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Bertoglio, Rascioni Tecniche professionali dei servizi commerciali 2 Approfondimento

Gli studi di organizzazione


1. UN QUADRO DI RIFERIMENTO
Il concetto di sistema aziendale rappresenta il risultato dell’evoluzione del pensiero
organizzativo nel corso del XX secolo. È opportuno quindi operare una classificazio-
ne che crei un quadro di riferimento utile per comprendere questa evoluzione, con
l’avvertenza che le idee e le teorie organizzative illustrate sono maturate essenzial-
mente nella realtà statunitense e solo in un secondo momento sono state recepite
negli altri Paesi. Ciò premesso, esaminiamo quale sia stata l’evoluzione degli studi di
organizzazione aziendale, con lo scopo di evidenziare, per ogni corrente di pensiero,
i punti salienti e i contributi offerti alla formazione dei principi e dei metodi oggi uti-
lizzati per organizzare l’impresa.

Due problemi Per poter meglio inquadrare la dinamica e le caratteristiche dei vari studi, si è rite-
fondamentali nuto opportuno esaminare l’evoluzione del pensiero organizzativo alla luce delle
risposte date, nel tempo, ai problemi della gestione del personale e della costru-
zione della struttura aziendale: la tematica centrale del primo problema è l’indi-
viduazione del modo migliore per far lavorare gli uomini, mentre nel secondo caso si
tratta di definire come far funzionare nel suo complesso l’azienda.

Tre epoche Partendo da questo duplice filo conduttore è possibile individuare tre epoche stori-
che caratterizzate, ciascuna, da una precisa filosofia organizzativa di fondo:
• l’epoca della razionalità: in questo periodo, compreso tra la fine dell’Ottocento
e il 1930, la costruzione della struttura dell’impresa e la gestione del fattore lavoro
avvengono alla luce della convinzione che sia possibile stabilire scientificamente
qual è il miglior modo di svolgimento delle varie attività aziendali, con la possibilità
di definire “a tavolino” anche i minimi dettagli di quanto dovrà essere concreta-
mente realizzato da ciascun lavoratore;
• l’epoca delle scienze sociali: a partire dal 1930 avviene la riscoperta del ruolo
dell’uomo nell’organizzazione e dell’importanza del suo coinvolgimento attivo nello
svolgimento di qualsiasi attività utile alla vita dell’impresa;
• l’epoca dell’eccellenza: nell’ultimo quarto del Novecento matura la convinzione
che l’azienda possa reggere alla sfida della concorrenza solo puntando alla eccellenza.
Partendo da questo assunto, i teorici e gli esperti di organizzazione hanno evidenzia-
to l’importanza strategica della risorsa umana e hanno individuato una molteplicità di
proposte atte a dare la migliore risposta ai problemi gestionali dell’impresa.

2. L’EPOCA DELLA RAZIONALITÀ


Hanno caratterizzato questa epoca: la scuola dell’organizzazione scientifica del
lavoro e la teoria dell’amministrazione generale di impresa.

L’organizzazione scientifica del lavoro


L’organizzazione scientifica del lavoro (scientific management) si sviluppa negli Stati
Uniti, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, a opera di ingegneri che affrontano il
problema di assicurare maggiore efficienza e sicurezza ai processi produttivi
dei grandi complessi industriali.
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Viene unanimemente riconosciuto capofila di questa corrente Frederick Taylor


(1856-1915), che in una serie di opere (la più famosa è The Principles of Scientific
Management, New York, Harper & Row, 1911) delineò le condizioni per assicurare la
massima efficienza alle attività di produzione.

I principi Il suo pensiero si articola in tre principi fondamentali:


fondamentali
1. l’applicazione di un approccio scientifico nello studio dei metodi e dei
tempi di lavoro. Taylor era convinto che per raggiungere i migliori risultati di pro-
duzione, in termini di quantità e di qualità di prodotto ottenuto, fosse necessario indi-
care esattamente al lavoratore come e in quanto tempo svolgere il proprio lavoro. Per
raggiungere questi risultati era dunque necessario studiare scientificamente le fasi
del processo produttivo, suddividerle in una serie di attività elementari nelle quali
specializzare i singoli lavoratori, indicando loro come e in quanto tempo dovevano
concretamente essere attuate; inoltre, l’attività produttiva doveva svolgersi utilizzan-
do strumenti di lavoro appositamente progettati per ridurre il carico di fatica fisica del
lavoratore migliorandone sia la produttività sia la sicurezza sul posto di lavoro;
2. la proporzionalità dei salari al rendimento. La standardizzazione dei metodi
di lavoro e la conseguente possibilità di assegnare tempi massimi per l’esecuzione
delle varie attività avrebbero permesso, secondo Taylor, di riconoscere un salario
maggiore a quei lavoratori che fossero riusciti a ottenere risultati superiori a un
limite prefissato. È questo il concetto di cottimo, che lega la remunerazione del
lavoro ai risultati ottenuti;
3. la separazione tra la programmazione del lavoro e la sua esecuzione. La
chiave di volta del sistema tayloristico risiede in questo punto. Taylor era convin-
to che bisognasse accuratamente progettare e programmare qualsiasi aspetto del-
l’attività produttiva e che questo compito non potesse essere svolto da chi poi
avrebbe dovuto eseguire materialmente l’attività stessa. Nelle fabbriche non c’era
più spazio per l’operaio-artigiano, ma era compito di chi aveva particolari abilità
funzionali individuare quale fosse il miglior modo in assoluto per svolgere il lavo-
ro (fermo restando che vi era la convinzione di poter sempre individuare one best
way nello svolgimento di qualsiasi attività). Taylor, quindi, teorizzava un’officina
nella quale gli esecutori ricevessero contemporaneamente ordini da più capi (ne
erano previsti un massimo di otto), ognuno dei quali specializzato in un aspetto
dell’attività produttiva: in particolare, un gruppo di capi si sarebbe specializzato
nell’attività di studio e di programmazione del lavoro e un secondo gruppo sareb-
be stato addetto alla conduzione del lavoro di officina.
Una stretta Alla base delle idee di Taylor vi era la convinzione che ci fosse una stretta relazione
relazione tra le motivazioni del lavoratore e gli obiettivi dell’impresa e che lo scientific mana-
gement rappresentasse la soluzione ai problemi di entrambi: il primo puntava, infat-
ti, a un maggiore salario per sconfiggere la povertà, la seconda ricercava maggiori
utili. L’ottenimento di una maggiore efficienza e produttività era la soluzione ottima-
le per il raggiungimento dei risultati sperati, in quanto avrebbe permesso al lavorato-
re di guadagnare di più e faticare di meno, grazie al cottimo e allo studio scientifico
dei metodi e degli strumenti di lavoro, mentre l’impresa avrebbe raggiunto risultati
reddituali massimi grazie alla razionalizzazione del lavoro in officina.

I vantaggi In effetti, ancora oggi vengono riconosciuti alla teoria di Taylor numerosi aspetti
positivi, e in particolare:
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• il riconoscimento dell’importanza dell’attività di programmazione e di standardizza-


zione del lavoro al fine del raggiungimento dell’efficienza del processo di manufac-
turing;
• l’attenzione alla ricerca del metodo migliore per l’esecuzione delle attività e quindi
l’ottenimento di una maggiore produttività della risorsa lavoro;
• attraverso la semplificazione e la parcellizzazione dell’attività lavorativa, la possi-
bilità di dare un lavoro anche a chi è privo di una professionalità specifica.
I punti Ma accanto ai punti di forza della teoria di Taylor sono numerosi gli aspetti negativi,
di debolezza aspetti che furono drammaticamente evidenziati dal comportamento organizzativo di
imprese che sfruttarono cinicamente la razionalizzazione del lavoro al solo fine di innal-
zare la redditività aziendale. In particolare si evidenziarono ben presto i seguenti limiti:
• la iperspecializzazione del lavoratore comporta automaticamente l’impoverimento
delle mansioni e il superamento della figura del lavoratore-artigiano che autono-
mamente progetta ed esegue il lavoro. Questo determina frustrazione e insoddisfa-
zione nei dipendenti;
• si afferma la dipendenza uomo-macchina, con il lavoratore che diventa una sorta di
appendice, un ingranaggio, della macchina; la catena di montaggio diventa la vera
protagonista dell’officina;
• il lavoro diventa alienante, causa disagi psicologici ed estraniazione nel lavoratore.

La teoria dell’amministrazione generale di impresa


Mentre l’attenzione di Taylor fu rivolta all’organizzazione del lavoro in fabbrica, gli
studi di Henri Fayol (1841-1925), ingegnere minerario francese divenuto direttore
generale di una grande compagnia, abbracciarono un ambito più elevato e si occu-
parono della gestione complessiva dell’impresa.

Fayol assimilò l’azienda a un organismo vivente, che sopravvive solo se vengono svol-
te, al suo interno, determinate operazioni.
Nella sua Administration industrielle et générale del 1916, Fayol identificò sei gruppi
di operazioni, che danno origine ad altrettante attività o funzioni, indispensabili per
la gestione dell’impresa:
Sei funzioni 1. le operazioni tecniche: si concretizzano nella programmazione e nell’attuazione
fondamentali della produzione (di beni e servizi);
2. le operazioni commerciali: hanno per scopo la gestione degli acquisti e delle
vendite;
3. le operazioni finanziarie: con esse avvengono la ricerca e la gestione dei capi-
tali necessari all’azienda;
4. le operazioni di sicurezza: hanno lo scopo di proteggere le persone e i beni pre-
senti in azienda;
5. le operazioni di contabilità: si concretizzano nella gestione delle informazioni,
di vario tipo, che permettono di tenere “sotto controllo” l’andamento aziendale;
6. le operazioni direttive: si esprimono nella programmazione, organizzazione,
comando, coordinamento e controllo della gestione aziendale in generale e delle
risorse umane in particolare.
Fayol sostenne inoltre l’esigenza che coloro che prestano la propria opera in azienda
abbiano, sia pure con diversa intensità, competenze e abilità in tutte queste funzioni,
comprese le funzioni direttive, per poter svolgere adeguatamente gli incarichi ricevuti.
Infatti, ciascun ruolo organizzativo si caratterizza per un nucleo professionale forte,
che esprime la specializzazione funzionale richiesta al lavoratore, ma viene adeguata-
mente coperto solo con il possesso, in diversa misura, di abilità nelle altre funzioni.

La funzione La funzione di direzione si esplica attraverso cinque precise attività:


direttiva
1. la programmazione (predefinizione delle linee di azione da seguire);
2. l’organizzazione (costruzione della struttura gerarchica);
3. il comando (guida del personale operante in azienda);
4. il coordinamento (armonizzazione dell’azione dei componenti la struttura);
5. il controllo (verifica che tutto proceda come previsto dal programma e nel rispet-
to degli ordini impartiti).
Fayol sosteneva che l’esercizio corretto di questa funzione dovesse avvenire attraver-
so l’applicazione di una serie di principi che costituiscono un riferimento preciso per
il comportamento atteso di ogni dirigente. Tra essi ricordiamo i seguenti:
Alcuni principi • l’autorità e la responsabilità: il potere di prescrivere ad altri determinati com-
portamenti discende dal ruolo ricoperto ed è ciò che caratterizza l’autorità gerar-
chica; il dirigente deve però possedere anche un altro tipo di autorità, l’autorità per-
sonale, che è frutto del suo carisma, della sua attitudine a essere un leader. Dalla
autorità ricevuta discende la responsabilità che si ha nella gestione aziendale;
• l’unità di comando: Fayol era convinto che «una persona non deve ricevere ordini che
da un solo capo». In questo principio, la sua teoria si stacca nettamente dalle idee di
Taylor, che sosteneva la necessità di un modello organizzativo di tipo funzionale in base
al quale ogni esecutore dipende contemporaneamente da più capi. La presenza di più
capi dava infatti origine a conflitti nella conduzione dell’attività, con conseguente diso-
rientamento dei lavoratori subordinati ai quali mancava un preciso punto di riferimento;
• l’unità di direzione: le parole di Fayol a questo proposito sono un vero e proprio
slogan: «Un solo capo e un solo programma per un insieme di operazioni che mirano
a un unico scopo»;
• la subordinazione degli interessi particolari all’interesse generale: i diri-
genti devono essere consapevoli che gli interessi particolari di chi opera nell’im-
presa passano in secondo piano rispetto all’interesse più generale dell’azienda nel
suo complesso;
• la gerarchia: è alla base del fluire delle comunicazioni e dei rapporti tra gli organi
operanti in azienda. In base a questo principio, le unità organizzative devono, salvo
particolari eccezioni, comunicare tra di loro rispettando la scala gerarchica e affi-
dare sistematicamente ai propri superiori i messaggi destinati ad altri organi. Sarà
compito dei dirigenti fare in modo che, con una serie di passaggi lungo i gradini
gerarchici, la comunicazione giunga al destinatario finale. È ovvio che alla luce di
questa impostazione ciascun superiore potrà coordinare e controllare un numero
non eccessivo di subordinati, con un’ampiezza di controllo che normalmente è
compresa tra un minimo di tre soggetti e un massimo di otto;
• la stabilità del personale: nell’impresa teorizzata da Fayol c’è pochissimo spazio
per la mobilità del personale, che tendenzialmente deve essere utilizzato nel ruolo
per il quale è stato assunto. Nel contempo, deve essere favorita la permanenza del
personale in azienda, riducendo al minimo il turnover;
• la coesione del personale: l’Autore era consapevole che l’unione del personale è
una condizione imprescindibile per la sopravvivenza dell’azienda. Per questo motivo
i dirigenti devono coinvolgere e sensibilizzare il personale sugli obiettivi aziendali.
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In disaccordo Fayol completava la mappa dei principi raccomandando intelligenza e misura nella
con Taylor loro applicazione, soprattutto perché, e qui la differenza con Taylor è abissale, «non
capita mai di dover applicare lo stesso principio in condizioni identiche», negando
quindi l’eventualità che vi sia sempre un sola possibilità per svolgere nel modo otti-
male un determinato compito.

L’attualità Le idee di Fayol sono tuttora di grande attualità e i suoi principi rappresentano la base
del pensiero per la maggior parte dei sistemi direttivi applicati dalle aziende occidentali; è curioso,
di Fayol inoltre, notare che questa teoria bene si adatta alla tradizione e alla cultura giappo-
nese, per le quali la subordinazione degli interessi particolari all’interesse generale e
l’unione del personale sono alla base della struttura organizzativa aziendale.

3. L’EPOCA DELLE SCIENZE SOCIALI


Rientrano in questo contesto: la scuola delle relazioni umane e gli studi motivazionali.

La scuola delle relazioni umane


Il pensiero organizzativo scientifico non era condiviso da tutti gli studiosi, anzi vi
erano dubbi concreti sulla validità di teorie fondate sul presupposto che l’attività pro-
duttiva dipenda unicamente dalle condizioni tecniche di svolgimento del lavoro o che
la definizione della struttura organizzativa consista semplicemente nella assegnazio-
ne di responsabilità individuali e nella distribuzione del potere.
Le perplessità di carattere teorico erano inoltre supportate dalla realtà di molte azien-
de che pur applicando fedelmente i dettami della teoria non riuscivano a ottenere sen-
sibili miglioramenti produttivi.

La ricerca In questo quadro di parziale scetticismo si inserisce l’esperienza compiuta presso il


di Mayo, psicologo complesso industriale della Western Electric da un gruppo di studiosi di Harvard (l’u-
niversità, per inciso, che per prima aveva introdotto negli USA corsi di ingegneria e
dalla quale provenivano molti studiosi dello scientific management), guidato da uno
psicologo, Elton Mayo.
Il top management della Western Electric era infatti insoddisfatto dei livelli di effi-
cienza e di produttività riscontrati nei reparti produttivi e voleva capire come miglio-
rarli: per questo motivo commissionò una ricerca che durò complessivamente cinque
anni (1927-1932).

La mancanza Il gruppo di studio partì dal presupposto che i risultati mediocri in termini di efficien-
di collegamento za e di produttività riscontrati negli stabilimenti della società dipendessero da fattori
logico tecnici e in particolare da non perfette condizioni di luminosità dell’ambiente di lavo-
ro: applicando gli insegnamenti tayloristici furono fatti vari interventi, aumentando in
varia misura la quantità di luce presente nei reparti e, successivamente, diminuendola.
In tutti i casi si notò un sensibile aumento della produttività, senza riuscire,
però, a stabilire un collegamento logico con il tipo di intervento effettuato. La ricerca
proseguì ipotizzando che fossero altre le variabili che incidevano sui risultati produtti-
vi, in particolare la lunghezza della giornata lavorativa, il numero e la durata delle pause
durante i turni di lavoro, e quindi venne decisa l’effettuazione di interventi in questa
direzione all’interno di uno specifico reparto. Anche in questo caso si ottennero sensi-
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bili aumenti della produttività del reparto, ma senza che ciò fosse in relazione con uno
specifico intervento: maturò così il convincimento che il miglioramento produttivo
dipendesse unicamente dal fatto che i lavoratori si sentivano al centro dell’attenzione dei
ricercatori e che pertanto fosse questa la causa dell’incremento della produttività.

L‘importanza A questo punto gli studiosi concentrarono la loro attenzione sulle dinamiche di grup-
del gruppo po, mettendo sotto osservazione per sei mesi una squadra di lavoratori. Si poté così
verificare che l’importanza del singolo passa in secondo piano rispetto alla
importanza del gruppo, che nel gruppo esiste un codice di comportamento inter-
no suo proprio e che in ogni gruppo vi è la presenza di uno o più leader natu-
rali, dotati di autorità morale e capacità di leadership, a capo di un’organizzazione
informale, cioè non prevista ufficialmente ma perfettamente operante.

La ricerca, in particolare, evidenziò che: i ritmi e i volumi di produzione riflettono le moti-


vazioni del lavoratore; il comportamento del lavoratore si spiega se lo si considera come ele-
mento di un gruppo, piuttosto che come individuo singolo; nei gruppi di lavoratori, oltre
alla leadership formale che si concretizza nella presenza di responsabili ufficiali quali il
caposquadra, si formano leadership informali volute e rispettate dai componenti il gruppo.

Questi risultati furono ulteriormente confermati dall’osservazione empirica che i diri-


genti dei gruppi che ottenevano le migliori performance ponevano in primo piano l’a-
spetto umano e puntavano alla realizzazione di un rapporto armonioso con i leader
informali operanti nell’area affidata alla loro responsabilità; viceversa, i gruppi che
ottenevano scarsi risultati in termini di produttività erano affidati alla guida di mana-
ger che davano la massima importanza all’applicazione dei regolamenti e alla stretta
osservanza delle disposizioni gerarchiche.

Gli studi motivazionali


Successivamente al consolidarsi della corrente delle relazioni sociali, si svilupparono
negli anni 1950 e 1960 studi incentrati sulle implicazioni psicologiche e sociologiche
tipiche del rapporto di lavoro, che misero in luce concetti oggi ampiamente accolti
nella progettazione dell’organizzazione aziendale, quali l’autorealizzazione degli
individui e la significatività del contenuto del lavoro. Molti autori effettuarono
ricerche in questa direzione, alcuni sviluppando maggiormente la dimensione psico-
logica del rapporto individuo-lavoro-azienda, altri le implicazioni sociologiche.

Chris Argyris
Chris Argyris incentra la sua attenzione sul concetto di maturazione della persona-
lità dell’individuo, con lo scopo di verificare se l’organizzazione del lavoro tradiziona-
le sia compatibile con questo aspetto della dimensione psicologica del lavoratore.

La maturazione L’individuo, “normalmente”, compie, nel passaggio dall’età infantile a quella adulta,
della personalità un percorso di maturazione con il quale diventa progressivamente attivo, indi-
pendente, riflessivo nei giudizi e nei comportamenti, attratto da interessi via via più
profondi, capace di elaborare progetti per il futuro, desideroso di indipendenza
(o portato a giudicare negativamente la dipendenza da altri soggetti), cosciente del
suo essere in grado di autogestirsi in tutto. Se questo è il quadro psicologico
della personalità di un lavoratore “normale”, conclude Argyris, le organizzazioni tra-
dizionali, incentrate sulla iperspecializzazione, sul principio gerarchico, sulla ridotta
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ampiezza di controllo e sulla conseguente limitazione della autorità delegata, non


possono contribuire allo sviluppo della personalità dell’individuo che, di conseguen-
za, offrirà un contributo ridotto alla prosperità e allo sviluppo dell’impresa.

Douglas McGregor
Due concezioni Douglas McGregor sostiene che la natura umana può essere concepita in due modi
della natura diametralmente opposti. Secondo una prima concezione, l’uomo è per sua natura
umana un essere pigro, passivo e irresponsabile: se chi si occupa di organizzazione
aziendale ha questa certezza, deve gestire il fattore lavoro senza dare spazio a com-
portamenti soggettivi dei lavoratori e prevedere solamente attività scientificamente
analizzate e rigidamente prescritte, così come teorizzato dalla scuola classica.
Completamente diversa la seconda concezione, basata sulla convinzione che l’uomo
è, per sua natura, desideroso di fare, attivo e con senso di responsabilità: se il
lavoratore non è in linea con questa descrizione, è solo perché le esperienze compiute
in azienda sono state negative e hanno inciso profondamente sul suo comportamento,
portandolo a fingere di lavorare, a non far nulla senza aver ricevuto un ordine preciso,
a non preoccuparsi dei problemi aziendali ma a pensare solo a risolvere i propri.
Sulla base di questa seconda concezione, l’azienda ha dunque la possibilità di agevolare
il raggiungimento dei propri obiettivi sfruttando le positive predisposizioni dei lavoratori,
coinvolgendoli nella definizione delle attività da svolgere e dei risultati cui tendere.

Abraham Maslow
Abraham Maslow sviluppa uno studio approfondito sui bisogni dell’uomo e individua,
al loro interno, una gerarchia che si sviluppa su cinque livelli:

ALTO bisogni di
autorealizzazione
bisogni di stima
Livello
bisogni sociali
dei bisogni bisogni
di sicurezza
bisogni fisiologici

BASSO
Evoluzione temporale

La suddivisione Secondo Maslow, la suddivisione dei bisogni in livelli tiene conto della loro crescen-
in livelli dei bisogni te importanza per l’equilibrio e la soddisfazione psicologica dell’individuo, per cui al
umani crescere del livello cresce l’importanza psicologica del relativo bisogno:
• livello più basso: i bisogni fisiologici o primari, dai quali dipende la sopravvi-
venza fisica dell’individuo (alimentazione, riparo dalle intemperie, riposo ecc.);
• secondo livello: i bisogni di sicurezza, legati alla necessità di essere tutelati, per esem-
pio, in caso di malattia, infortunio, disoccupazione e al termine della vita lavorativa;
• terzo livello: i bisogni sociali, ovvero il desiderio di far parte di un gruppo e di una
collettività;
• quarto livello: i bisogni di autostima e di stima da parte di altri soggetti. È
un bisogno di alto livello che esprime l’esigenza dell’individuo di avere un buon rap-
porto con l’ambiente in cui vive;
• ultimo livello: il bisogno di autorealizzazione. È l’espressione dell’esigenza del-
l’individuo di riuscire a essere e a fare quanto da lui intimamente desiderato.
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I bisogni di un livello sono avvertiti solo se sono già stati durevolmente sod-
disfatti i bisogni di livello inferiore: l’individuo avvertirà il bisogno di essere tute-
lato contro le malattie solo dopo che avrà stabilmente risolto il problema dell’alimen-
tazione, del vestiario e dell’abitazione; inoltre, un bisogno insoddisfatto costituisce la
molla che spinge l’uomo a fare di più, nella ricerca del suo soddisfacimento.

La realtà Estendendo queste riflessioni alle realtà aziendali Maslow conclude che l’organizzazio-
organizzativa ne del fattore lavoro nella società industriale del tempo riesce a soddisfare i bisogni di
livello inferiore dei lavoratori, ma non dà risposte valide al soddisfacimento dei bisogni
di livello superiore: la conseguenza di questa realtà è uno stato di insoddisfazione
per i lavoratori che vedono frustrato il desiderio di stima e di autorealizzazione.

Frederick Herzberg
Frederick Herzberg sviluppa l’opera di Maslow e, partendo dalla suddivisione in cinque
livelli dei bisogni umani, procede al loro studio per individuarne la concreta influenza sul
comportamento del lavoratore in azienda. Dopo una serie di esperienze sul campo, egli
suddivide i bisogni umani in due gruppi, i bisogni inferiori e i bisogni superiori.

I bisogni inferiori I bisogni inferiori, costituiti dai bisogni del primo e del secondo livello della scala di
Maslow, hanno la caratteristica che in caso di mancato soddisfacimento procurano
forte insoddisfazione, ma, in caso positivo, non rappresentano un fattore di stimolo e
di motivazione particolarmente rilevante.

I bisogni superiori Gli altri bisogni, raggruppati nella categoria dei bisogni superiori, hanno caratteristi-
che inverse: in caso di mancato soddisfacimento comportano al soggetto una mode-
rata insoddisfazione, mentre nel caso di risposte positive motivano e gratificano for-
temente il lavoratore. Applicando queste considerazioni alla gestione della risorsa
lavoro, Herzberg consiglia di prestare la massima attenzione al fatto che il personale
riesca a soddisfare i propri bisogni di carattere superiore, anche perché in caso di
mancato soddisfacimento i dipendenti potrebbero intraprendere azioni per dare mag-
giore appagamento a bisogni di carattere inferiore, anche se questi fossero già suffi-
cientemente soddisfatti. È questo il caso che si verifica quando il personale, insod-
disfatti i bisogni di stima e di autorealizzazione, preme per aumenti salariali, anche in
presenza di retribuzioni già assestate su buoni livelli.

L‘importanza degli Il grande merito degli studi di Herzberg è stato dunque l’aver evidenziato
studi di Herzberg l’importanza dell’attività lavorativa quale elemento che origina stima e auto-
realizzazione.
Ed è in base ai suoi studi che oggi si pone grande attenzione alla riorganizzazione
delle condizioni di svolgimento del lavoro in azienda, con interventi mirati a creare,
in particolare, situazioni di:
• job enlargement: essa consiste in un allargamento dei compiti affidati al lavora-
tore, ricompattando attività un tempo assegnate a più operatori nell’applicazione
del principio di specializzazione del lavoro;
• job enrichment: funzione di questa soluzione organizzativa è quella di stimolare
adeguatamente il lavoratore, responsabilizzandolo anche in sede di programmazio-
ne e di controllo della propria prestazione;
• work group: l’affidare una fase completa del ciclo di lavorazione a un gruppo di
addetti, anziché procedere alla ripartizione dell’attività tra singole postazioni di
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lavoro, è un’ulteriore via per responsabilizzare il personale, sollecitando il raggiun-


gimento di risultati collettivi di alto livello in termini di qualità, rispetto dei tempi
di produzione, aumento della efficienza e della produttività complessive.

4. L’EPOCA DELL’ECCELLENZA
Negli ultimi trent’anni c’è stato un ricco fiorire di studi e teorie manageriali mirati alla
individuazione di strategie da utilizzare per risolvere in modo organico i problemi che,
a vario livello, caratterizzano la gestione dell’impresa e ottenere una struttura che
possa emergere positivamente dalla competizione concorrenziale. Oltre alle idee
manageriali di Tom Peters sull’eccellenza e di Michael Porter sul vantaggio competiti-
vo, sviluppate in altre parti del volume, ricordiamo sinteticamente alcune strategie
manageriali ampiamente usate anche dalle aziende italiane.

L’approccio Affermatosi negli ultimi anni sulla base degli studi di Oliver E. Williamson, l’ap-
“mercati proccio “mercati e gerarchie” rappresenta una evoluzione nel modo di affrontare i
e gerarchie” problemi organizzativi aziendali.

Una scelta Anziché considerare come passaggio chiave della costruzione della struttura azienda-
di fondo le la scelta dell’assetto organizzativo interno, gli studiosi di questo indirizzo ritengono
preliminare più importante effettuare preliminarmente una scelta di fondo tra la esecuzione
all’interno dell’azienda di determinati processi e il ricorso al mercato attraverso
atti di scambio.

La scelta La scelta tra la esecuzione interna (“gerarchia”) e il ricorso al mercato (“mercato”)


tra “gerarchia” avviene mettendo a confronto le conseguenze e le opportunità economiche insite nel-
e “mercato” l’utilizzo di personale dell’azienda per la realizzazione di processi (di produzione e di
commercializzazione, in particolare) con i risultati derivanti dalla gestione delle risor-
se a disposizione basata, totalmente o parzialmente, sul ricorso a terze economie.

Valorizzazione L’approccio “mercati e gerarchie” rappresenta una concreta applicazione del concetto di
del concetto azienda come sistema aperto ed è stato accolto con molto favore dalle imprese, soprat-
di azienda come tutto quelle maggiormente orientate al marketing e alla internazionalizzazione della
sistema aperto competizione economica. Queste imprese hanno impostato la loro gestione in tre
direzioni complementari e integrate:
1. utilizzo di sistemi informativi sempre più duttili e affidabili, in grado di
assicurare collegamenti in tempo reale tra l’impresa e le realtà a essa collegate e
all’interno dell’azienda stessa;
2. valorizzazione delle risorse umane a disposizione, soprattutto quelle di livello
manageriale, con ampio e sistematico ricorso alla delega di autorità;
3. realizzazione di importanti fasi del ciclo produttivo affidata a terze eco-
nomie.
L’impresa-rete Utilizzando queste soluzioni organizzative, si è sviluppato un tipo di impresa, deno-
minato “impresa-rete”, destinato a ricoprire il ruolo di motore e riferimento prin-
cipale per un’ampia serie di aziende a essa collegate, dando origine a un vero siste-
ma di imprese che accettano e fanno proprie le premesse organizzative e la filoso-
fia gestionale della “impresa madre”.
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L’outsourcing Evoluzione dell’approccio “mercati e gerarchie”, l’outsourcing consiste nella ester-


nalizzazione, cioè nell’affidamento ad aziende esterne, di attività considerate non
strategiche per lo sviluppo dell’impresa o la cui gestione interna è ritenuta troppo
onerosa. Se nella old economy questa strategia è scelta per la riduzione di determina-
ti costi o per snellire la struttura aziendale cedendo rami e settori dell’impresa non
essenziali, nella new economy l’outsourcing è considerato un’arma strategica che per-
mette alle aziende di demandare ad altri operatori, al limite, tutte le fasi del ciclo pro-
duttivo per concentrarsi sul marketing e sui servizi al cliente.

Il quality Il quality management si basa sulla convinzione che il successo (e la sopravviven-


management za stessa) dell’impresa non discenda solo dalla sua capacità di offrire al mercato pro-
dotti e servizi di qualità, ma richieda un processo di miglioramento continuo e siste-
matico che coinvolga l’intera azienda, in tutte le sue attività ed espressioni.

Il reengineering Secondo la definizione di Michael Hammer e James Champy (Ripensare l’azienda,


Sperling & Kupfer, Milano) il reengineering consiste «nel ripensamento di fondo e
nel ridisegno totale dei processi aziendali finalizzati a realizzare straordinari migliora-
menti nei parametri critici delle prestazioni, come i costi, la qualità, il servizio e la rapi-
dità». Alla base di questa impostazione vi è la concezione del lavoro dell’uomo come
risorsa strategica, fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi che vengono
individuati con l’attività di ripensamento dei processi aziendali.

L’empowerment Il raggiungimento degli obiettivi aziendali è facilitato dal coinvolgimento attivo e con-
vinto dei lavoratori: l’empowerment teorizza l’assegnazione di una maggiore autono-
mia decisionale al personale e il riconoscimento dell’importanza dell’iniziativa indivi-
duale nello svolgimento delle attività dell’impresa.

Il benchmarking Il raggiungimento di risultati migliori è facilitato dalla comparazione con le aziende


che già sono migliori: la filosofia del benchmarking è incentrata sul concetto di con-
fronto, da attuarsi con le aziende che sono dotate di strutture e procedure che assi-
curano loro un vantaggio competitivo. È importante notare che tale confronto è con-
cordato e accettato dall’azienda “modello”.

La lean production La lean production (produzione snella) è un modello organizzativo che si avvale dei
punti di forza del sistema artigianale (alta professionalità e attenzione alle esigenze
del cliente) e delle moderne tecniche di produzione (alta produttività e tecnologie
flessibili). Questo modello organizzativo è alla base di una serie di tecniche manage-
riali mediante le quali è possibile gestire al livello minimo le scorte di materie prime,
di semilavorati e di prodotti finiti (la tecnica del just in time), ridurre il tempo neces-
sario per la ideazione, progettazione e realizzazione di nuovi prodotti (la timed based
competition) e, più in generale, assicurare la massima soddisfazione al cliente (la tec-
nica della customer satisfaction).

La mass Elaborata come risposta alla crisi dei consumi di massa e al pericolo che l’offerta
customization dell’azienda perda il requisito dell’interesse per un mercato frammentario ed esi-
gente, la mass customization, o personalizzazione di massa, è incentrata sulla
necessità di dotare l’azienda produttrice di beni di largo consumo di strumenti che
le permettano di personalizzare, variare e adeguare la propria offerta alle richieste
dei singoli clienti.
Bertoglio, Rascioni Tecniche professionali dei servizi commerciali 2 Approfondimento

ipassiamo con gli schemi

STUDI
DI ORGANIZZAZIONE
AZIENDALE

SCIENTIFIC Taylor
MANAGEMENT
EPOCA
DELLA RAZIONALITÀ
1900-1920/30
AMMINISTRAZIONE
Fayol
GENERALE

RELAZIONI
Mayo
UMANE
EPOCA
DELLE SCIENZE SOCIALI
1930-1960
STUDI Argyris, McGregor,
MOTIVAZIONALI Maslow, Herzberg

APPROCCIO Williamson
EPOCA MERCATI-GERARCHIE
DELL’ECCELLENZA
1960-2000

NUOVE TENDENZE Impresa-rete

outsourcing
quality management
reengineering
empowerment
benchmarking
lean production
mass customization

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