridiscendere, quasi istantaneamente, dal suo inacces-
sibile cielo per intrattenere, sia pure un po' didascalicamente, il tempo
dei mortali. Mentre intrattiene in tal senso e in tal modo il tempo dei
mortali, col fine magnanimo di elevarla, poi, quell'udienza di mortali
che riescono ad essere spersonalizzati, metamorfosati dal tocco della mu-
16
Il titolo di questo paragrafo è prestato, un pb' esornativamente, dal diario italiano di Goethe,
Venezia, 5 ottobre, notte: «di ritorno dalla tragedia [forse, verosimilmente un'opera, di adultera-
to soggetto tragico-greco]. La maggior parte delle situazioni è nota: due padri che si odiano e figli
e figlie che si amano; scene selvagge e crudeli con i padri che in funzione del lieto fine si infilzano
a vicenda. Applausi, grida di: fuori!, inchini. Pubblico che continua a gridare: i morti! i morti!
Uscita per il ringraziamento speciale dei due personaggi morti. Avendo alcune voci gridato: Bravi
i morti! questi due furono trattenuti a lungo dagli applausi: con bravo! E bravi! i Veneziani san-
no complimentarsi, anche coi morti, soprattutto coi morti>>.
sica e trascinati via sulle ali dei suoi canti assoluti sino alle sfere degli
indefiniti e immortali modi di essere nel mondo e nel sopramondo, la
musica viene ad essere molto facilitata, cosi, nell'impresa di affermare
il valore - non meno assoluto di quello delle opere - della figura
di/dell'«autore». Ossia la figura di quel pilota che ha ben tenuto la gui-
da di questo viaggio o pellegrinaggio del comune «umano» nelle sfere
piu riservate della metafisica.
In questa temperie di suggestioni indiscutibilmente «classiche» l'au-
tore si tramuta infatti a vista da «autore che è anche interprete, ossia,
alla tedesca: un [bravo] Musikant» (e che vive la sua esperienza creativa
nel contatto immediato, presente, compresente, con un pubblico di
«gentiluomini che si intendono fra loro, di buon accordo, su cosa sia il
Bello»), in un soggetto trans-temporale, preferibilmente morto, tutto da
esumare e tutto da interpretare; escluso da ogni contingenza d'assecon-
damento di contingenti gradimenti, aspettative, piaceri. (L'obbligo
«classicista» della performance «archeologica»- magari con tanto di do-
vuto «scavo»- si adempie non sul vero modello antico, che nessuno sca-
vo ha mai portato alla luce, ma sull'autore, sempre riesumato o, se non
morto, trattato da morto esumato).
Se questa è la via sulla quale la musica diventa classica, ossia la via
sulla quale l'arte musicale perfeziona piu di un secolo di apprendimen-
ti evolutivi (sottilmente facilitati dalla costanza delle analogie e dei «pro-
memoria» di una soggettazione greca, antica, antiquaria, comunque mol-
to lontana, e patentemente irriferibile all' «oggi»), quando comincia a
dare finalmente la dignità dell'elezione, del «nome», ad autori che si so-
zione. Unitaria nel gusto (sulla scorta di una celebre metafora o parago-
ne propriamente architettonico di opera intesa come <<un tutto» indi-
struttibile, di un tutto euritmico, parimenti lieve, aereo, quanto otti-
mamente fondato sulle sue basi; ben poco destinato a perire, a decade-
re, a usurarsi, o a cadere sotto le grinfie delle Parche).
cessi delle passioni nell'atto della loro stessa espressione, e per come era-
no stati spinti nella composizione musicale sino a un troppo efficace ri-
specchiamento sonoro dei canoni della scrittura poetica, della gramma-
tica figurativa, dello stile virtuosistico e persuasivo degli oratori classici.
Converrà ricordare che il richiamo ai pregi etici della pantomimicità,
della «ipocrisia muta» (e come tale, istanza coatta di comunicazione non-
verbale che impone al compositore- <<compositore» si chiamava ufficial-
mente, anche nei contratti notarili, il coreografo, nel Settecento neoclas-
sico - di tener buoni rapporti con la musica, buoni rapporti coatti dalla
necessità di dar corpo sonoro ai corpi plastici e muti, mossi nella panto-
mima) è una funzione modellistica «a tempo», per cosi dire provvisoria.
Negli anni di mezzo del Settecento il ballo pantomima s'era rivela-
to e affermato come una forte occasione e una gran «bella» invenzione
adeguata a superare il «hallo di divertimento» (un ballo debolmente al-
legorico: un momento perlopiu stanco dell'occasione teatrale, coperto
da generiche intrusioni intervallari di soggetti diversi nei drammi, di fat-
to ben poco partecipato dal pubblico, che ben poco partecipava peral-
tro anche all'intero svolgersi dei drammi stessi, già che quella rappre-
sentativa, o anche comunque artistica, non era la prima funzione d'uso
dei teatri). Il superamento pantomimico del primitivo ballo di diverti-
mento (fatto di azioni coreiche poco identificate e per l'appunto imma-
turamente sub-allegoriche: «balli di ... » ninfe, pastori, zingari, sol-
dati ... ecc.) era stato un discreto riscontro critico-estetico favorevole
allo sviluppo di esercizi di «eloquenza ritmico-musicale del corpo».
Si apprezzava nella gestualità libera dei pantomimi l'apertura ad
«Balli tutti ripieni di fatti che accadono in scena o che per mere vi-
sioni si percepiscono» vengono intesi in altro modo da come li avevano
accettati e propagandati i teorici settecenteschi che avevano mutuato
l'apparire e l'affermarsi dei balli pantomimi risvegliati dal secolare san-
18
G. CARPANI, Le rossiniane ossia lettere musica-teatrali, Padova 1824, p. 35·
In tal senso, pur evocata in simultanea con l'idea della nobile sempli-
cità, la classicità sostiene tanto le basse e medie quanto le alte aspirazio-
ni, ossia sostiene tutte le aspirazioni di superamento dei livelli dell'ovvio-
miserevole-banale standard «stilistico» della vita presente: un supera-
mento che avviene (del tutto, in questa fase seconda, in modo rovescio
rispetto alla modellistica della prima stagione neo-classica che puntava tut-
to sulla nostalgia della semplicità) per forza di incrementi della comples-
sità del linguaggio. Vengono sempre di piu attribuite proprietà di eleva-
zione morale ed estetica alle solitarie esposizioni ai sacrifici della «diffi-
coltosità», e quindi, nel rapporto allargato, non piu soggettivo-solitario,
di contatto e destinazione intellettuale collettiva, alla efficace comunica-
zione di questo stato di prezioso affaticamento etico (di complicazione del
dettato linguistico), per una esperienza comune, «futura» nel «presente
utopico» che immagina d'imitare un passato ignoto il quale si lascia im-
maginare, in questa fase, secondo le eterne modalità del rito sacrificale.
Chi si era occupato sino ad allora di «pensiero musicale», si era spes-
so e volentieri applicato alla ricerca di un «modo di dirla», questa incli-
nazione di cui s'è detto, enfatizzando quel tal suo carattere <<musicale»
d'essere tanto sensibilmente soggettiva quanto oggettivamente colletti-
vizzabile, fondando, allo scopo, o ricercando delle credibili analogie.
Entrando nel merito, si può prender nota di come una delle piu ac-
corte, o presaghe, esposizioni analogiche sia forse quella tentata da
Johann Peter Schulz nella sede abbastanza «ufficiale» della sua enci-
clopedia teorica del bello in arte (1773), là dove Schulz va profetizzan-
do l'importanza strategica, nella storia musicale, dell'Allegro di sinfonia,
inteso come perno del motore di re-invenzione della moralità estetica
classica nelle «scuole» della musica poetica. Tali Allegri, fatti/scritti/pen-
sati per elevare commovendo, costituiti su agitazioni sonore di diverso
tenore e disparato colore sentimentale - in patente stato di disequilibrio
ma capaci di contenersi e ricomporsi in una unità di gioco temporale-,
Schulz li assimila sentenziosamente alle forme dell'ode pindarica; per ri-
chiamare la quale, come modello elettissimo, egli si slancia in una de-
scrittiva che travalica il modello, travalica le stesse forme apparenti
dell'Allegro di sinfonia dei suoi giorni e preconizza sviluppi formali del-
la scrittura musicale che effettivamente avran corso, grande corso, ma
solo in un prossimo futuro (e che forse contengono, nella stessa primi-
tiva descrizione, anche elementi di profezia della crisi- anch'essa tutta
futura- della stessa forma sinfonica appena profetizzata):
pensieri grandi e arditi, apparente disordine melodico e armonico, varietà di ritmo,
inserimenti di episodi negli interstizi della tessitura [voci intermedie che complica-
no il gioco], irrobustimenti delle melodie nel basso, fuggevoli apparizioni di mo-
menti imitativi [persino fugati], prontissimi a dissolversi, digressioni, modulazioni,
salti imprevisti di tonalità e di modo, alternanze di sonorità forti e piane, ricerca
della ricomposizione e del riequilibrio in aree di crescendo rafforzate da gesti me-
lodici ascendenti, con piu progressioni..."
19
J. P. B. SCHULZ, «Symphonie», in Allgemeine theorie der schonen Kunste ... , a cura di]. G.
Sulzer, Leipzig 1786·87, V, pp. 478·79.
nell'ordine della ragione in cui i nostri concetti si legano gli uni agli altri, dedut-
tivamente;
nell'ordine dell'intelletto;
nell'ordine dell'intelligenza perspicace.
Ebbene, tali e tanti «ordini>> l'ode li rifiuta tutti. Non tratta infatti, l'ode, di
soggetti storici, come fa la poesia epica; non segue l'ordine della ragione della poe-
sia didascalica e dotta, né quello della topica propria della poesia pittoresca. Il suo
ordine essenziale è tutto suo: è l'ordine della fantasia entusiastica. Un'ode è una se-
quenza unica e completa dei piu vividi concetti, disposti con entusiasmo fantasti-
co. I poeti che scrivono Odi saltano i passaggi intermedi: da ciò scaturisce il disor-
dine apparente che si attribuisce a questo genere poetico. Ciò detto si può però sta-
bilire anche in quali Odi si possano o meno introdurre visioni pittoresche, oppure
similitudini, oppure anche digressioni e osservazioni del tutto marginali, e anche
stabilire quali immagini e similitudini vadano soltanto pennellate o quali digressio-
ni siano limitate dal rischio dello smarrimento del filo .. !'
I 89 3 Edipo Re - Vanzo
I893 Alcyone- Guérin. Palicot
I893 Frine. Amore e Capriccio- Ghislanzoni. Carpaneto
I894 Prélude à /' après-midi d'un faune - [da Mallarmé]. Debussy
I895 Orestea [trilogia]- Venkstern. Taneev
I896 Les noces de Promeéthée [cantata]- Saint-Saens
I 897 Chansons de Bi/itis - Pierre Louys. Debussy
I 897 Ero e Leandro - Boito. Mancinelli
I 898 Déianire [cantata] - Gallet. Saint-Saens
I899 Tisbe- [poeta an.]. Vavakki
I899 Brisei's [incompiuta]- Chabrier
I900 Prométhée- Lorrain/Hérold. Fauré
I900 Ritorno di Odisseo [cantata]- Giovanni Pascoli. Zandonai
I 90 I Oedipe à Colon [cantata] - C h. R. Radoux
1228 Riappropriazioni, riattualizzazioni
plurime ipotesi di riscontri analogici con una non meno mitica, non me-
no obliata idea di una naivité, e di una primitività, e quindi anche di una
antichità squisitamente autoctona il cui possibile ritorno si rivela nello
specchio medio della piu consacrata delle antichità: la greca. La quale è,
per eccellenza, una antichità anacronistica; per cui se la si valuta in ter-
mini di storia culturale è un modello di tipo particolare, interessante:
una cultura antica ma anche evoluta, magari evoluta come tante altre,
ma che a differenza di tante altre si caratterizza per aver saputo ben con-
servare, ordinatamente, residui barbari del proprio passato; conservar-
li e trattarli, tematicamente, variati. Nella succitata descrizione ideale
dell'ethos dell'ode secondo Mendelssohn si idealizza, anche, una figura
necessaria di <<gestore» di tante operazioni, ben concertate, di libera-
zione della discontinuità e di controllo nella unità.
La chiamata ideai-tipica del responsabile della creazione potrebbe ri-
guardare una figura che nelle nostre definizioni comuni medie della per-
sonalità eccellente sta sospesa, artatamente sospesa, fra la tipicità mo-
derna, e diciamo anche futura, del genio e quella antica, mitologica,
dell'eroe. Il chiamato è personaggio che deve saper «sentire e medita-
re», deve saper guidare la macchina delle sue elevazioni, fondere nella
sua immagine le figure di Ganimede e dell'Aquila, ossia far tutto da so-
lo, deve saper «atterrare» in un luogo giusto che dia senso giusto, che
«renda ragione» al suo svolazzo22 • E deve anche superare tante prove,
22
Sulla intensificazione simbolica del mito di Ganimede vedi L. RI'ITER SANTINI, Il volo diGa-
nimede. Miti di ascesa nel/Q. Germania modema, Venezia 1998.
offerto alla musica dallo «stile classico» (che nello specifico ben svilup-
pa quel carattere originale, stranamente modernizzato dallo stigma clas-
sico, che è la musica-musica, ossia della musica-tutta-fatta-di-musica),
serve bene alla musica strumentale moderna in specie quando essa mo-
stra di saper vantare quando e come il suo pregio si erige a primaria for-
ma della musicalità fattuale, emancipata dalla tirannica esigenza di ser-
vire il significato della parola o di servire al passatempo ambientale. Lo
stesso dispositivo serve a fondare ambiti d'azione simbolica che d an fia-
to a una forza morale innovativa che possiamo, nella simultaneità
dell'esperienza musicale (l'ascolto dell'udienza), sia giudicare idealmen-
te che vedere applicata alla creazione di un autore o apprezzare per co-
me è derivata dal modello della «creazione d'autore».
In questo senso si tratta evidentemente di un dispositivo di coper-
tura, buono per molte occasioni storico-empiriche. Un potente disposi-
tivo di copertura: dall'autorevolezza di un esempio miticamente estra-
neo-lontano, come potrebbe essere appunto il proteiforme modello gre-
co, viene derivata infatti l'autorevolezza di comportamenti comunicativi
che nel e sul vicino presente intervengono per travolgere limiti consue-
tudinari, per creare scenari rappresentativi di imprese civili capaci di
imporre al presente la necessità del superamento di se stesso.
La peripezia soggettiva elettivamente attribuita all'esperienza musi-
cale consiste nella scoperta di valenze etiche nel corso di una scansione
di tempi estetici che prevalentemente esprimono sia passioni depurate
che libere evasioni dalle coazioni egoistiche (in tal senso lenimenti pal-
liativi, consumati in rappresentazioni estetiche consolatorie, di sensi di
I9I9 Bestiaire [Le] ou le Cortège d'Orphée [ciclo di mélodies con strumenti]- Francis
Poulenc
I92o Galatea- D. G. Stefano Savasta
I92o Edipo re- Forzano. Leoncavallo
I92 I Morte di Frine [La]- Meana. Rocca
I 92 I Giove a Pompei- Luigi Illica l Ettore Romagnoli. Umberto Giordano l Alberto
Franchetti
I922 Po!yphème- Bernard Robert
1922 Po!yphème- Jean-Emile-Paul Cras
1923 Fauni [l] [quartetto]- Mitropoulos
1923 Notte di Platone [La]- De Sabata
1924-27 Antigone [musiche di scena]- CocteauiPicasso [da Sofocle]. Honegger
r 924 Perseo [balletto] - Savinio
I924 Mercure- [PicassoiMassine]. Satie
I924 Spartska He!ena- Verhaeren. Forster
I 2 32 Riappropriazioni, riattualizzazioni
colpa o altre epifanie della «coscienza infelice», nei borghesi che vivo-
no il conflitto di una ideologia fraternale-egualitaria e una pratica di vi-
ta orientata all'annientamento, per lo meno economico, dell'Altro, ov-
vero dell'Eguale o del Fratello), sia appagamenti, estenuati nella com-
prensione razionale dei successivi stati dell'infelice vissuto contraddit-
torio di contrapposte istanze ideologiche e morali.
In questo si qualifica la musica, nuovamente come espressione di un
coacervo di <iquiddità» classiche: è evidente, lo si è già visto sopra, che
nello specchio musicale non si tratta mai di riflessi o di rifrazioni di neu-
tri atteggiamenti/comportamenti fondati e composti di neutri distacchi
dalla realtà e da successive acquisizioni di forme messe in stato di bloc-
co da una qualsiasi fittizia organicità. Il classico musicale, dal modello
antico, del quale il tempo ha cancellato tutte le tracce di ogni sonorità,
ha derivato autentiche e reali immagini, squisitamente dinamiche, di
processi ideali-reali, di cui la esemplarità è del tutto dettata da una im-
maginazione che supporta azioni di cambiamento del mondo, cosi come
figure di lotta con la contingenza o di desiderio del superamento della
consuetudine. E questo in termini anche o soprattutto educativi.
La mitizzazione del mondo antico - nel senso di ossessiva compul-
sione a qualificare in ogni fenomenico dettaglio l'alterità chiamata a eser-
citare rapporti con le fascinazioni di modello - è dunque un processo ri-
cercato. Quindi elitario. Elitario si, ma facilmente divulgabile. Un pro-
cesso che elabora l'ethos dell'aspirazione a un ethos al quadrato: uno
stato di cose comprensivo sia dell'azione che della reazione o del ri-
specchiamento, magari impreciso- meglio, forse, se impreciso-, dell'a-
20. Della canonicità laica dell'esperienza classica nella musica e nei mu-
sicisti.
linguaggio musicale che cerca codici del valore, in una discussione che
riesca a tendere alla scoperta delle proprietà eziologiche del carattere
prevalentemente laico delle forti inclinazioni musicali di ambienti e per-
sonalità in grandissima maggioranza propense a sensibilizzare/sensibi-
lizzarsi al pathos della ricerca di spiritualità evolutive che vadano oltre
le risorse medie offerte dalla devozione o dalla teologia cattolica: pro-
prietà ben evidenti, in tale connotazione, appunto nella vita intellettuale
dei filo-musici, della musica in genere, nei confronti della quale la Chie-
sa ha assunto vuoi direttive conservative rigide, vuoi, per contro, <<ha
lasciato [ciecamente] far [di tutto]» pur di garantirsi sempre ampi spazi
d'apostolato, ma giammai ha sviluppato sensibilità di riforma, progetti
equilibrati di contaminazione ideologica progressiva-sperimentale, re-
visioni etico-estetiche della espressività, ossia delle cose di cui la musi-
ca buona ha vissuto per poter crescere immaginativamente, per educa-
re immaginativamente individui o masse, preferendo in tal senso, ad
ogni commercio con la spiritualità vivente e realmente praticata della
religione ufficiale, commerci fantastici con un mondo e una cultura im-
maginativamente creata e proiettata in un irreale passato, onde rispec-
chiarsi nella sua stessa creazione.
Perché in effetti gira su se stessa e sempre ritorna in gioco intatta,
né invecchiata né ringiovanita, l'idea che tutte queste immagini del mo-
dello musicale supremo assente, tutti questi riflessi dei progetti e dei
momenti evoluti della lingua che non hanno, nel classico vero, un ef-
fettivo riferimento nostalgico (non possono neppure sperare di radica-
re in alcunché di linguisticamente riconoscibile questa eventuale simi-
2 r. L'ultimo paradosso.
" Vedi nell'episodio culminante, intitolato Il maestro de/gioco, del Prometeo. Tragedia deU'ascol-
to di Luigi Nono.
" Nei quaderni di schizzi beethoveniani ricorrono non poche annotazioni per memoria di sca-
le greche, appunti che istruiscono a movimenti «adagio» o di «cantico» con riferimenti alla reli-
giosità di «antichi modi», e simili. Richiami che si insinuano con una certa evidenza anche fra gli
appunti per la Nona sinfonia e ancor piu fre le carte del piano-progetto della Decima.
Figura r.
Ludwig van Beethoven, Quartetto in La minore op. 132 (r825), II tempo, Canzona di rin-
graziamento offerta alla divinità da un guarito, in modo lidico.
Mollo ada~io.
-
eme. • p
l"'
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l'
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cmr. ....... u
..:
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......;... i==== l" .,.,"· l' ~
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Ben si può vedere nella nostra lista come, sino allo ierlaltro di quel 1984
che ha visto la re-invenzione del «tragico» nel Prometeo noniano- «tra-
gedia dell'ascolto»-, la tragedia in musica si trovi piu volte in posizio-
ne di guida o di privilegiata spettatrice del movimento intellettuale che
investe e scommette animosamente sulla immortalità del principio tra-
gico greco (Holderlin, Schiller, Hegel, Nietzsche, Hofmannsthal, D'An-
nunzio, Brecht, Heiner Miiller, lo Stravinsky dell'Oedipus rex, Pasoli-
ni, Jean-Marie Straub).
L'avere in qualche modo vissuto facili esperienze musicali di culto
dell'antico (e, conseguentemente, del tragico antico), abbastanza con-
clamate, riconosciute come conquiste meritorie della creatività di arti-
sti immortalati in questa leggenda del magnifico ritorno dei modelli
obliatissimi, consente all'arte musicale (intesa alla moderna come <dm-
Figura 2.
Gyorgy Kurtag, K.afka-Fragmente (x985-87), 1.2.
--- __,
ltmptr poco rln(. {qiUIII ptcUo/
~=====- .._. . .
k
Aktir egi os:à ut: A/ig hogy tisztdra seperték, uira belepik a szdraz levelek
(Wie ein Weg in Herbst: Kaum ist er rein gekehrt, bedeckt er sich wieder mit den
trockenen bliittern [Come un sentiero, d'autunno, quando, non appena spazzato, tar·
n a a ricoprirsi di foglie cadute]).
JAMES HANKINS
• P. RICllÉ, Le scuole e l'insegnamento nell'occidente cristiano dalla fine del v secolo alla metà
dell'xi secolo, Roma 1984; M. w. HERRIN (a cura di), The Sacred Nectarof the Greeks: The Study o/
Greek in the Early Middle Ages, London 1988; w. BERSCHIN, Griechisch-lateinisches Mittelaltervon
Hieronymus zu Nikolaus von Kues, Bern·Miinchen 1980 [trad. it. Napoli 1989]; L. D. REYNOLDS e
N. G. WILSON, Scribes and Scholars, Oxford 1991' [trad. il. Copisti e filologi: la tradizione dei classici
dall'antichità al Rinascimento, Padova 1969].
I 248 Riappropriazioni, riattualizzazioni
' Recueil des Historiens des Croisades, Documents Armeniens, a cura di E. Dulaurier, Paris 1 869·
1906, Il, p. 471. Autore di questo documento è evidentemente William Adam, arcivescovo della
missione domenicana, autore altresl di De modo Sarracenos extirpandi.
1250 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Per Crisolora, come del resto per Bessarione e gli altri emigrati, la
diffusione della cultura greca in Occidente, in quanto contribuiva alla
comprensione e all'apprezzamento della grecità, era un mezzo per ga-
rantire l'appoggio delle élite occidentali alla difesa di Bisanzio.
Ma anche per altri aspetti i dotti bizantini si prestavano a fungere con
successo da ambasciatori culturali presso gli Italiani del Rinascimento. Gli
intellettuali greci degli ultimi tempi dei Paleologhi non erano di solito in-
segnanti di professione, specializzati in discipline quali la grammatica, la
retorica o la filosofia, bens! una specie di «gentiluomini dotti». A diffe-
renza dei loro predecessori, erano dotati di apertura mentale sufficiente
per apprezzare i grandi passi in avanti compiuti dalla cultura latina a par-
tire dal XII secolo, e in molti appresero il latino e tradussero persino in
greco alcune opere di importanti autori della cultura occidentale, quali
Tommaso d'Aquino. Perlopiu si trattava di persone dotate di un vasto sa-
pere di carattere generale, spesso di rango sociale elevato, che insegnava-
no in forma privata, mentre la loro sfera di attività principale si esplica-
va in altri campi: dalla diplomazia, al sacerdozio, all'opera di governo 7
6
R. sABilADINI, L'ultimo ventennio della vita di Manuele Crisolora, in «Giornale ligustico di ar·
cheologia, storia e letteratura>>, XXVII (r89o), p. 33r. Sulle motivazioni delle missioni in Italia di
Crisolora cfr. inoltre 1. TIIOMPSON, Manuel Chrysoloras and the early Italian Renaissance, in «Greek,
Roman and Byzantine Studies>>, VII (r966), pp. 63-82; J. IIANKINS, Chrysoloras and the Greek Stu-
dies o/ Leonardo Bruni, di prossima pubblicazione negli Atti del convegno su Manuele Crisolora e il
ritorno del greco in Occidente (Napoli, giugno t997).
7
R. BROWNING, Teachers, in G. CAVALLO (a cura di), The By:;:antines, Chicago t997, pp. t05-t3.
1252 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Questa vicenda storica viene spesso vista come un segno del crollo
dell'istruzione bizantina nell'ultima fase dell'impero, ma dal punto di
vista dell'accoglienza degli studi greci in Occidente si rivelò un evento
fortunato. In quanto composte da gentiluomini animati da uno spirito
amatoriale, le ultime generazioni di intellettuali bizantini erano in ar-
monia con il nuovo tipo di istruzione configuratosi in Italia alla fine del
XIV secolo. L'avvento dell'umanesimo aveva comportato un cambia-
mento considerevole nelle caratteristiche dell'educazione letteraria.
L'istruzione di tipo scolastico, che preparava all'esercizio di professio-
ni specifiche, quali per esempio il diritto e la medicina, fu sottoposta a
critica. La nuova formazione di tipo umanistico mirava a insegnare l'elo-
quenza, il sapere e l'elevato senso morale al rampolli dell'élite sociale, e
lo studio delle lettere classiche rispondeva all'intento di prepararli all' as-
sunzione di ruoli di primo piano nei tribunali e nella vita civile. In un
clima del genere, una personalità come Manuele Crisolora, aristocrati-
co di elevata statura morale, imparentato con l'imperatore, uomo poli-
tico e profondo conoscitore della cultura greca classica, aveva tutti i re-
quisiti per produrre un effetto straordinario nei suoi allievi italiani.
Tuttavia, lo studio della cultura greca non avrebbe potuto essere tra-
piantato con successo in Italia se gli Italiani non fossero stati ben di-
sposti ad accoglierlo; e anche in questo caso si può parlare del verificar-
si di una congiuntura favorevole. Il movimento umanista, plasmato e di-
retto da Petrarca nei decenni intorno alla metà del XIV secolo, si rivelò
eccezionalmente disposto ad accogliere lo studio della lingua greca non
appena se ne presentò la possibilità. Parte del progetto petrarchesco,
quello che si potrebbe chiamare il suo lato «ciceroniano», invitava al ri-
fiuto della cultura medievale di tipo scolastico e al ritorno alla cultura
letteraria dei Romani antichi, in particolare quella del tempo di Cice-
rone. Ma, dai massimi esponenti di questa cultura, gli Italiani apprese-
ro che la padronanza del latino classico restava inaccessibile senza la pre-
via padronanza del greco. Come ha scritto il grande umanista e peda-
gogista Guarino Veronese (1374-146o):
Noi seguiremo l'esempio dei piu dotti antichi, nessuno dei quali ignorò la !in·
gua greca; l'autorità di Quintiliano che fa derivare dal greco la nostra lingua; di Ci-
cerone, che spiega con la cultura greca il linguaggio di Catone nel De senectute, piu
dotto di quanto non appaia nelle sue opere; seguiremo l'esortazione di Orazio: «not-
te e giorno studiate i modelli greci: ai Greci la musa ha dato l'ingegno, ai Greci il
dono della parola armoniosa»".
• E. GARIN (a cura di), Il pensiero pedagogico dell'umanesimo, Firenze 1958, pp. 450-5 r. Le ci-
tazioni si riferiscono a CICERONE, Academicaequaestiones, 2.2.5; ID., Cato maior, 8.26; ORAZIO, An
poetica, 268-69, 323-24; QUINTIUANO, Institutio oratoria, 1.1.17.
Hankins Lo studio del greco nell'Occidente latino 1253
" G. GRIFFITIIS, Leonardo Bruni and the Restoration o/ the University o/ Rome, in «Renaissance
Quarterly», XXVI (1973), pp. r-Io.
17
Tra gli umanisti italiani che, nella prima metà del xv secolo, si recarono a Costantinopoli o
a Mistra per studiarvi il greco figurano: Guarino Veronese, Rinuccio Aretino, Francesco Filelfo,
Giovanni Aurispa, Antonio Cassarino, Giovanni Tortelli, Gregorio Tifernate, Cristoforo Persona.
Hankins Lo studio del greco nell'Occidente latino I 257
18
Sul contributo di Aldo Manuzio agli studi greci cfr., in particolare, WILSON, From Byxantium
ci t., pp. 127·56. Alcuni curatori dei testi greci pubblicati per i tipi di Aldo Manuzio sostengono che
stampare i testi dei classici greci è un modo per garantirne la conservazione per i posteri.
1258 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" Per una breve biografia intellettuale di Erasmo cfr. J. K. MCCONICA, Erasmus, Oxford 1991.
Per i suoi studi biblici cfr. J. 11. BENTLEY, The Humanists and Holy Writ, Princeton 1983.
Hankins Lo studio del greco nell'Occidente latino I 259
12
G. MANCINI, Gregorio Ti/emate, in «Archivio storico italiano~>, VIII (1923), pp. 89-1 I •; J.
IRIGOIN, Georges Hermonyme de Sporte: ses manuscrits et son enseignement à Paris, in «Bulletin de
I'Association Guillaume Budé~>, 1977, pp. 22-27.
Hankins Lo studio del greco nell'Occidente latino 1261
" M. BATAILLON, Erasmo y Espaiia: Estudios sobre la historia espiritua! del siglo XVI, Mexico
Madrid- Buenos Aires 1966, pp. xo-22.
•• Corpus re/ormatorum: Phi/ippi Melanchthonis opera quae supersunt, a cura di C. B. Bretsch-
neider e H. E. Bindseil, Halle x834-52, Xl, p. 235.
1 262 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" Cfr. L. w. SPITZ e B. s. TINSI.EY, ]ohann Sturm on Education, St Louis 1995, per la tradu-
zione e l'analisi dei testi principali.
26
Nonostante i numerosi Inglesi che, nel xv secolo, mostrano di apprezzare grandemente
l'umanesimo italiano (a proposito dei quali cfr. R. WEISS, Humanism in England during the Fifteenth
Century, Oxford 1967 1), l'ingresso dell'istruzione umanistica nella scuola secondaria inglese di in-
dirizzo classico ebbe luogo soltanto in un secondo tempo. Per quanto segue nel testo cfr. M. I..
CLARKE, Classica! Education in Britain, 1500-1900, Cambridge '959·
ANTHONY GRAFTON
I. « Lupus in fabula>>.
1
P. A. WOLF, Darstellung der Alterthums· Wissenscha/t, in «Museum der Altertums-Wissen-
schaft>>, I (1807), rist. in ID., Kleine Schri/ten, a cura di G. Bernhardy, Halle 1869, Il, p. 883, da
cui cito; rist. Berlin 1986, con una Nachwort di]. lrmscher. L'ed. piu recente è Esposizione della
scienza dell'antichità, a cura di S. Cerasuolo, Napoli 1999.
2
A. BOCKII, Encyclopiidie und Methodologie der philologischen Wissenschaften, Leipzig 1877, pp.
39·44; G. PASQUALI, Filologia e storia, firenze 1964 2, pp. 67·73; A. HORSTMANN, Die «Klassische Phi-
/o/ogie» zwischen Humanismus und Historismus: Friedrich August Wolf und die Begrnndung der mo-
dernen Altertumswissenschaft, in «Berichte zur Wissenschaftsgeschichte>>, I (!978), pp. 5 1-70; J. DOL·
TER, Friedrich August Wolf and the scienti/ic study o/ Antiquity, in «Greek, Roman and Byzantine
Studies», XXI (1980), pp. 83-99; la Nachwort di Irmscher cit.; WOLF, Esposizione cit., pp. 13·97.
1264 Riappropriazioni, riattualizzazioni
in Philologie und Hermeneutik im 19. ]ahrhundert, l, Gottingen 1979, pp. 21-3 1; H. PATSCH, Frie-
drich August Wolf und Friedrich Ast: die Hermeneutik als Appendix der Philologie, in u. NASSEN (a
cura di), K/assikerder Hermeneutik, Paderborn 1982, pp. 76-107; A. NETSCHKE-HENKE, Le texte de
P/aton entre Friedrich August Wolf (1 759-1824) et Friedrich Danie/Schleiermacher, in La naissance
du paradigme herméneutique, Lille 1990, pp. 245-76.
' s. A. REITER, Friedrich August Wolf:ein Leben in Briefen, II, Stuttgart 1935, pp. 337-39.
10
1. COSTAS, Die Sozialstruktur der Studenten der Gottinger Universitiit im 18. ]ahrhundert, in H.-G.
IIERRLITZ e H. KERN (a cura di), An/iinge GottingerSozialwissenschaft, Gottingen 1987, pp. 127-49.
11
REITER, Friedrich August Wolf cit., pp . .3.39-40.
I 266 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" 1'. A. WOLI',Fragmente zur Einleitung indie Enzyklopiidie der Altertumswissenscha/t, in MARK-
NF.R e VELTRI(a cura di), Friedrich August Wolf cit., p. 50.
"F. A. WOLF, Idee eines 5eminarii philologici, in o. KERN, Friedrich August Wolf, Halle 1924,
pp. 33-40.
1 z68 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" c. PERRAULT, Parallè/1! tks anciens et tks modems en ce qui regartk ks arts et ks sciences, Am·
sterdam 1693; rist. Miinchen 1964, con una significativa introduzione di H. R. Jauss; N. IIEPP,
Homère en France au xvuf sièck, Paris 1968; J. M. LEVINE, The Battk o/ the Books, lthaca N.Y
London 1994.
11
A. MOMIGUANO, Ancient history and theantiquarian, in Studies in Historiography, New York
1966, pp. 1-39; F. HASKELL, History and Its Images, New Haven · London 1993 [trad. it. Le imma·
gini di! l/a storia, Torino 1997]; J. M. LEVINE, Dr Woodward' s Shield, Berkeley 1977; rist. lthaca N· Y·
1991; ID., Humanismand History, lthaca N.Y 1987; ID., The Autonomy o/History, Chicago 1999·
11
F. WAQUET, Le latin ou l'empire d'un signe, Paris 1998, cap. 1.
Grafton Lo spazio del greco nel sistema d'istruzione 1269
"J. M. LEVINE, Giambattista Vico and the Quam!l between the Ancients and the Modems, in ID.,
The Autonomy cit., pp. 127-53.
10
E. CASSIRER, Die Platonische Renaissance in England und die Schule von Cambridge, Leipzig-
Berlin 1932; A. GRAFTON, De/ende,.; o/ the Text, Cambridge Mass. 1991, Introduzione.
" P. SIMPSON, Proofreading in the Sixteenth, Seventeenth and Eighteenth Centuries, Oxford 19 36.
Il piu recente contributo su Bentley si trova in L. D. REYNOLDS e N. G. WILSON, Scribes and Scho/a,.;,
Oxford 1991' [trad. it. Copisti e filologi, Padova 1969; 1987'].
12 70 Riappropriazioni, riattualizzazioni
le scrisse una replica, che né l'uno né l'altro libro era antico o di qualità
-o, addirittura, neppure opera del supposto autore. Un giovane studio-
so oxfordiano del Christ Church College, Charles Boyle, pubblicò un'edi-
zione di Falaride nel 1696. Bentley, allora, dispiegò tutte le risorse del-
la propria conoscenza, nelle sue Dissertations del I 697, per dimostrare
che questi testi potev~no essere stati redatti solo secoli dopo rispetto
all'epoca di Falaride. E chiaro che Boyle non era in grado di gareggiare
con la cultura di Bentley, né di confutare la dimostrazione di quest'ulti-
mo secondo la quale le lettere contenevano evidenti anacronismi sia nel-
la lingua che nel contenuto. Ma una cricca d'ingegni oxfordiani e un cri-
tico londinese confutarono Bentley, asserendo che uno statista come
Tempie, conoscitore del mondo per esperienza diretta, avrebbe potuto
giudicare sull'autenticità delle lettere di un sovrano con maggiore preci-
sione di un semplice filologo, e Bentley stesso trovò pochi sostenitori22
Alla metà del secolo Edward Gibbon, quando arrivò al Magdalen Colle-
ge di Oxford, rilevò che «gli allievi o monaci dei miei tempi erano per-
sone tranquille e rispettabili, che godevano supinamente delle elargizio-
ni del fondatore: le loro giornate erano riempite da una serie di occupa-
zioni costanti; la cappella e il college, il caffè e la sala comune, finché non
andavano a letto, stanchi e pienamente soddisfatti, pronti per un lungo
sonno». Nei quattordici mesi trascorsi a Oxford Gibbon lesse poco il la-
tino e affatto il greco - e non ne avrebbe veramente iniziato lo studio
finché non ricominciò dall'inizio a Losanna, con il suo precettore Pavil-
liard, le cui conoscenze linguistiche non erano però molto profonde'
Una serie di filologi di Cambridge- primi tra tutti Jeremiah Mark-
land, Richard Dawes e Richard Porson - proseguirono la tradizione ben-
tleyana degli studi sulla metrica, ma, nel complesso, lo fecero da soli, in-
sieme a pochi colleghi o allievi: Porson, come è noto, trascorse a Londra,
e non a Cambridge, molta parte della sua vita adulta, e non trovò soste-
gno da parte degli specialisti di Cambridge nei suoi sforzi per uscire dal
mero studio dei manoscritti24 • Perfino quando la Società dei Dilettanti
mandò in GreciaJames Stuart e Nicholas Revett affinché potessero pro-
durre le loro Antiquities o/Athens (1762-r8r6) e Antiquities o/Ionia (1769-
r84o), avviando una rivoluzione nella sensibilità e trasformando l'archi-
tettura inglese pubblica e privata, e Chatham, Fox, Burke e Bitt citava-
no ed emulavano Demostene nella grande epoca dell'oratoria pubblica
n R. M. OGILVIE, Latinand Greek, London 1964; per la Società dei Dilettanti, T. SPENCER, Fair
Greece,Sad Relic, London 1954, e 11. HONOUR, Neo-Ciassicism, Harmondsworth 1968 [trad. it. To-
rino 1980].
26
w. LUDWIG, Hel/as in Deutsch/and, Hamburg 1998.
27
u. SCHINDEL, Demosthenes im cS.Jahrhundert, Miinchen 1963.
r 2 72 Riappropriazioni, riattualizzazioni
la maggior parte scrittori neolatini del XVI e xvrr secolo. Friedrich Ni-
colai imparò nella stessa scuola a leggere il Nuovo Testamento, ma in
seguito abbandonò lo studio del greco per evitare di dover continuare il
lavoro con un monaco fanatico. Solo alla fine dei suoi giorni di scuola,
quando gli capitò di leggere un'antologia che conteneva alcuni brani di
Omero, il futuro editore arrivò a capire cosa aveva perso28 •
I docenti universitari di greco si accontentavano dell'insegnamento di
brani antologici e si concentravano sui Vangeli o su alcune selezioni tratte
dai poeti e raccolte in una silloge a stampa. Nel 1678, ad esempio, Cyria-
cus Lentulus annunciò che il suo corso a Marburgo si sarebbe incentrato
sul Vangelo di Giovanni, «perché abbiamo constatato che l'umiltà di Gio-
vanni è superiore alla sublimità di Demostene, alla dolcezza di Senofonte
e all'austerità di Omero». Ma in molte università il docente di lingua gre-
ca non teneva affatto corsF9 • A Lipsia Reiske non poté continuare lo stu-
dio del greco perché non vi erano né insegnanti né corsi. Il futuro editore
dell'opera di Demostene riteneva «gli autori greci- Demostene, Teocrito
-troppo difficili per me», e si diede all'arabo- trovando cosf ciò che col
tempo avrebbe dimostrato la sua reale vocazione30 • In Germania, come al-
trove, l'inizio del xvm secolo vedeva fiorire gli studi di antiquaria. E in
una università in particolare, a Lipsia,J. F. Christ introdusse lezioni acca-
demiche sull'arte antica e sulle iscrizioni, nelle quali richiamava l' atten-
zione degli studenti sulla «semplicità~~ e sulla bellezza di quanto i Greci
avevano creato, catturando cosi l'interesse di un allievo del calibro di Les-
singn. Nel complesso, tuttavia, durante la prima metà del xvm secolo an-
che le istituzioni culturali tedesche, che fornirono il palcoscenico su cui si
manifestò la rivoluzione wolfiana, mostravano scarsi segnali di profondo
interesse per l'antica Grecia o per la lingua greca antica.
28
F. PAULSEN, Geschichte des gelehrten Unterrichts au/ den deutschen Schulen und Universitiiten,
Leipzig 1885, pp. 408·18.
29
Demosthenes cit., p. 36.
SCHJNDEL,
0
' Geschichte ci t., p. 414.
PAULSEN,
" A. D. POTI'S, Winckelmann's Interpretation of the History of Ancient Art in lts Eighteenth-Cen·
tury Context, Diss. London 1978, l, pp. 94·98.
Grafton Lo spazio del greco nel sistema d'istruzione 1273
4· « Germanograecia>>.
Tuttavia la natura della rivoluzione è stata spesso male interpretata.
La versione comunemente accolta del successo di Wolf ha la fragile chia-
16
ARISTOPHANES, Plutus, a cura di T. Hemsterhusius, Harlingen 1744, pp. xn-xm.
" Cosi annota Valckenaer nella sua copia dell'ed. Basilea 1560 di Eustazio (Cambridge, Uni-
versity Library, Ad v. 71. 1 -3); la Biblioteca possiede anche la sua copia fittamente chiosata del Plu-
tus di Hemsterhusius (Adv. D.72.8).
11
HULSHOFF POL, Studia cit., pp. 134·36, 166-67.
Grafton Lo spazio del greco nel sistema d'istruzione 1275
Gottinga, fece conoscere ai suoi allievi tutti gli argomenti di studio, dal-
la grammatica greca alla matematica latina, ma si specializzò in latino e
greco, e con molta cura introdusse gli studenti allo studio della lettera-
tura moderna in entrambe le lingue. Di Fabricius era solito dire entusia-
sticamente ai suoi allievi: «Qualunque cosa si possa dire su ogni autore,
la si ritroverà nelle sue opere. Egli descrive la vita dell'autore, le opere
conservate e quelle andate perdute, le edizioni critiche del testo greco e
quelle che dispongono anche di una traduzione latina» 4' Gesner rimase
particolarmente colpito dagli indici sistematici di riferimento ad ogni au-
tore compilati da Fabricius: «Cosi, se qualcuno intende scrivere su un
determinato argomento o desidera solo sapere cosa è disponibile su Pi-
tagora, Democrito ecc., deve semplicemente andare a questa voce e,
dall'indice degli scrittori in essa citati, potrà redigere una storia molto
esaustiva o, almeno, conoscere la storia di questi filosofi sia nell'età an-
tica che in epoca piu recente» 44 • Gesner stesso, come ebbe a confessare,
aveva scoperto l'utilità di questi frammenti mentre compilava un'edi-
zione degli Orphica. «Alla mia età, difficilmente mi sarei aspettato di leg-
gere tutti gli autori greci e di raccogliere qualsiasi passo derivante da Or-
feo che possa essere rintracciato in loro; ma gli indici di Fabricius mi han-
no rivelato questa possibilità»45 In altri termini, secondo Gesner, editare
un testo significava conoscenza profonda della letteratura esistente in
materia, raccolta dei dati desumibili da essa e aggiunta dei propri mode-
sti suggerimenti per l'interpretazione e l'emendazione.
Heyne non abbandonò mai l'impresa enciclopedica che Gesner e al-
tri predecessori gli avevano lasciato in eredità. Egli si assunse la re-
sponsabilità della biblioteca universitaria di Gottinga e la trasformò nel-
la piu completa e accessibile collezione specialistica esistente in Europa
di testi editi con criterio filologico. Nell'erudito periodico locale di cui
fu redattore, il «Gottingische gelehrte Anzeiger», Heyne pubblicò an-
che circa ottomila recensioni di libri di nuova accessione - la maggior
parte delle quali, in verità, sintesi che scrisse currente calamo. Egli cercò
cosi di sottoporre la biblioteca e ciò che essa conteneva a una versione
piu sistematica di quell' «ordine» razionale che filologi precedenti come
Gesner avevano condotto in modo informale 46 Ma egli trasformava l'im-
presa enciclopedica proprio mentre provvedeva alla sua conservazione.
La biblioteca divenne uno strumento di ricerca, ideato per fare luce, da
"J. M. GESNER, Primae lineae isagoges in eruditionem universalem, I, Lipsiae 1784, p. 142.
« Jbid., p. I43·
" Ibid.
" w. CLARK, On the bureaucratic p/ots of the research library, in M. FRASCA-SPADA e N. )ARDINE
(a cura di), Books and the Sciences in History, Cambridge 2ooo, pp. 190-206.
r 278 Riappropriazioni, riattualizzazioni
•• 11. BUTIERAELD, Man on His Past, Cambridge 1955; P. H. REILL, The German En/ightenment
and the RiseofHistoricism, Berkeley 1975; Aufkliirung und Geschichte, Gottingen 1986; Geschichts-
wissenschaft in Gottingen, Gottingen 1987.
•• HEEREN, Christian Gottlob Heyne cit., pp. 247-48.
•• c. G. HEYNE, Opuscu/a academica, I, Gottingen 1785, p. 287.
1280 Riappropriazioni, riattualizzazioni
greci in Egitto - dove essi erano separati dalla tradizionale politica del-
la polis, esposti a un mondo nuovo pieno di cose stupefacenti e impe-
gnati in una sistematica ricerca di erudizione, senza precedenti in Gre-
cia - avesse trasformato la loro sensibilità51 • Heyne non abbandonò mai
questo impegno, che alimentò un attivo interesse per la vita politica cor-
rente oltre che per la storia e le lettere greche.
Anche i suoi corsi sui classici della letteratura greca riflettevano il
suo sforzo generale di ricollocare le opere nel contesto che le aveva ge-
nerate. Alla fine del xvn e nel XVIII secolo critici e viaggiatori avevano
provato che le opere di Omero non potevano essere considerate come
prodotti formali e compiuti di un'arte letteraria cosciente di sé. Scrit-
tori cosi diversi come Bentley e Vico avevano documentato queste ipo-
tesi attraverso letture accurate dei testi omerici. Nel complesso, tutta-
via, discussioni del genere erano condotte al di fuori delle scuole e del-
le università. Questa era ancora la realtà nel I 769, quando il diplomatico
e viaggiatore inglese Robert Wood dette alle stampe la prima versione
del suo Essay on the Origina! Genius o/ Homer. Oltre ad essersi familia-
rizzato con la poesia orale del Mediterraneo orientale, conosceva anche
-cosa del resto comune, all'epoca- i poemi di Ossian, considerati ope-
ra di un antico bardo, editi da James Macpherson. Con efficacia mag-
giore di qualsiasi suo predecessore, Wood insisteva sul fatto che Ome-
ro andava letto nel contesto di una poesia che attingeva alla tradizione
e che veniva tramandata oralmente52 •
Nel 1770 l'opera di Wood giunse a Gottinga. Heyne e altri ne furo-
no immediatamente affascinati, e tra questi il teologo J. G. Michaelis,
che aveva curato personalmente l'edizione delle lezioni De sacra poesi
Hebraeorum, dell'erudito inglese Robert Lowth. Michaelis scrisse a
Wood: «Heyne, Beckmann e io riteniamo che Omero andrebbe letto
proprio come lo avete letto voi, e ci auguriamo che in Germania nessu-
no lo legga in un modo diverso»n Benché suoni moderata nel tono, la
lettera era una vera e propria dichiarazione d'intenti. Nelle sue lezioni
del 1789 su Omero Heyne fece esattamente quello che Michaelis aveva
promesso. In contrasto con una formidabile tradizione esegetica, Hey-
ne sosteneva che i miti di Omero non dovevano essere considerati alle-
gorie ma che rappresentavano le sue rielaborazioni orali di tradizioni an-
"Ibid., pp. 76·134; cfr. w. MEITLER, Der;unge Friedrich Schlege/ und die griechische Literatur,
Ziirich 1955, pp. 46·97·
" R. wooo, An Essay on the Originai Genius o/ Homer (1769 and 1775), a cura di B. Fabian,
Hildesheim- New York 1976; cfr. K. SIMONSUURI, Homer's Origina/ Genius, Cambridge 1979-
" Lettera di Michaelis a Wood delt77o pubblicata in wooo, An Essai ci t., Bib/iographica/ No-
te, p. xm*
Grafton Lo spazio del greco nel sistema d'istruzione r 28r
teriori. N ella descrizione america degli dèi che deridono l'andatura gof-
fa di Efesto, lo studioso individuava la prova evidente dell'esistenza di
un mondo diverso per gusto e sensibilità: «qui la risata implica solamente
gioia, che Omero, a causa della rozzezza della sua epoca, è in grado di
esprimere solo con una risata» 54 Heyne spiegò ai suoi allievi che Ome-
ro stesso non aveva mai redatto in forma scritta l'Iliade o l'Odissea:
«L'arte dello scrivere non era ancora tanto sviluppata da permettere di
buttare giu qualcosa di piu che un elenco di singoli eventi destinato a
un monumento pubblico» 55 • Anche gli editori alessandrini che secoli do-
po cercarono di emendare e integrare le sue opere non fecero che ag-
giungere ulteriori stadi di falsificazione e corruzione, poiché lavorava-
no partendo «da falsi principi» 56 • Sia Alexander che Wilhelm von Hum-
boldt ascoltarono queste lezioni, e il primo espresse con la tipica forza
persuasiva la quantità di cose che aveva imparato dall'abilità di Heyne
nell'evocare «l'infanzia della razza umana» 57 In altre parole, Heyne in-
trodusse direttamente in classe i piu moderni risultati del criticismo con-
temporaneo conseguiti fino alla sua epoca. Dagli anni settanta del XVII
secolo, mentre Herder e altri proseguivano in quello che diventò un im-
menso, .produttivo e complesso dibattito sulla lettura storica di Omero,
gli allievi di Heyne tenevano il passo nell'aula universitaria.
In fine, le lezioni di Heyne introdussero un ulteriore elemento di no-
vità nell'insegnamento delle materie classiche. Gesner aveva creato que-
sta istituzione scegliendo un ristretto gruppo di allievi, per i quali riusd
a ottenere stipendi statali, e procedendo alloro sistematico addestra-
mento all'insegnamento del greco e del latino- soprattutto del greco-
nelle scuole. In questo e in altri campi Heyne fu il continuatore di un'im-
presa precedente e, nello stesso tempo, fu colui che la trasformò. Ogni
semestre ammetteva una cerchia ristretta di allievi a studiare diretta-
mente con lui: i membri di questo seminario dovevano presentare anali-
si formali di testi e temi loro assegnati; Heyne stesso, insieme agli stu-
denti, prendeva parte alle vivaci discussioni che seguivano. Relazioni ac-
curate e regolarmente inoltrate al governo illustravano i progressi di ogni
studente e fornivano indicazioni sulla sua idoneità alla professione, ad
esempio, di insegnante ginnasiale. Inoltre, il costante esercizio interpre-
tativo sviluppato in un contesto di gruppo introduceva gli studenti a una
terminologia comune e alla condivisione degli stessi interessi. Non c'è da
" Citazione dalle lezioni di Heyne del «Sommersemester>> q89, in w VON IIUMBOLDT, Brie-
/e an Friedrich August Wolf, a cura di P Mattson, Berlin
1990, p. 345·
, lbid., p. 325·
"lbid., p. 337·
17
lbid., p. 582.
1282 Riappropriazioni, riattualizzazioni
58
J. H. J. KOPPEN, Ober Homers Leben und Gesànge, Hannover 1788, pp. 246·47.
59
« Bibliothek der alte n Literatur un d Kunst », VII ( r 790), pp. 8o-84.
60
c. MENZE, Wilhelm von Humboldt und Christian Gottlob Heyne, Ratingen 1966.
Grafton Lo spazio del greco nel sistema d'istruzione 1283
ment, per ristorarsi dopo studi piu impegnativi. In generale, non venne
fatto alcuno sforzo per integrare questi approcci cosi diversi. Anche nel
xvm secolo, quando gli eruditi cominciarono ad arrivare «piu in profon-
dità nel cuore del soggettm>, essi si limitarono a uno studio di tipo an-
tiquario: «solamente antichi costumi, cerimoniali, istituzioni; ma, cosa
ben piu importante, le imponenti vestigia degli antichi monumenti riac-
quistarono il loro status per merito dei filologi» 61 •
Lo stesso Wolf, tuttavia, sperava di fare di piu. I commentatori de-
gli autori antichi, sosteneva, avevano trascurato di integrare spiegazioni
storiche e antiquarie nelle loro esplicazioni ai singoli testi. Perciò nel 1789
egli pubblicò un'edizione dell'orazione Contro Leptine di Demostene idea-
ta per fungere da modello di un nuovo approccio. Wolf espose la sua in-
troduzione e il commento al testo in uno studio globale e dotato d'in-
terna coerenza, un contributo che esaminava contemporaneamente il te-
sto e metteva in chiaro di considerarlo come l'oggetto di una ricerca
ermeneutica formale. I suoi allievi- ai quali Wolf distribuiva l'edizione,
pagina per pagina, ancora fresca di stampa - ~vrebbero studiato «sia ciò
che può servire a spiegare l'orazione, sia ciò che può essere appreso
dall'analisi della medesima»: in altre parole, essi l'avrebbero inserita in
quello che, molto tempo dopo, giunse ad essere definito «il circolo er-
meneutico »62 • Wolf incluse nella sua opera molto materiale derivante dal
tradizionale metodo di lavoro: redasse un compendio dell'orazione e ne
spiegò dettagliatamente il linguaggio. Ma offri anche un'introduzione
concisa e ben documentata sulle liturgie ateniesi che erano oggetto di di-
scussione, e analizzò il tipo di azione legale nella quale l'orazione s'inse-
riva. Alla fine dell'esercitazione, prometteva Wolf, i suoi studenti avreb-
bero acquisito familiarità «con tutta la varietà di cose e concetti impli-
cati nell'orazione», ma l'avrebbero anche «capita, per quanto è possibile,
nello stesso modo in cui la capi l'uditorio di Demostene quando si trovò
faccia a faccia con l'oratore» 63
L'analisi wolfiana, ancora una volta, non era cosi originale nel con-
tenuto come avrebbe potuto sembrare. Jacques de Tourreil, membro
dell' Académie cles lnscriptions et Belles Lettres di Parigi, nella sua tra-
duzione di Demostene aveva sostenuto che i lettori scrupolosi doveva-
no «agire e pensare come gli Ateniesi di allora, fare proprie le loro sen-
sazioni e i loro pregiudizi, comprendere in sé i loro interessi, le loro con-
troversie, le loro gelosie, le loro paure, le loro speranze. In caso contrario,
61
F. A. WOLF, Fragmente, in MARKNER e VEI.TRI (a cura di), Friedrich August Wof/ cit., p. 68.
62
F. A. WOLF, Prolegomena, in ID. (a cura di), Demosthenis oratio adversus Leptinem, Halle I789,
p. cxxxxv.
" Ibid., p. xxxv.
1284 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Dunque, anche prima del 18oo alcune scuole superiori fecero i pri-
mi tentativi per assegnare al greco uno spazio maggiore nell'ambito dei
loro corsi di studio, benché esse fossero ostacolate dalla tradizionale im-
portanza attribuita al latino, dalla mancanza di edizioni scolastiche di
qualità di testi greci e, soprattutto, dagli stipendi da fame corrisposti
agli insegnanti di liceo (che in media guadagnavano metà della somma
necessaria per il mantenimento all'università di uno studente benestan-
te)'7 Negli anni immediatamente successivi alla disfatta di Napoleone
in Prussia, quando si materializzò la tanto attesa crisi politica degli sta-
ti tedeschi, prese forma il liceo classico, grazie a una straordinaria col-
laborazione tra potere statale e riformatori del sistema d'istruzione. Le
prime riforme di rilievo si concretarono in Baviera, dove nel 18o8 Frie-
drich lmmanuel Niethammer si avventurò nella creazione di un nuovo
ordinamento scolastico; l'analoga riforma di Wilhelm von Humboldt,
realizzata in Prussia nel I8o9-Io, ebbe effetti piu drastici e duraturi. A
poco a poco la scuola secondaria tedesca si trasformò da istituzione ac-
cademica umanistica di vecchio stampo, poco supportata economica-
mente e disorganizzata sotto l'aspetto metodologico-disciplinare, in una
ben lubrificata macchina ottocentesca, all'interno della quale illustri fi-
lologi come Karl Otfried Miiller iniziarono la loro carriera e altri tra-
scorsero tutta la vita, insegnando sulla base di un rigoroso e verificabi-
le programma di studio incentrato sui classici.
All'inizio il nuovo liceo dedicò uno spazio pressoché identico all'in-
segnamento del greco e del latino, tanto da offrire ai suoi allievi qual-
cosa di nuovo: un contatto diretto con i Greci, realizzato attraverso un
apprendimento intensivo dei testi letterari. Nel liceo tedesco lo studio
della lingua- cosi spiegava in un discorso tenuto nel 1809 G. W. F. He-
gel, egli stesso preside di liceo a Norimberga - non era piu «un mero
strumento, ma un fine in se stesso», perché la vera ricchezza dei classi-
ci - vale a dire il loro «valore e il loro sentimento della patria, liberi da
ogni ambiguità, e il grande modello fornito dalle loro azioni e dalla lo-
ro statura morale» - era direttamente correlata con la loro lingua e si
perdeva immediatamente nell'opera di traduzione. «Tale situazione, -
secondo Hegel, - rende essenziale, per quanto la cosa ci appaia diffici-
le, lo studio approfondito della lingua degli Antichi e il conseguimento
di una piena familiarità con essa, in modo da poter gustare al massimo
grado possibile le loro opere, cogliendone tutti gli aspetti e tutte le qua-
lità intrinseche»68 • Mutatis mutandis, queste considerazioni sarebbero ri-
67
M. KRAUL, Das deutsche Gymnasium, 17Bo-r9Bo, Frankfurt 1984, pp. 13-46.
'" M. LANDFESTER, Humanismus und Gesellschaft im 19.]ahrhundert, Darmstadt 1988, pp. 30-55.
1286 Riappropriazioni, riattualizzazioni
18
Br., I, n. 184, pp. 295·96 (a G. Wille).
"Br., I, n. 213, p. 361.
20
Br., Il, n. 482, p. 225 (a Francke).
21
Br., Il, n. 557, p. 310 (allo stesso).
" Br., III, n. 86o, p. 269 (allo scultore danese Johannes Wiedewelt).
" Br., II, n. 372, p. 98 (a W. Stosch).
"Br., III, n. 938, p. 372 (allo stesso).
"Br., I, n. 167, p. 266 (a Berendis).
Pommier Arte e libertà: Winckelmann e i suoi seguaci I 29 I
1
' Br., IV, n. 128, p. 243. Rifugiato all'estero tra il 1765 e il q68, John Wilkes (1727·97)
transita in questo periodo per Roma.
" Br., III, n. 882, p. 289 (originale in francese).
" E. POMMIER, Winckelmann et la religion, in J. PIGEAUD e J.-P. BARBE (a cura di), Winckelmann
et le retourà /'antique, Atti del I colloquio (La Garenne Lemot, 1994), Nantes 1995, pp. 13·31.
Pommier Arte e libertà: Winckelmann e i suoi seguaci 1293
smo, Alberigo Archinto, nunzio a Dresda, gli aveva spiegato che l'abiura
sarebbe stata una semplice formalità «esteriore», priva di influenza sulla
«convinzione intima», e che «cambiare religione, è cambiare la tavola ma
non il Signore»H. Lo stesso Winckelmann, in una lettera del 6 gennaio
1753, nella quale esprime il proprio turbamento, riconosce che, per amo-
re della scienza (leggi: per consacrarsi allo studio dell'antichità a Roma),
si possono sopportare delle «ciarlatanerie teatrali~~. ossia accettare di sot-
toporsi a riti che non sembrano impegnare la persona nel profondo's
A partire dalla conversione, Winckelmann sembra costruire la sua
vita interiore su una sorta di compromesso. Appronta in se stesso una
riserva interiore, il luogo dell' «adorazione nel raccoglimento», nel qua-
le si manifesta la grazia di Dio, destinata a rimanere un «monumento
eterno», un Denkmal, ossia, nello stesso tempo, un monumento, un mo-
nito, un ricordo, una presenza". A prezzo della sottomissione esteriore
alle pratiche imposte dal potere dominante, il credente può conservare
nel piu profondo di sé quella libertà che, secondo l'insegnamento del
Vangelo e di san Paolo, è il dono della grazia e della pace di Dio, che si
esprime mediante la Stille: nello stesso tempo, pace del cuore, silenzio,
calma, raccoglimento, conquista della saggezza. Winckelmann ritiene la
Stille un attributo essenziale dell'arte greca; Stille con ogni probabilità
mutuata dalla tradizione pietistica)7, di coloro che, definiti dagli avver-
sari «die Stillen im Lande», avevano fatto propria questa denomina-
zione che si rifà a un passo del Salmo 3 5, secondo il quale i nemici del
popolo eletto ordiscono complotti «contro i pacifici della terra».
Questa è, a mio avviso, la libertà vissuta da Winckelmann; una libertà
segreta che esprime nella maniera piu sottile e paradossale la libertà dei
figli di Dio di cui parla san Paolo. Libertà della quale nessuna forza può
privarlo, e ottenuta quale compe,nso del sacrificio alle convenzioni este-
riori imposto dalla conversione. E questa la libertà che porta con sé a Ro-
ma, la sua <dibertà romana».
I due studi precedenti di maggiore importanza sono: w SCHULTZE, Winckelmann und die Religion,
in «Archiv fiir Kulturgeschichte», XXXIV (1952), pp. 247·6o; A. DUPPENGIESSER, Der«Griind/ich
gebon!ne Heide». Religion, Theologie und Kirche bei Winckelmann, Passau 1981.
"Br., IV, n. 118, pp. 207·10; n. 120, pp. 211·16.
"Br., I, n. 81, pp. 109·11 (a Berendis).
"Br., l, n. 88, pp. 120-21 (allo stesso).
" A. LANGEN, Der Wortschatz des deutschen Pietismus, Tiibingen 1954, in particolare pp. 174-85.
1294 Riappropriazioni, riattualizzazioni
•• ID., Geschichte der Kunst des Altertums, Darmstadt 1982 (d'ora in avanti GKA), p. 88 [trad.
it. Torino 1961].
" GKA, p. 42.
1296 Riappropriazioni, riattualizzazioni
se, e le arti e le scienze non poterono quindi trovare nell'Asia ionica la sede piu fa-
vorevole. Ma ad Atene, dove, l'indomani della cacciata dei tiranni, s'instaurò una
forma di governo democratica, alla quale partecipava tutto il popolo, lo spirito di
ogni cittadino e della città stessa si elevarono al di sopra di tutta la Grecia42 •
42
GKA, p. 42.
" GKA, p. IJO .
•• GKA, p. IJJ.
'' Ammesso che in Caylus si parli di libertà, lo si fa in contrapposizione a Roma, e la libertà
si confonde con la liberalità o la nobiltà dell'arte, che solo viene esercitata da uomini liberi, men-
tre i Romani la lasciarono agli schiavi: E. POMMIER, Caylus et la Grèe, in J. PIGEAUD e J.-P. BARBE
(a cura di), La redicouverte de la Grèce et de l' Egypte au xvrrf siècle et au début du XIX siècle, Atti
del II colloquio (La Garenne Lemot, 1995), Nantes 1997, pp. 163-75· Si è talvolta ritenuto che
G. TURNBULL, Treatise on Ancient Painting, London 1740 (Munich 1971, a cura di V. M. Bevilac-
qua), sia stato il primo a sottolineare il nesso che intercorre tra libertà e fioritura delle arti in Gre-
cia; ma la sua concezione della libertà è assai piu morale che politica: egli parla infatti di <<libertà,
grandezza e sicurezza della mente». D'altra parte, questa «libertà» non è radicata nella storia, ma
fondata su una serie di citazioni di Cicerone, Seneca, Tacito, Plinio il Vecchio, Plutarco ecc. (cfr.
pp. 99-102). Si tratta di una differenza fondamentale.
Pommier Arte e libertà: Winckelmann e i suoi seguaci I 297
'" GKA, p.
322.
" GKA, p.
337·
" GKA, p.
332.
" GKA, p.
377·
" KS, p. 145.
Pommier Arte e libertà: Winckelmann e i suoi seguaci 1299
"GKA, p. 43·
" Sul tema <<arte e libertà a Firenze» cfr. F. HARTT, Art and Freedom in Quattrocento Floren·
ce, in Essays in Memory o/Karl Lehmann, New York 1965, pp. II4·3 1; D.]. GORDON, Giannolti,Mi·
che/angelo and the culto/Brutus, in s. ORGEL (a cura di), The Renaissance Imagination, Berkeley 1975,
pp. 233-45; 11. w JANSON, La signi/ication politique du David de Donatello, in «Revue de l'Art»,
XXXIX (1978), pp. 33·38; v. HERZNER, David Florentinus, in «Jahrbuch der Berliner Museen»,
XX (1978), pp. 42·1 15; XXIV (1982), pp. 63-107.
17
GKA, p. 347· Sulle descrizioni cfr. M. KUNZE, Winckelmanns Beschreibungen derStatuen in
Belvedere Ho/ i m Lichte des florentiner Nachlassheftes e E. osTERKAMP, ]ohann ]oachim Winckelmann
Beschreibungen der Statuen i m Belvedere in der Geschichte der Kunst des A/terthums: Text und Kon·
text, in M. WINNER, B. ANDREAE e C. PIETRANGELI (a cura di), I/ Corti/e del/e statue. Der Statuenhof
des Belvedere im Vatikan, Atti del colloquio della Biblioteca Hertziana (Roma 1992), Mainz 1998,
pp. 431•41, 443·58.
" POMMIER, Wincke/mann et la religion ci t.
I 300 Riappropriazioni, riattualizzazioni
certo tempo aveva sognato un'altra libertà, lontana sul piano spaziale,
ma teoricamente accessibile: quella delle piccole repubbliche alpine nel-
le quali vivevano i suoi amici svizzeri, da Gessner, a Fiissli, a Usteri 59
Ma le aveva poi preferito la libertà interiore, unitamente alla libertà,
lontana sul piano temporale, dell'Atene dell'antichità.
Condannato a vivere una libertà lontana, perché la profondità
dell'animo è altrettanto lontana della Grecia, Winckelmann non ha mai
manifestato la speranza di una sua possibile reincarnazione nella storia.
Fonte di nostalgia e ammirazione, la libertà greca appartiene a una sto-
ria della quale Winckelmann non intravede possibilità di ritorno. Nella
pagina conclusiva della Storia dell'arte nell'antichità, la nave che scom-
pare all'orizzonte porta con sé bellezza e libertà greche in un viaggio
senza ritorno.
61
Encyc!opédie, suppl., III, Paris 1777, p. 254. Si può citare pure l'articolo «Sculpture» del
vol. XIV, Paris 1765, p. 839: <<La scultura, dopo essere stata elevata al piu alto grado di perfezio-
ne presso i Greci, degenera in questa nazione spirituale quando essa perde la libertà>>. Si tratta di
una citazione quasi letterale dalla Storia dell'arte nell'antichità.
"Encyclopédie méthodique, Paris 1792, III, p. 223.
67
«Antique>>, ibid., I, pp. 83-85.
•• Il. J. JANSEN, Proiet tend4nt à consenJer !es arts en France en immortalisant !es événements pa·
triotiques et !es citoyens il/ustres, Paris 1791, pp. 5, 7, 13·
Pommier Arte e libertà: Winckelmann e i suoi seguaci 1303
" A. G. KERSAINT, Discours sur /es monuments publics, prononcé au Consei/ du département de Pa-
ris le I5 décembre I 79I, Paris 1792, pp. 3 (introduzione), 45 (testo).
10
J.-B.-P. LE BRUN, Réflexionssur/eMuseum nationa/(14 gennaio '79J), a cura di E. Pommier,
Paris 1992, p. 15, nota 2.
11
F. BOISSY o• ANGLAS, Que/ques idées sur /es arts, sur la nécessité de /es encouroger, sur /es insti-
tutions qui peuvent en assurer le per/ectionnement et sur divers établissements nécessaires à /'enseigne-
ment, Paris, 25 piovoso anno II (IJ febbraio 1794), p. JO.
72
lbid., pp. 1J8·45-
1304 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" <<La Décade>>, ro floreale anno II (29 aprile 1794), pp. 7·9-
" «Le Moniteur>>, ro6, ro nevoso anno III (5 gennaio 1795), pp. 127-28.
" Institut de France, Archives, 3 Ar, pp. 78-81.
76
Sul concorso dell'anno VI cfr. E. POMMIER, L 'art de fil /iberté. Doctrines et débats de fil Ré-
volution, Paris 1991, pp. 295-312.
Pommier Arte e libertà: Winckelmann e i suoi seguaci 1305
77
Il manoscritto di N. Ponce è conservato presso l'lnstitut de France, Académie française,
Archives, 2Dr (non numerato).
78
G. M. RAYMOND, De la peinture considérée dans ses e//ets sur /es hommes de toutes /es classes et
dans san in/luence sur /es mCEurs et le gouvemement des hommes, Paris r8o5', p. 74·
"La memoria di Charles L. Corbet (r758·r8o8) è conservata presso I'Institut de France,
Académie française, Archi ves, 2 D I, p. 23.
80
A. LENOIR, Description historique et chronologique des monuments de sculpture réunis au Mu·
sée des monuments/rançais, Paris, anno VI, Premessa, p. r; e ibid., «Monuments du xvw' siècle»,
p. 351, n. 401.
11
Memoria di Ch. L. Corbet, p. 45·
1306 Riappropriazioni, riattualizzazioni
eia; ma questa Francia nella quale gli artisti greci ritrovano finalmente
una patria vivente è <<arricchita» da alcuni loro capolavori. L'autore al-
lude qui a una conseguenza piuttosto sorprendente dell'influsso di
Winckelmann sulla visione dell'antichità in epoca rivoluzionaria, per cui
dalla strettissima relazione tra costituzione politica e fioritura dell'arte,
e dal ruolo attribuito alla libertà in rapporto al processo creativo, si trae
la conclusione che il paese che ha reinventato la libertà iscrivendola nuo-
vamente nella storia, ossia la Francia della Rivoluzione, è l'erede legit-
timo dei capolavori nati sotto l'ispirazione di questa libertà, per cui può
rivendicarli in quanto unico paese degno di possederli81 •
Questa manipolazione, fondata su un'estrapolazione degli scritti di
Winckelmann, si configura negli ambienti artistici influenzati da J ac-
ques-Louis David, nel clima d'esaltazione della retorica patriottica
dell'anno II. La tematica è inventata dal pittoreJean-Baptiste Wicar in
un discorso pronunciato il 28 gennaio 1794 davanti alla Société répu-
blicaine cles arts. Incaricato di redigere un rapporto sullo stato dei cal-
chi dei pezzi antichi dell'ex Accademia reale di pittura e scultura, Wi-
car ne attribuisce la situazione deplorevole in cui versano all'ostilità
dell'«aristocrazia», e la paragona alla distruzione della Grecia da parte
della barbarie trionfante. Wicar ne trae poi una conseguenza piuttosto
ardita, secondo la quale è compito del paese della libertà salvare e ap-
propriarsi dei resti della grandezza ateniese. La libertà gli ordina di por-
tar via «i resti del suo splendore. Non dovete infatti dubitare che il tem-
po li ha risparmiati per noi. Si, Da libertà] ce lo garantisce: soltanto noi
siamo in grado di apprezzarli, e noi eleveremo templi degni di queste
opere e dei loro illustri autori» 81 In sostanza Wicar investe la Francia
della Rivoluzione di un diritto sui capolavori dell'antichità e pone le ba-
si di una nuova ideologia che, a partire dall'estate successiva, servirà da
giustificazione teorica alle requisizioni di opere d'arte nei paesi vinti e
occupati dalle truppe della Repubblica. I capolavori artistici, creati sot-
to l'ispirazione della libertà, possono esprimere il loro significato e
diffondere il messaggio del quale sono portatori solamente nel paese che
ha ristabilito, per la prima volta dall'epoca gloriosa di Atene, la libertà
nel mondo. Facendo riferimento, il 31 agosto 1794, alle prime requisi-
zioni nelle Fiandre, e a quelle eventuali in caso di campagna militare vi t-
12
Cfr. lo studio di questa «avventura» in A. c. QUATREMÈRE DE QUJNCY, Lettres sur le préiudi-
ce qu 'occasionneraient aux arts età la science le dé placement des monuments de l'art de l' ltalie. l~ dé-
membrement de ses écoles et la spoliation de ses collections, galeries musées, etc., dette Lettres a Mt·
randa (Pasis 1796), a cura di E. Pommier, Paris r996 .
•, «Aux armes et aux asts», J, 16 ventoso anno Il (6 marzo 1794), pp. 157·58.
Pommier Arte e libertà: Winckelmann e i suoi seguaci 1307
84
11. GRÉGO!RE, Rapport sur /es destructions opérées par le vandalisme et sur !es moyens de le ré-
primer, Paris, I4 fruttidoro anno II (}I agosto I794), p. 20.
81
Ibid., p. I7.
86
E. POMMIER, La fète de Thermidor an VI, nel catalogo della mostra « Fetes et Révolution>>,
Musée cles Beaux-Arts, Dijon 1989, pp. 178-215.
" Si può leggere il testo del discorso di François de Neufchateau su« Le Rédacteur>>, 957, r 2
termidoro anno VI (Jo luglio 1798), pp. r-6.
88
P.·J.·B. CHAUSSARD, Essai philosophique sur la dignité des arts, Paris, ventoso anno VI (feb-
braio-marzo 1798), pp. I 2·I4.
89
L. TUETEY, Procès-verbaux de la Commission temporaire des arts, l, Paris 1912, pp. 456-91;
II, 1918, pp. 63, II6-17. Viene presa la decisione di donare la nuova edizione delle opere di
Winckelmann ai musei e alle «principali biblioteche».
I 308 Riappropriazioni, riattualizzazioni
l'arte sotto tutte le sue forme, compresa quindi l'arte dell'antichità, co-
me un elemento essenziale della loro identità, cercano in Winckelmann
soprattutto gli strumenti per acquisire una conoscenza scientifica piu
approfondita dell'arte antica94 Gli accademici tedeschi si rendono ben
presto conto che il figlio del ciabattino di Stendal è il primo tedesco ad
aver assicurato al suo paese una rinomanza letteraria di livello interna-
zionale. Essi si mostrano soprattutto sensibili all'ampiezza della sua co-
struzione teorica e perseguono, battendo le vie da lui inaugurate, un ap-
proccio culturale ed estetico alla storia's I suoi eredi piu diretti si chia-
mano Schiller"' e Holderlin", ma è Goethe il primo a riconoscerne il
ruolo di scopritore di un mondo nuovo"; mentre Hegel mutua da
Winckelmann i fondamenti della sua filosofia dell'arte, nella quale la li-
bertà si fonde e si confonde con la cultura". Per oltre un secolo, sino a
Furtwangler, Winckelmann resterà il modello della scienza tedesca del-
la storia antica 100 e di una visione eroica della Grecia. Gli Inglesi, a par-
tire da Gillies, si mostrano meno sistematici dei Francesi nell'interpre-
tazione dei rapporti tra società e sue espressioni artistiche 101 • Sarà Tho-
mas Jefferson a tradurre nella maniera piu fedele e molto concreta il
.. G. WINCKELMANN, Storia delle arti de/disegno presso gli antichi, a cura di C. Fea, Roma 1783.
La testimonianza piu preziosa sull'influenza di Winckelmann in Italia la fornisce L. LANZI, Storia
pittorica della Italia. Dal risorgimento delle Belle Arti fin presso al fine del xvm secolo, Bassano 1809,
allorché parla del suo progetto di fare «Una piena istoria di Pittura»: <<Ne ho preso esempio da
Winckelmann ottimo artefice della storia antica del disegno, che tante scuole partitamente de·
scrive, quante furono nazioni che le produssero». Risulta chiaramente che cosa Lanzi abbia mu·
tuato da Winckelmann. Per il contesto generale cfr. R. ASSUNTO, Verità e bellezza nelle estetiche e
nelle poetiche dell'Italia neoclassica e primo romantica, Roma 1984.
" L'opera fondamentale resta, nonostante la data di pubblicazione, H. c. HATFIELD, Wincke/-
mann and bis German Critics, r 755-1791 A Pre/ude to the Classica/ Age, New York 1943· Che pe·
raltro non dispensa dalla lettura del brillante saggio di L. CURTIUS, Wincke/mann und seine Nach·
folge, Wien 1941; né dalla sintesi di G. ZINSERUNG, Wincke/mann und diedeutsche K/assik, in <<He·
likon. Rivista di tradizione e cultura classica dell'Universita di Messina», IX-X (1969·70), pp.
765·90. Cfr. pure, malgrado i pregiudizi ideologici, T. NAMOWICZ (a cura di), Dieaufkliirr?rische Vto·
pie Rezeption der Griechenauffasung J. J. Winckelmanns um 18oo in Deutschland und Polen, War-
schau 1978.
96
L. UHLIG, Schiller und Wincke/mann, in <<}ahrbuch fiir internationale Germanistik», XVII,
l (1985), pp. IJ1·46.
" B. BOSCHENSTEIN, Winckelmann, Goethe und Ho/der/in a/s Deuter antiker Plastik, in <<Hol·
derlinJahrbuch», XV (1967-68), pp. 158·79·
" J. w. GOETHE, Winckelmann und sein ]ahrhundert, in ID., Briefen und Au/siitzen (Tiibingen
1805), a cura di H. Holtzhauer, Leipzig 1969.
" In proposito occorre partire dalla sintesi di E. H. GOMBRICH, Hege/ und die Kunstgeschichte,
in «Neue Rundschau», LXXXVIII (1977), pp. 202•19.
100
F. MA TZ, Winckebnann und das 19. ]ahrhundert, in "Geistige Welt Vierteljahresschrift fiir
Kultur und Geisteswissenschaft», III, 1 (1948), pp. J·IJ.
101
F. HASKELL, Wincke/mann et son influence sur /es historiens, in E. POMMIER (a cura di),
Winckebnann: la naissance de /'histoire de/' art à l'époque des Lumières, Paris 1991, pp. 85·99.
I 3I o Riappropriazioni, riattualizzazioni
punto di vista di Winckelmann sul ruolo della libertà in ordine alla fio-
ritura dell'arte, quando redigerà, assieme all'architetto francese Char-
les-Louis Clérisseau, amico e ammiratore del pensatore tedesco, i pro-
getti del Campidoglio di Richmond 102 ,
102
M. L. BAEUMER, Klassizitiit und republikanische Freiheit in der ausserdeutschen Winckelmann-
Rezeption des spiiten r8. ]ahrhunderts, in T. w. GAEI!TGENS (a cura di), ]ohann ]oachim Winckelmann,
I7I7-r768, Hamburg 1986, pp. 195-19.
CHRYSSANTHI AVLAMI
s A partire da una rappresentazione ciclica e ripetiti va del tempo calcata sulla natura: alla na·
scita e fioritura di ogni forma di governo segue il suo inevitabile declino. Il topos risale all'àvmuixÀw·
mç JtoÀmliflatwv polibiana. L'idea di decadenza agisce nel XVIII secolo sia sul piano letterario (in
opposizione al grand siècle, cioè quello del classicismo francese) sia su quello politico (in questo sen-
so riflette l'instabilità politica che segue la Gloriosa Rivoluzione in Inghilterra e, in Francia, la cri·
si economica e la contestazione del carattere assoluto della monarchia, in particolare nella secon-
da metà del secolo) . Si veda , a titolo indicativo, 11. VYVERBERG , Historical Pessimism in the French
Enlightenment, Cambridge Mass. 1958; R. MORTIER, L 'idée de décadence littéraire au rB' siècl.e, in
Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, Oxford 1967 , LVII , p. 1029.
• Senza che comunque esista una categoria globale di «progresso », per lo meno fino a quando
vi sarà una scissione tra natura e storia. Conseguentemente, il progresso è ben !ungi dall'essere pen·
sato come una <degge» della storia: «il credo in una legge del progresso è il vero credo del nostro
secolo>> («ProgrèS>>, in Dictionnaire Larousse, Paris t87 5, XIII, p. 299).
Per molti aspetti, il dibattito è già concluso nel 1816, quando Jeremy
Bentham scrive nel suo Traité des sophismes politiques: «la vera madre
della saggezza non è l'esperienza, ma l'inesperienza In che,cosa con-
siste dunque la saggezza dei temp} che chiamiamo antichi? E forse la
saggezza dei capelli bianchi? No. E la saggezza della culla». Se il passa-
to ha indubbiamente lasciato alla modernità «ogni avanzamento del pro-
gresso umano», nondimeno oggi sarebbe assurdo accontentarsi di co-
noscenze storicamente sorpassate'
La valorizzazione del presente, dunque, consente di opporsi al pre-
stigio tradizionalmente accordato alle «lezioni» del passato. Nella se-
conda metà del XVIII secolo, infatti, è proprio l'antico modello dell'bi-
storia magistra vitae ciceroniana a entrare in crisP 0 , con tutti i suoi pa-
rallelismi, le sue analogie, i suoi exempla e la sua ambizione di chiarire
e istruire il presente attraverso lezioni tratte dal passato. In un certo
senso, si potrebbe sostenere che l'idea di progresso ha dato spessore sto-
rico alla vittoria dei moderni 11 • Tuttavia, la prospettiva in cui ancora nel
1687 poteva iscriversi Charles Perrault con Le Siècle de Louis le Grand
venne profondamente modificata dall'ordine economico e dall'orizzon-
te politico del periodo che segui la Gloriosa Rivoluzione 12 •
7
<<L'attitudine a disprezzare il presente e ammirare il passato è profondamente radicatà nel-
la natura umana ed esercita la sua influenza anche su persone del massimo giudizio e dalle piu va-
ste conoscenze>> (D. HUME, 0/ the populousness of ancient nations (1752), in Essays. Mora!, Politica/
and Literary, a cura di E. F. Miller, Indianapolis 1985, p. 464).
' Dictionnaire de lo. pensée de Voltaire par lui-méme, a cura di A. Versaille, Paris 1994, p. 930.
' J. BENTHAM, La sagesse de nos ancétres, ou !' argument chinois, in Manuel de sophismes politi-
ques, a cura diJ.-P. Cléro, Paris 1996, pp. 213-I4. Questo testo venne pubblicato prima in fran-
cese, in una libera traduzione di E. Dumont, con il titolo Tactique des assemblées législo.tives suivie
d'un traité des sophismes politiques (1816).
10
Per una definizione dell'historia magistra vitae cfr. CICERONE, De oratore, 2.9, 2.12, 2.36,
2.5 r; ID., De divinatione, 1.50; PLUTARCO, Vita di Paolo Emilio, 1.5, 1.6. In proposito cfr. R. KO·
SELLECK, Le Futur passé. Contribution à lo. sémantique des temps historiques, Paris 1990, e F. IIARTOG,
Time, History and the Writing o/ History: the 'Order' o/Time, in KVHAA Konferenser 3 7, Stockholm
1996, pp. 95·IIJ.
11
Sul tema cfr. J. DAGEN, L'histoire de l'esprit humain dans lo. pensée française de Fontenelle à
Condorcet, Paris r 97 7.
12
Nel suo parallelo, per quanto in modo contraddittorio, Perrault rileva la scissione natura/sto-
Avlami Libertà liberale contro libertà antica I 3I 5
Allora si capisce anche per quale ragione, sul piano politico, il siste-
ma rappresentativo della costituzione inglese (in apparenza monarchi-
ca, ma in realtà repubblicana) alla fine risulti preferibile a quello delle
democrazie antiche: perché conferisce solo ai rappresentanti politici la
possibilità di «discutere degli affari», cosa di cui il popolo è assoluta-
mente incapacez'. Quanto al rapporto tra virtu, libertà e forma di go-
16
D'altronde Montesquieu introduce un principio di differenziazione tra gli antichi e i mo-
derni che liquida la premessa dell'historia magistra vitae: «Quando mi sono rivolto all'antichità, ho
cercato di coglierne lo spirito per non considerare come simili casi in realtà differenti e non rico-
noscere le differenze di quelli che sembravano simili» (MONTESQUIEU, Pré/ace, 5). Ma, d'altra par-
te, Montesquieu rimane del tutto estraneo all'idea di un progresso come processo universale del
divenire storico, dal momento che intende parlare «a partire da tutte le storie» (De l'esprit des /ois,
3·5·6). Cfr. B. BINOCIIE, Introduction à De /'espritdes /ois deMontesquieu, Paris 1998, pp. 7Z-ro4.
17
MONTESQUIEU, De l'esprit des /ois, zo. I.
18
«L'Europa ha raggiunto un tale grado di potenza che la storia non offre confronti in meri-
to ... Il commercio e la navigazione delle altre tre parti del mondo si riduce a quello dell'Europa,
cosi il commercio dell'Europa si riduce a quello della Francia, dell'Inghilterra e dell'Olanda» (ibid.,
21.21.20).
19
«Nelle città greche, soprattutto in quelle che si indirizzavano principalmente alla guerra,
ogni lavoro e professione che consentisse di guadagnare denaro era considerato indegno di un uo-
mo libero Inoltre Platone, nelle sue Leggi, esige che ogni cittadino dedito al commercio venga
punito. Vi era dunque un grande imbarazzo nelle repubbliche greche. Non si voleva che i cittadi-
ni lavorassero nel commercio, nell'agricoltura e neanche nelle arti» (ibid., 4.8).
20
Ibid., 21.7.3·
" «Il grande vantaggio dei rappresentanti è che sono in grado di discutere degli affari. Il po-
polo non ne è assolutamente capace; il che costituisce uno dei grandi inconvenienti della demo-
crazia» (ibid., I 1 .6.24, I I .6.27). E altrove: «è questo il grande vantaggio che avrebbe tale gover-
Avlami Libertà liberale contro libertà antica I 3 17
si profila anche lo scarto tra libertà antica e libertà moderna: per gli an-
tichi la qualifica di cittadino è inseparabile da quella di soldato; al con-
trario, tra i moderni l'obbligo morale di dar prova di amor patriae è no-
tevolmente temperato dal commercid9 • In altri termini, quello che imo-
derni hanno perso in virtu e civismo lo hanno guadagnato in umanità' 0 •
Contro la nostalgia di una libertà esclusivamente civica, Hume conclu-
derà che «complessivamente oggi, anche nel piu arbitrario dei governi
d'Europa, la natura umana gode realmente di maggiore libertà che du-
rante il piu rigoglioso periodo dell'antichità»u. Al carattere guerriero e
anticommerciale degli antichi corrisponde il disordine sul piano politi-
co. Cos'altro è la democrazia se non il regno di un popolo rumoroso?
La democrazia ateniese era un governo talmente turbolento che oggi difficil-
mente possiamo farcene un'idea. L'intero corpo collettivo popolare votava ogni leg-
ge, senza nessuna limitazione di censo, nessuna distinzione di rango, nessun con-
trollo da parte di una magistratura o di un senato; e quindi, necessariamente, sen-
za nessun rispetto dell'ordine, della giustizia o della prudenza'2
" <<Esistevano stati liberi, ma erano piccoli; ed essendo un'età bellicosa, tutti i vicini erano
continuamente in armi. Poiché la libertà provoca naturalmente lo spirito pubblico, questo amor pa-
triae aumenta quando la comunità pubblica è quasi sempre in allarme ... Una successione continua
di guerre rende ogni cittadino soldato Ma questo servizio è equivalente a una tassa assai pesan·
te: tuttavia risulta meno insopportabile a un popolo abituato alle armi, che combatte per l'onore e
la vendetta piu di quanto paghi, e non ha familiarità con il guadagno e l'industria, né con il piace·
re» (!lUME, 0/ com merce ci t., p. 259).
10
Hume introduce nel suo ragionamento un principio di compensazione: «Normalmente esi·
stono compensazioni in ogni condizione umana: e, benché tali compensazioni non siano compie·
t amen te equivalenti, servono tuttavia per lo meno a limitare il principio dominante» (m., 0/ the
populousness cit., p. 404).
" Ibid., p. 383.
lZ ID., 0/ some remarkable customs (1754), in Essays ci t., pp. 368-69.
" «In una delle arringhe di Lisia, l'oratore ne parla molto liberamente come di una regola del
popolo ateniese: ogniqualvolta volevano del denaro mettevano a morte un ricco, sia che fosse ci t·
tadino, sia che fosse straniero, per incamerarne i beni» (m., 0/ the populousness cit., p. 411).
" ID., 0/ some remarkable customs ci t., pp. 3 66-67.
" «Una delle cause generali dei disordini, molto frequenti in tutti i governi dell'antichità, sem·
bra essere stata la grande difficoltà, a quei tempi, di radicare qualsiasi forma di aristocrazia le
leggi di Salone non escludevano nessun uomo libero dal voto e dalle elezioni, ma riservavano al·
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1319
prietà privata sono le prove irrefutabili delle carenze del governo demo-
cratico. Se da un punto di vista ideale il governo migliore è proprio la re-
pubblica, è tuttavia incontestabile che l'equilibrio costituzionale garanti-
to dalla monarchia inglese, nonostante le sue imperfezioni, presenti il van-
taggio di una libertà e di una stabilità politica sconosciute ai Greci.
Adam Ferguson nel suo Essay on the History o/Civi!Society (r767) si
mostra invece molto piu incerto del suo predecessore Hume sul valore
da attribuire ai folgoranti progressi del commercio presso i moderni. Bi-
sogna sicuramente rallegrarsi che la «razza umana», perfezionandosi gra-
zie al commercio, abbia rovesciato il tradizionale rapporto di subordi-
nazione d eli'« abitante pacifico» al « guerrierm>. Ma bisogna pure preoc-
cuparsene: l'« abitante pacifico» (il commerciante piu che il contadino),
ormai <muovo padrone», sarà in grado di «far rivivere nel nuovo ordi-
ne che si appresta a instaurare lo spirito di nobiltà e libertà? »36 • Il com-
mercio deve realmente costituire il pilastro della pubblica felicità, deve
veramente essere la principale preoccupazione dello stato?" In sostan-
za, se lo sviluppo capitalistico è un chiaro indice del progresso dell'uma-
nità, tuttavia, per quanto possa apparire contraddittorio, proprio que-
sto sviluppo provoca nell' Essay una riflessione sugli effetti negativi del
commercio. Non è possibile capire questa ambivalenza al di fuori del
contesto della sconfitta giacobina di Culloden (1746), che segnò la sot-
tomissione definitiva degli Highlanders a Londra. Tale circostanza su-
scita in Ferguson uno sguardo di simpatia e allo stesso tempo di avver-
sione su Sparta, che probabilmente gli ricorda le Highlands 38 Gli Spar-
tani, infatti, hanno deciso di affidarsi alla virtu per tutto quello che gli
altri compravano con i «loro tesori». In tal modo Sparta, basandosi su
una ripartizione egualitaria della ricchezze, fu in grado di contenere la
corruzione e rendere il cittadino partecipe della «fortuna pubblica», non
«proprietario di una fortuna particolare», come al contrario avveniva
ad Atene e a Roma. La disciplina di Sparta, il suo zelo collettivistico, le
sue leggi intransigenti, il ribrezzo per «il commercio degli uomini ser-
vili e mercenari» 39 , fanno onore a questa città e a qualsiasi altra nazio-
cune magistrature agli appartenenti a censi determinati; tuttavia il popolo non si placò finché que-
ste leggi non furono abolite» (ID., 0/ the populousness cit., p. 415).
" Ibid.
" A. FERGUSON, An Essay on the History o/Civil Society, a cura di F. Oz-Salzberger, Cambridge
1996, p. 140. L'Essay venne tradotto in francese nel 1783.
" Rileviamo che quando, sei anni dopo la sua pubblicazione in tedesco, l'opera di K o. Mi.iL-
LER, Die Dorier(1824) venne tradotta in inglese, l'assimilazione degli Highlanders ai Dori conoscerà
un nuovo impulso. Cosi, ad esempio, Matthew Arnold parlerà di «Dorian Highlanders» in opposi-
zione ai «mobile Ionians>>. Cfr. R. JENKINS, The Victorians and Ancient Greece, O x ford 1980, p. 167.
" FERGUSON, An Essay cit., pp. 141-42.
1320 Riappropriazioni, riattualizzazioni
La società civile, cosi come descritta nell' Essay, è dunque avviata ver-
so un processo cumulativo e graduale, ma in maniera talvolta ambiva-
lente. Non è sorprendente allora che la critica della democrazia atenie-
se di Ferguson si collochi in un orizzonte sfasato rispetto alla prospetti-
va di Hume. Infatti, Atene viene valutata sempre da un punto di vista
spartano; è Sparta, sulle orme di Creta, che fu in grado di realizzare la
divisione delle terre. Sia ad Atene che a Roma la questione della legge
agraria risvegliò uno spirito egualitario, ma le risposte non sortirono mai
un effetto durevole. Le attività commerciali praticate dagli Ateniesi
rafforzavano la disuguaglianza delle ricchezze e generavano uno squili-
brio politico. D'altra parte, le assemblee popolari erano spesso sotto il
giogo di «un qualche capopopolo che ne lusingava le passioni e ne sfrut-
tava i timori» e invece di servire gli interessi dello stato badava alle pro-
prie mire. Risultato: corruzione, servilismo, tumulto. All'apogeo della
democrazia ateniese, in realtà, Pericle godeva di una specie di «potere
principesco »0
.. «< prodotti deUa natura, generalmente, si formano per gradi. I vegetali crescono a partire da
un tenero germoglio e gli animali da uno stato di infanzia ... Nel caso deU'uomo questo percorso pro-
gressivo è continuo e maggiore che in qualsiasi altro animale. Non solo l'individuo progredisce daU'in·
fanzia all'età adulta, ma le specie intere passano da uno stato di rozzezza aUa civiltà» (ibid., p. 7).
41
Ibid., p. 177. Subito dopo questa osservazione, Ferguson si chiede ancora se «presso gli an-
tichi la sorte di uno schiavo venisse piu disprezzata di quella di un contandino indigente>> e con-
stata che <<in ogni stato fondato sul commercio, nonostante le pretese di uguali diritti, l'esaltazio-
ne di pochi opprime molti».
42
Ibid., p. 155.
41
«Le obiezioni principali a un governo democratico o popolare sorgono dalle ineguaglianze
tra gli uomini che derivano dalle attività commerciali. E bisogna ammettere che le assemblee po·
polari, quando sono composte da uomini dagli animi meschini e le cui disposizioni normalmente
sono illiberali, per quanto possano essere coinvolte nella scelta dei propri capi e leader, sono sicu-
ramente incapaci di comandare a se stesse Tali uomini, se ammessi a deliberare su affari di sta·
to, portano confusione e tumulto, oppure servilismo e corruzione; e raramente si evitano gli in-
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1321
flussi di fazioni dannose o gli effetti di decisioni prese male e male applicate. Gli Ateniesi sotto-
ponevano il loro governo popolare a tutti questi inconvenienti>> (ibid., pp. qS-79).
" R.-J. TURGOT, Discours sur !es avantages quel' établissement du christianisme a procuré au genre
humain (3 luglio 1750) e ID., Tableau philosophique des progrès successifs de l'esprit humain (rr di-
cembre 1750), in CEuvresde Turgot, a cura di G. Schelle, Paris 1914, I, pp. 194-235·
" <d fenomeni naturali, sottoposti a leggi costanti, sono racchiusi in un circolo di rivoluzioni
sempre uguali ... ad ogni istante, il tempo rimanda l'immagine di ciò che ha fatto scomparire. La
successione degli uomini, al contrario, offre per ogni secolo uno spettacolo sempre cangiante ...
Tutte le epoche sono coiJegate tra loro da una serie di cause e di effetti che legano lo stato attuale
del mondo a tutti quelli che l'hanno preceduto» (TURGOT, Tableau cit., pp. 214-15).
" <<La religione cristiana, ispirando agli uomini uno zelo affettuoso per i progressi della ve-
rità, non si è forse in qualche modo dimostrata feconda?» (ID., Discours ci t., p. wo).
47
<<Il genere umano, rispetto aiJe verità che la ragione gli dimostra in modo piu evidente, ha
avuto una specie di infanzia? La Rivelazione non rappresenterebbe per lui ciò che l'educazione è
per i singoli uomini?>> (ibid., p. 198).
" <<Solo grazie ad essa [sci!. la religione cristiana] il genio che distingueva la Grecia e Roma
dai barbari vive ancora in Europa ... La comprensione d eU e lingue antiche venne trasmessa per le
necessità del servizio divino» (ibid., p. 199). Detto questo, cercando di risolvere la spinosa que-
stione del Medioevo, Turgot oscilla daiJ'idea che ai teologi scolastici «in un certo senso dobbiamo
i progressi delle scienze filosofiche» (p. 198) al verdetto degli illuministi sul Medioevo, per cui
«l'ignoranza e la barbarie dominavano ovunque» (ID., Tableau cit., p. 230).
49
La stessa opposizione si trova in llume, di cui cfr. 0/the rise and progress of the arts and scien-
ces (1742) e Ofthe refinement in thearts (1754), in Essays cit., pp. 111-37 e 268-8o.
" R.-J. TURGOT, Recherches sur /es causes des progrès et de la décadence des sciences et des arts ou Ré-
flexions sur l'histoire des progrès de l'esprit humain (Fragments, 1748), in CEuvres ci t., pp. 118-r9, '33·
" ID., Discours cit., p. 211. <<NeiJe repubbliche antiche, la libertà era fondata piu suiJ'equili-
brio tra ambizione e potere fra i singoli cittadini che suiJa valutazione deiJa nobiltà naturale degli
uomini; l'amore della patria era piu odio comune per gli stranieri che amore dei propri concittadi-
ni. Da questo derivavano le barbarie che gli antichi infliggevano ai loro schiavi» (p. 209).
13 22 Riappropriazioni, riattualizzazioni
"Ibid., p. 137.
" Ibid., p. 207. Cfr. J. oossuET, Discours sur/'histoire universelle (r68I), in CEuvres, Paris 1961,
pp. 559·60.
" R.·J. TURGOT, Réflexions sur la formation et la distribution des richesses, in CEuvres cit., II, p.
534· Su Turgot e il suo rapporto con i fisiocratici cfr. c. LARRÈRE, Histoire et nature chez Tul'/lot, in
o. BINOCHE e F. TINLAND (a cura di), Sens du deveniret pensée de l' histoire, Seyssel 2ooo, pp. r 78·208.
"Cfr. l'opera postuma dello scozzese F. HUTCHESON, A System o/ Mora! Philosophy (1755).
Notiamo anche che Chastellux è una delle rare persone dell'epoca a conoscere bene i Principt d'una
scienza nuova d'intorno alla commune natura delle nazioni (1725) di Vico.
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1323
" F.-J. DE CHASTELLUX, De la félicité publique ou considérations sur le sort des hommes dans /es
dif/érentes époques de l'histoire, a cura di R. Basoni, Paris 1989, pp. 166-67 e 16o-6I (trad. ingl.
del 1774).
, Ibid., p. I65.
" Ibid.' p. I 69.
19
IIARTOG, Du para//è/e ci t.
60
B. BINOCHE, Les trois sources des philosophies de l'histoire, Paris 1994, pp. 49-52, studia la lo-
ro simultanea apparizione esaminando le forme specifiche che prendono nella «storia naturale»
dell'illuminismo scozzese (da Hume a Stewart), nel «tableau historique» degli illuministi francesi
(da Turgot a Condorcet) e nella «teodicea della storia>> dell'illuminismo tedesco (da Iselin a Kant).
Notiamo che Voltaire è il primo a coniare il termine di «filosofia della storia» con il suo libro del
r 765, benché sia !ungi dal concepire la storia come organizzazione di fatti su un asse temporale de-
terminabile.
61
<<La storia seguente inizia con l'infanzia della Grecia e descrive il suo graduale cammino ver-
1.324 Riappropriazioni, riattualizzazioni
so la civiltà e il potere ... Mi sono sforzato di tracciare serie complesse e spiegare le connessioni se·
grete di eventi apparentemente isolati, in modo da riunire gli elementi sparsi della storia greca in
una narrazione ininterrotta»(]. GILLIES, The History o/ Ancient Greece, its Colonies and Conquests,
Edinburgh-London 1786, I, Preface, pp. v-vi). Cfr. anche w. ROBERTSON, The History o/ Ancient
Greece, Edinburgh 1778. La storia di Gillies venne immediatamente tradotta in francese da Car-
ra nel1787. Benjamin Constant, nello stesso anno, pubblicò anonimamente la traduzione di un ca-
pitolo di questa storia, con il titolo di Essai sur !es mr.eurs et !es temps héroi"ques de la Grèce. Sulla
storiografia dell'antichità greca nel xvm secolo cfr. c. AMPOLO, Storie greche. La formazione della
moderna storiogra/ia sugli antichi Greci, Torino 1997, pp. 38-64.
62
Da cui deriva la ripresa di una concezione ciclica della storia: «è ben noto che ogni gover-
no ha una durata e che la morte del corpo politico è inevitabile come quella del corpo di un ani-
male. Ma, cosi come un tipo di morte è preferibile a un altro, ci si può domandare se sia preferi-
bile per la costituzione inglese finire in un governo popolare oppure in una monarchia assoluta»
(o. HUME, Whether the British govemment inclines more lo absolute monarchy orto a republic (I 741),
in Essays cit., pp. 51-52). Nel momento in cui Hume redasse questo saggio, il malessere economi-
co e sociale prodotto dallo sviluppo industriale si ripercuoteva sul piano politico: l'autorità di Wal-
pole, primo ministro whig, era seriamente compromessa e, dopo le sue dimissioni nel1842, il po-
tere passò ai tories.
" Tuttavia Hume riesce a risolvere parzialmente il problema sostenendo che ciò che, in un da-
to momento della storia, declina in un luogo, necessariamente fiorisce altrove, cosicché alla fine si
verifica una successione di cicli storico-geografici. «Le arti e le scienze sono fiorite in un'epoca e
decadute in un'altra. Ma dobbiamo osservare che nel momento in cui raggiunsero l'acme della per-
fezione presso un popolo, forse erano totalmente sconosciute presso le nazioni vicine; e benché sia-
no potute decadere complessivamente durante un'epoca, tuttavia in una generazione successiva so-
no resuscitate e si sono diffuse in tutto il mondo. Per quanto è dato osservare, non esiste una dif-
ferenza generale riconoscibile nella specie umana; e benché sia vero che l'universo, come un corpo
vivente, progredisce dall'infanzia alla vecchiaia, tuttavia, resta dubbio se al presente si stia avvi-
cinando alla sua massima perfezione oppure si stia allontanando da questa. Per cui non possiamo
presupporre alcuna decadenza nella natura umana» (HUME, 0/ the populousness cit., pp. 377-78).
Cfr. anche ID., 0/ the refinement cit., pp. 84-87 .
.. In particolare è Mme de Stael, sulla scia dei fratelli Schlegel, che inserirà la letteratura in
una continuità progressiva in De la littérature (18oo) e in De l'Allemagne (I8IJ).
" Per quanto Hume sottolinei la scarsa rilevanza del commercio e critichi la libertà dei Gre-
ci, nondimeno interpreta la fioritura del sapere greco a partire dalla benefica influenza del com-
mercio e della libertà politica. IIUME, 0/ the rise ci t., pp. 120-21; e anche ID., 0/ eloquence e 0/ the
re/inement cit.
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1325
litica - per lo meno è quanto sostiene Adam Smith quando, con tono
forse eccessivamente ottimistico, nota che
il commercio e le manifatture gradualmente introdussero l'ordine e il buon gover-
no ... e con essi la libertà e la sicurezza degli individui Questo, benché sia stato
l'effetto meno osservato, è di gran lunga il piu importante di tutti. Hume è il solo
autore che, per quanto io sappia, lo abbia finora rilevato••.
66
A. SMITII, Indagine sul!tJ natura e le cause del/Q ricchexxa delle nazioni, trad. it. Milano 1973,
libro III, IV, p. 402. La prima traduzione francese, in 4 voli., fu pubblicata a La Haye nel 1778-79·
" In Voltaire gli Spartani equivalgono ai selvaggi del Canada (VOLTAIRE, Philosophie de /'hi-
stoire (1765), 7). E Voltaire, in questo testo, è ben lungi dall'aderire al mito del «buon selvaggio>>.
68
Per il senso rousseauiano della storia quale magistra vitae cfr. a titolo indicativo Emi/e, ou De
l'éducation, 4·3· inJ.·J. ROUSSEAU, <Euvres complètes, IV, Paris 1969. Su Rousseau e l'antichità cfr.
Y. TOUCHEFEU, L 'antiquité et le Christianisme dans !tJ pensée de ]ean-]acques Rousseau, Oxford 1999.
"J.·J. ROUSSEAU, Introduction a Discours sur l'origine et lesfondaments de /'inégalité parmi /es
hommes (1755).
70
Rivelatore, da questo punto di vista, il tentativo di Rousseau di comporre su commissione,
attorno al 1752, una Histoire de Lacédémonie, abbandonata dopo qualche pagina. Vi si legge un
r .3 26 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Rousseau intento a una critica originale della storia (J.-J. ROUSSEAU, CEuvres complètes, III, Paris
1964, pp. 544-48).
71
Piu precisamente, Rousseau considerava l'uomo come un animale perfettibile; per esempio,
descrive il passaggio dell'uomo dallo stato di natura a quello civile in termini di perfettibilità (Con-
trat social, I .8); l'uomo di Rousseau è perfettibile poiché, come nota F. Tinland, è in grado di «svi-
luppare, "con l'aiuto delle circostanze", tutte le altre facoltà». Ciò, comunque, non implica affat-
to che l'umanità sia immessa in un processo storico progressivo; nulla infatti impedisce che l'uo-
mo si possa degradare fino a uno stato inferiore a quello di natura in cui è nato e diventare «un
animale stupido e ottuso>> (ibid.). In proposito cfr. F. TINLAND, Peifectibilité humaine, hasard des évé-
nements, logique des enchainements historiques et liberté selon J.-J Rousseau, in BINOCIIE e TINLAND
(a cura di), Sens ci t., pp. I r 2-42; BINOCHE, Les trois sources ci t., p. 31.
" ROUSSEAU, CEuvres, III cit., p. 546. In un altro punto Rousseau si chiede: «cosa hanno in
comune i Francesi, gli Inglesi, i Russi con i Romani e con i Greci? Quasi niente, oltre il fisico. Le
grandi personalità di questi, a quelli paiono esagerazioni della storia>> (p. 956).
71
Ibid., pp. roo4-5. È ovvio che questo riguarda molto piu Sparta che Atene, la quale si ab-
bandonò subito al lusso e alla sua inevitabile conseguenza, la corruzione.
"m., Contratsocial, 3.15 e 3.I7; cfr. anche 2.4.
75
Cfr. la Lettre à Monsieurd'Aiembert sur !es spectacles (1758). Tuttavia, il pensiero di Rous-
seau è decisamente piu complesso: altrove non esita ad affermare che «in un grande stato», come
la Polonia, «il potere legislativo non può agire se non per delega>>, e a proporre misure per evitare
la corruzione (Considérations sur le gouvernement de Pologne, in CEuvres, III ci t., pp. 970-71 e 978).
Per tutto questo si farà riferimento a R. DÉRATIIÉ, f.-f. Rousseau et la science politique de son temps,
Paris 1988 2, pp. 248-364.
16
«Ma, mio caro Théodon, mi fermo e prima di parlarvi dei differenti generi di storia che ri-
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1.327
Grecs esordiscono con un attacco contro gli apologeti della storia mo-
derna:
Lasciate stare i vostri Greci, mi è stato detto piu volte, la loro storia è ben lo-
gora. Chi non conosce già Lacedemone, Licurgo, Atene, Salone, Tebe, Epaminon-
da, la lega achea e Arato? Siamo stanchi di sentir parlare di Salamina e della guer-
ra del Peloponneso ... Ma sarebbe un gran male se ci stancassimo di studiare i Gre-
ci e i Romani; la storia di questi due popoli è una grande scuola di morale e di politica:
non solo vi si impara fino a che punto possano elevarsi le virtu e il talento degli uo-
mini sottoposti alle leggi di un governo assennato, ma le loro stesse mancanze ser-
viranno agli uomini come lezioni sempiterne77
chiedono differenti talenti permettetemi di chiedervi se avete fatto alcuni studi che definirei
preparatori, indispensabili, per uno storico. Avete studiato il diritto naturale?» (MABLY, De la ma-
nière d'écrire l'histoire (I783), Paris I988, p. 273). Cfr. anche ID., De l'étude de l'histoire (I775l.
in Col!ection complète des (J!Uvres de Mably, Paris 1794-95, XV, p. 18.
77
ID., Observations sur l'histoire de la Grèce, ou des causes de la prospérité et des malheurs des
Grecs (1766), Paris 1789, pp. vn-vm. Cfr. anche ID., Droits et devoin du citoyen (1758), Paris I 789.
Rileviamo che Mably radicalizza le sue posizioni nelle ultime pubblicazioni, procedendo a una cri-
tica delle sue opere giovanili, in particolare della prima versione delle Observations sur /es Grecs del
1749, in cui celebrava il governo monarchico. Su Mably cfr. P. I'RIEDMANN e F. GAUTIIIER (a cura
di), Col!oque Mably. La politique comme science morale, l, Bari 1995.
" MABLY, Doutes proposés aux philosophes économistes sur l' ordre nature/ et essentiel des sociétés
politiques (1768) e Du commerce des grains (1775). Cfr. 1'. GAUTHIER, De Mably à Robespierre, in F.
GAUTIIIER e G. R. IKNI (a cura di), La guerre du b/é au XVIIf sièc/e, Paris I988, pp. I 10·21.
" <<Da duemila anni si declama, in versi e in prosa, contro il lusso e comunque lo si è sempre
amato i declamatori vorrebbero che le ricchezze ammassate con le armi, l'agricoltura, il com-
mercio e l'industria venissero seppellite? Citano Lacedemone; perché non citare la repubblica di
San Martino? Che bene ha apportato Sparta alla Grecia? Ha mai avuto dei Demostene, dei Sofo-
cle e dei Fidia? I lussi di Atene hanno creato grandi uomini in ogni campo; SpaPta ha avuto qual-
che condottiero, e comunque sempre meno di altre città» (VOLTAIRE, «Luxe>>, in Dictionnaire phi-
losophique [1764]). Cfr. in proposito L. GUERCI, Libertà degli antichi e libertà dei moderni. Sparta,
Atene e i «philosophes» nella Francia del Settecento, Napoli 1979.
1328 Riappropriazioni, riattualizzazioni
.. CIIASTEu.ux, De lafélicité cit., p. q6. Questo comporta un certo paradosso, poiché se Rous-
seau fa della democrazia un archetipo del Contrai social, tuttavia è anche vero che Atene non lo
ispira molto e che, quando si tratta di democrazia, evita di rifarsi alla democrazia ateniese.
81
l-lume nel 1748 sosteneva che se ogni governo in origine è fondato su un contratto, tutta-
via non ne consegue che, una volta stabilito, debba sempre e comunque trarre legittimità da que·
sta fonte iniziale. Solo il tempo è capace di intervenire per risolvere qualsiasi tipo di difficoltà ine-
rente ai governi e alle circostanze. In altri termini, finita la Gloriosa Rivoluzione, non vi è niente
che consenta ai perdenti di issare la bandiera destabilizzatrice del contrattualismo lockiano (cfr. J.
LOCKE, Two Treatise of Govemment h 690]) . «Che l'instaurazione della Rivoluzione non ci lasci de-
lusi, o ci faccia talmente innamorare di un'origine filosofica del governo da farci credere che tutti
gli altri siano mostruosi e abnormi>>. In questo testo, l-lume, per illustrare le sue opinioni, prende
ad esempio il momento in cui gli Ateniesi fondarono il loro «contratto» democratico: «Quanto so-
no obbligati ad agile disordinatamente [scii. gli Ateniesi], per provare che non seguono una costi·
tuzione stabile, ma si incontrano tumultuosamente per dissolvere il precedente governo al fine di
farne nascere uno nuovo. Quanto è illusorio parlare di una scelta in tali circostanze» (D. HUME, 0/
the originai contraci (1748), in Essays cit., pp. 468-73). Nel Treatise of human nature (1739·40), il
contratto viene denunciato in quanto «fittizio»; anche Ferguson apre la sua History of Civil Society
con una critica del contrattualismo da Hobbes a Rousseau.
82
Cfr. w. YOUNG, The Spirit of Athens being a Politica/ and Philosophical Investigation of the His·
tory of that Republic, London 1777, pp. 294-95.
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1329
sia come bambini che cercavano di dire la loro in una discussione tra
adulti. Ma, in un modo o nell'altro, l'essenziale risiede nel fatto che la
lettura rivoluzionaria del passato greco-romano si svolse alla luce di un
discorso a un tempo fondante la rivoluzione e radicalmente estraneo al-
la polis. In effetti, l'evocazione rivoluzionaria della libertà e dell'ugua-
glianza greca dipese soprattutto dal discorso dei diritti e sui diritti, e dai
dibattiti sorti intorno al problema della loro effettiva garanzia.
101
Ibid., p. 271. Per questo punto Condorcet si fonda sulla storia di John Gillies: cfr. CON·
DORCET, Cinq mémoires sur l'instruction publique, Paris 1996, p. 259.
102
Ibid., pp. 271-72; cfr. anche pp. 265-67.
10
' Il sistema elettorale limitava il diritto di voto ai cittadini che pagavano un'imposta diretta
uguale al valore locale di tre giornate di lavoro, il che escludeva 3 milioni di cittadini su 7. Da ciò
la distinzione tra «cittadini attivi» e «cittadini passivi>>.
1
... <d popoli liberi hanno disdegnato, hanno disprezzato la garanzia [scii. la ricchezza che ga·
rantisce l'indipendenza] che anche i piu grandi legislatori dell'antichità hanno considerato una in-
giustizia» (M. ROBESPIERRE, Discours sur /.e proiet de Constitution (II agosto 1791), in CEuvres de
Maximilien Robespierre, Paris 1952, VIII, p. 623).
101
«I legislatori antichi aspiravano a rendere eterne le costituzioni che presentavano Ma
le costituzioni dettate dalla sola ragione devono seguirne i progressi e la ragione non consente che
si trascinino attraverso i secoli, cariche dei pregiudizi di quello in cui sono nate e di tutti i vizi in-
trodotti da sfortunate circostanze o dalle passioni dei legislatori». La riforma è stata inventata
«nel nostro tempo, nel nuovo mondo. Si tratta dell'insediamento, stabilito dalla stessa costitu·
zione, di assemblee incaricate di rivedere, di perfezionare, di riformare questa costituzione» (CON-
DORCET, Discours sur /.es Constitutions nationales (7 agosto 1 791), in CEuvres, Paris 1847-49, X, pp.
209-10).
1 3 34 Riappropriazioni, riattualizzazioni
110
Ibid., p. 135.
111
CONDORCET, Fragment de ;ustification (luglio 1793 ?), in CEuvres cit., l, p. 579·
m Che nel XVIII secolo, abitualmente, viene legata alla battaglia di Cheronea e alla sottomis-
sione della Grecia all'impero macedone. L'iscrizione del periodo classico e del periodo ellenistico
in una prospettiva comune verrà consacrata dal concetto di «ellenismo» di}. G. Droysen. Egli uti-
lizzerà il periodo ellenistico quale legame di transizione tra il mondo pagano e il cristianesimo. A
questo proposito cfr. B. BRAvo, Philologie, histoire, philosophie de/' histoire. Etude sur J Droysen his-
torien de l'antiquité, Wroclaw-Varsovie-Cracovie 1968.
1336 Riappropriazioni, riattualizzazioni
111
Talleyrand scriveva che sotto l'A nei e n régime «si era giunti a poter presentare alla gioventu
la storia degli antichi popoli liberi, a infiammare la sua immaginazione con il racconto delle loro
eroiche virtu, in poche parole a farla vivere a Sparla e a Roma, senza che neanche il potere piu as-
soluto avesse nulla da temere dall'impressione di questi grandi e memorabili esempi>> (citato da M.
RASKOLINIKOFF, L'adorati an des Romains sous la révolution française et la réaction de Vo/ney et des
Idéologues, in Des Anciens et des Modernes, Paris 1990, pp. 199-2ool.
11
~ VOLNEY, Leçons d'histoire, in n. NORDMAN (a cura di), L'Eco/e Normale de l'an m. Leçons
d'histoire, de géographie, d'économie politique, Paris 1994, p. 6o.
"' lbid., p. 77·
116
Ibid., p. I r 2. Ritroviamo la stessa reazione nell'abate Grégoire, in Portalis, Cabanis o Char-
les de Villers. Cfr. RASKOLINIKOFF, L'adoration cit.
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1337
Pierre-Charles Uvesque, nei suoi Etudes 117 , «da Francese fiero della
sua patria, Europeo orgoglioso dei progressi dell'Europa moderna», si
sente obbligato a tenere a distanza i Greci piuttosto che «condannarsi
all'umile ammirazione della Grecia antica». D'ora innanzi l'uomo mo-
derno, e a maggior ragione lo storico, deve optare per un'attitudine du-
bitativa, giacché «le vie della storia portano solo a fitte tenebre, se non
sono schiarite dalla fiaccola della critica» 118 • Dunque, non meraviglia che
gli Etudes siano un'ardente requisitoria contro una Sparta che, tra il 1793
e i prìmi mesi del 1794, secondo la famosa espressione di Robespierre,
risplendette «come un lampo nelle tenebre immense»m Contro il terro-
rista Licurgo si erge Solone il termidoriano. Solone fu un legislatore buo-
no e giusto proprio perché capi, molto presto, che la proprietà è l'unico
legame sociale che tenga e che la sua abolizione avrebbe avuto conse-
guenze catastrofiche per Atene. Cosi, lungi dal piegarsi alle richieste dei
poveri, che «si aspettavano da lui un'uguale suddivisione delle terre, che
in realtà li avrebbe resi ancora piu miserabili», Solone «deluse le loro spe-
ranze, limitandosi all'abolizione dei debiti. Comprese che gli uomini si
erano stretti in società solo per garantire le loro proprietà con mutuo soc-
corso»120. Ma Lévesque, prima di tirare le sue conclusioni, ha letto a fon-
do Condorcet: per quanto brillante sia stata Atene, rimane il fatto che
noi siamo superiori ad essa e a tutte le repubbliche della Grecia Abbiamo sia la
loro esperienza, sia quella dei Romani, sia quella di tutti i popoli e dei lunghi seco·
li che abbiamo vissuto. Il tempo realizza tutto, lentamente: buone istituzioni, buo-
ne leggi, buone forme giudiziarie. E anche di piu: realizza ciò che rende tutto per·
fetto, la ragione umana; la realizza lentamente, come tutto il resto, e, forse, non
completerà mai questa grand'opera121 •
citare la forza pubblica come avevano imparato dalle loro guide, cioè co-
me era stata esercitata un tempo nei liberi stati dell'antichità». Funesta
conseguenza: «credettero che ogni cosa avrebbe ceduto all'autorità col-
lettiva e che ogni restrizione dei diritti civili sarebbe stata compensata
dalla partecipazione al potere sociale» 122 • Tutta colpa di Rousseau e, piu
esattamente, del suo Contrat social che «oggi serve solo a fornire armi e
pretesti ad ogni genere di tirannia: a quella di uno solo, a quella di mol-
ti, a quella di tutti, all'oppressione costituita in forme legali o esercita-
ta a furor di popolo». Lo stesso vale per Mably e la sua Législation ou
principes des lois, che è «la somma delle costituzioni di Costantinopoli e
Robespierre» 12 ' I diritti dell'uomo, o meglio dell'individuo, emergono
dall'ombra in cui erano stati ricacciati dal Terrore, velati, attenuati
com'erano dai diritti di un cittadino paludato all'antica. Ma, in fondo,
cosa sostiene Constant se non che l'origine del Terrore va ricercata di-
rettamente in un contrattualismo rousseauiano imbevuto di esempi
dell'antichità? E come si arriva a Rousseau se non per mezzo di una Di-
chiarazione che lascia la porta spalancata alla subordinazione dei dirit-
ti naturali dell'uomo ai diritti politici del cittadino? Ecco perché era ne-
cessario tentare urgentemente di «Sottrarre alla Natura i diritti fonda-
mentali per ricollocarli nella Storia, spogliarne l'uomo per rivestirne
l'individuo» 12\ denunciando la flagrante illusione dei terroristi che so-
no retrocessi verso un mondo che ancora ignorava la scissione priva-
to/pubblico e non conosceva la differenza tra individuo e cittadino: <dn
nome della libertà greca si stipano le celle, si alzano i patiboli»us
anche oggi abbiamo i diritti di un tempo, i diritti eterni di approvare le leggi, deli-
berare sui nostri interessi, essere parte attiva di quel corpo sociale di cui siamo le
membra. Ma i governi hanno nuovi doveri; il progresso della civiltà, i mutamenti
operati dai secoli, impongono all'autorità piu rispetto per le abitudini, per l'indi·
pendenza degli individui"".
uo ID., De la liberté des anciens comparée à celle des modernes (I819), in De l'esprit de conquete
et de l'usurpation, a cura di E. Harpaz, Paris I986, p. 286.
"' «I governi non hanno oggi maggior diritto di un tempo di arrogarsi un potere illegittimo;
ma i governi legittimi hanno oggi meno diritto di ostacolare la libertà individuale» (ID., Principes de
politique (I8I5) cit., II, p. 436). Da cui deriva anche una interpretazione della deviazione rivolu-
zionaria: «L'Assemblea costituente, all'inizio, sembrò riconoscere alcuni diritti individuali, indi-
pendenti dalla società. Questa infatti fu l'origine della Dichiarazione dei diritti. Ma tale assemblea,
ben presto, deviò da questo principio. Diede l'esempio perseguitando l'esistenza individuale nei suoi
aspetti piu intimi. In questo fu imitata e superata dai legislatori che la sostituirono» (p. 36).
"' ID., De la liberté des anciens ci t., p. 268.
"'ID., De l'esprit de conquète (I8I4) ci t., p. Io76.
"' Des imitateurs modernes des républiques de l'antiquité, in Principes de po/itique (I 8o6- I o) ci t.,
p. 375·
"' ID., De l'esprit de conquète (r8I4) cit., pp. I05I·j2.
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1341
116
ID., De la liberté des anciens cit., p. 270, e Principes de po/itique (r815) cit., II, p. 419.
"' È il titolo del capitolo 1, libro XVI, dei Principes de po/itique (r815) cit., Il. Per la storia di
questo testo cfr. E. HOFMANN, Les «Principes de po/itique» de Beniamin Constant. La genèse d'une
a:uvre et/' évolution de la pensée de /eurauteur (q89-r8o6), I, Genève 1980.
"" «Nelle repubbliche antiche l'esiguità del territorio consentiva a ciascun cittadino di avere
una grande rilevanza politica personale. L'esercizio dei diritti civili rappresentava la principale oc-
cupazione e, per cosi dire, il divertimento di tutti» (coNSTANT, De l'esprit de conquete (Harpaz)
cit., p. 164). Cfr. anche ID., Principes de po/itique (1815) cit., II, pp. 420-21, e A.-L-G. DE STAEL-
HOLSTEIN, Des circonstances actue//es qui peuvent terminer la révolution et des principes qui doivent
fonder la répub/ique en France, Genève 1979, pp. 109-10 .
., «Il mondo di oggi è esattamente l'opposto di quello antico. Nell'antichità tutto faceva ri-
ferimento alla guerra. Oggi tutto viene calcolato per la pace ... Ora esiste una massa di !IOmini con
nomi differenti e diverse modalità di organizzazione sociale, ma di natura omogenea. E sufficien-
temente civilizzata da considerare la guerra come un peso Il riposo e con esso l'agiatezza e, per
raggiungere l'agiatezza, l'industria, sono gli unici scopi verso cui tende la specie umana» (coN-
STANT, Principes de po/itique (1815) cit., Il, pp. 422-28). E Constant corregge Montesquieu, che
«attribuisce tale differenza alla repubblica e alla monarchia: bisogna invece imputarla allo spirito
dei tempi antichi e a quello dei tempi moderni» (lo., De l'esprit de conquete (1814) cit., p. 1047;
cfr. MONTESQUIEU, De/'espritdes/ois, 3·3 e 11.6).
loiO CONSTANT, Principes de po/itique (1815) cit., Il, pp. 428-29.
141
Jbid., p. 435·
w «Chiariamo innanzitutto perché si è potuto ritenere che la nostra generazione fosse dispo-
sta a rassegnarsi al dispotismo. Perché con ignoranza, ostinazione e rudezza le sono state offerte
forme di libertà che non erano piu compatibili e perché, in seguito, sotto il nome di libertà le è sta·
ta presentata una tirannia piu spaventosa di qualsiasi altra che la storia ci ha tramandato. Non è
sorprendente che questa generazione abbia sviluppato un terrore cieco della libertà che l'ha preci-
pitata nella servitu piu abietta» (m., De/' esprit de conquete (1814) cit., p. 1044).
1342 Riappropriazioni, riattualizzazioni
ducati e bambini saccenti. Molti dei popoli antichi rientrano in questa categoria. I Greci erano
bambini normali. Il fascino che la loro arte esercita su di noi non è in contraddizione con il livello
sociale poco sviluppato sul quale essa crebbe. Ne è piuttosto il risultato, inscindibilmente connes-
so con il fatto che le condizioni sociali immature nelle quali essa sorse, e nelle quali soltanto pote-
va sorgere, non potranno mai ritornare» (K. MARX, Introduzione ai «Lineamenti fondamentali della
critica dell'economia politica», in K. MARX e F. ENGELS, Opere, XXIX. Scritti economici di Kar!Marx
(luglio 1857 -febbraio rBJB), Roma 1986, p. 44).
"'E. LABOULAYE, La !iberté antique et la !iberté moderne (1863), in L'état et ses !imites suivis
d'Essaispo!itiques, Paris 1871, pp. 129-30.
15° F. DE COULANGES, Leçon d'ouverture à 5trasbourg (1862), in La cité antique. Annexes, Paris
1984, pp. 472-73. Su Fuste! de Coulanges cfr. la prefazione di F. Hartog, ibid., e F. HARTOG, Le
xrx' siècle et !'histoire. Le cas Fuste! de Coulanges, Paris 1988, p. 31.
111 11.-A. TAJNE, Les origines de la France contemporaine, Paris 1882 12 , I, pp. 240-65; III, pp.
389-99·
"' «Lo stato abituale di Atene era il terrore. Mai costumi politici furono piu violenti, mai la
sicurezza personale fu minore. Il nemico era sempre a dieci leghe E all'interno, quale intermi-
nabile serie di peripezie e di rivoluzioni! Oggi esiliato, domani venduto come schiavo o condan-
nato a bere la cicuta Ci rendiamo conto che il Partenone e i Propilei, le statue di Fidia, i dialo-
ghi di Platone, le pungenti satire di Aristofane sono state opera di un'epoca molto somigliante al
1793, di uno stato politico che provocava, in proporzione, piu morti violente che la nostra prima
rivoluzione al momento del suo massimo parossismo? Dov'è la traccia del terrore in questi capo-
lavori?» (E. RENAN, L'avenirde la science (1848 [I89o]), in CEuvres complètes, a cura di H. Psicha-
ri, Paris 1947-61, III, pp. ro63-64).
1344 Riappropriazioni, riattualizzazioni
dotta al silenzio; peggio ancora, «si rifugiò nelle nazioni vicine: ispirò
Miiller e Mitford». La causa? Il Terrore. Infatti come avrebbe potuto la
storia «far sentire la sua voce quando ogni libertà venne soffocata pro-
prio in nome della libertà ? ~>m La diagnosi di Dacier fu anche un pro-
nostico. Dopo la rivoluzione bisognerà aspettare alcuni decenni prima
che una storia della Grecia antica veda nuovamente la luce, nel I 85 I, per
mano di Victor Duruy, professore al Liceo Saint-Louis 154 e futuro mini-
stro di Napoleone III. Il problema in questo caso era come parlare della
democrazia ateniese, come inserirla nello spessore del racconto storico,
proprio quando, a partire dal Terrore, la democrazia rappresentava la lot-
ta per uno stato sociale egualitario ed era diventata, sotto la Monarchia
di Lugliom, un'arma nelle mani dell'opposizione repubblicana che lotta-
va per il suffragio universale 156 •
In questa prospettiva è interessante notare che, durante la Seconda
Repubblica, per celebrare la vittoria della democrazia e la proclamazio-
ne del suffragio universale (I848), Prosper Mérimée, in mancanza di sto-
rie della Grecia alla francese, si serve di quella di un banchiere inglese.
In effetti, nelle sue dettagliate recensioni nella «Revue cles deux Mon-
des», Merimée segue la pubblicazione della History o/ Greece di Geor-
ge Grotem e ritiene assolutamente legittimo che uno storico dell' anti-
chità trasponga nella Grecia antica le preoccupazioni politiche del pro-
prio tempo e porti avanti una lotta politica attraverso la scrittura storica.
A sua volta, trova naturale adattare la questione all'ambiente francese,
proponendo la «piccola repubblica di Atene» come una sorta di spec-
chio della «grande repubblica francese~> 1 '8 •
"' B.-J. DACIER, Rapport historique sur l'état et /es progrès de /'histoire et de la littérature ancien-
nes (r8IO), in Rapports à /'Empereur sur le progrès des sciences, des lettres et des arts depuis 1789, IV.
Histoire et littérature ancienne, a cura di F. Hartog, Paris 1989, p. JO.
154
v. DURUY, Histoire grecque, Paris r85r; la seconda edizione è stata pubblicata con il titolo
Histoire de la Grèce ancienne, r862, in 2 voli., mentre la terza, Histoire des Grecs, depuis /es temps
/es plus recu/és iusqu'à la réduction de la Grèce en province romaine, 1887-89, in 3 voli., è stata ci-
pubblicata piu volte.
"' Sull'imbarazzo che il termine provoca nei liberali cfr., per esempio, F. GUIZOT, De la dé-
mocratie®ns /es sociétés modemes, in «Revue française», novembre 1837, pp. 197-224.
'" Bisogna tuttavia sottolineare che le differenti correnti dell'opposizione repubblicana era-
no !ungi dall'attingere i loro ideali democratici alla democrazia ateniese. Laddove i dottrinari ve-
devano nella democrazia ateniese un antecedente del Terrore, i repubblicani si indignavano dello
schiavismo di una democrazia che, di fatto, era solo un'aristocrazia mascherata. Cfr., a titolo in-
dicativo, A. CARREL, Démocratie et République, in <<Le National», 9 dicembre 1835 (ffiuvres po/iti-
ques et littéraires, Paris I8j8, IV, pp. n8-8 ... ); A. LAPPONERAY, De la véritable démocratie, in Mé-
langes d'économie sociale, de littérature et de morale, Il, Paris 1835·
"' La History di Grote (1846-j6, 12 voli.) venne integralmente tradotta in francese da A.-L. de Sa-
dous, Paris r864-67, ro voli.
118
«La storia antica scritta dai moderni porta sempre qualche traccia delle preoccupazioni del
tempo in cui è stata composta il signor Grote, spettatore della lotta che divide l'Europa tra la
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1345
democrazia e l'aristocrazia, mostra chiaramente le sue opinioni sui problemi del momento mentre
ci racconta le rivoluzioni della Grecia antica. Non lo considero affatto un crimine Per noi, che
viviamo sotto un governo fondato sul suffragio universale, lo studio della storia greca presenta un
particolare interesse, e l'esempio della piccola repubblica di Atene può essere utile alla grande re·
pubblica di Francia» (P. MÉRIMÉE, De!' histoire ancienne de la Grèce, in << Revue des deux Mondes »,
15 maggio 1850, p. 701).
"' DURUY, Histoire de la Grèce ancienne cit., l, pp. xn-xm.
160
«Li curgo aveva compiuto una ripartizione uguale delle terre; ma si guardò bene dal confe-
rire agli Spartani tutti i diritti offerti altrove dalla proprietà. Non c'erano veri proprietari a Spar-
ta, poiché ciò che definisce realmente la proprietà è il diritto di disporre arbitrariamente del pro-
prio bene. Gli Spartani non avevano tale libertà» (ibid., p. 132).
'" « Licurgo aveva fatto di tutto, con rara sagacia, per rendere Sparta immutabile e la sua co-
stituzione immortale. Ma esiste un grande nemico delle cose di questo mondo che aspirano all'eter-
nità, un vecchio calvo e dalla barba bianca che l'antichità armava di una falce ... Il Tempo avan-
za, tutto crolla. Sparta lo sfidò per secoli, ma solo sacrificando sempre piu la libertà dei suoi con-
cittadini, sottoposti alla piu rude disciplina» (ibid., pp. 141-42).
'" Ibid.' p. xv m.
'" Ibid., pp. 182, 191.
1.346 Riappropriazioni, riattualizzazioni
verità irrefutabile: i piu ricchi hanno <<piu tempo libero~~ e possono fa-
re «maggiori sacrifici», ecco perché affidò loro il potere decisionale"4 •
Quanto a Clistene, la sua riforma è paragonata all'avvento del suffra-
gio universale 16\ senza che sia chiaro se si debba ammirarla o aborrir-
la. Infine,!' Atene di Pericle è l'Atene della «borghesia sovrana»,l' Ate-
ne dell'estrazione a sorte, «Un passo in avanti verso la democrazia»,
l'Atene del commercio, della potenza marittima e delle artP"; in bre-
ve, un lontano parente, per certi versi un abbozzo, della società bor-
ghese francese.
In altri termini, Duruy presenta la storia del popolo greco come il
compimento progressivo di un'ideale morale, politico ed estetico il cui
sviluppo si snoda in tre tappe successive: innanzitutto un'epoca spon-
tanea (fino al IV secolo), a cui segue un'epoca matura (a partire da Anas-
sagora e Tucidide) in ascesa fino a Platone; e infine un'ultima tappa, di
decadenza, che porta alla sottomissione della Grecia a Filippo 167 •
Sul suo tiepido bilancio della Grecia, Duruy proietta infine il mora-
lismo diffuso del Secondo Impero:
bisogna indubbiamente avanzare riserve negli elogi della civiltà greca, soprattutto
se si esclude Atene: una religione poetica, ma senza influenza morale; la famiglia co-
stituita in modo imperfetto; la proprietà malamente garantita; l'intelligenza sempre
brillante, la moralità spesso appannata ... nei tempi migliori, l'assenza di sicurezza,
le perfidie, le guerre civili con le loro solite conseguenze: il bando, la confisca e il
sangue che cola a fiotti; in quelli peggiori, una odiosa depravazione, che fortunata-
mente la nostra lingua non è in grado di riprodurre; e sempre e ovunque la piaga
sanguinante della schiavitu, con tutte le sue miserie'...
nop Thirwall 171 , Grate apre il suo racconto con un duro attacco a que-
sto «tory che ha pervertito la storia greca» 172 :
La prima idea della sua storia venne concepita molti anni fa, al tempo in cui
l'antica Ellade era nota al pubblico inglese principalmente attraverso le pagine di
Mitford; e la mia intenzione nello scrivere era di correggere le affermazioni erronee
per quanto riguarda i fatti di questa storia, come pure presentare l'intero fenome-
no del mondo greco da un punto di vista che ritengo piu corretto e completom
177
«La libertà del mondo antic:o non significava libertà di azione individuale; significava una
certa forma di organizzazione politica; e invece di stabilire la libertà privata di ogni cittadino, era
compatibile con una ancor piu completa soggezione di ogni individuo allo stato Al contrario, lo
spirito di libertà moderno è proprio l'amore dell'indipendenza individuale» (1837; MILL, Collec·
tive Works cit., XX, pp. 274, 383-84).
178
Ibid., Xl, pp. 321, 324 sgg.; cfr. anche l'introduzione al suo saggio On liberty (1859). In
proposi to, T. H. IRWIN, Mi/l and the Classica/ W or/d, in J. SKORUPSKI (a cura di), The Cambridge Com-
panion toMi!!, Cambridge 1998, pp. 423-63.
"' GROTE, A History o/ Greece ci t., II, p. 307.
"' MITI'ORD, The History o/ Greece cit., l, p. 284. Cfr. P. VIDAL-NAQUET, Tradition de la dimo-
cratie grecque, in Les Grecs, /es historiens, la dimocratie. Le grand icart, Paris 2000, p. 230.
181
GROTE, A History o/ Greece ci t., III, p. 347; su Salone, Il, pp. 460-524.
182
Ibid., Il, p. 490, in cui, opponendosi a Thirwall e alla maggior parte degli storici, sostiene
la differenza tra l'Atene soloniana e l'Atene post-soloniana.
li) Ibid., III, p. 395· Clistene mette fine all' «apatia» politica precedente; cfr. n. p. 51 I.
Avlami Libertà liberale contro libertà antica 1349
'"' Cfr. N. LORAUX, Back to the Greeks? Chronique d'une expédition /oinllline en terre connue,
in}. e N. WACHTEL (a cura di), Uneéco/e pour/es sciences socia/es. De la
REVEL vr sectionà I'EHESS,
Paris I996, pp. 275-97.
WOLF-DIETER HEILMEYER
La Grecia in museo
' c. RIEBESELL, Die Sammlung des Kardinals Alessandro Farnese, Weinheim 1989, pp. 45 sgg .
• w. HELBIG, Fuhrer durch die offent/ichen
Samm/ungen klassischer Altertiimer in Rom, IV, Tii·
bingen 1972', p. 628, lndex s.v. «Originai».
' W.-D. Heilmeyer in P. BLOCII (a cura di), Ex Aere Solido, Brom:en von der Antike bis zur Ge-
genwart, catalogo della mostra, Miinster 1983, pp. 15 sgg. n. 1.
' K. o. MULLER, Handbuch der Archao/ogie der Kunst, Miinchen 1830, p. 107 § 126. 1. Su Bra-
schi: G. P. coNSOLI, Il Museo Pio-Clementina, Modena 1996, pp. 22 sgg. Sulla qualità: A. D. Potts
in K. VIERNEISEL e G. LEINZ, Glyptothek Munchen r8 JO- rg8o, catalogo della mostra, Miinchen 1980,
p. 26j.
Heilmeyer La Grecia in museo 13 53
Figura I. Riproduzione del Fanciullo arante sulla terrazza davanti alla biblioteca del ca·
stella di Sanssouci a Potsdam nella collocazione del 1750 circa.
1354 Riappropriazioni, riattualizzazioni
originali greci, fra i quali, per nominare solo alcuni di quelli giunti piu
tardi a Berlino, la stele di guerriero di età classica 12 , la colonna iscritta
di Ecfanto, il rilievo delle lavandaie. Anche il bronzetto arcaico di Po-
licrate, oggi a San Pietroburgo, faceva parte di questa collezione 0 • Ma
c'è di piu: il leone di età arcaica di Delo si trova dal I 7I6 davanti all' Ar-
senale di Venezia, le lastre del fregio del tempio classico sull'Ilisso, og-
gi a Vienna e a Berlino, nel XVIII secolo facevano parte della collezione
Trevisan di Venezia 14 • Inoltre erano note iscrizioni greche, i primi vasi
greci provenienti da tombe etrusche, gemme e monete greche. Sarebbe
molto interessante ricostruire quante erano le opere d'arte greche ori-
ginali con le quali in Italia già all'epoca di Winckelmann si sarebbe po-
tuta scrivere una storia dell'arte greca, se solo se ne fossero avute l'ac-
cortezza e la possibilità. Con la fine della Repubblica e la vendita della
maggior parte delle collezioni a Venezia, almeno per un certo periodo,
un museo autonomo non sarebbe nato. Il collezionismo veneziano ri-
mase limitato a singole opere. «Non vide mai piu bella cosa, cosa gre-
cha» scriveva nel 1503 Lorenzo da Pavia a proposito del Fanciullo aran-
te, opera per lui unica nel suo genere 15 ; l'affermazione: «cosa grecha, co-
sa pretiosissima» 16 aveva un valore comunemente riconosciuto.
"ZORZI (a cura di), Collezioni cit., pp. 137 sgg.; FAVARETTO, Arte antica cit., p. 209 nota r62
fig. Bo. Sul rilievo Sk I473: c. llLIJMEL, Die k/assisch griechischen Skulpturen, Berlin 1966, pp. 19
sg. n. 8 fig. I3-44· l due pezzi seguenti hanno il numero di inventario berlinese Sk 1485 e Sk 709.
11 Cfr. nota 12; E. A. BILIMOVIC, Anticna;a chudozestvenna;a bronza, catalogo della mostra, Le·
ningrad I 97 3, p. I I n. 2 con illustrazione.
" Sul leone di Delo: FAVARETTO, Arte antica cit., p. 159 (cfr. nota lo); sul fregio dell'Ilisso:
ibid., p. 195 nota 76 sg. fig. 57; c. BLIJMEL, Die k/assisch griechischen Skulpturen derStaatlichen Mu·
seen zu Berlin, Berlin 1966, pp. 88 sgg. n. 107 fig. 148 sgg.
" HACKLANDER e ZIMMER (a cura di), Der Betende Knabe ci t., p. 26 nota 7.
16
BESCIII, La scoperta cit., p. 335; cfr. pp. 344 sg. per l'opera di P M. Paciaudi.
17
A. MICHAELIS, Ancient Marbles in Great Britain, Cambridge r882, pp. 55 sgg., I I 3 sgg.
Heilmeyer La Grecia in museo I 355
dra nel 1775 18 : la sua collezione fu acquisita nelx8o5 dal British Museum
e qui esposta in apposite sale nel 18o8. Diverso fu il modo in cui, fra il
1785 e il 1787, Richard Worsley, per un certo tempo ambasciatore bri-
tannico a Venezia, viaggiò attraverso la Grecia, l'Egitto, l'Asia Minore
e la Crimea, da dove portò con sé opere d'arte antiche. Fra i suoi acqui-
sti <<greci» si trovavano dei rilievi, come nelle collezioni veneziane e ve-
ronesi1'. Questo modo di costituire le raccolte aveva un suo precursore
in Inghilterra nella persona di Thomas Howard Arundel, il quale aveva
intrapreso viaggi all'inizio del XVII secolo «per trapiantare la vecchia Gre-
cia in Inghilterra» (H. Peacham, 1634)20 • Anche se la sua collezione non
conteneva molti originali greci piu antichi, tuttavia Lord Arundel diede
inizio alle spedizioni inglesi di acquisizione e misurazione che trovarono
il loro culmine nelle intraprese di rilevamento della Society of Dilettan-
ti ad Atene, in Grecia e in Asia Minore, oltre che nelle campagne di ac-
quisizione di Lord Thomas Bruce, conte di Elgin. Solo queste ultime di-
schiusero la comprensione per la vera arte originale greca.
2. Il Pantheon di Schinkel.
Figura 2. Ricostruzione della collezione di Cari Sigmund Tux, Stoccarda (c. 1790): in alto
a sinistra la statuetta detta piu tardi dell'Oplitodromo di Tubinga.
Heilmeyer La Grecia in museo 1357
un anno dopo aveva già luogo la festa per l'avvenuta copertura del tet-
to22. Sull'allestimento interno si continuò a discutere, e nel r829 l'ar-
cheologo Hirt usciva dalla commissione che doveva deliberare al ri-
guardo. L'unica cosa chiara era che nel piano principale dovevano ve-
nire esposte le sculture antiche, e al piano superiore i dipinti delle scuole
italiana, olandese e tedesca dei secoli dal XIV al XVIII; nel basamento ven-
ne alloggiato l' Antiquarium con l'arte minore antica, cioè a quell'epoca
soprattutto vasi e pietre incise. Il giorno dell'inaugurazione del museo
berlinese, tuttavia, i13 agosto del r83o, per quanto riguardava la colle-
zione di arte antica solo l'allestimento della Rotonda e della grande Sa-
la settentrionale era davvero completato.
" Il piano superiore fu trasformato completamente già nel 1844, quando vi furono appesi i
grandi arazzi di Raffaello del 1516. Per il piano principale si veda piu avanti.
Figura 4· Vista sulla Rotonda con le Vittorie e sulla Sala settentrionale con il Fanciullo ora n-
te aii'Aites Museum di Karl Friedrich Schinkel a Berlino (I8Jo). Foto dell 'au-
tunno 1999 con l'installazione della Stra/Senbahnhaltestelle (Fermata del tram) di
Joseph Beuys ( 1976).
Figura .5· Vittoria di E . Sti.itzel (r85o): riproduzione della statua antica che si trovava dal
rno nell'emiciclo davanti alla facciata sul giardino del Neues Palais a Potsdam
e dal 1830 nella Rotonda deli'Aites Museum a Berlino .
1362 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Figura 6. Statue realizzate secondo modelli antichi dalla scuola di C. D. Rauch neU'emiciclo
dava nti al Neues Palais a Potsdam (foto dell'autunno 1999) .
Heilmeyer La Grecia in museo 1363
ti per l' Altes Museum Schinkel non aveva previsto la presenza di statue
nella Rotonda. Ma per la realizzazione dell'allestimento complessivo del-
la Rotonda sopra descritto 31 è illuminante il fatto che Schinkel stesso
durante il suo viaggio in Italia, nell'autunno del r824, abbia proposto
nuovi acquisti a Roma per Berlino, oserei dire per la sua Rotonda: Mer-
curio come pendant di Minerva, Bacco di Silvano e Venere come pen-
dant storico-artistico di Apollo Liceo. Nel r 824 era stata acquisita an-
che la statua di Diana come pendant di Apollo Musagete, sicuramente
non senza l'intervento di Schinkel. Per mediazione del diplomatico prus-
siano Karl Bunsen, anche se forse già visti da Schinkel, seguirono poi
nel r826 il Giove - in realtà un altro Esculapio, integrato però da E.
Wolff, con la consulenza di B. Thorwaldsen, secondo la testa del Gio-
ve di Otricoli e con un'aquila- e l'altro satira da Villa Adriana presso
Tivoli. Ci troviamo del tutto nell'ambito degli allestimenti museali ro-
mani, del restauro romano di opere antiche e del mercato di antichità
romano. Della Grecia non si trova quasi traccia, sebbene in Ber!ins an-
tike Bi!dwerke del r836 E. Gerhard manifesti la sua ammirazione per
«il puro carattere greco nella sua interezza o nei singoli dettagli~> della
statua di Giunone. Questa giunse solo nel 1830 per l'inaugurazione,
sempre per merito di K. Bunsen: a causa dell'altezza, la grande statua
della sposa di Giove fu collocata come pendant di Cerere, nell'asse tra-
sversale della Rotonda. L'opera fu definita da Gerhard il «maggior van-
to del museo»: proveniva da Palazzo Lante a Roma e fu anch'essa inte-
grata da E. Wolff sempre «con la collaborazione di Thorwaldsen e di
Rauch»n; è evidente la funzione di modello svolta dalle grandi statue di
dee della Sala Rotonda del Vaticano.
" H. HERES, Die Aufstellung der antiken Skulpturen in der Rotunde im Alten Museum, I!}lJo und
I987 Ein Bericht, ivi, XXIX-XXX (1990), pp. r I7 sgg. I numeri di inventario del primo allesti·
mento sono letti in senso antiorario, secondo R. KEKULÉ (a cura di), Beschreibung derantiken 5ku/p.
turen, Berlin r89r: 226, 290, 154, 72, 83, 49, 88, 34, 258 (porta d'ingresso) e 259, 44, 282, 63,
r78, 199, 353, 69, 227 (porta settentrionale).
' 2 GERHARD, Berlins antike Bi/dwerke cit., p. 36 n. r4; KEKULÉ (a cura di), Beschreibung cit., p.
78 n. 178. La statua è stata di nuovo restaurata nel 1999, insieme a tutte le sculture della Roton·
da; è imminente una pubblicazione al riguardo ad opera di H. Heres.
1 ;64 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" MiiU.ER, Handbuch cit., p. 109, 2; GERIIARD, Berlins antike Bildwerke cit., pp. 34 sg. nn. 9-10.
x366 Riappropriazioni, riattualizzazioni
provenienti dalla Grecia furono dei rilievi sepolcrali che giunsero a Ber-
lino negli anni venti attraverso collezioni private, poi il Giovane di An-
tifane di Melo, che fu acquisito per Berlino nel 1834, infine diversi ac-
quisti fatti da G. F. Waagen nel 1841 a VeneziaH Non era questo ciò
che interessava a Schinkel. Piuttosto egli aveva utilizzato motivi greci
nella costruzione del suo museo, realizzando la sua «immagine della Gre-
cia» mediante l'intero edificid8 La famosa vista su castello e parco dal-
la scalinata del museo è stata a ragione paragonata al non meno famoso
quadro di Schinkel, purtroppo conservato solo in riproduzione, Blick in
Griechenlands Blute (Veduta sulla fioritura greca) del 1825: «il nuovo
centro della città di Berlino doveva poter competere con una città gre-
ca nel suo massimo splendore >) (C. Vogtherr)}9 Perciò l'arte greca ori-
ginale non rivestiva alcun significato particolare rispetto all' «arte dell'an-
tichità>) della Rotonda (e della Sala settentrionale) dell' Altes Museum.
Anche a Monaco nello stesso periodo le sculture originali da Egina non
" Cfr. KEKULÉ (a cura di), Beschreibung cit., pp. VIII sg. (von Sack, lngenheim) ; IIERES , Die
Antike cit. , pp. 15sgg.; w. -D. IIEII .MEYER , Erwerbungen k/assist:her /lntiken durch Waagen in Ita/ien
r841-42, in <<]ahrbuch der Berliner Museen », XXXVII (1995) , pp. 39 sgg.
" w. HOEPFNER, Zwischen Klassik und Klarsixismus , Schinke/ und die antike llrchitektur, in
«Bauwelt>>, LXXII (1981), pp. 338 sgg.; T. BUDDENSIEG, Berliner Labyrinth, Berlin 1993 , pp. 35
sgg.; ID., Lustgarten o piazza d'armi? Il« focus amoenus» del Barocco , il Lustgarten del Romanticismo,
la piazza per le parate delle dittature nel cuore di Berlino, in c. BERTELU (a cura di) , La città gioiosa,
Milano 1996, pp. 392 sgg.
" VOGTHERR, Das Konigliche Museum ci t., p. 1 27; A. M. VOGT, Karl Friedrich5chinke/, Blick in
Griechenlands Blute:ein HoffnungsbildfurSpree-Athen, Frankfun am Main 1985 ; cfr. IIUDDENSIEG,
Lustgarten ci t., fig. 226.
Figura 7. La Sala degli Egineti nella Glyptothek di Leo von Klenze a Monaco ( 1829) , con
la vecchia collocazione delle sculture frontonali del tempio di Afaia a Egina . Vi-
s ta verso nord con il Fauno Barberini.
Heilmeyer La Grecia in museo 1367
•• IIERES, Die Antike cit., pp. 22 sgg.; cfr. ID., Archiiologische Forschung und die Aufstellungen
derantiken Skulpturen im Alten Museum rBJo und 1906, in «Forschungen und Berichte», XXVII
(1989), p. 250.
41
A. MICIIAEI.IS, Ein]ahrhundertkunstarchiiologischer Entdeckungen, Leipzig 1908', pp. 23 sgg.;
D. GALLO, Les antiques au Louvre, in M.·A. DUPUY (a cura di), Dominique· Vivant Denon, catalogo
della mostra, Paris 1999, pp. 182 sgg.
r 368 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" 1. JENKINS, Archaeologists and Aesthetes in the Sculpture Ga/leries of the British Museum I8oo-
I9J9, London 1992, pp. 41 sgg.
" Ibid., p. 35·
.. M. IIAMIAUX, Les sculptures grecques, Il, Paris 1998, pp. 46 sgg., nn . 57-59; La Venus de Milo ,
in L. POSSELLE (a cura di) , D'après l'antique, catalogo della mostra, Paris 2ooo, pp. 432 sgg. Un cal-
co della Venere di Milo fu acquisito già nelr822 per l'Accademia di Berlino, un altro si trova anco-
ra oggi nel castello di W von Humboldt a T egei, presso Berlino, di fronte alla Venere Capitolina.
"Ibid. , nn . 154,2 24, 225; cfr. ID., Lesscu/plures grecques,l , Paris 1992 , nn. 76, 14osgg., 178
sgg., r 97 sgg.
Figura 8 . La Sala di Figalia con i calchi degli Egineri al British Museum di Londra. Vista
verso occidente sulla Sala Elgin (foto del r874 circa) .
Heilmeyer La Grecia in museo I 369
•• W.-D. Heilmeyer in L'altare di Pergamo- Il/regio di Tele/o, catalogo della mostra, Roma
1996, pp. 26 sgg.
Figura IO. Vecchia foto della sala dell'architettura ellenistica al Pergamonmuseum di A. Mes-
se! e L. Hoffmann a Berlino, con l'allestimento di Theodor Wiegand deli9JO.
I 37 2 Riappropriazioni, riattualizzazioni
loro inserimento nella storia dell'arte, bensi anche come una conseguenza
dello storicismo: ogni vaso delle grandi necropoli di Vulci o di Rodi, ogni
ornamento che compariva sul mercato d'arte romano fu aggiunto alle
grandi collezioni, e i cataloghi dei musei divennero le basi per la cono-
scenza della ceramica, dei bronzi, o degli antichi monili, non diversa-
mente da quello che accadeva per le collezioni di gemme e monete, per
la maggior parte costituitesi in epoca precedente, ma descritte e rese
fruibili solo in questi annP'.
Oramai la storia dell'arte, divisa per tipologie, mirava a una storia
dei singoli generi e, di conseguenza, di per sé non offriva piu un' «im-
magine della Grecia» unitaria. Verso la fine del XIX secolo anche nei
musei le collezioni di vasi, bronzi, monili e gemme - spesso denomi-
nate «Antiquarium» secondo la tradizione piu antica- furono esposte
separatamente dalle collezioni di scultura. Come all'inizio del secolo,
le collezioni di scultura costituirono il nocciolo e il vanto dei grandi mu-
sei. La stessa cosa succedeva nell'ambito della scienza della <(storia
dell'arte»: <(cominciò quella serie di 'Storie della scultura greca' che
provocarono o rafforzarono il pregiudizio secondo cui la storia dell'ar-
te greca era tutta racchiusa nella storia della scultura greca» 52 • Contro
questo pregiudizio avrebbero potuto già essere efficaci i grandi scavi
della seconda metà del XIX secolo, che hanno effettivamente trasfor-
mato la storia dell'arte dell'antichità in una storia delle culture antiche;
e i primi musei di scavi archeologici nei paesi in cui si effettuavano le
ricerche, primo fra tutti il museo di Olimpia inaugurato nel r887, ren-
devano evidenti i contesti di recente scoperta (fig. r r). Ma questo ti-
po di museo e le sue modalità di esposizione rimanevano ancora limi-
tati ad ambiti locali o regionali. Circa gli scavi archeologici, la storia
degli insediamenti e circa i contesti anche nel nuovo Pergamonmuseum
di Berlino si poteva apprendere poco. I <(grandi musei» perseverarono
nella divisione dei generi e nel dare il primato alla scultura. Dopo che
furono trasferiti i nuovi reperti di Pergamo (e anche la pinacoteca la-
sciò il piano superiore), completato nel 1906 il nuovo allestimento del-
la collezione di antichità nell'Altes Museum di Berlino, l'allora diret-
tore, Reinhard Kekule von Stradonitz, pubblicò un manuale sobrio ma
" In questo contesto è illuminante l'opera di tutta una vita di A. Furtwangler. All'inizio il la·
vero per il vol. IV della pubblicazione di Olimpia, Die Brom:en, uscito nel 1 89o; ad Atene i Myke·
nische Vasen in collaborazione con G. Loeschke nel I886; a Berlino la Beschreibung der Vasen·
samm/ung nel I88s e la Beschreibung der geschnittenen Steine nel 1896; infine il riordinamento del·
la storia della scultura, i Meisterwerke der griechischen P/astik del 1893. Cfr. R. LULLIES (a cura di),
Archiio/ogenbi/dnisse, Mainz am Rhein 1988, pp. I IO sg.
12 MICHAELIS, Ein jahrhundert cit., p. I09.
Heilmeyer La Grecia in museo I 37 3
molto letto, Die griechische Skulptur, nel quale si descrive, capitolo per
capitolo, lo sviluppo delle arti plastiche greche sulla base dei capolavo-
ri noti all'epoca custoditi in tutti gli altri musei del mondo e poi, di vol-
ta in volta, anche di quelli a Berlino. Questo quadro immaginario del-
la Grecia, tipico dell'epoca, in fondo avrebbe potuto essere riconosciuto
piu facilmente nella collezione di gessi ceduta poco tempo dopo all'Uni-
versità di Berlino. Per un'avversione nei confronti di alcune copie ro-
mane, ma anche in nome di una nuova sistematica «Storico-artistica»,
negli stessi anni Kekule approvò una risistemazione completa delle sta-
tue della Rotonda dell'Alt es Museum e con ciò la dissoluzione del
Pantheon di Schinkel.
Figura 11. Prima esposizione dell'Ermes di Prassi tele al vecchio Museo di Olimpia.
1 37 4 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" A. e N. YALOURIS, 0/ympia, das Museum und das Heiligtum, Athen 1987.
I 3 76 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" W.·D. IIEILMEYER, Grandi mostre archeologiche, Quaderni di Palazzo Grassi (in corso di
stampa).
17
Dapprima nel1936: K. BLUMEL, Sport der Hellenen , Berlin 1936, esposizione nel Deutsches
Museum di Berlino (ala settentrionale del Pergamonmuseum) in occasione dell 'XI edizione dei Gio-
chi Olimpici a Berlino.
•• n. DUITRON -OI.IVER , The Greek Miracle, catalogo della mostra (Washington 1992- New York
1993), Washington 1992.
Figura 12 . Esposizione di vasi originali che ricostruisce «l'immagine>> di una necropoli ate-
niese al Museum fiir Kunst und Gewerbe di Amburgo (foto del 1985 circa).
Heilmeyer La Grecia in museo 13 77
Figura 13. Collezione di antichità nell'Alt es Museum di Berlino. Nuovo allestimento del 1998.
13 78 Riappropriazioni, riattualizzazioni
ne, le copie romane erano inserite all'interno della storia dell'arte gre-
ca, in futuro esse dovranno essere attribuite alla storia dell'arte roma-
na. Se i vasi greci di ogni grande collezione di vasi erano fino ad oggi
collocati suddivisi secondo la produzione attica o corinzia, in futuro li
si dovrà cercare anche nelle sezioni topografiche dei loro luoghi di ri-
trovamento italico-etruschi. I «vasi apuli» appartengono davvero alla
storia dell'arte greca in senso stretto? Non è forse piu importante capi-
re che i <<Greci in Occidente»" avevano una propria storia culturale e
che le collezioni piu ricche di testimonianze al riguardo, come quelle di
Napoli, possiedono perciò anche una particolare distinzione? Se è
un'utopia una storia dell'arte greca unitaria in tutti i musei, grandi e pic-
coli, del mondo, si dovrebbe però poter mettere in evidenza il contri-
buto di ogni singolo museo allo sviluppo globale della storia dell'arte gre-
ca. La nostra immagine attuale della Grecia è costituita dalla somma del-
le culture greche che si sono manifestate in maniera diversa nell' anti-
chità, a seconda dei luoghi e dei tempi, nonché del patrimonio cultura-
le greco, custodito in maniera diversa nei vari musei del mondo, a se-
conda della loro storia. Il movimento dialettico fra ciò che divide que-
sti oggetti e ciò che li unisce determina il nostro interesse per l'ampio
sostrato greco della cultura europea. Questo è particolarmente eviden-
te ai margini di tale cultura: per il sistema mondiale in cui viviamo non
è irrilevante il fatto che oggi anche nella California meridionale si pos-
sa ammirare arte greca.
Questa nuova immagine della Grecia che solo ora sta cominciando a
svilupparsi si fonda su una storicizzazione coerente dell'antichità. La
sua semplice bellezza in quanto «antichità», il suo semplice valore dato
dall'età in quanto documento per la storia dell'arte, non saranno piu suf-
ficienti di fronte alle domande sul dove e come si sia costituita o dis-
solta la grecità. Piuttosto il lavoro museale si rivolgerà con coerenza al-
la storia della provenienza degli oggetti del museo, sia nel caso di pos-
sesso di vecchia data, sia nel caso di scavi recenti. In quest'operazione
acquisiranno pari importanza sia la ricostruzione della musealizzazione
di un antico vaso o di un bronzo sia la descrizione della loro diffusione
commerciale in antico. L'intreccio della cultura greca antica è quindi al-
trettanto interessante quanto la rete della sua diffusione moderna.
" Questo è il nome dato a un'esposizione pionieristica, in tal senso, che ebbe luogo a Vene·
zia nel I 998, alla quale offrirono ulteriore «colore locale» altre mostre satelliti nei luoghi piu i m·
portanti della «grecità occidentale».
ALFONSO M. IACONO
I Greci e i selvaggi
1. Barbari e selvaggi.
Piu di vent'anni fa Arnaldo Momigliano scriveva:
Confucio, Buddha, Zoroastro, Isaia, Eraclito o Eschilo. L'elenco avrebbe pro-
babilmente sconcertato mio nonno e la sua generazione. Oggi ha un senso: è il sim-
bolo del mutamento intervenuto nella nostra prospettiva storica. Noi siamo in gra-
do di affrontare, piu o meno dallo stesso punto di vista, culture che parevano lon-
tanissime tra loro, e di scoprire qualcosa che le accomuna. In linea sincronica, quei
nomi stanno per un'esistenza piu «spirituale», per un ordine migliore, per una rein-
terpretazione del rapporto dio-uomo, per una critica dei valori tradizionali delle ri-
spettive società. Questi uomini non si conobbero tra loro. Nessun fattore esterno
chiaramente identificabile collega la comparsa di figure tanto autorevoli in culture
diverse tra, diciamo, l'vm e il v secolo a. C. Avvertiamo tuttavia di aver oggi sco-
perto un comun denominatore che li rende tutti- per ripetere l'espressione di mo-
da- «attuali». Tutti furono uomini che, asserendo e illustrando le loro credenze re-
ligiose personali, diedero un nuovo senso alla vita umana e apportarono profondi
mutamenti alle società cui appartennero'.
• ID., Prospettiva r')67 della storia greca, in ID., Sui fondamenti della storia antica, Torino 1984,
p. 426.
' G. CAMBIANO, Il ritorno degli antichi, Roma-Bari 1988, pp. 3 sgg.
Iacono I Greci e i selvaggi 1381
6
K. JASPERS, Origine e destino della storia, Milano 1982, p. 20. Ma sui limiti della nozione di
<<periodo assiale» inJaspers cfr. J. ASSMANN, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità poli-
tica nelle grandi civiltà antiche, Torino 1997, in particolare pp. 244-46.
7
Su ciò, prima diJaspers, s. MAZZARINO, Tra Oriente e Occidente, Milano 1989 (in appendice
sono ristampate la recensione di Momigliano e la risposta di Mazzarino), la cui prima edizione usci
nel 1947.
1382 Riappropriazioni, riattualizzazioni
quella delle lotte di liberazione che fecero seguito alla seconda guerra
mondiale in Africa e in Asia.
Nello scenario offerto da Karl Jaspers, ricongiungere la Grecia
all'Oriente significava ridare un senso piu vasto all'interpretazione dei
mutamenti storici intervenuti nel «periodo assiale». Tuttavia, all'indo-
mani della seconda guerra mondiale, l'epoca della decolonizzazione coin-
volgeva appunto non soltanto i popoli e le civiltà che la filologia e la fi-
losofia tedesca avevano escluso a partire da Hegel, ma anche i cosiddetti
«popoli senza storia». Non solo quelli che i Greci chiamavano «barba-
ri», ma anche quelli che i moderni avevano chiamato «selvaggi».
Nel 1952 Claude Lévi-Strauss pubblicò per conto dell'Unesco Raz-
za e storia, testo in cui venivano posti in discussione alcuni dei presup-
posti fondamentali dell'etnocentrismo. Egli, in questo scritto, metteva
in risalto il valore della diversità delle culture come presupposto di un
riconoscimento reciproco tra civiltà e popoli. L'obiettivo critico di Lé-
vi-Strauss era duplice. Da un lato si trattava di evidenziare i limiti dei
grandi sistemi filosofici e religiosi dell'umanità (buddismo, cristianesi-
mo, Islam, dottrine stoica, kantiana, marxista) che, pur combattendo il
razzismo, postulavano un'eguaglianza naturale fra tutti gli uomini in un
modo tale che le diversità tra le culture finivano con l'attenuarsi o con
lo scomparire del tutto. Se la prospettiva diJaspers andava verso la mes-
sa a fuoco del mutamento decisivo che si produsse nel «periodo assia-
le», quella di Lévi-Strauss puntava l'attenzione piu sui limiti interni di
ciò che aveva cominciato a svilupparsi in varie civiltà durante questo
stesso periodo". Vi è come una specie di differenza di angolatura che si
spiega con il secondo obiettivo critico di Lévi-Strauss. Dopo la seconda
guerra mondiale, dopo il nazismo e lo sterminio degli Ebrei, non era piu
possibile un mondo in cui tutti potessero diventare cittadini a condi-
zione di spogliarsi della loro diversità e alterità, ovvero di concepire la
costruzione della loro identità come processo di assimilazione (<<render
simile a sé») all'altro 17 • Si trattava di vincere l'atteggiamento razzista
che considerava le culture «altre» come inferiori. Scrive Lévi-Strauss:
L'atteggiamento piu antico, che probabilmente poggia su fondamenti psicolo-
gici solidi, poiché tende a riapparire in ognuno di noi quando siamo posti in una si-
tuazione inattesa, consiste nel ripudiare puramente e semplicemente le forme cul-
turali- morali, religiose, sociali, estetiche- che sono piu lontane da quelle con cui
ci identifichiamo. <<Abitudini di selvaggi», <<da noi non si fa cosi>>, «non si dovreb-
be permettere questo», ecc., sono altrettante reazioni grossolane che esprimono lo
16
Diversa la prospettiva di Momigliano, il quale fa ben vedere i limiti interni dei popoli e del-
le civiltà di cui tratta in Saggezza straniera.
17
M. IIORKIIEIMER e T. W. ADORNO, Dialettica dell'illuminismo, Torino 1966.
Iacono I Greci e i selvaggi 1385
18
c. LÉVI-STRAuss, Razza e storia, in ID., Antropologia strutturale due, Milano 1990, p. 371.
19
Su «antichi>>, «moderni» e <<selvaggi>> cfr. F. IIARTOG, Il confronto con gli antichi, in I Gre·
ci, I cit., pp. 15 sgg.
20
M. DAVID, Le débat sur /es écritures et l'hiéroglyphe aux xvif et xvnf siècles, Paris 1965.
r 386 Riappropriazioni, riattualizzazioni
per esempio, Havelock, Goody e Luhmann- hanno posto con forza l'at-
tenzione sul passaggio dalla cultura orale alla civiltà della scrittura, ha
parlato di trasformazione della <<coerenza rituale» in «coerenza testua-
le»:
Tale trasformazione ha coinvolto in maniera estremamente naturale, piu o me-
no nello stesso periodo (precisamente nel I millennio a. C.), culture del tutto diverse
senza stretti contatti reciproci. In quest'epoca nascono non solo i testi fondanti, ma
anche le istituzioni culturali con il cui aiuto gli impulsi normativi e formativi dita-
li testi vengono mantenuti in vigore al di là dei cambiamenti di lingua, dei sistemi
sociali, degli ordinamenti politici e delle costruzioni della realtà, e le quali inoltre
creano le condizioni quadro di un dialogo con i predecessori attraverso i millenni.
Karl Jaspers, singolarmente cieco alle condizioni quadro di tipo istituzionale e tec-
nologico degli sviluppi spirituali, ha completamente trascurato il ruolo della scrit-
tura nella sua ricostruzione; altri, come E. A. Havelock, J. Goody e N. Luhmann,
tendono invece a sopravvalutare tale ruolo. Decisivi sono la collocazione sociale del-
lo scrivere, il rapporto con i testi e con il senso fissato per iscritto, nonché l'arte del
riferimento retrospettivo ai testi fondanti, con tutti i suoi presupposti. Non è una
questione di uso della scrittura, bensl di mnemotecnica culturale"
'
La nostra condizione è tale che non ci è mai permesso di giungere d'un colpo a
nulla di ragionevole qualunque sia l'argomento. E prima di giungere a qualcosa di
ragionevole, è inevitabile che ci si smarrisca a lungo, e che si passi per vari tipi di
errori e per diversi gradi di assurdità. Sembra che dovrebbe essere stato sempre fa-
cile accorgersi che tutto il gioco della natura consiste nelle figure e nei movimenti
dei corpi, eppure, prima di arrivarci, abbiamo dovuto sperimentare le idee di Pla-
tone, i numeri di Pitagora, le qualità di Aristotele, e dopo aver riconosciuto tutto
questo come falso, ci siamo ridotti ad accettare il vero sistema. Dico che ci siamo
ridotti, poiché in verità non restava piu altro, e sembra quasi che abbiamo fatto di
tutto per respingerlo, finché abbiamo potuto. Noi siamo in debito con gli antichi
perché essi hanno esaurito la maggior parte delle idee false che si potevano produr-
re. Era assolutamente necessario pagare all'errore e all'ignoranza il tributo che essi
hanno pagato, e noi non dobbiamo mancare di riconoscenza verso coloro che ce ne
hanno liberato. Lo stesso dicasi per altri argomenti, sui quali diremmo oggi una
quantità inverosimile di sciocchezze se non fossero già state dette, e se non ce le
avessero, per cosi dire, sottratte".
22
B. DE FONTENELLE, Digressione sugli antichi e sui moderni, a cura di A. M. lacono, Roma 1996,
p. 39·
"M. DETIENNE, L'invenzionedella mitologia, Torino 1981.
"B. DE FONTENELLE, De l'originedesfables, a cura diJ.·R. Carré, Paris 1932, p. 11. Cfr. an-
che ID., L 'origine delle favole, Milano 1995.
1388 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Greci a queste stravaganze. Tutti gli uomini si assomigliano cosi tanto, che non c'è
popolo le cui sciocchezze (sottises) non ci debbano far tremare".
" Ibid., pp. 39·40. Sul rapporto fra De/' origine des fables e il precedeme frammento Sur /'his-
toire cfr. le osservazioni di].-R. Carré nell'edizione critica da lui curata e che qui citiamo.
26
SESTO EMPIRICO, Contro i matematici, 9-24 =DEMOCRITO, DK 75 A.
27
FONTENELLE, De /'origine cit., p. 18.
•• J.·F. LAI-TIAU, Mwurs des sauvages américains comparées aux mwurs des premiers temps, Paris
1724 (le citazioni saranno in seguito tratte dall'ed. in 2 tomi).
" Sul problema della comparazione in rapporto al Nuovo Mondo con le conseguenti proble·
matiche legate alle antichità tra Cinque e Settecento cfr. P. ROSSI, Sterminate antichittì. Studi vi-
chiani, Pisa 1969; m., I segni del tempo. Storia della terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Mi-
lano 1979; s. LANDUCCI, I filosofi e i selvaggi, Roma-Bari 1972; G. GLIOZZI, Adamo e il nuovo mon·
lacono I Greci e i selvaggi 1389
do. La nascita dell'antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali
(I500-I7DD), Firenze 1977; E. GARIN, Alla scoperta del ((diverso)):i selvaggi americani e i saggi cine-
si, in ID., Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al xviii secolo, Roma-Bari 1976; PAG·
DEN, La caduta cit.; ID., European Encounters with the New W or/d, New Haven · London 1993·
'"P. VIDAL-NAQUET, Il crudo, il fanciullo greco e il cotto, in Il cacciatore nero, Roma 1988, p.
12 3, fa risalire questa convinzione a TUCIDIDE, 1 .6, dove però il riferimento è ai barbari.
" Sulla comparazione tra miti dei <<selvaggi>> e miti greci cfr. M. DETIENNE, L'invenzione del-
la mitologia, Torino 1983. Su Fontenelle e Lafitau cfr. J.-P. VERNANT, Mito e societò nell'antica Gre·
eia, Torino 1981; M. DETIENNE, Mito e linguaggio. Da Max Miillera Claude Lévi-Strauss, in Il mito.
Guida storica e critica, Roma-Bari 1982; s. BERTI, La religion des Anciens au début du XVIIf siècle.
Deux exemples: Fontenelle et Ramsay, in A. NIDERST (a cura di), Fontenelle, Atti del colloquio di
Rouen, Paris 1989, pp. 668 sgg. Cfr. inoltre, in generale sui miti greci e la comparazione, c. CA-
LAME, Mito e storia nell'Antichità greca, Bari 1999, in particolare pp. z6 sgg.
" LAFITAU, Ma?urs cit., I, pp. 3-4. Su questa affermazione del gesuita francese cfr. VIDAL·NA·
QUET, Il cacciatore cit., p. r 24. Sulla centralità della comparaison nell'opera di Lafitau cfr. M. DU·
CHET, De l' histoire moraleà la description des ma?urs, in ID., Le partage des savoin, Paris 1985. Sull'im·
portanza di Lafitau per la storiografia greca cfr. A. MOMIGLIANO, Il posto di Erodoto nella storia del-
la storiogra/ia, in ID., La storiografia greca, Torino 1982, p. 155.
1390 Riappropriazioni, riattualizzazioni
gli Americani sarebbero giunti, alla fine, a pensare cosi ragionevolmente come i Gre-
ci, se fosse stata data loro la possibilità"
" FONTENELLE, De!' origine ci t., p. 31. Sul metodo comparativo in Fontenelle, dopo Andrew
Lang e con diverse posizioni, cfr. F. E. MANUEL, The Eighteenth Century Confronts the Gods, Cam-
bridge Mass. 1959, pp. 4I -46; M. SKRZYPEK, Fontenelle et !tJ science des religions, in NIDERST (a cu-
ra di), Fontenelle ci t., p. 665; M. MARCIALIS, Fontenelle, un filosofo mondano, Sassari I 978, pp. I 89-
I99· Sul rapporto tra mito e storia in Fontenelle cfr. G. CANTELLI, Mito e storia in]. Ledere, Tour-
nemine e Fontenelle, in «Rivista critica di storia della filosofia», IV (I972), pp. 39I·99·
" È ben vero che Fontenelle parla di Cafri, Lapponi, lrochesi come popoli «già antichi>>, per
cui hanno raggiunto un qualche grado di conoscenza (FONTENELLE, De l'origine cit., p. Il), ma es-
si sono antichi rispetto agli uomini dei primi tempi.
" Ibid., p. 36.
"Ibid., pp. 36-37.
Iacono I Greci e i selvaggi I 39 I
aumentò piu tanto, e che restò quasi nello stato in cui l'invenzione del-
la scrittura l'aveva trovata» 37 •
Lafitau, al contrario, parte dall'assunto che i primi padri avevano ri-
cevuto una religione pura, che esisteva un culto pubblico sin dalla crea-
zione degli uomini, che tale religione era passata di generazione in ge-
nerazione, ma poi, si era corrotta a causa dell'ignoranza e delle passio-
ni degli uomini. E stata l'ignoranza a inventare i miti grossolani per
spiegare i simboli dei geroglifici di cui gli uomini avevano dimenticato
il significato. Malgrado l'alterazione, si riscontra una uniformità nei mi-
ti di tutti i popoli38 • Per Lafitau, nei miti è possibile trovare tracce del-
la sapienza originaria, della quale non sono altro che alterazioni.
Dal punto di vista dei tempi storici sulle cui basi poggiano le com-
parazioni, la distanza tra Fontenelle e Lafitau è grande. La loro diversa
spiegazione e giustificazione del metodo comparativo avrà storicamen-
te delle conseguenze assai diverse. E ciò dipenderà, come si è già detto,
dai differenti presupposti da cui muovono i due autori per giungere ari-
sultati simili.
L'opera di Lafitau è il risultato del suo soggiorno fra i popoli irochesi
e urani. Egli riporta descrizioni sistematiche su tutti gli aspetti della vi-
ta degli indiani d'America, dal lavoro alla religione, alle usanze, ai si-
stemi di parentela)', alla lingua, alle guerre, all'educazione. Il gesuita La-
fitau non si limita tuttavia alla descrizione40 , organizza i dati e le cono-
scenze secondo un metodo comparativo che, a sua volta, si inscrive nella
sua credenza religiosa. La comparazione tra Irochesi e antichi Greci ri-
ceve legittimità e plausibilità dallo schema biblico di un'origine unica
dell'umanità e della successiva dispersione dei popoli. L'idea per cui è
possibile intravedere nelle credenze e nelle religioni di primitivi e sel-
vaggi le tracce della religione originaria, monoteistica, giustifica il me-
J1 lbid., p. 37·
JB LAFITAU,Mtrurs cit., I, pp. 14-15.
" Lafitau scopre il matriarcato negli Irochesi e lo compara con quello del popolo licio descrit-
t o da ERODOTO, 1. 1 7 3. Lafitau allora ipotizza che tale sistema irochese discende dal popolo licio,
a conferma del suo presupposto diffusionista (M(J?Urs cit., I, pp. 69-70). Come si vede, questo te-
ma, che anticipa le teorie di McLennan e di Bachofen, si inquadra in una determinazione geneti-
ca: il matriarcato passa dal popolo licio a quello irochese. Lo schema biblico della dispersione dei
popoli e la conseguente idea diffusionista strutturano geneticamente, dunque temporalmente, la
comparazione tra popoli che hanno usanze conformi. Contro l'ipotesi del matriarcato si schiererà
A. FERGUSON, Saggio sulla storia della società civile, Roma-Bari 1999, p. 79· Sulla teoria di Lafitau
in rapporto alla teoria di Bachofen e dell'antropologia del XIX secolo cfr. P. BORA, Il popolo licio nel
«M(.t'Urs des sauvages américains» di ].-F Lafitau. Proposte di lettura per un rapporto fra]. J Bachofen
e la cultura settecentesca, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», XVIII, 2 (1988), pp.
803·42.
40
DUCIIET, Le partage ci t.
1392 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" A. VAN DALE, De Oraculis veterum ethnicorum Dissertationes duae, Amsterdam 1700' (con mo·
difiche e aggiunte rispetto alla prima edizione delt68J). Fontenelle, nella Préface aii'Histoire des
Oracles, spiega perché, pur riprendendo l'opera di Van Dale, ha preferito farne un adattamento e
non una traduzione (B. DE FONTENELLE, Histoire des Oracles, a cura di L. Maigron, Paris 1971, pp.
I·X). Nel mese di maggio del1684 Bayle recensi l'opera di Van Dale («Nouvelles de la République
cles Lettres», Mai 1684, Artide 1, T. l, Amsterdam 1715). Nel maggio del1687 Van Dale rispose
a Fontenelle,lamentandosi del fatto che questi aveva escluso la magia nell'analisi degli oracoli (ivi,
Mai 1687, Amsterdam 1687). Nel t 707 il gesuita Baltus scrisse una confutazione deU 'opera di Van
Dale (Réponseà I'Histoiredes Oracles, Strasbourg 1707). La discussione si protrasse per le pagine
deUe << Nouvelles de la République des Lettres >> dirette da J. Bernard Uuin 1707, Amsterdam 1716,
Artide XI) e per queUe della «Bibliothèque Choisie» diJean Ledere (T. XIII, Amsterdam 1707,
Artide m; e T. XVII, Amsterdam 1709, Artide IX, dove Ledere scrisse un Eloge de /eu Mr. Van
Dale). Su Van Dale e Fontenelle cfr. P. IIAZARD, La crisi della coscienxa europea, l, Milano 1968,
pp. 203-8; e MANUEL, The Eighteenth Century cit., pp. 48-53.
" DETIENNE, I/ mito ci t., p. 17.
" I'ONTENELLE, Histoire cit., p. 29; ID., De l'origine cit., pp. 12-14.
44
ID., Histoire cit., pp. 29 sgg.
•• B. BEKKER, De Betooverte W ere/d, Leuwarden 1691. Su Bekker cfr. A. l'IX, Angels, Devi/s.
and Evi/ Spirits in Seventeenth-Century Thought: Balthaxar Bekker and the Collegiants, in «Journal of
the History of Ideas», L, 4 (t989), pp. 527-47.
•• B. BEKKER, Le Monde enchanté, 4 voli., Amsterdam 1694.
lacono I Greci e i selvaggi 1393
dunque non affrontabile, perciò egli si limita a parlare soltanto delle cre-
denze e delle pratiche religiose di antichi e moderni47 • L'operazione di
Fontenelle di escludere dio e i demoni dal campo d'indagine delle prati-
che e delle credenze degli uomini comportava la necessità di approntare
un'ipotesi diversa da quella di una religione originaria andata perduta a
causa della degenerazione degli uomini. Un'ipotesi diversa, atta a giusti-
ficare la comparazione. Un'ipotesi espressa con ironia. Quando Lafitau
scrisse il suo libro, Fontenelle, che nello stesso anno pubblicava il suo
pamphlet, da anni già aveva approntato le sue ipotesi atte a sostenere la
comparazione. Protagonista, come si è ricordato, della Querelle des an-
ciens et des modernes, Fontenelle aveva posto il problema della compara-
zione in un contesto culturale e ideologico di lotta contro gli oracoli e le
altre forme di superstizione. «Con l' Histoire des Oracles di Fontenelle-
scrive lo storico Reinhart Koselleck -la battaglia letteraria condotta con
formule sicure, freddamente razionali, raggiunse la massima eleganza sti-
listica. Rispetto a questa confusione, tutti gli scherni che Voltaire profon-
de sui profeti non sono ormai che le beffe di un vincitore» 411 •
Ma il punto qui rilevante è che mentre Lafitau postula un'origine
unica da cui geneticamente si dispiegano i tempi dei popoli, Fontenelle
postula tempi genetici differenziati. Dal punto di vista della compara-
zione ciò significa che mentre per Lafitau il principio che accomuna uo-
mini e popoli, quel che rende possibile il metodo comparativo, è un prin-
cipio storico-temporale- i popoli discendono da un unico ceppo origi-
nario-, per Fontenelle il principio che accomuna uomini e popoli, e che
rende possibile il metodo comparativo, è un principio astorico e atem-
porale - l'uniformità della natura umana. A partire da tale principio i
processi di progresso e di perfezionamento, che uomini e popoli seguo-
no, si realizzano spontaneamente in modo endogeno in seno ai singoli
popoli, che, in linea teorica e in assenza di fattori esterni, si muovono
rigidamente, ma indipendentemente l'uno dall'altro, seguendo i gradi
dello sviluppo. Stabilite le fasi di progresso dei singoli popoli, alla linea
temporale discendente della trasmissione del sapere da un popolo anti-
co a un popolo nuovo si associa l'idea della replica di stadi di sviluppo
per ogni popolo. Ciò permette di comparare le /ables tra i diversi popo-
li, aggirando il problema di una genesi unica, poi degenerata, del sape-
re originario. Un popolo può deformare le storie di popoli piu antichi,
ma può anche creare delle fables all'inizio del suo cammino.
Con Lafitau e Fontenelle, i «selvaggi>> cessano di essere quello che
47
Ibid., Abregé du Premier Livre.
•• R. KOSELLECK, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Genova 1986, p. 20.
r 394 Riappropriazioni, riattualizzazioni
" «Fra i popoli selvaggi e i popoli barbari v'è questa differenza: i primi sono piccole nazioni
disperse che, per qualche ragione particolare, non si possono riunire; mentre i barbari sono di so·
lite piccole nazioni che possono riunirsi. I primi sono popoli cacciatori, i secondi, pastori>> (Spiri-
to delle Leggi, XVIII, II, a cura di S. Cotta, Torino I965, l, p. 466). Cfr. Jt. L. MEEK, l/cattivo sel-
vaggio, Milano I98I, p. 26.
'" J.·J. ROUSSEAU, Saggio sull'origine delle lingue, a cura di P. Bora, Torino I989, per esempio
pp. 32 e 58. Cfr. P. BORA, Sui concetti di 'dispersion' e 'barbarie' nel 'Saggio sull'origine delle lingue'
di f.-f. Rousseau, in «Studi Settecenteschi», XIII (1992-93), pp. 165-79.
" A, R. J. TURGOT, Piano di due discorsi sulla storia universale, in ID., Le ricchezze, il progresso, la
storia, a cura di R. Finzi, Torino 1978, pp. 62-63. Cfr., oltre all'Introduzione di Finzi a questa,c;di·
zione di opere di Turgot, anche). ROHBECK, Turgotals Geschichtsphilosoph, in A. R. J. TIJRGOT, Uber
die Fortschritte des menschlichen Geistes, a cura di]. Rohbeck e L. Steinbriigge, Frankfurt am Main
I990-
, FERGUSON, Saggio cit., p. 71.
" Cfr., ad eccezione che per de Brosses (Du culte des dieux fétiches, q6o) e per Kant, MF.EK,
Il cattivo selvaggio ci t., nonché NIPPEL, Griechen cit. (il riferimento qui è al Kant di Idee zu einer
Allgemeinen Geschichte in weltburgerlicher Absicht). Per una critica de Il cattivo selvaggio di Meek
cfr. ora M. L. PESANTE, La teoria stadiale della storia e l'analisi economica: Adam Smith, in «Annali
della Fondazione Luigi Einaudi», XXIX (1995), pp. 249-85.
lacono I Greci e i selvaggi 1395
ri» e «primitivi»? Dopo la Querelle des anciens et des modernes, gli anti-
chi, e in particolare i Greci, escono ridimensionati. Essi cessano di es-
sere considerati un modello irraggiungibile, al massimo da imitare, e co-
minciano a diventare oggetto di una riflessione storiografica che, senza
togliere nulla alla loro specificità e alloro contributo nell'ambito della
storia occidentale, li collocava nel contesto piu ampio, temporale e spa-
ziale, delle relazioni e delle comunicazioni con altri popoli. Che anche i
Greci fossero stati <<selvaggi» non lo aveva dimenticato Tucidide e non
lo dimenticano né Lafitau, né Fontenelle, né quei filosofi del xvm se-
colo che volevano dare conto della storia dei popoli e delle civiltà.
Il tempo storico che va dalla scoperta dell'America all'Illuminismo e
oltre è stato efficacemente sintetizzato da Anthony Pagden nei termini
di un cambiamento di vasta portata nel modo di intendere le società uma-
ne. Si tratta del complesso passaggio da una descrizione delle culture ba-
sata su un concetto di natura umana ritenuta costante nel tempo e nello
spazio, a un piu ampio e apparente relativismo antropologico e storico.
Esso, dice Pagden, «inizia con un fatto, la scoperta dell'uomo america-
no, e termina con una semplice proposizione: che per lo storico delle cul-
ture - il quale aveva ereditato dai teologi quel progetto che nel xrx se-
colo diventerà !"antropologia' - le differenze spaziali erano assimilabili
a differenze temporali»' 4 Lévi-Strauss, riferendosi al XVIII secolo, aveva
già parlato di «falso evoluzionismo» definendolo come il tentativo di sop-
primere le diversità fingendo di riconoscerle in pieno" Le società dei
«selvaggi» e dei «primitivi» venivano rappresentate come società occi-
dentali semplificate. Adam Smith, per esempio, quando, nella Ricchez-
za delle Nazioni, evoca l'immagine del «rozzo stadio della società» per
compararla con la società capitalistica, stabilisce un' omogeneizzazione di
partenza" tra il «rozzo stadio della società» e la società capitalisticaH. La
prima è rappresentata nelle vesti della seconda, meno gli elementi che,
differenziando quest'ultima, la determinano come superiore. L'assimila-
zione delle differenze spaziali alle differenze temporali è probabilmente
•• PAGDEN, La cadutacit., p. IX. Sull'assimilazione delle differenze spaziali alle differenze tem-
porali, con la conseguente trasformazione del «selvaggio» in «primitivo», aveva posto l'accento,
in particolare a proposito del contributo di Lafitau, DUCHET, Le origini cit., e ID., Le partage ci t.
" LÉVI-STRAuss, Razza cit., p. 374·
" Sul concetto di «omogeneizzazione di partenza» mi sia permesso rinviare al mio Il borghe-
se e il selvaggio. L'immagine dell'uomo isolato nei paradigmi di Defoe, Turgo! e Adam Smith, Milano
1982, pp. 63 sgg. Questo concetto è ripreso da N. LUHMANN, Die Homogenisierungdes An/angs:Zur
Ausdifferenzierung der Schulerziehung, in ID. (a cura di), Zwischen An/ang und Ende Fragen an die Pii-
dagogik, Frankfurt am Main 1990.
" R. FINZI, I selvaggi e i civili:Smith,la storia e l'economia, in Adam Smith e dintorni. La scien-
za,le passioni,gli interessi, Napoli 1998, pp. 49-88.
1396 Riappropriazioni, riattualizzazioni
uno dei connotati decisivi del pensiero moderno, che riesce a inserire il
relativismo antropologico entro una visione universalistica e eurocentri-
ca della storia umana. Secondo lmmanuel Wallerstein l'universalismo
borghese è un momento del dominio economico e politico entro il «si-
stema-mondo»se. Ma certamente un aspetto teorico e culturale di tale uni-
versalismo è determinato dall'organizzazione del tempo storico, caratte-
rizzato in epoca moderna, secondo Koselleck, dal mutamento dell'idea
di futuro, dall'ideologia del progresso e dall'idea di accelerazione del tem-
pos,_ Rispetto al problema della scoperta dell'America e al ruolo degli in-
diani americani, seguendo la via percorsa dai gesuiti Acosta e Lafitau fi-
no agli illuministi Turgot e Adam Smith, con le loro interpretazioni ma-
terialistiche e universalistiche, forse si potrebbe meglio comprendere il
significato della rottura moderna, ma anche il senso della riformulazio-
ne degli assunti cristiani dell'universalità storica60 •
L'epoca della colonizzazione tedesca, che isolerà i Greci, ci farà di-
menticare che erano stati dei selvaggi e ne farà un mito, deve ancora af-
fermarsi con Hegel, ma gli inizi sono già tutti dentro il xvm secolo con
l'idea greca di bellezza e di libertà esaltato da Winckelmann61 , in un con-
testo storiografico che, nel tempo e nello spazio, concepiva la storia uni-
versale come campo di pertinenza e di dominio della storia occidentale.
1. Friedrich Nietzsche.
Nei primi giorni del 1872 uscf a Lipsia un libro di argomento anti-
chistico, destinato a grande fama ben al di là della cerchia degli specia-
listi: La nascita della tragedia dallo spirito della musica scritto dall'allora
ventisettenne professore ordinario di filologia classica all'università di
Basilea Friedrich Nietzsche (I844-I9oo)l. Il concetto della «duplicità
dell'apollineo e del dionisiaco~> 2 vi viene introdotto nella prima frase e
ne costituisce il filone argomentativo, in evidenza soprattutto nei primi
dodici dei venticinque capitoli. L'opera suscitò immediatamente gran-
de scalpore: non tanto per il tema in sé, l'origine della tragedia greca,
ma perché veniva a inserirsi in un dibattito sulla musica di Richard W a-
gner allora in pieno svolgimento in Germania, e perché diede essa stes-
sa luogo a un'accesa polemica fra filologi classici i cui protagonisti Erwin
Rohde e Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, allora giovanissimi,
avrebbero in seguito conseguito grande prestigio scientifico' Era, que-
1
Die Geburt der TragOdie aus dem Geiste der Musik, Leipzig 1872 [trad. it. di Sossio Giamet-
ta, Milano 1972, da cui si cita).
2
s. VON REIBNITZ, Ein Kommentar zu Friedrich Nietzsche, « Die Geburt der TragOdie aus dem Gei-
ste der Musik» Kap. 1-12, Stuttgart-Weimar 1992, pp. 61-64. All'autrice di questo libro fonda-
mentale vanno i miei ringraziamenti per preziosi consigli e informazioni.
'K. GRUNDER, Der Streit um Nietzsches «Geburt der TragOdie». Die Schriften von E. Rohde, R.
Wagner, Uv. Wilamowitz-Mo/lendoiff,llildesheim 1969; w. M. CALDER m, The Wilamowitz-Nietz-
1.398 Riappropriazioni, riattualizzazioni
sta, la prima opera maggiore di Nietzsche, che con i suoi libri successi-
vi sarebbe diventato uno dei filosofi piu influenti del primo Novecento
tedesco. Ciò spiega, almeno superficialmente, la popolarità persistente
delle categorie apollineo e dionisiaco~.
Chi oggi da antichista considera questo testo non può non meravi-
gliarsi di effetti tanto dirompenti e duraturi\ solo in parte,resi plausi-
bili dal linguaggio eccezionalmente incisivo e coinvolgente. E infatti su-
bito evidente che l'intenzione dell'autore era non tanto di risolvere un
problema storico e filologico, quello dell'origine di un dato genere dram-
matico, quanto di instaurare nuove categorie in campo estetico'. Cate-
gorie che avrebbero permesso, nella seconda metà del libro, di inqua-
drare in modo adeguato l'apporto di W agner alla musica, anzi ali' arte e
alla cultura in genere.
La tesi sostenuta da Nietzsche è, in poche parole, la seguente. Alle
radici di ogni creazione artistica sono due pulsioni (Triebe) che per gli
antichi Greci erano impersonate dagli dèi Apollo e Dioniso. Apollo
esprime la misura, la tranquillità, la luce solare, Dioniso invece l' esta-
si, l'energia vitale della natura, la liberazione da legami morali, la sim-
biosi fra l'uomo e il selvatico e fra uomini di classi sociali diverse8
A ciascuno di questi principi antitetici vengono attribuite manifesta-
zioni caratteristiche: ad Apollo, per esempio, la xdtaQa, l'epica, l'or-
dine degli dèi olimpici; a Dioniso l'aùMç, la lirica (e il suo caso parti-
colare, il ditirambo), il pensiero metafisica e i culti misterici' La mas-
sima espressione della creatività, ma anche della religiosità greca, la
tragedia, è nata dalla sintesi di questi due principi e decade (con Euri-
pide e Socrate) quando il pensiero razionale comincia a contestare il mi-
to10. Con Socrate inizia una lunga fase dominata dall'uomo teorico,
dali' Alexandrinertum11 , fase che terminerà con la rinascita della trage-
sche struggle: new documents and a reappraisa/, in « Nietzsche-Studien», XII ( 1983), pp. 214-54; M.
DIXSAUT, Quereile autourde .rLa naissance de la tragédie»,.Paris 1995.
' P. MCGINTY, lnterpretation and Dionysos. Method in the Study o/ a God, The Hague · Paris
New York 1978, pp. 1·3·
'J. LATACZ, Fruchtbares A'Jiernis: Nietzsches <<Geburt der TragOdie» und die griizistische Trago·
dien/orschung, in n. M. IIOI'FMANN (a cura di), Nietzsche und die Schweiz, Ziirich 1994, pp. 30·45·
' «fiir die asthetische Wissenschaft>> (REIBNITZ, Ein Kommentar cit., pp. 54 sgg.).
' Ibid., p. 74
• Ibid., pp. 78 sgg.
' Ibid., pp. 242 sgg.
10
Ibid., pp. 274 sgg.
11
Ibid., pp. 302 e 3 14; A. VOGEL, Apo//inisch und Dionysisch. Geschichte eines genialen l"tums,
Regensburg 1966, pp. 14 sg. L'impostazione dell'opera di Vogel è fortemente criticata da B.·A.
KRUSE, Apollinisch-Dionysisch. Moderne Melancho/ie und Unio Mystica, Frankfurt am Main 1987,
pp. 339·48.
Isler-Kerényi Mitologie del moderno: <<apollineo» e «dionisiaco» I 399
dia grazie alla ritrovata unità fra mito tragico (ma mito germanico) e
musica dionisiaca 12
Nessuno dei concetti usati da Nietzsche era di per sé nuovo. Non so-
lo l'Apollo di Nietzsche è in definitiva l'Apollo di Winckelmannu. Ma
anche l'antitesi xt-ftétQa/aùì..Oç e dei rispettivi generi poetico-musicali era
un'idea ben radicata almeno dagli inizi dell'Ottocento 14 • E lo stesso va-
le per la contrapposizione fra religione olimpica e culti ctonii che risale
a Georg Friedrich Creuzer e a Karl Otfried Mi.illeru Da Mi.iller deri-
vano molte delle idee implicite ed esplicite nella Nascita della tragedia 16 ,
fra le quali anche l'idea portante: l'antitesi fra apollineo e dionisiaco.
L'impatto della Nascita della tragedia sulla cultura del suo tempo e
successiva non si può, allora, attribuire alla novità e all'originalità delle
idee di Nietzsche in materia antica, ma piuttosto al fatto che proprio su
queste - risapute dai piu colti fra i suoi lettori, appartenenti anzi, sep-
pure in forme subconsce, all'humus culturale del suo tempo 17 - fondas-
se il suo doppio messaggio. Implicitamente presentava ai suoi colleghi
filologi un'immagine della cultura greca nuova rispetto a quella tradi-
zionale, winckelmanniana18 : caratterizzata non da sublime pacatezza ma
da tensioni esistenziali. Esplicito è invece il messaggio contenuto nella
prefazione alla prima edizione dedicata a Wagner 1' , in cui l'autore af-
ferma di voler trattare, in un momento cruciale della storia della Ger-
mania, non una questione erudita, ma un serio problema tedescd0 • Que-
sta affermazione, datata alla fine del 1871, mette in evidenza quanto il
12
F. NIETZSCHE, Die Geburt der Tragodie, in ID., Werke. Kritische Gesamtausgabe, a cura di G.
Colli e M. Montinari, l, Berlin- New York 1972, p. I43·
" REIBNITZ, Ein Kommentarcit., pp. 74 e 107. Su Nietzsche e Winckelmann: H. SICHTERMANN,
Kulturgeschichte der Klassischen Archiiologie, Miinchen 1996, pp. 243-48.
" REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., pp. 63 sg. e 113 sgg. Questa antitesi non manca di prefigu-
razioni antiche, che non necessariamente convalidano però l'interpretazione nietzscheana: VOGEL,
Apollinisch cit., pp. 69-93.
"R. SCHLESIER, 0/ympian versus chthonian religion, in «Scripta Classica Israelica», XI (1991-
I992), pp. 39 sgg.
16
REIBNITZ, Ein Kommentarcit., p. 407 s.v «Miiller, K.O.>>.
17
Si spiega cosi che il binomio apollineo-dionisiaco venisse già usato anche da Wagner nei suoi
scritti teorici: VOGEL, Apollinisch cit., p. I I I.
18
SICIITERMANN, Kufturgeschichte cit., p. 246; MCGINTY, Jnterpretation cit., pp. 40 sg.
19
Il sottotitolo originale, <<Dallo spirito della musica>>, sostituito da <<Grecità e pessimismo»
nella dedizione seguita alla rottura con Wagner, era un omaggio al musicista: K. KERÉNYI, Richard
Wagner! Beethoven-Festschri/t. Eine V or! tu/e zu Nietzsches «Geburt der Tragodie», in ID., Wege und
Weggenossen 2, Miinchen-Wien 1988, pp. I59-68. Su Nietzsche e Wagner: M. MONTINARI, Nietz-
sche, Roma 1996, pp. 14-29.
" NIETZSCHE, Die Geburt der Tragodie ci t., p. 20: «di fronte a un'effettiva lettura di questo
scritto potrebbe al contrario divenir per essi chiaro, con loro stupore, con quale serio problema te-
desco noi abbiamo a che fare, problema che viene da noi portato proprio in mezzo alle speranze
tedesche, quasi lo spunto vorticoso per un'inversione».
1400 Riappropriazioni, riattualizzazioni
21
Cfr. poco prima nella stessa prefazione: <<che io mi raccolsi in questi pensieri nello stesso
tempo vale a dire fra i terrori e le grandezze della guerra appena scoppiata».
21
F. Jesi in F. w. NIETZSCIIE, La nascita della tragedia ovvero Grecità e pessimismo, a cura di F.
Masini, Roma 1980, pp. 9 sg.; REIBNITZ, Ein Kommentarcit., p. 108; H. CANCIK, Nietzsches Antike.
Vorlesung, Stuttgart-Weimar 1995, pp. 61 sg. Sul fascino esercitato su Nietzsche dalla sfera mili-
tare: VOGEL, Apollinisch cit., pp. 286-88.
" Una componente essenziale e influente dell'ideologia nietzscheana è l'anticristianesimo:
REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., p. 403 s.v. «Christentumskritik»; MCGINTY, lnterpretation cit., p.
3; 11. KUTZNER, Friedrich Nietzsches Antichristentum und Neuheidentum, in R. FABER e R. SCIILESIER
(a cura di), Die Restauration der Gotter. Antike Religion und Neo-Paganismus, Wiirzburg 1986, pp.
88-104-
,. R. BIANCIII BANDINELLI, Introduzione al/' archeologia, Bari 1976, p. 2 5.
"J. J. WINCKELMANN, Geschichte der Kunst des Alterthums, Dresden 1764 (rist. Baden-Baden
- Strasbourg [trad. it. di M. L. Pampaloni, Milano
1966) 1990, da cui si cita].
" SICIITERMANN, Ku/turgeschichte cit.
" WINCKELMANN, Geschichte cit., p. IX.
Isler-Kerényi Mitologie del moderno: «apollineo» e «dionisiaco» 1401
Figura r .
Apollo del Belvedere.
1402 Riappropriazioni, riattualizzazioni
non significa che tutte le statue di Apollo lo facciano). Per questo la sua
statua (evidentemente quella del Belvedere), anche ~e forse creata da un
artista meno eccelso, supera persino il Laocoonten. E degno di nota che,
già qui, alla bellezza maschile ideale di Apollo si contrappone quella del
giovane castrato)\ di ispirazione orientale (dal punto di vista della li-
bertà dunque inferiore a quella greca), di Dioniso (fig . 2).
L'Apollo non compare piu, né a proposito dello stile « bello» (che cor-
risponde a quello postfidiaco del IV secolo)JS né dei periodi successivi fra
Alessandro e la conquista romana, se non nella seconda parte dell'ope-
ra, dove si parla dell'arte greca sotto gli imperatori romani. Si potrebbe
dedurne che Winckelmann volesse con ciò sottolineare che si tratta di
peculiare nell'Apollo, nel quale la forza degli anni maturi si trova fusa alle forme delicate della piu
bella primavera di gioventu ».
H Ibid., p. 154: « . .. e il Laocoonte è frutto di molto maggior studio che non l'Apollo Ma
quest'ultimo [sci/. l'artista dell' Apollo] fu probabilmente dotato di uno spirito piu elevato e di
un'anima piu delicata: nell'Apollo v'è infatti quel sublime che manca nel Laocoonte >>.
"Ibid., p. r6o: <dl secondo tipo di bellezza giovanile ispirato agli eunuchi è rappresentato,
frammisto a una virile giovinezza, in Bacco», e p. 152 (spiegazione di << castratO >>); REIBNITZ, Ein
Kommentarcit., p. 6r (e nota 25) e p. 97 (pregiudizio antiorientale del classicismo); E . BEIILER , Die
Au/fassung des Dionysischen dure h die Briider 5chlegel und Friedrich Niet:r.sche , in «Nietzsche-Stu-
dien>>, XII (I98J), p . 337-
., WINCKELMANN, Geschichte ci t ., pp. 227 sgg.
Figura 2.
una copia_ Questa ipotesi è poco plausibile: che una statua fosse origi-
nale o una copia non incideva infatti per lui nella valutazione dell'ope-
ra d'arte 36 • Sarebbe dunque stato logico descriverla come esempio emi-
nente di arte greca in una delle fasi di fioritura. La cita invece come
esempio di opera tolta alla Grecia dai Romani.
Val e la pena considerare con attenzione questo passo che precede im-
mediatamente la celebre descrizione dell'Apollo del Belvedere 7 • Il te-
sto è qui sistemato per imperatori: a Claudio segue Nerone. Di lui
Winckelmann conosce bene l'amore per le arti: il che potrebbe, anche
in un tiranno, essere valutato positivamente. I termini usati esprimono
invece subito la massima riprovazione: il gusto di Nerone per l'arte vie-
ne, ad esempio, definito Begierde di un avaro 31 • Ma è il suo comporta-
mento verso i Greci a renderlo piu odioso, perché, pur concedendo lo-
ro superficialmente un massimo di libertà, ha tolto loro le opere d'arte
piu belle' Era, in questo, del tutto insaziabile, come dimostra il fatto
che dalla sola Delfi fece asportare cinquecento statue in bronzo40 • E,
continua Winckelmann, l'Apollo del Belvedere, rinvenuto nella resi-
denza imperiale di Anzio 4 \ dev'essere stata una di queste42 (insieme al
cosiddetto Gladiatore Borghese). Nonostante, beninteso, si tratti di una
statua in marmo: la contraddizione è evidente. Come si spiega?
La Storia delle arti del disegno non era allora, come non è oggi, una
lettura facile. Per lunghissimi tratti il discorso resta astratto e teorico.
A concretizzare determinate affermazioni bastano di solito brevissimi
accenni a opere in questa o quella collezioneH. Le statue che ricorrono
nel testo piu d'una volta e vengono descritte, sempre nella seconda par-
.. Ibid., p. 336: <<Anche se qualcuno ... fosse in dubbio se la Niobe sia un originale oppure una
copia ... neppure questo ridurrebbe le principali nozioni artistiche che si possono attingere da que-
st' opera». PUCCI, Il passato prossimo ci t., pp. 95-98, vede invece «una gigantesca rimozione del pro-
blema>>.
17 WINCKELMANN, Geschichte ci t., pp. 392-94; BIANCHI BANDINELU, Introduzione ci t., pp. 2 5 sg.
11
WINCKELMANN, Geschichte ci t., p. 390: «Egli era come l'avaro che cerca di accumulare e non
di produrre>>.
"Ibid., p. 391: <<Nonostante tutte le apparenze di libertà, le opere migliori furono portate via
dal paese>>.
'"lbid., p. 391: «Nerone fu veramente insaziabile; tra l'altro inviò in Grecia Aerato, un em-
pio liberto, e Secondo Carrinate, un erudito da strapazzo, affinché scegliessero per l'imperatore
tutto quanto piacesse loro. Dal solo tempio di Apollo a Delfo portarono via cinquecento statue di
bronzo>>.
"Questa provenienza non pare accertata: W. Fuchs in w. HELBIG, Fiihrerdurchdieiif!entlich-
en Somm/ungen k/ossischer A/tertiimer in Rom, l, Tiibingen 1963, p. 170.
42
WINCKELMANN, Geschichtecit., p. 391: «È cosa probabile che l'Apollo del Belvedere ... fos-
se tra quelle statue».
0
Pochissime sono le illustrazioni incise in rame che accompagnano il testo: vedi le tavv. 1-16
della rist. Wien 1934, pp. 395 sgg.
1404 Riappropriazioni, riattualizzazioni
gionstheorie, in CALDER m e SCIILESIER (a cura di), Zwischen Rationalismus und Romantik cit., pp.
410·15.
" MULLER, Geschichten cit., l, p. 384: «Ma appunto la Beozia è il paese in cui il culto dell'Eli-
cona e del Citerone, di Dioniso e di Bacco, confluirono, producendo una figura mitica».
" SCHLESIER, «Dieser mystische Gott» cit., pp. 419·2 r.
" MULLER, Geschichten ci t., Il, pp. xvm-xx; v. LOSEMANN, Die Dorier im Deutschland derdreis-
siger und vierziger Jahre, in CALDEI\ III e SCIILESIER (a cura di), Zwischen Rationalismus und Roman·
tik cit., p. 316.
" w. M. CALDER III, A believen history o/ the literature o/ ancient Greece. Karl Otfried Muller
150 yean later, inCALDER m e SCHLESIER (a cura di), Zwischen Rationalismus und Romantik cit.,
pp. 146 sg.
" A. WITTENBURG, I Dori di K. O. Muller, in «Annali della Scuola Normale di Pisa», serie 3,
XIV (1984), pp. 1031-44; REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., p. 126.
17
SICHTERMANN, Ku/turgeschichte cit., pp. 96 sg.
18
B. SCHLERATH, fram: Bopp, in BRIGGS e CALDER III (a cura di), Classica/ Scho/arship cit., pp.
7-12; REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., pp. 246·49.
19
C. ISLER·KERÉNYI, K. O.Mu//ers Etrusker, in CALDER III e SCHLESIER (a cura di), Zwischen Ra-
tiona/ismus und Romantik cit., pp. 261 sg.
60
Ma Mliller prese in seguito le distanze da questa sua opera: LOSEMANN, Die Dorier cit.,
p. 314.
1406 Riappropriazioni, riattualizzazioni
della purezza e della luce'1 • Dioniso gli risulta invece, ma non senza for-
zature, assai meno importante per i Doriu.
Nel suo manuale Storia della letteratura greca, edito dopo la sua morte
dal fratello", Miiller dà del cosmo religioso dei Greci un'immagine ar-
monizzata, le contraddizioni relative a Dioniso risultano alquanto artifi-
ciosamente appianate. Abbiamo, da un lato, l'Olimpo omerico, retto dap-
pertutto in Grecia da un unico dio del cielo e della luce del giorno, Zeus.
Esso poggia su un sottofondo piu antico, di carattere ctonio, che risale a
prima di Omero, che si può definire pelasgico. Va da sé che Apollo ap-
partiene allivello olimpico'"', Dioniso a quello ctonio" Dioniso si distin-
gue però dal resto del pantheon anche per altri motivi. Il suo culto ha per
Miiller una certa affinità con le religioni dell'Asia Minore ed era stato
diffuso ad opera dei Traci risiedenti nella Grecia settentrionale- di cui
non si capisce se equivalga ancora alla Beozia! -,non però in modo unifor-
me in tutta la Grecia. Ciononostante eserciterà un influsso decisivo sul-
la cultura della nazione greca". Questo influsso si concretizza nelle ori-
gini della tragedia e nel legame fra tragedia e culto misterico'7•
L'Apollo di Miiller rappresenta la quintessenza della cultura dorica
ed è la piu alta forma divina possibile prima del cristianesimo":
dell'Apollo winckelmanniano ha chiaramente l'aspetto. Anche se per
Winckelmann, piu «pagano» di Miiller", Apollo era piuttosto stato il
61
MULLER, Geschichten ci t., Il, p. XIX: «Al centro è il concetto della purezza, della luce»; REIB-
NITZ, Ein Kommentar cit., pp. ro6 sgg.
62
MULLER, Geschichten cit., Il, p. 403: «Ma non abbiamo notizie di feste sfarzose o di una
venerazione particolarmente sollecita del dio; possiamo presupporre che nel complesso lo spirito
severo e sobrio di Sparta gli si mostrasse poco favorevole>>. Cfr. SCHLESIER, «Diesermystische Gott»
cit., p. 420: <<Mi.iller cerca si di isolare l'orgiasmo dionisiaco dei Dori come una faccenda specifi-
camente femminile o come una deviazione locale (all'interno delle colonie doriche), ma non può
negare l'invenzione del dramma da parte dei Dori».
" K. o. MULLER, Geschichte der griechischen Literatur bis auf das Zeitalter Alexanders, Breslau
r84r. Era dapprima uscito in traduzione inglese: CALDER m, A believers history cit., pp. 123 sgg.
" MULLER, Geschichte der griechischen Literatur cit., I, p. 22: «Come dunque a fianco del dio
del cielo vi sono enti analoghi, i quali con la forza della luce permeano la terra e annientano le for-
ze antagoniste- come Atena, nata dalla testa del padre nelle altezze celesti, o il luminoso Apollo-,
cosi nelle profondità della terra agiscono altre divinità».
" lbid., p. 23: «Ma ecco, quale essere peculiare, ecco il multiforme dio della natura che fiori-
sce e appassisce e ringiovanisce, Dioniso».
" Ibid.: «Ma anche da questa posizione a se stante, egli esercita il piu grande influsso sulla
Bildung della nazione greca>>. Il termine <<Bildung>> non è univoco: oltre a cultura può anche si-
gnificare formazione.
67
REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., p. 3 71: testo relativo in MULLER, Geschichte der griechischen
Literaturcit., II, pp. 23-31.
" Sulla teleologia di Mi.iller vedi CALDER m, A believers history cit., pp. 147 sgg.
" Mi.iller non accettò Winckelmann senza riserve: ISLER·KERÉNYI, K. O. Mullers Etrusker ci t.,
p. 255 (e nota 77).
Isler-Kerényi Mitologie del moderno: <<apollineo» e «dionisiaco» 1407
70
MULLER, Geschichte der f,riechischen Literatur ci t., I, pp. 23 sg.: «Suscita in arte e poesia una
serie di manifestazioni, il cui tratto comune è che in esse si rivela una piu forte eccitazione dell'ani-
mo, un piu alto slancio della fantasia e una piu smodata sfrenatezza nel piacere e nel dolore».
71
WIITENBURG, J Dori ci t., pp. 103 I sg.
72
CAI.DER m, A believer; history cit., p. I42: «Dettagli imbarazzanti dei costumi [della com-
media greca] vengono discretamente fatti passare in secondo piano (1!.90) come "altre defor-
mazioni e appendici volutamente stravaganti e indecorose" ». Illuminante anche il commento dei
lirici da parte di Miiller, sintetizzato ibid., p. I 34: <<Ciò che questo significa, in ultima istanza, è
la minimizzazione di qualsiasi allarmante divergenza rispetto al cristianesimo».
71
REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., pp. 209 sg. (divergente interpretazione dei satiri); CANCIK,
Nietzsches Antike ci t., p. I 57·
" Si veda la controversia sul significato dei sa tiri fra Rohde e Wilamowitz: GRUNDER, DerStreit
ci t., pp. 46 sg. e 98 sg.
" G. A. PRIVITERA, Dioniso in Omero e nella poesia greca arcaica, Roma I970, p. I 25 nota 53·
I fatti piu rilevanti, attestati da Plutarco, sono che Apollo e Dioniso si spartivano l'anno cultuale
e che certi loro riti si celebravano contemporaneamente: REIBNITZ, Ein Kommentarcit., pp. ro8 sg.
" E. Rohde in GRUNDER, DerStreit cit., p. 9: «Questa meravigliosa creazione, l'arte tragica».
1408 Riappropriazioni, riattualizzazioni
La nascita della tragedia pose fine alla fase filologica di Nietzsche77 , che
poco dopo lasciò anche l'attività accademica. L'ostracismo dei colleghi78
non riusci però a impedire al suo Dioniso, che discendeva in via diretta
dal Dioniso romantico - orgiastico, martoriato, erotico - definito via via
da Schlegel, Creuzer, Schelling, Welcker, Bachofen", di prendere il so-
pravvento sul radioso e puro Apollo. In questo percorso emergono due
fasi: la prima, piu creativa, degli anni intorno al 19oo; una seconda, piu
«scientifica~> e non meno influente, del decennio 1930-40.
Erwin Rohde (1845-98) 80 era stato in gioventu legato a Nietzsche da
profonda amicizia, documentata da un fitto epistolario81 • Già nel suo
primo scritto in favore dell'amico, pubblicato in un quotidiano del 26
maggio 187282 , egli adotta l'idea che Dioniso impersona, come Apollo,
una pulsione fondamentale dell'artista di tutti i tempi e che il mito tra-
gico, sintesi perfetta dell'«apollineo e del dionisiaco», è una manifesta-
zione dello «spirito della musica»: la quale, essendo il genere artistico
piu immateriale, è anche quello piu alto•' Egli la ribadisce poco dopo
nella violenta replica a Wilamowitz84 (non meno personale e offensiva
del pamphlet di quest'ultimo contro Nietzsche) ed espone poi la sua pro-
pria teoria, che non è estetica ma storico-filologica, sull'origine della tra-
77
CANCIK,Nietzsches Antike ci t., pp. 33 sg.
" LATACZ, Fruchtbares Argemis cit., p. 42.
"A. HENRICHS, Loss o/ self, suffering, violence: the modem view o/ Dionysus /rom Nietzsche to
Girard, in «l'larvard Studies in Classica! Philology>>, LXXXVIII (1984), pp. 218 sgg.; REIBNITZ,
Ein Kommentar ci t., pp. 61 sgg. e 267. Sui precedenti romantici del Dioniso di Nietzsche piu in
esteso: B. VON REIBNITZ, Apol/inisch-Dionysisch, in As(hetische Grundbegriffe Historisches Worter-
buch in sieben Biinden, !, Stuttgart 2000, pp. 246-54. E la monografia di F. Creuzer (1771·1858),
Dionysus, sive Commentationes academicae de rerum bacchicarum orphicorumque origini bus et causis,
Heidelberg r8o9, subito contestata da C. A. Lobeck, che inaugura la discussione antichistica su
Dioniso.
80
Il. CANCIK, Erwin Rohde, in BRIGGS e CALDER 111 (a cura di), Classica/ Scho/arship cit., pp.
395·404.
" CALDER 111, The Wilamowitz-Nietzsche struggle cit., pp. 238 sg.; MCGINTY, Interpretation ci t.,
p. 36.
"GRUNDER, DerStreitcit., pp. 15-26. Nello stesso quotidiano uscirà anche una replica di Wag·
nera Wilamowitz in difesa di Nietzsche: ibid., pp. 57-64; VOGEL, Apollinisch cit., pp. 164 sg.
81
REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., p. 66 .
.. Intitolata Afterphi/ologie (cioè «Filologia anale»): GRUNDER, Der Streit cit., pp. 65-1 r 1.
Isler-Kerényi Mitologie del moderno: «apollineo» e «dionisiaco» 1409
ci, seguaci di quell'Orfeo che, come Melampo, rientra nella sfera sia di
Apollo che di Dioniso: i quali furono i primi a credere nell'immortalità
dell' anima9}
La tesi di Rohde non si discosta troppo da quella di Mi.iller e ne con-
serva molti presupposti ideologici, come la distinzione fra visione reli-
giosa apollinea, genuinamente greca, e culto di Dioniso, di carattere
eclettico e primitivo; come l'idea che nella mitologia si conservi il ri-
cordo di antichissimi fatti storici; e come l'andamento teleologico della
storia della religione. Rispetto al modello di Mi.iller la porzione «esoti-
ca» in Dioniso è aumentata e meglio definita. Nel contempo, e para-
dossalmente, diventa piu importante il ruolo storico di Dioniso.
Dioniso fu un tema preferito anche di Jane Ellen Harrison (r85o-
1928)9\ e la sua interpretazione, di un decennio posteriore a quella di
Rohde, fu di grande influenza soprattutto in ambito anglosassone9' I
suoi Prolegomena to the Study o/ Greek Religion del 1903 intendono il-
luminare le fasi piu antiche della religione greca: ma in base non al mi-
to96, bensi al rito, secondo il nuovo orientamento inaugurato negli stu-
di della religione antica dai cosiddetti «Cambridge Ritualists», di cui fa
parte. Lo scopo dei riti era, per lei, di garantire la sussistenza fisica: da
qui l'importanza della fertilità 97 L'andamento della storia è sostanzial-
mente evoluzionistico e darwiniano, porta cioè dal rozzo e primitivo a
forme di vita sempre piu alte e, infine, al cristianesimo98 • Come Rohde
e Nietzsche, positivamente recepiti", anche Harrison si riallaccia a mol-
te delle idee di Mi.iller: da lui adotta fra l'altro la distinzione fra culti
olimpici e culti ctonii che tende a sostituire q, meglio, a inglobare in sé
il binomio «apollineo-dionisiaco». Un tratto innovativo è l'uso che fa
del materiale archeologico, dalle immagini vascolari alle scoperte di
Schliemann e di Evans.
91
lbid., p. I 3 I: «Nell'edificio della religione orfica questa è la chiave di volta che tiene tutto
insieme: la fede nella forza vitale, divinamente immortale, dell'anima>>.
" R. SCIILESIER, j. E. Hanison, in BRIGGS e CALDER Ili (a cura di), C/assica/Scho/arship cit., pp.
Il7·4I; MCGINTY, /nterpretation cit., pp. 71·103.
" HENRICIIS, Loss o/ se/f cit., pp. 229 sgg.
,. Come aveva fatto Miiller nei suoi celebri Prolegomena zu einer wissenschaftlichen Mytholo·
gie, del I825.
" L'idea della fertilità, che gode oggi ancora di popolarità sproporzionata soprattutto fra gli
archeologi, pare risalga a uno studio sul culto di Priapo dell'antichista inglese R. P. Knight (175 I·
I824): lo dimostrerà una ricerca di S. C. Humphreys in via di svolgimento.
" R. SCIILESIER, Pro/egomena lo ]ane Hanison's interpretation o/ ancient religion, in w. M. CAL·
DER m (a cura di), The Cambridge Ritua/ists Reconsidered, «Illinois Studies in the History of Clas·
sical Scholarship~>, I (1991), pp. 191 e 224.
"Sulla recezione di Nietzsche: REIBNITZ, Ein Kommentarcit., pp. 148 sg. e I84 (nota 9).
Isler-Kerényi Mitologie del moderno: <<apollineo» e «dionisiaco» 1411
IOD J. IIARRISON, Prolegomena to the 5tudy of Greek Religion, rist. London I98o, pp. 363·453.
IDI Come già per ROIIDE, Psyche cit., II, p. 39, e ovviamente per la stessa ragione che la cultu·
ra del vino non può essere di origine nordica. Cfr. ora invece PRIVITERA, Dioniso cit., p. 43·
IDl J. 1IARRISON, Themis. A 5tudy o/ the 5ocia/ Origins o/ Greek Religion, Cambridge I 9 I z.
IDI Questa combinazione si ispira a Bachofen e poi a Nietzsche: SCIILESIER, Pro/egomena cit.,
107
Intitolato Zukun/tsphilologie' (cioè <<Filologia futuristica!»): GRUNDER, Der Streit cit., pp.
27-55 e 113-35 (replica a Rohde). Sui motivi molto personali di questa sua reazione: CALDER m,
The Wilamowitz-Nietzsche struggle ci t., pp. 2 30-36.
108
A. HENRICHS, «Der Glaube der Hellenen»: Religionsgeschichte als Glaubensbekenntnis und
Ku/turkritik, in W M. CALDER III, Il. FLASHAR e T. LINDKEN (a cura di), Wi/amowitz nach 50 jahren,
Darmstadt 1985, pp. 263-305.
109
REIBNITZ, Ein Kommentar ci t., p. 109 (nota 88).
110
HENRICHS, «Der Glaube der Hellenen» ci t., pp. 303 sgg.
111
WILAMOWITZ·MOELLENDORFF, Der G/aube ci t., Il, p. 81: «Dioniso non è mai riuscito a la-
sciarsi indietro del tutto la sua origine barbarica. Tanto piu ammirevole, dunque, ciò che di lui han-
no fatto i Greci».
112
Sul filone misogino cui si riallaccia il Dioniso di Wilamowitz cfr. REIBNITZ, Ein Kommen-
tarcit., pp. 99 e 105.
"' WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Der Glaube ci t., II, p. 79: «Quello che Dioniso ha portato ai
Greci, ossia l'intensificazione della forza creatrice dell'anima, si manifesta nella maniera piu chia-
ra nel fatto che essi crearono la tragedia, mostrando cosi al mondo la via per cui accedere al som-
mo vertice della poesia; tale vertice, però, non è stato raggiunto da nessun popolo, dato che a nes-
suno è riuscito di chiarificare la solennità religiosa, con la sua estasi dionisiaca, contenendola me-
diante la severità formale greca, fino a farla diventare pura bellezza».
Isler-Kerényi Mitologie del moderno: «apollineo» e «dionisiaco» 1413
"' Oggi sostituita da ipotesi piu differenziate: w. BURKERT, Griechische Religion der archai-
schen und k!assischen Epoche, Stuttgart-Berlin-Koln-Mainz I977. pp. 227 sg. [trad. it. di P. Rava-
nini, Milano 1984, da cui si cita].
"' FOWLER, Ulrich von Wilamowit:;:-Moellendor// ci t., p. 5 I I; L. CANFORA, Wi!amowit:;:: «Poli-
tik>> in der Wissenschaft, in CALDER 111, FLASHAR e LINDKEN (a cura di), Wi/amowit:;: cit., pp. 56-79;
w. SCHINDLER, Die Archiiologie im Rahmen von Wi!amowit:z:' Kon:z:eption der Altertumswissenschaft,
in CALDER III, FLASHAR e UNDKEN (a cura di), Wi/amowit:z: cit., pp. 241-62.
116
PRIVITERA, Dioniso cit., pp. 13 sg.; BURKERT, Griechische Religion cit., p. 253·
117
w. F. oTTO, Dionysos. Mythos und Kultus, Frankfurt am Main 1933; H. CANCIK, Antik-
Modern. Beitriige :z:ur romischen und deutschen Kulturgeschichte, Stuttgart-Weimar 1998, pp. r65-86
(rist. da FABER e SCIILESIER (a cura di), Die Restauration cit., pp. 105·2}).
111
w. F. oTTo, Die Gotter Griechen!ands, Frankfurt am Main 1929; CANCIK, Antik-Modern ci t.,
pp. 1}9·6}.
119
MCGINTY, Interpretation cit., pp. I4I·8o; A. HENRICHS, Die Gotter Griechenlands- Ihr Bi/d
im Wandel der Religionswissenscha/t, in H. FLASHAR (a cura di), Auseinanderset:;:ungen mit der An-
tike, Bamberg 1985·90, pp. 139 sgg.
120
REIBNITZ, Ein Kommentar cit., p. 268 (nota 38); MCGINTY, Interpretation cit., pp. 30 e 167
sg. Sul rapporto Otto-Nietzsche cfr. anche K. KERÉNYI, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile,
Milano 1992, p. 13.
I 4I 4 Riappropriazioni, riattualizzazioni
110
DIXSAUT, Quere//e cit., p. I2.
111
Briggs e Calder III in BRIGGS e CALDER m (a cura di), Classica/ Scholanhip ci t., p. XL
,., E. R. DODDS, The Greeks and the Irrational, Berkeley Los Angeles 1951.
"' H. JEANMAIRE, Dionysos. Histoire du eu/te de &cchus, Paris 1951 [trad. it. Torino 1972].
1
" KERÉNYI, Dioniso cit., p. '3·
"' o. MURRAY, Sympotica. A Symposium on the 5ymposion, Oxford 1990.
"' Ancora per F. GRAI', Gli dèi greci e i loro santuari, in I Greci, Il/r, Torino 1996, p. 370, Dio-
niso è una delle divinità piu estranee alla polis e al suo ordinamento, come già affermava JEANMAI-
RE, Dionysos ci t., p. r 93· Questo, nonostante il ruolo centrale e ben attestato di Dioniso nelle mag-
giori manifestazioni cultuali della polis di Atene: basti ricordare le nozze con la basilinna durante
le Antesterie.
117
w 11. IIAMDORF, Dionysos-Bacchus, Miinchen 1986, pp. 44 sgg.; GRAF, Gli dèi cit., p. 373·
110
Come dice il sottotitolo del libro di VOGEL, Apollinisch cit., «Geschichte eines genialen Irr-
tums)>.
1416 Riappropriazioni, riattualizzazioni
146
Cfr. anche GRAF, Gli dèi cit., p. 379·
7
•• Questo tratto si manifesta abbondantemente nell'iconografia arcaica di Dioniso: c. ISLER·
KERÉNYI, Dionysos nello Grecia arcaica. Il contributo delle immagini, Pisa-Roma 200 r.
GEOFFREY LLOYD
1
Un gruppo del genere si raccolse attorno al principe Xuan sotto la porta Ji (jixia) nella capi·
tale di Qi alla fine del Iv secolo a. C. Veniva solitamente chiamato «Accademia Jixia», ma, come
ha mostrato N. SIVIN, Medicine, Phi/osophy ond Re/igion in Ancient Chino, Aldershot 1995, cap. IV,
pp. 19 sgg., si tratta di una denominazione impropria. Non ci sono indicazioni che questi studio·
si avessero una funzione di insegnamento: erano come gli altri «Ospiti» invitati a corte da sovrani
desiderosi di mostrare la loro munificenza e accrescere il loro prestigio.
1422 Riappropriazioni, riattualizzazioni
2
Lo 5hiji (Memorie storiche) ne fornisce versioni leggermente differenti negli Annali di base (6)
e nella Biografia di Li Si (87). Ma in entrambi i casi la politica seguita imponeva la distruzione de·
gli esemplari di testi classici quali il Libro delle odi e i Documenti posseduti dai privati. Alcuni scrit·
ti di carattere tecnico sulla medicina, l'agricoltura e la divinazione vennero tuttavia risparmiati, e
non vi sono indizi che siano stati distrutti i testi ritenuti oltraggiosi conservati nelle biblioteche
del palazzo.
Uoyd Scienza greca e scienza cinese 1423
' Una posizione particolarmente critica al riguardo fu assunta dagli esponenti deUo scettici-
smo. Cfr., per esempio, SESTO EMPIRICo, Lineamenti di pirronismo, I. 103.
1424 Riappropriazioni, riattualizzazioni
primari delle sostanze fisiche, bensi delle proposizioni basilari dalle qua-
li era possibile dedurre, in linea di principio, il resto della ricerca.
I fondamenti sono spesso collegati con la seconda caratteristica che
abbiamo menzionato, ossia la richiesta di giustificazione di quanto si af-
ferma o si teorizza. Questa richiesta valeva pressoché in tutte le bran-
che della ricerca, dalla filosofia della natura (e dalla morale) sino alla me-
dicina, sebbene i punti di vista relativi al tipo di giustificazione da for-
nire differissero profondamente. Da una parte c'era infatti la richiesta
di una dimostrazione rigorosa di tipo assiomatico-deduttivo; al polo op-
posto, in alcuni autori che scrivevano di medicina, per esempio, ci si op-
poneva a una richiesta del genere per contrapporle il criterio secondo il
quale una teoria buona è quella che supera l'esame della pratica; in al-
tre parole, che funziona in concreto.
Ma queste e altre caratteristiche di spicco della ricerca greca posso-
no e debbono essere messe in relazione alle circostanze nelle quali i ri-
cercatori operavano. In mancanza di fonti di mecenatismo stabili e tan-
to meno di impieghi statali, molti uomini di cultura, filosofi, medici e
matematici greci dovevano guadagnarsi da vivere, o integrare il reddi-
to, con l'insegnamento. Campo nel quale vigeva una forte concorrenza,
anche perché non esistevano qualifiche sulle quali fondare le proprie
aspirazioni all'insegnamento. Farsi un nome comportava spesso recla-
mizzare in maniera aggressiva la brillantezza e la novità delle proprie
idee e l'annientamento di quelle dei rivali. Perfino nel caso dell'anato-
mia, la dissezione veniva talvolta praticata non a fini di ricerca né di in-
segnamento, ma soltanto con spirito aggressivo di rivalità nel tentativo
di mostrare l'assurdità delle teorie dell'avversario 4 •
È vero che ai primordi della filosofia della natura greca le personalità
piu eminenti non sembrano aver praticato l'insegnamento. Tuttavia, fa
capolino una certa aggressività, sia nelle critiche che Senofane, Eraclito
e Parmenide muovono ad altri uomini di cultura o individui comuni, sia
nel modo in cui forniscono spiegazioni di tipo naturalistico di una gam-
ma di fenomeni in precedenza normalmente associati a forze divine o de-
moniache. Il concetto stesso di natura, si potrebbe sostenere, mirava a
contrapporre il nuovo stile da «maestri di verità» ai poeti (quali Esiodo
o Omero) o ad altri portavoce di stili di saggezza piu tradizionali.
Connesso alla richiesta della giustificazione è l'interesse per le basi
della conoscenza- epistemologia- e per l'analisi delle forme dell'argo-
mentazione. Nella situazione greca, nella quale il cittadino poteva tro-
' Cfr., per esempio, GALENO, Procedimenti anatomici, 7 .16, analizzato, con riferimenti alla bi-
bliografia precedente, in G. E. R. LLOYD, Adversaries and Authorities, Cambridge 1996, p. 2or.
Lloyd Scienza greca e scienza cinese 1425
1. Il centro di attenzione.
Abbiamo già ricordato che in Cina, nei periodi delle Primavere e de-
gli Autunni e degli Stati Combattenti, i filosofi potevano trasferirsi, e
di fatto si trasferirono, da uno stato all'altro. Il primo e piu famoso esem-
pio in tal senso lo fornisce lo stesso Confucio (Kong Fuzi), che sarebbe
vissuto tra i1551 e i1479 a. C. Esiliato dallo stato natio di Lu (nell'at-
tuale provincia di Shandong), egli trascorse molti anni peregrinando da
uno stato all'altro, con un seguito di discepoli, alla ricerca di un sovra-
no illuminato che gli offrisse la possibilità di mettere in pratica le sue
idee; possibilità che non gli si offri mai.
La presenza di discepoli conferma il ruolo di insegnamento assolto da
Confucio; tuttavia, la sua ambizione primaria era quella di trovare un so-
vrano da assistere coi suoi consigli, attinenti, in primo luogo, al buon go-
verno, al modello del re saggio e corredati di raccomandazioni che anda-
vano dai buoni rapporti con i ministri al comportamento corretto.
Motivazioni analoghe muovevano la maggior parte degli individui e
dei gruppi del primo periodo di cui abbiamo documentazione. Due te-
1426 Riappropriazioni, riattualizzazioni
sti provenienti dai primi tempi Han ci parlano di gruppi diversi di filo-
sofi'. Alludiamo al capitolo finale dello Shiii di Sima Qian (circa 90 a.
C.), nel quale vengono esposte le idee di suo padre Sima T an, e al capi-
tolo tianxia compreso nello Zhuangzi (cap. 33). Lo Zhuangzi è una com-
pilazione .di materiali risalenti a periodi disparati', ma questo capitolo
potrebbe datare al n secolo a. C. Si può tuttavia pensare che entrambe
queste presentazioni di filosofi abbiano reinterpretato pensatori prece-
denti ai fini della ricostruzione del quadro che intendono tratteggiare.
Nello Shiii sono menzionati sei gruppi principali: r) Yin Yang; 2) con-
fuciani; 3) moisti (seguaci di Mo Di); 4) «legisti» (esperti di diritto, fa
jia); 5) esperti sui nomi; 6) seguaci del Dao, la Via, come lo stesso Sima
Tan suggerisce. La documentazione in nostro possesso relativamente a
questi gruppi lascia molto a desiderare. I due esponenti di maggior spic-
co degli «esperti sui nomi», Hui Shi e Gongsun Long, non sono rap-
presentati da testi integrali autentici. La ricostruzione del pensiero dei
primi moisti è particolarmente problematica7 • Il presunto fondatore del
Dao, Laozi, «il Vecchio Maestro», è una figura leggendaria, benché il
Dao De ]ing fornisca un testo canonico delle idee attribuitegli.
Tuttavia, la particolarità dei consigli ai sovrani focalizzati sul buon
governo è ricorrente, e nello Shiii i sei gruppi in questione vengono dif-
ferenziati in primo luogo in base alle loro politiche di governo. Occor-
re cautela nei confronti di quelli che vengono chiamati confuciani (ru),
poiché il termine è utilizzato anche per indicare appartenenti all'élite
colta che non si richiamano ai principi di Confucio. Il termine, tuttavia,
si applica in maniera piu specifica a Mencio (Mengzi) nel IV secolo a .C.
e a Xunzi nel m. Mencio era consigliere dei sovrani di Liang e Qi; Xun-
zi lamentava di non riuscire a trovare qualcuno capace di restaurare il
buon governo in Cina. Alla fine della sua lunga vita (circa 238 a. C.), lo
stato di Qin era già in netta ascesa, sicché si può ipotizzare che egli di-
sperasse delle prospettive di buon governo offerte dal futuro Primo lm-
peratore8.
' Gruppi che nello Shiii vengono chiamati i sei iia: sennonché non c'è accordo su come vada
interpretato in questo contesto il termine iia, che letteralmente significa <<famiglia». Cfr. J. o. PE-
TERSEN, Which books did the Fint EmperorofCh'in bum? On the meaning of"pai chia" in early Chi-
nese sources, in «Monumenta Serica~>, XLIII (1995), pp. 1-52. Testo da confrontare con N. SIVIN,
Text and experience in classica/ Chinese medicine, in D. BATES (a cura di), Knowledge and the Scho-
lar/y Medica/ Traditions, Cambridge 1995, pp. 177·204. Nel 1 secolo d. C. iia viene sicuramente
usato per i lignaggi la cui funzione primaria consisteva nel conservare e nel trasmettere i testi ca-
nonici importanti, o ;ing; ma in precedenza ;;a può indicare qualsiasi genere di esperto.
6
Cfr. A. c. GRAIIAM, Chuang-txu. The Seven lnner Chapten, London 1978.
7
Cfr. ID., Later Mohist Logic, Ethics and Science, London 1981.
• Alla fine di XUNZI, 6, dove si criticano numerosi altri filosofi, egli definisce nel modo se-
guente il suo ideale: «il cuore di una persona alla quale l'intero mondo sarebbe desideroso di sot-
Lloyd Scienza greca e scienza cinese 1427
Al di fuori della schiera dei confuciani, Hui Shi e Gongsun Long fu-
rono consiglieri di sovrani nel IV e nel m secolo a.C., la tradizione legi-
sta nutriva ambizioni analoghe e gli scritti dei moisti mostrano quanto
i loro autori fossero desiderosi di essere utilizzati praticamente. I con-
sigli che si sentivano di offrire si spingevano fino a questioni come la
progettazione e costruzione di fortificazioni difensive. Ritorneremo sul-
la teoria Yin Yang nel paragrafo seguente; diciamo tuttavia che i daoi-
sti potrebbero fare eccezione per quanto riguarda l'attenzione primaria
e generalizzata per l'opera di governo che abbiamo sin qui attribuito ai
primi filosofi cinesi. Non v'è dubbio, infatti, che in alcuni scritti daoi-
sti, e in particolare in certe parti dello Zhuangzi, la tematica principale
è la cura di sé. Il vero saggio non deve darsi pensiero degli affari del
mondo ma, all'insegna del motto wu wei («nessun fastidio)) o «nessun
affanno~>), coltivare il disimpegno. I tentativi di Confucio di rendersi
gradito ai potenti della politica sono oggetto di qualche satira tagliente
nello Zhuangzi. Tuttavia, anche in questa vasta tradizione, non si ri-
scontra un disinteresse totale per il governo della cosa pubblica. Il Dao
De Jing e alcune sezioni, probabilmente piu tarde, dello Zhuangzi af-
frontano la questione applicando il principio del wu wei al sovrano stes-
so. Secondo questo punto di vista, il sovrano ideale non deve immi-
schiarsi nelle faccende di governo, bensi lasciare ai suoi ministri la cura
dei dettagli, fornendo da parte sua un esempio di benevola serenità.
Il modello cosi elaborato assai prima dell'unificazione del paese ri-
torna nella documentazione relativa alle dinastie Qin e Han. I consigli
al sovrano si estendevano, come vedremo, a principi cosmologici in ba-
se ai quali si determinava e si legittimava la collocazione del sovrano nel
grande schema delle cose. Ma anche in contesti piu specifici, nei quali
un appartenente all'élite colta aveva delle idee da proporre, sia in ma-
teria di pratica politica sia di interesse piu teorico, la forma di presen-
tazione preferita era spesso quella della memoria indirizzata a chi sede-
va sul trono. Era l'imperatore stesso la persona da persuadere e sulla
quale occorreva fare buona impressione. Dopo tutto, era l'imperatore a
poter soddisfare il desiderio primario di vedere applicate le proprie idee
e, nel caso ciò avvenisse, la reputazione di chi le proponeva poteva dir-
si acquisita.
A questo punto possiamo soffermarci a valutare alcuni elementi di
tomettersi» (secondo la traduzione di J. KNOBLOCK, Xunzi, a Translation and Study of the Complete
Works, Stanford 1988-94, I, pp. 226 sgg.). L'interpretazione dei rapporti di Xunzi col suo ex al-
lievo Li Si, e con i vari sovrani con i quali entrò in contatto, è tuttavia controversa; cfr. A. c.
GRAIIAM, Disputers of the Tao, La Salle III. 1989, pp. 2 35 sgg. [trad. i t., Lo ricerca del Tao: il dibat-
tito filosofico nella Cina classica, Vicenza 1999].
1428 Riappropriazioni, riattualizzazioni
ciò che non possono conquistare e la sequenza terra, legno, metallo, fuo-
co è posta in relazione alla sequenza dinastica Yu (ossia Shun), Xia, Yin
(ossia Shang) e Zhou 11 • Il che sembra concordare con l'uso che, a quan-
to si riferisce, il Primo Imperatore Qin avrebbe fatto delle idee di Zou
Yan, quando associò l'ascesa dello stato Qin «con l'avvento della virtu
dell'acqua» 12 L'acqua è posta in relazione con il nero e il numero sei; al
punto che il Primo Imperatore non si limitò a cambiare la data dell'ini-
zio dell'anno, ma decretò che il nero doveva essere usato per le bandie-
re e per gli abiti di corte, mentre il sei sarebbe stato il numero preferi-
to per la lunghezza (in misura lineare cinese) dei cartellini dei contratti
e di altri strumenti ufficiali.
Sivin perviene alla triplice conclusione secondo cui la filosofia della
storia di Zou era esplicitamente concepita come mezzo di riforma poli-
tica e non come strumento di ricerca fisica; che sia stata effettivamen-
te usata sul piano politico da un sovrano che cio nondimeno considera-
va negativamente l'idea di governo basata sui principi morali che orien-
tavano la riforma di Zou; che il Primo Imperatore abbia ricavato dagli
scritti di Zou soprattutto l'idea che il rituale legittima il cambiamentou.
La dottrina delle Cinque Virtu presentava sin dall'inizio connota-
zioni e applicazioni morali e politiche che si mantennero negli sviluppi
successivi. Dalla seconda metà del m secolo a. C. sino alla fine del II una
serie di scritti si propose di legittimare il potere del sovrano e mostrare
come potesse conservarlo a patto di armonizzarsi con la Via del Cosmo
- la Via del Cielo e della Terra - intesa come un tutto. Questa temati-
ca era preminente nel Lushi Chunqiu, redatto intorno al 240 a. C. sot-
to la direzione di Li.i Buwei, primo ministro di Qin Shi Huang Di pri-
ma che questi portasse a termine l'unificazione e assumesse il titolo.
Analogamente, lo Huainanzi, redatto un po' prima del 122 a. C. per di-
sposizione di Liu An, re di Huainan, contiene prescrizioni dettagliate
intese a garantire un ordine soddisfacente nello stato come in Cielo e a
proposito di quest'ultimo parla di cambiamenti astronomici, del regno
animale, delle armonie musicali e di molte altre cose ancora.
L'opera di Dong Zhongshu ha probabilmente una rilevanza centrale
all'inizio dell'importantissima fase di sistematizzazione nello sviluppo
della teoria delle Cinque Fasi. Gli si può in gran parte attribuire l'affer-
11
Ibid., p. I I, che cita Wen Xuan, 59.18a.
12
Cfr. SIVIN, Medicine cit., p. r6, che cita Shiji, 6.
u Cfr. SIVIN, Medicine cit., p. 17. In altra documentazione che testimonia dell'uso delle Cin-
que Fasi alla fine delrv secolo e nei primi decenni del m, come per esempio Hong Fan (Il Grande
Piano), capitolo dello Shang shu (Libro dei documenti), si pone analogamente l'accento sulla loro uti-
lizzazione in quanto modello di buon comportamento e di giusto ordinamento del governo.
14 3 z Riappropriazioni, riattualizzazioni
14
Cfr. s. QUEEN, From Chronicle to Canon, Cambridge 1996.
" Cfr. per es. J. NEEDHAM, Science and Civi/isation in China, Cambridge 1956, II, pp. 262 sgg.
[trad. it. Torino 1983]; GRAHAM, Disputen cit., pp. 240 sgg.
Lloyd Scienza greca e scienza cinese 1433
tuali allievi. Come abbiamo appena fatto osservare, i Cinesi non rag-
giunsero un accordo totale né pervennero a un'unica ortodossia anni-
comprensiva, ma riuscirono, ciò nondimeno, a realizzare un elevato li-
vello di consenso relativamente al quadro teorico entro il quale si svol-
geva la ricerca. Inoltre, come abbiamo ugualmente detto, le idee
fondamentali alla base di questo quadro teorico, ossia Yin e Yang e le
Cinque Fasi, avevano connotazioni e applicazioni politiche che si con-
facevano assai bene ai sovrani. Il potere imperiale era legittimato nella
misura in cui rifletteva ed esemplificava l'armonia del Cielo e della Ter-
ra. Se voleva mantenere il potere, l'imperatore avrebbe dovuto presta-
re ascolto, in fatto di corrispondenze cosmiche, ai consigli degli esper-
ti, ossia gli uomini di cultura che avevano elaborato la teoria che stava
alla base di questa legittimazione. Si trattò, come abbiamo osservato in
precedenza, di una notevole convergenza di interessi, specie nei primi
tempi Han, tra imperatori, bisognosi di consiglieri per mantenere e con-
solidare la propria posizione di potere, e consiglieri, che ottenevano in
tal modo un appoggio sostanziale da parte dell'imperatore.
Possiamo concludere questo paragrafo illustrando molto brevemen-
te l'elaborazione di queste tematiche nel campo della medicina e
dell'astronomia. Per i Cinesi il corpo umano non era un insieme statico
di organi o di strutture, bensf un campo di interazione di processi. Cu-
rare una malattia significava contrastare le forze ostili che disturbava-
no le normali interazioni del movimento del qi (respiro, forza vitale,
energia) nel corpo. L'ideale era spesso il libero flusso, immaginato tal-
volta sul modello del libero flusso delle interazioni tra il sovrano e i suoi
ministri 16
Ma questo non era l'unico modo di concepire il corpo a immagine e
somiglianza del sistema politico. In un testo dello Huangdi neijing cia-
scuno dei vari sistemi di funzioni presenti nel corpo è paragonato a una
funzione politica 17 • Anche qui, l'ordine soddisfacente dipende dal fatto
che ciascun sistema interno del corpo svolge la funzione che gli è pro-
16
Concetto che potrebbe già essere illustrato in Liishi Chunqiu, 20. Cfr. SIVIN, Medicine cit.,
cap. 1 (Confronto tra la filosofia greca e quella cinese), p. 6. Per il confronto con i Greci cfr. LLOYD,
Adversaries ci t., cap. IX (La politica del corpo).
17
Huangdi neiiing suwen, 8. Cfr. SIVIN, Medicine ci t., p. 7; LLOYD, Adversaries ci t., pp. 192 sgg.
Alla possibilità, e alla pratica effettiva, della dissezione si fa raramente riferimento nelle fonti di-
sponibili di epoca Han. Cfr., per esempio, s. KURIYAMA, Visual knowledge in classica! Chinese me-
dicine, in BATES (a cura di), Knowledge cit., pp. 205-34. Come risulta dalle pp. 223 sgg., in Cina la
dissezione finiva per essere praticata, sostanzialmente, posi mortem per cercare di determinare le
cause del decesso. Come abbiamo già avuto occasione di osservare, la rappresentazione del corpo
umano da parte della scienza cinese dell'epoca privilegia i processi che si svolgono al suo interno a
scapito delle strutture anatomiche.
14 3 4 Riappropriazioni, riattualizzazioni
3. I criteri di spiegazione.
18
Cfr. per es. GRAIIAM, Disputers cit., pp. 76 sgg., 82 sgg. Cfr. inoltre LLOYD, Adversaries cit.,
pp. 113 sgg., 152, 163.
1436 Riappropriazioni, riattualizzazioni
19
MOZI, 31, SU cui cfr. GRAHAM, LaterMohist Logic cit., pp. I 5, 30 sgg.; G. E. R. LLOYD, Demys·
tifying Mentalities, Cambridge 1990, p. 113 [trad. it. Roma-Bari 1991], dove si analizza anche la
critica tendenziosa delle posizioni dei moisti in WANG CIIONG, Lun Heng, 67.
20
LLOYD, Adversaries cit., cap. IV (Le tecniche della persuasione), analizza sia numerosi tipi di
argomentazione esemplificati nello Zhanguoce, sia lo Shuo nan (Difficoltà di persuadere), cap. XII del-
lo Hanfei:ti, con riferimenti, in entrambi i casi, alla bibliografia precedente.
Lloyd Scienza greca e scienza cinese I 43 7
dei coristi, gli zufoli usati per accordare. Dice poi che lo studio del te-
sto lo ha portato in primo luogo a riflettere sulla separazione di Yin e
Yang. Queste affermazioni potrebbero essere interpretate come di pu-
ra facciata, una specie di preambolo retorico quasi scontato da parte di
un esponente dell'élite scientifica. Sarebbe tuttavia sbagliato non pren-
derle in considerazione ritenendole semplicemente tali, perché il tema
principale dell'introduzione di Liu Hui è precisamente l'unità della ma-
tematica.
Le diverse categorie (lei) dell'arte matematica sono reciprocamente
connesse. Le si può suddividere in diversi rami, ma appartengono tutte
allo stesso tronco o radice. L'ideale, per il matematico, è l'individua-
zione dei punti essenziali o principi guida (gangji) che unificano l' ogget-
to di studio. Sulla scorta di questo programma, all'interno di ciascun ca-
pitolo viene dedicata molta attenzione al modo in cui le quantità sono
«equiparate», «messe in comunicazione» e <<Omogeneizzate» recipro-
camente. Quelli citati sono termini quasi tecnici usati a un primo livel-
lo per la validazione degli algoritmi; ma, come ha mostrato Chemla21 ,
operano pure a un secondo livello, in quanto connotazioni di ciò che le-
ga gli stessi procedimenti di carattere primario.
Nella pratica della matematica cinese e nell'analisi di Liu Hui non vi
sono accenni alla necessità, o alla desiderabilità, di dedurre il comples-
so del sapere matematico a partire da un numero limitato di premesse
prime indimostrabili ma evidentemente vere. Quello cui i Cinesi mira-
vano non era l'incontrovertibilità garantita dal procedimento assioma-
tico-deduttivo. La garanzia della certezza era la grande forza di questo
procedimento, che ha però la sua debolezza nella difficoltà di formula-
re assiomi che soddisfino ai requisiti della indimostrabilità e della verità
di per sé evidente. Va ricordato che la geometria di Euclide dipende dal
postulato delle parallele; e sebbene egli fosse evidentemente convinto
della sua verità, la storia successiva dello sviluppo delle geometrie non
euclidee ha evidenziato il problema. La possibilità di geometrie fonda-
te sulla non accettazione del postulato delle parallele ridicolizza la pre-
tesa di incontrovertibilità del sistema euclideo che colpiva tanto favo-
revolmente i Greci.
Le osservazioni di Liu Hui rimandano a preoccupazioni del tutto di-
verse, benché, al pari della dimostrazione assiomatico-deduttiva, ab-
biano ripercussioni che vanno ben oltre il campo degli studi matemati-
21
Cfr. per es. K. CHEMLA, Résonances entre démonstration et procédure, in «Extrème-Orient
Extrème-Occident», XIV (1992), pp. 91-129; ID., N ombre et opération,chaineettramedu réelmathé-
matique, ivi, XVI (1994), pp. 43-70.
1440 Riappropriazioni, riattualizzazioni
ci. L'ideale dei Greci era il raggiungimento della certezza sulla scorta di
una dimostrazione del genere. Per questo motivo, nell'astronomia, nel-
la statica e nell'idrostatica, e in una tradizione dell'armonica, la geome-
trizzazione era all'ordine del giorno. Ma questo ideale influenzò anche
la ricerca in campi quali la medicina, tanto che nel n secolo d. C. Gale-
no richiedeva che almeno certe parti della scienza medica fossero di-
mostrate in «maniera geometrica»22 • Non va inoltre ovviamente di-
menticata la pretesa di Platone, per il quale il sovrano-filosofo dello sta-
to ideale sarebbe in grado, grazie all'applicazione della dialettica, di
tradurre infallibilmente in concrete politiche di governo la sua com-
prensione delle forme trascendenti, assolute.
Liu Hui, invece, non mostra nessun particolare desiderio di certez-
za. Il dato importante, dal suo punto di vista, era individuare in che mo-
do le diverse parti della matematica formino un'unica totalità. Va co-
munque osservato che pure questa finalità può avere ripercussioni sul
piano politico per il valore che attribuisce all'unificazione.
4· Conclusione.
" Ho analizzato questo aspetto in riferimento alla bibliografia precedente in Theories and prac-
tices o/ demonstration in Galen, in M. FREDE e G. STRIKER (a cura di), Rationality in Greek Thought,
Oxford 1996, cap. x.
Lloyd Scienza greca e scienza cinese 1441
" Questa convergenza di interessi non significava, ovviamente, che i rapporti tra i singoli so·
vrani e i loro consiglieri fossero sempre cordiali. Al contrario, sappiamo di molti consiglieri cadu-
ti in disgrazia presso gli imperatori Qin e llan, e pertanto imprigionati, condannati, messi a mor-
te o costretti al suicidio. Rientrano nel novero Lii Buwei e Liu An (menzionati in precedenza), al
pari dei due storici I !an di maggiore spicco, Sima Qian e Ba n Gu (autore dei Han 5hu). Sima Qian,
che accettò la commutazione della condanna a morte in castrazione ed ebbe cosi la possibilità di
portare a termine l'opera iniziata dal padre, cita un lungo elenco di altri autori che caddero in di-
sgrazia e dovettero subire analoghe umiliazioni (5hiii, 1 30).
1442 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Dimenticare i Greci
1
Sulla pietra e sulla sua probabile provenienza, certo non la Troade, si veda la nota dell'ar-
cheologo della USC, ]. Pollini, in« USC Trojan Daily Family», primavera 1994, pp. 30 sg.
1444 Riappropriazioni, riattualizzazioni
conoscere, se non un detto, certo una pratica della nostra cultura clas-
sicistica.
Piu di due secoli di filologia veterotestamentaria hanno condotto
l'esegesi biblica ad alcuni importanti accertamenti: nella scrittura del
Pentateuco sono presenti differenti mani, appartenenti a diverse epo-
che e a diverse impostazioni dottrinarie; le pratiche dei piu antichi pro-
feti presentano singolari tratti orgiastici che le hanno fatte avvicinare
alle cerimonie coribantiche; molti racconti dei patriarchi ricalcano sche-
mi novellistici presenti in altre tradizioni narrative; di culti politeistici
si hanno tracce nella stessa narrazione biblica oltre che nelle evidenze
archeologiche di tutta l'età preesilica; ecc. ecc.
Tutto questo devono apprendere gli studenti delle facoltà riforma-
te, se vogliono superare i loro esami e addottorarsi in teologia. Eppure
di tutto questo, che dovrebbe aver mutato radicalmente il modo di leg-
gere e di intendere la Bibbia, non resta traccia quando, dagli studi nel-
le biblioteche di teologia, si passa alla pratica della predicazione, ai ser-
moni tenuti nelle chiese. L'ex studente di teologia chiamato ad ammi-
nistrare il culto, divenuto pastore e dovendo pascere le pecore del
Signore, sembra dover celare gelosamente i segreti filologici appresi con
tanta fatica durante i propri studi. Certo, questa contraddizione non è
esclusiva delle chiese protestanti, ma qui essa può esser colta con mag-
giore evidenza in grazia del principio del sola scriptura.
Da una parte dunque l'esclusività della Scrittura come fonte della
rivelazione ha promosso sempre piu raffinate tecniche di indagine sul-
la composizione e sulla qualità del testo biblico, dall'altra ha dato luo-
go a fenomeni di fondamentalismo ignoti alla tradizione cattolica e or-
todossa2
Anche se certo non di questo si intende parlare qui, quel che si è fi-
nora detto può forse servire a intendere una serie di contraddizioni che
non riguardano le corporazioni ecclesiastiche, ma quella piu profana dei
classicisti. L'atteggiamento di passiva reverenza dei fondamentalisti di
fronte al testo sacro trova infatti rispondenza in quello di non pochi clas-
sicisti di fronte al multiforme patrimonio della letteratura greca, intesa
questa nel senso tradizionalmente piu ampio di tutto ciò che ci è stato
2
Per il rapporto tra esegesi riformata della Bibbia e sviluppo della tecnica filologica restano
importanti le pagine di G. PASQUAU, Teologi protestanti predecessori del Lachmann, in «Studi Italia-
ni di Filologia Classica», 1931, pp. 243 sgg., e di s. TIMPANARO, Lagenesidelmetododel Lachmann,
Firenze 1963, pp. r6 sgg. Se l'Antico e il Nuovo Testamento sono discorso di Dio, ogni parola che
vi si trova deve necessariamente corrispondere a verità né può essere interpretata metaforicamen-
te; di qui la proibizione, in costante espansione e sempre piu rigorosa, dell'insegnamento di qual-
siasi ipotesi evoluzionistica in molte scuole americane.
Lanza Dimenticare i Greci 1445
' M. 1. FINLEY, Problemi e metodi di storia antica, trad. it. Roma-Bari 1987, p. 20: <da diffusa
sensazione che qualsiasi cosa scritta in greco o in latino sia in qualche misura privilegiata, esente
dai canoni normali di valutazione». <<Nella storia antica anche gli storici sono fonti», ho udito pro-
clamare una volta saputamente a un didatta della storia. Sicuramente egli per antica intendeva gre-
co-romana (dell'altra non doveva avere d'altronde chiara cognizione dei millenni) e la sua certez-
za non poteva che essergli stata trasmessa dalla lettura dei classicisti.
1 446 Riappropriazioni, riattualizzazioni
sieme tre libri che riguardavano scritti sulla pratica del discorso in pub-
blico, otto sull'organizzazione della società, otto di teoria generale del-
la natura, ecc. ecc. I titoli dati a queste raccolte rivelano la loro generi-
cità: 'P1JTO('txa, lloÀmxa, cJ>vatxa, in greco sono infatti neutri plurali e
non indicano alcun carattere unitario delle diverse raccolte. Ma, coe-
rentemente con l'immagine di massiccia costruzione sistematica del pen-
siero di Aristotele che nelle scuole filosofiche si andava inevitabilmen-
te imponendo, esse finirono con l'essere lette e tramandate come opere
di salda unità originaria, cosi volute dallo stesso Aristotele, e come tali
ci sono giunte. Certo, il paziente esercizio filologico degli specialisti è
giunto a notevoli risultati; alcune certezze sono ora universalmente ri-
conosciute: il primo libro della Politica doveva essere un'opera autono-
ma sulla costituzione e l'amministrazione del patrimonio (llE('Ì oixo-
VOJliaç), il terzo della Retorica un'opera autonoma sull'elocuzione (llE('Ì
M;t:wç). Tutti poi riconoscono che Metafisica IV è un lessico ragionato
e Fisica I una trattazione dei principi (llE(JÌ à('xwv).
Tutto questo resta però, si può dire, sepolto nelle indagini degli spe-
cialisti4 Spesso anzi non arriva neppure a scalfire il loro lavoro esege-
tico, cosi come non scalfisce il lavoro di non pochi omeristi l'assoluta
certezza che si ha del fatto che il testo di Iliade e Odissea da noi posse-
duto può risalire nel piu fortunato dei casi a quello dei letterati di Ales-
sandria e che prima', Platone e Aristotele ce lo testimoniano, circola-
vano ed erano accettati anche altri testi, almeno in parte difformi dal
nostro.
Si può pensare che, come per i pastori evangelici, per i classicisti al-
cuni accertamenti filologici debbano restare confinati alloro primo ap-
prendistato e che essi siano in qualche modo tenuti, non solo a non ri-
velarlo ai profani, ma quasi neanche a loro stessi? Non dirlo a nessuno,
anzi non pensarlo neppure!
2. L'orologio di Cornei/le.
N el 1648, poco piu di dieci anni dopo il trionfo del Cid, nell'Aver-
tissement con il quale interviene nella polemica che la sua tragedia ave-
va suscitata, Corneille ribadisce la propria fedeltà ai precetti della Poe-
tica aristotelica. Egli respinge, come offese alla sua stessa poesia, i segni
7
Ibid., p. 220. Nuoce infatti, com'egli osserva, alla collocazione della vittoriosa battaglia con-
tro i Mori, e soprattutto obbliga Chimène a riproporre con eccessiva premura la sua richiesta di
giustizia al re. Il dover precipitare gli avvenimenti, egli d'altronde nota, aveva già condizionato la
composizione tragica degli antichi: nelle Supplici euripidee Teseo muove da Atene e ritorna vinci-
tore nel solo volgere della recita di trentasei versi, né molto di piu dura la navigazione del vitto-
rioso Agamennone da Troia ad Argo.
' Ibid., p. 844.
9
Jbid., p. 844; cfr. ARISTOTELE, Poetica, 1449bi2·IJ.
Lanza Dimenticare i Greci 1449
3. Pensar greco.
Non piu di due anni fa usciva in America un libro dal titolo provo-
catorio, almeno nelle intenzioni: Who Killed Homer? 14 ; esso fu accolto
con un'attenzione senza dubbio superiore al suo intrinseco valore: re-
censioni su importanti quotidiani e periodici, e piu di cento pagine di
dibattito sulla rivista «Arion»". I due autori constatano allarmati il pro-
gressivo deperimento degli studi di greco e di latino nelle scuole e nelle
università americane e l'attribuiscono all'opportunismo carrieristico dei
classicisti, i quali da una parte trascurano l'insegnamento, dall'altra so-
no succubi di qualsiasi sirena culturale europea.
Si può capire che il livello dell'analisi risulta nel complesso basso, ma
forse proprio per questo qualche attenzione può essere dedicata all'al-
meno parziale successo ,scandalistico e in particolare alle risposte che il
volume va suscitando. E fin troppo chiaro che la prima preoccupazione
di Hanson e Heath sia il progressivo decremento dei posti di professo-
re di classics nei college e nelle università nonché la riduzione dei loro
stipendi, ma le questioni ideologiche che il libro solleva oltrepassano
questa preoccupazione e oltrepassano anche i limiti del sistema scola-
stico degli Stati Uniti, che è invece l'orizzonte invalicato dei due auto-
ri. Un orizzonte, si badi, non consapevolmente definito, ma per cosi di-
re ovvio, vuoi per ignoranza vuoi per naturale disinteresse.
" Si pensa in particolare all'anonimo opuscolo Del sublime, su cui cfr. G. CAJANI, Classicismo e
libertà: nostalgia di un «tempus actum» nel Sublime, in G. CAJANI e D. l.ANZA (a cura di), L 'antico de·
gli Antichi, Palermo (di prossima pubblicazione).
" v. D. IIANSON e J. IIEA111, W ho Ki//ed Homer? The Demise o/Classica/ Education and the Re-
covery o/Greek Wisdom, New York 1998.
" «Arion», inverno 1999, pp. 84 sgg. (interventi di S.]. Willett, C. Martindale, P. Green e
replica degli autori).
Lanza Dimenticare i Greci I 45 I
Non è questo il luogo per sottoporre a critica punto per punto l'at-
tendibilità storiografica di siffatto catalogo, che tuttavia ha un suo pre-
gio: di concentrare i principali capisaldi dell'ideologia tradizionale ame-
ricana, dell'americano way o/ !ife, ritenuto da chi ne è protagonista l'uni-
co possibile sistema di convivenza civile.
Su questa base dovrebbe esser possibile oggi ai classicisti occidenta-
li (il discorso dagli Stati Uniti si dilata sempre pretenziosamente a un
Occidente non meglio definito) ciò che ha per lungo tempo tentato sen-
za grande successo una lunga tradizione classicistica europea. Questa
tradizione, che pure sta alle spalle dei dipartimenti di classics delle uni-
versità americane, non sembra peraltro molto presente a Hanson e
Heath, né fa loro perdere tempo; perciò la loro trattazione può contare
sulla piu sbrigativa linearità: Omero, come già si sarà capito, sta per tut-
ta la Grecia, e l'intera civiltà greca si racchiude agevolmente nell'Ate-
ne del periodo classico.
La rozzezza di questo impianto storiografico è già stata messa in lu-
ce, e, per alcuni tratti, puntualmente contestata da Peter Green 17 , e non
penso che valga la pena di indugiarci ancora. Neppur val la pena di ri-
petere le accuse di intolleranza loro rivolte, giustamente, da C. Martin-
dale nella stessa occasione 18 Se dunque si ricorda il libro di Hanson e
Heath è perché la loro pretesa non solo di scrivere o di parlare greco
(com'era uso di non pochi filologi del passato e vezzo ancora di alcuni
del presente), ma addirittura di pensare greco, di pensare come pensa-
vano i Greci, cela una pretesa ben piu diffusa: di voler far pensare i Gre-
19
IIANSON e IIEATII, Who Killed Homer? cit., p. xvm. l corsivi sono degli autori.
0
' Ibid., p. 92.
" Il tema, com'è noto, risale a Montesquieu, ma conobbe grande fortuna anche nell'ambito
della riflessione marxista dei modi di produzione, per poi essere usato durante la guerra fredda;
una lucida messa a punto si trova nel saggio introduttivo di P. Vidai-Naquet alla traduzione fran·
cese (r964) del libro di K. WITTFOGEL, Il dispotismo orientale; la prefazione è stata ristampata, in·
sieme con un'illuminante nota informativa, in P. VIDAL·NAQUET, La démocratie grecque vue d'ail-
leurs. Essais d' historiographie ancienne et moderne, Paris 1990, pp. 267 sgg. Per un ampio panorama
del dibattito si veda inoltre G. SOFRI, Il modo di produzione asiatico. Storia di una controversia marxi-
sta, Torino 1 969.
Lanza Dimenticare i Greci 1453
4· La questione Bema!.
22
Importanti osservazioni nell'articolo di c. CATENACCI, L 'Oriente degli antichi e dei modemi.
Guerre persiane in Erodoto e Guerra del Golfo nei «media» occidentali, in «Quaderni Urbinati di
Cultura Classica», 1998, pp. 173 sgg. Tanto piu importanti se si considera che persino la recente
guerra nel Kossovo con tutti i suoi massacri ha indotto un certo giornalismo d'intrattenimento ad
alcuni lepidi giochi di travestimento letterario: noi, gli Occidentali (idest la Nato), i Greci, e loro,
gli Orientali (idesl i Serbi, ma anche, perché no?, gli Albanesi), i Troiani.
H M. BERNAL, Black Athena. The A/roasiatic Roots of Classica/ Civilization, 2 voli., London
1987·91 [trad. it. Parma 1991-94, da cui cito).
I 454 Riappropriazioni, riattualizzazioni
gno dell' American Philological Association e in parte dall'uso che ne facevano i ne-
ri americani, sintomi questi che le idee di Atena nera non erano soltanto destinate
a svanire in una decorosa oscurità".
guistico, fornito dalla recente scoperta della parentela tra le diverse lin-
gue indoeuropee, come criterio storiografico allargato di classificazione
culturale, pare da una parte assicurare una piu solida scientificità alla di-
sciplina, dall'altra restringere vantaggiosamente l'ambito dello studio
specialistico. Alla tradizionale triade linguistica (ebraico-greco-latino)
che caratterizzava la preparazione delle facoltà protestanti di teologia,
nel cui ambito la filologia si era sviluppata e articolata, si passa alla piu
semplice diade (greco-latino) dei seminari classicistici. Inoltre, e ciò si
rivela dirimente, la conoscenza della lingua diventa la migliore, anzi
l'unica garanzia di conoscenza del mondo antico. Per questo, anche se
ciò può apparire paradossale, si va affermando la persuasione che di ciò
a cui non si può avere accesso linguistico diretto, non val la pena avere
neppure informazione indiretta.
Occorre dire che Bernal, troppo impegnato ideologicamente, non si
è ben reso conto di tutte le implicazioni del primato esclusivo attribui-
to alla lingua, che si rivela una vera e propria trappola. Per contrastare
l'originalità primordiale dei Greci, egli infatti parte proprio da una con-
siderazione della lingua greca e in particolare dai calcoli percentuali di
quella parte del lessico riconosciuta come non indoeuropea. Ma del vo-
cabolario greco si ha una conoscenza, nonostante tutto, abbastanza ap-
prossimativa: irrigidito, in parte, quello poetico in artificiali stereotipi;
solo frammentariamente attestato quello della lingua parlata, almeno per
i tempi piu antichi. Se poi dal greco arcaico si risale a quello miceneo,
ogni calcolo percentuale del lessico deve cimentarsi con un patrimonio
condizionato dal particolare uso degli archivi di palazzo.
Ma ciò che desta maggiore perplessità appare il presupposto teorico
che conduce a derivare la fisionomia culturale di un popolo dai caratte-
ri delle sue origini linguistiche. La questione delle origini, e cioè della
preistoria, affidata com'è al difficile gioco combinatorio di precari ac-
certamenti linguistici, di un'infida tradizione di leggende e di comples-
si riscontri archeologici, è destinata a rimanere sempre controversa. I
grecisti ne hanno un buon esempio nell'eterna questione delle origini
della tragedia. Seppure possa sembrare affascinante, la ricerca delle ori-
gini, quando non si sia particolarmente devoti di Heidegger, non è poi
problema tanto rilevante. Come non sono le sue origini, ma la tragedia
quale si è storicamente configurata a condizionare la nostra sensibilità
teatrale, cosf, non la preistoria, ma la storia della Grecia ha sempre co-
stituito un modello nella tradizione europea.
Quel che davvero conta non è dunque tanto stabilire se la Grecia sia
o non sia stata colonizzata all'inizio del II millennio dagli Egiziani, quan-
to chiedersi se sia possibile considerare la sua storia, come la storia di
1456 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Cosi scriveva Arnaldo Momigliano, poco dopo la fine della guerra, re-
censendo l'importante e discusso volume di Santo Mazzarino, Fra Orien-
te e Occidente. Ma la conclusione cui giungeva non può non sorprende-
re: «L'unica cosa da fare intorno al problema "Oriente e Occidente" è
di non parlarne piu» 26 •
In realtà, come ben mostrava l'autore del libro, il dibattito era - e
noi possiamo dire, dopo piu di cinquant'anni, è- assai lontano dall'es-
sere risolto, tante sono le implicazioni nell'attualità che esso comporta
non solo per gli specialisti, ma piu ancora per i cosiddetti profani.
Berna} riconosce la propria ingenuità:
Con ancor maggior sorpresa, ho constatato che in entrambi i paesi [Gran Bre-
tagna e Stati Uniti] c'era un considerevole numero di storici dell'antichità e di clas-
sicisti che concordavano con le mie opinioni e avevano di fatto cominciato a elabo-
rarne di simili.
un significativo numero di classicisti è stato piu pronto ad accettare i miei argo-
menti del pubblico profano, che conosceva poco o nulla della materia"
Ciò non sorprende: chi dopo il liceo si è dedicato ad altri studi serba per
lo piu, come proprio talismano, alcuni tra i piu logori stereotipi del clas-
sicismo scolastico, cui resta nostalgicamente affezionato e che difficil-
mente ammette gli siano sconvolti.
Ma se è vero che la classicistica non è inerte, come supponeva Ber-
na!, di fronte al modello ariano di autarchia greca, è pur vero che, an-
2
' La recensione, seguita dalla replica del recensito, è ripubblicata nella seconda edizione:
s. MAZZARINO, Fra Oriente e Occidente_ Ricerche di storia greca arcaica, Milano 1989, da cui cito
(p_ 399). Il primo capitolo del libro (Per fa storia e f impostazione del problema) offriva già un SO·
stanzioso panorama della questione a partire dai primi decenni dell'Ottocento.
27
BERNAL, B/ack Athena cit., Il, pp. IX-X.
Lanza Dimenticare i Greci 1457
che per l'inevitabile limite delle competenze, i rapporti dei Greci con il
resto del mondo antico sono quasi sempre scoperti e analizzati come sin-
goli episodi. Un termine, ad esempio, come <<stile orientaleggiante» sem-
bra richiamare un'analogia con le suggestioni primitivistiche della pit-
tura del passaggio tra Otto e Novecento per l'influsso dell'arte africana
piuttosto che indicare l'appartenenza degli artisti greci del tempo, pur
con le loro specifiche caratteristiche, a un piu ampio orizzonte cultura-
le. Neppure la frammentazione delle discipline ha favorito lo scambio
delle informazioni; soprattutto gli studiosi della letteratura si sono in
maggioranza sempre piu convinti che le testimonianze della cultura let-
teraria greca possano essere studiate e comprese in sé e per se 8
Eppure, che il recinto del palazzo di Alcinoo non abbia riscontro se
non in edifici costruiti molte centinaia di chilometri a oriente, che la
Teogonia esiodea proponga sequenze cosmogoniche ben note in Babilo-
nia, che la Lidia sia ai tempi di Archiloco e Saffo qualche cosa di simi-
le a quel che divenne Parigi per un Europeo della fine del secolo scorso,
ecc. ecc., tutte queste sono cose ben note ai classicisti, ma restano per
cosi dire nelle pieghe della ricerca, considerate solitamente irrilevanti e
marginali, quando non addirittura eccezionalF' Volta per volta vengo-
no perciò formulate spiegazioni particolari, spesso curiose, nelle quali
non è raro che siano fatte intervenire vicende biografiche, prive di pro-
ve consistenti.
Per la verità, secondo il semplice buon senso storiografico, quel che
si suoi definire l'onere della prova dovrebbe toccare ai sostenitori di que-
sto singolare isolamento dei Greci dai loro vicini, della loro supposta im-
28
Un caso a suo modo esemplare può considerarsi la lunga controversia sull'interpretazione
di ERODOTO, 2.53, e sul suo sistema di corrispondenza tra le divinità greche e quelle egizie. Si ve-
da in proposito quanto spiega J. Assmann nel suo saggio in questo stesso volume.
"Tanto piu importante quindi quanto scrive nel recente densissimo volumetto w HURKERT,
Da Omero ai Magi. La tradhione orientale nella cultura greca, Venezia 1999, pp. 32 sg.: «La docu-
mentazione orientale offre un materiale che presenta un rapporto cosi stretto con la poesia epica
greca, che non dovrebbe essere trascurato nell'interpretazione omerica. Questa considerazione de-
ve porre dei limiti alle valutazioni relative a una tradizione eroica puramente indç~europea o stret-
tamente micenea. Gli influssi piu evidenti sono nelle scene del pantheon divino. E certo che si de-
vono tener presenti contatti molteplici, sia sul piano delle relazioni umane, sia sul piano degli svi-
luppi storico-sociali. Ma considerando il fatto che abbiamo a che fare con sfere di civiltà comunque
connesse tra loro, da un punto di vista geografico quanto cronologico, insistere sull'idea di svilup-
pi del tutto autonomi e di coincidenze puramente casuali significherebbe aggirare il problema>>.
Oltre alla restante produzione di Burkert degli anni Novanta, costantemente richiamata nel libro,
si veda anche il documentatissimo volume di M. L. WEST, The East Face o/ Helicon. W est Asiatic
Elements in Greek Poetry and Myth, Oxford 1997. Sul versante archeologico è parimenti impor-
tante la documentazione che si può trovare sul ricco materiale di provenienza mediorientale ritro-
vato nell'Heraion di Samo in H. KYRIELEIS, The Heraion at Samos, in N. MARINATOS e R. IIAGG (a cu-
ra di), Greek Sanctuaries. New Approaches, London 1993, pp. 125 sgg.
1458 Riappropriazioni, riattualizzazioni
permeabilità. Ma piu delle prove talvolta vale l'autorità. Nel 1975 Mo-
migliano pubblicò un articolo nel quale sosteneva con dovizia di esem-
pi che i Greci conoscevano poco e male, o non conoscevano affatto, le
lingue degli altri popoli'0 • La tesi fu subito accettata e divenne rapida-
mente senso comune, e quel che per l'autore era una mancanza fu pre-
sto considerato un merito, un titolo aggiuntivo di distinzione. Non sem-
bra tuttavia che ci si sia chiesti piu precisamente: quali Greci? Partire
dai dominatori del m secolo a. C. non appare infatti molto significati-
vo: chi comanda esercito e amministrazione impone ai sudditi la propria
lingua. Ma prima, chi commerciava nel Mediterraneo orientale, e le sue
rotte lo conducevano in Fenicia o in Egitto, è verisimile che ne igno-
rasse le lingue? E chi ebbe a vantare, a torto o a ragione, la propria ori-
gine da Sardi, o chi preannunciò un'eclisse, inesatta per la lonia ma esat-
ta per la Mesopotamia, o chi aveva collaborato alle opere idriche dell'im-
pero, o chi ci riferisce i racconti dei dotti persiani e dei sacerdoti egizi,
o chi infine nei territori dell'impero aveva guidato una compagnia di
mercenari, tutti costoro conoscevano solo il greco? Lo stesso Aristofa-
ne mette in bocca all'ufficiale persiano parole smozzicate, che sono so-
litamente interpretate come mero grammelot, ma che potevano essere
fino a un certo punto intese, grazie alloro carattere formulare, almeno
da una parte del pubblico}).
Che i Greci stessi abbiano barato, facendo credere che gli altri do-
vessero imparare il greco per comunicare con loro, è pienamente com-
prensibile; ciò fa parte dell'orgoglio di qualsiasi popolo, necessario spes-
so a mantenere forte il proprio senso di identità'z. Lo si vede bene an-
che nel caso degli Ebrei, popolo unico e refrattario agli usi e alle credenze
dei propri vicini, secondo l'autoritratto consegnatoci nella Bibbia. Ma
'" A. MOM!GLIANO, The /au/t o/ the Greeks, in «Daedalus>>, 1975, pp. 9 sgg. L'autore si stupi·
sce del disinteresse dei Greci per la lingua ebraica, ma a chi sarebbe dovuto interessare l'ebraico
prima che i cristiani avvertissero la necessità di attingere direttamente ai libri da loro definiti An·
tico Testamento? D'altra parte nello stesso articolo Momigliano afferma: «i Greci furono unici
nell'antichità per la loro capacità di descrivere e definire i costumi degli stranieri. Essi seppero ana·
lizzarne le istituzioni, le credenze religiose, le abitudini quotidiane, persino la dieta. Inventarono
quel che noi ancora riconosciamo come la valida scienza dell'etnografia» (p. 15). Non sono sicuro
che i racconti dei Greci possano definirsi tout court etnografici, ma sicuramente è difficile pensa-
re a un'etnografia priva di conoscenze linguistiche.
H ARISTOFANE, Acamesi, 100; si veda in proposito M. c. MILLER, Athens and Persia in the Fifth
Century BC. A Study in Cultura/ Receptivity, Cambridge University Press, 1997, pp. qo sg.
" A Erodoto, per esempio, sulla cui testimonianza fa leva Momigliano, è molto chiaro che
bilingue è chi è soggetto non chi domina (4.1 14); è dunque logico che egli preferisca rappresen·
t are gli interpreti come non greci (z. 1 54). Né deve sorprendere che proprio nel Iv secolo, quan-
do gli scambi con l'impero si fanno sempre piu stretti, invalga l'uso di ostentare indifferenza e
Ignoranza.
Lanza Dimenticare i Greci 1459
11
Si vedano G. GARBINI, Storia e ideologia nell'Israele antico, Brescia 1986, e J. ASSMANN, Mo-
ses the Egyptian. The Memory o/ Egypt in Western Monotheism, Cambridge Mass. 1997.
1460 Riappropriazioni, riattualizzazioni
che, mentre qualsiasi libro di buona divulgazione sulle altre società an-
tiche, l'egizia, la babilonese, per non parlare di India e Cina, si apre
con una serie di indicazioni sulla configurazione e la dinamica dei rap-
porti sociali nonché sulle peculiari categorie verbali e mentali sue pro-
prie, sarebbe vano cercare qualche cosa di simile nelle sintesi di storia
greca. Anzi, quanto piu il libro è rivolto a non specialisti, tanto meno
indulge a qualsivoglia osservazione di tal genere. Se ne può dedurre
l'opinione che lo studio della storia greca non debba richiedere altra
mediazione che il buon senso.
Se una volta si amava parlare di «miracolo greco» a indicare il pro-
digio di un mondo che nascerebbe già maturo e spiritualmente attrez-
zato come il nostro, si è poi preferito parlare piu semplicemente di con-
temporaneità dei Greci. I Greci dunque come nostri contemporanei,
che, in quanto tali, senza troppe complicazioni, possono venire interro-
gati sui nostri stessi problemi'4 •
Eppure, proprio in quel che ci può apparire uno degli aspetti piu fa-
miliari e rassicuranti, la continuità di una terminologia concettuale, si
annida già la prima insidia. Parole come logos, mythos, pathos, che quo-
tidianamente ci illudiamo di riadoperare, rivelano, solo che le si consi-
deri con un po' di attenzione, la loro appartenenza a un sistema cate-
goriale ben diverso dal nostro e di non facile decifrazioneu E come po-
tremmo definire correttamente con i nostri parametri concettuali termini
come atbwç, u~QLç, cplÀ.oç, aL-t:La, senza dover tracciare un quadro com-
plessivo dei rapporti tra gli uomini e tra l'uomo e la divinità, un quadro
assai lontano da quello cui siamo assuefatti ?)6 Ciascuno di essi richie-
derebbe spiegazioni non meno articolate ed esemplificazioni non meno
numerose di quelle che accorsero per far intendere termini inizialmen-
te astrusi come totem, mana, potlach. Non meno diversa dalla nostra era
infatti la concezione greca dei rapporti tra i sessi, dell'organizzazione
familiare, dell'attività cultuale, dell'immagine della divinità, ecc. ecc.
In mancanza di questo quadro si ottiene un generale effetto di banaliz-
zazione, che può talvolta giungere a vere e proprie rappresentazioni ca-
ricaturali.
" Si può vedere come spesso il ricorso ai Greci serva ancora soltanto per scoprirvi quel che
già conosciamo e che appartiene al nostro tempo, cosi per esempio alcune rivisitazioni della Poeti-
ca aristotelica. Da questo punto di vista un vivace quadro della filosofia contemporanea è offerto
da G. CAMBIANO, Il ritorno degli antichi, Roma-Bari 1988.
15
Per la dibattuta questione intorno al valore di logos e mythos si veda c. CALAME, Mùthos, lo-
gas et histoire. Usages du passé héroique dans la rhétorique grecque, in <<L'Homme>>, 1998, pp. 127
sgg.; per pathos cfr. quanto ho già annotato in I Greci, Il/2, Torino 1997, pp. 1147 sgg.
1
' Su ait[a si veda l'illuminante articolo di C. Darbo-Peschanski ibid., pp. 1063 sgg.
Lanza Dimenticare i Greci 1461
Il distacco della Grecia dal resto del mondo antico ha condotto alla
creazione di un mondo a parte di illusoria maneggevolezza: summe poe-
tiche come le Opere esiodee o la raccolta teognidea, che, se fossero sta-
te composte in altra lingua, avrebbero comportato ben diverse media-
zioni critiche, sono lette e rilette come si è usi leggere le poesie di Fo-
scolo o di Goethe, ricercando nella biografia degli autori le chiavi di una
piu aderente interpretazione psicologica. Ma, a differenza che per i poe-
ti moderni, qui gli elementi biografici, spesso tali soltanto per un equi-
voco degli esegeti, sono autoschediasticamente ricavati dalle opere e,
piu che illuminarle, contribuiscono alloro fraintendimentol 7 •
Non è da stupirsi che in questo modo si sia anche giunti agevolmen-
te alla creazione di figure a noi, certo, familiari ma inesistenti, e in-
comprensibili, almeno nella prima fase della civiltà greca: il filosofo, lo
storico, illetterato. Queste definizioni sono state si criticate e corrette,
ma che eco ha avuto, fuori dell'ambito specialistico, la classificazione di
<<maestri di verità» formulata felicemente da Marcel Detienne per per-
sonaggi come Parmenide, Empedocle, Eraclito?" I «filosofi presocrati-
ci» continuano ad aprire ogni manuale di storia della filosofia, e con-
sentono di trascorrere, senza preoccupazione per le forme degli enun-
ciati, dall'«acqua» di Talete alle «omeomerie» di Anassagora fino alle
«idee» di Platone.
Certo, i classicisti sono stati chiamati efficacemente a riflettere sul
fatto che Tucidide non fosse un «nostro collega» da Nicole Loraux, ma
quanto queste importanti riflessioni sulla storiografia e sulla sua storia
sono realmente servite a offrire un'immagine dello storico molto piu pro-
blematica di quella divulgata e supinamente accettata dai profani ?n E
si è già accennato all'Omero curvo sul suo scrittoio e intento a riscrive-
re i suoi poemi, costantemente alla flaubertiana ricerca dell'espressione
piu adatta, cui fa buon pendant un Archiloco che si consola delle proprie
disavventure raccontandoci gli episodi piu scandalosi della sua vita 40
Quale tempo d'altronde piu propizio di questo, nel quale si è solen-
" Si veda per esempio intorno a Esiodo quanto, riprendendo anche importanti osservazioni
di G. Nagy, scrive C. GROTTANELLI, La parola rivelata, in G. CAMBIANO, L. CANFORA e D. LANZA (a
cura di), Lo spazio letterario della Grecia antica, l/1, Roma 1992, pp. 219 sgg. Su Omero di grande
rigore metodico ed efficace lucidità il recente articolo di M. L. WEST, The invention of Homer, in
«Classica! Quarterly>>, 1999, pp. 364 sgg.
18
M. DET1ENNE, Les maitres de vérité dans la Grèce archai"que, Paris 1967.
" N. LORAUX, Thucydide n'est pas un collègue, in «Quaderni di Storia>>, XII (1980), pp. 55 sgg.
Sulle differenze tra la storiografia antica e quella moderna rilevanti anche le osservazioni di Y. H.
YERUSHALMI, Riflessioni sull'oblio, in Usi dell'oblio, trad. it. Parma 1990, pp. 9 sgg.
40
Sul senso e sui caratteri della biografia in Grecia si veda ora l'importante saggio di o. MUR·
RAY, Modello biografico e modello di regalità, in I Greci, Il/3, Torino 1998, pp. 249 sgg.
1462 Riappropriazioni, riattualizzazioni
nemente aperta la grande gara tra tutti i camerieri che spiano dal buco
della serratura per riscrivere le vere storie dei loro padroni, quale tem-
po piu propizio al dilagare di quella «insolente familiarità» che già Nietz-
sche aveva avuto modo di rimproverare ai grecisti del suo tempo? Ade-
guare i Greci,al nostro senso comune sembra l'unica strada facilmente
percorribile. E certo una strada rassicurante, che pone al riparo dal do-
ver pensare il diverso e, piu inquietante ancora, il diverso che ci appar-
tiene, il diverso dentro di noi41 •
Ma questi Greci, costruiti a nostra immagine e come nostro archeti-
po, quale passato potevano avere, quale memoria? E non fu già Plato-
ne a definirli «eterni fanciulli», proprio perché dimentichi di sé, privi
di ricordi? Eppure, paradossalmente, è proprio in Platone che possia-
mo scoprire le tracce piu evidenti di quel «modello antico» delle origi-
ni della Grecia destinato ad essere posto in oblio alla fine del Settecen-
to. Che prima degli eterni fanciulli ci fossero altri popoli e altre civiltà
dalle quali essi avevano a lungo appreso arti, credenze, norme di com-
portamento, di questo essi, i Greci, erano pienamente persuasi, almeno
fino a quando le necessità di un'egemonia militare e politica non gli im-
posero di dover apparire comunque superiori. La sentenza di Christian
Meier <(I Greci non ebbero Greci davanti a sé», fatta propria e genera-
lizzata da Green, appare tanto d'effetto quanto vuota42 • Anche i Greci
avevano i loro Greci, possedevano cioè, come qualsiasi altra società, mo-
delli piu o meno remoti, possedevano una memoria culturale che è in-
sieme principio d'identità, rappresentazione di somiglianze e di diffe-
renze. Ma, ed è questo ciò che conta, una memoria culturale è impor-
tante per far conoscere meglio chi la possiede, mentre perde d'impor-
tanza quando la si intenda usare come testimonianza storica. Se cioè
molti racconti tradizionali, o miti, se cosi si preferisce chiamarli, dei
Greci rimandano all'Egitto, ciò è significativo per comprendere il ruo-
lo dell'Egitto nell'immaginario, nel modo di pensarsi e di riconoscersi
di chi tramandava le storie, ma assai meno come documento, attesta-
" Tuttavia questa banalizzazione, questo appiattimento, questa pretesa di accostarsi a un te·
sto remoto come a qualcosa scritto l'altroieri, non sono certo nuovi. Il biografismo incurante dei
propri informatori, l'adeguamento del remoto al familiare sono a loro volta antichi. Diogene Laer-
zio o Ateneo sotto questo aspetto non ci forniscono soltanto notizie tutte da verificare, ma peri·
colosi modelli di conoscenza e di interpretazione.
" P. Green in <<Arion>> ci t., p. I 29. In realtà il contesto di c. MEIER, Entstehung des Po!itischen
bei den Griechen, Frankfurt am Main I98o, p. 5 I, era piu specifico: l'inesistenza di forme di <<de·
mocrazia» precedenti e modello (l'espressione tedesca «Die Griechen hatten keine Griechen vor
sich» suggerisce non solo l'anteriorità ma anche il valore esemplare) della polis greca (cioè atenie·
se); resterebbe da considerare quanto l'isonomia dei maschi liberi adulti possa considerarsi <<de-
mocrazia» nel senso moderno della parola.
Lanza Dimenticare i Greci 1463
0
Su questi temi fondamentali cfr. J. ASSMANN, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e iden-
tità politica nelle grandi civiltà antiche, trad. it. Torino 1997; si veda soprattutto la parte I (Fonda-
menti teorici), cui si rimanda anche per la discussione della bibliografia. Pur scritto sotto l'urgere
di una tematica parzialmente diversa, il saggio di M. DETIENNE, L'invenzione della mitologia, trad.
it. Torino 1983, conteneva molte osservazioni illuminanti; se ne riconsideri soprattutto il cap. 2
(La bocca e l'orecchio).
"J. VAN CAMPEN, Dagboek, Leiden 1907, p. 37·
1464 Riappropriazioni, riattualizzazioni
Dario III Codomanno, re di Persia, 130, I42, Dioscuride Pedanio, 652-54, Sto.
I46-47, 333, 364. Dittinna, vedi Artemide.
David, re di Israele, I I 56. Dokimos, 64.
David di Tessalonica, 776. Dolabella, Publio Cornelio, 2 15.
Davide l'Invincibile, 959, 980. Domiziano, Tito Flavio, imperatore, 220.
Deimaco di Platea, I73· Donato, I I 1o.
Deioce, re dei Medi, 83. Dong Zhongshu, 143I-32.
Demetra, 399, 429, 5I5, I4I6. Dorieo, 392.
Demetrio l, detto Poliorcete, re di Macedonia, Doroteo di Sidone, IJ3·34, 949·
264. Dositeo, I 132.
Demetrio Il, detto Nicatore, re di Siria, I 56.
Demetrio III, re di Damasco, 364. Ecateo di Abdera, 208, 210, 219, 407, 416,
Demetrio di Alessandria, 2II, 562, 962. 418, 420-21, 436, 461-62, 482-83.
Democede di Crotone, 98. Ecateo di Mileto, 8 n, I68, 200 n, 235-37, 245,
Democrito, I89, 6II, 69I, 948, I277, q88. 407, 416-t8, 443-44, 478, 480.
Demostene, I8, 3I-J2, 34, 543, 594-96, 6o6, Ecatomnidi, dinastia, 43-44, 48, 59·
6I3, I073-76, I079, II25, I245, I254, Ecatomno, 43, 45·
1265, I270-72, 1283-84, I349· Ecfanto di Corinto, 1354.
Dexippo, I08I, I09I. Efestione Tebano, 134 n, t t or.
Dicearco, 487. Efippo di Olinto, 843.
Didimo il Giovane, IOI8, I025, I075· Eforo di Cuma, 241.
Difilo di Sinope, 2 IO. Efrem, 571.
Dinone di Colofone, Io6. Efrem Greco, 1065.
Diocle, 705, 722. Efrem Siro, 1067.
Diocleziano, Gaio Aurelio Valeria, imperatore, Egesipile, 2 I.
54I, I004. Egesippo, 1074·76.
Diodoro di Alessandria, 739· Ekur-zakir, famiglia, I6o, 162.
Diodoro di Eretria, I04 n. Elia, q8r.
Diodoro Siculo, 46, 70, 87, 106, I7I-72, I89, Elia, filosofo, 980.
2I8, 24I, 249 n, 25I, 257-60, 262, 264-66, Eliano, Claudio, 190-9I, 459·
387,393,402,407, 4I9, 42I, 425-26,435-36, Elias di Alessandria, 776.
442, 445, 449, 456-57, 46I, 464, 468, 472, Elio Aristide, 540-41, 544, 596, 605-6, 6tt,
6I4-15, 836, 843, 857, 1076-77, 1082-83. 6tJ-14, 6t8, I088.
Diodoto l, re di Battriana, 110. Elio Gallo, 275 n, 278 e n.
Diofanto di Alessandria, 582,607,705,730-34, Elio T eone, 981.
950. Eliodoro di Emesa, 402, 448, 496, 835.
Diogene Laerzio, 102, 189 n, 898, 923, 1462 Eliodoro di Tassila, 177 n.
n. Eliogabalo, imperatore, I98.
Diomede, 11 n. Empedocle di Agrigento, 128, 696, 89I, 945,
Diomede, grammatico, 1039· 1461.
Diane Cassio Cocceiano, 207, 1076, I09I. Enlil, divinità babilonese, 146.
Diane Crisostomo, 37,539, 54I, 543-44,605, Enomao di Gadara, 684-85.
6I3-14. Epafo, 416.
Dionigi di Alessandria, santo, 580. Epaminonda, 1327, 1336.
Dionigi di Alicarnasso, 539, 561, 611, 983, Epicuro, 685, 956.
1084. Epifania di Salamina, 962, 977, I003, 1005,
Dionigi il Periegeta, 191, 605, 951. IOI3, 1025, to6t, 1067.
Dionigi l'Areopagita, 1026, 1245, 1247. Epitteto di lerapoli, 207, 2IO, 541.
Dionisio Il il Giovane, 1428. Era, to, 57, 75·
Dionisio Trace, 612, 980, 1019, 1055· Eracle, 11 n, 34-35,38,57-58,71,73,75,115,
Dioniso, 9-to, 12,21 n, 22, 24, 36,174, I89-9I, 174> t89·91, J2J, 352, 359, 410, 416, 437,
226,367,423,429·30,445,482,5I5,666-67, 648, 8)3, 87I.
822, 828, 83I-34, 1397-1416. Eraclide, signore di Milasa, 42.
Dioniso Petoserapide, 4 I 3· Eraclide di Maronea, q-I8, 1274.
Dioscoride di Samo, 948. Eraclito di Efeso, 6II, 638, 691, 1379, 138I,
Dioscuri, 424, 648, 862, 869. 1424, I461.
1472 Personaggi e altri nomi antichi
Eratostene di Cirene, I74, 243 e n, 246 n, 248 Eugenio di Sicilia, 722, 729.
n, 25I-52, 267. Eulamio di Frigia, I25.
Erbbina, vedi Arbinas. Eumene l, re di Pergamo, 6o.
Eretteo, 22. Eumene di Cardia, 84I-43.
Ergamene (Arakakamani), re degli Etiopi, 489, Eumolpo, re dei Traci, 25.
491. Eunapio di Sardi, 543·
Eriba-Marduk, re di Babilonia, I64. Eupolemo, 48.
Ermes, 9, I I-12, I I5, 423, 425, 696. Eupolemo, storico, 2 I I.
Ermete Trismegisto, 40I, 465-66, 946, 95I, Euricle di Sparta, 2 I 5.
I020, 1269. Euridice, 22.
Ermippo di Smirne, I02. Euripide, 34-35, I I I n, 208-Io, 593, 607-8,
Ermodoro di Siracusa, I02, I04, I06. 6II, 6I3, 826-27,830 n, 970,982-83, I03I,
Ermogene di Syrou Mandrai, 68, 6Io. I092, II I3, I274, I398, I448.
Ermogene di Taso, 6o2. Eusebio di Alessandria, Io69.
Erode Antipa, 566. Eusebio di Cesarea, I96, 2 I I, 245 n, 544, 546-
Erode di Maratona, 595· 547, 69I, 978, IOIO, IOI3, I02I, I024-25,
Erode il Grande, re di Giudea, 207, 2I4-I6, I039. I062, I064. I255·
2I8. Eusebio di Eraclea, 977, I003.
Erodiano, 26I n. Eustazio di Epifania, I96 n, I274, I278.
Erodoto, 5-I3, I7 n, 2I, 23, 24-29, 34, 36, 38, Eustazio di Nicea, 959·
5I-52, 83, 87-88, 94-95, I07, I68-69, I72, Eutichide, 362.
I88, I90, 20I, 237-4I, 245, 255, 257, 26o-62, Eutidico, 500.
279 n, 38I, 384,402,407-8, 4I6-I8, 42I, 435, Eutocia di Ascalona, 722, 735-36.
440,443-48,456,472, 48o-83, 487,507,522, Eutropio, I 040-4 x.
595-96, 638, 689, 898, 96I, II6I, I380, Evagora, 335, 383.
I452. Evagrio Pontico, 978, I o I 3.
Erofilo di Calcedonia, 746. Evaristo di Coo, 2I5.
Erone di Alessandria, 723, 727, 732,900, 928, Evado, 33·
950, 957· Ezana, sovrano di Aksum, 497·
Esarhaddon, re di Assiria, 138, I 56, I64, 239. Ezechiele, I I 56-58.
Eschilo, 22, 28-29, 69, 2IO, 2I2, 593, 6o8, Ezione, I I 2 x.
6II, 827, I077, 1092, I096-97, I379· Eznik di Kolb, 978.
Eschine, 3I-34, 595· Ezra, vedi Esdra.
Esdra, 95, I I 56-57.
Eshmun, divinità fenicia, 34I-44, 347, 348 n, Falaride, I 269-70.
368, 383-84, 398. Farnabazo, 24 x.
Eshmunazor II, sovrano della Palestina, 336, Favorino di Arles, 898.
344 n. Festa, Sesto Pompeo, I038-39.
Esichio di Gerusalemme, 979, Io62, I067-68. Fidi~500,646, II25, II4I, II43. I30I, I304.
Esichio di Mileto, I96 n. Filagrio, 948.
Esiodo, 29, 34, 210-I I, 422-26, 6o6-8, 862, Filarete, santo, 65 2.
96I, 968, I03I, I092, I096, I27I, I424. Filippo, apostolo, 566.
Esopo, 596,702, I269. Filippo, Marco Giulio, detto l'Arabo, impera-
Estia, 36, 426. tore, I I9.
E te di Costantinopoli, Io63. Filippo Il, re di Macedonia, BI, I45, 409,55 I,
Eucherio, 528. 638, I073, I082, I346.
Euclide, 605, 689, 702, 717, 722-23, 727-28, Filippo III Arriedo, re di Macedonia, I45·
730, 732-33. 735. 737. 769, 77I, 892, 894. Filippo V, re di Macedonia, Io83.
949-50, 957, 959, 966, 978, IOI9, I030, Filippo di Opunte, I08.
Io88. Filippo di Teangela, 41.
Eucratide, re della Battriana, I 76-77. Filodemo di Gadara, 969.
Euctemone, 903. Filone, Erennio, 397-98.
Eudossia, 829. Filone di Alessandria, 203-4,208-9, 2I4, 2I8-I9,
Eudosso di Cizico, I8I, 9IO. 223-25, 227-28, 569, 583, 679-80, 689. 69I,
Eudosso di Cnido, I02-3, 6I I, 899, 927. 695. 980, 983.
Euforione di Calcide, 360. Filone il Vecchio, 2II-12.
Personaggi e altri nomi antichi 1473
Filosseno, IOI2, I02I. Giovenale di Gerusalemme, IOOJ.
Filostrato, Flavio, detto l'Ateniese, I89, 83 I, Gioviano, imperatore, 543, Io8I.
835-36,860, II2I, 1139-4I, II43, II50. Girolamo, santo, I98, 572, 798, 963-64, 97I,
Filostrato il Giovane, II2I, II4I. I024, IOJI, I040-42, 1047-48.
Firmiliano di Cesarea, 983 n. Giuliano l'Apostata, imperatore, 545-46, 554,
Firmo di Cesarea, I003. 556, 590-9I, 639, 824-827, IOI7, I08I.
Focilide di N ile t o, I 27 1. Giulio Valeria, vedi Valeria, Giulio.
Fraate IV, re dei Parti, 73· Giuseppe Flavio, 2oo, 205, 2I I, 2 I4-I6, 222-25,
Fraorte l, re dei Medi, 83. 262, 420, 679-BI, 686,689, 68I n, I025.
Fraorte Il, re dei Medi, 83. Giuseppe d'Arimatea, 566.
Frataraka, dinastia, Io9. Giustino, santo, 583.
Frumenzio, I97, 986. Giustino,MarcoGiuniano, I72, I77,39I,510.
Fulgenzio, Fabio Planciade, I I48. Giusto di Tiberiade, 2 x6.
Fulgenzio di Ruspe, Io46. Glauco, 51.
Glico ne, I 301.
Gadata, 86. Gobryas, 330 n.
Gaio, I038-39. Gondofarne, re indiano, I I I.
Galeno, 582, 652, 687, 689, 693-94, 70I-2, Gongsun Long, I426-27, I435·
726, 74I-50, 754, 759-6I, 775, 790, 794, Gordiano III, imperatore, I I9 e n.
892, 9IO, 933, 935, 943, 946-47, 955-58, Grande Madre, 36, 65, 68, 429.
966, IOI7-I8, I030,I073,I08I,I086, I440. Graziano, imperatore d'Occidente, Io8o.
Galliena, imperatore, 1081. Gregorio di Nazianzo, santo, 75,584,590, 593,
Gallione, Anneo, 2I7. 595, 6o2, 823-30, 8p, 859, 979-80, IOI2,
Gaozong, imperatore cinese, I 30. I062, I097, I259·
Gayomart, 128 n. Gregorio di N issa, 556, 584, 98I, IOIJ, I025,
Gemino, 702, 9IO, 949· I062.
Geremia, 998, I024, I381. Gregorio di Tours, I97·
Gergis, 52-53, 56, 58. Gregorio il Taumaturgo, santo, 978, I062.
Germanico, Giulio Cesare, 863, 867-69, 876, Gregorio I'IUuminatore, 973·
924. Gundnaphar (Gondophares), re indiano, I96 n.
Geronimo di Cardia, 266, 843. Gusnaspdeh, re di Persia, I 30 n.
Gesu, 563, 566-67, 577, 579, 583, 629, 6JI, Gyptis, 5IO.
8I8,828-Jo,8J2,846,85I,963,999, IOOI,
IOOJ, I005, I040, I259· Hadad, divinità di Damasco, J4I, 364.
Giamblico, 4I6, 4I9, 42I, 434, 439-40, 545, Han, dinastia, I42I-2J, I426-27, I433-35,
65I, 703, 8J5, 942,946,980. I44I e n.
Giasone di Cirene, 2I2. Han Fei, I436.
Gige, re di Lidia, 478. Harpagos, vedi Arpago.
Gilone di Atene, JI-33· Harran, divinità, 3 I9.
Giosuè, 655, 663. Hatscepsut, faraone, 404.
Giovanni, evangelista e santo, 583, 827, 829, Haxamanis, 96.
8JJ, I272. Hayanu, re assiro, 306.
Giovanni Battista, santo, 629. Hazael, re di Damasco, 308.
Giovanni Crisostomo, 593, 829, 844, 977, Helios, divinità, IO n, 7I, II5, I90, 423,430.
IOIJ, I025, I029-JO, I05J, I06J, I066, Hermia, I25.
I085, I097, I259· Herrwennefer, 4 I 2.
Giovanni Damasceno, 573,629, 636,656,688, Himyar, re di Saba, 275.
I029-JO. Hiram, re di Tiro, 374 n.
Giovanni di Antiochia, IOOJ. Hui Shi, I426-27, I435·
Giovanni !reano l, 2I2. Hyksos, dinastia, 285, 403.
Giovanni !reano II, 2I5, 2I8-I9.
Giovanni Lido, 557· lbanolli, 42.
Giovanni Mosca, 1065. Idrieo, 43·
Giove, vedi Zeus. lerone di Soli, 246.
Giovenale, Decimo Giunio, I96, 229, I038-39, Iesuboxt, I 26 n.
I045· Ificrate, I9.
1474 Personaggi e altri nomi antichi
Ifigenia, 34-35, 659. Latona, 57·
Igea, divinità, 367. Lattanzio, Firmiano, 572, III2, I253, I255·
Igino, 863, Io38-39· Lauso, 647.
Ilario di Poitiers, santo, 572. Leonida, 245 e n.
Ina-qibit-Anu, I62. Leonzio di Neapolis, I027-
Inaro, 408. Linag, dinastia, I 246.
Iolao, 20. Libanio di Antiochia, 543, 545-46, 554-57,
Ione di Chio, 95- 6I I, 6I5, 983, I076.
Ipazia, 926 e n. Licinio, imperatore, 548, 986.
Iperide di Atene, 1099, I Ioo. Licofrone di Calcide, 6o5, 827, I092.
Ipparco di Nicea, 897, 9I8, 923-24, 928, 948. Licurgo, 426, I3I2, I3I5, I322, I329, I333,
Ippocrate di Coo, 689, 69I, 750-5I, 76I, 946, IJ36·37, I345·
956-57, 97I, IOI7·I8, Io86. Lieh-tsu, I 38 r.
Ippolito di Boma, 978. Ligdami, 42.
Ippolito di Roma, santo, 978, 1061. Lino, 2IO.
lpsicle di Alessandria, 949- Li Si, imperatore Qin, I422.
Ireneo di Lione, 979-80. Lisia, 594, 6II, I3I7·I8.
Isaia, 998, I379. I38r. Lisimaco, 6o.
IShtar, divinità di Uruk, Io8, I 52-53, I64. Lisippo, 647-48, I I42.
Iside, divinità egizia, 40I, 4I3-I5, 427, 429, Liu Han, re di Huaiman, I43I, I44I n.
43I·34. 45I,453.464, 467.488, 49I- Liu Hui, I438-4o.
Isidoro di Carace, I86. Livio, Tito, 223, 5I7, 5I9-20, 843, IJ36.
Isidoro di Gaza, I 25. Livio Andronico, I037-38.
Isidoro di Narmuthis, 4I5, 431. Lolliano di Efeso, 595·
Isocrate, 4I8, 436, 439, 441-42, 6II, I079, Longo Sofista, 6oo, 835.
I254- Lii Buwei, I43I, I44I n.
Issaldomo, 43. Luca, evangelista, santo, 22I, 226.
Lucano, Marco Anneo, 449-
Jahweh, 223, 426. Luciano di Samosata, 34-35, 37-38, 464, 6o5,
Jehojachim, re di Giudea, I64. 6I3-I4, 857, 86o, 993, I02o, I057, Io88,
II2I·22, I224, I228, I230, I233-34, I238-
Kakasbos, divinità licia, 58. I240.
Kalidasa, I92- Lucio di C ire ne, 22 I .
Kamana, sovrano di Karkemish, 3I I-12. Lucrezio Caro, Tito, 891.
Kapara, re di Guzana, 306, 3 I r. Lucullo, Lucio Licinio, 368.
Karen, casato partico, I I 8. Lu-Nanna, re di Ur, I6r.
Karibil Watar, re di Saba, 269 n, 272, 275.
Kaymanù, divinità, I08. Maccabei, famiglia, 678.
Kephalon, vedi Anu-uballit. M acri no, imperatore, I I 2.
Kherei, 52, 58-59. Macrobio, 940, 1032, 1045, 1112, 1148.
Kidin-Anu, I6o, I62. Maes Titianus, I94-
Kidin-Marduk, I64, 289 n. Mastoc' (Mesrop), 973, 976-77.
Kidinnu, 94· Maleo, 386.
Kilamuwa, sovrano di Sam'al, 306. Manetonedi Sebennico, 4I9-20, 427,445, 68r.
Kirdir, I 2 r. Manasse, re di Giuda, 977, 998.
Kossika, 52. Mandulis, divinità dei Blemmi, 49I.
Kunzumpija, I39· Mani, 12I, 198,966.
Kupprli, 52. Manilio, Marco, 887.
Ku~ii.I:~a,dinastia, II2, II4, n8. Manita, 45·
Kybernis, 52. Manlio Teodoro, 1023.
Marciano, imperatore d'Oriente, 557, 6I5.
Lagidi, dinastia, 6I, 357-58,363,367, 485-86, Marco, evangelista, santo, 566.
488, 675; vedi anche Tolomei. Marco Aurelio, imperatore, I96, 597, 6o5, 613.
Laodice, regina di Siria, I53. 357 n. Marco Eremita, 1065.
Laodice Tea Filadelfo, regina della Commage- Marduk, divinità babilonese, 86, I08, 144,
ne, 70. 146, 149, I51-53, I61-62.
Laozi, I38I, I426. Maria, moglie di Onorio, 657.
Personaggi e altri nomi antichi 1475
Marino di Tiro, I94· Mo-ti, IJ8r.
Mario Vittorino, I02J. Muti, faraone, 408.
Massimo di Tiro, 622. Muwaharani, re ittita, 3 I 8 n.
Marzi ano Capella, I I 48-49. Mylasos, 49·
Minneo Felice, 464.
Mati'ilu, re di Arpad, 3 IO. Nabonedo,rediBabilonia, IJ9, I46, Ij2, I64,
Matteo, evangelista, I 96. 247·
Maurya, dinastia, I73-74· Nabopolassar, re di Babilonia, I62-65.
Melkart, divinità fenicia, 308. Nabu, divinità mesopotamica, I49, Iji.
Massimino, detto il Trace, imperatore, Io8r. Nabucodonosor II, re di Babilonia, IJ9, I45, I47-
Mausolo, satrapo della Caria, 42-47. I48, Iji, I 53-54, I62, I64-65, 245-46, 68r.
Mausolo, signore di Cindie, 42-43, 50 n. Niigasena, I 79·
Mazdak, I2J. Nannos, re dei Segobrigi, jiO.
Mazeo, I40-4r. Naram-Sin, re di Akkad, I6r.
Medusa, 53· Narseh, IJO.
Megabizo, 96. Nearco di Creta, I7I-72, I93, 232 e n, 244-46,
Megastene, I53-54, I73-74, I86-87, 2or. 248.
Mekhitar di Her, 778. Neco Il, faraone, 97 n.
Melampo, I409·Io. Nectanebo I, faraone, 408-9, 838.
Meleagro di Gadara, 969. Nectanebo II, faraone, 409.
Melezio di Antiochia, santo, Io68. Neemia, 95·
Meliboia, 36o. Neferite I, faraone, 408.
Melqart, divinità fenicia, 323, 352. Neferite II, faraone, 408.
Memnone, 477-78, 487. Nemesio di Emesa, 688, 945, 98I, I029-30.
Memnone, storico, I077· Nerone, imperatore, 420, 474, 493-94, I403-4,
Men, divinità frigia, 65-66, 68. I428.
Menandro, 2IO. Nerva, imperatore, 539·
Menandro (Milinda), re della Battriana, q6, Nestorio, I2J, 829, I004, IOIJ.
I79, I8r. Nicandro di Colofone, 427, 6o6, 653.
Mencio (Mengzi), I246. Niceforo, 734·
Menedemo di Eretria, 208. Niceta di Remesiana, santo, Io48.
Menelao di Alessandria, 702, 739, 929, 950. Nicola Damasceno, 2I4, 2I6, 70I, 942, 95I,
Menes, re egizio, 435· IOI7, I098.
Merodach-baladan Il, re di Babilonia, I64. Nicomaco di Gerasa, 6I8, 702, 7IJ, 72I, 737,
Metodio di Olimpo, 978. 950.
Metone, 901. Nikanor, I55-56.
Metrodoro di Chio, 94, 956. Nikarchos, vedi Anu-uballit.
Michele di Efeso, 959· Ninfodoro di Abdera, I7 e n, 23.
Milkashtart, divinità fenicia, 398. Ninli, divinità mesopotamica, Io8.
Milziade, 20-21, 24. Nino, 265.
Milziade II, 2 I . Noè, 20I, II56.
Minosse, re di Creta, 49, 426, 656. Nonno di Panopoli, I90, 607,823-24,830,859.
Minucio Felice, Marco, 2I4. Nonnoso, I09I e n.
Mirone, 642. Novaziano, antipapa, I040-41.
Mithra, divinità indoiranica, 7I, 74, IOI, I07, Numa Pompilio, re di Roma, I329, I336.
II5·I6,429, 59I,8j6.
Mithrapata, 56. Oannes, I58, I6I, I63.
Mitridate I, re dei Parti, 63, III, 113-I4. Odenato, I I9.
Mitridate II il Grande, re dei Parti, III, 113, Odisseo, 372, 862.
368. Ohrmàzd, vedi Ahura Mazdii.
Mitridate I Kallinikos, re della Commagene, 70- Olimpia, regina di Macedonia, 839 n, 843.
7I, 76. Olimpico, 48.
Moagete, 62. Olimpiodoro di Alessandria, 620.
Mosè, 203-4, 21o-I I, 2IJ, 2I5, 217-I9, 225-26, Olimpiodoro di Tebe, 94I, Io86, Io89.
425-26, 575.590,639,66J,68o, II56. Oloro, 21.
Mosè di Corene, 980, 983 e n. O loro, re dei Traci, 2 I.
Personaggi e altri nomi antichi
Omero, 7, IO, 28, 38, I67 n, 210-12, 423, Peanio di Antiochia, I040.
449,482,566,573,577, 596,60~2, 6o9, Peldemo, 45·
6II,6I7,642,683-84,689,7I9,827,83I, Pentatlo di Cnido, 386, 392.
862, 96I, 968-69, I02I, I030-32, I055, Peregrino Proteo, I89.
I095-96, II07, III3-14, I248, I253-54, Pericle, 3I, 33, 555, I304, IJ20, I346, I348,
1266-69, I272, 1280-82,1298, I3I2, IJ8I, 1352.
I406, I4I2, I424, I45I-52, I46I e n. Pericle, dinasta di Limira, 53, 56-57, 59·
Onesicrito di Astipalea, I7I-72, I74. I86, I98, Perictione, I04 n.
244· Peròz, re di Persia, I 23, I30.
Onorio, Flavio, imperatore d'Occidente, 657. Perpetua, santa, 578.
Oppiano di Apamea, 6o6. Perse, 53·
Oppiano di Cilicia, 6o7. Perseo, 53, 56-57, I90, 644, 873-74.
Orapollo Nilote, 42I, 459-60, II48. Persio Fiacco, Aulo, 207, 220.
Orazio Fiacco, Quinto, I038-39, I252 n. Pescennio Nigro, Gaio, 265.
Orfeo, 22,24-25,2I0,449, I020, I4IO, I4I6. Petosiride, 4 I r.
Oribasio di Pergamo, 948, Ioq-I8. Petronio, Gaio, prefetto d'Egitto, 474·
Origene, 2II, 22I n, 57 I, 582,586,704 n, 990, Petronio Arbitro, 207, 220, 229.
995. IOI2, I024-25, I245· I259· Petros K'ert'ol (Petros Episkopos), 98r.
Orizia, figlia di Eretteo, 22. Pietro di Antiochia, 98r.
Oro, 423, 463-64. Pigmalione, re di Cipro, 385.
Orode Il, re dei Parti, 73, I I I e n. Pindaro, II, 99, I27 n, 604-5, 6o7, 968,983,
Oromazes, divinità iranica, IOI n. I092, I4 I6 n, I445·
Oronte, 71. Pirilampe, I04 n.
Orontobate, 46. Pirrone, 4I9.
Ortagora, 62 n. Pisistratidi, famiglia, 92 n.
Osiride, divinità egizia, 4II, 4I4-I5, 423-27, Pisistrato, I4-I5, 20, 24.
429-34.437.445.453.463.482. Pissodaro, 42, 46, 59·
Otane, 96. Pissutne, 42.
Ovidio Nasone, Publio, IO n, 427, 562, 83I, Pitagora, I2, I4, Io4, I67 n, I89, 2Io, 406,
860, I045, I I48, I I 50. 434.458,638,696, I020, I277· IJ87.
Pitea di Marsiglia, 516.
Pabag, rr6. Pitone, I404.
Pacomio, santo, I002, I025. Pittore di Tirso Nero, 529.
Paktyes di Alicarnasso, 45. Pittore di Vienna, I I6, 529.
Pallada di Alessandria, 545, 646. Piye, re etiope, 435·
Palladio di Alessandria, I97 n, 948. Platone, 24-25, 37, I02-3, I07-8, 126-28, 4I8,
Panamuwa I, sovrano assiro, 3I5. 437.439-4I,443.454.456.458.566,573-
Panamuwa II, sovrano assiro, 3IO, 3I5. 575. 578, 585, 588, 595-96. 598, 605-8,
Panteno, I 96. 6II,6IJ,62o,627,642,685,687,689-9I,
Paolino di Milano, I042. 694,696, 70I,77I,774-76,780,859,89I,
Paolo Callinico, IOI I, IOIJ. 909, 93I, 933-35. 939-4I, 948, 95I, 957-
Paolo di Alessandria, 949· 959. 98I, 987, I020-2I, I02J, IOJO-JI,
Paolo di Edessa, I o I 2. I079, Io86, Io88, III2-I4, I245, I254,
Paolo di Tarso, santo, 22I, 225-26, 229-30, 1264, 1269, I274, I332, I346, I348, I38I,
963, 977· I383, I387, I425, I428, I437, I440, I446,
Paolo il Persiano, 78o-8 I, 965. I46I-62.
Pappo di Alessandria, 735, 9IO, 926, 928-29, Plauto, Tito Maccio, Io77.
950-5I, I087. . Plinio il Vecchio, I02, I8I, I85, I87, I9I-92, 252
Parmenide di Elea, I38I, I424, I46r. n, 459, 472, 496, 642, 962, I073, I II9-20,
Parnavaz, re d'Iberia, I054· II39, II53·
Parysatis, 338. Plotino di Licopoli, I I9 n, I99. 458, 583, 586,
Patanjali, I76 n, I92-93· 6o7,6II,688,772,692,70I,704,783,834.
Patam, I39· 943, 966, I 255·
Patroclo, 9 n. Plutarco, 3I n, I03, 172, 223, 226, 4I9, 42I,
Pausania, I96, 429, 6o5, I I25, I I40-4I, II44. 427-28, 433-34. 438, 464, 508-9. 596, 598,
I I48, I I 53, I4I6. 605,607, 6II, 6I3, 6I7, 669,835-37,842,
Personaggi e altri nomi antichi 1477
857-59, 944-45, IOI9, I03I, I075, II43• Rossane, regina di Mecedonia, 839, 857.
I254, I3I4, I336, I4I6. Rufina di Aquileia, I024.
Polemaios, 70. Rufo di Efeso, 836, 948, Ioq-I8.
Polemone di Cnido, 595, 952.
Polibio, 6I, 243 n, 263, 539, 56I, 68I, 689, Sabaco (Shabaka), re degli Etiopi, 48I-82.
Io76, Io88, I 253. ~abazia, divinità traco-frigia, 22 n.
Policarpo, IOI2. ~abuhr l, re dei Parti, u8-22, I32.
Policrate, 406, I 354· Sabuhr Il, re dei Parti, 122.
Policrito, 99· Sadarnunna, divinità di Uruk, I 59·
Polidoro di Rodi, II I 8. Sadoco, I7, I9-20.
Polieno, 478. Saffo, I445. I457·
Polignoto, II40, I304. Sahak il Partico, 978.
Polluce, Giulio, I273· Sahar, divinità, 3 I6.
Pompeo, Gneo, 73, 254 n, 368. Sallustio Crispo, Gaio, I038.
Pompeo Trogo, 509. Salma, I245·
Pomponio Mela, I 9 r. Salmawayh, I 235.
Popilio Leno, Gaio, 357 n. Salmoside, divinità dei Geti, I2-I4, 22, 24-25,
Porfirio di Tiro, I98, 4I9-20, 434, 458, 460, 34-35 e n, 37·
584-85,696,773-79. 795. 835.939.945-46. Salomone, re d'Israele, 20I n, 275, 3I9, 374 n,
966, 980, IOI6, I020, I023, I I48. 698, II29, II56-58.
Poro, re indiano, I72, I88, 843. Samos, re della Commagene, 70.
Posidone, I I n, I4I6. Sancuniatone di Berito, 398.
Posidonio, 20. Sargis Malean di Hac'n, 975·
Posidonio di Apamea, I8I n, 447, 9IO, 951. Sargon Il, re di Assiria, 138, I4I, I6I, 239.
Prassitele, 647, I I42, 1360, I365. Sarpedonte, 5 I , 57.
Probo, IOI4-I5. Sasan, II6.
Proclo di Atene, 427-28, 583, 620, 688, 692, Sasanidi, dinastia, 8o-82, I I 2, I I6, I I9-2o,
70I, 77I-72, 783, 9II, 929,934,940,943-44, I22-23, I29, I54. 497.698,965.
959-60, 966, I070, I 255· Sasychis, re egizio, 442.
Prodo di Cizico, I oo 3. Saturno, Io8, 88r.
Proclo di Costantinopoli, 978, I067-69. Scenute, 987.
Procne di Atene, I9. Scilace di Carianda, 95, I68, 235, 238 n.
Procopio di Cesarea, 126, 472, I253· Scile, re degli Sciti, 36.
Proserpina, I r85. Scipione Africano, Publio Cornelio, I329, I336.
Prospero di Aquitania, 1046. Scipioni, gens, 56 r.
Protesilao, I8. Sebumekler, divinità kushita, 489.
Protis, 509- I o. Secondo Carrinate, I403.
Psammetico l, faraone, 478, 481-82. Seleucidi, dinastia, 7I, Io9, II3, I37. I47.
Psammetico Il, faraone, 478, 481. I49, I56, I62, I73. 243-44, 253, 357-58,
Psammuti, faraone, 408. 362,366,485,575, Io82.
Ptah, divinità egizia, 430-3 I, 449· Seleuco I Nicatore, re di Siria, I08, I43. 145-47,
Pumay, divinità fenicia, 385. I49, I62, I73. 357-6I, 367.
Seleuco Il Callinico, re di Siria, I IO-I I, I 50,
Qi Bo, I434· I53. I56-57. 36I.
Qin, dinastia, 142I-23, I426-27, I44I n. Seleuco III Sotere, re di Siria, I 52-53, I64.
Qin Shi Huang Di, re di Qin, I42I. Seleuco di Seleucia, 956.
Quintiliano, Marco Fabio, I096, I246. Sem, 20I.
Semiramide, regina dgli Assiri, 265, 840.
Ra, divinità egizia, 4II, 423-24,431. Seneca, Lucio Annea, I87, I96, 1 I I2.
Rabbuia, IOI r. Senofane di Colofone, 37, I424.
Ramsete Il, faraone, 405, 478. Senofonte, 6, 9, I2, I7-I8, 2I, 26-27,246-48,
Ramsete III, faraone, 405. 262, 480, I245. 1265. I272, I3I5, I348.
Regina di Costanza, I003. Senofonte Efesio, 599, I 27 r.
Reshef, divinità fenicia, 385. Serapide, divinità egizia, 4II, 4I5, 429-3I,
Rodogune, 7 r. 438. 494·
Romano il Melode, 830. Sergio, archiatra, 585.
1478 Personaggi e altri nomi antichi
Sergio, santo, 657. Stefano di Bisanzio, 200 n, 522.
Sergios, I35· Stefano di Edessa, I 26.
Serse I, re di Persia, 52·53, 85 n, 86, 89, I03, Stesagora di Atene, 21.
106, I4I, I43. I69, 26I n, 336, 408, 481. Stesimbroto di Taso, 95·
Servio, Ill2, 1148, I253· Stobeo, Giovanni, 970, 983, 1078.
Sesostri, faraone, 442. Strabone di Amasea, 35, 39-40, 62, 70, I7I, 174,
Seth, divinità persiana, 4I3, 426, 429, 433, I8I-82, I87, I92, 2I9, 226, 25I·53, 248-49,
463-65, 467·68. 253-54, 279 e n, 4I6, 4I9·20, 447-48, 472,
Settimio Severo, imperatore, 264,54 I, 548,647. 493. 508·9. 5I6·I7, 5I9·23, 927.
Seute Il, re dei Traci, 9, I5, 17-20. Stratone di Lampsaco, I 428.
Severiano di Gabala, 977, I003, 1068-69. Stratone, detto il Filelleno, re di Sidone, 347,
Severo di Antiochia, I o I I, I o I 3. 383.
Severo di Sinnada, I 003. Siiren, casato partico, I I 8.
Shadrafa, divinità siriana, 34I. Sulpicio Gallo, Gaio, 923.
Shamash, divinità babilonese, I46, I 59· Sulpicio Severo, I042.
Shamash-etir, I62, I64. Surena, I I I n.
Shamshi-ilu, 309 e n. Siirya, divinità indiana, I 90.
Shi Huang Di, I43I. Svetonio Tranquillo, Gaio, 220-21, 844, IOJ2.
Shulgi, re di Ur, I6I-63. Syskos, 45·
Si'gabbari, 3 I6.
Silla, Lucio Cornelio, I I39· Tacito, Publio Cornelio, 2I9, 224, 420, 639,
Silvestro l, papa, santo, I042. 843. I077, I096.
Sima Qian, I426, I44I n. Talete, 923, I461.
Sima Tan, I426. Tang, dinastia, I434·
Simone di Atene, I8. Tarhuntuwasti, 3 I6.
Silvestro, santo, I042. Tarquini, dinastia, 5 I 1.
Simeone il Giusto, 697. Tassile, 172.
Simmaco, praefectus urbis, 826 n. Tearco (Taharqa), re d'Egitto, 482.
Simmaco di Pellana, 57·58. Tefnakht, re d'Egitto, 435·
Simonide di Ceo, 22. Temente (Tenwatemani), re d'Egitto, 478, 482.
Simonide il Giovane, 472. Temistio, 543-47, 549·50, 6I I, 695, 70I, 773,
Simplicio di Atene, 582, 586, 607, 6I8, 942, 94I' 957•58, 966, I020, 1079·80, 1085,
957· I336.
Simplicio di Cilicia, I 25. Temistocle, 500, 555·
Sin, divinità di Ur, 86, I6I, 3I9. Temistocle di Ilio, 61.
Sin-balassu-iqbi, I 56. Tenne, re di Sidone, 336, 348.
Sinesio di Cirene, 6I5, 824, 920. Tenwatemani, vedi Temente.
Sinuri, divinità caria, 4 3. Teocrito di Coo, 69, 484, 6o6, 6o8, 677, 969,
Sin-zer-ibni, 66I. I092, I 272.
Sitalce, re degli Odrisi, 8, I7 e n, 23. Teodette, 208.
Socrate, 24-25, 454·56, 545, 578, 638, 65I, Teodoreto di Cirene, I025.
659. 697, 834. I304, I323, I336, I398. Teodoro di Mopsuestia, I23, IOI3.
Socrate Scolastico, 98 I, I 02 5. Teodosio I il Grande, imperatore, 363, 543,
Sofagaseno, re indiano, 223. 546,549,643.648,824, I024.
Sofocle, IO n, 22, 2IO, 593, 607-8, 611, 6I3, Teodosio Il, imperatore d'Oriente, 558, 646,
638,970, I03I, I077, I092. I078.
Sofronio, I040. Teodosio di Tripoli, 702, 732.
Solone, 2Io, 406, 407, 443-44, I304, I3I2, Teodoto, 21 I-12.
I3I6, I3I8en, I327-29, IJ37, I345, I348· Teodoto di Ancira, santo, I003.
I349, I445· Teofane di Mitilene, 472.
Sorano di Efeso, 582, 948. Teofilo, I08I.
Sostrato di Egina, 506-7. Teofrasto di Ereso, 222 e n, 226, 434·35, 94I,
Sozomeno Ermia, I025. IOI9.
Spartocidi, dinastia, 31. Teone di Alessandria, 7I2, 727-29, 920, 926 e
Sphujidhvaja, I 33 n. n, IOI9, Io87.
Sporos di Nicea, 924. T eone di Smirne, 909, 949-50.
Personaggi e altri nomi antichi 1479
I34I-42, I344-49. I355. I374-78, I380, Baghdad, 687, 692, 7I2·I3, 7I6, 7I9, 72I,
I4I6, I42I, I448 n: 739. 768-69, 772-74, 777. 78I, 793, 92I,
Acropoli, 30, II55, 1I62, I45I-52· 925, 954-55, 965·66, 968, IOI6:
Areopago, 29·30. «Casa della sapienza>>, 954·
chiese: Bahrein, 246.
Cattedrale, 624. Balazote, 532-33.
Panagia Gorgoepikoos, 663-64. Balcani, I 250.
Musei: Baleari, isole, 379, 39I, 505.
- del Ceramico, 672. Balikh, fiume, 33 I n.
- Nazionale, 845. Baltico, Mar, 5I6.
palazzo reale, I o I I . Bambula, 323 n.
Partenone, I097, II 54-55, 1I63, II73, I352. Baniyas, 344.
Pireo, 383. Banizomeni, 251.
Pnice, 30. Baraqish, 278 n.
Propilei, I I 55· Barbalisso, I I 9·
Ateniesi, I9·2I, 23, 25, 3I, 33,408, 4I7, I073, Barbara (Barbarikon), I 85.
1283, I304, I3I7, I320, I325, I328, I342, Barcellona, 53 3:
I348. Museu Art Contemporani, 532.
Athos, monte, 668, I095-97: Bargilia, 42-44.
monasteri: Barygaza (Bharukaccha), I8I, I85.
- Grande Lavra, I096. Basilea, 34 n, III2, I258, 126o-6I, I397·
- Iviron, I054, I056-57, 1066, I069. Basse, I I 54, I368.
- Pirgos Amalfinon, I028. Bassora, 7I6, 7I9.
Atlantico, Oceano, 499, 7I4. Bath, 898.
Atra, 727. Battriana, IIO·II, II4, I45, I7I, I76-78, I93·95·
Atrek, fiume, u3. Battriani, 96 e n, 175·
Attica, 22, 25, 292, 559, I08I, I375· Baviera, 1285.
Augsburg (Augusta), I I42-44, I27I, I353· Beduini, 463.
Australia, 570. Begram, I95·
Austria, I I 3 2. Beoti, 505.
Avari, 560 n. Beozia, I093, I405 e n, I406.
Avaris, 285, 289 n, 403. Beritus (Beirut), 337,352,363 n, 365,368, I04I:
Avignone, I032, I094, IIII·I3, I249· necropoli, 350.
Avila, 529. Berlino, 3I8, 64I, 8Io, II7I, 1264-65, I29I,
Awsan, 275. 1353-56, I358, I360-64, 1366-68, I370-73,
Axios, vedi Oronte. 1375. I377. I405:
Ayasuluk, 649-50: Altes Museum, I365.
chiesa di San Giovanni, 649. Charlottenburg, I 362.
Azerbaigian, I 29. Etruskisches Cabinet, I 367.
Azio, 4I5. Griechisches Cabinet, 1367.
Azita, 68. Grosses Schauspielhaus, II 66, I I 7 r.
Azitawataya (Karatepe), 3 IO, 3 I 2. Neues Museum, 8o6, II66, II7I.
Staatsbibliothek, 8oo.
Baalbek, vedi Eliopoli. Bercia (Aleppo), 289 n, 293-95, 308, 3I8-I9,
Bah al-Mandeb, 246. 333,340,359-62, 366,66I, 8oo, IOI5:
Babilonesi, 83 n, I4I·42, I44, I54, I64, 423, tempio del dio della tempesta, 340.
68I, 898, 962. Besnagar, 987.
Babilonia, 87, III, I37, I40-47, I49-56, I59, Bessi, IO.
I63·66, 237. 244. 247-48, 25I, 329-30,565, Bhokardan, I83.
569,575,862, I457: Biblo, 336-37, 342, 344, 35I, 363, 398:
palazzo reale, I 39-4 I. templi:
templi: - del Bala'tat Gebal, 342, 351.
- di Anunitu, I 50. di Sarepta, 342.
Esagila, I4I-43, I48·57, I62, I65, 289 n. Biqa', Valle della, 243, 254, 338; vedi anche
Badajoz, 52 9. Massyas.
Baetokikai, 34I, 362. Birkot-Ghwandai, q8.
1 484 Luoghi e popoli
Bisante, 17 n. Cancho Roano, 529.
Bisanzio, 7, 82, 123, 129, 133-35, 538, 541, Canopo, 452.
548,575,585,589,593-628,630,644,654, Cappadoci, 40, 247.
659,667-69, 709,718 n, '797, 802, 8o4, 810, Cappadocia, 40, 57, 70, 154, 247-48, 824.
812,814,817-18,821,853-54,892,949-50, Caprarola, Palazzo Farnese, 234.
959, 970, 974, 1028, 1037, 1041, 1050, Caravaca, 531.
1082, 1094, 1099, 1101, 1256; vedi anche Cari, 39-50, 140.
Costantinopoli. Caria, 39-50, 52, 59, 64, 139, 478, 645.
Bisutun, 87, 91. Carmania, 246 n.
Bit Adini, 305. Carmona, 504.
Bitia, 379· Carre, III e n, 118.
Bitinia, 66, 78, 541, 1093. Cartagine, 369,376-77,381-82,385-87,389-93,
Bizantini, 496, 582, 593, 636, 639, 642, 659, 395,400, 499,504,508,644·
66!, 668, 672, 767, 797, 931, 940, 950-52, Cartaginesi, 386, 389, 392.
959, 1040-41, 1043, 1250, 1257· Casio, monte, 300.
Blemmi, 255 n. Caspio, Mar, 109.
BodiUm, vedi Alicarnasso. Cassiti, 289.
Bolnisi, cattedrale, 1053. Castelserpio, 636.
Bologna, 81o, 881, 1094, 1111, 1152,1257: Catalogna, 528.
basilica di San Petronio, 1183. Cataoni, 40.
Bon, Capo, 388. Cattigara, 194.
Borgogna, 513, 527. Catumandus, 510, 534·
Borsippa, 143, 147-54, 166: Caucaso, 97 n.
templi: Caulotei, 252.
- di Nabu, 149-52.
- Ezida, 148-50. Cauno, 44 n, 46, 52, 59·
Cekke, 310 n, 318.
Bosforo, 31-33, 1093.
Bosforo Cimmerio (Stretto di Kerc), 31, 88. Celesiria, 251, 253 n, 357·
Bosra, 363, 365 n, Soo. Celti, 501, 509, no, 1379.
Bostan esh-Cheikh, 341-42, 352, 363, 383: Cerro de los Santos, 499·
santuario di Eshmun, 320, 346. Cerro del Villar, 521.
Boston, 1370. Cesarea (Kayseri), 991, 1088, 109 3.
Bostrenus (Nahr el-Awali), fiume, 343· Cesarea di Palestina, 566.
Boubon, 62. Chalos, fiume, 338.
BoUiges, 527-28. Charsadda (Peukelaotis), 178.
Bragny, 527-28. Chatillon-sur-Glane, 525.
Brahmapuri, 183. Chenoboskion, 1002.
Brej, 308, 318. Chersoneso, 25.
Brescia, 641, 921. Chersoneso Aureo, 194.
Britannia, 570. Chersoneso Tracico, 21.
Bruxelles, 1261. Chio, 509, 610.
Bulgaria, 6, 16. Chioniti, 123.
Burj el-Buzzak, 322. Chola, 185.
Ciane, 50.
Cadice (Gades), 394, 504-5, 533· Cibaritide, 62.
Cairo, biblioteca, 923. Cibira, 62.
Calabria, 1094. Cicladi, isole, 505, 1374·
Calcedonia (Kadiki:iy), 557, 987, 991. Cidonia (Khania), 405.
C alcide, 254 n. Cilici, 215.
Caldei, 141, 329, 962, 1020. Cilicia, 39 n, 40, 42, 57, 138-39, 231,240,303,
California, 1378, 1443. 665, 959, 983.
Callipoli, 44 n, 46. Cina, 82, III, 121, 131-32, 191 e n, 194-96,
Cambridge, 1258, 1262, 1269-70, 1413: 200-1,497,570,1174,1381,1420-26,1428,
Whipple Museum, 913. 1440, 1433 n, 1460.
Campania, 1027. Cindie, 42, 43 n.
Cananea, 219. Cinesi, 130, 1379, 1419-2I, 1439.
Cananei, 166. Ciprioti, 301.
Luoghi e popoli 1485
Zambujal, 502.
Zincirli, vedi Sam'al.
Zula, golfo di, 985.
Autori moderni e altri nomi non antichi
Ryan, W. F., 693 n, 911 n. Santos Retolaza, Marta, 501 n, 506 n, 517 e n,
Ryckmans,J., 277 n. 521 n.
Rydén, Lennart, 629 n, 649 n. Sanudo, Giulio, r I 36.
Rykwert,Joseph, 1158 n, 1160 n, rr66 n. Sapin, ]., 338 n, 356 n, 366 n.
Ryssel, Victor, 1014 e n. Saradi, Helen, 662 n, 664 n, 667 n.
as-Sarakhsi, 773·
Saadia Gaon, 683 n, 690, 691 e n. Sargis di R!S-'aina, 126.
Sabanis3e, Ioane, ro64, ro67 e n. Sargis Malean, 975·
Sabba da Castiglione, r r 21. Sarkissian, Gagit, 974 n.
Sabbadini, Remigio, 1033 n, 1096 n, 1251 n. Sarton, G., 746 n.
Sabra, A. I., 892 n. Sartre, Maurice, 40 n, 48 n, 323 n, 332 n.
Sacchi, Paolo, 228 n, 675 n, 994 n, 995, 998 n. Sassi, Maria Michela, 1383 n.
Sachau, Eduard, 126 n, 1017 n, IOI9 n, 1020 n. Sathas, Konstantinos N., 594 n, 595 n, 6o2 n,
Sachs, AbrahamJ., 94 n, 142 n, 143 n. 6o3 n.
Sachs, Ignacy, 93 n. Saunders, A., I 142 n.
Saddam, vedi I;Iusain, ~addam. Sauneron, Serge, 460 n.
Sader, H., 305 n, 308 n- 3 ro n. Saurma, L., 866 n.
Sadous, A.-L. de, 1344 n. Sauvaget, J., 362 n.
Saffrey, Henry D., 709 n. Savage-Smith, Emilie, 924 n, 925 n.
Saffuri, 760 n. Savalli, Ivana, 57 n.
~a!Jin, Sencer, 63 n, 71 n, 76 n. Siive-Si:iderberg, Torgny, 475 n.
al-~ahrastani, 945· Saville, Henry, 1259.
al-Sahrazuri, 945· ~avonarola, M., 1050 n.
Sa"id, S. r69 n. Savrov, M., 1058 n.
Sa"idan, A. S., 708 n. Saxl, Fritz, 133 n, 873 n, 874 n, 887 n.
Sa'Id ibn Xurasanxurrah, 134. Sayegh, 350 n, 352 n.
Saint-Simon, Claude-Henri de Rouvrog conte Sayf ad-Dawla, 661.
di, I3JO. Sayfaddin al-Amidi, 795·
Sala-Molins, L., 13 r 7 n. Sayili, Aydin, 916 n, 927 n.
Salama-Carr, Myriam, ror6 n. al-Sayyid, R., 716 n.
Salamé-Sarkis, H., 348 n. as-Sayyid ash-Sharif al-Jurjani, 796.
Salanitro, I., r 050 n. Sbath, P., 726 n.
Salia, K., 936 n. Sbordone, Francesco, 42 r n, 1005 e n, roo6 n.
Saliba, George, 917 n, 956 n. Scaligero, Giovanni Giusto, 1259·
Saliby, N., 320 n, 322 n, 342 n. Scandone Matthiae, G., 323 n, 352 n.
Salles,J.-F., 232 n, 236 n, pr n. Scarcia, G., 965 n, 967 n.
Salmawayh, 720. Schachner, A., 3 r6 n.
Salomon, R., r83 n. Schachner, S., 316 n.
Salutati, Coluccio, 1032, rrr4, 1136, 1256. Schadewaldt, W., 862 n, 869 n.
Salviat, François, 5 r 5 n. Schaeffer, Claude F. A., 289, 290.
Salvini, Mirjo, 291 n. Schiifer, P., 420 n.
Sams6,Julio, 917 n. Schandeler, }.-P., 1330 n.
Samter, N., 697 n. Schanidze, A., ro64 n.
Samuel Ibn Tibbon, 695, 895. Schanz, Martin, 1077 n.
Sanchez, C., 529 n, 1159 n. Schechter, Solomon, 685 n.
Sancisi-Weerdenburg, Heleen, 15 n, 141 n, 143 Schecner Genuth, Sara, 913 n, 916 n, 917 n.
n, 324 n, 481 n. Schefold, Karl, 45 r e n.
Sanders, Ed Parish, 587 n. Scheidig, Walther, r 141 n.
Sandevoir, Pierre, 580 n. Schelle, G., IJ2I n.
Sanfelice, Ferdinando, r r63 n. Schelling, Friedrich Wilhelm}oseph, r r69 e n,
~angallo, Giuliano da, r r6o. 1170, 1408.
Sani3e, A., 1054 n, 1056 n, ro6o n, ro66 n- Schenkl, Heinrich, 942 n, roSo n.
ro68 n. Schettino, Maria Teresa, 2 ro n.
Sanmarti, Enrique, 501 n, 517 e n, 519 n. Schiller, Friedrich, 427, 124I, 1309.
San Nicolas Pedraz, Maria Pilar, 391 n. Schindel, U., 1271 n, 1272 n.
Santiago, R. A., 519 n. Schindler, W., 1413 n.
1528 Autori moderni e altri nomi non antichi
Schinkel, Karl Friedrich, I I7I, I356-59, I363. Schwemer, Anna Maria, 567 n.
Schippmann, Klaus, III n, I23 n. Schwertheim, Elmar, 69 n.
Schlanger, Jacques, 693 n. Schweyer, Anne-Valérie, 50 n.
Schlegel, August Wilhelm von, I324, I408. Schwimm, Christa, I I I9 n.
Schlegel, Friedrich von, I324 n, I408. Scilitze, Stefano, 6o9.
Schleier, Reinhart, I I 22 n. Scopello, Maddalena, 1002 n.
Schleiermacher, Friedrich Daniel Ernst, 1264. Scoto Eriugena, Giovanni, 956, I026, I027.
Schleifer, J., 948 n. Scott, Robert, I 28 n, 598 n, 638 n, 643 n, 645
Schlenoff, Norman, I I40 n. n, 647 n, 652 n, 902 n.
Schlerath, B., I 405 n. Screech, Michael Andrew, I2'59 n.
Schlesier, R., I398 n- I400 n, I404 n I406 Scrooern, E., I275 n.
n, I4IO n, I4II n, I4I3 n, I4I6 n. Scuderi, Ritam, 539 n.
Schliemann, Heinrich, I4IO. Seaford, R., 6 n.
Schlozer, August Ludwig, I278. Sedley, David, 9IO e n.
Schlumberger, D., I79 n, 338. Sedov, A. V., 270 n, 273 n, 278 n.
Schmidt, Ernst A., I038 n. Segai, Judah Benzion, IOII n.
Schmidt, Ernst Giinther, 946 n. Segni, Antonio, I I 26.
Schmidt, M., 34 n. Segni, Fabio, I 126.
Schmidt, Victor M., 850 n. Segonds, Alain, 9I9 n, 920 n.
Schmitt, Charles B., 693 n, 933 e n, 943 n, 972 Seguin, A., 460 n.
n, I254 n. Seibert, Jakob, I7I n.
Schmitt, Rudiger, 87 n- 89 n, I I4 n. Seibt, G. F., 92 n.
Schmitt, W. 0., I036 n, I044 n. Sellwood, David, II2 n- II4 n.
Schnabel, Pau!, 159 n, 164 n. Sensal, Catherine, I o 1o n.
Schneemelcher, Wilhelm, 995 n. Serlio, Sebastiano, I I 53 e n.
Schneider, H., II09 n, II3I n. Serra, Giuseppe, 970 n, 97I n.
Schneider, R., 986 n, 990 n. Serra, Luigi, 388 n.
Schoedel, William R., I002 n. Serrai, Alfredo, I IOO n.
Schoenert-Geiss, E., I 7 n, I 8 n. Serveto, Michele, 748.
Schoffler, Heinz Herbert, 126 n, 128 n. Sesiano, Jacques, 895 n.
Scholem, Gershom, 703 n. Sester, K., 70.
Scholz, Bernhard F., II42 n. Sethe, K., 4ro n.
Schone, Hermann, 928 n. Settis, Salvatore, 644 n, 8r9 n, 83 r n, 834 n, 889
Schoonheim, Pieter, 895 n. n, 911 n, 1117 n, III8 n, 1121 n, 1122 n,
Schopenhauer, Arthur, II69, I 170 e n. • II4I n, II43 n.
Schott, André, Io88. Sevcenko, lhor, 554 n, 6ro n, 6r4 n, 668 n, 669
Schott, Siegfried, 467 n. 0,11010.
Schottky, Martin, I 54 n. Sevenster, Johan Nicolas, 566 n.
Schouler, Bernard, 559 n. Seyrig, Henri, 359 n, 367 n.
Schrade, L., I 176 n. Sezgin, Fuat, r31 n, 133 n, 134 n, 707 n, 935
Schraudolph, E., I358 n. n, 949 n, 951 n.
Schreiber, C., IJ70 n. Seznec, Jean, II4I n, II43 n, II45 n, r146,
Schreiner, P., 618 n, 627 n. II48 n, II 51 n.
Schrier, Omert J., IOI5 n. Shafi'i, 761, 762.
Schubert, Werner, I05I. Shahid, Irfan, 498 n, 558 n.
Schucan, Luzi, 590 n. Shaiban, S., 746 n.
Schultze, W., I293 n. Shak.i, Mansur, r23 n, I27 n, I32 n.
Schulz,Johann Peter, I223 e n. Shapiro, Harvey Alan, 325 n, 327 n.
Schiirer, Emi!, 204 e n, 22I, 565 n, 675 n. Sha'rani, 757 n.
Schwabacher, Willy, 56 n. SharpJoukowsky, M., 292 n.
Schwabl, Hans, I382 n. Sharples, Robert, 937·
Schwanbeck, E. A., I09 n. Shavit, Yaacov, 569 n.
Schwartz, E., I024 n, 1025 n. El-Shayyal, 795 n.
Schwartz, Eduard, 829 n. Shearman,J., II22 n.
Schwarz, F. F., I67 n, 171 n. Shefton, Brian B., 346 n, 377 n.
Schwarz, W., 971 n. Shelomoh lbn Gabirol, 693.
Autori moderni e altri nomi non antichi 1529
Yarshater, Ehsan, 120 n, 123 n, 767 n, 774 n, Zorzi, M., 1353 n, 1354 n.
781 n. Zotenberg, Hermann, 130 n.
Velli n, J., 402 n. Zubaid Ahmad, M. G., 796 n.
Yerushalmi, Yosef Hayim, 1461 n. Zuccari, Federico, 1136-40.
Yon, M., 290 n, 321 n, 323 n. Zuccari, Ottaviano, 113 7.
Yosef ben Yehudah lbn 'Aqnin, 694. Zuccari, Taddeo, 1151.
Young, William, 1328. Zucker, F., 401 n, 408 n.
Youroukova,J., 11 n. Zuntz, G., 431 n.
Yousif, Ephrem-lsa, 954 n. Zunz, Leopold, 1264.
Yoyotte, Jean, 419 n, 430 n, 447 n. Zuurmond, R., 993 n.
Yuge, Toru, 109 n. Zvelebil, K., 185 n.
Yii~anna Ibn Masawayh, 719, 720, 726. Zwingli, Ulderich, 573 e n.
Zabidi, 757 n.
Zabkar, Louis V., 489 n.
Zaccagnini, Carlo, 259 n.
Zadro, A., 454 n.
Zaehner, Richard C., 107 n, 108 n, 126 n, 128
e n, 129 n, 132 n.
Zahle, Jan, 50 n, 56 n, 58 n.
Zakythinos, Dionysos A., 554 n.
Zamakhshari, 759 n.
Zambon, Francesco, 1005 n.
Zambrini, Aurelio, 174 n, 257 n.
Zanco, E., 421.
Zar'a Ya'qob, 994·
ai-Zarqali, 912.
Zarubini, N., IIoo n.
Zauzich, Kari-Theodor, 414 n.
3avaxisvili, lv., 1054 n.
Zayid, S., 747 n.
al-Zayn, A., 724 n.
Zecchini, Giuseppe, 555 n, 844 n.
Zedelmaier, H., 1276 n.
Zeegers-Van der Vorst, Nicole, 1020 n.
Zeeman, E. C., 906 n.
Zeidler, J., 458 n.
Zeitlin, Froma, 82 2 n.
Zeller, Eduard, 105 n.
Zeses, Theodoros N., 1049 n.
Zgusta, Ladislav, 97 n.
Ziai, H., 794 n.
Ziegler, Konrat-H., 111 n, 1091 e n.
Zieme, Peter, 87 n.
Zilliacus, Heinrich, 558 n, 1037 n, 1039 n
1041 n.
Zimmer, G., 1353 n, 1354 n.
Zimmermann, F. W., 774 n.
Zinserling, G., 1309 n.
Zintzen, Clemens, 583 n.
Ziyada, M., 716 n.
Zoega, Georg, 1282.
Zolla, Elémire, 820 n.
Zonara, Giovanni, 628, 1085 e n, 1091.
Zonta, Mauro, 676 n, 682 n, 689 n- 692 n, 694
n, 696 n- 698 n, 936 n, 941 n, 943 n, 958 n,
969 n, 1015 n.
Fonti
Tradizione manoscritta.