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8. The contemporary term for any one of a variety of places used for discussing issues of
public interest is a public forum.
A) True
B) False
9. Unlike many forms of communication, public speaking is a skill you are born with.
A) True
B) False
11. The source, or sender, is the person who receives the message.
A) True
B) False
Page 2
16. The channel is the content of the communication process.
A) True
B) False
17. Shared meaning is the mutual understanding of a message between speaker and
audience.
A) True
B) False
18. Being an audience-centered speaker means keeping the needs and values of your
audience in mind.
A) True
B) False
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23. In this form of communication, the receiver is physically removed from the messenger,
and there is little or no interaction between the speaker and the audience.
A) mass communication
B) small group communication
C) public speaking
D) dyadic communication
24. Which of the following involves delivering a specific message to an in-person audience?
A) mass communication
B) dyadic communication
C) electronic communication
D) public speaking
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pace allestendosi alla guerra, e nell’alleanza col nemico spiando le
occasioni di dargli il colpo. Dritto parve dunque che, non solo
ricuperasse quanto avea perduto in tante guerre e paci, salvo i Paesi
Bassi, ma anche ringrandisse con comode comunicazioni verso
Italia, e con opportunità di tenere la briglia alla Francia. Se la
legittimità proclamata avesse riguardato i popoli, non soltanto i re,
Venezia, non rea d’avere favorito Napoleone, sarebbe dovuta
risorgere: invece fu assegnata all’Austria insieme colla Lombardia,
cresciuta della Valtellina, e col territorio dell’antica repubblica di
Ragusi.
Il Canton Ticino, sotto pretesto del contrabbando, era stato occupato
dalle truppe del regno d’Italia, e le brighe per unirlo a questo
venivano secondate da coloro che ambivano cariche e denaro, o
lasciavansi abbagliare dalle gemme del diadema napoleonico, senza
vedere che eranvi incastonate col sangue. Caduto l’imperatore,
anche i vecchi signori svizzeri ridomandavano i loro sudditi: ma il
congresso di Vienna riconobbe la libertà di tutti, e il Ticino formò un
cantone della Confederazione elvetica, che dovette darsi una
costituzione ristretta, secondo il volere di chi allora poteva, ma che
venne poi riformata nel 1830, indi ancora nel 1847 quando la
Svizzera abjurò le sue locali tradizioni per aspirare alla centralità
come i regni.
I Grigioni ridomandavano la Valtellina; dove in fatto il basso popolo
rimpiangeva l’antica tranquillità, e il non pagare, e il non militare, e il
sale buon a mercato, e il privilegio di commercio e di transito; e
Parravicini e Juvalta, capi della sollevazione del 1809 (pag. 191), ora
sollecitavano l’unione agli Svizzeri. Ma troppi ambivano tenersi uniti
alla ricca Lombardia, e ad una Corte che poteva dare pensioni, titoli,
impieghi; Diego Guicciardi, spedito a Vienna a invocare la fusione
colla Lombardia, ostentava le ragioni per cui la valle non potea
essere svizzera; e se Capodistria, rappresentante della Russia,
esaltava i vantaggi dello stato libero, Guicciardi rimbalzavali col
solito pretesto che i Valtellinesi non erano maturi per la libertà. Quasi
non potesse dirsi altrettanto de’ Ticinesi! L’Austria carezzò
quest’opportunità di congiungere a’ suoi dominj d’oltre alpe il
cisalpino; e l’ottenne allorchè lo sbarco di Napoleone fece sentire la
necessità di tenersela amica nel nuovo frangente; Guicciardi
ringraziò a nome del popolo, godendo di gridare egli primo — Viva
Francesco I nostro imperatore e re»; e la Valtellina rimase provincia
del regno lombardo-veneto.
Della cui istituzione Bellegarde pubblicando (16 aprile) la regia
patente, diceva: — Una tale determinazione conserva a ciascuna
città tutti i vantaggi che godeva, e ai sudditi di sua maestà quella
nazionalità che a ragione tanto apprezzano». Subito l’esercito
italiano fu sciolto, e molti uffiziali cercarono fortuna altrove, come
Ventura che andò a sistemare gli eserciti del re di Lahor nelle Indie,
Codazza che nelle repubbliche dell’America meridionale fece da
ingegnere, e colonizzò l’alta regione della Cordiliera marittima del
Venezuela, e così altri. A Venezia erano in costruzione sette grossi
legni francesi e quattro italiani, e molt’altri in armamento, e gran
cumulo di quanto occorre ad attrezzare: e furono interrotti i lavori,
legnami e boschi venduti agl’Inglesi, che li fecero spaccare.
Pertanto l’Austria che, nel secolo precedente, non teneva in Italia
che il Milanese, separato dagli altri suoi Stati ereditarj, trovossi un
regno di cinque milioni di abitanti e ottantaquattro milioni di rendita,
con Venezia e trecento miglia di litorale, e selve e uomini per una
forza marittima; da un lato aperti la Svizzera e il Piemonte, mal
guarnito dall’indifeso Ticino; dall’altro assicurato il tragitto del Po
colle guarnigioni di Ferrara, Piacenza e Comacchio; unite le sue
provincie alle transalpine mediante il Friuli e la Valtellina, potea
scendere per le valli tutte dall’Adda all’Isonzo; invece della sola
Mantova, fortezza poco rassicurante, coprivasi colle robustissime
linee del Mincio e dell’Adige; Legnago, perduta dapprima nelle basse
pianure, diveniva importante anello fra Mantova e Verona: vuole
offendere? può spingersi nella Romagna e nella Toscana,
dimezzando l’Italia; è costretta a difendersi? le si prestano le linee
del Po e del Ticino, dopo queste l’Adda, indi il Mincio, infine l’Adige,
dove Verona ridotta a campo trincerato di prim’ordine, tiene alle
spalle tutte le riserve e i depositi dello Stato, e per una serie di
fortalizj da monte a monte si connette fino colla metropoli.
Collocando parenti suoi sui troni di Toscana, di Modena, di Parma,
l’Austria teneva la mano sulla media Italia. Se non che nei paesi
italici si erano diffuse, durante la dominazione francese, idee mal
consonanti col sistema di essa, onde avrebbe a stentare nel
soddisfarle e nel reprimerle.
La dinastia toscana, quantunque compensata già con lauti possessi
in Germania, ricuperò l’antico granducato, aggiungendovi que’
Presidj e la porzione dell’isola d’Elba che tanto erano costati a
Napoli; nel principato di Piombino erano riservati i beni e i diritti
proprj della casa Ludovisi Buoncompagni, la quale poi ne fe
cessione per ottocentomila scudi romani.
La vedova del vivo Napoleone era figlia dell’imperatore d’Austria,
onde si volle fosse collocata in una reggia: e le assegnarono Parma,
Piacenza e Guastalla a vita, a scapito del Borbone già re d’Etruria, a
questo attribuendo la libera Lucca, che alla morte di Maria Luigia
lascerebbe alla Toscana per occupare Parma e Piacenza [148]:
intanto Austria e Toscana gli pagherebbero cinquecentomila lire. In
quel raffazzonamento nè tampoco si badò alle convenienze
geografiche: Benevento e Pontecorvo papali rimasero chiusi nel
regno; un distretto della Lombardia nella Svizzera; Castiglione e
Gallicano lucchesi nel Modenese: a un brano di Toscana non si
giungeva che traverso a Lucca, come i Modenesi doveano
attraversare Toscana per giungere a Massa e Carrara: la Corsica fu
tolta alla vicina Liguria, a’ cui padroni si lasciava invece la lontana
Sardegna: Sicilia perdea la sovranità sopra Malta e Gozzo, pur
conservando le smarrite isolette di Lampedusa e Pantelleria.
Il ristabilimento del re di Sardegna era sempre stato a cuore
agl’Inglesi, che pensavano anche invigorirlo perchè fosse barriera
alla Francia, attesochè soltanto per la debolezza del Piemonte era
Buonaparte potuto penetrare in Italia: anzi dei prigioni di guerra
aveano formato una legione reale piemontese. Al cadere di
Napoleone (1814 27 aprile), il principe Borghese stipulò con
Bellegarde e Bentinck che anche dal Piemonte si ritirassero le
truppe francesi, consegnando agli Alleati le cittadelle d’Alessandria,
Gavi, Savona, Fenestrelle, Torino; una dichiarazione del maresciallo
austriaco Schwartzenberg annunziò agli abitanti di terraferma e del
contado di Nizza: — I vostri desiderj sono appagati; voi vi troverete
di nuovo sotto il dominio di quei principi amati che hanno fatto la
felicità e la gloria vostra per tanti secoli»; prometteva oblìo del
passato, lodando chi, sotto al dominio straniero, avea conservato la
reputazione di valore e probità.
Tentata invano la Lombardia al momento della insurrezione di
Milano, il re e il suo ministro Agliè trescarono al congresso di Vienna
per spingere il dominio fino alla Magra e all’Adige; ciò tornar
opportuno ad impedire gl’incrementi eccessivi dell’Austria; nè potersi
considerare sicuro il Piemonte se non avesse Mantova e Peschiera.
Altre influenze impedirono la domanda.
Al ricomparire di Napoleone, il Piemonte improvvisò un esercito di
quindicimila uomini cogli avanzi del francese, e postosi in linea cogli
Alleati, occupò i dipartimenti delle alte e basse Alpi, e sperò ottenere
qualche brano che rendesse migliore questa frontiera, schiusa colle
strade del Ginevro e del Cenisio: e in fatto mediante reciproche
concessioni determinò i suoi limiti verso la Svizzera, e convenne che
le provincie del Ciablese, del Faucigny, della Savoja a settentrione di
Ugine godessero la neutralità elvetica, rimanendo sgombre di truppe
in evenienza di guerra, e il re potesse fortificare come voleva. Il
principato di Monaco fu conservato ai Matignoni, ma sotto la
protezione della Savoja.
Bentinck, avuta per capitolazione Genova, dove stavano
ducentonovantadue cannoni ma debolissima guarnigione, vedendo
«il desiderio generale della nazione genovese essere per l’antica
forma di governo, sotto cui ebbe libertà, prosperità, indipendenza, e
tale desiderio parendo conforme ai principj professati dalle Potenze
alleate di rendere a ciascuno gli antichi diritti e privilegi», ristabiliva lo
stato come nel 1797 «colle modificazioni che la volontà generale, il
bene pubblico, lo spirito dell’antica costituzione potessero
domandare». Ma il proposito d’opporre nel Piemonte una barriera
robusta alla Francia, fece che a quello si donasse Genova. Invano
quel Governo provvisorio protestò richiamandosi all’indipendenza
garantitale nel 1745 ad Aquisgrana; invano Mackintosh al
Parlamento di Londra mostrava il Genovesato essere un territorio
amico occupato da nemico, sicchè, espulso questo, rientra in
proprietà di se stesso.
Perduta la speranza dell’antico stato, volevano almeno formare un
principato indipendente, e si offrirono al duca di Modena, a Maria
Luigia di Spagna; poi vedendosi «dati a un principe forestiero»,
almeno chiedeano assumesse il titolo di re di Liguria, con una
costituzione garantita dalle Potenze. Non ottennero se non che agli
altri titoli di re di Sardegna unirebbe quel di duca di Genova: la città
avrebbe porto franco, senato, e Università, non imposte maggiori di
quelle che allora subivano gli Stati sardi; in ogni provincia un
consiglio di trenta possidenti ogn’anno si radunasse per trattare
dell’amministrazione comunale, e dovesse aversene il voto per
istabilire nuove imposte [149]. Così quella Casa che, contro il proprio
interesse, erasi mostrata avversissima alla rivoluzione, conservava
tutti i suoi dominj di qua e di là de’ monti, e veniva rinvigorita come
guardiana dell’Alpi contro i due colossi confinanti. Gli Austriaci, dopo
aver fatto saltare le mura di Alessandria e le opere esteriori in cui
Napoleone aveva speso venticinque milioni, la sgomberarono, e
divenne arcifinio verso la Lombardia l’indifeso Ticino.
Francesco IV d’Este, cugino e cognato dell’imperatore d’Austria,
avea sperato la corona d’Italia, o almeno il Piemonte, nel quale
intento aveva anche sposato Maria Beatrice figlia maggiore di
Vittorio Emanuele suo cognato; ma non ebbe che gli Stati di
Modena, nei quali sedutosi alla morte di sua madre, proclamò
ancora il codice del 1774 e le leggi vigenti prima del 97.
Si parlò di confederare gli Stati italiani fra loro; ma le gelosie degli
uni verso gli altri e di tutti contro della preponderante impedirono un
fatto, che gli avrebbe tolti dal rimanere zimbello della politica
esterna [150]. Sulle isole Jonie poteva ostentare qualche pretensione
la Russia; ma il disinteresse d’Alessandro o la gelosia de’ suoi amici
fecero riconoscerle repubblica sotto il protettorato dell’Inghilterra, la
quale vi teneva guarnigione e un lord commissario, e nominava il
presidente del senato.
Per debiti verso particolari nei paesi perduti, la Francia dovè pagare
ducenquaranta milioni, di cui toccarono cinque allo Stato pontifizio,
quattro e mezzo alla Toscana, uno a Parma, venticinque al
Piemonte; dei centrentasette impostile per costruire fortezze contro
di lei, dieci gli ebbe la Savoja per munire la frontiera. Riguardo ai
fiumi che lambono diversi Stati, fu convenuto che la loro navigazione
rimanesse libera, salvo i regolamenti di polizia; uniforme e invariabile
la tariffa dei diritti; ciascuno Stato provvedesse al mantenimento
delle sponde e del letto dalla sua parte.
Tutto ciò erasi fatto per mera utilità, senza riguardo a nazionalità, a
storia, a convenienze morali, a guisa d’un raffazzonamento
istantaneo, imposto dalla necessità, e contro cui reclamerebbero e
principi e popoli. Lord Castlereagh, plenipotente dell’Inghilterra,
reduce dal congresso di Vienna, interpellato dal Parlamento sopra il
«mercato de’ popoli fattosi colà», rispondeva che l’intento suo era
stato «di stabilire un sistema, sotto al quale i popoli potessero vivere
in pace tra loro; però non resuscitare quelli periti, il cui ristabilimento
ponesse in nuovi pericoli l’Europa. L’Italia che fece ella per iscuotere
il giogo francese? perciò non poteva essere considerata che come
paese conquistato: bisognava cederla all’Austria, affinchè questa
rimanesse strettamente unita a noi... I pregiudizj dei popoli non
meritano riflesso se non quando non si oppongono a uno scopo
prestabilito. Ora le potenze confederate essendosi obbligate a
garantire la sicurezza dell’Europa, questo obbligava a fare violenza
ai sentimenti degl’Italiani» [151].
Una rivoluzione cominciata in nome della democrazia, toglieva di
mezzo tutte le antiche repubbliche e gli Stati elettivi, mentre
assodava le monarchie: tante conquiste per l’incremento della
Francia erano riuscite a ingrandire solo i suoi nemici, poichè l’Austria
si trovò padrona dell’Adriatico e delle Alpi, del mar Ligure il
Piemonte, del Reno la Prussia, la Russia del Baltico; e l’Inghilterra
n’ebbe l’occasione o il pretesto di soperchiare ogni rivale.
Spogliati o mozzi i deboli, non restano che i colossi; ed Alessandro
stese l’atto della santa alleanza, in istile mistico come tutti i proclami
suoi, coi regnanti d’Austria e di Prussia, obbligandosi
diplomaticamente alle virtù evangeliche: singolare espressione della
politica in forma biblica, che rivela come fosse sentito generalmente
il bisogno di posarsi in qualche idea generale. Prometteano dunque,
«conforme al precetto evangelico, di restare legati indissolubilmente
d’amicizia fraterna, prestarsi mutua assistenza, governare i sudditi
da padri, mantenere sinceramente la religione, la pace la giustizia;
essi re si considerano membri d’una medesima nazione cristiana
che ha per unico sovrano Gesù Cristo verbo altissimo, e incaricati
ciascuno dalla Provvidenza di dirigere un ramo della famiglia
stessa».
Un accordo fatto nel nome di Dio e pel bene dell’umanità dava
lusinga alle menti: ma queste frasi che cose significavano? ch’essi
erano padri, i quali si univano per disporre da soli ciò che credessero
il meglio de’ loro figliuoli, senza questi ascoltare. E in fatto
l’ordinamento interno di ciascun paese si considerò come sacra
proprietà del principe, il quale dovesse provvedervi secondo la sua
buona volontà, senza riconoscere diritti di popoli.
Omaggio alle idee liberali fu il restituire i capi d’arte, adunati dalla
vittoria a Parigi nel museo Napoleone; e il non darli ai nuovi padroni,
bensì ai paesi stessi; al Belgio i quadri d’Anversa, benchè
assoggettato all’Olanda; a Venezia serva quelli tolti a Venezia libera.
Allorchè Denon a Pio VII mostrava quel museo, e compassionavalo
del rammarico che proverebbe in vedervi le opere tolte al suo paese,
il pontefice gli rispose: — La vittoria le avea portate in Italia; la
vittoria le depose qui; chi sa dove un giorno le riporterà?» Ed ecco la
profezia adempiuta: ma tanto più restavano scontenti i Francesi del
vedersene spogliati, e faceano pasquinate contro il Canova, non
imbasciatore ma imballatore, venuto a sovrintendere al ritorno delle
statue e de’ quadri italiani [152].
Un altro fatto onora quel congresso. L’Africa settentrionale fu sempre
strettamente congiunta alle vicende italiane. D’Italia, di Spagna, dalle
Baleari in ogni tempo v’affluì gente, trovandovi clima acconcio, terre
da lavorare, industria da esercitare: la pesca de’ coralli a Bona e alla
Calla v’era fatta da Siciliani e Napoletani. Nel 1520 i Turchi,
occupatala per opera del famoso corsaro Barbarossa, vi formarono
Stati, col nome di Barbareschi, che violano tutte le leggi della civiltà
insultando alle bandiere d’ogni potenza, e corseggiando le navi che
solcano il Mediterraneo, per rapirne robe e persone da rendere poi a
grossi riscatti o da tenere in servitù. L’Europa si rassegnò
lungamente a pagare loro un tributo per far rispettare questa o quella
bandiera; il reprimerli fu scopo ad imprese degli Spagnuoli, dei
Veneziani, dei cavalieri di Malta e di Santo Stefano; a volta a volta
qualche potenza vi recò guerra, ma non mai col proposito di
sterminarli.
Il blocco continentale crebbe baldanza ai Barbareschi; ma venuta la
pace, l’Inghilterra fu incaricata dal congresso di Vienna di procurare
s’abolisse la schiavitù de’ Cristiani. Essa contrattò riscatti a nome
della Sardegna e di Napoli, che s’obbligavano a un tributo e a pagar
centinaja di piastre per ogni liberato; poi vergognatasi, spedì lord
Exmouth a imporre fossero rilasciati i Cristiani senza riscatto, e
abolitane la servitù. Tunisi e Tripoli sbigottite si obbligarono a
rispettare la bandiera cristiana, e rilasciarono Tunisi
ducenquarantaquattro schiavi sardi e ottantatre romani, Tripoli molti
altri. Algeri ne rendè cinquantun sardi, trecencinquantasette
napoletani, ma al prezzo stipulato: poi tardando a dichiarare
l’abolizione, l’ammiraglio bombardò la città, che vistasi incendiare la
flotta, cassò la schiavitù de’ Cristiani, e restituì quanti ne teneva
cattivi. Trovaronsene quarantanovemila fra tutti gli Stati barbareschi,
e mille cinquecento ad Algeri, di cui settecentosette napoletani e
censettantanove romani.
Effimero riparo; e la pirateria continuò finchè l’ingiuria portata
all’eccesso non recò la bandiera francese sulle mura d’Algeri.
LIBRO DECIMOSETTIMO
CAPITOLO CLXXXIII.
La restaurazione. Il liberalismo. Rivoluzioni del
1820 e 21.