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Loretta De Martin classe 3^A

“Le avventure di Tom Sawyer”, Mark Twain

Padova, 11/02/2017

Cara professoressa,
in queste settimane ho letto con grande soddisfazione “Le avventure di Tom Sawyer”, un
romanzo che credo potrebbe piacerle. Ho quindi deciso di scriverle questa lettera per
condividere con lei le mie riflessioni sul libro.
Lo scrittore Mark Twain racconta le vicende di Tom, un vivacissimo ragazzino che vive in un
paesino del Missouri, sulle rive del fiume Mississippi, con sua zia Polly, il fratellastro Sid e la
cugina Mary. Tom sembra una calamita per i guai: marina la scuola, frequenta il piccolo
vagabondo Huckleberry Finn, scappa di casa a tutte le ore del giorno e della notte…
insomma: un vero monello! Con i suoi amici Huck e Joe, Tom vive diverse avventure
entusiasmanti, ma una di queste metterà a rischio la sua vita e quella di Becky, la ragazza di
cui è innamorato.
Non voglio aggiungere altro sulla trama, per non rovinarle il piacere della scoperta; sappia
solo che la storia è molto coinvolgente e ricca di colpi di scena, ma anche estremamente
divertente!
Leggendo ho avuto l’impressione che l’autore avesse sperimentato in prima persona molte
delle situazioni descritte. Ad esempio, quando sono arrivato all’episodio in cui Tom e tutti i
fedeli che assistono alla messa vengono distratti dal cagnolino che gioca con lo scarafaggio,
ho pensato che la scena fosse così assurda da dover per forza essere vera!
Un aspetto che invece all’inizio mi ha colpito in negativo è il razzismo che sembra trasparire
da certe affermazioni: Mark Twain usa spesso la parola “negro” in senso dispregiativo. Ad
esempio, quando racconta di certe superstizioni, scrive: “così dicono i negri, e loro queste
cose le sanno molto bene”. Altre volte afferma che i “negri” sono pigri. Sulle prime ci sono
rimasta male, poi però ho pensato che il romanzo è stato scritto nel 1800, e che l’autore
probabilmente ha riprodotto il pensiero di un ragazzino americano di quel tempo.
Ho apprezzato tantissimo la scelta di Twain di far raccontare la storia ad un narratore
esterno, perché i suoi commenti alle avventure e disavventure di Tom mi hanno divertito
molto. Quando ad esempio Tom, interrogato davanti a tutti dal catechista, risponde che i
primi due apostoli si chiamano Davide e Golia, il narratore commenta così: “Nascondiamo
dietro il velo della carità il resto della scena”. Trovo che questo commento sia semplice, ma
molto coinvolgente: sta al lettore immaginare cosa possa essere accaduto e io, al solo
pensiero della figuraccia di Tom e della sgridata conseguente, mi ritrovo a sorridere anche
adesso!
Oltre a Tom, un concentrato di guai e buone intenzioni che le lascerò scoprire da sola, il mio
personaggio preferito è lo sfortunato Huckleberry Finn, detto Huck, un ragazzo vagabondo
con il padre alcolizzato e assente, abituato a cavarsela da solo e a vivere di espedienti. E’
odiato da tutte le mamme del villaggio perché credono che sia un pessimo esempio per i
loro figli. Huck non va a scuola, non sa leggere né scrivere, ma è molto sveglio e anche
simpatico, spesso fa tenerezza: quando vede Tom, che certo non è uno studente modello,
scrivere il testo del loro patto di sangue, rimane ammirato dall’abilità dell’amico e dalla
“magnificenza dello stile”.
Il “cattivo”, o meglio l’antagonista, è a dir poco inquietante. Si chiama Joe l’Indiano ed è un
mascalzone privo di scrupoli, bravissimo a mentire. Le basti sapere che, senza il minimo
senso di colpa, farà imprigionare il suo “socio” Muff Potter per un omicidio che in realtà ha
commesso lui (sotto gli occhi di Tom e Huck!). Si immagini il terrore che questo assassino
incute nel nostro eroe e nel suo aiutante… ciò nonostante la sete di avventura dei due non li
terrà alla larga da un simile personaggio, che farà una fine a dir poco orrenda (e qui mi
fermo…).
Devo ammettere che io non sarei stata altrettanto coraggiosa. Per cominciare, non avrei mai
osato scappare di notte, tanto meno per andare in un cimitero. Poi, se avessi visto quello a
cui hanno assistito Tom e Huck, credo che sarei scappata a gambe levate e non avrei
voluto vedere Joe l’Indiano nemmeno in fotografia! Per non parlare della grotta: soffro di
claustrofobia e non mi sognerei mai di avventurarmici senza una guida, come invece fanno
Tom e Becky.
“Le avventure di Tom Sawyer” è un romanzo che consiglio a tutti i ragazzi e ragazze della
mia età, in particolare a chi si annoia facilmente, perchè si può dire che questo sia un libro
fatto di molti libri: è sì un romanzo di avventura, ma contiene molti episodi comici, in un
capitolo si avvicina decisamente al genere horror, ci sono degli spunti che ricordano il giallo
(l’appostamento di Tom e Huck per scoprire le intenzioni dell’Indiano) e non manca
nemmeno la storia d’amore!
A proposito del capitolo “horror”, quello del cimitero, voglio sottolineare la bravura con cui
l’autore descrive l’ambiente utilizzando la tecnica dello “show, don’t tell”: “erbacce e
rampicanti avevano invaso il cimitero”, “un leggero soffio di vento passava gemendo tra gli
alberi”, “trovarono la fossa che stavano cercando, con la terra spianata di fresco”... sono
tutte espressioni che rendono l’atmosfera tenebrosa e inquietante e creano vera suspence!
Mentre leggevo avevo i brividi!
Un altro accorgimento che ho molto apprezzato è il modo con cui Mark Twain dissemina il
racconto di accenni ai pirati: un vero e proprio segnale “Ancora e ancora”. Infatti, se deciderà
di leggere il romanzo, scoprirà che questo continuo richiamo al mondo della pirateria non è
per niente casuale, anche se può sembrarlo, visto che la maggior parte dei ragazzi prima o
poi sogna di diventare un pirata e trovare un tesoro!
Un altro indizio che ritorna ancora e ancora è l’accenno a un’ipotetica morte di Tom: quel
birbante fantastica più di una volta di morire e si rammarica di non poter vedere le persone
piangere per lui! Beh, se vuole saperlo a un certo punto… ok, la smetto, perchè rischio di
rovinarle tutto il divertimento!
Immedesimarmi nelle avventure di Tom per me è stato molto facile, infatti ho passato
l’infanzia in un piccolo paesino di montagna, molto a contatto con la natura e libera di
scorrazzare per i boschi con i miei amici. Quando Twain descrive le finte battaglie tra i
ragazzi del villaggio, o quando accenna ai tesori nascosti dal protagonista sotto le radici
degli alberi, mi pare di rivivere le avventure immaginate assieme ai miei coetanei lungo le
rive del torrente Piova. Una volta siamo rimasti intrappolati per ore in una centrale
idroelettrica abbandonata ed allagata, perfetto set da film del terrore, prima di riuscire a
trovare un passaggio alternativo. Ricordo anche un’estate in cui abbiamo trovato un fienile
diroccato in mezzo al bosco e l’abbiamo eletto a nostro rifugio segreto. Dopo aver passato
ore e ore lì dentro a giocare agli esploratori e a raccontarci storie spaventose, abbiamo
scoperto che molti anni prima il proprietario si era impiccato alla trave portante del tetto.
Non siamo più riusciti ad avvicinarci a quel posto, ne eravamo terrorizzati!
Bene cara prof, non mi resta che consigliarle nuovamente la lettura di questo romanzo
davvero spassoso e coinvolgente. Non creda però che Mark Twain abbia voluto lasciare un
messaggio edificante ai suoi lettori: qui non troverà nessuna grande “lezione” da imparare,
solo la grande sete di avventura e i pensieri di un adolescente che, nonostante sia vissuto
lontano da qui (sia nel tempo che nello spazio) è molto simile a me e ai miei coetanei.
La saluto con un consiglio di Twain che pare fatto apposta per tutti gli adulti che si occupano
di educazione: “per indurre un uomo o un ragazzo a desiderare qualcosa, basta far sì che quella
cosa risulti difficile da ottenere”. Se lo ricordi, la prossima volta che dovrà decidere se proporci
un compito facile o uno difficile!
Con simpatia,
Loretta

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