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Bernhard Waldenfels

Creatività
responsiva
11S CHrBBOL ETH
Indice

L'età assiale.
Un dibattito scientifico sulla trascendenz.a p.9
1. L'età assiale: termine, idea, significato p.13
2. Lasaulx e la lipresa della sclittura del-
la storia universale clistiana p.34
3. Max vVeber: profezia, magia e sacra-
mento p.42
4. Karl Jaspers: comunicazione sulla tra-
scendenza p.58
5. Età assiale e stato arcaico p.68
6. Conclusioni p.97
Postfazione all'edizione italiana p. 101
9

«Nelle crepe e ai niargini del quotidiano»:


la creatività responsiva di
Bernhard Waldenfels

Saggio introduttivo di Roberta Guccinelli

Un problema filosofico ha la forma: «Non


mi ci raccapezzo».
(Ludwig Wittgenstein,
Ricerche .filoso.fiche )1

1. L'esperienza che sorprende


Se esiste un filosofo nel panorama culturale con-
te1nporaneo capace di provare stupore nel cuo-
re stesso dell'esperienza, allora quel filosofo è
Be111hard \Valdenfels, Professore Emerito all'U-
niversità di Bochum e fenomenologo di fama in-
ternazionale. Si tratta di un'esperienza, quella da
cui 1nuove il pensatore tedesco, che sotto forma
di "evento" (Ereignis), ossia accadendo, prima

1. L. \ì\Tittgenstein, Ricerche filoso.fiche, tr. it. di R. Piovesan,


a cura di M. Trinchero, Einaudi, Tmino 1983, § 123, p. 69.
10

ancora che se ne possa prendere "coscienza", si


esprime nella sua radicale estraneità. Nell'espe-
rienza in generale, non al di là di essa, irrom-
pe l'inatteso. Lo stupore in seno ali' esperienza
nasce in questo feno1nenologo sui generis da
quanto, coinvolgendolo, sottraendosi nondime-
no alla sua presa, diviene visibile e udibile. Egli
compie pertanto in 1nodo nuovo l'antico gesto
senza il quale la filosofia non sarebbe mai nata:
rispondendo non ad altri, semplicen1ente, ma a
qualcuno/qualcosa che, interpellandolo e riven-
dicandolo, avanzando una pretesa, se ne separa
e gli sfugge come la soluzione di un enigma a
portata di mano, in apparenza, o come un no-
1ne che rimane sulla punta della lingua. Nella
"straordinaria" capacità di n1eravigliarsi nell' e-
sperienza Waldenfels si avvicina, fatte salve le
peculiarità di metodo e pensiero, alla fenime
philosophe "présente à son temps" che è stata
Jeanne Hersch2 •
È proprio dell'essere u1nano stupirsi, secondo
Hersch. Non è una prerogativa dei soli filosofi.
Non è facile però risvegliarsi dall' ottundin1ento

2. Cfr. J. Hersch, Storia della .filosofia come stupore, tr. it.


di A. Bramati, Brnno Mondad01i, Milano 2002.
11

dei sensi e dall'indifferenza in cui si spengono le


nostre esistenze nel cieco e sordo vivere di ogni
giorno quando, sulla disponibilità alla scoperta,
vincono l'appiattimento sull'ordinario e la sen-
sazione di non avere più nulla da trovare. Non
sempre è agevole scrollarsi di dosso abitudini
incallite o avere il coraggio, in altre circostanze,
di scendere dalle nuvole sulle quali ci siamo ar-
rampicati nutrendo le nostre illusioni, le nostre
distrazioni e presunzioni, nuvole candide che
ci lasciano fluttuare al di sopra del inondo e di
noi stessi, ma non ci penuettono di vedere la
terra, dalle loro altitudini, che in maniera sfo-
cata. Esse danno la falsa sensazione che nulla di
nuovo possa attecchire dal basso. Non è facile
rimettere la propria testa su un corpo radicato
nel terreno della realtà e attraversato dal tem-
po, condizionato dallo spazio, esposto, di con-
seguenza, agli assalti della vita. Occorre avere
fegato per lasciare che la «ricchezza disperante
e 1ueravigliosa del mondo in cui vivia1uo» 3 ci
colga di sorpresa. Per potersi imbattere, quan-

3. J. Hersch, Perché scrive?, in Ead., La nascita di Eva.


Saggi e racconti, tr. it. di F. Leoni, pref. di J. Starobinski,
nota di R. De Monticelli, Interlinea, Novara 2000, pp. 55-
58: p. 57.
12

do meno ce lo si aspetti, nell'extra-ordinario o


straordinario, in ciò che non lascia indifferenti
e si fa strada, con parole waldenfelsiane, «nelle
crepe e ai 1nargini del quotidiano»4 , nelle sue
zone di confine.
I filosofi c01ne Waldenfels non linunciano alla
proplia vocazione: non si allontanano dalla kan-
tiana «fertile bassura [bathos] dell'esperienza»
sensibile5 • Rispondono anzi alle li chieste e alle
ingiunzioni che provengono dalle cose, o me-
glio, dal loro carattere d'invito (Aufforderungs-
charakter) o di repulsione, come insegnano gli
psicologi della Gestalt - We1theimer, Kohler,

4. Infra, p. 150. Sullo "sh·aordinario", cfr. B. \1/aldenfels,


Estraneo, straniero, straordinario. Saggi cli fenomenologia
responsiva, a cura di U. Perone, trascrizione, redazione, tr.
(sesto capitolo) di F.G. Menga e A. Altobrando, inte1vento
redazionale di A. Pastore, note a cura di A. Alison et al.,
Rosenberg & Sellier, Torino 2011, § 3.28; si cita dall'ed.
online: https://books.openedition.orglres/634?lang=it.
5. Cfr. ad esempio, B. ~ 1aldenfels, Homo respondens, tr.
fr. di A. Aulaniers, in «Alter. Revue de phénoménologie»,
n. 27, 2019, pp. 249-261 (https://joumals.openedition.org/
alter/1932?lang=en); Id., Fenomenologia dell'estraneo, tr.
it. a cura e con postfaz. di F.G. Menga, Cortina, Milano
2008, p. 122.
13

Koffka, ecc. 6 - e la grande letteratura incentra-

6. Lo strutturalismo, l'associazionismo e l' empil"ismo vede-


vano nelle sensazioni le unità primarie della vita mentale e
analizzavano l'esperienza percettiva nei termini di una com-
binazione di sensazioni, intese in senso atomistico, i cui ele-
menti costitutivi o mattoni corrispondevano a singoli stimoli
fisici. Gli psicologi della scuola gestaltista di Berlino, nata
agli inizi del Novecento, rivendicavano invece la coesione
e strutturazione intrinseca delle cose sotto osservazione,
owero l'idea secondo la quale gli interi strutturati o forme
(Gestalten) costituiscono le unità primarie della vita men-
tale. Dal loro punto di vista i percetti si organizzano nelle
loro reciproche interazioni nel cervello e l'organizzazione
percettiva si basa su leggi proprie: autonome, intrinseche
e innate. Sulla psicologia della Gestalt, cfr. J. vVagemans et
al., A CentunJ of Gestalt Psychology in Visual Perception.
I. Perceptual Grouping and Figure-Ground Organization,
in «Psychological Bulletin», vol. 138, n. 6, 2012, pp. 1172-
1217. Sul rapporto di vValdenfels con la psicologia della
Gestalt, cfr. ad esempio B. vValdenfels, Das leibliche Selbst.
Vorlesungen zur Phanomenologie des Leibes, Suhrkamp,
Frankfurt a.M. 20187 , pp. 372-378; B. ~Taldenfels, Res-
ponse tmd Responsivitiit in der Psychologie, in «Journal
fi.ir Psychologie», II, n. 2, 1994, pp. 71-80 (https://nbn-re-
solving.org!um:nbn:de:0168-ssoar-20573). Sul "carattere
d'invito", cfr. R. Guccinelli - G. Iocco, Introduction, in
Iid. (a cura di), Positive Feelings on the Border between
Phenomenology, Psychology and Virtue Ethics, num. mon.
di «Metodo. International Studies in Phenomenology and
14

ta sulla Bildung, che trova in Goethe la sua più


lhnpida testin1onianza. Proprio quei filosofi e
quelle filosofe che prestano attenzione a quanto
li/le circonda e li/le attraversa, a quanto di nuovo
nell' espelienza sorge ogni giorno della loro vita,
riescono ancora a meravigliarsi. Così facendo,
nell'epoca del disincanto e dell' 01nologazione
algoritinica, delle f ake news, salvano i fen01ne-
ni, le loro infinite differenze e differenziazioni,
il loro inevitabile "intrecciarsi".

1.1. Il tappeto tibetano


In un volume dedicato a quello che considera
il paradig1na di ogni fenomeno di frontiera, va-
le a dire all'estraneo (das Frernde), Waldenfels
descrive in questi termini il legame che intrat-
teniamo con gli altri:
Ciò che sentiamo, percepiamo, facciamo o dicia-
mo è - come in un tappeto tibetano - intrecciato
con ciò che gli alhi sentono, percepiscono, fanno o
dicono. Ciò che si dice osi fa non decade necessa-
riamente nell'inautenticità o nella volgarità, ben-

Philosophy», voi. 8, n. 2, 2020, pp. 7-28 (https://metodo-


rivista.eu/pub-228887).
15

sì costituisce lo sfondo generale per ciò che noi


facciamo e lasciamo - ciascuno per sé - a proplio
nome. L'inautenticità si awera quando il singolo
nel suo comportamento si identifica con l'opinio-
ne pubblica o con la morale convenzionale 7•
È evidente, nel passo citato, il lifelimento al
noto principio della psicologia della Gestalt rela-
tivo all'organizzazione percettivafigura-sfonclo,
secondo il quale la percezione non si riduce a
una passiva ricezione di stiinoli che corrispon-
derebbero di volta in volta, in maniera puntuale,
a una sensazione. La percezione anzi è stratifi-
cata per i gestaltisti, ha una sua profondità, ed
è strutturata. In parte, vale a dire in una del-
le regioni del campo visivo, essa si offre con1e
"sfondo", come condizione, cioè, del iilievo che
potrà assumere per il percipiente quanto diven-
ta visibile grazie ad essa: la "figura". Così una
n1acchia bianca, non isolata ma appartenente
precisamente a un insieme, emerge su uno sfon-
do nero. Spiccando sullo sfondo, la figura è in
grado di suscitare l'attenzione. Se presupponia-
mo con gli psicologi di orientamento gestaltico
un sistema di scambio organismo-ambiente (-al-

7. B. vValdenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., pp.102-


103.
16

tri viventi), allora la figura o buona forma costi-


tuisce la migliore organizzazione possibile delle
energie percepite (proprietà dinamiche o forze
che fanno della forma fenomenica una s01ta di
forma fisica) nell'ambiente, nel sé interessato,
che in generale nell'interazione si forma e svi-
luppa8, e dei desideri o intenzioni di quanti siano
altrettanto coinvolti nella stessa esperienza. In
questa prospettiva la percezione ha quindi un
carattere relazionale e appare c01ne un gioco
di squadra - direbbe Waldenfels - o come una
ca-creazione: una creazione condivisa, realizzata
con altri in un determinato luogo e una deter-
minata situazione.
Gli psicologi della Gestalt parlavano per lo più
di "produttività", e "pensiero produttivo", distin-
guendolo in quanto tale da quello n1era1nente
"riproduttivo", incapace, cioè, di ristrutturare in
1naniera 01iginale il campo cognitivo o percetti-
vo. Tuttavia possiamo senz'altro riconoscere nei

8. Sull'influenza psicologica dell'ambiente sul comporta-


mento e lo sviluppo del bambino, cfr. K. Lewi.n, Environ-
mental Forces in Child Behaoior and Development, in Id.,
A Dynamic Theory of Personality. Selectecl Papers, tr. ingl.
di D.K. Adams e K.E. Zener, McGraw-Hill, New York-
London 1935, pp. 66-113.
17

loro lavori degli studi pionieristici sulla creati-


vità della percezione. Condividiamo, da questo
punto di vista, il giudizio e1nesso da Waldenfels
in un contributo del 2005 sulla creatività9 • Tra i
fondamentali principi gestaltici, che egli sinte-
tizza nello stesso luogo, vi sono appunto quello
di figura-sfondo, che strappa la percezione alla
mmte, owero alla monotonia e indifferenza cui
sarebbe condannata se lo sfondo non concorres-
se con la figura alla percezione di una differen-
za o novità, e quello secondo il quale «la cre-
atività si n1anifesta co1ne una deforn1azione di
fanne pre-date» 10 • La creazione, con1e la crea-
tività della percezione in grado di suscitare lo
stupore, non nasce dal nulla, infatti, nella teoria
della creatività di Waldenfels, ma dal pervenire
all'esistenza di un qualcosa che non può essere
ascritto né alla volontà di qualcuno, né a fatti po-
sitivamente intesi. Egli sottolinea, qui o in altri

9. B. \ì\/aldenfels, Einfiihrung (Kolloquium 2.3. Perzeption


wul Gestalt - Kreative Elemente in vVahrnehmungsprozes-
sen ), in G. Abel (a cura di), Kreativitiit. Tag1mgsband. XX.
Deutscher Kongrefi fiir Philosophie, 26.-.30. September 2005
an. der Technische11 Un.iversitiit Berlin. Kolloquienbeitrage,
Meiner, Hamburg 2006, pp. 1061-1064.
10. lvi, p. 1062.
18

testi sulla creatività, con1e il can1po percettivo


si formi in un processo di auto-organizzazione
che non può essere dedotto, in quanto tale, né
da semplici dati obiettivi né da semplici atti di
un autore o subjectinn- "ciò che è posto sotto",
di cui si predica qualcosa-, e nemmeno da un io
che possa essere inteso con1e un principio delle
esperienze. Il nuovo o differente dal solito, ciò
che provoca stupore oppure angoscia, che ci af-
ferra, arriva per così dire alle nostre spalle, a no-
stra insaputa. Inizia con qualcosa che ci colpisce
(uns auffallt) o ci viene in n1ente (fallt uns ein),
scriverà l'autore anche nel saggio che segue. Ar-
riva, in alb·e parole, come un pensiero che non
possediamo mai del tutto, quando si manifesta
inaspettatamente, al punto che dovre1nmo dire
con Lichtenberg, riferendoci a quanto ci viene
in mente, «Esso pensa [Es denkt]» 11 • Proprio co-
1ne dovre1n1no dire, della percezione in gioco,
con un altro celebre interlocutore dell'autore,
vale a dire Merlau-Ponty, «on perçoit en nwi» 12
(«si percepisce in me»), piuttosto che attribuirne
la titolarità a determinati soggetti, diluendone

11. Ibidem.
12. Ibidem.
19

la portata creativa in un ordinario "noi perce-


. ,,, ''.10 percepisco
p1amo . ,,.
Che il filosofo tedesco ricorra spesso, affrontan-
do la questione della creatività, a uno scrittore e
scienziato cmne Georg Christoph Lichtenberg,
famoso per i suoi aforismi, non è un caso. Gli
aforismi, non sempre apprezzati dagli addetti al
mestiere, in ambito filosofico, e assai negletti,
sono invece tenuti in considerazione da Wal-
denfels, che ne riconosce l'efficacia e il valore
cognitivo. Essi in effetti "distinguono" o "defi-
niscono", se pensiamo al greco aphoris1n6s (di-
stinzione), e portano di conseguenza alla luce
ciò che potrebbe altii1nenti perdersi, dove non
si presti ad esso la 1ninima attenzione, nel buio
indistinto, su uno sfondo "solipsistico", nella as-
soluta monotonia. Soprattutto gli aforismi, come
nel caso del titolo di un'opera di Ippocrate (Afo-
rismi), hanno originalian1ente a che fare con la
n1edicina, più in generale con la cura (Sorge,
epimèleia), la terapia, dunque con la vita: col
risveglio alla vita.
Nel passo citato in precedenza, quello relativo
al tappeto tibetano, il fìlosofo tedesco applica
al vivere c01nplessivamente inteso dell'essere
umano il plincipio secondo il quale determinate
20

zone del campo visivo si articolano come sfondo


e altre con1e figura, estendendone pertanto la
portata episte1nologica dalla sfera percettiva a
quella del nostro dire, fare, agire, sentire. Ogni
nostra attività, ogni tipo di comportamento, l'in-
tera vita pratico-sociale si stagliano come una
figura sullo sfondo, indispensabile al loro stesso
realizzarsi, di un anonin10 1nan. Diversa1nente
da Heidegger, tuttavia, che relega il si dice o si
fa ("man sagf', "man machf', ecc.) nell'esisten-
za inautentica, conferendo a tratti una conno-
tazione negativa al n1ondo sociale o quotidiano,
Waldenfels non squalifica in maniera genera-
lizzata questa forma di vivere comune che può
nondimeno assumere, in certe condizioni e con
una discreta frequenza, aspetti di inautenticità.
Egli individua piuttosto dei 1non1enti precisi
nei quali la vita ordinaria e sociale può risultare
inautentica: quelli in cui «il singolo nel suo com-
portamento si identifica con l'opinione pubblica
o con la morale convenzionale» 13 , svendendosi
completamente ad essa e rinunciando, non so-
lo al proprio senso critico, 1na anche ai propri
"sensi" e alla consapevolezza implicita, già a li-
vello ecologico o corporeo, di avere, in quanto

13. B. \Valdenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., p. 103.


21

singolo intrecciato ad altri, detenninate poten-


zialità, incluse quelle creative.

1.2. L'obiettivo del nostro contributo sulla "crea-


tività responsiva" di vValdenfels
Siinili potenzialità, da indagare in questa sede
nella loro versione creativa e relazionale, rinviano
a una qualche forma di libertà che merita almeno
un accenno, sia pure indiretto; una libe1tà per
nulla estranea allo stupore, dal quale abbiamo
preso le mosse, e alla creatività nella quale essa
traspare. Sarà nostro con1pito 1nostrarlo, nel cor-
so di questa presentazione della filosofia walden-
felsiana della creatività. Lo fare1no soffermando-
ci su concetti non faciln1ente catalogabili, c01ne
quello di creatività14 , e/o su motivi dominanti del

14. Che la creatività sia un concetto sfuggente e abbia un


carattere paradossale lo conferma non solo il senso co-
mune o la storia della creatività (cfr. vV. Matth~i.us, Art.
Kreativitiit, in J. Ritter - K. Griinder [a cura di], Histori-
sches vVorterbuch der Philosophie, voi. 4, Schwabe & Co.,
Basel-Stuttga1t 1976, pp. 1194-1204), ma anche la semio-
logia: «Noi tutti abbiamo un'idea di creatività, ma questa
idea è in sé vaga e non precisabile. In ogni discorso sulla
creatività si rileva come l'impossibilità di definire in modo
univoco la creatività sia parte della sua definizione stessa. In
22

pensiero di Waldenfels, co1ne quello della re-


sponsività, sui quali verte la liflessione sviluppata
dall'autore nel saggio qui proposto al pubblico
italiano: Creatività responsiva. Esso è stato oc-
casionato da una conferenza che egli tenne nel
2018 alla Technische Universitat Dannstadt.
L'aggettivo («responsiva»), che compare nel tito-
lo del testo e connette la filosofia waldenfelsia-
na al pathos cui si è chiamati a reagire quando
esso ci afferra, tradisce l'aura vitale, per così di-
re, che accompagna una creatività da esplorare
nella sua stessa genesi, o trasposizione, e natura
innanzitutto fenomenico-interstiziale, predisci-
plinare o transdisciplinare. Nella "paradossale
incondizionatezza" che ne fa qualcosa di straor-
dinario, prodigioso, e per questo sfuggente, la
creatività così intesa "crea" le condizioni perché
un ordine di un certo tipo (artistico, sociale, po-
litico, ecc.) possa costituirsi. "Paradossale incon-
dizionatezza", abbiamo detto, perché, sebbene
essa non abbia alcun fondamento, non ha nulla

parole comuni, la creatività è ritenuta essere "un ce1to non


so che", qualcosa che per sua "natura" sfugge alla logica»
(S. Ba1tezzaghi, Mettere al mondo il mondo. Tutto quanto
facciamo per essere detti creativi e chi ce lo fa fare, Giunti-
Bompiani, Firenze-Milano 2021, p. 22).
23

al tempo stesso di una creatività a,ssoluta, sciol-


ta, cioè, da ogni possibile vincolo e dato. Nel
lessico waldenfelsiano, la nozione di responsi-
vità (Responsivitat) ritaglia, come l'intenziona-
lità per altri versi, uno dei tratti fondan1entali
dell'esperire, del comportarsi, del parlare o fare
dell'essere umano15 • Ai fini della nostra lettura e
contestualizzazione del saggio in esaine, senza
avere quindi alcuna pretesa di esaustività riguar-
do a questioni sulle quali il pensatore tedesco la-
vora in più direzioni da molti anni, possiamo già
introdurre alcuni aspetti cruciali, dal suo punto
di vista, della creatività e della responsività.
Il 1non1ento del Wovon (da cui) nella creativi-
tà, per hnpiegare il linguaggio di vValdenfels,
indica ciò "da cui" si viene toccati o colpiti: il
nuovo, che della creatività costituisce la cifra
paradign1atica, lo strano, lo straordinario, l' e-
straneo sotto fonna di pathos. II 1nomento del
vVorauf (a cui), nella responsività, indica inve-
ce ciò "a cui" si reagisce o risponde (Respon-
se ): la richiesta/pretesa che avanza il nuovo o
l'estraneo. Il Worauf si annuncia già nella con-
cezione platonica secondo la quale, appunto, la

15. B. vValdenfels, Das leibliche Selhst, cit., p. 368.


24

filosofia inizia con lo stupore, con un evento al


quale si 1isponde con la meraviglia16 • Entran1-
bi i 1nomenti, creatività (pathos) e responsività
(Response, thaumàzein), possono ricevere un
adeguato chiarimento solo se muoviamo, in con-
formità ai criteri metodologici del pensatore
tedesco, dall'esperienza, nella quale è possibile
rintracciarne l'origine, e dal corpo che ne spunta
come dal proprio terreno e in essa si situa. Che
Waldenfels non svaluti la quotidianità e l' espe-
rienza che ne facciamo, ma intenda al contralio
indicarne l'accezione meno banale, è del resto
evidente nel suo interesse per le zone di confine,
per gli inframezzi, per le crepe del quotidiano,
per quanto in esso, dove tutto in apparenza è
noto, lischia di passare inosservato, o meglio,
di non nascere 1nai, di non venire mai alla luce.
La teoria della creatività di vValdenfels permette
di con1prendere anche eventuali casi di creati-
vità "infelice" o non duscita. Il nostro intento
è quello di individuare la posta in gioco in una
liflessione di questo tipo. Essa consiste a nostro
avviso nella libe1tà, precisamente. Responsività
e creatività o, in negativo, irresponsività e falli-

16. Ivi, p. 369.


25

mento della creatività, sono espressione e sin-


tomo della libertà o della mancanza di libertà.

2. Briciole e pensieri "spettinati": l'inatteso nel


pensiero di Vvaldenfels
La filosofia nasce dallo stupore, conferma Jeanne
Hersch 17, ed è molto di più di un'attività pura-
mente teorica, costituendo, nella sua prospettiva
esistenziale, un esercizio di libertà della persona
che la pratica; pennettendo, cioè, a quella per-
sona di sviluppare, nella sua vita, un "organo"
peculiare o "libertà" 18 • Essa risveglia la libertà
di chi la esercita n1eravigliandosi, appunto, di
quanto lo/la circonda. Se questo vale in gene-
rale anche per Waldenfels, come crediaino di

17. Su pensiero di Jeanne Hersch, in particolare, sulla sua


teoria estetica, cfr. R. Guccinelli, La fonna del fare. Estetica
e ontologia in Jeanne Hersch, Bruno Mondadod, Milano
2007.
18. Su questo punto, cfr. J. Hersch, Tempo e musica, tr. it.
e intr. di R. Guccinelli, con un saluto di C. Milosz, pref.
di R. De Monticelli, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2009,
p. 85. Cfr. anche R. Guccinelli, Lo sguardo e lo stupore. Pri-
mi passi nella filosofia dell'esperienza, Aracne, Roma 2015.
26

poter mostrare tenendo conto della specifici-


tà del suo pensiero, allora in quanto provoca la
meraviglia è racchiuso qualcosa come un enigma
del sé che lo stesso accaditnento riempie, a suo
parere, di stupore, coinvolgendolo; qualcosa, sul
piano emotivo-qualitativo, che trasforma il sé:
una sorta di "doppio" del sé, il suo possibile "fon-
da1nento", che pure non lo/la fonda e apre anzi
sul suo proprio abisso. Ogni autentico filosofo,
seguendo ancora Hersch, ha un modo singolare
di stupirsi che è la manifestazione più evidente
della sua libertà. Chiediainoci dunque che cosa
susciti in particolare lo stupore di Waldenfels,
che cosa ne accenda il pensiero.
Sono gli eventi inattesi, non potremo che rispon-
dere, che ne 1nettono in moto il pensiero, gli
incontri non previsti, l'in1battersi in qualcuno/
qualcosa che, indipendenten1ente dal suo vole-
re, diventa per lui motivo di nuove acquisizioni,
mai definitive, sul piano di un'esperienza (come
il sapore di una petite Madeleine) 19 , di un sape-
re, di un sentire 1nai chiusi in sé stessi. In effetti
è un pensiero, il suo, volto a valorizzare euri-

19. Cfr. B. \iValdenfels, Estraneo, straniero, straordinario,


cit., § 2.25.
27

sticamente, per sua stessa ammissione, objets


trouvés o «reperti», dal punto di vista "archeolo-
gico" (Funde)2°, che possono costituire, renden-

20. Il termine Fund, impiegato da \:\1aldenfels, nel testo qui


tradotto, nella piena consapevolezza della sua ambiguità e
ricchezza semantica, assume nel contesto della creatività
una rilevanza non solo epistemologica (una valenza euri-
stica nel senso di una metodologia inventiva adottata nella
ricerca di concetti o teorie adeguati alla risoluzione di un
problema o più in generale come ipotesi di lavoro), ma an-
che "estetico-artistica", inerente cioè al fare creativo di una
filosofia intesa come "esercizio pe1fom1ativo": la filosofia,
in questo caso, non si limita a constatare o descrivere fatti,
ma fa qualcosa di nuovo con quanto incontra nel corso
della sua ricerca. Fund designa infatti il rinvenimento o "il
ritrovamento" (das Finden), nella versione sostantivata del
predicato jinclen ("trovare"). Un verbo centrale nella logica
della creatività waldenfelsiana, oltreché di quella di Picasso,
come chiariremo in seguito. Fund designa inoltre la "sco-
perta" archeologica (Entdeckung) o il "repe1to" (entdecJ..-t;er
Gegenstancl), !'"oggetto 1itrovato", nell'accezione di Funcl-
stiick o Fundsache. Fmul può essere significativamente im-
piegato in espressioni come queste: einen seltsamen Ftmd
machen ("ritrovare qualcosa di raro") - dove l'aggettivo
seltsam indica di per sé anche qualcosa di "strano" -; ei-
nen Fund nwchen geh ("fare una scoperta"). In costrutti
del genere emerge chiaramente il carattere di "novità" di
Fund. Esso ha a che fare, dunque, nella filosofia responsiva
di vValdenfels, con una ri-scoperta, un p01tare alla luce,
28

dosi visibili (udibili, ecc.) nel loro stesso venire


verso/contro di lui, cadendo sotto i suoi occhi ed
essendo visti per la prima volta in "1nodo nuovo",
autentiche scoperte esse stesse, e non solo quan-
to le promuove. Possono trasformarsi in scope1te
come potrebbero divenirlo note o afmismi, ad
ese1npio, marginalia o pensieri spettinati, ap-
punto, ri1nasti in 01nbra fino a quel 11101nento,
caduti co1ne briciole insignificanti dalle tavole
ben in1bandite o grandi costruzioni teoriche dei
cosiddetti pensatori sisten1atici. Pensieri "spetti-
nati", non lisciati o ben spazzolati, messi già in or-
dine. Pensieri come quelli proposti dallo scrittore
Stanislaw Lec, citato da \i\Taldenfels nel saggio
che rendiamo oggi disponibile al lettore italiano:
Responsive Kreativitiit (Creatività responsiva )21 •

disseppellire senza volerlo aspetti che erano passati sotto si-


lenzio di un qualcosa che prima paradossalmente non c'era
nella sua configurazione attuale, anche se in qualche modo
c'era, perché ciò che all'improvviso compare si trasforma
nella riorganizzazione anche solo percettiva, da parte di chi
Io incontra, in un qualcosa di nuovo e diverso. Per questo
nel testo abbiamo preferito tradurre Funde con "scoperte"
nel passo in questione. Cfr. infra, p. 178.
21. B. vValdenfels, Responsive KreatitJitat, in B. GroBmann
(a cura di), Kreativitat denken, Mohr Siebeck, Tubingen
2020, pp. 29-52.
29

Apparso nel 2020 in un volume collettaneo sulle


diverse 1nodalità di pensare la creatività, questo
saggio si rivela prezioso anche perché co1npen-
dia in pagine luminose temi salienti del pensie-
ro di Waldenfels, offrendo un'originale risposta
filosofica a un problema che occupa tuttora le
n1enti, non solo degli artisti o dei teorici, 1na
anche degli scienziati: il problema di come pos-
sano awenire le scoperte, quelle che dawero
ci sorprendono, e di cosa siano e come possano
nascere le idee 22 • Lo stupore, pertanto, non è
affatto secondario in questo testo che attinge
liberamente, n1a non senza un'opzione n1eto-
dologica, di natura fenomenologica, alla storia
della filosofia, e non esita ad accogliere spunti
provenienti dalla letteratura e dall'arte, ad esem-
pio, dalla psicoanalisi, dalla biologia di Jakob von
Uexktill, dalla psicologia della Gestalt, nell' ela-
borazione in pa1ticolare che ne offre il neuro-
logo, psichiatra e psicologo ebreo-tedesco Kurt
Goldstein. In questa feconda sovrapposizione

22. Sulla questione delle scoperte che ci sorprendono e


dell' migine delle idee, cfr. ad esempio T. Pievani, Seren-
dipità. L'inatteso nella scienza, Cortina, Milano 2021. Cfr.
anche G. Parisi, In un volo di stomi. Le meraviglie dei
si.stemi complessi, Rizzoli, Milano 2021.
30

di voci, in questo «"polilogo"» 23 , con Bachtin,


o «plurivocità nella lingua, nel senso che nel-
la propria lingua parlano anche altre» lingue,
«come nelle citazioni»M, l'autore conferma l'a-
pertura - che da sempre ne contraddistingue il
lavoro - ad ambiti disciplinari diversi da quelli
propriamente filosofici, l'interesse transdiscipli-
nare per gli attraversamenti di soglie (dal son-
no al risveglio, dall'ordinario allo straordinario
ecc.), per il "tra" o "infran1ezzo" (Zwischen).
Sono proprio i marginalia, i commenti a margi-
ne di un libro, le briciole che cadono non viste
dalle sontuose 1nense filosofiche, i punti cie-
chi in un qualche ordine vigente, l'estraneità,
ogni forma di esperienza liminare, verso la quale
all'in1prowiso è possibile volgersi raccoglien-
done l'appello, se si tendono le orecchie o si
tengono gli occhi ben aperti, è tutto questo a
suscitare lo stupore di Waldenfels: tutto ciò che
rischia altrimenti di venire ignorato nella soli-
ta routine di vita, nell'assuefazione al noto, ad

23. Cfr. B. \iValdenfels, Estraneo, straniero, straordinario,


cit., cap. 5, lm,magine e sguardo, voce e suono, § 47.
24. Ibidem.
31

esempio, o in altri casi, nella completa astrazio-


ne, nell'eccesso di intellettualis1no, nell' estre-
n1a sazietà e abbondanza di cibo accademico,
oppure nelr eccesso di conservatorismo o, per
altri versi, nelr estremismo gonfiato al massiino,
in ogni sua possibile espressione, nel quale può
perdersi la stessa creatività. Il filosofo tedesco si
meraviglia non di un'esperienza che starebbe "di
fronte" (gegen) a lui c01ne un oggetto (Gegen-
stand) o come una pluralità di dati sensoriali che
fornirebbero il mateiiale su cui costruire even-
tuali contenuti concettuali (rappresentazioni o
credenze). Si meraviglia piuttosto nell' esperien-
za (Erfahrung), dall'interno di essa, a partire dal
luogo in cui wittgensteinianamente si trova: nel
farsi e divenire visibile di un'esperienza in cui
precisamente è iinmerso, per così dire, fino al
collo. Nel cuore dell'esperienza si trova, e non
da solo, come vi si trova del resto l'estraneo, inaf-
ferrabile per ognuno di noi, al quale possiamo
nondimeno approssin1arci in qualche 1nisura,
proprio perché siamo parte dello stesso plesso
esperienziale.
32

2.1. Estraneo, stranimnento, alienazione


(i) "Estranea" (frernd) non è solo l'altrui estra-
neità, «una sorta di sosia»25 o doppio del proprio.
L'estraneità così intesa la esperiamo innanzitut-
to nella nostra scissione originaria, nella dupli-
cità del "nostro" corpo, per così dire. Un corpo
che si rivela insieme toccato e toccante, oggetto
e non oggetto, quando con una mano, ad esem-
pio, ci sfi01ian10. Awertia1no, cioè, il fenmne-
no in questione nello «sdoppian1ento» 26 e non
coincidenza, con sé stesso, del sé corporeo (tra
corpo che tocca e che è toccato). Il rapporto a
sé avviene qui nei termini di una «sottrazione» 27
e distanza da sé che inette in gioco un altrove

25. Ivi, § 3.37.


26. B. vValdenfels, La responsività del proprio corpo. Tracce
dell'altro nella ..filosofia di Merleau-Ponty, tr. it. e intr. di
G. Baptist, in «Kain6s. Rivista telematica di clitica filosofi-
ca», n. 2, 2002 (http://Y.l\vw.kainos.it/numero2/sezioni/emer-
genze/wa1denfels.html). Di Gabriella Baptist cfr. anche
l'interessante articolo su Waldenfels e Pasolini: G. Baptist,
Nei sensi dell'arte: Bemhard vValdenfel,s 'lettore' di Pier
Paolo Pasolini, in «Etica e Politica/Ethics & Politics», XIII,
n. 1, 2011, pp. 38-45.
27. B. vValdenfels, La responsività del proprio corpo, cit.
Sulla corporeità cfr. anche Id., Das leibliche Selbst, cit.;
Id., Erfahrnng, die zur Sprache driingt. Studien zur Psy-
33

originario, un altrove non più "in" noi. Una simi-


le estraneità si manifesta anche nell'esperienza
che facciamo da ba1nbini, quando ci scopriamo
lacaniana1nente come noi stessi, davanti a uno
specchio, ma intrecciati, in vi1tù della media-
zione dello specchio, con un'estraneità, per cui
non siaino appunto un soggetto e un oggetto da
intendere con1e mere parti di un'identità, bensì
tornian10 a noi «in uno slitta1nento te1nporale e
non senza un certo ritardo» 28 • È proprio questo
sdoppiamento del "proprio" corpo che, prolun-
gandosi, sfocia nello «sdoppiamento dell' estra-
neità», in quanto il sosia o ciò che si designa
impropriamente nei tennini di alter ego non
consiste, in effetti, in un potenziamento del pro-
prio, ma in un'estraneità originaria che, quella
sì, può essere potenziata, e può crescere, in de-
terminati casi, addirittura «fino alla paranoia» 29 •
A proposito dell'altrui estraneità, esibendosi in
uno di quei costruttivi giochi di parole che rap-

choanalyse und Psychotherapie aus phanomenologischer


Sicht, Suhrkamp, Berlin 2019.
28. B. ~'aldenfols, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,
§ 3.31.
29. B. vVa1denfe1s, La responsività del proprio corpo, cit.
34

presentano, nondilneno, una sfida continua per


i traduttori, in Creatività responsiva Waldenfels
formula la questione del "raddoppiamento" o
"sdoppiamento" nel 1nodo seguente:
[ ... ] possiamo dire: facciamo esperienze (= patia-
mo) che non facciamo (= creiamo, nel senso di
produrre) [Wir machen E-,fahrungen ( = durch-
machen), die wir nicht selbst machen (= herstel-
len)]. Il sé dunque è un sé raddoppiato. Si apre
una crepa (Spalt) tra ciò che ci accade e ciò cui
si risponde30 .
L'esperienza (Erfahrung) che facciamo (rnachen)
e acquisiamo nella nostra vita pratico-effettiva,
quella che ci insegna per sorpresa, come ricorda
tra l'altro Peirce, la cui voce "fenomenologico-
sen1iotica" risuona nelle pagine dello stesso te-
sto; l'esperienza, cioè, che oppone resistenza alle
nostre prese, che viene patita, sopportata, "at-
traversata", come indica la preposizione durch
("attraverso", "per") del verbo durch-111achen
("patire", "sopportare", "attraversare"), non coin-
cide pertanto con il sen1plice vissuto (Erlebnis)
sciolto magari da ciò che capita. L'esperienza,
infine, che viene esperita direttamente a livel-

30. Infra, p. 127.


35

Io corporeo, proprio per questa sua indocilità e


intrinseca consistenza, non è affatto prodotta
(her-stellen). Creata può essere solo la lisposta
che diamo a quanto ci sorprende e interpella.
I.:espelienza esperita co1ne pathos non è affat-
to creata da chi ne viene investito. Essa è estra-
nea, al contrario, come è estraneo l'altro da noi
o il nostro stesso corpo nei casi, ad esen1pio, in
cui ci oppri1ne (nella sofferenza, nella malattia,
nella stanchezza, ecc.). Siaino separati da noi,
citando altri esempi dell'autore, quando di col-
po una vetrina, per strada, o uno specchio pre-
cisa1nente ci rimanda di noi stessi un'in1n1agine
quasi-estranea o quando, nel parlare, nell'effetto
della sua eco, awe1tiaino all'improvviso tutta la
distanza che ci separa dalla nostra voce, per altri
versi così vicina a noi. Ascoltare la propria voce
registrata, un fenomeno sempre un po' inquie-
tante, accentua ulteriormente questo aspetto di
"scissione nella connessione" che gli esempi wal-
denfelsiani testé iicordati ci rivelano di noi stessi.
È questa una prima accezione waldenfelsiana di
"estraneo".
(ii) "Estraneo" è quanto inoltre costituian10 noi
per noi stessi, di nuovo, quando esperia1no ap-
punto il nostro straniamento (Verfremdung) Ii-
spetto alla nostra quotidianità, quando "usciamo"
36

da noi e dal consueto in un certo senso31 • Il con-


sueto può rivelarsi inconsueto in varie circostan-
ze, ad esempio quando attraversiamo di colpo le
soglie waldenfelsiane, quando ci addormentia-
mo, in altre parole, o ci svegliamo, e appena sve-
gli la nostra camera e gli oggetti in essa, a noi del
tutto familiari, appaiono talvolta non fan1iliari.
(iii) "Straniamento", o "estraniazione", come il
sostantivo Veifrenidung viene talvolta tradot-
to in italiano, è un termine chiave di Walden-
fels. Esso indica uno dei possibili contesti in cui
compare la figura enigmatica, al centro dei la-
vori più maturi del filosofo tedesco, che stiamo
qui tratteggiando nelle sue possibili versioni:
l'estraneo (das Fremde). Come spesso l'autore
ricorda nelle sue opere, lo "straniamento" rin-
via brechtianamente, e con i formalisti russi, al
inondo della letteratura e del teatro. Nel inon-
do dell'arte lo strania1nento consiste in un pro-
cedin1ento o nell'effetto che esso suscita nello
spettatore: l'effetto di straniamento, appunto,
di separazione, distanza o sconvolgimento. Non
identificandosi l'attore col personaggio che in-

31. Cfr. B. \iValdenfels, Estraneo, straniero, straordinario,


cit., § 3.37.
37

terpreta, ne fa qualcosa di estraneo allo stesso


spettatore, con1e se il personaggio potesse tra-
sforn1arsi in una nuova realtà che vive di vita
propria in virtù della recitazione stessa, come se
rispondesse soltanto alle proprie leggi, owero a
quelle della recitazione. Tuttavia l'estraneo così
inteso conserva inevitabihnente un che di noto
nell'attore che lo rappresenta, appunto, nella
recitazione, sebbene ne prenda le distanze. Di
qui la curiosità o il disorientamento, lo stupore
che lo spettatore prova di fronte al personaggio.
(iv) Waldenfels distingue tra l'altro la Verfrem-
dung, questa «genuina e radicale estraneità»32
nel cuore di un'esperienza condivisa, ma non per
questo necessariamente innocua, dall' Entfrem-
dun g di cui sottolinea invece l'impiego che ne
viene fatto prevalentemente in campo sociale
e n1edico-psichiatrico. r..:equivalente italiano di
Entfrerndung è, dal suo punto di vista, "aliena-
zione". Un tennine, questo, che rinvia piuttosto
a un'appropriazione mancata, e primarian1ente
al proprio, rispetto al quale l'alienato appare

32. B. vValdenfels, Erfahmng, die zur Sprache drangt, cit.,


p. 62. Su Verfremdrmg!Entfremdung, cfr. B. vValdenfels,
Estraneo, straniero, straordinario, cit., § 3.2.
38

come un deficit, da cancellare in quanto tale, o


appunto da colonizzare, normalizzare.

2.1.1. Dall'alterità all'estraneità


La figura dell'estraneo, al centro anche di un
testo come Creatività responsiva, è strettamen-
te connessa alla creatività, con1e abbia1no visto,
incarnando una forma inquietante di novità ed
esigendo uno slancio di creatività da parte di
chi raccoglie la sua sfida. L'estraneo è presen-
te nella sua assenza, vicino nella sua distanza,
una distanza paragonabile alla separazione che
sentiamo crescere in noi rispetto a noi stessi,
alla nostra voce o al nostro volto quando essi ci
appaiono improvvisamente non del tutto posse-
duti, come nei casi ricordati. Di queste e altre
awenture filosofiche, che nascono nella fedeltà
all'esperienza in cui Waldenfels si trova inuner-
so, costituiscono una preziosa testin1onianza i
suoi nun1erosi lavori, n1olti dei quali attendono
tuttora di essere tradotti in italiano.
A partire dagli anni '90, il pensatore tedesco
ha rivolto la sua attenzione al topic dell'inter-
soggettività, contribuendo in maniera decisiva,
e molto in anticipo rispetto all'attuale fioritura
39

di studi di Social Cognition, alla promozione e


allo sviluppo di una ricerca orientata in questa
direzione. In questo ambito di studi la fenon1e-
nologia vanta peraltro un'autorevole tradizione.
Basti pensare da questo punto di vista a Max
Scheler o Edith Stein, alle loro precise descri-
zioni di fen01neni inerenti alla sfera relazionale,
quali la simpatia o l' e1npatia, oppure ai lavori
di Lévinas o Ricoeur e, in particolare, a quelli
di Merleau-Ponty, del quale vValdenfels è stato
allievo. Come ha osservato Ferdinando G. Men-
ga, uno dei suoi traduttori italiani, Waldenfels
ha tuttavia spostato l'attenzione dalla catego-
ria dell'alterità, passibile di essere interpretata
in termini meramente logico-ontologici, vale a
dire nella sua semplice opposizione al medesi-
nw, al tema dell'estraneità e all' esperienza33 • È
nell'esperienza, l'abbiamo visto, che è possibile
rintracciare l'estraneo senza doverne eliminare
il tratto costitutivo di selvatichezza, in termino-
logia waldenfelsiana.

33. Cfr. F.G. Menga, Né prirna né ultima parola. Il discorso


dell'estraneo di Bernharcl '1Valdenfels, postfaz. a B. vVal-
denfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., pp. 157-175, in
part. p. 158.
40

2.2. Widerfahrnis
L'esperienza in questione (Erfahrung) è un' espe-
lienza radicale, e non se1nplicemente ordinaria.
Occorre assumerla quindi nella sua accezione più
significativa e polirelazionale, nelle sue «linee di
frattura» o «soglie»34, in cui si fonnano insieme
il proprio e l'estraneo, nei suoi paradossi e nelle
sue irriducibili asimmetrie. Questa realtà così di-
namica e poco addomesticata, appunto, che com-
porta per chi ne partecipa una qualche forma di
anonimia, è tale in ogni suo autentico momento
sorgivo. Simili momenti sono proprio quelli in
cui qualcosa all'improvviso accade o ci si fa in-
contro, e nasce un senso dal pathos, tradizional-
1nente associato all'irrazionale, oppure quelli in
cui l'ordine di volta in volta vigente - in generale
«una connessione regolata (e non arbitraria) di
questo e di quello»3.5 non pliva di 01nbre, owero

34. Su questi punti cfr. ad esempio B. \,Valdenfels, Brnch-


linien der Erfahrung. Phiinomenologie, Psychoanalyse,
Phiinomenotechnik, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2002; Id.,
Soglie d'attenzione. Itinerari dei sensi, tr. it. di G. Baptist,
in «B@bel. Rivista di filosofia», ottobre 2004 (http://www.
filosofia.it/wp-content/uploads/2012/05/\,Valdenfels_So-
glie _attenzione. pdf).
35. B. vValdenfels, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,
§ 1.24.
41

di disordine -viene modificato. Sono situazioni,


queste, in cui «qualcosa affiora», precisamente,
«con1e un evento sorprendente che, come un
corpus delicti, esce fuori dai cardini e si pone di
traverso rispetto al corso solito delle cose»36 • Per
esemplificare casi del genere, come quelli appun-
to in cui qualcosa ci "viene in mente" (ein-fallen)
o ci "salta all'occhio" (auf-fallen), attirando dun-
que la nostra attenzione - casi suscettibili tuttavia
di essere in seguito minimamente norn1alizzati,
catalogati secondo un ordine -, Waldenfels at-
tinge, ad ese1npio, alla letteratura. I:uomo senza
qualità si apre con la mera registrazione, da parte
di "testimoni" a cui Musil lascia la parola, di un
qualcosa che appare ormai 1iconoscibile come un
"incidente", qualcosa che nell'ordinaria gestione
e nel conteniinento dell'imprevedibile, cui diffi-
cilmente ci si può sottrarre nella vita quotidiana,
viene ridotto, da vicenda sorprendente, nel be-
ne e nel male, a un semplice «caso statistico»3i.
Tutto inizia però con ciò che, di fatto, spezza il
normale flusso degli eventi:
con «un assembramento», quindi con un movi-
mento che si arresta: qualcosa «era uscito dalle

36. B. vValdenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., p. 48.


37. Ivi, p. 46.
42

file con una svolta brusca, aveva girato su sé stes-


so, s'era messo di sghembo; era un pesante auto-
carro frenato di colpo, ora Io si vedeva, inchiodato
là con una ruota sul marciapiede»38•
Tutto inizia almeno «un attimo prhna»39 del rac-
conto che ne viene fatto da parte di chi ha "as-
sistito" ali' accadimento.
L'evento o pathos che desta sorpresa non ha
nulla di scontato, non è possibile stabilire in an-
ticipo se sarà "felice" o "infelice", se incontrerà
o meno i nostri desideri, le nostre aspettative.
Proprio per questo, esso viene definito dal filo-
sofo tedesco anche nei tennini di vViderfahr-
nis. Il verbo widerfahren significa, infatti, "ac-
cadere", "capitare" a qualcuno. Il prefisso wicler
("contro"/"contrario", "incontro": entgegen), pe-
rò, nella sua possibile oscillazione se1nantica tra
il "positivo" e il "negativo", tra l'ostile e il favore-
vole, spiega Waldenfels in Creatività responsiva,
carica il sostantivo Wiclerfahmis (accadimento,
ciò che ci capita) di tutta l'ambiguità e iinpreve-

38. Ivi, p. 45. La citazione di Musi) è tratta da R. Musi),


Duomo senza qualità, tr. it. di A. Roh, Einaudi, Torino
1972, voi. I, p. 6.
39. B. \i\laldenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., p. 45.
43

dibilità di cui è espressione un'esperienza (Er-


fahrung) da assun1ere, inoltre, nel suo essere
opposta (wider inteso nei tennini di "contro"),
sen1pre dal punto di vista sen1antico, rispetto a
quella intesa in senso debole (nota e piatta, sen-
za alcun "rilievo"). Quanto aniva, aniva a nostra
insaputa. Ci "sopraggiunge" (hinzu-komrnen),
per iinpiegare un verbo caro ali' autore.

2.2.1. L,,.evento doppio" di pathos e response


\ìValdenfels illun1ina l'esperienza originaria o
bruta, per così dire, da lui definita anche "even-
to doppio" (Doppelereignis), ricorrendo esat-
tamente a una coppia di concetti, pathos e re-
sponse, che abbiamo più volte incontrato nel
corso di questo contributo sulla sua filosofia del-
la creatività. L'evento doppio consiste in "qual-
cosa che accade (widerfahrt) a qualcuno" o in
"qualcosa che ci salta all'occhio/ci viene in men-
te" - come un'idea - "cui prestiamo" insieme "la
nostra attenzione"40 • Essendo doppio o accaden-

40. Impieghiamo in questo caso le virgolette, non tanto per


citare passi precisi del testo in esame (Creatività respon-
siva), quanto per sottolineare, sempre nella prospettiva di
vValdenfels, la duplicità dell'evento in questione.
44

do in un'interzona, vale a dire tra i due momenti


indicati, l'evento così definito non si esaurisce né
nel subjectum coinvolto né nell'objectu1n che lo
investe. Questo suo aspetto, non riconducibile
né all'uno né all'altro 111omento, che ne fa un
inframezzo, l'abbiamo visto in precedenza, del
resto, quando ci siamo riferiti alla creatività della
percezione, dunque alla psicologia della Gestalt
che non solo ispira il pensiero di \iValdenfels, ma
ne rappresenta inoltre una conferma empirica.
Da questo punto di vista comprendiamo facil-
111ente le perplessità che il pensatore tedesco
manifesta nei confronti di un'autorialità "a tutto
tondo", che induce talvolta certa fenomenologia,
eccessivamente cartesiana, a suo avviso, a ricon-
durre troppo in fretta, anche a livello sensoria-
le, un'esperienza a un eventuale autore. Non è
così scontato, infatti, che siamo dawero noi, o
soltanto noi, gli autori delle nostre esperienze,
che le esperienze po1tino soltanto la nostra fir-
111a; anche se non esistono esperienze, aggiun-
giamo, che "viaggiano", per così dire, da sole.
La questione di sapere se siamo o non sian10
"noi" gli autori delle "nostre" esperienze è tanto
più iinportante in arte, dove l'autore viene tal-
volta identificato, in determinate epoche soprat-
tutto, con un creatore unico e assoluto, dotato
45

di un talento quasi soprannaturale. «Dove e co-


n1e inizia la n1usica?» 41 , si chiede in quest'ottica
vValdenfels, valorizzando nella risposta il tra ri-
spetto ai momenti, qui esemplificati da qualcosa
che risuona e dal musicista e/o dall'ascoltatore, e
a ogni possibile approccio puramente cognitivo
ali' accadi1nento.
Comincia - scrive infatti - con la rottura del si-
lenzio, con qualcosa che risuona, riecheggia, non
con qualcuno che suona una sonata di Beethoven
o che ascolta il suono di un flauto. Chi muova dal-
le vaste conoscenze che in materia possiede, so-
stituisce l'udito sensoriale con un sapere uditivo.
Nella terminologia cartesiana, mette un cogito me
audire al posto dell'audio o auclire42 •
In questo evento, nel quale si è precisamente
"raddoppiati", separati nella connessione, ciò
da cui (Wovon) si viene colpiti è al te1npo stes-
so ciò a cui (Worauj) si risponde. Il risponde-
re, in altre parole, del quale l'a cui è un tratto
fondamentale, n1uove dall'estraneo, non dal sé
che risponde. Primruiamente per vValdenfels,
all'inizio della musica, di ogni doppio evento,

41. Infra, p. 119.


42. Ibidem.
46

ci sono un intreccio e uno iato, insieme, un'irri-


ducibile differenza, dalla quale nasce, cmne dal
suo abisso, un senso e significato.
Il doppio evento permette di cmnprendere tra
l'altro il "miracolo" e "paradosso" di una creati-
vità e novità (pathos) che esige, per manifestar-
si, la creatività e novità della risposta (response)
che merleau-pontyanamente essa stessa nondi-
meno suscita. Creatività che può 1nancare in de-
terminate risposte, come quelle dei "testimoni"
dell'incidente citato, che tendono in1mediata-
mente a neutralizzare l'evento che destabilizza.
Nella paradossale prospettiva qui delineata su
una creatività in .fie-ri, un grande ron1anzo, ad
esen1pio, può essere interpretato nei termini di
una "traduzione" di una qualche esperienza che
diventa "testo", assumendo un certo senso, solo
nel momento in cui vi si risponde. Una "traduzio-
ne" sin1ile, di conseguenza, non presuppone un
testo originale che si tratterebbe soltanto di ri-
produrre in un'altra lingua, cosa che non accade
mai del resto nemmeno nelle traduzioni letterali,
intese nell'accezione ordinaria del termine, nelle
quali è sempre in opera, quando sono espres-
sione di un lavoro creativo, un doppio gioco del
tipo indicato: rispettare l'originalità della voce
altrui, dalla quale in ogni caso si muove, significa
47

lasciarsene sorprendere come da qualcosa che


solo una parola nuova riesce a tradurre/trasporre
senza tradire - dovesse pure "tradirla". Essere
colti di sorpresa, essere colpiti da qualcosa, vuol
dire anche esserne modificati, vuol dire formarsi
e divenire sé stessi attraverso l'alterità.
Ciascuno - scrive vValdenfels in Estraneo, stra-
niero, straordinario - diviene ciò che è attraverso
il suo rispondere. Ciò comincia con il sorridere
del bambino, che saluta la mamma. Esattamen-
te in questo senso, già Paul Valé1y ebbe modo di
scrivere: «Ciò che Io sono istruisce, stupisce ciò
che io sono. E c'è un tempo fra me e me. Mena-
sce da me»43 •

2.2.1.1. Diastasi e carattere abissale della libertà


Pathos e response si formano insieme, dunque,
cmne il proprio e l'estraneo, il paziente e il ri-
spondente, 1na uno slitta1nento o «differi1nento
temporale» 44 («c'è un tempo fra me e me» 45 ) li

43. B. \Valdenfels, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,


§ 6.10.
44. Ivi, § 2.36.
45. lvi,§ 2.38.
48

divide. Il pathos inizia, con Musil, almeno «un


attin10 prhna». L"'atthno", che pure non si iscri-
ve nell'ottica waldenfelsiana in una temporalità
lineare, separa in un certo senso il prhna dal
dopo, cambia il corso delle cose, segnalando
insieme la cesura o spaccatura, nell' esperien-
za, in cui consiste il doppio evento, che rin1ane,
ciononostante, un legame o connessione. «Si
apre una crepa (Spalt)» -leggiamo in Creatività
responsiva - «tra ciò che ci accade e ciò cui si
1isponde»46 . Una crepa che non è possibile sigil-
lare o eli1ninare, che giustifica inoltre l'ilnpiego
da parte di Waldenfels del sostantivo "diastasi"
(dal greco òtacr-racrtç: "separazione") per indica-
re un tempo conforme, precisa111ente, al doppio
evento di pathos e response, nel quale la Iispo-
sta arriva sempre troppo tardi, come abbian10
visto nel passo citato relativo all'incidente, e il
pathos, quanto ci accade, arriva sempre trop-
po presto, perché è imprevedibile e suscita per
questo stupore, terrore.
Lo iato tra l'ante1iorità e la posteri01ità così con-
cepite, tra ciò che ci colpisce e ciò che nel ri-
spondere a partire dall'estraneo proviene da noi,

46. Infra, p. 127.


49

è in fondo quell'abisso o libertà47 , dal nostro


punto di vista, che solo permette, separando
la response dal pathos, il proprio dall'estraneo
e noi da noi stessi, uno scatto di creatività in
chi saprà accettare la sfida dell'imprevedibile
senza addomesticarlo. Nell'anteriorità e nella
posteriorità il fenomenologo tedesco coglie, tra
r altro, gli indizi del rinascere a sé, ogni volta
diversa1nente, ma non dal nulla, dell'esperienza
da lui definita «esperienza in senso forte,,. Co-
stituendo quest'ulthna, appunto, a differenza
dell"'esperienza in senso debole,,, una fonte in-
finita di novità capace in quanto tale di suscitare,
nel suo stesso nascere, lo stupore (o la response)
che pure a livello ecologico o della sensibilità,
e in una determinata situazione in cui l'essere
u1nano non può non trovarsi essendo umano,
è la manifestazione più evidente della libertà.
Nella specifica prospettiva di Waldenfels, di una
libertà che comincia altrove, piuttosto che da
noi. Questo ne giustifica il carattere abissale48 •

47. Su questo punto cfr. ad esempio B. vValdenfels, Estra-


neo, straniero, straordinario, cit., § 6.9; Id., Erfahrnng, die
zur Sprache driingt, cit., p. 125.
48. Si legga quanto scrive vValdenfels a proposito di ra-
gione e libe1tà, anche per comprendere in che "senso" la
50

Proprio perché non si meraviglia di qualcosa che


sta lì di fronte a lui con1e un oggetto (Gegen-
stand) neutro che non saprebbe del resto susci-
tare, come tale, alcuna 1neraviglia, e non si pone
di fronte a esso come si porrebbe un soggetto
(Subjekt) moderno che ne farebbe un mero cor-
po fisico di una natura (Naturkorper) morta, e
nemmeno si presenta ai lettori come un postmo-
derno, per il quale la realtà è al massimo un'inter-
pretazione, n1a lascia, appunto, che qualcosa del
mondo che lo circonda, nel suo stesso emergere
cmne una figura su uno sfondo anonin10 o ordi-
nario, lo riempia di meraviglia o di paura, lo sfidi

sua fenomenologia responsiva si distingua dalle cosiddet-


te filosofi.e del senso. Cfr. B. \Valdenfels, Fenomenologia
dell'estraneo, cit., p. 60: «Una genealogia della logica o della
morale che voglia essere più che una semplice storia delle
idee o dei costumi può darsi soltanto se si abbandona il
solido terreno del senso comune, se la ragione e la libertà
Iiacquistano tutta la loro abissalità. Per la fenomenologia
ciò significa l'impegno a rivolgersi sempre di nuovo anche
contro sé stessa, per resistere all'euforia del senso nella
quale essa rischia di cullarsi, come accade anche ad ~ùtre
filosofie del senso. A mio parere, qui si profilano i problemi
decisivi di una filosofia della coscienza, non certo in quella
sua eredità, nel frattempo abbondantemente impolverata,
capace di pensare la coscienza solo nei termini di una ra-
gione autosufficiente».
51

oppure ne costituisca il «pungolo»49 , proprio per


questo, e per 1nolto altro, vValdenfels è capace
insie1ne di suscitare in altri, nei propri lettori, lo
stupore. Lo stupore, sì, ma anche l'inquietudine,
il senthnento di non sentirsi, con Freud, presso
sé stessi come in casa propria. Sono vissuti emo-
tivi, questi, che accon1pagnano fin dalle origini
il gesto filosofico. Sono il rabbrividire, inoltre, lo
spaventoso (Schrecken)-in tutte le sue sfumatu-
re, anche semantiche, ben presenti al fondatore
della psicoanalisi e centrali nella tragedia greca-,
il perturbante (Unhei1nliche )50 o spaesa1nento
che Waldenfels, sensibile alla letteratura clas-
sica, sa restituire con la 1nasshna vividezza nei
suoi lavori, e nel saggio, in particolare, che qui
presentiamo. Creatività responsiva costituisce

49. Cfr. B. \Valdenfels, Der Stachel des Fremden, Suhr-


kamp, Frankfurt a.M. 1990.
50. S. Freud, Das Unheimliche (1919), in Id., Gesammelte
,,verke, a cura di A. Freud et al., voi. XII, vVerke aus dem
Jahren 1917-1920, Fischer, Frankfurt a.M. 1947, pp. 227-
268; tr. it., Il perturbante, in Id., Opere 1917-1923. L'Io
e l'Es e altri scritti, dir. C.L. Musatti, voi. 9, Boringhieri,
Torino 1977, pp. 81-118 (riproduce con alcune modifiche
la tr. di S. Daniele già apparsa in S. Freud, Saggi sull'ar-
te, la letteratura e il linguaggio, Boringhie1i, To1ino 1969,
vol. I, pp. 267-307).
52

non solo una delle molteplici e feconde variazioni


su un ten1a, quello dell'estraneo, cui l'autore ha
dedicato gran parte del suo pensiero, ma anche
una delle possibili risposte creative che, muoven-
do precisamente dall'estraneo, egli non cessa di
dare alla domanda che lui stesso/lei stessa pone.

3. Stupore e creatività
Solo ciò che coinvolge e affetta in primis la no-
stra vita, strappandola a sé stessa e al suo proprio
terreno abituale, appare nella sua radicale novità
e differenza, nella sua estraneità rispetto al soli-
to e noto, e suscita per questo stupore, scuote,
atterrisce. Come un'opera d'arte autentica, che
se1nbra nascere da un altrove, o un la1npo che
squarcia la notte, oppure una terribile notizia
inattesa che fa sobbalzare dalla sedia. La filosofia
stessa inizia con lo stupore, con quelle vertigi-
ni da cui veniva colto l'interlocutore di Socrate
o col senso di disorientamento che procura un
problema filosofico, ben sintetizzato da Wittgen-
stein nel «non mi ci raccapezzo»: nell'esitare e
non sapere cosa rispondere a quanto in effetti
ci lascia sulle prime senza parole.
53

Quando non sia annacquata, ma costituisca un


nuovo inizio, la creatività ha senz'altro a che
fare, in ogni ambito in cui si manifesti, con l' o-
riginalità e la straordinarietà, con quanto si al-
lontana dai luoghi c01nuni o clichés, dalla per-
sona, addirittura, che ognuno di noi pensava di
essere, fino al giorno in cui si è scoperta d'un
tratto estranea a sé stessa. linbattendosi, ap-
punto, in qualcuno o qualcosa che, scalzandola
da sé, dalle sue convinzioni e rappresentazioni,
recava nel suo stesso sopraggiungere il timbro
di una creatività ano1nala, per certi versi distur-
bante: una creatività non posseduta c0111pleta-
mente da qualcuno, non riconducibile a un uni-
co autore, come la risposta, altrettanto creativa,
che il nuovo non ancora registrato, entrando in
scena, esige da chi colpisce. Un nuovo, d'altra
parte, che non farebbe mai la sua comparsa co-
me oggetto nel mondo e non si manifestereb-
be, innanzitutto, nella sua din1ensione patica,
se non Iicevesse una Iisposta alla sua altezza:
una Iisposta creativa. In quanto tale, essa non
colma un vuoto di conoscenza, c0111e farebbe
un'informazione, ad esempio, che venisse for-
nita a chi la chiedesse, ma inventa. Apparendo
col nuovo, nel sé che Iisponde, presso i confini
n1obili di un certo ordine vigente (nelle zone
54

di separazione e di contatto), una risposta del


genere, che possa caratterizzarsi, cioè, come in-
novativa, si trova del tutto in1preparata rispetto
all'accadimento. Da questo, tuttavia, trae la sua
novità. Non potendo esibirsi alla stregua di una
risposta confezionata - rispetto a quanto non
crea e non rientra in una vecchia tassonomia,
ma richiede, per non essere tradito, un esercizio
creativo. Solo una parola nuova e uno sguardo
nuovo nell'inframezzo, in cui proptio ed estra-
neo si formano insie1ne, sulla «scena primaria
dell' espelienza»51 , impediscono in altli termini
che l'estraneo venga immediatamente ricondot-
to sul terreno del proprio o si sostituisca sen1-
plice1nente al proplio, rubando ad esso il titolo
di primo assoluto che avrebbe detenuto in una
qualche gerarchia fittizia52 •

51. Infra, p. 116.


52. Su questo punto cfr. B. vValdenfels, Estraneo, stra-
niero, straordinario, cit., § 3.28. Per quanto riguarda in
pa1ticolare il concetto di Zwischen, che rinvia ad esempio
all"'intercorporeità" merleau-pontyana e si avvicina al Ki
dello psichiatra Kimura Bin, dunque a un'atmosfera o a
una Stimmung, cfr. ivi,§§ 1.13-14. Cfr. inoltre B. vValden-
fels, Das Zwl~chenreich des Dialogs. Sozialphilosophische
55

3.1. bnmagini della creatività


Nella prospettiva sulla creatività che veniamo
illustrando, quella di Waldenfels, "originale"
rinvia non tanto a un atto individuato o al suo
portatore - un genio o creatore di qualcosa che
non dipenderebbe, al1neno in apparenza, da
modelli -, quanto all'enigma dell'origine del
nuovo. "01iginale" richiama un'eccedenza che,
segnalando i limiti di un percepire, fare o creare
privato, oppure di un ordine vigente, schiude un
plus di possibilità rispetto al dato. Dove il nuovo
giunge inatteso, 1na viene paradossalmente dal
passato e presuppone il vecchio, senza il quale
non potrebbe n1ai venire alla luce e dspetto al
quale si presenta co1ne una deformazione.
La trasformazione dell'esperienza che una simile
creazione (del nuovo e della Iisposta) mette in
opera e che implica, oltre all'impatto con un' e-
straneità, una fase in cui l'indicibile e invisibile
assume un volto e un significato e, in qualche mi-
sura (e solo in qualche misura), viene normaliz-
zato e sottoposto a regole, questa dstrutturazio-

Untersuchungen in Anschluss an Eclmund Husserl, Nijhoff,


Den Haag 1971.
56

ne ed elaborazione di un qualcosa di preesistente


appare comunque in «statu nascendi» 53 con1e
un "miracolo" di 1natrice n1erleau-pontyana. Un
"1niracolo" perché non si riesce a trovare per
esso ragioni sufficienti, come non le si trovano
per il movimento di un pendolo che, da oscilla-
tolio, si converte all'improvviso in 1novin1ento
rotatolio inclinando, con1e insegnano i grandi
chimici, l'immagine del tradizionale determini-
smo in natura. Analogamente, non si trovano ra-
gioni sufficienti per tutto ciò che fonda, aprendo
nuovi scenali di senso, senza essere a sua volta
fondato (scoperte, innovazioni, creazioni di ogni
tipo) 54 • Una fondazione o istituzione del genere
non avviene mai, secondo vValdenfels al livello
di quanto viene fondato, proprio come «la fonda-
zione della geometlia», nell' ese1npio husserlia-
no da lui citato, «non avviene sullo stesso piano
della geo1netlia fondata» 55 • Dal punto di vista
degli ordini politici, questo significa per l'autore

53. B. vValdenfels, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,


§. 2.3.
54. Cfr. B. vValdenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit.,
p. 55. Cfr. anche Id., Fenomenologia dell'estraneità, cit.
55. B. vValdenfels, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,
§. 1.36.
57

che «nell'emanazione di ogni costituzione, l'at-


to di fondazione della costituzione non è paite
integrante della costituzione stessa»·56 • Di qui la
vulnerabilità di ogni costituzione e l'impossibilità
di fame qualcosa di totalizzante.
Si tratta di un "miracolo", tuttavia, che non ap-
partiene alla categoria dell'arbitrario. Esso com-
pare in un determinato modo, infatti, e non po-
trebbe comparire altrimenti, essendo il frutto di
una selezione o esperibile se1npre "in quanto/
come" (als) qualcosa, in chiave fenomenologica
o ermeneutica. Esperibile, cioè, 1nediante un
senso o significato, del quale \Valdenfels enfa-
tizza la contingenza. Non essendo assoluto, il
senso in questione non impedisce tuttavia che
possano essere realizzati altri sensi e significati.
Per quanto vengano esclusi nei casi specifici, i
sensi diversi rispetto a quelli che di volta in vol-
ta si impongono possono se1npre affiorare, ad
esempio nei giochi dei bambini. Il senso, però,
n1ediante il quale un "n1iracolo" come quello
della creazione viene esperito, owero il logos,
ha 01igine, come abbiamo visto, in qualcosa che
in pri1na istanza non possiede alcun senso: in

56. Ibidem.
58

quel pathos che scuote, tocca, o commuove, che


può essere descritto, ricorrendo a un'in1n1agine
waldenfelsiana, con1e un'eccedenza o un ecces-
so. Dove l'eccedenza trova nell' anilnale umano
come essere nietzscheanamente non predeter-
111inato, connotato pertanto nella sua struttu-
ra da una sovrabbondanza creativa, il proprio
enign1a. Proprio perché supera un soggetto o
un atto, oppure trasgredisce un ordine e pre-
corre addirittura sé stessa, con1e una nascita
che giunge sempre prin1a di sé, non essendo
111ai con1pletamente di qualcuno - dirà l'auto-
re-, l'originalità c0111e "eccedenza" può essere
descritta solo in maniera indiretta. Nelle lezioni
che ebbe occasione di tenere nel 2010 nell'ain-
bito di un ciclo seminariale organizzato dalla
Scuola di Alta Fonnazione Filosofica di Tori-
no, Waldenfels ricordava a questo proposito un
ese111pio di Lévinas: !'"eccedenza" o "eccesso",
ciò che «è più di altro»57, che l'oltrepassa, è come
il volto altrui, mai suscettibile di esaurirsi in una
descrizione ordinaria incapace, appunto, di con-
tenere quel di più che lo caratterizza e sguscia
via quando si tenta di afferrarlo direttamente.

57. Ivi, §. 2.49.


59

Nasce inoltre, nella sua stessa deviazione, il nuo-


vo che spunta non dal nulla, 1na da un qual-
che luogo precisainente. Così uno sguardo che
sfugge a sé stesso devia, e solo autodeviando,
sfiorando l'invisibile, si rivela nella sua novità.
Così una parola nuova, che sfugge all'ordine del
discorso, che dice qualcosa che non volevamo
dire né immaginavamo di poter dire, inventa sé
stessa nel bene e nel male autodeviando, toccan-
do in un intreccio con altro, che non nasconde
le inevitabili asimmetiie, l'indicibile.
La concezione della creatività di \Valdenfels può
essere adeguatamente con1presa solo se viene
considerata all'interno di una logica responsiva,
della quale costituisce un momento itnprescin-
dibile, una logica certo più complessa di quanto
non appaia in queste pagine il cui intento, ben
limitato, è quello di portare a evidenza la radice
della creatività: la libertà cmne partecipazione
(per citare la famosa canzone di Gaber, senza
tradire il pensiero di Waldenfels). La libertà
traspare in fondo in ogni autentica manifesta-
zione della "creatività" e, come avremo modo
di mostrare, via negationis, nei suoi stessi falli-
menti, e le restituisce, contro la sua riduzione
a un prodotto prevedibile o contro ogni facile
60

abuso del termine, il suo carattere esattamente


abissale, beante.
Un approfondimento della concezione walden-
felsiana della creatività dovrebbe tener conto,
ovviainente, delle 1nolteplici con1petenze del-
1' autore e delle stenninate fonti culturali e scien-
tifiche alle quali egli attinge nel suo articolato
e peculiare percorso filosofico. La sua idea di
creatività trova nondi1neno una concisa esen1pli-
ficazione nelle im1nagini che abbiamo ricordato:
eccedenza, deviazione, deformazione e "sfon-
damento", per così dire, quando il fondamento
1nanca di fondamento. Dove manca un silnile
fondan1ento, ci sentian10 mancare la terra sotto
i piedi, quando qualcosa di creativo ci accade.
Muovendo pertanto dal «qualcosa è più di altro»
e dal «qualcosa è altro da, è altrin1enti»58, da una
deforn1azione che ha il senso di un"'elaborazione
della tradizione" intesa nei termini di un'elabo-
razione freudiana del lutto59; muovendo, inoltre,

58. Ivi, §. 2.50.


59. Un'elaborazione del lutto nella quale si evoca l'oggetto
perduto da cui con fatica ci si emancipa, oggetto la cui "esi-
stenza" può essere prolungata nel tempo finché la realtà non
prenda il soprawento o, nel caso di vValdenfels, il lavoro
non conduca poco per volta al nuovo.
61

dal coinvolgimento nell'esperienza dell'inaudito e


mai visto che si fa incontro a chi allo strano e in-
solito, in condizioni normali, non possa evitare di
rivolgersi e con ciò di nascere e rinascere, e forse
anche 1norire, a sé stesso con altri; n1uovendo da
qui, si comprende facilmente renorme distanza
di questa proposta teorica, in inerito alla creati-
vità, da ogni possibile concezione della creativi-
tà che non tenga conto né dei limiti, che il fare
umano è chiamato inevitabilmente a rispettare,
né delle necessarie trasgressioni, che aprono al
nuovo, di quanto sotto qualche forma è dato. Il
fen01nenologo tedesco è lontano, in altre parole,
sia dal mero "tradizionalismo", che rischia di sca-
dere nel conservatorismo, sia dal "creazionismo"
inteso come «una forma di creazione senza conte-
sto, in cui il nuovo viene creato come fine in sé»00 •

3.1.1. Il processo creativo


Waldenfels non cede quindi alle vaghe intuizioni
di ascendenza romantica, al mito di un genio o
creatore solitario, tutto sregolatezza, e nemmeno
a eventuali fusioni collettivistiche, nelle quali si

60. B. Vlaldenfels, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,


§. 1.43.
62

esp1imerebbe sotto fonna di propaganda popu-


listica e riti tribali la cosiddetta identità o anilna
di un popolo che, nell'epoca attuale, può assu-
tnere addilittura le sembianze di un popolo di
meli consumatoli e ossessivi produttori. F1uitoli
e produttoli di una creatività al Ii basso, appiatti-
ta sul digitale, o sul social influencing che, nella
visibilità ricercata, nell'effetto ad arte, uccide lo
stupore. Tanto meno il filosofo tedesco si rasse-
gna al déjà vu, a un eccesso, non di creatività, ma
di noto, e di autodifesa Iispetto al nuovo, quan-
do n1inaccia le nostre certezze. Egli individua
al contrario dei momenti precisi nei quali, a suo
parere, si articola una creatività che non può fare
a meno né di regole, come un gioco (condiviso),
né delle esplosioni, spinte e trasgressioni nelle
quali si annuncia l'extra-ordinado. Il processo
della creatività, nel quale un corpo dai confini
aperti o una corporeità intrecciata ali' estraneità
(l'intercorporeità) svolge un ruolo chiave, consi-
ste pertanto, da questo punto di vista, in due fasi:
(1) fase degli «eventi lampo» 61 : le idee che vengo-
no in mente o trovate (Einfalle), come l'autore
definisce l'irrompere di qualcosa o anche l'in-

61. Infra, p. 130.


63

vasione da parte di qualcosa che non avviene


solo "nella" n1ente di qualcuno - e seminai
vi "cade" (fallen) "dentro" (ein) -, giungono
appunto dal buio, come il lampeggiare di un
lampo (es blitzt) che squarcia la notte o co-
1ne un pensiero impersonale (es denkt), e in-
terrmnpendo l'ordinario rivelano la scissione
originaria del sé e 111ettono in gioco lo stra-
ordinario, lo strano ed estraneo che provoca
stupore o angoscia;
(2) «"fase della forn1azione dei significati o for-
111azione delle regole"» 62 : la trasformazione
dell'esperienza lainpo in qualcosa che pos-
siaino nmninare e che acquisisce di conse-
guenza senso e significato.
La primaria passività hnplicita in (1) è già in
ogni caso una passività "attiva" poiché consi-
ste nella partecipazione, ali' accadimento, di un
corpo-vivo capace di espriniersi, di "rispondere"
ad esso col suo proprio linguaggio: a un boato
hnprovviso che giunge da fuori si risponde con
un sobbalzo, e non constatando freddamente
«Ah, ecco, là fuori c'è stata un'esplosione!» 63 •

62. Ibidem.
63. Infra, p. 124.
64

Quale corpo-fisico-vivente peraltro, in vi1tù del-


la sua duplicità (corpo-vivo e corpo n1ateriale),
essendo cioè un tra, Io stesso cmpo pennette il
passaggio dalla causalità naturale al senso. Esso
ha un ruolo, quindi, oltreché nella formazione
di sé, impiegando ad esempio le tecniche stesse
della corporeità (conte si vede, come si ca111n1ina
ecc.), nella costituzione del senso. Il corpo non è
affatto estraneo, in altri termini, all"'in quanto"
del "qualcosa in quanto qualcosa". Tutto «ciò
che appare» infatti «in quanto qualcosa, non è
sen1plicemente qualcosa da descrivere, qual-
cosa che riceve o possiede il suo senso, bensì è
un qualcosa che suscita senso senza essere esso
stesso sensato; è un qualcosa da cui noi siamo
colpiti, affetti, stimolati, sorpresi e, in certo qual
modo, feriti» 64 • Tutto ciò che appare in quanto
qualcosa rinvia pertanto innanzitutto al corpo.
Quanto alla trasforn1azione (2), possian10 affer-
rarne la dinamica riferendoci a un esempio assai
eloquente di Waldenfels, quello della possibile
modificazione di un vissuto emotivo chiuso in
sé stesso che, da stato, diventa vissuto relazio-

64. B. vValdenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., pp.


84-85.
65

nale. Un mero stato en1otivo privo di oggetto


o di un oggetto ben definito può diventare in-
fatti, opportunamente trattato, un sentilnento
intenzionale dotato, in quanto tale, di oggetto.
Sganciato per sua natura da un preciso conte-
sto e da un eventuale correlato, un simile stato
soggettivo può risultare tanto inco1nprensibile
e terrificante, a n1aggior ragione, quanto l' e-
vento indefinito che ha comunque un impatto
sul paziente, accadendo c01ne un qualcosa di
inclassificabile. Il suo essere impenetrabile può
turbare non solo chi lo viva, 1na anche chi non lo
viva e tenti, in ogni caso, di forzarne il segreto
allo scopo di alleviare le sofferenze del sé che
ne è preda. Se lo stato, nondimeno, si converte
in un vissuto emotivo dotato di correlato, allora
si rende comprensibile e, una volta riconosciu-
to, può essere affrontato e magari sconfitto. Per
mostrare la plausibilità di una trasformazione
come questa, possiamo pensare con ~'aldenfels
all'angoscia di un artista, ad ese1npio a quella di
Munch, che riesce tuttavia a esprimersi nella
pittura, «attraverso il medium, di linee e colori» 65 ,
assumendo senso di conseguenza ai suoi occhi
e a quelli altrui, dello spettatore.

65. Infra, p. 135.


66

Possiaino declinare la stessa trasposizione an-


che in termini psicoanalitici, seguendo un altro
suggerimento dell'autore. Di uno stato nel cui
nucleo si riconosca, secondo Freud, «la ripetizio-
ne di una determinata esperienza significativa» 66
come l'«atto della nascita» 67 , legato a una sepa-
razione per molti versi traun1atica, è possibile
ricostruire, fino alla sua stessa trasformazione,
le vicissitudini pulsionali. Quando un decorso
psichico o la libido sono soggetti a ri1nozione, si
determina uno stato per il quale non si trovano
le parole, indicibile, che può assumere all'occhio
dell'analista la fonna di un attacco che la per-
sona coinvolta se1nbra subire. Esso tradisce un
pericolo interno, sconosciuto al soggetto che vi si
trovi. Solo dove lo stato venga sostituito da un' e-

66. S. Freud, Vorlesungen zur Einfiihrung in die Psycho-


analyse (1915-1917), in Id., Gesammelte '\,Verke, a cura
di A. Freud, voi. Xl, Vorlesungen zur Einfiihnmg in die
Psychoanalyse, Fischer, Frankfurt a.M. 1944; tr. it. di
M.T. Dogana e E. Sagittaiio, Introduzione alla psicoa-
nalisi, in S. Freud, Opere 1915-1917. Introduzione alla
psicoanalisi e altri scritti, dir. C.L. Musatti, voi. 8, Bo-
ringhieri, Torino 1975, pp. 189-611: p. 548 (riproduce
con alcune modifiche il testo dell'Universale Scientifica
Boringhieri n. 39/40).
67. lvi, p. 411; tr. it. cit., p. 549.
67

mozione suscitata dalla percezione di un perico-


lo esterno, o collegato ad essa oppure sostituito
da sintomi (ad esempio da un'azione ossessiva),
può essere arginato come un nen1ico visibile,
appunto. Così !"'angoscia" (Angst) freudiana o,
sul piano filosofico, heideggeriana si trasforma
nella "paura" (Furcht) o "fobia"/"angoscia reale".
Risvegliando l'attenzione per l'object1t1n (deter-
minato) che la suscita, la paura dona la parola
all'angoscia (nevrotica), di per sé muta (uno sta-
to soggettivo che prescinde dall'objectum o ne
possiede uno molto vago), e pennette d'identifi-
care - mediante una conversione dell'angoscia e
il conseguente suo trasferimento a un objectum
esten10 al quale ci si può sottrarre (un ragno,
un serpente, ecc.) -, l'objectu1n dapprima in-
distinto che ci afferrava alle spalle e ci turbava.
Osservando, ad esempio, il processo di formazio-
ne dell'angoscia infantile e quello dell'angoscia
dell'adulto nevrotico in una delle sue possibili
manifestazioni, vale a dire nell'angoscia connes-
sa alle fobie, Freud giunge alla seguente conclu-
sione: l'angoscia del bambino si avvicina, nella
sua stessa origine, all'angoscia nevrotica così in-
tesa. In entrambi i casi l'angoscia nasce da libido
inutilizzata. Nel bambino piccolo, in paiticolare,
che si trovi di fronte a estranei, a persone quin-
68

di alle quali non è abituato, come lo è invece ai


propli familiali, la libido si scarica sotto fonna
di angoscia, un'angoscia che liproduce appunto
quella delr originaria separazione dalla 1nadre
awenuta con la nascita. Non è un caso, pertanto,
seguendo ancora il Freud dell'Introduzione alla
psicoanalisi, che il pli1no n1anifestarsi di even-
tuali fobie infantili, nelle quali viene trasformata
(wird tungebildet) l'angoscia o la nostalgia per
la persona che si prende cura del bambino in
questione, abbia a che fare con l' oscu1ità, con
situazioni, cioè, nelle quali il bambino awerte
l'assenza della figura amata. Ese1nplare, da que-
sto punto di vista, la descrizione offerta in prima
persona da un bambino in preda a una simile no-
stalgia. Dalla sua stanza, egli si rivolge in questi
tennini alla zia che si trova nella stanza vicina:
«Zia parlami, ho paura» 68 • Alla risposta della zia

68. Ivi, p. 422; tr. it. cit., p. 559. È interessante osservare


come il verbo impiegato da Freud per rendere il proces-
so di trasformazione sia in questo caso mn-bilden, il cui
spettro semantico include trar altro i rispettivi equivalenti
italiani: "rimaneggiare"t'1impastare", ma anche "ricompor-
re" o, alla lettera, "formare in modo nuovo" (neu bilden).
Sulla trasfonnazione in questione cfr. infra, p. 133. Nel
saggio qui presentato \.Yaldenfels impiega il termine più
generale Transformation ("trasformazione"), per designare
69

che gli chiede per quale n1otivo debba farlo,


dal m01nento che lui comunque non la vede, il
ba1nbino risponde: «Se qualcuno parla, diventa

ogni possibile trasformazione dell'espeiienza, e termini più


specifici, in iifeiimento all'"in quanto fenomenologico",
come verwandeln, ad esempio, che ha inoltre il senso di
una trasfonnazione "fiabesca" e che iinvia quindi al "mi-
racolo" del venire alla luce dell'espeiienza cui abbiamo
accennato, e insieme quello di una "conversione" di qual-
cosa in qualcos'altro che comporta, per certi versi, anche
una riduzione dell'accadimento, dell'eccedenza di quanto
ci si fa incontro in maniera vaga e inquietante, a qualcosa
di iipetibile, comprensibile e sensato (l'"in quanto" inte-
so dall'autore nei termini di una "piattaforma girevole"
che permette appunto la conversione). In altri casi vVal-
denfels impiega significativamente anche termini come
Umgestaltung o Umorganisation che avvicinano, in chiave
gestaltica, la "trasformazione" alla "riorganizzazione" (cfr.
ad esempio B. ,valdenfels, Das leibliche Selbst, cit., p. 51).
Al passo citato ricordato, relativo alle fobie infantili e tratto
dall'Introduzione alla psicoanalisi, vValdenfels si rifeiisce
esplicitamente altrove riflettendo, non a caso, sull'angoscia,
la paura e il processo di trasformazione in questione (cfr.
Id., Erfahnmg, die zur Sprache driingt, cit.). Sull'angoscia
cfr. anche Id., Platon. Zwischen Logos tmd Pathos, Suhr-
kamp, Berlin 2017, pp. 197-237. Sull'angoscia e la paura
come espressioni del patico cfr. inoltre Id., Sozialitiit und
Alteritiit. Modi sozialer Erfahrung, Suhrkamp, Berlin 2015,
pp. 110-154.
70

più chiaro» 69 • La paura del buio sostituisce di


conseguenza la nostalgia.

3.2. Prospettive contemporanee sulla creatività


Se ci poniamo sul terreno dell'esperienza intesa
nella sua accezione più radicale, con1e fin qui
abbiaino fatto, allora in ogni istante qualcosa nel
mondo accade o nasce qualcosa di nuovo sotto il
sole, buono o cattivo che sia. A dispetto della sua
evidenza, però, il nesso "motivazionale,, dal quale
siamo partiti, inerente al coinvolgimento di un sé
nell'accadimento che lo/la riguarda o alla scossa
che desta un "vissuto" quasi-ontologico nel quale
il inondo sembra precisamente vacillai·e; un si-
n1ile nesso - tra una creatività, da cui scaturisce
il nuovo, e Io stupore, altrettanto creativo - , nel
quale si segnala al te1npo stesso e paradossal-
1nente una differenza (e separazione dell'uno
dall'altro) tra il solito e l'insolito, l'estraneo e il
proprio; questa connessione, assai singolare nella
sua scissione, rimane spesso inosservata negli at-
tuali studi teorici o e1nphici sulla creatività. Pen-

69. S. Freud, Vorlesungen zur Einfiihnmg in die Psycho-


analyse, cit., p. 422; tr. it. cit., p. 559.
71

siamo soprattutto alla ricerca filosofica o a quella


psico-pedagogica. Esse tendono, in generale, a
privilegiare kantianan1ente il 1nomento dell'im-
maginazione nel processo creativo o a discutere
la creatività nell'ambito dell'im1naginazione 70 ,
riducendola a una proprietà dell'agente o del suo
volere. Approcci del genere alla creatività non si
focalizzano, di conseguenza, sulla primaria crea-
tività della sensibilità, innanzitutto percettiva, e
nemmeno sull'esperienza stessa di una creatività
intesa in senso relazionale, non asc1ivibile inte-
rainente né a un soggetto né a un oggetto. Nella
prospettiva di Waldenfels invece l'idea di novità
saliente rinvia, l'abbiamo visto, a quella di "dif-
ferenza" o "estraneità", a un'irriducibile asimme-
tria, secondo la quale ciò che si impone lo fa sulla
base di qualcosa che si sottrae e rimane inafferra-
bile. Accade più o 1neno la stessa cosa quando si
traccia un confine, in uno dei modi almeno in cui

70. Basti pensare che, nella Stanford Encyclopedia of Phi-


losophy, Creativity non esiste come autonoma entry, ma
compare sempre in altre voci; ad esempio, in Scientific Dis-
covery, Process Theisni o lmagination. Cfr. precisamente
L. Shen-yi - T. Gendler, lmagination, in The Stanford En-
cyclopedia of Philosophy, a cura di E.N. Zalta, 2020 (https://
plato.stanford.edu/archives/sum2020/entries/imagination).
72

è possibile farloi 1• Quando l'autoreferenzialità di


un evento - ossia di una qualche esperienza che
accade, c01ne quella della deli1nitazione - si ma-
nifesta in un sé che scaturisce dallo stesso trac-
ciare i propri confini, si traccia un confine che,
escludendo qualcosa, porta a evidenza ciò che da
esso si distingue, e lascia pertanto non marcato
quanto viene escluso. Dal punto di vista del pro-
prio che viene a evidenza come un dentro o una
cavità, in una delimitazione del sé 1ispetto a un
fumi, per impiegare il linguaggio waldenfelsiano,
è l'estraneo a ri1nanere non marcato.
Gli studi contemporanei sulla creatività più in-
centrati sull'in1n1aginazione non si soffermano,
diceva1no, sull'accadere dell'esperienza e nem-
meno sull'ingegno del sé corporeoi2, ma sugli
atti secondari e volontari, su un soggetto beli'e
fatto, in altre parole, e le sue peiformances. Il
1nodello standard della creatività, d'altronde, è
quello che ne fa una capacità di produrre cose
originali e preziose, ossia valutabili come tali.

71. Sull'uomo come essere di confine cfr. B. vValdenfels,


Fenomenologia dell'estraneo, cit., pp. 17-37.
72. Sull'"ingegno" del corpo, cfr. B. \,Valdenfels, Phii.nome-
nologie der Aufmerksamkeit, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
2004, pp. 161-185.
73

Quando all'originalità e all'essere valutabile co-


n1e prezioso, dunque alle due condizioni della
creatività indicate (a prescindere dal fatto che
esse siano solo necessarie o anche sufficienti), si
aggiunge la sorpresa lo si fa per specificare - so-
stiene ad esempio il filosofo della creatività Be:rys
Gaut - in che senso il nuovo prodotto possa con-
tare come un qualcosa di veramente originalei3 •
Si rimane dunque, nel caso specifico, a livello di
produzione e, per quanto riguarda in paiticolare
l'essere valutabile del prodotto -1'essere oggetto
di un giudizio di valore-, a livello proposiziona-
le. Più in generale, si rimane a livello di sogget-
tività e delle sue proprietà. Gaut stesso ritiene
che la creatività sia una «proprietà di un agente
con determinate capacità>/4 che egli identifica
con il jlair. Per quanto Gaut escluda che tutti i
processi creativi siano necessaria1nente azioni,
la creatività deve awenire dal suo punto di vista
negli agenti, fossero pure degli esseii non umani.
La proposta di Gaut costituisce, se non una sfida,
almeno un'integrazione del modello standard,
non manca di aperture in senso non-umano e

73. Cfr. B. Gaut, The Philosophy of Creativity, in «Philoso-


phy Compass», vol. 5, n. 12, 2010, pp. 1034-1046: p. 1039.
74. lvi, p. 1041.
74

tiene conto delle circostanze in cui qualcosa vie-


ne valutato come un oggetto di un certo tipo.
La creatività riinane nondimeno una proprietà.
Potremmo dire: rimane "propria" di qualcuno.

3.2.1. Seniiot-ica della creatività


Un interessante contiibuto al topic della crea-
tività lo fornisce, tra l'altro, la ricerca semiotica
contemporanea, anche se per sua natura muove,
non dal basso, dall'esperienza primariamente in-
tesa, ma dal linguaggio ordinario, dai processi di
c01nunicazione e dal ruolo che in essi svolge la
creatività. Con la diffusione su larga scala, an-
che nella vita quotidiana, di un aggettivo c01ne
"creativo", influenzato nel suo impiego più con-
tagioso dall'inglese creative15 che ne enfatizza gli
aspetti legati alla produzione e all'inventiva, la
creatività sembra potersi applicare alle n1aterie
più disparate ed essere, in fondo, alla portata di
tutti. O meglio: di quanti vorranno perseguirla

75. Su questo punto e per considerazioni anche etimologi-


che sul termine "creatività" cfr. M. Cinque, La creatività
come innovazione personale: teorie e prospettive educative,
in «Giornale Italiano della Ricerca Educativa», III, n. 2,
2010, pp. 95-113.
75

o vorranno essere creativi, di quanti vorranno


e1nulare il genuino fare creativo di un artista,
sia pure su piani lontani dall'arte e n1olto più
prosaici. L'artista a sua volta sembra voler emu-
lare l'atto della pura Creazione, come osserva il
semiologo Bartezzaghi insistendo, oltreché sul
carattere effusivo della creatività- il suo proli-
ferare per contagio-, sul "volere"i6 • Nella sua
apparente accessibilità, la creatività si risolve per
lo più in una competenza tra le altre (skill) o una
serie di competenze, in un saper fare relativo
alla produzione del nuovo, che è sufficiente alle-
nare come un se1nplice 1nuscolo e costringere a
seguire detenninate regole perché possa sfocia-
re in prestazioni degne di nota e conseguire ri-
sultati competitivi. Si tratta di una competenza,
spesso associata a determinate figure professio-
nali (il creative writer, il creativo nella finanza,
nella moda, il web designer, ecc.), sen1pre più
richiesta in settori c01ne quello tecnologico o
quello mediale, legato alla con1unicazione. Un
ainbito quest'ultin10 non esente da eventuali
rischi, quando il linguaggio non sia sorvegliato
o al servizio dei fatti. Oggi dilaga per molti ver-
si un'informazione degenerata (infotainnient e

76. Cfr. S. Bartezzaghi, Mettere al mondo il mondo, cit.


76

menzogne di vario tipo). L'eccesso e l' estre1na


pervasività di storytelling e narrazioni e strategie
per migliorare le narrazioni delle proprie impre-
se, tutto questo, unito a fonne varie di decep-
tion, mette a dura prova il nostro senso di realtà
e alterità77, e indebolisce la "nostra" e !'"altrui"
capacità di autentico stupore o libertà. Nel loro
intreccio originario simili capacità costituiscono,
nell'ottica waldenfelsiana, il vincolo più strin-
gente di reciprocità che ci lega, appunto, noi e
gli altri, nella libertà e ne fa per entrambi una
Iisorsa o una 1naledizione. Non c'è spontanei-
tà dell'agire, fare o decidere, e ne1n1neno una
possibile comprensione gli uni degli altri, se non
nell'attenzione, primariamente incorporata, che
implica un prestare o un suscitare qualcosa78 ,
s1nentendo di conseguenza ogni possibile ver-
sione di solipsis1no.

77. Sulle possibili manifestazioni e degenerazioni contem-


poranee della creatività, cfr. S. Bartezzaghi, Mettere al 11wn-
do il mondo, cit.
78. Su questo punto cfr. B. vValdenfels, Fenomenologia
dell'estraneo, cit., p. 101.
77

3.3. Il nesso "nwtivazionale" di creatività e stu-


pore
Diversamente dagli approcci che abbiaino bre-
vemente considerato, in Creatività responsiva
vValdenfels insegue in ogni sua forn1a, senza
adottare necessaria1nente il 1nodello standard
degli atti di secondo grado (cognitivi o di im-
maginazione), il nesso indicato tra la creatività
e lo stupore (response), tra ciò che di nuovo ci
capita e la risposta ad esso adeguata. Una rispo-
sta che per risultare appropriata deve essere a
sua volta nuova, come abbiamo visto, dunque
creativa, non potendo attingere da un deposito
di precedenti rappresentazioni di ciò che per
la p1in1a volta, appunto, si manifesta. Quanto
al "motivo" che abbiamo evocato, introducendo
sulla scorta di Waldenfels un nesso plausibile,
precisan1ente, e non di tipo causale (1na patico)
tra la creatività e lo stupore, egli lo intende non
tanto nei termini di un principio 1norale o di
una convinzione che spinge ad agire, nel nostro
caso a stupirsi, e nem1neno cmne un mero mo-
vente, che a posteriori offre una giustificazione
di quanto abbia1no vissuto. I "1notivi", in gene-
rale, li intende piuttosto nei termini di «quel-
le forze propulsive capaci di spingere oltre e
78

innanzi» 79 che non hanno alcuna giustificazione


sufficiente, nel senso che emergono nella stes-
sa esperienza che si esperisce, nelle sue faglie,
come l'apparire improwiso dell'estraneo nella
nostra vita. Essi fondano dunque qualcosa senza
costituire di per sé un fondamento, come fanno
«quelle minime incoerenze», che possono essere
ad esempio i lapsus, «con cui si annuncia l'entra-
ta in scena del nuovo» 80 • Un nesso 1notivazionale
così inteso indica pertanto al ten1po stesso una
spaccatura nell'esperienza, come se quanto ap-
pare nella sua novità e lo stupore di cui esso ci
rie1npie fassero l'espressione di uno slittamento,
in terminologia waldenfelsiana, dell'esperienza
rispetto a sé stessa. Noi sia1no esattan1ente in
questo slittamento e lo stupore che proviamo
non davanti, 1na nell'evento che lo procura -
qualcosa di creativo o nuovo - esige a sua vol-
ta, appunto, di essere creativo, perché il nuovo
possa dawero emergere in piena luce.

79. Ivi, p. 9.
80. Ibidem.
79

4. Un approccio responsivo alla creatività


In una siinile prospettiva teorica, si concede
ben poco, come più volte abbiamo constatato,
al mito rmnantico del genio o artista solipsisti-
co che ridurrebbe la creazione e addirittura la
stessa ispirazione al parto di una mente isola-
ta e "sfrenata", priva di limiti, che non sente il
freno o la resistenza opposta al proprio fare da
altri, in prin10 luogo dal rispettivo Leibkorper
(corpo-fisico-vivente).
Possiamo dunque parlare, nel caso di Walden-
fels, di un approccio alla creatività di tipo feno-
menologico-gestaltico-relazionale, dove pure
la dimensione "relazionale" dell'esperienza va
intesa nella sua accezione più forte, quella se-
condo la quale la relazionalità non si esaurisce
nell'intenzionalità e anzi la precede costituen-
done l'origine, come il pathos precede il logos
che da esso nasce, e il non-senso precede, quale
sfondo, il senso. Nella tradizione fenomenologi-
ca, infatti, l'intenzionalità identifica la coscienza
(sia pure) come presenza di oggetti - essendo
sempre la coscienza "coscienza di" qualcosa.
La coscienza è in altre parole una proprietà dei
vissuti che li rende, correlativamente ai diver-
si modi di datità (di cose particolari date quali
80

fonti di questioni essenziali), modi di presenza


di oggetti. Nella specifica proposta teorica di
Waldenfels la feno1nenologia, nel nostro caso
della creatività, viene invece declinata in termini
responsivi che le conferiscono precisamente una
fondamentale connotazione patica. È l' estra-
neità a esprimersi nel pathos, come esperienza
che ci accade, la cui forma prilnaria è costituita
dall'inconscio o dal proprio corpo n1ai c01nple-
tan1ente proprio, nella misura in cui è corpo-
fisico (Korper), e non solo corpo-vivo (Leib).
Per questo il filosofo tedesco può sc1ivere che
praticando una fenomenologia fondata nell'in-
fondato o pathos, di cui essa raccoglie la sfida
sotto forma di estraneo senza appiattirlo di con-
seguenza sul registro del noto, proprio con una
filosofia del genere «scuotian10 i fondan1enti di
una fenomenologia e di un'ermeneutica pensate
a partire dalla mera interpretazione del senso» 81 •
La "responsività" consiste dunque per il filosofo
tedesco in un rispondere (to respond), in cui il
riferimento all'estraneo diventa centrale. Si ri-
sponde pertanto alle sue richieste/ingiunzioni,
che vengono prepotente1nente in primo piano,
a prescindere da quanto in particolare si pos-

81. Ivi, p. 39.


81

sa dire di sé, di un sé che rimane sullo sfondo.


Si tratta di un rispondere inteso in senso lato,
ben diverso da quello inteso in senso stretto (to
answer) che si limita piuttosto a fornire un'in-
dicazione o a trasmettere un sapere già dispo-
nibile82.

4.1. Responsività e irresponsività nella prospet-


tiva biologica di Goldstein
I concetti di Responsivitat e I rresponsivitat - se
li si assun1e nella loro accezione più generale -
Waldenfels li trae da Goldstein, che li aveva im-
piegati nel suo fondamentale lavoro sull' orga-
nismo, Der Aujbau des Organis1nus (1934), un
autentico «lavoro di frontiera" in cui dialogano
tra loro biologia, medicina e filosofia. Il neuro-
psicologo 1nuoveva a sua volta dalle riflessioni
sulla normatività costitutiva dell'organismo del
medico Louis R. Grate (Grundlagen arztlicher
Betrachtung, 1921). La concezione olistica della
salute e della malattia, esposta nel volume ricor-
dato, nasceva dalla consapevolezza di Goldstein
riguardo alla complessità e unitarietà dell' orga-

82. B. vValdenfels, Das leibliche Selbst, cit., p. 366.


82

nismo umano, iniducibile appunto a una somma


di organi e n1ovin1enti isolati, e comprensibile
solo nella sua interazione con l' a111biente e nei
comportamenti che ne tradiscono l'individualità
globalmente intesa. Goldstein aveva maturato
questa concezione nel corso della sua espelien-
za con i soldati feriti durante la Pri111a guerra
111ondiale, studiando i danni cerebrali che essi
avevano riportato e i loro disturbi neurologici,
e valorizzando le straordinarie potenzialità e
lisorse del vivente, le loro capacità non sem-
plice111ente adattive. "Responsività" designa in
quest'ottica la capacità (o incapacità in caso di
patologie), da paite dell'organismo, di lispon-
dere adeguatan1ente alle lichieste del proplio
niilieu 83.
Occorre tuttavia segnalare almeno un aspetto,
cruciale nell'economia della nostra riflessione
sulla creatività waldenfelsiana, che permette di
distinguere la responsività di Goldstein, quale
comportainento nei confronti del proprio am-
biente in cui si esprime l'intero organismo, da
quella di Grote. Un punto questo che faciliterà

83. Su questo punto cfr. ad esempio B. \i\laldenfels, Ho11w


respondens, cit. p. 4.
83

la comprensione, non solo del concetto di ir-


responsività di ,valdenfels, 1na anche di quella
terapia responsiva che, sulla scia di Goldstein,
il fenomenologo tedesco promuove nelle pagine
di Creatività responsiva come una delle possibili
forme di fenomenologia applicata.
La "salute" viene definita da Grote, citato da
Goldstein nel volume indicato, in base alla piena
corrispondenza tra le manifestazioni vitali di un
individuo e i suoi bisogni biologici, dove i biso-
gni dipendono dall'interazione della situazione
in cui si trova il vivente con il potenziale fisiolo-
gico di prestazione84 • La "responsività" consiste
per Grate nella nozione di "salute" così intesa.
L"'irresponsività", coincidente con la nozione
di "n1alattia", viene definita per converso dallo
stesso medico come una mancanza o un deficit
di responsività85 , ossia con1e una riduzione o
compro1nissione, in un organisrno individual-
n1ente inteso, della rispettiva capacità di pre-

84. Cfr. K. Goldstein, Der Aujbau des Organismus. Einfiih-


rung in die Biologie unter besonderer Beriicksichtigung der
Erfahrungen mn kra11ke11 Menschen, Springer, Dordrecht
1934, p. 270 (ed. or., Nijhoff, The Hague 1934).
85. Cfr. ibideni.
84

stazione e della durata della stessa prestazione.


Questo da un punto di vista oggettivo. Consi-
derata soggettivamente l'irresponsività è invece
un soffrire o «patire»86 (Leiden) dell'individuo in
questione. "Salute" e "malattia" così concepiti
presuppongono, sottolinea Goldstein nello stes-
so luogo, una definizione essenziale dell'essere
un1ano in quando individuo, sull'opportunità
della quale il neurologo conviene. Ciò che Gold-
stein non condivide è piuttosto un'accezione, a
suo avviso assai riduttiva, di "salute", nella quale
Grote al tempo stesso assume il concetto. Quella
secondo la quale "guarire" significa compensa-
re le deviazioni, dovute alla patologia, rispetto
alla norma individuale che governa dall'interno
l'organismo.
Una posizione, questa, che a parere di Goldstein
non attribuisce il giusto peso ai ca1nbian1enti
strutturali che sono intervenuti nella vita di un
individuo, e rischia di sottovalutarne le ferite
e i pericoli vissuti sul piano dell'esistenza che,
modificandolo, lo hanno spinto a reagire global-
1nente in n1aniera «catastrofica»87 o disordinata

86. Ibidem,.
87. Ivi, p. 269.
85

al proprio 111,ilieu. Secondo Grote, infatti, l'indi-


viduo ritroverebbe la propria salute adattandosi
n1orfologican1ente e funzionaln1ente, sul piano
appunto delle prestazioni, alla nuova situazione,
owero compensando le prestazioni biologiche
che sono compromesse o ridotte con altre pre-
stazioni, relative a singole parti dell'organismo
diverse da quelle precedentemente coinvolte.
Le prestazioni funzionerebbero di conseguen-
za come pezzi di un meccanismo o prestazione
globale e unifonne da ricostituire in termini
se1nplicemente quantitativi, e non sarebbero,
c01ne ritiene al contrario Goldstein, m01nenti
nei quali si manifesta un intero specifico nella
sua relazione con l'ambiente.
Riguadagnare la salute coinciderebbe, in questa
prospettiva, con una «restitutio acl integrum» 88
e un 1iconquistato equilibrio, identico a quello
perduto, che appare astratto rispetto a quanto
mostra la genuina esperienza della 1nalattia, e
del tutto illusorio agli occhi sia di Goldstein sia
del Waldenfels di Creatività responsiva. Si ri-
condurrebbero le prestazioni di un organismo
concreto alle singole prestazioni delle sue par-

88. lvi, p. 270.


86

ti, che sommate darebbero un individuo nella


sua globale e invariata capacità di prestazione.
L'individuo, tuttavia, o l'intero per Goldstein e
per la psicologia della Gestalt, è più della mera
som1na delle sue parti, e la sofferenza vissuta
non potrebbe essere cancellata nemmeno se
i "conti", per così dire, "tornassero". Rendere
nuovamente possibile la responsività, dunque
promuovere una relazione adeguata organismo-
ainbiente, vuol dire, in circostanze del genere,
non fingere che i conti tomino quando non pos-
sono farlo, ma "fare i conti", potremmo dire, con
la nuova realtà, riorganizzarsi con essa, senza
ignorare le conseguenze della n1alattia, quanto
in fondo del passato ri1nane, anche solo nella
sua assenza o n1enomazione, in un'intera esi-
stenza. Recuperare significa pertanto realizzare
un nuovo rapporto di convivenza tra prestazio-
ni possibili e prestazioni passate89 , un rappor-
to funzionale alla normatività di un organismo
che «si mantiene in vita» 90 , e proprio per questo
non può rinunciare al proprio ordine, se aspira
appunto a conservarsi (e non è scontato); non
può recidere i legami col proprio ambiente (se

89. Ivi, p. 271.


90. B. \iValdenfels, Das leibliche Selbst, cit., p. 72.
87

I'a1nbiente modificato è ancora accettabile) 91 ,


senza il quale non potrebbe vivere - dovesse pu-
re ridursi il milieu, correlativa1nente alle attività
che vi vengono espletate, a una nicchia, nella
quale è ancora possibile nondin1eno esprimersi
(ex-premere, "premere fuori"), "uscire da sé",
nel lessico waldenfelsiano, riempirsi di stupore.

4.2. De-creazione: sul f alli1nento del rispondere


Che cosa siano, nell'ambito della fenomenologia
responsiva di Waldenfels, la creatività e la crea-
zione, il nuovo o lo straordinario, lo abbia1no
visto a più riprese in questo percorso attraverso
lo stupore e la libertà che ci ha condotti nel pro-
fondo dell'esperienza, là dove sorge, appunto, o
entra in scena la creatività. Che cosa sia, invece,
e con1e si manifesti la mancata o scarsa creati-
vità, addirittura il naufragio della creatività, è
la questione che adesso ci poniamo. Essa trova
una risposta plausibile nella teoria della creativi-
tà del pensatore tedesco e permette, dal nostro
punto di vista, di precisare il senso (o non senso)

91. Su questo punto cfr. K. Goldstein, Der Aujbau des Or-


ganismus, cit., pp. 271, 279.
88

della libertà che abita segretamente (anche) le


pagine del saggio qui tradotto.
Nella prospettiva di Waldenfels, l'inconsistenza
della creatività, ogni tentativo infelice di creare
e innovare, i fallimenti in questo a1nbito costi-
tuiscono in larga misura una qualche forma di
in-esponsività, oppure la riflettono. Essi sono
dovuti, infatti, a una separazione, nel doppio
evento precedentemente illustrato, del pathos
dalla response, una separazione ben più ampia
di quella originaria e tale da compromettere il
nesso del quale l'evento, in condizioni cosiddet-
te normali, è insieme espressione. Si tratta più
precisamente di un aggravamento dello stato di
salute in cui consiste una nonnalità cui è in1n1a-
nente, nondimeno, un tratto patologico, owero
di un indebolimento o debordare di uno dei due
te111pi in cui consiste l' accadiinento.
Analogamente, sul piano della vita quotidiana o
di quella socio-politica, l'ordinario, owero ciò
che è conforme a un certo tipo di ordine, se111-
pre circondato dalle ombre del disordine, che
sole consentono lo «straordinario in quanto dif-
forme dall'ordine» 92 , l'ordinario, dunque, come

92. Infra, pp. 149 e 150.


89

il solito e abituale può presentare, in casi del ge-


nere, un addensamento delle ombre che ostaco-
la o acceca la creatività o innovazione in gioco.
La dissociazione pertanto di pathos e response,
owero la «defonnazione»93 dell'uno o dell'altro
n101nento, può condurre, da un lato (i) a pato-
logie, dall'altro (ii) a degenerazioni ideologiche
della creatività e di ogni possibile processo di
innovazione.
(i) Le plime possono essere desclitte, nel con-
testo fenomenologico waldenfelsiano, anche al-
la luce dei risultati conseguiti da Goldstein in
merito all'esperienza di salute e malattia, rico-
noscendo nel patologico «una fonna di 1nan-
cata responsività» 94 che pern1ette di con1pren-
derlo in termini ecologico-relazionali, e non in
quelli di una «mera sofferenza per un deside-
rio inappagato» 95 che ri1narrebbe chiusa in una
sfera puran1ente soggettiva o confinata all'ego-
centrismo, e ne1n1neno in quelli di un semplice

93. B. \-Valdenfels, Erfahnmg, die zur Sprache driingt, cit.,


p.164.
94. Ivi, p. 79.
95. Ibidem.
90

«coacervo di destini pulsionali»96 che tradirebbe


l'ispirazione gestaltica sia del neurologo sia del
filosofo.
(ii) La desclizione delle seconde - di quanto
ab biaino definito "degenerazioni ideologiche",
o più in generale possiaino chiamare "distorsioni
pregiudiziali" della creatività, per distinguerle
dalla pri1na tipologia d'irresponsività - mostra
una volta in più come il processo creativo possa
sfociare effettivamente nel nuovo solo se chi ne
sia coinvolto sa rimanere fedele alla terra, sen-
za rinunciare a vivere, al tempo stesso, in una
tensione verso l'ulteriorità. Chi si sporga trop-
po verso un estremo o verso l'altro, chi si lasci
sedurre dalla trasgressione per la trasgressione,
chi insegua nel proprio fare e agire l'assoluto
sciolto da ogni regola e da ogni vincolo che ad
essi pone la realtà o, viceversa, chi non riesca
a vedere oltre il proprio naso e si conformi del
tutto all'ordinario, ognuno di loro è destinato a
fallire, alla paralisi, a 1nancare l'appuntarnen-
to, se mai ne esiste uno, con la propria e altrui
creatività, con quel sé che insie1ne è sen1pre
altro da sé.

96. Ivi, p. 164.


91

Si tratta adesso di ese1nplificare entrambi ife-


nomeni con l'autore.
Per quanto riguarda le patologie (i), si riscontra-
no, nelle loro possibili variazioni, due tendenze
tipiche che vValdenfels designa rispettivamente
«pathos senza response» (a) e «response senza
pathos» (b ).
(a) Quando nel doppio evento il patico diventa
il 1nomento predo1ninante, la spaccatura di pa-
thos e response tende a manifestarsi sotto forma
di un «pathos senza response». Esen1pi di que-
sto tipo di tendenza sono quelli nei quali forti
shock (un terremoto, una guerra, crisi economi-
che, ecc.) possono detenninare un irrigidimen-
to, una contrazione estren1a della vita corporea.
Si assiste a uno sprofondare in sé stesso dell'in-
dividuo cui accade qualcosa che lo sovrasta, lo
priva della parola, lo consegna letteralmente a
un raggelato silenzio. L'intensità dell'esperienza
provoca una paralisi. Quando lo stato del soc-
c01nbente si aggrava, una simile disarticolazio-
ne del doppio evento può assumere la forma di
trau1ni che lasciano ferite profonde nella storia
di chi li subisce e, sul piano temporale, rimane
inchiodato al proprio passato, mentre il futuro si
svuota, oppure quella di rappresentazioni deli-
92

ranti nelle quali un'idea o un'immagine mnesica


viene investita di un significato abnorme e «non
solo la proprietà [Eigenheit] del sé, 1na anche
l'alterità [Andersheit] dell'altro sparisce»97 • In
un quadro, ad ese1npio, di Josef Forster, po-
steliore al 1916 e appartenente alla Collezio-
ne Piinzhorn, Waldenfels coglie i segni di una
tendenza al «pathos senza response». Il dipinto
non ha alcun titolo, 1na l'artista, schizofrenico,
lo ha definito come un "cam1ninare nell'aria,,.
In esso en1ergerebbe per il pensatore tedesco
il tentativo, sia pure fragile e contraddittorio,
di rispondere a un evento che rischia di schiac-
ciarlo sotto il suo peso immane. Egli cerca dun-
que un sostegno. Di questa ricerca sarebbero
espressione quei trampoli, esili come gambi di
fiori al vento, sui quali un essere un1ano tenta di
camminare, abbozza un 1novimento che rimane
a metà strada tra il volare e il saltare. Tuttavia
un contatto con il suolo, per quanto instabile,
riesce a n1antenerlo. Lo sfiora appena, il suolo,
grazie a quei fragili bastoni che disegnano ap-
punto «un 1novilnento di caduta faticosamente
interrotto che non avviene né nell'aria né sulla

97. Ivi, p. 79.


93

tena» 98 • Rimane tra l'altro un legame sottile con


il proprio passato in quanto l'acrobazia, per così
dire, si staglia su una carta da parati che ricorda
il precedente lavoro dell'artista c01ne tappezzie-
re e pittore decorativo.
(b) La tendenza inversa, quella di una «response
senza pathos», si afferma dove il patico appa-
re indebolito. Sono le risposte allora a essere
fredde, addirittura congelate, n1eccaniche, ste-
reotipate. Da una dissociazione del genere di-
pende, infatti, l'apatia, ad esempio, che in una
prospettiva gestaltica diventa monotonia. Per-
ché viene meno il contrasto figura/sfondo che
genera la differenza. Rimane il grigio-topo. Un
paesaggio piatto, senza alcun «rilievo affettivo da
cui l'esperienza» possa trarre «la forza della sua

98. lvi, p. 229. In generale, su arte e delirio e sulla Col-


lezione Prinzhorn, la nota collezione d'arte tedesca nella
clinica psichiatrica dell'Università di Heidelberg che ospita
lav01i di persone con «esperienza psichiatrica», cfr. ivi,
pp. 21.5-233. Sulla Collezione Prinzhom cfr. anche l'in-
te1vista a Thomas Roske, l'attuale Direttore della stessa
collezione, diventata poi un museo (https://wvvw.a1tribune.
com/attualita/20 L5/03/inchiesta-art-brut-inte1vista-con-
thomas-roske).
94

tensione» 99 , di quella tensione che compenetra


l'attenzione quando essa non sia spenta100 • Siamo
di fronte pertanto a un' «atrofia dell'esperienza»
(Eifahrnngsschwund) 101 • La «response senza pa-
thos» può manifestarsi inoltre come fobia, difesa
dall'estraneo, come un barricarsi in sé stessi, co-
1ne fantasia di onnipotenza. In tutti questi casi
«l'altro perde [ ... ]più o 1neno il suo volto» 102 •
In un'ottica "terapeutico"-trasfon11azionale, ,i\Tal-
denfels propone una terapia responsiva che
sappia servirsi adeguatamente, ai fini della cu-
ra, della strumentazione fenomenologica. Egli
muove dal lavoro di Goldstein sull'organismo,
valorizzando insieme il grande lascito freudiano,
con l'intento di fornire un contributo essenziale
alla psicoanalisi. "Terapia responsiva" designa
per il filosofo tedesco un intervento calibrato
sulle reali possibilità di recupero di un essere

99. B. \1/aldenfels, Erfahnmg, die zur Sprache driingt, cit.,


p. 286.
100. Su questo punto cfr. anche B. \Naldenfels, Fenomeno-
logia dell'estraneo, cit., p. 121.
101. B. \1/aldenfels, Erfahrong, die zur Sprache driingt,
cit., p. 286.
102. Ivi, p. 79.
95

un1ano mai concepito come una realtà isolata.


Senza rubare la voce al paziente, del quale ac-
coglie la specifica richiesta di aiuto, una terapia
così concepita deve essere capace, in base alle
esigenze poste dalla situazione in cui la perso-
na 1ninacciata si trova, di controbilanciare le
eccessive fughe in avanti dello stesso individuo
vulnerabile. Waldenfels vede nel "tra" il con-
testo relazionale in cui può operare quel "fare
ausiliaiio" o terapeutico, di n1atiice goldsteinia-
na, che risponde all'esistenza ferita dell'essere
un1ano. «Tra il 1nero faire e il n1ero laissez-faire
c'è spazio», da questo punto di vista, «per un in-
tervento terapeutico che non inizia presso di sé
e non finisce presso di sé» 103 •
Il tratta1nento della sofferenza umana con tec-
nica responsiva, per così dire, owero l'opzione
trasformazionale di Waldenfels, confern1a, su-
perandone al te1npo stesso i li1niti dialettico-
soggettivi in direzione di una radicale estraneità,
la "svolta intersoggettiva" impressa alla psicoa-
nalisi da Ferenczi, che aveva messo a frutto in
questo senso le intuizioni di Jung. Questa svolta
ha trovato, a partire da Bion, una più ampia rea-

103. lvi, p. 308.


96

lizzazione in alcuni dei più significativi apporti


conte1nporanei alla clinica terapeutica. Si trat-
ta di una lifonnulazione in chiave relazionale,
appunto, del modello di mente "unipersonale",
ovvero del paradigma metapsicologico della psi-
conalisi incentrato, in quanto tale, sulle pulsioni
e sull'intrapsichico. Walfendels, però, con1e ab-
biamo visto, ritiene ancora insufficiente, ai fini
di un'adeguata co1nprensione dell'estraneità,
attenersi alla semplice nozione di "intersoggetti-
vità". Sposta di conseguenza i confini della logica
relazionale verso l'"intercorporeità" 104 .
Con "terapia responsiva" il fen01nenologo tede-
sco intende più precisamente un tipo di inter-
vento «volto a recuperare» (iviederherstellen,
"li1nettere in salute") «la capacità di risposta
del paziente» 105 e a portarne alla luce, nei limiti
del possibile, il potenziale creativo, senza nulla
concedere a un'astratta e improbabile restittt-
tio ad integrum. Occorre, anzi, riconoscere e

104. Sulla "svolta intersoggettiva nella psicoanalisi", cfr. ivi,


pp. 82-86. Sulla "rivoluzione del paradigma metapsicologico
della psicoanalisi", cfr. M. Manica, Psicoanali.~i del trauma-
tico. Sogno, dissociazione e Linguaggio dell'Effetti-vità, pref.
di M. Collovà, Alpes, Roma 2020.
105. Infra, p. 162.
97

rispettare confini ambientali (naturali e sociali)


che possono essere n1eno estesi rispetto a quel-
li precedenti l'insorgenza dei propri disturbi.
Al paziente, tuttavia, si richiede un itnpegno
notevole affinché possa incren1entare, correla-
tivamente al proprio m,ilieu modificato, la pro-
plia "capacità di risposta" (Antwortkraft) - la
"forza" (Kraft) del "lispondere" (Antworten, "il
rispondere") - anche nei casi in cui essa appaia
in forn1a residuale e in tutta la sua instabilità.
Il «paziente», scrive vValdenfels in Creatività re-
sponsiva, «impara a vivere con quanto ha patito
e a rispondere nuovamente (erneut) alle richie-
ste della vita» 106 • Rispondere "nuovamente", "di
nuovo", significa insie1ne, nella prospettiva del
feno1nenologo, rispondere "in 1nodo nuovo",
con "rinnovata" forza.
Senza timore di essere s1nentiti né da vValden-
fels né da Goldstein, che aveva infatti una pie-
na consapevolezza della questione della libertà
del paziente 107, potrenuno co1nmentare que-

106. Ibidem.
107. Cfr. B. vValdenfels, Erfahrung, clie zur Sprache driingt,
cit., p. 185. Cfr. anche, K. Goldstein, Der Aujbau des Or-
ganismus, cit., p. 281.
98

sto approccio contestuale alla salute, che è con-


temporaneamente un approccio contestuale alla
creatività e alla libertà, nei seguenti tennini:
al sacrificio di una parte della propria libertà,
che una salute diversan1ente esperita comporta,
perché le fe1ite non si cancellano con un colpo
di bacchetta magica, corrisponde di nuovo una
forma di libe1tà che occorre nutrire e saper eser-
citare anche in circostanze difficili. La libertà,
dovesse pure ridursi al proprio nucleo, è la so-
glia oltre la quale un intervento di questo tipo
non può assolutan1ente spingersi.
Quanto a ciò che abbiamo definito "degenera-
zioni ideologiche" o "distorsioni pregiudiziali"
della creatività (ii), abbiamo adesso tutti gli stru-
menti concettuali per comprendere in che senso
esse costituiscano delle false piste, seguendo le
quali il processo creativo e l'innovazione inevi-
tabil1nente si perdono. Si tratta di sentieri che
conducono in direzioni diametralmente oppo-
ste, ma che sfociano entrambi in una palude in
cui la creatività rimane imprigionata. Sono da
un lato la via del nonnalisnw (e), dall'altro la via
dell'estrem,ismo (d).
(e) Il normalismo, c01ne l'estre1nis1no, per al-
tri versi, identifica per il filosofo tedesco quella
99

che potremmo definire una "cattiva ecceden-


za" o ipertrofia di normalità, diversa da quella
"buona" che abbian10 riscontrato nella creativi-
tà. "Cattiva" nel senso che è sterile, dal punto
cli vista dell'esperienza radicale, non permetten-
do alcuna nuova scoperta, uccidendo il nuovo
prima della sua stessa nascita. Un'eccedenza
di questo tipo, infatti, può sfociare al massimo
nella riproduzione o nel riconoscitnento cli qual-
cosa che si trova già lì, sotto i nostri occhi, e non
esige pertanto l'attenzione che esso stesso do-
vrebbe suscitare per venire alla luce. Questa via,
dunque, conduce chi la itnbocca nel mondo del
déjà vu o Io costringe, in sostanza, a girare su sé
stesso, in un'eterna ripetizione della ripetizione,
di sé e della realtà. Una realtà che provoca clau-
strofobia in chi al contrario non vi si rassegni.
Dal punto cli vista del comportainento umano,
il normalis1no equivale al mero funzionare cli
una sorta di burocrate, o della macchina cui
l'umano con1pletamente normalizzato si riduce.
Il normalismo può declinarsi anche in termini
puramente strumentali, per cui si tende apri-
vilegiare fatti, risultati che non esigono sforzi o
che permettono se1nplicemente di perseguire
in 1naniera spregiudicata i propri fini. Spesso
il normalisn10 si trasforma in conservatorismo.
100

Per "restare in casa propria", Waldenfels osser-


va in Creatività responsiva co111e una tenden-
za silnile possa danneggiare anche la scoperta
filosofica. Esemplifica, in altre parole, questa
forma di creatività smarrita nella vuota ricerca
all'indietro, che riporta il nuovo, quando tenta
faticosamente di farsi strada, al noto. Recitando
all'infinito «tutto questo si trova già in Kant, in
Hegel, in Marx», si finisce per uccidere, con il
nuovo, gli stessi classici. Intere biblioteche al-
lora diventano «rnausolei» 108•
(d) I;estre1nisnw è la via, invece, imboccando
la quale si finisce per perdere il contatto con la
terra, con quanto fa attrito. Ci si proietta in un
al di là, dello spazio e del tempo, che, sciolto da
ogni vincolo e da ogni genuina fede, diventa una
finzione, ci si lancia in una rivoluzione perma-
nente che non rivoluziona niente, consumandosi
nello stesso fuoco che l'accende. Una rivoluzio-
ne così intesa, oltreché manifestare una fonna
di distorsione pregiudiziale secondo la quale
la trasgressione è buona in sé, può non di rado
sconfinare nel patologico, nel maniacale, in una
fame insaziabile di esotico, di straordinario (per

108. Infra, p. 147.


101

Io straordinario), come accade nel caso di un


personaggio di Boll, ricordato da Waldenfels nel
saggio qui tradotto. La zia Milla, questa signora
solita1nente così serena, la cui verve all'improv-
viso inquieta tuttavia i parenti,
festeggia ogni giorno la vigilia di Natale, accen-
dendo le candele dell'albero di Natale, finché la
sua famiglia non va in rovina. Alla fine non c'è
più alcun contrasto tra l'ordinario o abituale (Ge-
wohnlichem) e lo straordinario o extra-abituale
(Auftergewohnlichem), c'è soltanto lo straordi-
nario109.
Lo straordinario portato all'estremo, senza più
alcun contrasto figura-sfondo, non fa più alcun
effetto, non suscita più alcun stupore. C01ne
non lo suscita, del resto, il normalis1no, il con-
fonnarsi del tutto all'ordinario, a sua volta su-
scettibile di assu1nere riflessi tendenti ali' apa-
tia o all'ossessione. Non esiste creatività, per il
fenomenologo tedesco, che nel tra: dove real-
n1ente qualcosa accade, tra le regole che valgo-
no in un determinato ordine e quanto l'ordine
in questione lo eccede, lo trasgredisce. Perché
le «creazioni devono appoggiarsi da qualche

109. Infra, p. 149.


102

parte» 110 , le «invenzioni [ ... ] non crescono su-


gli alberi» 111 •
In base a quanto precede, vere e proprie patolo-
gie e distorsioni pregiudiziali, entran1be espres-
sione, in un'ottica responsiva, di creatività smar-
rita o naufragata, possono in detenninati casi
avvicinarsi o intrecciarsi tra loro. Certi pregiu-
dizi, soprattutto quando sono portati ali' esaspe-
razione, non solo offuscano, ma anche accecano
la 1nente o la catturano nelle loro reti, oppure
tradiscono una qualche effettiva anomalia, del
carattere, ad esempio, del comp01tamento o del-
la costituzione della persona. Questo deragliare,
in generale, della creatività costituisce nondime-
no una delle possibilità iscritte nella condizione
un1ana. Perché la polarità o doppio tempo di pa-
thos e response, questa relazione (spezzata) a noi
stessi che è sempre, insieme, una sottrazione di
noi stessi, riguarda waldenfelsianamente ognuno
di noi. Prima di essere una patologia, l'estraneità
di noi stessi o uscire da noi stessi è l'espressione
di quella posteriorità, da cui dipende l' estranei-
tà, che ci caratterizza e, fin dalla nostra stessa

llO. Ibidem.
111. Infra, pp. 164-165.
103

nascita, fa di noi il fn1tto di una serie di nascite


o rinascite che ci precedono. Quello che noi pre-
cisa1nente sia1no, «due in uno e uno in due» 0 2,
non esclude, e può anzi co1nportare possibili
fonne estre1ne di scissioni e fusioni, di conflitti,
ma anche possibili giochi di squadra e mirabili
co-creazioni delle quali un «buon quartetto» 113
è già una piena testimonianza.
Sia che la deformazione riguardi il pathos sia
che riguardi la response, quello che viene co-
munque pregiudicato, quando si verifica una
dissociazione dei due momenti, è la capacità di
rispondere in maniera creativa a qualcosa/qual-
cuno, 1nuovendo dallo stesso pathos che inette
in moto un'esperienza e un sapere rispetto ai
quali non siamo né semplici testimoni, né attori.
Siamo invece un sé che precede sia l'osservatore
di qualcosa che ha su di lui un in1patto causale
(detenninismo), sia il soggetto d'atti che vuole
e comprende (libertà co1ne spontaneità o ca-
pacità di iniziare da sé) e si trova, in quanto ta-
le, «al livello di un'elaborazione dell'esperienza
intesa a darle senso, con la conseguenza che le

112. B. vValdenfels, Fenomenologia delrestraneo, cit., p. 95.


113. Infra, p. 170.
104

crepe dell'esperienza stessa» risultano «masche-


rate grazie all'artificio di un'interpretazione già
data» 114 • Siamo primariamente un corpo, quindi,
che sente e si forma, su una soglia 1nobile, con
il corpo estraneo, con la nostra stessa estranei-
tà materiale, che trova la propria giustificazio-
ne nel fatto che «il nostro corpo è parte di ciò
che esso costituisce» 115, nella misura in cui de-
terminati processi, come quelli neurologici, ad
ese1npio, o quelli genetici, da ,valdenfels mai
sottovalutati, hanno un 1uolo determinante an-
che nella nostra stessa fonnazione.
Come il senso, noi stessi - sé corporei innan-
zitutto - nasciaino dal <<pathos, che nel prover-
biale pathei rnathos pro1nette un apprendere
attraverso il dolore, che non è certo un impa-
rare a soffrire» 116, 1na la prova evidente, vorrei
dire, che non sian10 soli. La sofferenza, infatti,
ha a che fare per il filosofo tedesco con quanto,
accadendoci, «ci strappa dalla vita abituale» 117 ,

114. B. \Valdenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., p. 50.


11.5. B. \.Valdenfels, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,
§ 6.21.
116. B. \.Valdenfels, Fenonienologia dell'estraneo, cit., p. 49.
117. lvi, p. 121.
105

con l'entrata in scena dell'estraneo, con il con-


trasto, dunque, più volte qui evocato, di figura/
sfondo: con la differenza che lisveglia l' attenzio-
ne e suscita lo stupore. Nella stupore, appunto,
o response, si liflette quella libe1tà che, nel caso
specifico, coincide con la concreta libertà di un
Leibkorper, di un corpo che si scopre en1otiva-
mente (vitalmente); nel coinvolgi1nento, cioè,
con quanto ad esso accade e, proprio per que-
sto, nel carattere abissale della sua stessa libertà,
che non inizia da sé, 1na da altri. È una libertà
o spontaneità relazionale/contestuale, vincolata
da (qualcuno/qualcosa), una libertà con altri. Li-
bertà «è partecipazione». Questo significa che
non possiamo scoprire ed esercitare la "nostra"
libertà, se non riconoscendone insieme il ca-
rattere co-originario di estraneità. La risposta
creativa e lo stupore, che è una risposta nuova
al nuovo, sono espressione, da questo punto di
vista, della libertà così intesa.
vValdenfels o Picasso interpretano la creatività,
che riguarda inoltre l'arte di vivere, nei seguen-
ti tennini:
[... ] mi lascio sorprendere dall'estraneo e mi guar-
do bene dal troncare, con tono saccente, la pa-
rola in bocca all' espelienza. Un simile parlare e
106

fare, che non inizia mai da sé stesso, io lo chia-


mo rispondere. Esso attraversa i va1i registri del
pensiero e dell'agire, della ricerca, della creazio-
ne artistica e, non dimentichiamolo, dell'arte di
vivere 118 •
L'irresponsività e il fallimento della creatività, la
de-creazione o l'esaurimento della creatività so-
no il sintomo di un'effettiva prigionia o "crampo"
del corpo (o della mente incarnata) che si do-
vrebbe tentare di sciogliere, almeno parzialmen-
te, se non è possibile dissolverlo 119 • Pri1na anco-
ra, tuttavia, la creatività smarrita è espressione
di una 1nancanza di libertà o di una ristrettezza

118. Infra, pp. 178-179.


119. Sui "crampi del cmpo" ci permettiamo di rinviare
anche a R. Guccinelli, Sul senso di sé. Autoinganni, autoil-
lusioni, disillusioni, in «Thaumàzein», n. 4-5, 2016-2017,
pp. 259-288 (https://rivista.thaumazein.it/index.php/thaum/
aiticle/view/87). Sugli inganni e sui fallimenti relazionali,
cfr. anche Ea<l., 011 the Ecologica! Self. Possibilities and
Failures of Self-Knowleclge mul Knowleclge of Others, in
L. Aguiar de Sousa - A. Falcato (a cura di), Phenomenologi-
cal Approaches to Intersubjectivity and Values, Cambridge
Scholars Publishing, Cambridge 2019, pp. 84-99; R. Guc-
cinelli, The ,,vorld as "Representation": Schelers Philosophy
of Psychopathology, in S. Gottlober (a cura di), Max Scheler
in Dialogue, Springer, Cham 2022, pp. 63-100.
107

dei margini di libertà di cui si dispone. Perché


ognuno di noi rivela, costitutivamente, un trat-
to patologico; perché la normalità e r ordinario
sono circondati dalle loro ombre. Si dovrebbe
tentare allora di riscoprire e riattivare la capa-
cità di libertà. È questo il n1otivo per cui, nella
prospettiva di Waldenfels, una terapia respon-
siva non può prescindere da un'etica dei sensi:
La terapia responsiva si iscrive in un'etica respon-
siva che in definitiva muove da esigenze estranee,
non dai propri progetti. La parola d'ordine non è
"l'estraneo a differenza del propiio", ma "l'estra-
neo nel propiio", quindi cura dell'estraneo nella
cura di sé. In questo spostamento del baricentro
si incontrano la fenomenologia dell'estraneo e la
psicoanalisi dell'inconscio 120 •

120. B. vValdenfels, E,fahnmg, die zur Sprache drilngt,


cit., p. 309.
109

Creatività responsiva

Osseroazione prelim,inare
Sono stato invitato in quanto fenomenologo e in
quanto fenon1enologo prenderò la parola. Vor-
rei muovere da una considerazione di carattere
generale. I fenomeni sono, fin dall'inizio, in-
terdisciplinari e l'interdisciplinarietà, viceversa,
co1nincia con i feno1neni. I fenomeni non sono
meri dati da registrare e rielaborare. Essi com-
paiono in una zona intennedia, tra le diverse
discipline o addirittura priina delle discipline,
se si pensa alle idee (Vorstellungen) ordinarie.
La resistenza contro il 1netodo, owero contro
le costrizioni metodologiche, pron1ossa da Paul
Feyerabend, nasce da una pressione (Druck)
proveniente dalle cose stesse (Sachen selbst).
Nel corso di questa conferenza, che ha luogo
presso il Forum di Darmstadt per la ricerca
interdisciplinare, tornerò sulla parola chiave
110

"creatività" (Kreativitiit) e la connetterò al mo-


tivo della "responsività" (Responsivitiit )1. Vorrei
innanzitutto soffermarmi, anche se brevemente,
sulla creatività e sul contesto se1nantico (vVor-
tumfeld) cui appartengono "creazione" (Krea-
tion), "creatore" (Kreator) e "creatura" (Krea-
tur). I concetti che vi si trovano li annovero fra
le parole concettuali nomadi (nom,adisierenden
Begriffsworten): parole che in nessun luogo go-
dono del dititto di cittadinanza. "Creazione"
induce naturalmente a pensare alla mitologia e
alla teologia, al Creatore del mondo (Weltschop-
f er), che certo non si è soliti definire creativo

1. Per quanto riguarda i presupposti fondamentali di una fe-


nomenologia declinata in termini responsivi e patici, che qui
posso solo abbozzare, si confronti, per averne una visione
più completa, B. vValdenfels, Antwortregister [Registro della
risposta], Suhrkamp, Frankfurt a.M.1994; Id., Brochlinien
der Eifahnmg. Phiinome11ologie, Psychoanalyse, Phanome-
noteclmik [Linee di frattura dell'esperienza. Fenomenologia,
psicoanalisi,fenomenotecnica], Suhrkamp, Frankfurt a.M.
2002; e, in forma più concisa, Id., Gnmdmotive einer Pha-
nomenologie des Fremden, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2006
[tr. it., Fenomenologia dell'estraneo, cit.]. Ho mantenuto in
questo testo, che è stato scritto successivamente rispetto alla
conferenza, il carattere di una presentazione e l'ho integrato
con domande e chiarimenti che sono emersi nel corso del
dibattito seguito alla conferenza.
111

(kreativ ); proprio perché non sarebbe creati-


vo, un Creatore (del n1ondo) o S01n1no artefice
(Schopfer) è considerato una creazione incar-
nata (verkorperte Kreation) e una incarnazione
della creatività o creatività per essenza (Inbe-
griff von Kreativitiit). Che la creatività possa
presentarsi c01ne un merito (Vorzug) speciale
avviene solo al plurale. Nelran1bito della sto-
ria umana essa rico1npare sotto svariate forme:
dal genio creativo (schopferischen Genie) all'in-
ventore tecnico, fino agli stilisti che mettono
in vendita le loro più recenti creazioni. Con1e
possiamo venire in chiaro di questa molteplici-
tà? L'eccellente Historisches lVorterbuch der
Philosophie (Dizionario storico della filosofia),
una volta consultato, è stato immediatamente
rimesso da parte. Il quarto volume 2 si lin1ita a
infonnarci relativan1ente al fatto che "creativi-
tà" rinvia alla psicologia degli anni Trenta del
secolo scorso e da allora è stata oggetto di ri-
cerca in psicologia.

2. W. Matthaus, Ari. Kreativitiit, in J. Ritter - K. Griin-


der (a cura di), Historisches \Vorterbuch der Philosophie,
vol. 4, Schwabe & Co., Basel-Stuttgmt 1976, pp. 1194-
1204: p. 1194.
112

Ne1nmeno la lingua è di grande aiuto. La crea-


tio latina, affine al "generare" e al "crescere",
è preceduta in greco dalla poiesis. La poiesis
viene pensata sul 1nodello del produrre arti-
gianale, affidato alle mani di un demiurgo, alla
lettera, di un maestro artigiano del popolo. Il
bara (") ebraico, che appare nel racconto della
Creazione (Schopfungsbericht), presenta a sua
volta ulteriori connotazioni. Esso è strettamente
connesso alla creazione del mondo intesa co-
1ne creazione senza strumenti di un qualcosa
di nuovo (Erschaffen der vVelt). La lingua ci
conduce pertanto in territori c01npleta1nente
diversi.
Qui di seguito mi limiterò a discutere la questio-
ne della creatività nell' a1nbito di un preciso tipo
di fenomenologia: una "fenomenologia respon-
siva" - così la definisco - strettamente connessa
al flusso fondamentale del patico. Il n1io obiet-
tivo è quello di indicare, in una sorta di ricerca
topografica (in einer Art von Ortssuche), dove
si manifesta nell'esperienza qualcosa come la
creatività e come vi si manifesta.
Che cosa intendo con fenomenologia? Cito dal-
le Meditazioni Cartesiane che Edmund Husserl,
il fondatore della più recente fenomenologia,
113

cui lui stesso si dedicò dopo aver esordito co-


n1e 1nate111atico, espose originariamente in due
conferenze che tenne alla Sorbona di Parigi nel
1929. In esse leggiamo: «L'inizio è l'esperienza
pura e, per così dire, ancora muta, che ora ap-
punto deve essere portata all'espressione pu-
ra del suo proprio senso [zur reinen Ausspra-
che ihres eigenen Sinnes zu bringen ist]»3 • In
questo portare-a-espressione (Zur-Aussprache-
bringen) si dovrebbe trovare qualcosa come la
creatività. Un altro principio che vale la pena ci-
tare lo ricavo da un autore forse più vicino a una
università tecnica, come quella di Dannstadt.
È di Charles S. Peirce, che ha sviluppato, in
n1aniera originale, una sorta di fenon1enologia
semiotica. Nelle Lezioni sul pragmatis11w del
1903 egli dichiara:
L'esperienza è la nostra sola maestra [ ... ]. Essa
[L'azione dell'esperienza] si dispiega in una serie
di sorprese[ ... ]. Tutto ciò che l'esperienza si de-
gna di insegnarci, ce Io insegna per sorpresa [ ... ].
Il problema è che cosa sia il fenomeno. Non dob-

3. E. Husserl, Meditazioni cartesiane. Con l'aggiunta dei


Discorsi parigini, tr. it. di F. Costa, Studi Bompiani, Milano
19942, p. 69 (tr. liev. mod.).
114

biamo avere l'inutile pretesa di cercare in maniera


regressiva dietro i fenomeni 4 •
"Esperienza" (Erfahntng) in senso debole signi-
fica: ci è dato qualcosa (etwas gegeben ist) che,
nei suoi tratti fondainentali, ci è del tutto fami-
liare. Cadiamo in un "Mito del Dato" (Mythos
des Gegebenen), se ci accontentia1no della «no-
zione sabbatica del "Dato"» e mettiamo da par-
te la «nozione feriale dell'"accertato"»·5• "Espe-
rienza" in senso forte significa invece: qualcosa
di nuovo sorge, la struttura e il corso delle co-
se can1biano, qualcosa ci riempie di stupore o
ci spaventa (uns etwas in Erstaunen oder Er-
schrecken versetzt) e ci can1bia. Come possa
accadere tutto questo, vorrei mostrarlo di se-
guito, sia pure a grandi linee, in ogni suo singo-
lo 1nomento.

4. Ch.S. Peirce, Scritti scelti, tr. it. di G. Maddalena, UTET,


Torino 20132, pp. 399-400 (tr. liev. mod.).
5. G. Ryle, Il concetto di mente, tr. it. di G. Pellegrino, pref.
di D.C. Dennett, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 232.
115

1. Pathos e response - tra "counter"-experience6


e risposta
Vorrei muovere dalla lucida, spesso citata, af-
fermazione di Lichtenberg. «Si dovrebbe dire:
esso [Es] pensa, così con1e si dice: [(esso) es]
lampeggia [es blitzt]» 1 • Lichtenberg, che affi-
dò questo aforisn1a ai suoi Sudelbiichern, fisico
per formazione, era ben lontano dall'essere un
esaltato capace soltanto di disprezzare la ragione
(schwii'mierischer Vernunftveriichter). Dicendo
«esso pensa», non intende riferirsi a illuminazio-
ni vaghe o confortevoli. Si sta riferendo piuttosto
a quelle idee che ci vengono in 1nente o trova-
te (Einfiille), cui ne1nmeno uno scienziato po-
trebbe rinunciare. Una trovata (Einfall) è un'i-
dea (Idee) che viene, une idée qui vient, come

6. Sul termine tedesco "Viderfahmis, di difficile resa in


italiano, cfr. B. Vlaldenfels, Estraneo, straniero, straordi-
nario, cit., § 2 [N.d.T.].
7. G.Ch. Lichtenberg, Sudelbiicher, in Id., Schriften wul
Briefe, 2 voll., Tausendundeins, Frankfurt a.M. 1968-1971,
p. 412. [Cfr. una selezione dei Sudelbiichern: Id., Osserva-
zioni e pensieri, tr. it. a cura di N. Saito, Einaudi, Torino,
1966, e anche una scelta antologica dai Sudelbachem e dai
Diari: Id., Zibaldone segreto, tr. it. di F.F. Farina, Virgilio
Edizioni, Milano 2002; N.d.T.].
116

i francesi definiscono la "trovata". [(Esso) Es]


"La1npeggia"; al la1npo (Blitz) però si accon1-
pagna il fulmine (Blitz.schlag), il lampo non è
affatto innocuo, non indica assenza di pericolo.
Perfino il pensiero ha i suoi parafulmini. Si può
essere perseguitati dalle proprie idee con1e da
un potere estraneo. Ciò che viene non è eo ip-
so salutare.
Al fine d'illuminare la scena primaria (Ursze-
ne) dell'esperienza, lavoro con una coppia di
concetti: pathos e response (Response) o - in
tedesco - Wideifahmis (accadin1ento, ciò che
ci accade, counter-experience) e Antwort (rispo-
sta). Ciò che conta accade tra (zwischen) questi
due momenti.
Venia1110 innanzitutto al pathos. Questa parola
ha in greco (midoç) tre significati: quello di un
passivo subire (Erleiden von) qualcosa, quello
di un patire (Leiden unter) awersità e quello
di una forma comparativa di passione, di una
passione, cioè, che assu1nendo intensità (Stei-
gerungsform der Leidenschaft), finisce per af-
ferrare qualcuno. In tedesco parliamo da tempo
immemorabile di Wideifahmis. Il prefisso wi-
der- ["contro"/"contrario","incontro"(entgegen)]
ha riflessi che tendono, da un lato, a quanto è
117

benvenuto, dall'altro a quanto ci è awerso - co-


me se tendessero a colori fra loro contrastanti-,
da un lato alle res secundae, che si confonnano
ai nostri desideri, dall'altro alle res aclversae, che
vi si oppongono. Se arriverà l'uno o l'altro, non
è dato saperlo in anticipo.
Per quanto Iiguarda l'inizio dell'esperienza sen-
sibile (sinnlich), esso consiste nell'imporsi alla
n1ente (drangt sich [ ... ] auj) di una se1nplice
scena di esperienza quotidiana: qualcosa ci col-
pisce, owero salta all'occhio (Etwas fallt mir
auf). Questa modalità di percezione intensiva
(intensiver Wahrnehniung) possiamo chiamarla
attenzione. Qui però i fenomenologi, analoga-
mente ai loro predecessori troppo appiattiti sulla
teoria (theorielastig), hanno c01nmesso alcuni
errori. Ci siamo lasciati cullare dalla tradizione
e abbian10 parlato troppo presto di subjectum
(Subjekt) e soggetto attoriale (Akteur). L'atten-
zione, mediante la quale qualcosa viene alla lu-
ce, appare allora co1ne una se1nplice, passiva
fase preliminare. Così ad esen1pio in Wilhelm
Wundt. L'attenzione, tuttavia, che ci risveglia dal
sonno dei sensi (sinnlichen Schlunimer), non ini-
zia né con 1neri fatti, né con l'osservazione - co-
me se fossimo detective nati che devono cercare
di scoprire tutto. Inizia, piuttosto, con qualcosa
118

che ci colpisce (das uns etwas auffallt), "qualcosa


che si fa notare" (sich etwas benierkbar 11wcht),
a cui prestiam,o da parte nostra attenzione (auf-
1nerken). Una simile attenzione coinvolta/par-
tecipe/integrata/incorporata (eingebundene Auf-
m,erksamkeit) si rivela creativa in quanto non
registra il n1ero dato, 1na organizza il ca1npo in
1nodo tale da farne, "creandolo" (schaffen) ap-
punto nel senso di créer, un campo percettivo o
1nentale, c01ne sottolinea Merleau-Ponty nella
Fenom.enologia della percezione 8• Il doppio tem-
po (Zweitakt) di saltare all'occhio (Auffallen) e
di prestare attenzione (Aufmerken) costituisce
quindi la legge dell'andamento/dei gradi dell'at-
tenzione (Schrittgesetz der Aufinerksmnkeit) 9 •
Proseguiarno: mi viene in niente qualcosa (Et-
was fallt mir ein). Cosa sarebbe la ricerca senza
idee che ci vengono in n1ente (Einfiille)? Natu-
ralmente si possono svolgere diverse indagini,
senza avere idee speciali (besondere Einfiille).
In ogni caso si metteranno a frutto le idee che

8. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tr.


it. cli A. Bonomi, Bompiani, Milano 20053, p. 66.
9. In Phiinomenologie der Aufmerksamkeit [Fenomenolo-
gia delrattenzione], Suhrkamp, Frankfu1t a.M. 2004, ho
esposto sistematicamente questa idea.
119

vengono in mente, da qualunque parte possano


arrivare. Se non si vuole girare semplice1nente
a vuoto (Will man nicht einfach auf der Stelle
treten), allora bisogna riesa1ninare e affinare tali
idee. Il venire in 1nente a qualcuno di qualcosa
{jemandem etwas einfiillt), però, non è un "atto"
soggettivo (subjektiver "Akt"). Perché nessuno
fa o compie qualcosa, a meno che non soprag-
giunga (eintritt) qualcosa, non compaia (auftritt)
qualcosa, non ci colpisca (auffiillt) qualcosa, non
ci venga in mente (einfiillt) qualcosa. I.:ES (ES),
che entra in scena (auftritt) nelle svolte imperso-
nali, è all'inizio dell'esperienza, non i'IO (ICH).
L'esso (Es) così inteso è anonimo, non ha ancora
un nome. Trovare il n01ne è già una forma del
rispondere, così il bambino quando si appropria
del nome che sente chiamare. Quando pensia1no
all'arte sonora della musica, si pongono questioni
shnili. Dove e come inizia la 1nusica? Co1nincia
con la rottura del silenzio, con qualcosa che ri-
suona, riecheggia, non con qualcuno che suona
una sonata di Beethoven o che ascolta il suono
di un flauto. Chi muova dalle vaste conoscenze
che in materia possiede sostituisce l'udito senso-
riale con un sapere uditivo. Nella tenninologia
cartesiana, mette un cogito me audire al posto
dell'audio o auditur. Si è precipitosi allora, si
120

crede già di conoscere cosa si ode e si vede. Vale


la pena ricordare, a questo proposito, un'ulterio-
re osservazione di Merleau-Ponty che traian10
dalla Fenomenologia della percezione: «Nulla
è più difficile che sapere esattmnente ciò che
veclia11w>> 10 •

10. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione,


cit., p. 102. Sui principi elementari di una fenomenologia
del vedere e dell'udire cfr. B. '''aldenfels, Sirme umi Kiinste
im \Vechselspiel. Modi iisthetischer Erfahnmg [L'intera-
zione dei sensi e delle arti. Modi dell'esperienza estetica],
Suhrkamp, Berlin 2010. [I tennini designanti il "corpo-
reo" o il "corpo" (Leib, leiblich, K.orper), come husserliano
«luogo di transizione tra senso e causalità naturale» (cfr.
B. vValdenfels, Fenomenologia dell'estraneo, cit., p. 90),
vengono talvolta impiegati da vValdenfels come dei termini
equivalenti, essendo il fenomeno "corpo", appunto, indif-
ferente alla distinzione psichico/fisico. Nulla vieta pertanto
cli renderli in italiano con il sostantivo "corpo" o l'aggettivo/
sostantivo "corporeo", a seconda dei casi, senza ulteriori
connotazioni. Si è però stabilito qui di conservare nella loro
traduzione, almeno in parentesi, la sfumatura, fisica o bio-
psichica, che, una volta pervenuta l' espe1ienza a linguaggio
(creativo), essi in qualche modo manifestano, senza dover
esibire per questo una ligidità ontologica o un improprio
rivestimento concettuale. Rimane valida, da questo pun-
to di vista, la classica distinzione fenomenologica di Leib
(co1po-vivo) e Korper (corpo-fisico). Si è inteso così resti-
tuire al lettore il testo nelle sue - anche minime - valiazio-
121

Se muoviamo dal fatto che qualcosa viene alla


luce nell' espelienza, allora non abbiaino innan-
zitutto a che fare né con atti soggettivi (sub-

ni lessicali. Simili variazioni-oscillazioni rivelano peraltro


come questo saggio sia scaturito, non tanto da una fredda
riflessione a tavolino, quanto dal vivo, o meglio, dal pa-
thos, di un'esperienza che non teme di mostrarsi nelle
sue stesse zone "liminari" (dal latino liminaris, derivato
di limen-mznis: "soglia"), addirittura, nelle sue stesse am-
biguità. È opportuno tuttavia ricordare, con i curatori di
altre edizioni italiane di lavmi di ,valdenfels, che ove non
sia espressamente impiegata dall'autore nei termini propri
della tradizione fenomenologico-husserliana, la distinzione
di Leib (corpo-vivo) e Korper (corpo-fisico) passa di fatto
in secondo piano. Emerge, allora, in primo piano il corpo
semplicemente o esperienza di sé come corpo - un corpo
ambiguo, scisso nella sua stessa appartenenza al vivente - a
prescindere dalle secche articolazioni che esso può nondi-
meno presentare in altre circostanze. Di qui appunto l'uso,
a volte interscambiabile, da parte di vValdenfels, di Leib e
KiJrper. Si tratta sempre di un "corpo" capace di sottrarsi a
ogni possibile dualismo di mente/corpo, proprio/estraneo.
Un "corpo" o "carne" (chair), in un'accezione merleau-
pontyana del termine condivisa da vValdenfels, che rivela,
qualunque forma di realtà possa assumere, l'intersecar-
si precisamene del vivente e del fisico. Su questo punto
cfr. B. ,valdenfels, Estraneo, straniero, straordinario, cit.,
§ 4. Su analoghe distinzioni terminologiche in grado di
valorizzare, in altri percorsi non del tutto inconciliabili
secondo noi con quello del nostro autore, quanto costituì-
122

jektiven Akten) né con dati obiettivi (objekti-


ven Daten). Non associo il "saltare all'occhio"
(Auffallen) e il "venire in 1nente" (Einfallen)
a un verbo attivo. Un'espressione idio1natica
come: "Mi faccio venire una buona idea" (Ich
fosse 111,ir etwas einfallen) sarebbe già tirata per
i capelli. Non è ne1n1neno possibile richiedere
finanzia1nenti esterni per le idee che vengono
in mente o trovate (Einfiille) - il che, per inciso,
sarebbe dawero bello. Provate ad andare alla
Fondazione Tedesca per la Ricerca e dite: "Ho
un paio di idee che 1ni sono venute in 1nente".
La risposta che otterrete sarà: "Cosa le salta in

sce dal suo punto di vista la «semi-estraneità» dell'espe-


rienza prop1io-corporea (cfr. B. Waldenfels, Fenomeno-
logia dell'estraneo, cit., p. 90, p. 103) - ad esempio sulla
distinzione scheleriana di Leibkorper richiamata non a caso
da vValdenfels nel luogo qui citato di Estraneo, straniero,
straordinario-; sul tentativo scheleriano, sempre in ambi-
to fenomenologico, di "salvare" il fenomeno in questione,
vale a dire il corpo complessivamente inteso, cfr. anche
M. Scheler, Il fonnalisrrw nell'etica e l'etica materiale dei
valori, tr. it., intr., note e apparati di R. Guccinelli, pres.
di R. De Monticelli, Bompiani, Milano 2013. Sul "cor-
po" in un'accezione scheleriana ci pennettiamo inoltre di
!inviare a R. Guccinelli, Fenomenologia del vivente. Cor-
pi, ambienti, mondi: una prospettiva scheleriana, Aracne,
Roma 2016. N .d.T.]
123

mente?" (Was fallt Ihnen ein?). Nemmeno le


autorità preposte alla progrannnazione dell'i-
struzione possono avanzare una pretesa del ti-
po: "Dobbia1no produrre più trovate (Einfal-
le )". Le idee che vengono in mente (Einfalle)
non sono, appunto, atti soggettivi che si possono
progra1n1nare ed esigere in 1naniera del tutto
arbitraria. Tanto meno sono avvenimenti o fatti
(Ereignisse) obiettivi che possano essere regi-
strati da un osservatore. Al counter-experience
('Viderfahrnis) pertiene invece che qualcosa
succeda (zustosst) a qualcuno. Esso (Es) lam-
peggia, 1na in 1nodo tale da far sobbalzare di
spavento qualcuno per la saetta (Blitzstrahl).
Qualcosa accade a qualcuno (Etwas widerfahrt
jemandem) - questo io lo chiamo evento doppio
(Doppelereignis), un evento, cioè, che non può
essere ridotto né a un subjectuni (Subjekt) né a
un objectuni (Objekt). Prendo dunque sul serio
il suggerimento di Lichtenberg. Non si tratta,
all'inizio, né di un subjectuni né di un objectum.
La questione piuttosto è quella di sapere cmne
qualcuno sia coinvolto in qualcosa (wie jenwnd
an etwas beteiligt ist). Questo coinvolgiinento
è possibile esprimerlo in parole molto sen1plici:
c'è qualcosa da cui qualcuno viene colpito (Es
gibt etwas, wovon jemand getroffen ist), e il da
124

cui (Wovon) dell'essere colpito (Getroffensein)


è contemporaneamente l' a cui (Worauf) del suo
rispondere (seines Antwortens).
Il 1ispondere inizia in modo ele1nentare nei ter-
mini di un rispondere (vivo-)corporeo (leibliches
Antworten). Se in questo momento dalla finestra
venisse un boato, nessuno di noi constaterebbe
con calma: "Ah, ecco, là fuori c'è stata un'esplo-
sione!". Avremn10 prima istintivamente fatto un
sobbalzo. Questa è una prima risposta che si dà
come sé corporeo-(vivente) (leibliches Selbst).
Essa si esp1ime, nel senso di esternarsi (auj3ert
sich), tramite ciò che Freud chiama linguaggio
del corpo (Korpersprache). A un contesto si-
1nile appartiene r effetto di sorpresa, appunto,
o "effetto-ah, ecco!" (Aha-Effekt). L'"ah, ecco!"
non è esattamente una parola della lingua, ma
un suono sulla soglia della lingua, esso porta a
espressione (es bringt [ ... ] zum Ausdruck) la
sorpresa. È altrettanto ele1nentare dell"'ahi!" o
dell'"oh!" che si leva alto, quale grido di dolo-
re, anche sul palco delle tragedie greche. Viene
al linguaggio, ciò che non ha ancora una lin-
gua. E proprio in questo c'è qualcosa di cre-
ativo (etwas Kreatives). Si esprime, nel senso
di esternare (man aussert), ciò che 11011 si può
ancora pronunciare o manifestare per n1ezzo di
125

parole (aussprechen). Lichtenbergvede già qui,


appunto, un confinare (dell'essere un1ano) con
«I' aniinale che affoga in una laclin1a» 11 •
Il plincipio guida di Platone - "la filosofia inizia
con lo stupore" - 1nostra chiaramente di cosa si
tratta. In uno dei Dialoghi platonici, il Teeteto
(155c-d), all'interlocutore di Socrate, un n1a-
tematico, accade (widerfiihrt) prop1io questo:
viene colto da vertigini e tutto attorno a lui si fa
buio (dem schwarz vor Augen wird). La plima
risposta non consiste, dunque, ove sia in gioco
un' espelienza forte e penetrante, in un sapere
che in quanto soggetti si trasmette ad albi, attin-
gendo a una riserva di conoscenze, e ne1nmeno
in un atto che, una volta appreso con l'esercizio,
si compie, come se si potesse hnparare a stupir-
si. La crescente e ossessiva attenzione ai diversi
progran1n1i di studio sull'acquisizione di com-
petenze ha come conseguenza che lo stupore e,
con esso, la creatività finiscono per essere siste-
maticamente espulsi. Si impara a funzionare, sia
in conformità alle regole sia in modo flessibile 12 •

11. G.Ch. Lichtenberg, Sudelbucher, cit., p. 3.54.


12. Cfr. A. Gelhard, Kritik der Kompetenz, diaphanes, Zil-
rich 2011.
126

Siamo quindi coinvolti in quanto ci accade. Sia-


1no dawero noi, però, gli autori (Urheber) delle
nostre esperienze (Erfahrungen)? No, gli acca-
din1enti (Wideifahmisse) non awengono così.
Ho smesso da tempo di parlare di "soggetto"
(Subjekt) senza specificarne le caratteristiche.
Non intendo con questo cancellare semplice-
1nente il soggetto. Cerco solo di descriverlo in
base all'esperienza. Il soggetto unitario si spacca
(spaltet sich auf). In quanto esseri esperienti,
siamo doppiamente coinvolti nella nostra espe-
rienza. Da una parte, ne sian10 coinvolti cmne
qualcuno cui qualcosa salta all'occhio (auffiillt),
viene in mente (einfiillt), o succede (zustojJt)
che qualcosa lo tocchi (anrilhrt); sian10 coin-
volti, cioè, co1ne pazienti (Patient) nel senso
lato e letterale del termine. Dall'altro, ne sian10
coinvolti come rispondenti (Respondent) che a
questi accadimenti mostrano interesse rispon-
dendo. Decisivo è il passaggio dall'Es all'Io, co-
sì come esso viene a espressione, dal punto di
vista grmnmaticale, nel passaggio dal dativo o
accusativo al nominativo. I.:io viene declinato
così come si declina un termine nella regola dei
casi; si rivela un io rotto (gebrochenes Ich), pro-
prio come l'esperienza si presenta cmne un' e-
sperienza rotta (gebrochene Eifahrung). Una
127

svolta shnile si potrebbe definire submoderna,


non la definirei invece poshnodema. A questo
livello basilare, concernente nel lessico psicoa-
nalitico i processi prhnari e non le elaborazioni
secondarie, preferisco parlare di un sé (Selbst),
di un sé (vivo-)c01poreo e sociale che emerge
dalle sue esperienze, piuttosto che di un sogget-
to che fonda (zugrunde liegt) - subjectum, (ciò
che soggiace) - e controlla le sue esperienze.
Con un gioco di parole che ci consente la lin-
gua tedesca, possiamo dire: facciamo esperienze
( = patiamo) che non facciaino ( = creia1no, nel
senso di produrre) [Wir machen Eifahrungen
(= durchmachen), die wir nicht selbst 11wchen
(= herstellen)]. Il sé dunque è un sé raddoppia-
to. Si apre una crepa (Spalt) tra ciò che ci accade
e ciò cui si risponde. Anche la psicoanalisi fa i
conti con un "sé scisso" (gespaltenen Selbst). Il
sé patico-responsivo non costituisce un'istanza
unitaria come il classico "io penso", non è mai
co1npletamente presso di sé.
Semplici esen1pi attinti dalla sfera dei sensi,
esen1pi da me già citati, possono chiarire il si-
gnificato delle mie parole: lampeggia (es blitzt),
scoppia (es knallt), brilla (es glitzert), oppure,
"c'è odore di" (es riecht nach) di qualcosa, o
sa di qualcosa (es schmeckt nach etwas). Nel-
128

lo stesso senso andranno ricordate, inoltre, le


esperienze capaci di produrre scosse (erschiit-
ternde Eifahrungen) come il pathos del meravi-
glioso, di quanto spaventa o procura un' emozio-
ne di questo tipo (Erschrecken). Lo spaventoso
(Schrecken) svolge un ruolo centrale sul palco
del teatro greco. Tragedie come i drammi di So-
focle incentrati sulla figura di Edipo, così impor-
tanti per Freud, iniziano col phobos - col rabbri-
vidire (Schaudern), lo spaventarsi per qualcosa
(Erschrecken iiber etwas) che è successo (ge-
schehen ist), che continua ad avere effetto e
si diffonde, come la peste che ha colpito Ate-
ne. In questo quadro si iscrive anche il destino
dei rifugiati che implorano protezione e, c01ne
Hiketides, compaiono alla frontiera; Hiketides
come lo stesso Edipo, che chiede asilo a Colo-
no. A teatro assistia1no volentieri a qualcosa del
genere, quando esso viene rappresentato sul
palcoscenico, ma cosa succede se a un tratto
compare sul palcoscenico della vita un dram1na
come quello dei rifugiati13 ?

13. Rinvio qui a un mio contributo al dibattito in corso,


B. \Valdenfels, Fremde als Giiste in Not, in «Deutsche Zeit-
schrift ftir Philosophie», voi. 65, 2017, pp. 89-105.
129

Traggo un altro esempio dalla prima genesi del


sé nella relazione n1adre-ban1bino. Quando il
bainbino sorride alla (anlachelt) 1nadre, non lo
fa con1e un "soggetto" che riconosce un altro
"soggetto". Il "sorridere" (Lacheln) in quanto
"sorridere a" (Anliicheln), il "piangere" (Weinen)
in quanto "piangere rivolto a" (Anweinen), che
non si limita a espri1nere un sentiinento, ma è
diretto anzi ad altri, lo troviamo già in Orazio,
nella suaArs poetica (w. 101 s.): «Ut ridentibus
arrident, ita flentibus adflent / Humani vultus
[ ... ]» 14 • In effetti n1anca l'essenziale, quando al
ban1bino non viene donato un sorriso. Un'e-
spressione come quella di sorridere permette di
comprendere perché, in generale, possa instau-
rarsi un contatto tra madre e bambino e perché,
se il contatto fallisce, possano svilupparsi dei di-
sturbi che impediscono al sé di venire al mondo.
In questo senso il sorriso è appunto creativo.
Altrettanto creativo è il pianto partecipe.

14. Orazio, Arte poetica, in Id., Tutte le opere, a cura di


L. Paolicchi, intr. di P. Fedeli, Salerno Editrice, Roma 1993,
p. 1079: «Il volto di un uomo ride a chi ride / ed è vicino
a chi piange».
130

2. Trasformazione dell'esperienza
In secondo luogo si tratta di mettere a fuoco
una fase dell'esperienza nota cmne "fase della
forinazione dei significati o forn1azione delle
regole". Non fare1n1no alcuna esperienza ca-
pace di can1biare profondan1ente sia noi stes-
si sia il mondo se ci fossero solo eventi lampo
(blitzartige Ereignisse). Non potremmo dire ciò
di cui stiamo facendo esperienza, se balenas-
se continua1nente un la1npo di novità (Neues
aujblitzen). Imparare dall'esperienza presup-
pone che ciò da cui (wovon) qui e ora siamo
colpiti sia trasformato (verwandelt wird) in un
cosa (Was). Riprendo qui un termine familiare
sia ai fenomenologi sia agli ermeneuti: il famoso
Als ("in quanto"/"come"). Ciò da cui veniamo
affezionati e interpellati (affiziert und angespro-
chen werden) si trasforma in qualcosa che viene
appercepito (aufgefasst), trattato (behandelt),
desiderato ardentemente (begehrt), cmnpreso
(verstanden) in quanto qualcosa. Questa sempli-
ce parola, in quanto, che abbiamo già incontrato
in Aristotele nella forma (Gestalt) ontologica
dell'"essente in quanto essente", funziona co-
me una sorta di piattafonna girevole, per mezzo
della quale qualcosa che qui e ora viene verso
di noi si trasforma - nel senso che viene con-
131

vertito (sich in [ ... ] verwandelt) - in qualcosa


di ripetibile, in qualcosa, cioè, di cui parlia1no,
che prendiamo in considerazione (das wir ins
Auge f assen), di cui ci rallegriamo (woran wir
uns freuen), per cui ci irritiaino (worilber wir
uns iirgern), di cui possiamo ricordarci (woran
wiruns erinnern konnen). Quanto ci accade nel
pathos si trasfonna (viene convertito) in una
fonna (Gestalt) ripetibile, assu1ne un senso. Il
senso ha sempre a che fare con la ripetizione
(vViederholung) e la regolaiità (Regelhaftigkeit).
La descrizione più elementare dell'esperienza
suona come segue: qualcosa viene afferrato (er-
fasst ), compreso, trattato in quanto qualcosa.
Anche questa idea fondainentale può essere il-
1ustrata in vario modo. In primo luogo vorrei ci-
tare, come un caso esemplare, quello del grande
ricercatore Wilhelm Rontgen. Mentre stava ef-
fettuando nel suo laboratorio alcuni esperimenti
con certi tubi del gas, egli scoprì per caso che
dei fogli ammassati lì intorno venivano illumi-
nati da un tipo sconosciuto di radiazioni. La sco-
perta non aveva nulla a che fare, quanto 1neno
diretta1nente, con l'oggetto dell'indagine. Uno
strano feno1neno s'insinuò (driingte sich in [ ... ]
ein) in un'indagine ancora in corso, qualcosa di
secondario suscitò lo stupore del ricercatore.
132

Così furono scoperti quei raggi che in seguito


presero il non1e del loro scopritore e che, in
lingue diverse dal tedesco, in quanto rayons X
o X-rays (raggi-X), conservano l'incognito ori-
ginario (urspriingliches lnkognito). Uno strano
fenomeno, quindi, che sulle prime non costi-
tuisce ne1n1neno un dato suscettibile di essere
registrato, diventa il nucleo di una teoria delle
radiazioni; dispositivi, inoltre, come quelli oggi
in uso nelle pratiche mediche quotidiane, ven-
gono in seguito prodotti. È un lungo processo di
trasformazione (Transfornwtionsprozess), dun-
que, quello che porta a tutto questo, e inizia con
qualcosa che al ricercatore è toccato (zugefallen
ist) senza che lui lo volesse.
Prendiamo un secondo esempio dalla psicoana-
lisi 15 • Come Heidegger in Essere e tem,po, Freud
distingue tra angoscia (Angst) e paura (Furcht).
Nell'angoscia siamo assaliti (ubeifallt uns) da un
qualcosa di vago, d'inquietante o perturbante
(Unheim1iches), minaccioso, non ancora suscet-

15. Su questo punto, cfr. anche B. vValdenfels, Sozialitiit


uncl Al,teritiit. Modi sozialer Erfahnmg [Socialità e alteri-
tà. Modi dell'esperienza sociale], Suhrkamp, Berlin 201.5,
cap. III: Angst ,mcl Furcht als Ausdruck des Pathischen [An-
goscia e paura come espressione del patico], pp. 110-154.
133

ti bile di essere identificato. Nulla nel senso di


un non-qualcosa (Nicht-etwas) si trasforn1a in
un qualcosa (ein Etwas) che suscita paura. Il da-
vanti a cui dell'angoscia (Wovor der Angst) di-
venta un cosa della paura (Was der Furcht). In
psicoanalisi si parla in questo contesto di fobie.
Qualcuno è affetto da fobia degli animali. Qual-
cuno - lo si osserva spesso - ha paura dei gatti
o dei ragni, sebbene animali shnili non rappre-
sentino alcun pericolo reale. Come è possibile
tutto questo? La psicoanalisi segue il processo
nel quale un'angoscia indefinita, che si nutre di
segreti conflitti pulsionali (Triebkonflikten), si
incarna in qualcosa di determinato, si trasferisce
in qualcosa da cui ci si può difendere e da cui si
può fuggire (davonlaufen). Non posso sfuggire
(davonlaufen) infatti all'angoscia che è in me.
È la trasformazione (Transformation) dell' ango-
scia in paura a lasciar parlare la muta angoscia.
In epoche più lontane per guarire una n1alattia
o alleviare una sofferenza ci si rifugiava in una
serie di formule magiche owero si "ricorreva
ad" esse (nahm 1nan seine Zuflucht zu); ci si ri-
fugiava, più precisamente, in un bel "discorso",
un discorso incantevole o capace di incantare
(zauberhaften "Besprechen"), alla lettera: un
"cantare" (epadein, Besingen), del quale Plato-
134

ne inizia a parlare quando affronta la questione


del tratta1nento di gravi stati come quello d'an-
goscia di morte, e che sopravvive nel colloquio
psicoterapico (Gespriichstherapie )16 •
Il terzo ese1npio lo prendo dal ca1npo dell' ar-
te visiva. Il pittore Edvard Munch ci ha lascia-
to una nota di diario dawero impressionante.
In essa racconta che stava camminando lungo
una strada con alcuni amici al tramonto quando,
all'improvviso, il cielo divenne rosso sangue, ai
suoi occhi, e lingue di fuoco si allungarono sulla
città: «Gli amici proseguirono - io rimasi indie-
tro - percorso da un brivido d'angoscia (zitternd
vor Angst) - sentii il grande urlo nella natu-
ra». Lo spavento (Schrecken) che provò spinse
il pittore a realizzare la fa1nosa serie dei quadri
dell'angoscia:«[ ... ] dipinsi le nuvole come san-
gue vero-i colori gridavano» 17 • L'angoscia trova
nella pittura la propria espressione, il sole rosso
diventa l'e1nblema dell'angoscia [(fisico-)cor-

16. Rinvio qui al corrispondente capitolo del mio Platon-


Buch: B. \,Va]denfels, Platon.. Zwischen. Logos und Pathos
[Platone. Tra logos e pathos], Suhrkamp, Berlin 2017,
pp. 219-227.
17. Cit. in N.M. Stang, Edvard Munch, tr. ingl. di C.J.
Knudsen, Tanum, Oslo 1972, p. 94.
135

porea (korperlicher Angst)], rangoscia diventa


visibile attraverso il 111,edium di linee e colori.
Un ultimo esempio in cui si manifesta l'enigma-
tico "in quanto" possia1110 trarlo dal ca111po di
studi dell'etnologia. Nella sua Biologia teoreti-
ca 18, Jakob von Uexklill racconta di un'esperien-
za che aveva fatto in Africa grazie a un ragazzo
del luogo. Per quanto fosse estremamente abi-
le, il ragazzo in questione sembrava incapace di
salire su una semplice scala. «Vedo solo bastoni
e buchi», diceva. Ciò che vedeva di fronte a sé
non era ancora una cosa d'uso concepita secon-
do un piano; imparò rapidamente a usarla come
tale (als solches ), non appena gli si mostrò cmne
andava fatto. Per interpretare gli assi di legno
in termini funzionali, vale a dire con1e pioli di
una scala sulla quale ci si poteva arrampicare,
occorrevano una guida culturale e quel processo
di apprendimento che ogni ba111bino, giocando,
cmnpie nella propria cultura.
Per i ban1bini vale quanto segue:
Usano le parole, le combinano, giocano con loro
finché non afferrano un significato che fino a quel

18. J. von Uexkull, Biologia teoretica, tr. it. a cura e con intr.
di L. Guidetti, Quodlibet, Macerata 2015, p. 105.
136

momento era rimasto loro inaccessibile. E l'atti-


vità iniziale di gioco è un presupposto essenziale
dell'atto finale della comprensione. Non c'è alcu-
na ragione per cui questo meccanismo dovrebbe
smettere di funzionare nell'adulto 19 •
La prop1ia cultura inizia per ciascuno di noi
come (als) "inondo estraneo" - per impiegare
un termine husserliano di uso corrente20 ; inizia
come cultura di altri, degli adulti. Analogamen-
te la propria lingua, in quanto lingua materna,
viene 1nutuata da altri. Entra qui in gioco una
1nimesi, a quanto pare, n1a essa presenta il trat-
to creativo di un fare-con, owero di una parte-
cipazione (Mitmachen), che differisce netta-
111ente da un fare-conte meccanico, owero da
un'imitazione (Nachmachen) 1neccanica. Che
il proverbiale pappagallo non faccia che imitare
e che l'animale, a differenza dell'essere u1nano,

19. P. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una te-


oria anarchica della conoscenza, tr. it. di L. Sosio, pref. di
G. Giorello, Feltrinelli, Milano 20032, p. 23 (tr. liev. mod.).
20. E. Husserl, Heimwelt, fremde Welt und "clie" Welt
(1930 oder 1931), in Id., Zur Phiinomenologie der Inter-
subjektivitiit. Texte aus de,n Nachlass. Dritter Teil: 1929-
1935, in Husserliana, voi. X\~ Nijhoff, Den Haag 1973,
pp. 214-218.
137

sia completamente "stabilizzato", o meglio, sia


"stabiln1ente-detenninato" (festgestellt), oggi
viene 1nesso in discussione. La creatività si tro-
va in ogni caso nel piccolissin10 in quanto che
pennette la ripetizione di un inizio irripetibi-
le nella sua singolarità. L'essenziale consiste in
questo: qualcosa acquisisce un senso che pri-
ma non aveva, un senso, più precisainente, che
potrebbe essere anche altri1nenti (einen Sinn,
der auch ein anderer sein konnte). Su questo
punto - lo si prova facilmente - convergono,
nelle loro rispettive fonnulazioni, Heidegger,
Merleau-Ponty o Foucault: c'è del senso, 1na
non il senso (Es gibt Sinn, aber nicht den Sinn).
A questo proposito, ricorro a una formulazio-
ne di Merleau-Ponty. Il fenomenologo francese
parla di un "paradosso dell'espressione", che ne
costituisce appunto la creatività. Cito un passo
cruciale in cui l'autore si riferisce a sua volta al
proustiano "libro interiore" dell'esperienza (Er-
f ahrung): «Parlare e scrivere è sì tradurre una
esperienza, la quale però diviene testo soltanto
in virtù della parola che essa suscita» 21 • Altro-

21. M. Merleau-Ponty, Linguaggio, storia, natura. Corsi al


Collège de France 1952-1961, tr. it., a cura di M. Carbone,
Bompiani, Milano 1995, p. 43.
138

ve ho commentato ampiamente questo passo22 •


Nell'intreccio di esperienza e linguaggio l'e-
spressione che occorre trovare assume la forma
paradossale di una traduzione creativa (schop-
ferischen), una traduzione che non presuppone
un testo 01iginale. Da un lato, "esperienza" non
significa che qualcosa sia semplicemente dispo-
nibile, che basti afferrarlo in una simplex ap-
prehensio e riprodurlo correttamente. Dall'altro
l'esperienza non viene solo prodotta, costrui-
ta. "Costruire" (Konstruieren) è una parola al-
la moda che, nell'uso inflazionato che se ne fa,
non diventa più faciln1ente comprensibile. Il
fatto che Fontane, nel romanzo Effie Briest, e
Freud, in seguito, nel saggio Il disagio della ci-
viltà2.3, affermino che la vita ha bisogno di "co-
struzioni ausiliarie" (Hilfskonstruktionen), non
può significare che la vita di per sé sia una co-
struzione. Il richia1no ai costrutti (Konstn.tkte ),

22. B. \iValdenfels, Deutsch-Franzosische Gedankengiinge


[Percorsi cli pensiero franco-tedeschi], Suhrkamp, Frankfurt
a.M. 1995, cap. VII, p. 115.
23. S. Freud, Il disagio della civiltà, in Id., Opere 1924-
1929. Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti, dir.
C.L. Musatti, voi. 10, Bollati Boringhieri, Torino 1978,
pp. 555-630.
139

che ha una giustificazione metodologicamente


circosclitta, finisce per solidificarsi in gergo tec-
nicistico, quando si salta la creatività dell' espe-
rienza (Kreativitiit der Erfahrung), nella quale
qualcosa perviene a linguaggio. Questo proces-
so di transizione (Vbergangsprozess) creativo
avviene in un interregno (Zwischenreich), tra
quanto ci è dato e quanto noi stessi aggiungia-
n10 (hinzutun) e soggiungiamo (hinzusetzen).
Quando Merleau-Ponty, nello stesso contesto,
parla di un "1niracolo" dell'espressione ('vVun-
der" des Ausdrucks), associa al termine un signi-
ficato preciso. Come in altli miracoli - m,iracle
de la création in Descartes24 , miracle de rai-
son in Leibniz2.5, o «miracolo della razionalità>>

24. R. Descartes, Discorso sul metodo, tr. it., a cura di M. Sa-


vini, rev. di G. Belgioioso e F. Marrone, consulenza scienti-
fica di J.-R. Annogathe, in R. Descartes, Opere 1637-1649,
a cura di G. Belgioioso, con la collab. di I. Agostini, F. Mar-
rone, M. Savini, Bompiani, Milano 2009, pp. 23-115: p. 77.
25. Cfr. G.vV. Leibniz, Philosophischer Briefwechsel, a cura
della Leibniz-Forschungsstelle der Universitat Mtinster,
vol. II, Akademie Verlag, Berlin 2009, p. 517. Si tratta della
Lettera a Jacques-Bénigne Bossuet del 18 apiile 1692. [Per
quanto 1iguarda le lettere di Leibniz disponibili in italiano,
cfr. Id., Saggi.filosofici e lettere, tr. it., a cura di V. Mathieu,
Laterza, Bmi 1963; N.d.T.].
140

in Husserl26 - , anche in quello dell' espressio-


ne "1niracolo" non significa: qualcosa, del tutto
inspiegabihnente e nel segno dell'arbitrarietà,
compare (auftritt ); significa soltanto: qualcosa
compare senza che vi siano ragioni e condizioni
sufficienti perché possa compa1ire proprio così
conie compare. Il concetto di "emergenza" è l'e-
quivalente episte1nologico di una lacuna, nella
spiegazione, che pertiene alla cosa stessa e non
a uno stato cognitivo mon1entaneo; qualcosa di
simile vale per il concetto ontologico di contin-
genza secondo il quale un ordine è proprio così
costituito, 1na potrebbe anche essere diverso.
La trasfonnazione (Transfonnation) dell' espe-
rienza, che qui si manifesta, concerne tanto la
percezione, quanto l'espressione linguistica e
artistica, tanto la produzione tecnica, quanto
l'agire pratico e politico. La questione delle con-
dizioni di possibilità della creazione gira altret-

26. E. Husserl, Erste Philosophie (1923/24), in Husserliana,


voi. VII, Nijhoff, Den Haag 1956, p. 394. [In italiano sono
disponibili le seguenti edizioni: Filosofia pri1rut (1923/24).
Teoria della riduzione fenomenologica, tr. it. di A. Staiti, a
cura di V. Costa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007 (par-
ziale); Filosofia prima. Seconda Parte: Teoria della ridu-
zione fenomenologica, tr. it., a cura di P. Bucci, ETS, Pisa
2009; N.d.T.].
141

tanto a vuoto della questione delle condizioni


della libertà, alla quale anche Kant, per buone
ragioni, si è astenuto dal rispondere.

3. Innovazione e ripetizione
Un passo ulteriore porta al contrasto tra il vec-
chio e il nuovo. Il fatto che qualcosa in quanto
tale co1npaia (auftritt) significa - come abbia-
mo detto - che esso co1npare proprio così e non
altrinienti. Il nuovo (das Neue) si fa notare in
quanto deviazione (Abweichung) 1ispetto a un
ordine prestabilito (vorgegebenen Ordnung). Il
concetto di deviazione, come quello di ecceden-
za (Uberschusses), deriva da una forma indiretta
di descrizione. In questo caso non c'è qualcosa
che devia nello stesso senso in cui, deviando,
qualcosa finisce per essere registrato in un elen-
co di errori; piuttosto qualcosa dotato di portata
innovativa (das Neuartige), che devia, nasce nel
suo stesso deviare. Egualmente, ciò che supera
il livello del normale, o meglio, oltrepassa quel
livello - come se oltrepassasse il segno per così
dire (iiber [ ... ] hinausschiefit) - nasce nel pro-
cesso di oltrepassa1nento (Uberschreitens) sot-
142

to forma di "iperfenomeno". Gli iperfenomeni


segnalano l'eccedenza di ogni feno1neno 27 • Il
nuovo non è nuovo "in sé", 1na si presenta solo
per contrasto; senza il vecchio che invecchia,
non esisterebbe affatto il nuovo. Il vecchio co-
stituisce lo sfondo (Hintergrund) per nuove con-
figurazioni e costellazioni. Incontriamo qui la
differenza originaria (Urdifferenz), di 1natrice
teorico-gestaltica, di figura e sfondo (Figur und
Grund), differenza che esclude una generazione
spontanea (Urzeugung), dunque anche una pri-
1na parola e una prima azione. Un primo senza
un pre-inizio (Voranfang) non farebbe parte del
nostro mondo umano.
Il nuovo, che devia rispetto all'abituale (Ge-
wohnten ), presuppone un normale rispondere,
che si co1npie nella vita quotidiana e rin1ane
all'inten10 di un ordine prestabilito, il cui can1-
po d'azione sa sfruttare. Ad esso pertengono
abilità e pratiche apprese, nonché rituali fat-
ti propri con l'esercizio. Una risposta normale
sarebbe, ad esempio, il saluto di tutti i giorni.

27. B. vValdenfels, Hyperphiinomene. Modi hyperbolischer


Eifahmng [Iperfenomeni. Modi dell'esperienza iperbolica],
Suhrkamp, Berlin 2012.
143

Saluto e risposta al saluto seguono uno schema


che non può essere inventato ogni volta di nuo-
vo. Essi vengono Iivolti nondimeno a qualcuno,
sono concessi o dovuti a qualcuno e non sono
semplice111ente innescati co111e un meccanismo
o accessibili come dati di uno schedario. Le ri-
sposte normali non sono mai del tutto normali,
sebbene possano avvicinarsi a un aut01natis1no,
c0111e il Keep Smiling di Marilyn Monroe, che
Andy vVarhol ha reso ancora più stereotipato di
quanto già non fosse. N en1111eno un soniso, o
un saluto, 111eccanico è un sorriso, o un saluto
eseguito da una macchina, generato algoritmi-
camente. Il rispondere nom1ale e anonimo però
non è tutto, owero non esaurisce il Iispondere.
Rivelando un'eccedenza rispetto a sé stesso, il
rispondere normale si trasforma in (Es geht iiber
ein in) un rispondere straordinario quando è in
gioco l'ordine costituito (bestehende Ordnung),
quando l'ordine così inteso inizia a vacillare. Il
fattore scatenante può essere un sowersivo ri-
fiutarsi di salutare, con1e nel caso del cappello
di Gessler nel Guglielnw Tell di Schiller, o cmne
nel caso del saluto nazista, che era obbligatorio
rivolgere alle guardie di fronte alla Loggia dei
Marescialli (Feldherrnhalle) di Monaco, al quale
i passanti libelli si sottraevano deviando in un
144

vicolo posteriore: "vicolo degli scansafatiche"


(Driickebergergasse).
Su vasta scala processi di innovazione, cui pos-
sian10 assistere, si n1anifestano nel corso di ri-
voluzioni politiche, ad ese1npio nella Rivoluzio-
ne francese, che Kant annoverava tra i "segni
storici", nel Conflitto delle facoltà, là dove af-
fermava in proposito: «un tale fen01neno nella
storia dell'umanità non si dimentica più» 28 • Ogni
giorno c'è qualcosa di nuovo, ci sono ad esem-
pio i f aits divers riportati dai quotidiani, ma nel
corso della Rivoluzione francese è venuto alla
luce qualcosa di straordinariamente nuovo: un
popolo che si dà la legge da sé. In una dvolu-
zione, che crea nuove fonne di convivenza, si
cercano risposte (Antworten) che permettano

28. I. Kant, Il conflitto delle facoltà, tr. it., a cura di D. Ven-


turelli, Morcelliana, Brescia 1994, p. 169. [Cfr. anche Id.,
Il conflitto delle facoltà, tr. it. di A. Poma, in I. Kant, Scritti
di .filosofia della religione, a cura di G. Riconda, Mursia,
Milano 1989, pp. 229-308; Id., Il conflitto delle facoltà in
tre sezioni. Seconda sezione: il conflitto dellafacoltà.filoso-
.fica con quella giuridica. Riproposizione della doma11da: se
il ge11ere u1na.1w sia in costante progresso verso il meglio,
in Id., Scritti di storia, politica e diritto, tr. it., a cura di
F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 223-239; N.d.T.].
145

di ri-"definire" (neu "definierf') la situazione


collettiva - nei termini in cui Schiitz, muoven-
do dai sociologi ainericani, aveva fonnulato la
questione29 . Nel caso della Rivoluzione france-
se, tutto questo si tradusse nel ruolo del Terzo
Stato, nella ripartizione degli oneri fiscali, nelle
funzioni del Capo dello Stato, nell'innalzainen-
to del livello culturale e in altri fenon1eni siinili.
In seguito Lenin cercò di professionalizzare la
risposta affidandola a rivoluzionari professioni-
sti - con un dubbio successo, come possiamo
onnai constatare. Al tentativo di dare nuove ri-
sposte pertiene anche il possibile fallimento.
Recentemente è stato celebrato l'Anno di Lu-
tero (Lutherjahr). Lutero è stato riconosciuto
come qualcuno che non solo respingeva il pa-
pato e lottava contro le pratiche di guarigione
superstiziose, ma rovesciava - nel senso di "ri-
versare", reversare o "trasferire" (hinein [ ... ]
goss) - anche la propria vita nutrita di pietà in
nuove forme, addirittura linguistiche, oltrepas-
sando (ilher [ ... ] hinaus) i confini confessionali
esistenti. La domanda, a cui rivoluzioni e rifor-

29. Cfr. A. Schiitz, Simbolo, realtà e società, tr. it., a cura e


con intr. di A. lzzo, in A. Schiitz, Saggi sociologici, UTET,
Torino 1979, pp. 260-328.
146

me risposero di volta in volta, le rende appunto


co1nprensibili e le libera dalle rivendicazioni
dogn1atiche della storiografia "111onumentale".
All'inizio c'è imbarazzo, l'ilnpossibilità di trova-
re una via d'uscita, un'apmia. Nelle sue Ricer-
che filosofiche Wittgenstein sceglie di fonnulare
la questione in maniera semplice: «Non n1i ci
raccapezzo»30 • Si rimane senza parole, non si sa
cosa si deve fare, e nemn1eno cosa si deve dire,
quando non si ha a disposizione una risposta ade-
guata. Adottando il linguaggio più appassionato
di Sartre, si potrebbe dire invece "condannato a
essere libero": "condannato alla creatività". Se
volessiino trarre ispirazione da Paul \Vatzlawick,
allora dire questo potrebbe significare: «Non si
può non rispondere» quando si viene colpiti da
una richiesta o da una provocazione. Lo stesso
eludere la richiesta sarebbe una forma di risposta.
L'innovazione, che in determinate circostanze
ci viene richiesta, può s1nanirsi lungo due sen-
tieri che costituiscono l'uno l'estremo opposto
dell'altro. Un estremo lo chiamo normalisrrw

30. L. vVittgenstein, Ricerche filosofiche, tr. it. cli R. Piove-


san e M. T1inchero, a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino
1983, § 123, p. 69.
147

(Normalismus). Questa fissazione per il norma-


le può manifestarsi in una fonna più tradizio-
nalista o in una più pragmatica. In entra1nbi i
casi, si fa affidamento su qualcosa che accade
se1npre o per lo più. La frase "Non v'è nulla
di nuovo sotto il sole" funge da alibi. Per guar-
dare prima in casa propria, si può abusare dei
classici come se fossiino degli assassini all'inse-
gna della n1assima: tutto questo si trova già in
Kant, in Hegel, in Marx; ai te1npi del dibattito
sul modernismo (Moclernisniusstreit) si diceva
inoltre: tutto questo si trova già in To1nmaso.
Così gli archivi diventano mausolei. Cmne nasce
un simile normalis1no? Non di rado è in gioco
un'autodifesa. Si resiste al nuovo che, in caso di
necessità, costringe a cambiare il proprio modo
di pensare. Se la ripetizione diventa sen1pre più
frequente, allora il conoscere si trasforma in un
mero riconoscere, il visto in un déjà vu. Alla gioia
spenta che nasce da una scoperta di questo tipo
si attaglia la sobria osservazione di Lichtenberg:
«Moltissime persone, forse la maggior parte del-
le persone, per trovare qualcosa devono prima
sapere che c'è»31 •

31. G.Ch. Lichtenberg, Sudelbiicher, cit., p. 752. Cfr. Id.,


Osservazioni e pensieri, cit., e Id., Zibaldone segreto, cit.
148

Riconosco l'estremo opposto, che definisco e-


stremisnw (Extre1nisnius), nello spingere l'estre-
mo all'estre1no, nella convinzione che il inondo
possa essere scardinato in ogni mon1ento. L' a-
n01nalo diventa normale. I tentativi del '68 com-
piuti in questa direzione hanno prodotto alcuni
lisultati, 1na spesso avevano un che di esagera-
to (etwas Outriertes) nell'azione diretta. Nella
sua diffidenza nei confronti dei 1neli lainpi di
pensiero (Gedankenblitze ), Hegel osserva nel-
la Prefazione alla Fenornenologia dello spirito
che «questi razzi non [sono] ancora l' empireo»32 •
Una negazione detenninata diventa una nega-
zione indeterminata quando viene definita sol-
tanto dal suo opposto. Gli estremi si dondolano
tra le nuvole, ovvero si spingono troppo in alto
con l'altalena (schaukeln sich hoch), come ab-
biamo visto nella Repubblica di Weimar. Risale
agli anni del dopoguerra uno spietato racconto
satirico di Heinrich Boll: Tutti i giorni Natale 33 •

32. G.vV.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. it. di


E. De Negli, La Nuova Italia, Firenze 1988, voi. I, pp. 58-
59. [Le parentesi quadre non compaiono nell'edizione ita-
liana della Phanomenologie des Geistes qui citata; N.d.T.].
33. H. Boll, Tutti i giorni Natale, in Id., Racconti umori-
stici e satirici, tr. it. di L. R. Santini, Fabbli-Bompiani-
Sonzogno-Etas, Milano 1964, pp. 61-76.
149

In esso si racconta di una donna che segue una


«terapia dell'albero di Natale (abetoterapia)»:
festeggia ogni giorno la vigilia di Natale, accen-
dendo le candele dell'albero di Natale, finché la
sua famiglia non va in rovina. Alla fìne non c'è
più alcun contrasto tra l' ordinalio o abituale (Ge-
wohnlichem) e Io straordinario o extra-abituale
(Auj3ergewohnliche1n), c'è soltanto lo straordi-
nario. Perfino questa s1nania di straordinario in
quanto difforme dall'ordine (Sucht nach de1n
Aufierordentlichen) può assumere forme quo-
tidiane e ridicole quando gli eventi, che escono
un po' dai binari (ein wenig aus der Reihetan-
zen), vengono dichiarati "storici" in quattro e
quattr' otto. Anche la creazione ha la sua farsa.
Il contrasto tra innovazione e Iipetizione (Repe-
tit-ion) indica invece che qualcosa sta accaden-
do tra le regole dell'ordinario, in quanto con-
fanne all'ordine (Ordentliche), e le esplosioni
e irruzioni (Aus- und Einbruchen) dello straor-
dinario in quanto difforn1e dall'ordine (Aufier-
ordentlichen). Le creazioni devono appoggiarsi
da qualche parte.
Di fatto l'ordinario, in quanto conforn1e all' or-
dine, non è mai abbastanza ordinato (ordent-
lich), ogni ordine (Ordnung) è circondato dal-
le ombre del disordinato (Ungeordneten), ogni
150

ordine resta in penombra (im Zwielicht) 34 , solo


così l'ordinario, nel senso indicato, può diven-
tare (in [ ... ] iibergehen [trasfarmarsi, convertir-
si, passare a]) straordinario in quanto difforme
dall'ordine. La creatività pe1tanto non ha a che
fare con un assolutamente altro, ma con un'ec-
cedenza creativa, con un più che abituale (Mehr-
als-gewohnlich). Ci sono situazioni pressanti che
suscitano risposte straordinarie o extra-abituali.
L'extra-quotidiano (Auj3eralltagliche), tuttavia,
si fa strada nelle crepe e ai margini (in den Ris-
sen und an den Randern) del quotidiano (Alltag-
lichen). Creatività e innovazione vanno soggette
a un processo di deterioramento, quando si ten-
de bramosamente al nuovo per il nuovo e lo si
scolla del tutto dall'elemento di affidabilità della
vita quotidiana. Gottfried Benn s111orza la dif-
fusa sete di esperienze (vissute), quando in una
poesia, Viaggi, n1ette in guardia rispetto a que-

34. Rinvio qui al volume, Ordmmg im Zwielicht [Ordine


in penombra], Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1987 (nuova ed.
Fink, Mi.inchen 2013), in cui sviluppo per la prima volta
l'idea di ordine su cui si basano le mie considerazioni. Il
capitolo E. affronta esplicitamente la contrapposizione tra
ordine costituito e ordine emergente (entstehender Ord-
nung) e si conclude con un' «mte dell'ordine tra trovare
[Finden] e inventare [Etjìnden]».
151

sto: «Lei crede che ad esempio Zurigo / sia una


città più profonda/ dove per contenuto si han-
no/ prodigi e consacrazioni?»35 • Un'innovazione
vale soltanto se riesce a trasformare le esperien-
ze (Erfahrungen), rielaborandole (u1n-arbeiten),
e a liberare l'extra-quotidiano nel quotidiano,
lottando al ten1po stesso contro l' appiatthnento
o il congelamento del quotidiano.

4. Pre-storia e post-storia
La pre-storia (Vorgeschichte) e la post-storia
(Nachgeschichte), in cui ogni creazione è in-
corporata (eingebettet), gettano luce sull'aspet-
to te1nporale della creazione e sulla storia che
può essere descritta, con lo storico Amold J.
Toynbee, come una costante alternanza di sfida
e response (Response )36 • Parole semplici posso-
no restituire un'idea cruciale: "Non siamo 1nai
del tutto up to date, non viviamo mai c0111ple-

35. G. Benn, Viaggi, in Id., Frammenti e distillazioni, tr. it.,


a cura di A.M. Carpi, Einaudi, Torino 2004, p. 51.
36. Cfr. A.J. Toynbee, A Study of HistonJ, Oxford Universiry
Press, New York 1934-1961.
152

tam ente nel presente". Quanto si rivela creativo


non si trova tra le 1nere news del quotidiano.
L'inedito (Neuartiges ), che si fa strada nelle in-
venzioni e innovazioni, in quanto elaborazioni
del passato (Neuerungen), ha il proprio posto tra
pathos e response, tra ciò che ci accade e rispo-
sta (Antwort). Tra di essi non v'è alcuna transi-
zione continua. In mezzo si trova uno iato, oltre
il quale un movimento si conve1te, owero svol-
ta nell'altro (indie andere umspringt), come si
può osservare nell'improvvisa vaiiazione del mo-
vimento (Urnschwung) del pendolo: dal 111ovi-
111ento oscillatorio a quello rotatorio3i. Quand'è
che una rivoluzione è 1natura (reif)? Heidegger
richiama l'attenzione sul fatto che l'in1maturi-
tà (Unreife) non può essere eli1ninata dall' e-
sterno, se qualcosa, analogan1ente a un frutto,
giunge a maturazione da sé (van sich selbst her
zur Reife k01nmt) 38 • Merleau-Ponty rimane più
vicino alla politica. In Le avventure della dia-

37. Cfr. I. Prigogine - I. Stengers, La nuova alleanza. Me-


tamorfosi della scienza, tr. it., a cura di P.D. Napolitani,
Einaudi, Torino 19932, pp. 72-76.
38. Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo (1927), tr. it. di
P. Chiodi, UTET, Torino 19862, § 48, pp. 368-370 (cfr. la
nuova ed., a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2017i).
153

lettica che scrisse nel 1955, in un peliodo in cui


un certo attendisn10 n1arxista era en vague tra
gli intellettuali francesi, egli insiste sul fatto che
ogni rivoluzione, in modo silnile alla nascita di
un bambino, avviene (eintritt) inevitabilmente
con una certa «pre-matulità temporale» (Vorzei-
tigkeit) rivelandosi, per così dire, «pren1atura»
(prém,aturée )39 • Esistono senz'altro, nondi1ne-
no, fasi preparatorie, che si prolungano fino a
quando non sia "maturato" qualcosa di nuovo;
fino a quando, cioè, esso non diventi "esigibile"
o non sia "dovuto" ifallig). Nella licerca sulla
creatività si distinguono di conseguenza perio-
di di preparazione, di incubazione, di ispirazio-
ne e di verifica40 • Rientrano in questo contesto
anche le levatlici del nuovo, così come ci sono
note fin dalla 1naieutica socratica. I periodi che
precedono la comparsa (auftritt) del nuovo sono
altrettanto importanti dei periodi nel corso dei
quali spunta (hervortritt) il nuovo.

39. Cfr. M. Merleau-Ponty, Le avventure della dialettica,


tr. it. e postfaz. di D. Scarso, intr. di M. Carbone, Mimesis,
Milano 2008, pp. 102 ss.
40. Cfr. il contributo di J.P. Guilford, Kreativitiit, in G. Ul-
mann (a cura di), Kreativitiitsforschung, Kiepenheuer &
vVitsch, Koln 1973, pp. 25 ss., 37.
154

Gli ostacoli che possono presentarsi nel corso del


rinnovamento (Erneuerung) includono, non solo
anticipazioni e ritardi, ma anche pause nelle qua-
li il mondo trattiene il respiro. Esperiamo queste
transizioni (Obergiinge) nell'attesa. Si chiede di
buon grado: "Che cosa stai cercando?". Ci imbat-
tia1no in questa aporia fin dal Menane di Platone.
Se potessi dire che cosa sto cercando, non avrei
più bisogno di continuare a cercare. Si chiede,
inoltre, più o meno nello stesso senso: «Che co-
sa stai aspettando?» Quando qualcosa di nuovo
si annuncia, appunto, ci si inette ad aspettare
senza sapere che cosa si aspetta. Quanto sta per
arrivare si esprime allusivainente sotto forn1a
di presenti1nenti che rinviano a un fiuto per le
cose (Gespiir fiir die Dinge) in grado di trascen-
dere ogni possibile comprensione (Begreifen )41 •
L'attesa ha a che fare con la pazienza - con la
patience; quesfultitna non è sitnile a un qual-
cosa di attivo, 1na a un qualcosa di passivo, più
precismnente al patico, che non va confuso con

41. Si rinvia qui al cap. I di Sinne und Kiinste im ,vech-


selspiel, cit., pp. 18-39, dedicato precisamente al «fiuto
per le cose»; un capitolo, questo, che tratta in particolare
di ingredienti dell'esperienza in grado di promuovere la
creazione, suscettibili di essere definiti, non irrazionali, ma
pre-razionali, appartenenti inoltre a una ragione euristica.
155

un mero far niente (Nichtstun). "Succede qual-


cosa" (Es tut sich etwas), se va bene. Ad esso
corrisponde un lasciar venire, "un'attesa attiva".
Analogamente, esiste per Nietzsche una «dimen-
ticanza attiva», che viene discussa nella seconda
dissertazione della Genealogia della nwrale42.
I.:attesa si iscrive inoltre a giusta ragione nel re-
gistro delle virtù del conoscere indagatore, non
solo in quello dell'agire verificante.
Nella letteratura moderna, che si avvicina a un
pensare secondo schemi normativi aperti (offe-
nen Ordnungsmustern), troviamo un'intera serie
di testi che ruotano attorno ali' attesa. Si pensi
allo 'Zarathustra di Nietzsche: «Qui 1ne ne sta-
vo e attendevo - nulla attendevo» 43 , o all'attesa
davanti alla porta della Legge in Kafka. I..:atte-

42. Cfr. F.\i\T. Nietzsche, Genealogia della morale, tr. it. di


F. Masini, in Opere di Friedrich Nietzsche, ed. it. a cura di
G. Colli e M. Montinari, voi. VI/II, Adelphi, Milano 19685,
pp. 211-367
43. F."Vi1. Nietzsche, Sils-Maria in Appendice de La gaia
scienza: Canzoni del Principe Vogelfrei, in Id., La gaia
scienza, Idilli di Messina e Frammenti postumi 1881-1882,
in Opere di Friedrich Nietzsche, voi. V/Il, tr. it. di F. Masini
e M. Montinari, a cura di M. Carpitella, ed. it. condotta sul
testo critico originale stabilito da G. Colli e M. Montinari,
Adelphi, Milano 19922, p. 321.
156

sa indugia sulla soglia tra il non-essere-ancora


e l'essere-già, tra quanto è passato, che rievo-
chiamo con1e ricordo e quanto sarà, che anti-
cipia1no progettando. Impiegando un termine
già presente in Plotino e, in seguito, in Lévinas,
definisco diastasi questo "tra" (Zwischen). Alla
lettera esso indica un "uscire l'uno dall'altro" o
apparire reciprocamente nella separazione (Aus-
einander-treten), analogo all'estasi, ma diverso
dall'estasi intesa c01ne un ritirarsi o scioglier-
si dalla vita quotidiana (Heraustreten aus dem,
Lebensalltag) o dall'agostiniana distentio anim,i
quale estensione dell'anima (Zerdehnung der
Seele ). Qui tocchiamo l'immemorabile e l'impre-
vedibile. Un tempo (Zeit) conforme al doppio
tempo di pathos e response (die dem, Zweitakt
[ ... ] unterliegt) non si presenta come una se-
quenza continua di eventi (ein kontinuierlich
fortlaufendes Nacheinander von Ereignissen).
Anzi, quanto ci accade all'improvviso arriva sem-
pre troppo presto, e viceversa la nostra risposta
arriva sempre troppo tardi. Anteriorità (Vorgan-
gigkeit) e posteriorità (Nachtraglichkeit) sono i
segni distintivi di un'esperienza che si rigenera
(sich erneuernden).
Ci s'imbatte nella fonna più elementare di po-
steliorità nella propria nascita (Geburt). La pro-
157

pria nascita non è affatto un semplice momento


o punto del te1npo (uitpunkt) che precede i
successivi punti te1nporali. La propria nascita
è se1npre già awenuta quando ci riferiamo ad
essa; ha la forma di un «perfetto a priori» 44 , di
un «passato 01iginario, un passato che non è mai
stato presente» 45 • Sia1no esseri nativi, che pro-
vengono per nascita da un qualche luogo (ge-
biirtige vVesen). Questo significa che esiste non
solo un"'anticipazione" della morte, nel senso di
Heidegger46 , ma anche un inseguire, nella for-
ma di una continua nascita, la nascita stessa, cui
Hannah Arendt e Merleau-Ponty attribuiscono
maggiore enfasi. Nascita significa: io precedo
me stesso. Si tratta non solo della singolare na-
scita (vivo- )co1porea, ma anche del quotidiano
andare e venire delle sensazioni e della serie di
nascite, individuali e collettive, successiva alla
prima nascita. Non a caso parlia1no del Rinasci-
mento come di un'epoca di rinascita (Wieder-
geburt). Vale la pena inoltre ricordare la Na-
scita della tragedia dallo spirito della musica

44. M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 162.


45. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione,
cit., p. 322.
46. M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 393.
158

di Nietzsche e la nascita della polis nell'antica


Atene, alla quale Hannah Arendt si richiama
nella sua filosofia politica. Anche qui regna la
posteriorità. Il periodo di masshno splendore
del teatro antico e della democrazia ateniese era
già finito quando A1istotele scrisse, come suc-
cessiva sceneggiatura, la Poetica e la Politica. Il
nuovo non comincia 1nai con una decisa affer-
mazione: "Inizio ora", ma sempre con l'in1plicita
ain1nissione: "Ho iniziato". A questo proposito,
Husserl e Heidegger parlano di "fondazione"
(Stiftung); la "fondazione", però, non è un at-
to che possa essere attribuito a un fondatore
(Stifter), come se si trattasse di una prestazione
soggettiva, ma un accadimento (Geschehen) più
o meno anonimo che prende forma solo in un
continuo susseguirsi di "ri-fondazioni" (Folge
unabliissiger Nachstiftungen). La celebrazione
del culto del genio è ormai acqua passata (weit-
gehend vorbei). Rimangono, tuttavia, moltepli-
ci, effhneri culti delle star (Starkulte ), e non è
escluso che l'esagerata stima del fattibile (die
ubertriebene Wertschiitzung des Machbaren)
possa spostarsi verso/slittare ad agenti digitali
o neurali (sich [ ... ] auf digitale oder neuronale
Agenzien verschiebt). Io precedo 11ie stesso non
significa: qualcosa semplicemente 1ni precede nel
159

corso di un'evoluzione che qualcuno da qualche


paite osserva.
Pathos e risposta non sono solo diversi, ma pos-
sono anche separarsi. Il patico (Pathische) si tra-
sforma in questo caso nel patologico (Patholo-
gische), e la creazione (Kreation) assume i tratti
della de-creazione (Entschopfung) e dell' esau-
rimento (Erschopfung). Qui non abbiamo sem-
plicen1ente a che fare con un lasciarsi sfuggire
(Verpassen) la risposta giusta (passenden Ant-
wort), annoverabile tra i rischi che può correre
ogni tentativo di risposta, ma con un fallimento
del rispondere stesso.
Da un lato, ci awiciniamo a un "pathos sen-
za response". Questo avviene sotto fonna di
shock - negli stessi termini, cioè, in cui De-
scartes descrive il fenon1eno nelle sue Passio-
nes animae4i. Si determina qui un inigidimento
del corpo che n1ette a tacere ogni risposta. Il
"pathos senza response" si aggrava nella for-
ma di un trauma e lascia tracce, come tale, di

47. R. Descartes, Le passioni dell'anima, tr. it. e note di


A.L. Schino e A. Del Prete, rev. di G. Belgioioso, G. Olivo,
M. Savini, consulenza scientifica di G. Olivo, in R. Des-
cartes, Opere 1637-1649, cit., pp. 2288-2527: p. 2399.
160

profonda/persistente ferita (nachhaltigen Ver-


letzung). Come din1ostra Freud analizzando,
nella Storia di una nevrosi infantile48 , l' «uon10
dei lupi»49 , l'evento traumatico è soggetto a una
forma originaria di posteriorità o après-coup 50 •

48. S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso


clinico dell'uomo dei lupi), tr. it. di R. Colomi e M. Lucen-
tini, in S. Freud, Opere 1912-1914. Totem e tabù e altri
scritti, dir. C.L. Musatti, vol. 7, Boringhieri, Tmino 1975,
pp. 481-593.
49. Si tratta, com'è noto, di una nevrosi infantile analizzata
indirettamente da Freud, attraverso i ricordi del paziente,
ormai adulto, nel corso del trattamento di una successiva
nevrosi dello stesso paziente. [N .d.T.]
50. Prefe1iamo tradurre il termine tedesco Nachtriiglich-
keit/nachtrtiglich, che nel lessico freudiano indica un tipo
specifico di "causalità" psichica o retroazione, con "po-
steriorità", in questo contesto, o col francese après-coup
("a colpo awenuto"), piuttosto che con «azione differita»,
termine per il quale optano invece i tradutto1i del saggio
sull'«uomo dei lupi», nell'edizione italiana di 1iferimento
delle opere di Freud, qui citata. «Azione differita», per
quanto sia una traduzione legittima, lascia in ombra quel-
la retroattività "non solipsistica" - e, stando ali' originale
tedesco, quel surplus (nachtrtiglich inteso nell' accezio-
ne di "supplementare") - e, waldenfelsianamente, quella
paticità(-reponse), nel nostro caso, che il termine francese,
ad esempio, restituisce immediatamente. Occorre infatti
161

L'evento traumatico, infatti, può essere colto


unicamente negli effetti successivi o sint01ni (in
den nachwirkenden Symptom,en) che ernergo-
no nell'analisi. Mediante una cura della parola
(Sprachkur), la psicoanalisi cerca di portare al-
la parola (zur Sprache zu bringen) il rimosso.
Il traun1a si annida in una forn1a debordante di
passato che non vuole passare; il paziente rima-
ne a tal punto fissato su di esso che il futuro ne
viene bloccato. L'aspetto creativo della terapia
non si esprime in una restitutio ad integrnm, che
induce ingannevohnente a pensare che si pos-
sa cancellare la sofferenza passata, ma nel fatto

ricordare, con L. Laplanche (A partire dalla situazione


antropologica fondamentale, in Id., Sexuale. La sessualità
allargata nel senso freudiano, 2000-2006, tr. it., a cura di
A. Luchetti, Mimesis, Milano-Udine 2019, pp. 98-101), un
aspetto non inilevante della questione. Rompere con la
visione unilaterale della cosiddetta freccia del tempo e con
la mera inversione della stessa immagine (qualcosa in ,wce
si sviluppa in seguito nell'adulto: azione differita/l'adulto
reinterpreta semplicemente, après-coup, l'esperienza che
ha vissuto nell'infanzia: mera retroazione "solipsistica")
significa prestare attenzione a quanto i sostenitmi dell'una
o dell'altra lettura della Nachtraglichkeit hanno spesso tra-
scurato. Significa considerare, cioè, l'intervento dell'altro
come oggetto di reinterpretazione da parte del paziente
e, nello specifico, dell'altra: la balia. [N.d.T.]
162

che il paziente impara a vivere con quanto ha


patito e a rispondere nuovamente (erneut) alle
richieste della vita.
La dissociazione di pathos e response può svi-
lupparsi anche nella direzione opposta di una
"response senza pathos". Le risposte che si scol-
lano (sich ablosen) da quanto ci accade (Wi-
clerfahrnissen), assumono la forma di clichés.
I clichés sono risposte congelate che vengono
ripetute in 1naniera stereotipata e non tengo-
no conto delle esigenze altrui. Si riproducono
sempre quegli schemi - gli stessi - che sono
soggetti a coazione a ripetere. Gli ideologi che
si incapsulano nelle loro idee (sich in ihre Ideen
einkapseln) sono vittime di una simile costri-
zione. Le risposte vengono date a qualcuno, i
clichés patologici o ideologici non vengono da-
ti a nessuno. Una terapia volta a recuperare la
capacità di risposta (Antwortkraft) del paziente
potrebbe essere definita, se vogliamo ispirarci
alla terminologia del neuropsicologo Kurt Gold-
stein, terapia responsiva 51 .

51. Mi riferisco all'opera di Kurt Goldstein, L'organismo.


Un approccio olistico alla biologia derivato dai dati pa-
tologici nell'uo11w (tr. it. a cura di L. Corsi, Fimiti, Roma
2010), apparsa nel 1934 durante l'esilio del suo autore nei
163

5. Co( n )-creazione
Si tratta adesso di con1piere l'ultimo passo. Vor-
rei soffermarmi, a questo punto, sull'aspetto so-
ciale della creazione (Schopfung). Spesso siamo
tentati dall'idea di attribuire le creazioni a un ge-
nio solitario che mosso da zelo inventa qualcosa
dal nulla. Nella Prefazione alla Fenomenologia
dello spirito, Hegel ridicolizza coloro che si con-
tano tra gli eletti, «ai quali Dio dà la saggezza nel
sonno»52 ; coloro che non concepiscono, quindi,
e non partoriscono nient'altro che sogni. Il fatto
che Hegel, in questo contesto, sottovaluti enor-
memente il lavoro oniiico, è senz'altro il frutto
di uno di quei pregiudizi contro i quali Freud,
in seguito, dovette lottare. In ogni caso, il genio
solitario rientra tra i clichés della creatività. La
questione che dunque si pone - al di là di ogni
possibile cliché - è quella di sapere in che 1nodo

Paesi Bassi e per la prima volta in terra tedesca nel 2014;


un'opera che mi ha accompagnato costantemente nel1o
sviluppo di una fenomenologia responsiva. Sono venuto
a conoscenza di questo lavoro compiendo una deviazione
(auf dem, Umweg) attraverso autori francesi come Maurice
Merleau-Ponty e Georges Canguilhem. Il ruolo creativo
delle deviazioni (Umwegen) sarebbe un capitolo a parte.
52. G.\V.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 8.
164

e in che n1isura gli altii possano partecipare alla


creazione (Kreation).
Una visione delle cose puramente individua-
listica sarebbe del tutto discutibile. Un indivi-
duo fa qualcosa, un altro individuo fa qualcosa
di siinile, e le singole opere e gesta vengono
poi sintetizzate, riassunte, socializzate. Uno dei
pregiudizi che l' empiris1no inglese, con la sua
privatizzazione dei sentimenti, nutre è il pre-
supposto secondo il quale esistono invenzioni
che appartengono primariainente all'inventore
stesso e solo in seguito, attraverso la brevetta-
zione, diventano pubbliche. Ma è proprio vero
che le invenzioni sono così piivate? In Bertold
Brecht è il lettore operaio che, di fronte alle
azioni gloriose di Cesare, domanda ironica1nen-
te: «Non aveva con sé nemmeno un cuoco?»53 • Si
potrebbe continuare all'infinito: chi ha inventato
la cucina italiana o quella cinese? Le invenzioni,
che sono alla base del nostro parlare, del nostro
cam1ninare o stare seduti, del nostro manipo-
lare, del nostro mangiare e bere o dei rapporti

53. Cfr. B. Brecht, Domande di un lettore operaio, in Id.,


Poesie e canzoni, tr. it., a cura di F. Fortini e R. Leiser,
pref. di F. Fortini, Einaudi, Torino 1961, pp. 57-59.
165

sessuali, sono in larga parte anonime, eppure


non crescono sugli alberi.
Tuttavia, una mescolanza (Vennengung) collet-
tivistica sarebbe altrettanto discutibile di un re-
stringimento (Verengung) individualistico. Si par-
te da un blocco 1nonolitico (fugenlosen Ganzen),
da qualcosa come il popolo o gli spiriti dei popoli.
Negli slogan populistici continuano ad appari-
re soggetti collettivi nazionali che vogliono fare
questo o quello, agire o non agire in un 1nodo o
nell'altro, che tracciano i loro propri confini all'in-
terno e all' este1110, difendono la loro identità co-
me la loro stessa pelle. Sono fantasmi. Si dovreb-
be dunque ancorare la creatività (Kreativitat) al
consenso o inserirla piuttosto nella Costituzione?
"Ci mettiaino d'accordo su una creazione (Krea-
tion )". Una cosa del genere è difficile da pensare.
Una creazione ragionevohnente disciplinata e
conforn1e a principi costituzionali (rechtmiifii-
ge) sarebbe solo una creazione su commissione.
Esiste allora o non esiste un noi della creazione?
La risposta che una fenomenologia responsiva
suggerisce è la seguente: dipende (dai punti di
vista)! Se mettia1no nuovmnente alla prova il
nostro approccio di base, allora ci imbattiamo
in forme di co(n)-affezione (Ko-affektion). Qual-
166

cosa mi accade, ma non accade solo a me. Mi


accade insieme ad/con altri (Es widerfahrt mir
zusammen mit Anderen), ci accade, ci colpisce.
Non solo il dativo o l'accusativo, concernente
il paziente in quanto tale, può essere n1esso al
plurale; in migine, anzi, è al plurale. Una cata-
strofe naturale, poniamo, un'eruzione vulcanica
o un'inondazione, coinvolge, accadendo, tutti
gli individui che vivono nella zona interessa-
ta. L'impatto del cambia1nento cli1natico è glo-
bale. Le singole persone interessate si trovano
in una situazione con1une, che ognuna di loro
esperisce sì a suo modo, 1na non per questo sen-
za gli altri. Il "con" (Mit) della co(n)-affezione
(Ko-affektion) ha la proplietà dell'affettività: è
un "con" affettivo. Le risposte, invece, occor-
re caratterizzarle co1ne delle cor-rispondenze
(Kor-respondenz). Io rispondo, ma rispondo in-
sie1ne ad/con altri (mit anderen). Al "con" affet-
tivo corlisponde dunque un "con" responsivo.
Quest'ultimo si potrebbe anche definire "con"
performativo, perché si realizza nel compimen-
to del rispondere (vivo-)corporeo, linguistico e
pratico. Il "noi" performativo, che si ramifica
nelle diverse forme relazionali (sich relational
verzweigt), non deve essere confuso con un noi
sostanziale e 1nonolitico.
167

Nel mio libro Schattenrisse der Moral, volendo


ese1nplificare, nel presentarla, una forn1a re-
sponsiva di libertà, che trascendesse la libertà
spontanea nel senso di Kant, ho fatto 1iferimen-
to allo scoppio della Prin1a guen-a 1nondiale54 •
Come si fa a parlare di un evento di così vasta
portata? Esiste forse un enonne soggetto che
dovrebbe esserne ritenuto responsabile? C'è
un solo autore? Una sola causa? La guerra è
scoppiata (ausgebrochen) nell'estate del 1914.
Constatarlo è un po' come constatare "[(esso) es]
lampeggia", o meglio, "scoppia (sich entladt) un
temporale". Tutti coloro che vivevano (lebten)
nelle zone investite dal 1naltempo in questione
furono colpiti dagli eventi, 1na in 1nodi molto
diversi e in misura diversa. I russi, che si allea-
rono con la Serbia slava contro l'Austria, furono
coinvolti in essi, o meglio, ne furono irretiti - nel
senso che rimasero in1pigliati, avviluppati nelle
loro reti (verstrickt) - diversamente da come lo
furono i tedeschi e i francesi, che continuarono
la guerra del 1870-1871; i combattenti di pri-
ma linea furono colpiti diversamente da come

54. B. vValdenfels, Schattenrisse der Moral [Pro.fil-i della


morale], Suhrkamp, Frankfmt a.M. 2006, cap. IV, pp.100-
118.
168

lo furono le donne e i bainbini dell' entroter-


ra; i militaristi e gli intellettuali n1ossi da acce-
so patriottisn10 esperirono (erlebten) la guer-
ra diversamente da come la esperirono i pochi
pacifisti. Le Iisposte a questo disastro sociale
che divise l'Europa erano quindi di valio tipo.
Alcune erano risposte istituzionali e ufficiali,
come le dichiarazioni di guerra a rotazione. Il
fattore scatenante fu l'attentato all'erede altro-
no d' Austlia a Sarajevo. Quanto ali' attentatore
nazionalista, a che cosa ha risposto? Da quando
il ponte di Sarajevo, dove è awenuto l'attenta-
to, è stato ribattezzato, da Ponte Latino, Ponte
Gavrilo Princip-sebbene in seguito abbia riac-
quistato il nome originale-, conosciamo anche
il suo nome. Chi era però l'attentatore? Chi c' e-
ra dietro l'attentato? La valutazione di un atto
simile, tuttora controversa, è uno degli effetti
"ritardati" (Nachwirkungen) [o 1neglio, a po-
steiioii o "retroattivi"]. Dobbiamo fare i conti,
anche in questo caso, con (mit [ ... ] rechnen)
quelle traumatizzazioni transgenerazionali delle
quali la psicoanalisi conte1nporanea ha tenuto
conto regolandosi su di esse (auf die sich [ ... ]
eingestellt hat)? In ogni caso, la responsabilità è
una responsabilità proporzionale (dosierte). La
responsabilità sarà più o 1neno grande a secon-
169

da delle circostanze: del livello di profondità al


quale qualcuno sia stato coinvolto, owero irre-
tito (verstrickt), nelle situazioni/relazioni (Ver-
hiiltnisse), da quanta influenza qualcuno aves-
se, da quanto si fosse al corrente, da quanto si
sapesse, non si sapesse o non si volesse sapere.
Il lavoro di Wilhehn Schapp, In Geschichten
verstrickt (Irretiti nelle storie )55, si presta a una
fenomenologia della storia che non si basi solo
sulle interazioni (Interaktionen), ma anche sulle
inter-passioni (Interpassionen).
Inter arma silent musae. Lasciate che vi citi un
ultimo esempio. Parla delle Muse, di cui si dice
siano silenziose nel run1ore delle arn1i. Penso
in questo caso al fenomenologo sociale Alfred
Schiitz e al suo saggio Fare musica insieme 56•
Schiitz era un violinista eccellente, suonava qua-
si da professionista in un quartetto. Il pensie-
ro che stia1no qui evocando è molto se1nplice,

55. vV. Schapp, Reti di storie. L'essere dell'uomo e della cosa,


tr. it., a cura di D. Nuccil1i, Mimesis, Milano-Udine 2017.
56. A. Schi.itz, Fare musica insieme. Studio sulla relazione
sociale, in Id., Frammenti di fenomenologia della musica,
tr. it., a cura di N. Pedone, Guerini e Associati, Milano
1996, pp. 91-114.
170

non lo è invece la sua esecuzione. Un quaitetto


non è ancora un buon quartetto quando quat-
tro 1nusicisti suonano, "leggendo a pri1na vista"
(vo1n Blatt spielen), corretta1nente e allo stesso
ten1po, 1na lo diventa soltanto se ogni musicista
ascolta suonando e suona ascoltando, in 1nodo
tale che la propria voce e la voce altiui/estranea
(eigene und fremde Stinmie) possano sovrappor-
si e dalle consonanze e dissonanze possa erner-
gere una struttura unica (nel suo genere) (ein-
zigartiges) di tensione. Come osserva Schtitz, è
un reciproco accordarsi/prepararsi mentaln1en-
te a calarsi nell'atmosfera (ein wechelseitiges
Sicheinsti1n1nen), un tuning in, a costituirne il
presupposto. Husserl, a cui lui stesso si riferisce,
intende l'esperienza creatrice di senso (sinnbil-
dende Eifahrung) come una "sintesi passiva" o
"sintesi di transizione". L'interconnessione (Zu-
sa111,1nenhang) non nasce da un 111,ettere insieme
(Zusammensetzung), ma da un gioco di squadra
(Zusa1n1nenspiel). Questo corrisponde alla no-
stra concezione di concreazione (Kokreation).
Un quartetto è un insierne di singole voci che
si uniscono da qualche parte per "fare" qual-
cosa (zusamm,enfinclen) accordandosi (im Zu-
sanunenspiel), ovvero che si trovano/scoprono
insieme (zusam1nenfinden) interagendo (im Zu-
171

smnmenspiel) - come in un gioco di squadra (clie


im Zusmnmenspiel zusammenfinden). L'intera-
zione in questione o accordo (Zusammenspiel)
è precisamente il luogo nel quale il ben noto,
addirittura, o n1olto (da te1npo in11nen1orabi-
le) fmniliare (Altvertrautes) suona nuovo (neu
klingt) - se ci riesce (wenn es gelingt).

Epilogo
L'epilogo chiude sulla seguente questione: si
può pianificare e produrre la creatività (Kreati-
vitat)? La mia risposta è: no, non si può pianifi-
care (nicht planen), proprio perché la creazione
non persegue (kein [ ... ] veifolgt) un fine presta-
bilito e non segue (keiner [ .. . ]folgt) nem1neno
una regola prestabilita. È senza fine e senza re-
gole nel senso di un'eccedenza che trascende
fini e regole. È un qualcosa, quindi, che sem-
pre viene (stets ini Kommen ist). La creazio-
ne (Kreation) in quanto tale non può costituire
l'oggetto di una previsione (nicht einplanen),
n1a è senz'altro possibile prmnuovere la creati-
vità creando nel fare (inde111 man [ ... ] schafft)
un terreno adatto e rhnuovendo le resistenze.
172

L'assenza di un piano investe anche il nesso del-


la creatività con la tecnologia, al quale 1ni sono
lin1itato ad accennare nel presente contesto.
Al termine della discussione, seguita alla inia
conferenza, 1ni sono confrontato con il proble-
ma di una creatività che si sta esaurendo, con
l'eccesso di distrazioni che danneggiano l' atte-
sa produttiva, e con la questione delle possibili
condizioni del mondo-della-vita che potrebbero
permettere nuove forn1e di creatività. A que-
sta vasta proble1natica dedicherò solo qualche
aperçu.
La fenomenologia (Phanomenologie) va costan-
ten1ente integrata con una fenon1enotecnica
(Phan01nenotechnik) 57. Quest'ultima trova il suo
punto di avvio nel con1e (Wie) dell' esperien-
za (Erfahrung), nelle modalità in cui qualcosa
viene visto, udito, detto, nel come si can1111ina,
come ci si 1nuove e così via. Occorre inventare
delle tecniche corrispondenti. Le tecniche non
hanno la loro ragione sufficiente né in una na-
tura eidetica (Wesensbeschaffenheit) delle cose
né nelle forme a priori di un soggetto di ragione.

57. È questo il tema del cap. VIII del mio Bmchlinien der
Erfahrung, cit., pp. 362-459.
173

Una simile valutazione della tecnica è tipica del-


la nostra n1odernità. Vedo dei pericoli nell'iper-
tecnologizzazione che tende a ridurre le cose
stesse, dalle quali muove la nostra esperienza
(Erfahrung), ad artefatti tecnici. Rimango sem-
pre perplesso quando sento parlare di "cultura
digitale" o di "fonnazione digitale". A n1io avvi-
so non esiste una cultura digitale. Ci sono solo
dei momenti digitali nella cultura odierna, dei
quali abbiamo ovvia1nente bisogno. La cultura,
tuttavia, non è di per sé digitale. Un progresso
ancorato alla digitalizzazione risulta eccessivo
(uberzogen). Se Stanislaw Lec, l'autore polac-
co di Pensieri spettinati che ha vissuto diversi
regiini politici, ci pone in 1naniera provocato-
ria questa domanda: «Se un cannibale quando
n1angia si serve del coltello e della forchetta, si
tratta d'un progresso?»58 , allora noi possiamo
continuare così: "Se uno sciovinista e razzista
si serve del computer e di Twitter, si tratta d'un
progresso?". Ma possiamo citare come un esem-
pio più se1nplice quello del navigatore. Si tratta

58. S.J. Lec, Pensieri spettinati, tr. it. di R. Landau e P. Mar-


chesani, a cura di P. Marchesani, Bompiani, Milano 19842,
p. 30.
174

di un utile dispositivo di 01ientamento in grado


di portarci il più direttan1ente possibile da un
luogo ali' altro. Un fatto, però, mi ha colpito /n1i
è saltato agli occhi (Mir ist aufgefallen): quan-
to si sia atrofizzato, negli auto1nobilisti che si
affidano quasi esclusivamente a un dispositivo
del genere, il senso di localizzazione, o n1eglio,
del luogo in cui si trovano (Ortssinn), un senso
centrato nel corpo-vivo. Ci si lascia trasporta-
re da una parte all'altra di una città come se si
fosse una valigia. Quando si viaggia così non si
impara a conoscere dawero una città o un pae-
se. Esistono senz'altro professioni e circostanze
nelle quali si ha bisogno di qualcosa del gene-
re. In qualsiasi momento, tuttavia, si potrebbe
dire: ora spengo il navigatore, ora potrei persi-
no andare in bicicletta. C'è molta leggerezza -
"spensieratezza" nel senso di "assenza di pen-
siero" (Gedankenlosigkeit) - nel modo in cui si
affronta la questione della digitalizzazione. Per
ogni tecnica dobbiaino chiederci, non solo cosa
otteniamo e impariamo (lemen) attraverso di
essa, 1na anche cosa dishnpariamo (verlemen).
Platone ha messo in guardia con largo anticipo
dai pericoli della tecnica di stampa tipografica.
Se ne può discutere ovviamente. Ma non si può
ignorare questo aspetto: il cmnmercio ingenuo
175

(naive Unigang) con la scrittura e, in genera-


le, con i media rischia di disincan1are il nostro
sapere e il nostro fare, e di sostituire il tacit
knowledge con il digital talk. La forza inventiva
(Erfindungskraft) della tecnica non esclude, e
anzi esige, l'ingegnosità o forza inventiva pro-
pria (Findigkeit) del corpo(-fisico )59 • Non solo
la tecnica, ma anche la capacità di "interagire"
con (Umgang 1nit) la tecnica dovrebbe essere
insegnata e appresa, a maggior ragione dovreb-
be esserlo nelle università tecniche.
Vorrei tornare, infine, al nostro tema conduttore
e porre di nuovo la seguente questione: come si
arriva in generale alla creatività? Con1e si riesce
ad afferrarla? A permettere qui di fare un passo

59. Su questo punto cfr. il mio testo Findigkeit des J:(jjrpers


[L'ingegnosità del corpo(-fisico )] (a cura di B. van Haaren,
M. Kleiner e P. Schubert, Norderstedt, Do1tmund 20182 ),
occasionato da una conferenza tenutasi nel 2002 nella Sala
spelimentazione cli Ingegne1ia meccanica dell'Università cli
Dortmund, la cui pubblicazione è accompagnata da disegni
realizzati nell'ambito dell'Unità di Ricerca di Tecnologia
cli Produzione (Ingegneria meccanica) e all'Istituto d'Ar-
te delle Università cli Dortmund e Cottbus; questo stesso
testo è apparso in Phanomenologie der Aufmerksamkeit,
cit., cap. VI, pp. 162-185.
176

ulte1iore potrebbe essere l'adozione di un "nu-


cleo centrale" (Kernstuck) metodologico della
fen01nenologia, che non dovrebbe però essere
inteso come un know-how formale, ma come una
via, da ripercorrere sen1pre di nuovo, che pos-
sa incontrare inoltre dei sostenitori anche al di
fumi della fenomenologia. Penso qui all'epoché
fenomenologica. Questo concetto, che Husserl
ha mutuato dagli antichi scettici, significa alla
lettera "trattenersi" (An-sich-halten), "astensio-
ne" (Enthaltung), in particolare, "astensione dal
giudizio" (Urteilsenthaltung). Si lascia una cosa
c01n'è (Man lasst eine Sache auf sich beruhen),
si lascia qualcosa in sospeso (man lasst etwas da-
hingestellt sein), permettendo così all'esperienza
di parlare (da sé), prima che i pro e i contro pos-
sano intervenire classificando. I.:astensione indi-
cata, tuttavia, occorre assumerla in una più vasta
accezione, non come una mera astensione dal
giudizio, ma innanzitutto c01ne un"'astensione
dal senso" (Sinnesenthaltung), un "contenersi"
(Zuriickhaltung) che rende estraneo il familia-
re, owero determina un effetto di straniamento
(Vertrautes veifre11iclet), e ci insegna a vedere
e udire (sehen und horen) ciò che di solito non
vedia1no e non udiamo (ubersehen und uberho-
ren ). I;epoché, che potrebbe essere intesa come
177

uno stupore esercitato con metodo, conduce alla


n1essa fuori gioco delle presupposizioni abituali
(gewohnte Voraussetzungen).
In psicoanalisi troviamo analoghe prescrizioni,
anche se le resistenze (Widerstande), il non-
volere-ammettere (Nicht-wahrhaben-wollen),
assumono nell'ambito in questione un ruolo
preponderante. Freud suggerisce tanto ali' a-
nalizzando quanto all'analista di abbandonar-
si, nell'analisi, a un determinato stato psichico
che, nel secondo caso, coincide in particolare
con quello di attenzione ugualmente fluttuante
(gleichschwebenden Aufmerksamkeit), in modo
che possano evitare, entrainbi, di trovare solo
ciò che sanno o credono di sapere. Questo esige
la rinuncia, da parte loro, a separare in antici-
po l'importante dall'irrilevante, il principale dal
secondario, il grano dal loglio. Si tenga presen-
te, a questo proposito, la scoperta di Rontgen.
Correlata all'attenzione ugual1nente fluttuante
è, dal punto di vista dell' analizzando, la libera
associazione (freie Assoziation), che si Iivela
produttiva, in quanto scopre nuove relazioni e
non si limita a Iiprodurre quelle vecchie. Nel
campo del linguaggio, sono forme linguistiche
come le 1netafore e le metoniinie a provocare
spostmnenti (Verschiebungen) e condensazioni
178

(Verdichtungen), permettendo così al 1in1osso


e a quanto è caduto nell'oblio di apparire in
trasparenza. Nel complesso, nella più recente
filosofia si assiste a una rivalutazione euristica
di scoperte non sistematiche sotto forma di afo-
rismi, marginalia, note, paralipomena, fantasti-
cherie, pensieri spettinati e briciole che cadono
dalla tavola degli studiosi sistematici. Nel corso
di questa conferenza ho hnpiegato talvolta ma-
teriale di questo tipo.
Per quanto riguarda quindi la creatività, essa
avrebbe il suo posto tra una pura invenzione
(Erfinden), che abbandona il terreno fertile del-
l'esperienza, e un n1ero trovarsi davanti (Vor-
.finden) a qualcosa che è già lì o mero trovare
qualcosa di precedente1nente dato. La celebre
frase di Picasso: «Io non cerco, trovo (ich .finde )»
centra precisan1ente il punto in questione. Ciò
cui il pittore a suo 1nodo allude possiamo ren-
derlo nei seguenti termini: mi lascio sorprende-
re dall'estraneo e mi guardo bene dal troncare,
con tono saccente, la parola in bocca ali' espe-
Iienza (hiite mich, der Eifahrung besserwisse-
risch ins Wort zu f allen). Un siinile parlare e
fare, che non inizia mai da sé stesso, io lo chia-
mo Iispondere. Esso attraversa i vali registli del
179

pensiero e dell'agire, della ricerca, della creazio-


ne artistica e, non din1entichiai11olo, dell'arte di
VIvere.
Indice

«Nelle crepe e ai margini del quotidiano»: la


creatività responsiva di Benihard Waldenfels
Saggio introduttivo di Roberta Guccinelli p.9

Creatività responsiva p. 109


Osservazione preliminare p. 109
1. Pathos e response - tra "counter"-
experience e risposta p. 115
2. Trasformazione dell'esperienza p.130
3. Innovazione e ripetizione p.141
4. Pre-st01ia e post-storia p.151
5. Co(n)-creazione p. 163
Epilogo p. 171

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