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Il labirinto antropico

di

Stefano Bettini
betstef@libero.it

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Stefano Bettini© 2004 – Il labirinto antropico

Stefano Bettini
Stefano Bettini ha studiato presso il dipartimento di filosofia dell'Università di Firenze e si è laureato con
Paolo Rossi nel 1990. La sua tesi, dal titolo "Dalla Cabala dei Grandi Numeri ai Principi Antropici", è
dedicata ad una ricostruzione storica della questione delle coincidenze fra grandi numeri adimensionali in
cosmologia e copre un periodo che va dal presentarsi del problema nell'ambito della teoria unitaria di
Weyl (1919) sino alla formulazione dei principi antropici.
Recentemente l'autore ha conseguito il dottorato di ricerca con una tesi dedicata anch'essa alla storia della
cosmologia scientifica. Tale lavoro (titolato: "Immagini dell'universo. Le due genesi della cosmologia")
verte sul passaggio fra una cosmologia filosofica e una cosmologia quantitativa. Esso individua due fasi
cruciali per la formazione di una cosmologia scientifica. La prima coincide con la formulazione dei primi
modelli relativistici dell'universo nel 1917. La seconda coincide con l'accettazione dell'idea
dell'espansione dell'universo attorno al 1930.
email: betstef@libero.it

NOTA: Nel presente saggio l'autore ha un duplice intento: a) mettere in luce la confusione esistente nella
letteratura a proposito dell'uso del "principio antropico" anche nella stessa terminologia tecnica; b)
inquadrare nell'ottica della storia della scienza l'origine del dibattito contemporaneo sui principi antropici
in cosmologia, e l'intima relazione fra tali principi e la concezione di una collezione di universi.
Poiché la stesura del lavoro risale al '97, l'autore ha quindi ritenuto opportuno aggiungere una postilla
(realizzata nel febbraio 2001) in cui sono forniti alcuni aggiornamenti sulle più recenti applicazioni del
"ragionamento antropico" in cosmologia.

I numeri fra parentesi quadra rimandano alle note, disponibili sotto la voce "NOTE".
Tutte le indicazioni bibliografiche fornite nel testo e nelle note sono reperibili sotto la voce
"RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI"NOTA TECNICA: I numeri fra parentesi quadra rimandano alle
note, disponibili sotto la voce "NOTE".
Tutte le indicazioni bibliografiche fornite nel testo e nelle note sono reperibili sotto la voce
"RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI".

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Stefano Bettini© 2004 – Il labirinto antropico

Il Labirinto antropico

Stefano Bettini
betstef@libero.it

1. Primi passi nel labirinto antropico

Sul finire degli anni settanta un fisico del CERN di Ginevra, Dimitri Nanopoulos, inviò
alle Physics Letters B un intervento che cominciava con un'affermazione altamente
evocativa: "Noi esistiamo!" [1].
Il quel lavoro l'autore constatava che la presenza di "esseri umani" imponeva dei "limiti
severi" al rapporto fra il numero dei fotoni e il numero dei barioni dell'universo e, su
tale base, passava a dimostrare come, per "un'ampia classe di teorie unificate",
l'esistenza di sei sapori dei quark divenisse una "necessità inevitabile".
L'argomentazione addotta da Nanopoulos non era nuova. In particolare, i suoi colleghi
cosmologi avevano già provveduto a coniare una terminologia con cui mettere in risalto
l'esistenza di una "relazione simbiotica" fra l'uomo e l'universo [2]. In questo primo
paragrafo prenderò in esame alcune definizioni molto generali del cosiddetto "principio
antropico". Queste dovrebbero aiutare a fissare alcuni contenuti di fondo sulla natura di
tale principio. La prima definizione è dovuta a George Ellis, secondo il quale il
principio esprime

the issue of why the universe is such to admit the existence of intelligent life such as
ourselves [3]

Secondo Frank J. Tipler invece:

The Anthropic Principle is the drawing of scientific inferences from a consideration of


Man's Place in Nature [4]

Nella definizione più elaborata e dal carattere programmatico, di Yuri B. Balashov [5]:

The Anthropic Principle … is an attempt to deduce nontrivial consequences from the rather
trivial consideration that we observe around us not some arbitrary Universe but that
compatible with our existence therein

mentre, per Abramowicz e Ellis [6]:

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The Anthropic Principle is a modern attempt to deal with a question as old as mankind:
why does the Universe seem to have special and very peculiar properties supporting our
existence?

Quest'ultima constatazione coincide con quella suggerita dallo storico della scienza
Helge Kragh, secondo il quale il principio antropico è "un'idea metascientifica antica
quanto la scienza ma solo recentemente divenuta una nozione alla moda in alcuni settori
delle scienze fisiche" [7].
La questione diviene più intricata quando si abbandona il livello di generalità,
caratteristico di tutte le definizioni menzionate, e si considerano "precetti espliciti" delle
varie forme del principio antropico [8]. Il confronto fra i diversi enunciati mette infatti
in evidenza l'esistenza di "principi" diversi e difficilmente conciliabili.
La domanda se sia possibile accettare le varie forme del principio antropico come
sfumature diverse di un medesimo criterio fondamentale o se, invece, sia più opportuno
far riferimento esplicitamente a principi diversi è già stata saltuariamente posta [9].
Alcuni filosofi della scienza hanno sottolineato che sotto la denominazione "principio
antropico" sono raccolte un'intera "famiglia di proposte apparentemente unite da una
singola forma di ragionamento" [10]. Ad esempio, John Earman ha scritto che:

the AP is not a single, unified principle but rather a complicated network of postulates,
techniques, and attitudes [11]

mentre Ernan McMullin ha puntualizzato che:

There are "anthropic" modes of explaining apparent "fine tuning" but they do not seem to
rest on a common principle [12]

Martin Rees, da parte sua, ha affermato che la scelta stessa del termine "principio" é
piuttosto infelice e che - dal punto di vista del cosmologo - sarebbe più opportuno far
ricorso ad un'"espressione meno pretenziosa" come anthropic reasoning [12a]. In una
situazione del genere, la confusione è inevitabile. Steven Weinberg pertanto testimonia
che:

there are a number of different versions of this principle, ranging from those that are so
weak as to be trivial to those that are so strong as to be absurd [13]

Senza dubbio la confusione esistente è ulteriormente aggravata dal proliferare (ad opera
non solo di autori diversi ma, talvolta, persino del medesimo autore in circostanze
diverse) di versioni non coincidenti. Lo stesso principio antropico debole, che è

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generalmente riconosciuto come non controverso o come un semplice "corollario di un


truismo della teoria della conferma" (al punto che molti critici lo considerano
semplicemente una tautologia), si presenta in versioni più o meno restrittive [14]. Nel
seguito cercherò di mostrare che vi sono versioni non coincidenti del principio debole e
confini incerti fra alcune versioni deboli e forti.

2 Definizioni antropiche: un'esposizione

Il fine di questo paragrafo è quello di fornire un campionario di "definizioni precise" per


ogni forma del principio antropico. Le fonti utilizzate sono i lavori di quel "piccolo ma
eminente gruppo di fisici" [15] che ha sostenuto l'importanza del principio (d'ora
innanzi li chiamerò i "teorici antropici" [16]) e i contributi di alcuni filosofi della
scienza.
Definizioni del principio antropico debole (Weak Anthropic Principle, d'ora innanzi
WAP) [17]:

1) we must be prepared to take account of the fact that our location in the universe is
necessarily privileged to the extent of being compatible with our existence as observers.

2) the observed values of physical variables are not arbitrary but take on values V(x,t)
restricted by the spatial requirement that x Є L, where L is the set of sites able to sustain
life; and by the temporal constraint that t is bounded by the time-scales for biological and
cosmological evolution of living organisms and life-supporting environments.

3) The observed values of all physical and cosmological quantities are not equally probable
but they take on values restricted by the requirements that there exist sites where carbon-
based life can evolve and by requirement that the Universe be old enough for it to have
already done so.

4) The observed values of all physical and cosmological quantities are not equally probable,
but rather take on values restricted by the fact that these quantities are measured by a
carbon-based intelligent life-form which spontaneously evolved on an earthlike planet
around a G2 type star.

5) A weak principle can thus be formulated in either of two ways:WAP1: Theories of the
universe must take account of the presence in the universe of humans …WAP2: What we
observe is restricted by whatever conditions are necessary to allow the existence of
observers.

6) the necessary conditions for observers to exist restricts [sic] the times and places from
which the Universe can be observed.

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7) in un universo che è grande o infinito nello spazio e/o nel tempo, le condizioni necessarie
per lo sviluppo della vita intelligente si troveranno solo in certe regioni che sono limitate
nello spazio e nel tempo. Gli esseri viventi presenti in queste regioni non dovrebbero perciò
sorprendersi nel constatare che la regione in cui essi vivono nell'universo soddisfa le
condizioni che sono necessarie per la loro esistenza.

Una variante del WAP, la cui definizione è proposta da John Leslie, è il "principio
antropico super debole" [18]:

If intelligent life's emergence, NO MATTER HOW HOSPITABLE THE


ENVIRONMENT, always involves very improbable happenings, then any intelligent living
beings that there are evolved where such improbable happenings happened. In a large
enough universe it could be very likely that intelligent beings existed somewhere even if
their existence could come about only in locations where very unlikely occurrences had
occurred; and obviously it would be those locations which they observed when they
crawled from the primeval time.

Esistono denominazioni alternative a "principio antropico debole", legate al fatto che il


termine "antropico" è apparso talvolta suggerire un pregiudizio verso eventuali specie
intelligenti extraterrestri.
Carter ha proposto di chiamare il WAP: observational biassing principle o observer self
selection principle e, nel 1983, ha affermato [19]:

If I have guessed that term 'anthropic principle' would come to be so widely adopted I
would have been more careful in my original choice of words. The imperfection of this now
standard terminology is that it conveys the suggestion that the principle applies only to
mankind. However, although this is indeed the case as far as we can apply it ourselves, it
remains true that the same self-selection principle would be applicable by any
extraterrestrial civilization that may exist [20].

Definizioni del principio antropico forte (Strong Anthropic Principle: SAP) [21]:

1) the Universe (and hence the fundamental parameters on which it depends) must be such
as to admit the creation of observers within it at some stage.

2) intelligent life must evolve somewhere in any physically realistic universe.

3) the Universe must contain life. An equivalent statement would be that the constants and
laws of Nature must be such that life can exist.

4) The Universe must have those properties which allow life to develop within it at some
stage in its history.

5) intelligent life is essential to the Universe.

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6) it is necessary that intelligent life exist in the Universe; the presence of life is required in
order that a universe model make sense.

Anche per il SAP esistono denominazioni alternative. John Leslie lo chiama


psychocentric principle, mentre Carter propone l'espressione cognition principle [22].
Un caso a parte è costituito dal fisico russo I. L. Rozental. Questi infatti ritiene che la
terminologia diffusasi nella "letteratura [di lingua] inglese" dia troppa enfasi
all'"interconnessione fra i valori numerici delle costanti fondamentali e le forme
(biologiche) complesse della materia". Tale interconnessione - afferma Rozental - "in
realtà" si rivela già ai "livelli più bassi". Così anziché parlare di "vincoli" imposti
dall'esistenza della complessità chimica e dalla vita, basta far riferimento a quelli
derivanti dall'esistenza delle strutture stabili più elementari, come i nuclei atomici.
Rozental preferisce usare espressioni quali principle of effectiveness (o appropriateness)
o expediency principle [23]. Egli è consapevole che i suoi colleghi occidentali
riconosceranno dietro quella terminologia un'applicazione del SAP, ma la sua scelta
terminologica gli evita quello che ritiene un passo assai dubbio: "assumere come base di
un principio fisico" un concetto, come quello di complessità biologica, che è
ampiamente indefinito dal punto di vista fisico.
Oltre al SAP propriamente detto vi sono comunque altre varianti "forti" del principio
antropico. La prima è il cosiddetto principio antropico partecipatorio (Participatory
Anthropic Principle: PAP), la cui definizione esprime l'interpretazione di John Barrow
di alcune idee dovute a John Archibald Wheeler:

Observers are necessary to bring the Universe into being [24].

La seconda è il principio antropico finale (Final Anthropic Principle: FAP); del quale
riporto una definizione dovuta a Barrow e Tipler [25]:

Intelligent information-processing must come into existence in the Universe, and, once it
comes into existence, it will never die out.

e una del solo Tipler, che è senza dubbio il più tenace promotore del FAP [26]:

the Universe is sufficiently benign so that once intelligence first evolves, the laws of
physics permit its continued existence forever.

3 La ricezione dei principi antropici

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I teorici antropici hanno sostenuto l'utilità, l'importanza e l'appropriatezza del principio


antropico. Una nutrita schiera di critici ha invece individuato nel principio la proposta di
un ragionamento falso, "storicamente antiquato", che non ha diritto di cittadinanza nella
scienza fisica e il cui unico scopo pare quello di causare una "momentanea impressione
di meraviglia" [27]. Molti fra tali critici hanno sottoscritto l'idea che:

Diversamente dai principi fisici consueti, il principio antropico non è soggetto a


falsificazione sperimentale, e questo è un indizio certo che esso non è un principio
scientifico. Non è possibile determinare sperimentalmente la sua validità, e quindi la
discussione se sia vero o meno potrebbe proseguire all'infinito [27a].

Nei lavori dei teorici antropici sono spesso invocate "spiegazioni" o "predizioni"
antropiche di alcuni particolari valori numerici che emergono in fisica o di certe
proprietà cosmologiche prima facie sorprendenti. Secondo i critici, però, le
argomentazioni antropiche non portano ad alcuna predizione concreta e non
costituiscono una spiegazione nel senso dell'usuale modello covering law di Hempel e
Oppenheim [28]. Non è questa la sede per sviluppare questi temi. Mi limito perciò ad
accennare che buona parte dello scontro fra sostenitori e critici del principio antropico
verte proprio attorno al significato di termini chiave come "spiegazione", "predizione",
"retrodizione", "verificabilità" e così via [29]. Per i teorici antropici un esempio
evidente di "predizione" antropica è la determinazione di Hoyle dello stato eccitato del
nucleo dell'atomo di carbonio dodici intorno a 7,6 MeV sopra lo stato fondamentale;
predizione che consente di "spiegare" l'abbondanza cosmica osservata di carbonio e
idrogeno [30]. C'è ampio accordo nell'interpretare la predizione di Hoyle come
un'applicazione del WAP [31], nonostante le opinioni personali dell'astronomo inglese
sul principio antropico [32]. I lavori dei teorici antropici abbondano poi di (presunte)
predizioni e spiegazioni basate sia sul WAP che sul SAP. Nel caso del WAP, le più note
sono la "spiegazione" di Dicke della coincidenza di Dirac (su cui tornerò nel seguito) e
quelle basate sulla cosiddetta "coincidenza dell'età del sole" notata da Carter nel 1983
[33]. Quest'ultima è un'applicazione del WAP indirizzata principalmente ai biologi e
tendente a dimostrare che lo sviluppo progressivo documentato dall'esame dei fossili (e
che porta alla comparsa dell'uomo) rappresenta un esito fortemente atipico dei
meccanismi dell'evoluzione darwiniana. Secondo Carter il fatto che non si osservino
esempi extraterrestri di evoluzione biologica può dipendere da un effetto di selezione

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antropica. Il caso terrestre potrebbe costituire infatti un'evenienza particolarmente


fortunata in cui, nonostante il carattere essenzialmente stocastico dei processi evolutivi,
si è giunti al livello dell'intelligenza umana entro il tempo messo a disposizione dalla
scala astrofisica stabilita dalla permanenza del Sole sulla sequenza principale. Sulla base
di questa considerazione e di un "rudimentale" modello stocastico per "il processo
erratico dell'evoluzione di lungo termine" [33a], sono state avanzate diverse
"predizioni" antropiche. Carter ha concluso che non possono esservi stati più di due
"passi critici" (la cui realizzazione cioè ha il carattere della necessità ma è
intrinsecamente improbabile nell'arco di tempo a disposizione) nella linea evolutiva che
ha condotto all'Homo Sapiens. Barrow e Tipler, Richard Gott III e il filosofo John
Leslie hanno invece sviluppato delle ipotesi probabilistiche sul tempo futuro a
disposizione della specie umana prima della sua scomparsa [34]. Le "previsioni" basate
sul SAP riguardano, il più delle volte, i peculiari valori delle costanti fondamentali di
natura, ma sono generalmente considerate - dagli stessi teorici antropici - come delle
speculazioni da tenere distinte dalle argomentazioni deboli.
Carter stesso ha avvisato che:

It remains true however that whereas a prediction based only on the weak principle (as used
by Dicke) can amount to a complete physical explanation, on the other hand even an
entirely rigorous prediction based on the strong principle will not be completely satisfying
from a physicist's point of view since the possibility will remain of finding a deeper
underlying theory explaining the relationships that have been predicted [35].

Per sottolineare la "vulnerabilità" scientifica del SAP, Carter ha anche proposto -


seguendo un suggerimento di Barrow - di far riferimento a un "postulato forte" anziché
ad un "principio" [36].
La distinzione fra WAP e SAP che, alla luce delle definizioni originarie di Carter e di
Barrow, pare netta e ben definita, è però rimessa in discussione da una serie di lavori in
cui la separazione fra le due forme del principio assume contorni molto più sfumati. Il
problema non è di poco conto, poiché, al contrario del WAP, il SAP implica
considerevoli problemi interpretativi di natura "filosofica".
Il PAP e il FAP richiedono un'ulteriore discussione. Molti autori, infatti, pur
riconoscendo un qualche ruolo all'interno della speculazione fisica a WAP e SAP,
ritengono invece PAP e FAP del tutto estranei a quel contesto.

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Nel caso del FAP, in particolare, i commenti esistenti sono quasi sempre estremamente
negativi. George Ellis, ad esempio, ha scritto di non considerarlo degno di una
"discussione seria" [37], mentre Martin Gardner ha addirittura sentenziato che "sarebbe
meglio" chiamarlo "CRAP, the Completely Ridiculous Anthropic Principle" [38].
Altri autori hanno invece tralasciato di occuparsi del FAP ritenendolo "collegato alla
teoria dell'informazione e alla computer science" piuttosto che alla fisica [39]. Non a
caso uno dei pochi a sostenere apertamente il principio di Tipler è un esperto di
computazione quantistica come David Deutsch.
Quest'ultimo ha paragonato il principio antropico alla tesi di Church-Turing [40] e ha
dato credito alla teoria sul futuro dell'universo fisico elaborata da Tipler sulla base del
FAP.
Per Deutsch le tesi di Tipler vanno prese sul serio perché rappresentano uno dei pochi
tentativi di soluzione del problema dei limiti della computazione in un universo finito.
La stragrande maggioranza della comunità scientifica ha però giudicato che considerare
seriamente le idee di Tipler è "impossibile" [41].
Quest'ultimo è stato ritenuto colpevole di aver fatto:

a considerable disservice to science by making incredible claims for what science can
achieve way beyond what in fact lies within its capabilities [42].

Nonostante le forti resistenze verso le speculazioni di Tipler, le quattro forme del


principio antropico sin qui incontrate sono, in ultima analisi, quelle stabilitesi nella
letteratura, a prescindere dalle applicazioni e dai giudizi di merito formulati su ciascuna
di esse.
L'etichetta antropico è stata però usata e abusata in altre circostanze. Ad esempio, Don
Page ha fatto riferimento a versioni "deboli" sia del SAP (il SWAP: strong weak
anthropic principle) che del FAP (il FWAP: final weak anthropic principle [42a],
mentre il matematico della Kansas State University Louis Crane [43] ha proposto un
Meduso Anthropic Principle da concepirsi come una variante dell'"ipotesi di selezione
naturale" di Lee Smolin [44]. Da parte sua il filosofo della scienza Peter P.
Kirschenmann ha distinto delle ulteriori "forme rafforzate" del SAP, quali il TAP
(teleological anthropic principle) e il MAP (many worlds anthropic principle) [44a].

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Queste ultime due denominazioni non sono però che varianti del SAP estrapolate da
alcuni passi del saggio di Barrow e Tipler [45].
Infine, sebbene possa apparire paradossale se si pensa che Carter introdusse la
terminologia antropica come "reazione" contro l'abuso del principio copernicano,
occorre segnalare persino un "principio antropico copernicano" dovuto a Richard J. Gott
III di Princeton.
Dopo aver associato al WAP di Carter l'idea secondo la quale un qualsiasi individuo
intento oggi a valutare le sue "osservazioni dell'Universo" non ha niente di speciale
rispetto a tutti gli osservatori intelligenti, tale autore ha infatti formulato - in un lavoro
apparso nel maggio del 1993 - il seguente enunciato:

the location of your birth in space and time in the Universe is privileged (or special) only to
the extent implied by the fact that you are an intelligent observer, that your location among
intelligent observers is not special but rather picked at random [45a].

Quest'ultima forma del principio antropico è divenuta essenziale nel recente dibattito legato
al cosiddetto Doomsday Argument (per il quale rimando qui alla nota n. 34).

L'associazione fra argomenti antropici e l'assunto secondo il quale la nostra posizione è


tipica risulta del resto una prospettiva abbastanza consueta nelle più recenti speculazioni
sulla cosmologia inflazionaria.

Alexander Vilenkin ha ad esempio da una parte presentato lo scenario di una collezione di


universi "disconnessi l'uno dall'altro" e caratterizzati ciascuno da "valori differenti di alcune
delle costanti" [45b]; dall'altra, ha sostenuto che il "principio di mediocrità" è subordinato
alla selezione osservativa e va perciò visto come "una versione del 'principio antropico'"
[45c].

Secondo Vilenkin vi sono infinite regioni del metauniverso che presentano le condizioni
appropriate allo sviluppo di civiltà intelligenti ed è necessario considerare la nostra forma di
vita come una fra le "più comuni del metauniverso". Con "principio di mediocrità" occorre
perciò intendere l'assunto secondo il quale la nostra è una delle "'tipiche' civiltà che vivono
nel metauniverso" [45d]. Questo assunto è sfruttato dall'autore per determinare i valori
"osservabili" più probabili delle costanti di natura nell'ambito della collezione di universi
messa a disposizione da un approccio alla cosmologia quantistica in cui infiniti "universi"
emergono spontaneamente dal nulla per effetto tunnel quantistico [45e].

4 Il WAP come principio di selezione

In questo paragrafo farò ritorno alla forma meno "speculativa o controversa" del
principio antropico: il WAP. Nonostante lo scetticismo di numerosi critici, i teorici

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antropici hanno difeso l'importanza del WAP e negato che possa essere considerato "un
enunciato tautologico privo di potere" [46].
Tale atteggiamento riflette l'idea che il principio debole riguardi essenzialmente un
effetto di selezione. Il WAP estende ai nostri corpi, e a fortiori alla nostra esistenza, la
considerazione di quei vincoli, intrinseci agli strumenti d'osservazione, nei cui confronti
ogni scienziato sperimentale è sempre tenuto a cautelarsi. Si fa qui riferimento ad una
"auto-selezione" dovuta al fatto che:

Human bodies are measuring instruments whose self-selection properties must be taken into
account, just as astronomers must take into account the self-selection properties of optical
telescopes [47].

Nell'attività sperimentale dobbiamo non solo valutare se i nostri strumenti di misura


sono adatti a raccogliere dati di un tipo particolare (ad esempio riguardanti un certo
intervallo dello spettro della radiazione elettromagnetica), ma anche aver cura dei
vincoli e delle limitazioni imposte da "un effetto di selezione che abbraccia tutto: la
nostra stessa esistenza" [48].
Brandon Carter ha riassunto l'essenza del WAP nel motto Caveat observator! [49] e ha
ricordato che:

The practical scientific utility of this principle arises from its almost tautological corollary
to the effect that in making general inferences from what we observe in the Universe, we
must allow for the fact that our observations are inevitably biased by selection effects
arising from the restriction that our situation should satisfy the conditions that are necessary
a priori, for our existence [50]

mentre John Barrow ha ribadito che il WAP:

tells us that our astonishment at many properties of the Universe which appear unusual a
priori must be tempered by the recognition that many of them simply must be present if a
universe is to be studied by intelligent observers [51]

In entrambi questi enunciati compaiono comunque dei risvolti che, già ad una prima analisi,
risultano più impegnativi di quanto sia lasciato intendere. Il termine a priori, ad esempio,
(che può essere interpretato nel senso di prima facie, o in quello più delicato di un insieme
di possibilità teoriche alternative) o la dicotomia esistente fra il termine Universo (con la
"U" maiuscola) e gli "universi" che compaiono nell'enunciato di Barrow [51a]. Questo tipo
di constatazioni costituiscono una prima avvisaglia delle difficoltà che si incontrano sul
terreno del rapporto fra il (matematicamente) possibile e il (fisicamente) reale; difficoltà
sulle quali avrò modo di tornare.

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Carter e Barrow hanno entrambi specificato che il WAP non è una teoria cosmologica
alternativa, ma semplicemente "un principio metodologico che si può ignorare solo a
proprio rischio" [52], e che:

must be used as a complement to the standard deductive theories, otherwise there is a real
danger of drawing erroneous conclusions or, more commonly, providing elaborate
'explanations' for non-existent problems [53].

Questo punto è in pratica ammesso anche da chi non ha alcuna intenzione di schierarsi
né con la fazione dei sostenitori delle argomentazioni antropiche né con il versante degli
oppositori. Un critico puntuale come John Earman riconosce di avere semplicemente a
che fare con

a special case of a familiar principle for judging the bearing of evidence on theory [54].

I sostenitori del principio antropico si trovano ad affermare con tutte le risorse a loro
disposizione la credibilità, l'importanza e il ruolo di un principio che, allo stesso tempo,
pare sia da intendersi come un nuovo principio peculiare della cosmologia scientifica (al
quale spetta la funzione di complemento e di compensazione dell'usuale principio
cosmologico) e come un principio trascurato o dimenticato della pratica scientifica, al
quale più volte è stato fatto ricorso nella storia della scienza.
È curioso notare la differenza di valutazione fra il filosofo della scienza Earman e due
"cosmologi" come Barrow e Tipler. Questi ultimi sottolineano che, a differenza dei
filosofi e dei teologi (rei, a loro dire, di "possedere un attaccamento emozionale alle loro
teorie e idee") i fisici sono unicamente interessati a "formulare molte possibilità
logicamente consistenti" da sottoporre al vaglio dell'osservazione [55]. Laddove Earman
scrive che il WAP altro non è che:

a variant of the commonsensical observation that finding fishes exclusively of lengths six
inches and greater is not good evidence that all the fish in the sea are longer than six inches
if the nets used are not fine enough to hold smaller fish [56].

Barrow e Tipler suggeriscono con enfasi che:

the WAP is just a restatement, albeit a subtle restatement, of one of the most important and
well-established principles of science: that it is essential to take into account the limitations
of one's measuring apparatus when interpreting one's observation [57].

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Un principio che - a detta dei medesimi autori - fu applicato già dallo stesso Copernico,
il quale:

showed that the epicycle was unnecessary; the retrograde motion was due to an
anthropocentric selection effect: we were observing the planetary motions from the vantage
point of the moving Earth [58].

Il voluminoso trattato di Barrow e Tipler contiene una documentata (anche se in parte


arbitraria) ricostruzione dei precedenti storici e dei precursori delle argomentazioni
antropiche. Le mie ambizioni sono decisamente più modeste. Non ho intenzione di
individuare quanti più precursori possibili ma di mostrare, attraverso l'esame di alcune
versioni della forma debole del principio antropico, come il WAP sia stato presentato
secondo formulazioni che denotano estensioni diverse.

5 Precursori I: Boltzmann 1895

Molti autori concordano nel ritenere un'anticipazione del WAP la "spiegazione"


dell'apparente direzionalità del tempo proposta da Ludwig Boltzmann, in almeno tre
occasioni fra il 1895 e il 1898, sulla base di un effetto di selezione osservativa [59].
In nome della reversibilità temporale delle leggi della meccanica, Boltzmann condusse
una battaglia personale contro il "flusso del tempo" e suggerì di considerare la
direzionalità del tempo "come una mera illusione" proveniente dalla "nostra prospettiva
particolarmente limitata" [60].
In questa lotta il fisico austriaco dovette confrontarsi con una serie di argomenti centrati
sull'apparente contraddizione fra l'"apparente irreversibilità di tutti i processi naturali
conosciuti" e la reversibilità su scala atomica sancita dai principi della "scienza
meccanicistica alla vecchia maniera"[61].
Le obiezioni mosse da Loschmidt prima e da Culverwell e Zermelo poi, aprirono
dispute ben note allo storico della scienza. Il punto nodale di tutti questi argomenti
consisteva nel mostrare che l'inversione della variabile t nelle equazioni del moto,
oppure una concezione ciclica del tempo, implicavano conseguenze assurde se
confrontate con l'esperienza.
Nella seconda metà degli anni settanta Loschmidt mostrò che era possibile concepire
una violazione del principio di Carnot e Clausius, considerando un'inversione esatta
delle traiettorie di tutte le particelle di un sistema di punti materiali.

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Boltzmann riconobbe il "grande significato" del "paradosso" sollevato da Loschmidt e


rinunciò conseguentemente al tentativo di dedurre i processi irreversibili direttamente
dalle equazioni dinamiche. Da allora egli considerò l'irreversibilità come una proprietà
statistica di un numero enorme di particelle che collidono e la seconda legge come "un
teorema del calcolo delle probabilità". Un sistema tende allo stato d'equilibrio descritto
dalla distribuzione delle velocità di Maxwell perché vi sono "infinitamente molti più
stati iniziali" che conducono a una distribuzione uniforme che a una non uniforme [62].
Questa conclusione trovò espressione matematica in quella che Paul Ehrenfest ha
chiamato la formulazione "moderna" del "teorema del minimo" o, come fu
comunemente chiamato dopo il 1890, "teorema H". La "funzione-H" descrive
l'andamento dell'inverso dell'entropia di un sistema macroscopico isolato rispetto al
tempo. Nel grafico di tale funzione, la curva si trova "per la grandissima maggioranza"
del tempo presso un valore minimo che descrive lo stato di massima entropia.
Attorno al significato del teorema H di Boltzmann sorse, nei primi anni novanta, un
grande dibattito nel Regno Unito.
Boltzmann partecipò attivamente al dibattito di lingua inglese, preoccupandosi, al
tempo stesso, di rispondere ad una nuova obiezione di reversibilità sollevata da Edward
Parnall Culverwell di Dublino e di difendere il carattere statistico della seconda legge e
la prospettiva meccanicistica [63].
Egli dovette inoltre rispondere a un quesito posto da Fitzgerald e ripreso dallo stesso
Culverwell: perché "l'etere, il sistema solare e l'universo" rappresentano un'eccezione
rispetto alla legge di distribuzione di Maxwell? [64] Tale problema o testimoniava
un'inconsistenza fra il teorema H inteso come "un pezzo di matematica pura" e le sue
applicazioni fisiche, oppure rendeva necessario spiegare perché l'universo circostante
apparisse così sorprendentemente lontano dall'equilibrio termodinamico e dalla morte
termica.
Nel numero del 18 febbraio 1895, Nature ospitò un importante intervento di Boltzmann.
In quella memoria, titolata On certain questions of the theory of gases, sono contenute
repliche alle obiezioni di Culverwell ed è precisato come dedurre il comportamento
della funzione H di un sistema isolato "dalle leggi della probabilità".
Valori di H maggiori del minimo non sono "matematicamente impossibili" ma "soltanto
molto improbabili". Diversamente dal 1877 Boltzmann conclude però che, a prescindere

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dalle condizioni iniziali e disponendo di tempi molto lunghi, sono possibili delle
deviazioni occasionali dallo stato d'equilibrio.
Sia procedendo nella direzione positiva che in quella negativa lungo l'asse che
rappresenta il tempo, il grafico della funzione H mostra infatti che:

It is extremely probable that H is very near to its minimum; if it is greater, it may increase
or decrease, but the probability that it decreases is always greater [65].

Nell'ultimo paragrafo Boltzmann affronta gli argomenti formulati contro il teorema H


sulla base dello stato osservato dell'universo. Dopo aver ammesso che, per il teorema H,
l'universo - inteso come un sistema meccanico composto da un numero enorme di
costituenti - "nel corso del tempo ... deve tendere a uno stato dove la vis viva di ogni
atomo è in media la medesima" [66], egli riconosce che chiedersi perché questo stato
non sia ancora stato raggiunto costituisce un notevole rompicapo. È a questo punto che
fa riferimento a un'idea suggeritagli da un suo "vecchio assistente", il dr. Schütz [67]:

We assume that the whole universe is, and rests forever, in thermal equilibrium. The
probability that one (only one) part of the universe is in a certain state, is the smaller the
farther this state is from thermal equilibrium; but this probability is greater, the greater the
universe itself is. If we assume the universe great enough we can make the probability of
one relatively small part being in a given state (however far from the state of thermal
equilibrium), as great as we please. We can also make the probability great that, though the
whole universe is so far from thermal equilibrium, our world is in its present state. It may
be said that the world is so far from thermal equilibrium that we cannot imagine the
improbability of such a state. But can we imagine, on the other side, how small a part of the
whole universe this world is? Assuming the universe great enough, the probability that such
a small part of it as our world should be in its present state, is no longer small.
If this assumption were correct, our world would return more and more to thermal
equilibrium; but because the whole universe is so great, it might be probable that at some
future time some other world might deviate as far from thermal equilibrium as our world
does at present. Then the aforementioned H-curve would form a representation of what
takes place in the universe. The summits of the curve would represent the worlds where
visible motion and life exist [68].

Lo scenario che risulta da queste righe è quello di un universo che, nella sua globalità è
nello stato della morte termica, ma contiene disseminate "qui e là" delle regioni speciali
lontane dall'equilibrio: fluttuazioni che hanno alle spalle una "nascita termica" [69] e
procedono verso la morte termica. All'interno di queste regioni si stabilisce una
direzionalità del tempo, testimoniata dal comportamento dei fenomeni
irreversibili.Sebbene senza alcun nuovo accenno a Schütz, questa stessa idea sarà
ripresa da Boltzmann negli anni successivi. In particolare nel corso della celebre
controversia con Ernst Zermelo [70].

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Quest'ultimo non trovò alcuna "soluzione soddisfacente" nel dibattito avvenuto su


Nature e professò una concezione pratica delle teorie fisiche in cui la conduzione
termica costituiva un processo irriducibile alla "teoria meccanica". La sua "opinione
personale" consisteva nel "credere che un singolo principio in grado di riassumere una
grande quantità di fatti sperimentali stabiliti fosse "più affidabile di un teorema
matematico" [71].
Nel 1896 egli attaccò dall'interno la teoria cinetica, sfruttando la prova fornita da
Poincaré - in un celebrato saggio sul problema dei tre corpi in meccanica celeste -
secondo la quale lo stato di un sistema meccanico isolato deve necessariamente essere
ciclico [72].
Se un teorema della meccanica decretava l'impossibilità dei fenomeni irreversibili,
allora la seconda Hauptsatz (cioè: proposizione fondamentale) della termodinamica,
implicava la rinuncia ad ogni spiegazione meccanica dell'irreversibilità; compresa
quella di Boltzmann che confondeva impropriamente i concetti di tempo e di
probabilità.
Alla controversia fra Boltzmann e Zermelo sono stati dedicati molti importanti studi.
Qui mi limiterò a prendere in considerazione le argomentazioni cosmologiche fornite
dal fisico austriaco nella sua seconda replica (scritta nel dicembre 1896) e ripresi,
quindi, nel paragrafo 90 della seconda parte delle Vorlesungen über Gastheorie
(pubblicata nel 1898).
Boltzmann suggerì un'alternativa fra due particolari scenari: o "l'intero universo si trova
attualmente in uno stato molto improbabile", oppure noi viviamo da eoni in una regione
speciale e improbabile ma pur sempre minuscola a confronto "con l'età e le dimensioni
dell'universo" [73].
La prima alternativa rimanda a condizioni iniziali molto particolari per l'intero universo,
mentre la seconda è quella già suggerita nel 1895. Boltzmann la giudica ora
particolarmente idonea "per coloro che desiderano cedere ai loro impulsi" nel presentare
conclusioni in accordo con la prospettiva atomistica. Mentre l'intero universo è
"ovunque in equilibrio termico e pertanto morto", devono esservi "regioni relativamente
piccole" che, "nel corso di un periodo di tempo relativamente breve di eoni, fluttuano in
maniera evidente dallo stato d'equilibrio" [74]. Le dimensioni di questi "mondi singoli"

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(Einzelwelten) sono paragonate da Boltzmann a quelle della distesa di stelle che ci


circonda [75].
Non è possibile parlare di una direzione globale del tempo per l'intero universo, poiché:

proprio come in un certo luogo della superficie terrestre chiamiamo giù la direzione verso il
centro della Terra, così un essere vivente che si trova in un certo intervallo temporale
[Zeitphase] di tale mondo singolo, giudicherà diversamente la direzione del tempo verso
una condizione più improbabile da quella opposta (l'una come il passato, l'inizio, l'altra
come il futuro, la fine). Per via di questa denominazione tali piccole regioni isolate
dell'universo si troveranno "inizialmente" sempre in uno stato improbabile. Questo metodo
mi sembra l'unico secondo cui si può considerare la seconda legge [Hauptsatz], la morte
termica di ciascun mondo singolo, senza un cambiamento unidirezionale dell'intero
universo da un inizio stabilito verso uno stato finale conclusivo [76].

Boltzmann ritiene che possano esservi dei "mondi singoli" - "da noi separati da eoni di
tempo e da distanze spaziali di 1000000000010 volte la distanza di Sirio" in cui la
direzione del tempo è opposta relativamente a quella del nostro mondo [77].
Di fronte a questo tipo di considerazioni, però, si preoccupa di poter suscitare il sorriso
di qualche lettore e cerca di prevenire alcune difficoltà. A cominciare dall'obiezione, ad
ogni modo non ritenuta valida, secondo la quale "non è economico e perciò inadeguato"
supporre morta una parte così grande dell'universo per spiegare la vita di una piccola
regione [78].
Boltzmann puntualizzò che "indulgere in tali speculazioni" rappresentava una
"questione di gusti" e, nelle Vorlesungen über Gastheorie, aggiunse:

Nessuno certamente sosterrebbe speculazioni del genere come scoperte importanti o


persino - come fecero gli antichi filosofi - come lo scopo più elevato della scienza. È però
incerto, se sia giustificato deriderle come del tutto oziose. Chissà se non amplieranno
l'orizzonte della nostra cerchia d'idee e se non promuoveranno, sviluppando la vivacità del
pensiero, anche la conoscenza dei fatti d'esperienza? [79]

Il fisico austriaco non mise mai in dubbio l'importanza della seconda legge ma mostrò
che non vi era disaccordo fra le osservazioni e la "teoria meccanica". Pertanto non vi
erano motivi per rinunciare, come desiderava Zermelo, a tale teoria. Era anzi proprio
sulla base del meccanicismo e dell'atomismo che Boltzmann vedeva profilarsi la
possibilità sia di "nuove osservazioni", che di risposte plausibili ad alcune "questioni
inosservabili" (come: "il comportamento dell'universo o di di un sistema completamente
isolato durante un periodo di tempo infinito") apparentemente in contrasto con le
conseguenze del principio di Carnot-Clausius. In conclusione Boltzmann sottolineava i
meriti del proprio modello cosmologico:

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ma si deve ammettere, che l'immagine del mondo [Weltbild] qui sviluppata è una possibilità
libera da contraddizioni interne e davvero utile, poiché ci rivela alcuni nuovi punti di vista e
spesso ci induce non solo alla speculazione, ma anche a esperimenti (ad es.: sui limiti di
divisibilità, sulle dimensioni della sfera d'azione e perciò sulle deviazioni dalle equazioni
dell'idrodinamica, della diffusione, della conduzione del calore ecc...) cui nessun'altra teoria
riesce a dare stimolo [80].

L'argomento di Boltzmann è stato al centro di numerose critiche e ha incontrato i favori


di alcuni decisi sostenitori [81]. Naturalmente le riletture recenti di Boltzmann
comportano connessioni con la cosmologia relativistica che risultano ovviamente
anacronistiche.
Uno dei punti delicati dell'argomentazione concerne l'estensione dei "mondi singoli" e,
in particolare, della peculiare fluttuazione in cui si è evoluto l'uomo.
Molti critici hanno fatto notare che Boltzmann considera "mondi" troppo grandi sia in
quanto a estensione che in quanto a durata. L'idea di fluttuazioni così colossali da
consentire l'evoluzione della vita organica è stata giudicata "del tutto insostenibile",
"sbagliata" e "ridicola" [82].
A titolo di esempio riporto qui le conclusioni di un lavoro di Landau e Bronstein del
1933:

[Boltzmann] provò a spiegare il fatto che siamo in grado di osservare una fluttuazione così
fantastica, dicendo che proprio la presenza di tale fluttuazione è una condizione necessaria
per l'esistenza dell'osservatore (le condizioni favorevoli per l'evoluzione biologica degli
organismi e così via). L'argomento comunque è del tutto falso. Poiché in un tal mondo di
fluttuazioni, l'esistenza di un particolare osservatore senza i cieli che contengono miriadi di
stelle corrisponde a un'entropia molto maggiore, e nondimeno a una probabilità molto più
elevata. Da ciò concludiamo che il mondo che obbedisce alla statistica non mostrerà
fluttuazioni importanti [83].

Costituisce un'interessante curiosità storica notare come, l'anno successivo alla


pubblicazione della nota appena citata, Sir Arthur Eddington esponesse, nelle sue
Messengers Lectures, proprio a proposito del problema delle fluttuazioni,
un'inconsapevole enunciazione del principio antropico:

The crude argument is that at a particular epoch (1934) the chance of a fortuitous deviation
of entropy from its maximum value sufficient to admit the phenomenon is too small to be
considered seriously, and that the fluctuation must therefore ascribed to anti-chance. But
the year 1934 is not a random date between t = -∞ and t = +∞. We must not argue that
because fluctuations of the present magnitude occupy only 1/xth of the time between t = -∞
and t = +∞, therefore the chances are x to 1 against such a fluctuation existing in the year
1934. For our present purpose the important characteristic of the year 1934 is that it is
selected as belonging to a period during which there exist in the universe beings capable of
speculating about the universe and its fluctuations. It is clear that such creatures could not
exist near thermodynamical equilibrium. Therefore it is perfectly fair for the supporters of

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this suggestion to wipe out of the calculation all those multillions of years during which the
fluctuations are less than the minimum required to permit of the evolution and the existence
of mathematical physicists [83a].

Le affermazioni di Eddington appena citate rivestono però un ruolo semplicemente


incidentale rispetto alla sua analisi complessiva del problema della "morte termica".
In anni recenti anche Stephen Hawking ha proposto una spiegazione antropica della
direzionalità del tempo impostando in maniera profondamente diversa da quella di
Boltzmann il problema delle condizioni iniziali [84]. Hawking, dopo lunghe
vicissitudini, ha concluso che l'entropia di un universo chiuso continua ad aumentare
durante tutta la sua storia evolutiva e che vi è un'unica freccia termodinamica (che
determina quella psicologica) del tempo. La risposta all'interrogativo: "perché
osserviamo che le frecce termodinamica e cosmologica puntano nella stessa direzione?"
non va però cercata né nelle leggi della fisica, né nelle condizioni al contorno
dell'universo, ma bensì nel WAP.
La vita può infatti essere presente solo durante la fase dell'espansione e dobbiamo
quindi necessariamente osservare che la direzione del tempo coincide con la direzione
dell'espansione.
Il WAP è un principio duttile. Può essere invocato a sostegno di opzioni teoriche o di
programmi di ricerca eterogenei. Boltzmann sfrutta un argomento di tipo WAP per
"spiegare" l'apparente undirezionalità locale del tempo nel contesto di una teoria che
esclude una direzione globale; Hawking "spiega" la particolare situazione osservata
considerandola come una proprietà dell'intero universo osservabile in questa fase della
sua evoluzione.
Compito del WAP, in linea di massima, è quello di connettere i fatti osservativi che
risultano "strani", o difficili da spiegare all'interno di un certo contesto teorico, tramite
una constatazione del tipo "altrimenti noi non saremmo qui a porci la domanda" o a
contemplare la stranezza della faccenda [85].

6 Precursori. II: Idlis 1958

L'argomento di Boltzmann fu ripreso in uno scritto scarsamente conosciuto ma che è


stato indicato da Jakov Borisevich Zel'dovich come la prima applicazione del "principio
antropico" nel contesto della cosmologia relativistica [86]. Parlo di un lavoro intitolato

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"tratti essenziali dell'universo astrofisico osservato come proprietà caratteristiche del


sistema cosmico abitato" pubblicato in russo, nel 1958, dell'accademico delle scienze
dell'allora repubblica socialista sovietica del Kazakistan Grigory Moiseevich Idlis.
Lo scritto in questione risente del contesto storico e sociale nel quale si muovevano gli
scienziati sovietici a cinque anni dalla morte di Stalin. Come in quelli di molti colleghi,
nei lavori di Idlis si avverte una reciproca influenza fra le idee del materialismo
dialettico e le ipotesi scientifiche in esame: le prime talvolta giustificano le seconde
mentre, in altre occasioni, paiono essere proprio certe tesi scientifiche a essere invocate
a sostegno della dottrina marxista-leninista.
Indubbiamente, nella seconda metà degli anni cinquanta, l'intera produzione scientifica
sovietica è pervasa dalla concezione dialettica. Proprio in quel medesimo periodo, del
resto, molte discipline scientifiche (e in particolare la cosmologia che era stata
condannata come idealismo e papismo nell'era staliniana) stavano via via acquistando in
URSS una notevole autonomia dall'ideologia dominante, apportando - in accordo con le
idee di Lenin - motivi di riflessione e di evoluzione nel dibattito interno al materialismo
dialettico.
Come risulta dalle analisi di Loren R. Graham, è fuorviante considerare il pensiero e le
elaborazioni originali di molti importanti scienziati sovietici (ad esempio: Oparin, Fock
o Ambartsumian; i quali sono, fra l'altro, tutti e tre citati da Idlis) frutto esclusivo di
pressioni ideologiche o politiche [87]. È ingiusto negare (a prescindere da certi orpelli di
maniera) un interesse intrinseco sincero di questi scienziati verso le idee filosofiche a
cui fanno riferimento e delle quali, anche col passare degli anni, continueranno a
ribadire la verità e la fruttuosità [87a].
Questa constatazione vale anche per Idlis, il quale - ancora negli anni settanta -
continuerà a pubblicare lavori sulla relazione fra lo studio dell'universo e la "ricchissima
eredità filosofica" lasciata dalla dialettica leninista [88].
Resta però innegabile che, nel periodo in esame, gli astronomi sovietici adottino ancora,
nello studio della struttura di larga scala dell'universo, una serie di credenze diffuse che,
"come un leitmotiv" costituiscono i "punti di partenza" di ogni indagine [89].
Fra queste, l'idea dell'infinità dell'universo costituisce un "assioma fondamentale" dalle
molteplici implicazioni [90].

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L'estensione infinita e l'eternità dell'universo riflettono infatti una concezione della


natura in cui la materia (o meglio: la materia/energia) è infinitamente suddivisibile,
indistruttibile, increata e eterna. [91]
La concezione di un universo infinito riguarda anche la complessità crescente denotata
dallo sviluppo della materia/energia e l'inesauribilità di questo processo.
Gli astrofisici sovietici affermano che le ipotesi semplificative che sottostanno ai
modelli cosmologici "occidentali" sono lontane dalla realtà, che bisogna prendere atto di
quella che lo stesso Idlis chiama "infinità strutturale" dell'universo e che la materia su
larga scala non è omogeneamente distribuita [91a].
Nella seconda metà degli anni cinquanta vi è grande diffidenza sia verso la linearità
della relazione velocità distanza che verso il principio cosmologico, ma l'interpretazione
usuale dei redshift e l'idea dell'espansione sono comunemente accettate nella letteratura
sovietica [92].
Nello scritto di Idlis, la "metagalassia" (termine con il quale gli astronomi sovietici
indicano il sistema delle galassie in espansione nella parte osservabile dell'universo
[92a]) rappresenta al tempo stesso una regione particolare dell'universo infinito e un
esemplare "a pieno titolo" caratteristico del suo genere: un "tipico sistema di galassie
abitate" esteso almeno cinque miliardi di anni luce, approssimabile in prima istanza a un
modello cosmologico isotropo e uniforme, con un'età, una densità media, una
temperatura media, e un tasso d'espansione caratteristici. Seguendo l'interpretazione di
Fock [93] della "teoria gravitazionale" di Einstein, Idlis dice che:

lo spazio fisico che fa da sfondo per questo o quell'agglomerato di galassie (o altri sistemi
cosmici") non deve avere curvatura positiva [94].

Poiché questo è l'unico modo per evitare strane idee sulle proprietà dello spazio e del
tempo. Sulla base dell'analisi dei dati osservativi, aggiunge quindi che vi sono ragioni di
"supporre che lo spazio metagalattico sia effettivamente uno spazio a curvatura
negativa" o, in altre parole, uno "spazio di Friedman - Lobachevskii".
L'ambito della metagalassia è discusso da Idlis nel V paragrafo del suo lavoro del 1958.
Il fulcro della monografia consiste nelle connessioni esistenti fra i "tratti caratteristici"
dell'universo osservato e le proprietà necessarie all'evoluzione della vita. Per
caratterizzare quest'ultima, Idlis adotta l'interpretazione di Oparin della definizione data

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da Engels nella "Dialettica della Natura" [95]. In accordo con la legge dialettica della
trasformazione della quantità in qualità, la vita è pertanto vista come una qualità che
emerge, con le proprie caratteristiche specifiche, a un certo stadio del processo di
movimento della materia. In altre parole: è una forma molto speciale di moto della
materia.
Idlis ribadisce così la tesi secondo la quale la vita è un fenomeno raro (perché necessita
di condizioni ambientali molto speciali) ma altresì comune nell'universo.
A tale proposito è importante notare la vicinanza dello scienziato kazako con
l'astronomo Vasilii Grigor'evich Fesenkov, del quale fu stretto collaboratore [96].
Nel 1956 era stato pubblicato in URSS il celebre volume di Oparin e Fesenkov sulla
"vita nell'universo" dove venivano analizzate le proprietà ambientali e astronomiche
necessarie all'origine e allo sviluppo della vita. Gli autori, interessati a "fornire un'idea
veritiera della possibilità che su un particolare corpo la vita si sia originata e
successivamente sviluppata", avevano concluso che, nonostante la straordinarietà delle
condizioni richieste una stella su un milione aveva "la probabilità di possedere un
pianeta su cui, ad un particolare gradino del suo sviluppo, può formarsi la vita" [97].
Secondo tale stima potevano esserci migliaia di pianeti "idonei alla vita (e parzialmente
popolati)" nella nostra così come in ogni altra galassia tipica [98].
I primi tre paragrafi del lavoro di Idlis ripercorrono in larga misura l'esposizione di
Oparin e Fesenkov ed esaminano quali caratteristiche devono soddisfare gli ambienti
planetari e quelli stellari per garantire proprietà essenziali come la stabilità delle
proteine, la capacità di reazione biochimica o l'esistenza dei coacervati proteici (che è
essenziale nella teoria di Oparin).
Nel quarto paragrafo Idlis considera le caratteristiche necessarie per l'abitabilità di una
galassia e, nel quinto, come già accennato, analizza da vicino le proprietà necessarie allo
sviluppo della vita al livello della metagalassia in espansione. John Leslie, uno dei
pochissimi "occidentali" a riferire del lavoro di Idlis, sottolinea la sintonia fine, notata
dall'astronomo sovietico, fra le condizioni necessarie alla vita e la distribuzione di
densità delle stelle all'interno di una galassia [99].
Idlis sa di muoversi in una direzione opposta a quella usualmente seguita nello studio
dell'universo e sottolinea l'importanza del suo approccio. Nell'introduzione del suo
lavoro si chiede se sia possibile trovare una "soluzione coerente" alla questione della

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particolare struttura della metagalassia e al problema "perché il mondo circostante è così


com'è", a partire dal "fatto stesso della nostra esistenza" [100].
La metagalassia, in quest'ottica, è una tipica regione abitata, caratterizzata da proprietà
che non valgono per l'"infinità multiformità" dell'intero universo.
L'intera parte osservata dell'universo costituisce un sistema isolato dove "la genesi e
l'effettivo sviluppo della vita" non sono il risultato di "condizioni iniziali anomale" ma
l'esito regolare dell'"evoluzione della materia cosmica". Poichè però in "altre regioni
dell'universo" (dove prevalgono "condizioni fisiche radicalmente diverse in rapporto a
densità, temperatura, composizione chimica ed età dell'ambiente") non può
semplicemente esservi vita, le nostre osservazioni non riguardano "una regione
arbitraria dell'universo" ma una regione peculiare che possiede le proprietà
caratteristiche di una metagalassia abitata [101]. Estrapolare tali proprietà all'intero
universo è semplicemente sbagliato.
L'idea di collegare l'estensione e le proprietà dell'intero universo osservabile alla
possibilità della vita non giungeva isolata. Proprio in quegli anni infatti George J.
Whitrow aveva fatto cenno dapprima alla connessione fra l'esistenza di osservatori e la
tridimensionalità dello spazio [102] e poi (senza ritenere opportuno pubblicare qualcosa
su questa seconda idea) al collegamento fra le "enormi dimensioni e la complessità"
dell'universo osservabile e la possibilità della vita sulla Terra [103]. Idlis non cita queste
idee ed è sicuramente molto lontano dall'impostazione razionalista di Whitrow [103a].
La sua prospettiva "rigenera" piuttosto "l'ipotesi delle fluttuazioni" di Boltzmann;
ipotesi ben nota nel panorama intellettuale sovietico, dove l'idea di un'usura e di un
decadimento globale dell'attività inesauribile della materia/energia (e, quindi, di una
morte termica dell'intero universo) era stata energicamente respinta.
Idlis riabilitava l'argomento di Boltzmann giudicando non convincenti le critiche
specifiche mosse da Landau o quelle analoghe dovute a Zel'manov [103b]. Le
considerazioni e i risultati quantitativi indicavano che la conclusione secondo cui è
superfluo considerare l'enorme scala della metagalassia non era convincente.
Infatti: l'esistenza di un osservatore (Idlis dice "essere pensante", oppure: "esseri viventi
che osservano il quadro del mondo che si distende davanti a noi") è "improponibile" in
assenza di una stringente serie di condizioni che riguardano vari livelli di complessità
crescente.

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Una fluttuazione che porti "alla comparsa di un sistema solare abitabile, deve, di regola,
generare una quantità molto maggiore di sistemi planetari non abitabili", di stelle e di
interi sistemi stellari [104]. Idlis conclude pertanto la sua monografia annotando che:

la realizzazione di gigantesche (ma al tempo stesso inizialmente prive di struttura)


fluttuazioni di scala metagalattica è più verosimile della comparsa di fluttuazioni inferiori
per massa ma molto più complesse per struttura interna

e ribadisce:

non è da escludere che l'attuazione delle gigantesche fluttuazioni da noi studiate (con
un'estensione non inferiore a tutta la parte nota dell'universo) sia necessaria per la comparsa
degli esseri viventi che osservano il quadro del mondo che ci si distende innanzi [105].

L'applicazione di un argomento di tipo WAP da parte di Idlis rimanda a una prospettiva


che avrà, sia pur con altre motivazioni, grande rilevanza nel dibattito successivo.
L'astronomo russo infatti riconosce l'esigenza di non estendere impropriamente il
principio cosmologico. Quest'ultimo, per Idlis, costituisce un'idealizzazione appropriata
solo per la nostra regione di universo o per regioni analoghe e, comunque, valida solo in
prima approssimazione. Nel contempo però Idlis è lontano da ogni teoria cosmologica
che contempli il concetto di un inizio dell'intero universo. In accordo con i dogmi degli
scienziati materialisti egli ritiene che ogni modello cosmologico non rappresenti altro
che una teoria locale della metagalassia, estrapolabile solo al prezzo di ingiustificate
idealizzazioni [105a].

7 Il WAP Di Dicke

Idlis e Boltzmann ricorrono a un argomento di "auto-selezione" delle osservazioni.


Entrambi ipotizzano un insieme molto grande o infinito e dei sottoinsiemi molto
particolari in cui le condizioni, per quanto improbabili rispetto all'ambito di tutte le
possibili configurazioni, rappresentano condizioni necessarie per la presenza della
complessità chimica.
Il fatto che ci troviamo all'interno di una di queste regioni non deve stupirci perché le
nostre osservazioni sono necessariamente limitate a questo tipo di regioni.
Nel WAP dei teorici antropici compare un elemento ulteriore che manca in Boltzmann e
in Idlis: il riferimento a una relazione fra scale temporali.

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Per questo generalmente si considera come prima applicazione effettiva del WAP quella
di Robert Henry Dicke; applicazione in cui la relazione fra una scala temporale
astrofisica e una cosmologica è il fulcro stesso dell'argomento.
Spinto dal suo interesse per la teoria della gravitazione e il principio di Mach, Dicke si
occupa - sul finire degli anni cinquanta - dell'Ipotesi dei Grandi Numeri (d'ora innanzi:
LNH, dalle iniziali di Large Numbers Hypothesis) di Dirac e della sua teoria della
gravitazione con G variabile col tempo.
L'ipotesi di Dirac risale alla seconda metà degli anni trenta, quando il fisico di
Cambridge s'interessò della relazione fra microfisica e cosmologia soffermandosi sul
problema dei grandi numeri adimensionali [106]. Egli prese in considerazione, in
particolare, due numeri puri della teoria fisica che erano stati al centro delle
speculazioni di Eddington: il cosiddetto "numero di Eddington", (in breve: il numero dei
protoni N contenuto entro il raggio di Hubble dell'universo, spesso inteso come la massa
M dell'universo osservabile [107]) che ha ordine di grandezza 1078, e il rapporto fra
forza elettrostatica e forza gravitazionale che intercorre fra due particelle elementari (ad
esempio un protone e un elettrone nell'atomo di idrogeno [107a])

e2/(Gmpme) ≈ 1039

rapporto che Eddington aveva chiamato "costante di forza" e che è analogo a quello che
oggi chiamiamo l'inverso della "costante di struttura fina gravitazionale": αG-1 ≡hc/Gmp2.
Dirac notò un'interessante coincidenza fra l'ordine di grandezza di questi numeri e il
numero puro che si ottiene esprimendo in unità atomiche (ad esempio: (e2/mec3) ≈ 10-23
secondi; oppure: h/mpc2 ≈ 0.46 [e2/(mec3)] ) l'età attuale dell'universo (il cui ordine di
grandezza è dato dall'inverso della costante di Hubble: H0-1)[108]. Anche [(mpc2H0-1)/h] è
infatti un numero puro di ordine di grandezza 1039.
Poiché quest'ultima quantità deve ovviamente variare con il tempo, Dirac assunse che
anche gli altri grandi numeri dovevano comportarsi allo stesso modo. Le coincidenze fra
gli ordini di grandezza di questi numeri puri rivelavano infatti, a suo avviso,
"connessioni profonde in natura fra la teoria cosmologica e quella atomica" e dovevano
mantenersi in ogni epoca [109].
Dirac ritenne di aver così stabilito una "nuova base per la cosmologia" che presentò, nel
1938, sotto la forma di un "principio fondamentale": tutti i grandi numeri adimensionali

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composti con le costanti fondamentali della fisica e della cosmologia sono funzioni
semplici dell'età dell'universo espressa in unità atomiche.
Secondo il principio di Dirac (che, in seguito, divenne appunto noto come LNH) tutti i
numeri adimensionali di ordine (1039)n devono variare proporzionalmente a (H0-1)n.
La conseguenza più intrigante della LNH consiste nella variabilità temporale di una o
più "costanti" fondamentali. Il fisico di Cambridge sostenne una variazione secolare del
valore della "costante" di gravitazione G, discostandosi così dalla teoria gravitazionale
einsteniana. Nel contesto teorico di Dirac il valore di G era stato maggiore in passato e
avrebbe continuato a decrescere continuamente con l'età dell'universo.
La LNH ebbe una certa risonanza nel contesto della fisica fondamentale e sollevò
notevole attenzione per le sue conseguenze geologiche, astronomiche e cosmologiche.
Negli anni quaranta, Pascual Jordan cercò di generalizzare la teoria gravitazionale
einsteniana in uno schema di relatività proiettiva pentadimensionale in grado di
contemplare la variabilità di G [110]. Nei primi anni cinquanta, le tesi di Dirac e dello
stesso Jordan furono ampiamente discusse nel manuale di Bondi, Cosmology, che
rappresentò un punto di riferimento per le generazioni successive e costituì un primo
punto di contatto con il problema dei grandi numeri anche per Brandon Carter [111].
Nella seconda metà degli anni cinquanta Dicke si impegnò in una profonda analisi delle
fondamenta della relatività generale e di ogni teoria gravitazionale che intendesse porsi
come alternativa a quella einsteniana. Il confronto con l'ipotesi di Dirac divenne
inevitabile [112].
I dubbi principali sulla teoria di Dirac sorgevano dall'assenza di corroborazioni
sperimentali e dal disaccordo con i risultati più recenti della teoria dell'evoluzione
stellare. Il fisico di Princeton dissentiva però anche nella valutazione dei criteri di
"eleganza, semplicità e perfezione" formale che, al contrario di Dirac, non accettava
come validi e affidabili sostituti di argomenti di natura fisica [113].
Dicke rivelò un duplice atteggiamento a proposito del problema dei grandi numeri. Da
una parte, una risposta a domande quali:

Why is the gravitational coupling constant so small? Why does the square root of the
number given by equation [M/mpc3 ≈ 1078] agree with the reciprocal of [αG]?

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dovevano trovare, a suo avviso, una risposta nel programma machiano, come appendice
della determinazione della geometria dello spazio/tempo da parte della distribuzione
delle masse [114].
Dicke considerò assai seriamente l'idea di una variabilità delle "costanti" e ritenne che
"un'interazione gravitazionale variabile" non potesse essere "facilmente esclusa" [115].
Una variabilità spazio/temporale di G discendeva però da basi concettuali diverse da
quelle di Dirac e doveva eventualmente dipendere dall'equazione già notata da Sciama
[116]:

Gρ0H0-2 ≈ 1

ove la "piccolezza della costante d'accoppiamento gravitazionale" veniva connessa con


"l'enorme quantità di materia dell'universo" [117].
L'altro approccio proposto da Dicke al problema dei grandi numeri è l'argomento di
autoselezione avanzato contro il "supporto statistico" che giustifica la teoria di Dirac.
Dicke accenna all'argomento in questione già nel 1957:
The age of the universe, "now", is not random but is conditioned by biological factors. The radiation rate
of a star varies as ε-7/9 and for very much larger values of e than the present value, all stars would be cold.
This would preclude the existence of man to consider this problem. On the other hand, if ε/ε0 were
presently very much larger, the very rapid production of radiation at earlier times would have converted
all hydrogen into heavier elements, again precluding the existence of man. This suggests that ε/ε0 is
presently a relatively small number, perhaps under ten. The universe can be characterized as young [118]

Dicke tornò ancora su questi temi nella sua Joseph Henry Lecture tenuta di fronte alla
Philosophical Society of Washington il 18 aprile del 1958 [118a]. In tale occasione egli
si soffermò a lungo sulla cosmologia di Dirac, riconoscendo la rilevanza della LNH ma,
notando al tempo stesso, che:

To infer the time dependence of the gravitational interaction requires more than a simple
observation that the reciprocal of the gravitational constant and the age of the universe,
when expressed dimensionlessly, are now nearly equal. It is also necessary to assume that
now is a random time. But is it?

The present epoch is conditioned by the fact that the biological conditions for the existence
of man must be satisfied. This requires the existence of a planetary system and a hot star. If
we assume an evolutionary cosmology starting with the formation of hydrogen 12 billion
years ago, there is an upper limit for the epoch of man which is imposed by the following
two conditions: First, hydrogen is being continually converted to helium and heavier

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elements. Perhaps 20% has already been "burned." Second, there is an upper limit on the
radiating life of a star.

If the star is massive (10 times the sun's mass) it lives riotously, burning its hydrogen like a
wastrel. For a light star (1/10 the sun's mass), hydrogen is burned slowly and the star is
capable of living much longer than the sun, 100 times as long. However, if the star is much
smaller than this, its central temperature never rises high enough to cause nuclear reactions
to take place. Such a light star radiates until its gravitational energy is gone and then it
cools off. It is seen therefore that the longest life of a star is very roughly 1014 years and this
puts an upper limit to the epoch of man.

There is also a lower limit on the epoch of man. With the assumption that initially only
hydrogen exists, it is necessary to produce other elements in the stellar caldrons and
distribute them about the universe before a planetary system of our type can be formed. It is
a bit difficult to estimate this time, but it would seem that 1 billion years would be a
reasonable lower bound on the epoch of man.

It is thus seen that the epoch of man is not random but is very roughly delineated [118b].

Ho riportato estesamente questa lunga citazione perché questo scritto di Dicke,


stranamente, è quasi sempre ignorato nella letteratura successiva. Il più delle volte,
infatti, è affermato che queste idee di fondo (o quantomeno una loro esposizione più
"quantitativa e convincente" [119]) siano per la prima volta esposte nella lettera Dirac's
Cosmology and Mach's Principle pubblicata da Nature sul numero del 4 novembre
1961.
Alcuni passi di tale lettera sono diventati dei luoghi comuni nell'attuale dibattito sul
principio antropico e, pertanto, preferisco, anche in questo caso, riportare estesamente
un lungo estratto senza alterare le parole dell'autore:

If the present value of [H0-1] were to be considered conceptually as a random choice from a
wide range of possible values of [H0-1], the present 'choice' would have had a small a priori
probability, and an accidental correspondence of the type exhibited by the three numbers
would have been unlikely. In view of the inexactness of the interrelation between the three
numbers, a very wide range of possible values of [H0-1] and a small a priori probability
must be assumed if Dirac's hypothesis is to receive support from this kind of argument.

It will be shown that, with the assumption of an evolutionary universe, [H0-1] is not
permitted to take one of an enormous range of values, but is somewhat limited by the
biological requirements to be met during the epoch of man.

The first of these requirements is that the universe, hence galaxy, shall have aged
sufficiently for there to exist elements other than hydrogen. It is well known that carbon is
required to make physicists [120].

L'argomento di autoselezione è evidente: perché il problema possa essere posto


occorrono dei fisici e, quindi, del carbonio; perché vi sia del carbonio disponibile in un
universo evolutivo occorre che sia trascorso un tempo sufficiente perché gli elementi

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più pesanti dell'idrogeno e dell'elio siano stati "cucinati" negli interni delle stelle e
diffusi negli spazi interstellari. Il "tempo minimo per l'inizio dell'epoca dell'uomo è
stabilito dall'età delle stelle di vita più breve", poiché è al loro interno che si sono
formati gli elementi pesanti. Il tempo massimo, a sua volta, dal fatto che il fisico
necessita di una "casa ospitale"; ovvero: di un pianeta costantemente illuminato da una
stella, condizione anch'essa determinata da vincoli astrofisici ben noti [121]. L'"epoca
dell'uomo", in un universo in evoluzione, dipende dall'esistenza delle stelle e, quindi, da
scale temporali determinate esclusivamente dalla teoria standard dell'evoluzione
stellare.
La consapevolezza di questo fatto rende meno sorprendente la coincidenza di Dirac di
quanto, prima facie, potesse apparire. Nel linguaggio dei "teorici antropici" essa risulta
anzi, grazie al WAP, prevedibile entro la teoria standard.
-1
Naturalmente questo tipo di ragionamento non dice niente sul particolare valore di G .

Dicke conclude semplicemente che "contrariamente alla nostra supposizione originaria,


[H0-1] non è una 'scelta casuale' fra un'ampia gamma di scelte possibili, ma è limitata dal
criterio dell'esistenza dei fisici" [122].
I "requisiti biologici" impongono dei vincoli all'epoca in cui vengono compiute le
osservazioni e questi vanno tenuti presenti prima di trarre conclusioni valide per tutto
l'universo in ogni epoca o di avvalorare ipotesi "esotiche" come quelle di Dirac.
Nella lettera a Nature del 1961, così come nei lavori precedenti, non compare alcun
riferimento all'idea di un ensemble di universi. Dicke utizza soltanto la teoria
dell'evoluzione stellare, la concezione di un universo in evoluzione e l'argomento
statistico che sarà poi detto WAP.
Retrospettivamente, riconoscerà di aver fatto ricorso a un "enunciato molto
conservatore" [123]:

First of all, I think that in the form in which I stated the anthropic principle, there isn't a lot
of controversy, because it's rather straightforward question [124].

Inoltre affermerà di non aver fatto niente di "veramente eccitante" a confronto dell'idea di
un "adattamento" (adjusting) fra "tutte le costanti fisiche" contemplata nel SAP di Carter
[125]. Solo in questa forma, che contempla l'idea di una "selezione biologica delle costanti
naturali" [126] e un riferimento a un insieme di universi, il principio potrebbe richiedere
una "rivoluzione nel nostro modo di fare fisica" [127].

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Tale atteggiamento emerge, ad esempio, nel celebre articolo scritto da Dicke nel '79
assieme a Peebles e dedicato a "enigmi e panacee" della cosmologia standard del big
bang. In tale occasione il principio antropico è associato indissolubilmente all'idea dei
molti mondi:

Imagine an ensemble of universes of all sorts. It should be no surprise that ours is not an
'average' one, for conditions on the average might well be hostile. We could only be present
in a universe that happens to supply our needs [128].

Molti commentatori e molti critici non sono d'accordo con la valutazione del WAP data
da Dicke. Alcuni hanno infatti giudicato "molto provocatoria" la sua posizione o l'hanno
addirittura annoverata fra "quanto di più importante sia stato scritto dal punto di vista
della metodologia fisica e cosmologica da Galileo a oggi" [129].
La prospettiva indicata da Dicke nel 1961 ha sollevato grandi interrogativi in molteplici
direzioni. Ad alcuni è parsa, almeno in parte, "metafisica" e comunque nient'altro che
una "curiosità filosofica"; ad altri è sembrata favorire "un discostamento da una
posizione realista ... difficile nella migliore delle ipotesi e privo di significato nella
peggiore". Altri ancora, infine, hanno trovato le argomentazioni del fisico di Princeton
adatte a "smussare" la rilevanza di una concezione che vede l'universo come "una
gigantesca macchina indifferente alla vita o all'uomo" [130].
Alberto Masani ha messo in grande rilievo come la nota di Dicke contribuisse a far
rientrare in ambito scientifico il "problema dell'uomo", connettendolo al "fenomeno
evolutivo" dell'universo:

Quell'uomo che la metodologia galileiana aveva relegato nella posizione dell'osservatore di


un universo che evolve e procede secondo leggi proprie, le quali con l'esistenza e la
peculiarità dell'uomo non hanno nulla a che fare, tornava adesso sulla scena cosmica come
condizionante l'evoluzione stessa dell'Universo tramite la propria facoltà conoscitiva di
'physicist' [131].

Naturalmente molti autori hanno messo in primo piano il carattere post hoc del WAP di
Dicke e l'inversione rispetto alla direzione usuale della spiegazione scientifica [132]. Su
questo terreno si è prodotta gran parte della confusione che caratterizza il dibattito
attuale sul principio antropico; confusione che, come ha notato Wesley Salmon, è in
parte riconducibile alla "similarità strutturale tra il modello nomologico - deduttivo ...
proposto da Hempel per la spiegazione scientifica ... e il tradizionale schema ipotetico -
deduttivo ... per la conferma scientifica [133]." Confusione, inoltre, senz'altro alimentata

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dalle enfatizzazioni dovute ad alcune autorità scientifiche. Ad esempio a John A.


Wheeler, secondo il quale:

Dicke (1961) has pointed out that the right order of ideas may not be, here is the universe,
so what must man be; but here is man, so what must the universe be? In other words: (1)
What good is a universe without awareness of that universe? But: (2) Awareness demands
life. (3) Life demands the presence of elements heavier than hydrogen (4) The production
of heavy elements demands thermonuclear combustion (5) Thermonuclear combustion
normally requires 109 years of cooking time in a star (6) Several 109 years of time will not
and cannot be avalaible in a closed universe, according to general relativity, unless the
radius-at-maximum expansion of that universe is several 109 years or more. So why on this
view is the universe as big as it is? Because only so can man be here [134].

Considerazioni come queste di Wheeler, ripetute anche dal neurofisiologo John Eccles,
contribuiscono a rendere più controverso il WAP di quanto Dicke e altri teorici
antropici abbiano intenzione di ammettere e fanno sorgere la sensazione che i confini
fra WAP e SAP siano piuttosto sfumati. L'atteggiamento stesso di Dicke (che da una
parte dice di non aver fatto niente di rivoluzionario, ma dall'altra cita il suo lavoro come
il diretto antecedente del principio forte di Carter) non fa che alimentare questa
sensazione [135].
Sebbene assente nel 1961, l'idea dei molti universi si trova infine associata anche
all'argomento originario di Dicke. Basti pensare a Martin J. Rees; il quale nel riferire il
lavoro di Dicke, sostiene - nel 1972 - che la coincidenza fra la costante di struttura fine
gravitazionale e l'età dell'universo" deve essere "automaticamente soddisfatta in ogni
universo "conoscibile" (cognizable)" [136].
La terminologia usata da Rees era d'altra parte ispirata dalle idee di Brandon Carter che,
da alcuni anni, circolavano a Cambridge così come a Princeton. Già nel 1970 Carter
aveva ad esempio notato che

the existence of any organism describable as an observer will only be conceivable for
certain restricted combinations of the fundamental constants, which distinguish within the
world-ensemble an exceptional cognizable subset, to which our own universe must
necessarily belong. (More detailed, but for practical purposes unfeasible, consideration of
the detailed local conditions would distinguish within the cognizable suset a cognate
subset in which observers actually occur) [136a].

Su queste basi, ancora nel 1972, Freeman J. Dyson fa riferimento, forse per la prima
volta in una pubblicazione ufficiale, a quello che di lì a poco sarà ufficialmente
denominato "principio antropico forte", chiamandolo proprio Carter's 'principle of
cognizability' [136b].

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8 La Linea Di Pensiero Di Dicke-Carter

Nella seconda metà degli anni sessanta, a seguito della scoperta del fondo di radiazione
cosmica, la teoria del big bang caldo si afferma in maniera definitiva come il modello
cosmologico standard. L'altissimo grado di isotropia manifestato dal fondo a microonde
conduce però ad alcune difficoltà. Attorno al 1969 compaiono così nella letteratura i
primi articoli che pongono in maniera esplicita i cosiddetti problemi della "piattezza"
(perché la densità media è così prossima al valore che separa un universo chiuso e
destinato a ricontrarsi in una singolarità finale da un universo aperto?) e dell'"orizzonte"
(perché regioni distanti del fondo a microonde, che non potevano essere in
comunicazione causale fra loro, possiedono la stessa temperatura e densità di radiazione
entro limiti di precisione impressionanti?) [137].
L'isotropia dell'universo, che fino ad allora aveva rappresentato un assunto di partenza
nella costruzione di un modello cosmologico, diveniva ora, alla luce dei nuovi dati
osservativi, un enigma non indifferente all'interno del modello standard.
Com'è noto, andarono sviluppandosi due indirizzi: da una parte coloro che
interpretavano la situazione osservata come risultato di condizioni iniziali molto
particolari e di un'eccezionale simmetria dell'universo iniziale; dall'altra coloro che
invocavano un qualche meccanismo fisico (ad esempio: la "viscosità neutrinica"
proposta da Misner) in grado di "spianare" le disuniformità [137a].
Parallelamente a questo dibattito andò sviluppandosi anche una "linea di pensiero" in
cui l'esigenza di fornire un sostegno al modello standard del big bang, tramite il ricorso
ad argomentazioni antropiche, conviveva con l'idea di misurare la particolarità del
nostro universo, o di un universo del nostro tipo, rispetto a una collezione di universi
possibili.
Celebre è a proposito il lavoro in cui Collins e Hawking, nel '73, si chiedevano "perché
l'universo è isotropo?"; lavoro diretto contro il programma della "cosmologia caotica" di
Misner e in cui è fatto esplicito riferimento alla "filosofia" di "un numero grandissimo
di universi", o addirittura di "un insieme infinito di universi", che presentano "tutte le
possibili combinazioni di dati iniziali e valori delle costanti fondamentali" [138].
Tale concezione è descritta da Collins e Hawking come l'"idea di Dicke-Carter",
sebbene, come si é visto, non compaia nei lavori di Dicke considerati nel paragrafo

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precedente. La "filosofia" di una collezione di mondi è però suggerita nell'estensione


della prospettiva di Dicke dovuta all'astrofisico del dipartimento di matematica
applicata e fisica teorica di Cambridge, Brandon Carter.
Quest'ultimo -"un francese barbuto, alto e affabile" - si era occupato, già nel 1967, di
compilare una meticolosa rassegna sulle "coincidenze numeriche in natura" [138a]. In
un lungo preprint mai pubblicato, Carter aveva analizzato il significato fisico di molte
delle combinazioni delle costanti fondamentali rilevanti ai fini della struttura e
dell'evoluzione delle stelle, con l'intento di presentare una "trattazione unificata" che
fosse, al tempo stesso, accessibile ai "fisici in generale" e capace di suscitare "alcune
nuove intuizioni [insights]" negli specialisti.
Già in quello scritto veniva auspicato di ricercare "la connessione fra quantità locali e
cosmologiche" nelle "scale temporali dell'evoluzione stellare", senza ricorrere - come
avevano fatto Eddington e Dirac - a "rivoluzionari allontanamenti" dalla fisica e dalla
cosmologia "convenzionali".
Particolare risalto veniva dato da Carter al ruolo che il peculiare ordine di grandezza
della costante di struttura fine α (≡ hc/e2 ≈ 137,0360) giocava nella suddivisione
qualitativa fra stelle nane rosse e giganti blu sulla sequenza principale.
L'idea che un'alterazione relativamente piccola del valore di a avrebbe reso impossibile
l'esistenza stessa di stelle simili al sole e la formazione di sistemi planetari, andrà ad
associarsi col tempo a quella di una collezione di universi [138b].
Una variazione di a poteva essere ad esempio contemplata nel quadro di un universo
ciclico, dove - in accordo con uno scenario indicato da John Wheeler e verso il quale lo
stesso Dicke non aveva nascosto la propria simpatia - ad ogni nuovo ciclo avveniva una
"rigenerazione" (reprocessing) dei valori stessi delle costanti fondamentali e delle
masse delle particelle [139].
Carter estese la portata delle proprie idee nel suo intervento al Clifford Centennial
Meeting tenutosi nella Jadwin Hall della Princeton University il 21 febbraio 1970. In
presenza, fra gli altri, di Wheeler - che aveva organizzato l'incontro - e di Freeman
Dyson, Carter propose una peculiare suddivisione in tre "categorie" delle coincidenze e
delle interrelazioni fra i grandi numeri puri che appaiono in "contesti cosmogonici"
[139a].

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Ad una prima categoria appartengono quei casi per cui è possibile stabilire una
"spiegazione fisica completa basata su certezze oggettive" anziché su "probabilità
statistiche" (ad esempio: la congettura secondo la quale il numero di nucleoni contenuto
in una qualsiasi stella ha ordine di grandezza 1060, che Jordan aveva sostenuto in base a
una teoria cosmologica esotica con "creazione cosmica di materia", era mostrata
"equivalente all'enunciato che le normali masse stellari non differiscono mai molto dalla
massa di Landau" [139b]); in una seconda categoria rientrano "quelle coincidenze la cui
spiegazione, sebbene semplice, richiede considerazioni soggettive e probabilistiche
connesse alla nostra posizione come osservatori nell'universo" (ad esempio la "classica"
coincidenza di Dirac fra αG-1 e [(mpc2H0-1)/h])[139c]; alla terza categoria appartengono
infine "quelle coincidenze alle quali non può essere fornita una spiegazione fisica diretta
dato che dipendono più o meno criticamente dai valori attuali delle costanti
cosmologiche o microfisiche" (ad esempio: la coincidenza di Sciama fra ρ0 e H02)[139d].
Le coincidenze di quest'ultima categoria, al contrario delle altre, possono essere
"spiegate" all'interno della fisica e della cosmologia convenzionale solo con l'ausilio di
una delle seguenti opzioni: un'estensione della teoria a un livello "più profondo" in cui
le costanti "cessano di essere fondamentali e divengono derivabili da qualcosa di più
fondamentale"; oppure, in maniera meno soddisfacente, attraverso "l'adozione di una
qualche specie di statistical world-ensemble philosophy" [139e].
Quest'ultima idea con tutte le relative riserve espresse dall'autore nei suoi confronti, così
come la suddivisione in tre categorie, i dettagli tecnici dei vari casi considerati e interi
spezzoni della nota del 1970, si ritroveranno pressochè immutati in quel celebre talk del
'73 che sarà preso in esame nel paragrafo successivo. In quell'occasione Carter chiamerà
di "genere tradizionale" (che non richiedono cioè il principio antropico) le coincidenze
di categoria I e assocerà quelle delle categorie II e III rispettivamente al WAP e al SAP.
Per il momento basti ricordare che, nel '70, Carter fa già riferimento alla formulazione a
stati relativi della meccanica quantistica e alla "filosofia di Everett" come all'unica
interpretazione sensata della teoria dei quanta in ambito cosmologico. Il fisico di
Cambridge non solo afferma che l'interpretazione di Copenaghen è, a tale proposito,
"manifestamente inadeguata", ma a sostegno del passaggio da un singolo universo a una
collezione di mondi, precisa:

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In any case, the use of a statistical ensemble as a fundamental entity in its own right (rather
than merely an approximation device for treating many particle systems) has already been
made for theoretical purposes of a quite different nature connected with the foundations of
quantum theory. Within a quantum statistical world-ensemble (where fundamental
constants are treated as observables on the same footing as all other constants of the
motion) the distinction between individual universes of the ensemble becomes rather
blurred, because even the pure states composing the statistical state operator can
simultaneously have components corresponding many different values of the fundamental
constants [139f].

Sebbene i tempi non fossero ancora maturi per la pubblicazione, le idee esposte da
Carter a Princeton cominciarono a penetrare nell'ambiente degli astrofisici e dei
relativisti. Non a caso, in conclusione della nota del '70, erano ringraziati, per le "molte
utili discussioni" con loro intrattenute, specialisti come Dicke, Misner, Peebles, Saslaw,
Sciama, Rees, Spiegel e Wheeler [139g].
In occasione della commemorazione del settantesimo compleanno di Dirac, Dyson
giudicò promettenti gli "argomenti speculativi" di Carter. In particolare, al contrario di
Dicke, il fisico di Cambridge non aveva semplicemente considerato il limite inferiore
della scala temporale associata alla permanenza sulla sequenza principale delle stelle
più massive, ma aveva ampliato l'argomentazione interessandosi alla scala caratteristica
di stelle che, come il Sole, appartengono al tipo spettrale G. La necessità dell'esistenza
di tali stelle per la presenza di osservatori imponeva vincoli ancora più stringenti ai
valori osservabili dei grandi numeri di Dirac [140].
Martin Rees, da parte sua, riassunse gli argomenti di Carter in un articolo del 1972 e li
ripropose nuovamente (pur citando Wheeler e non Carter) nel suo contributo al volume
Cosmology Now pubblicato dalla BBC nel '73 [140a].
Wheeler fu senz'altro il principale promotore sia dell'idea di una collezione di universi
(che compare non solo nella concezione di un universo che si rigenera ad ogni big
crunch, ma anche nell'idea di superspazio) sia di una connessione fra i valori delle
costanti fisiche e la possibilità della vita.
Già nel dicembre del '67 egli si chiedeva:

But why then do we happen to be living in that part of superspace where we find ourselves?

e rimandava al suggerimento, giudicato stimolante, "fatto da Dicke, in parte per scherzo,


in parte seriamente" [140b].

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Nei primi anni settanta Wheeler tornò più volte sulla "filosofia" di Dicke-Carter e sulle
argomentazioni ancora non pubblicate dell'astrofisico di Cambridge; argomentazioni
che, a suo dire, avevano condotto a un successo nella comprensione dell'annoso
problema dei grandi numeri [140c].
Nel settembre del 1972, al simposio on the development of the physicist's conception of
nature tenutosi a Trieste, Wheeler ebbe uno scambio di opinioni con Dirac a proposito
del problema dei grandi numeri e delle idee di Carter. Dirac però confermò di non
sentirsi a suo agio con argomenti del tipo Dicke-Carter che - a suo dire - non fornivano
un'autentica spiegazione della "ragione" per cui compariva un numero puro di ordine
1039:

J. A. Wheeler: How do you feel about the explanation of Brandon Carter that many cycles
of the universe are possible and the constants in this particular cycle are such as will permit
life?

P.A. M. Dirac: That doesn't get over the difficulty that you have to explain this very big
number [140d].

Le idee di Carter conobbero quindi un certa risonanza prima della loro pubblicazione e,
ad esse, fu strettamente associata la concezione di una collezione di universi. Si può
congetturare che, forse, quelle stesse idee facessero parte di una più generale
trasformazione dello status e delle mire della cosmologia; trasformazione che Charles
Misner, pur preferendo la ricerca di una teoria più profonda alle speculazioni sui molti
mondi, ricorda in questi termini:

My main qualitative point was to ask that physics not just find the cosmos consistent with
the laws of physics, but also try to show that no very different cosmos was allowed or was
plausible. I was trying to change the goals of scientific cosmology from describing the
universe to explain it [140e].

Nel volume curato da Alan Lightman e Roberta Brawer, Misner sottolinea anche che,
per la sua consapevolezza dei problemi cosmologici, ebbe grande importanza il
semestre passato con Sciama a Cambridge nel 1966.Cambridge da una parte e Princeton
dall'altra, furono le due università in cui il principio antropico venne maturando la
propria credibilità.
Sciama però non ritiene di aver avuto un ruolo particolare nell'evoluzione delle idee
antropiche a Cambridge, ma sottolinea piuttosto l'importanza del clima psicologico in
cui molti suoi studenti si sentivano incoraggiati a sostenere idee molto speculative

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anche se magari nate, come aveva detto Wheeler a proposito delle idee di Dicke, "in
parte per scherzo e in parte seriamente".
Carter, Rees, Hawking, Collins, G. F. R. Ellis provenivano tutti da Cambridge; mentre il
tedesco Reinhard A. Breuer (autore del primo volume interamente dedicato al principio
antropico) ebbe anch'egli l'opportunità di lavorare con Sciama nei primi anni settanta.
Questo, forse, costituisce motivo per riflettere non solo sulla modestia di una "persona
stimolante e incoraggiante" come Sciama, ma anche sull'influsso avuto dalla sua
predisposizione realistica e dal suo atteggiamento risolutamente contrario alla presenza
di accidentalità e arbitrarietà in natura [140ee].
Martin Rees mi ha fatto notare ad ogni modo come l'ambiente di Cambridge ruotasse da
tempo attorno a individualità di grande influenza, fra le quali Bondi, Hoyle e,
naturalmente, Dirac [140f]. Rees ha anche puntualizzato:

I might mention that [the horizon problem] was well-known in the late 1960's (and indeed
before, due to Rindler's very clear paper). Surmointing the horizon problem was the main
motivation of, for instance, Misner in exploring anisotropic 'mixmaxter" models. I mention
this because there is a tendency to believe that nobody worried about these issues before the
Dicke Peebles article in 1979 [140g].

Dicke stesso, peraltro, fu il primo a prendere atto esplicitamente del "problema della
piattezza" nelle sue Jayne Lectures del 1969:

how did the initial explosion become started wich such precision, the outward radial motion
became so finely adjusted as to enable the various parts of the Universe to fly apart while
continuosly slowing in the rate of expansion?

There seems to be no fundamental theoretical reasons for such a fine balance. If the fireball
had expanded only .1 per cent faster, the present rate of expansion would have been 3 X 103
times as great. Had the initial expansion rate been .1 per cent less and the Universe would
have expanded to only 3 X 106 of its present radius before collapsing. At this maximum
radius the density of ordinary matter would have been 10-12 gm/cm3, over 1016 times as
great as the present mass density. No stars could have formed in such a Universe, for it
would not have existed long enough to form stars [140h].

Sebbene il passo appena citato abbia molte risonanze con molti tipici "ragionamenti"
antropici, il fisico di Princeton ha però negato di aver avuto in mente, nella sua
esposizione del problema della piattezza, una qualche spiegazione antropica o una
qualche relazione con il problema dei grandi numeri [140i].
Il "paradosso di Dicke" [140j] consente ad ogni modo di far ritorno allo scritto di
Collins e Hawking del 1973. Questi ultimi autori affermarono che la "filosofia" di

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Dicke-Carter forniva la "risposta più attraente" all'"imbarazzante quesito" posto da


caratteristiche del nostro universo che, come la prossimità alla piattezza e dal livello di
isotropia, hanno misura nulla nel metaspazio di tutti i possibili dati iniziali che generano
universi omogenei ma anisotropi. Essi conclusero:

From the existence of the unstable anisotropic mode it follows that nearly all of the
universes become highly anisotropic. However these universes would not be expected to
contain galaxies, since condensations can grow only in universes in which the rate of
expansion is just sufficient to avoid recollapse. The existence of galaxies would seem to be
a necessary precondition for the development of any form of intelligent life. Thus there will
be life only in those universes which tend toward isotropy at large times. The fact that we
have observed the universe to be isotropic is therefore only a consequence of our own
existence [141].

o, in altre parole:

Since it would seem that the existence of galaxies is a necessary condition for the
development of intelligent life, the answer to the question "why is the universe isotropic?"
is "because we are here" [142].

9 WAP e SAP I: BRANDON CARTER

La terminologia antropica e le prime definizioni esplicite di WAP e SAP furono


ufficialmente introdotte in occasione del sessantatreesimo simposio dell'Unione
Astronomica Internazionale che si tenne a Cracovia dal 10 al 12 settembre del '73. Quel
congresso, dedicato al confronto fra teorie cosmologiche e dati osservativi, costituì
anche l'occasione per celebrare il cinquecentesimo anniversario della nascita di
Copernico.
Una delle sezioni del simposio, presieduta da Wheeler, fu dedicata alla "struttura delle
singolarità". La presenza di Hawking e Carter in tale sezione appare ovvia se si pensa ai
fondamentali risultati stabiliti da entrambi con le loro ricerche sulle singolarità in
cosmologia e le proprietà globali dello spazio/tempo nella seconda metà degli anni
sessanta e sulle proprietà dei buchi neri nei primissimi anni settanta.
Hawking ribadì in tale sede che "l'isotropia dell'Universo è una conseguenza della
nostra esistenza" e che, pertanto, la "sola 'spiegazione'" dell'isotropia osservata
dell'universo era quella basata sui suggerimenti di Dicke e Carter [142a].

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Wheeler fece quindi il punto della situazione e delle prospettive aperte dalle
"considerazioni di Hawking, Dicke e Carter". A suo avviso infatti queste rimandavano a
"un soggetto così interessante" quale

the question whether man is involved in the design of the Universe in a much more central
way that one can previously imagine [142b].

Può sembrare paradossale che Carter, nel rivolgersi a un audience riunitosi per offrire il
proprio "tributo al creatore della prima teoria scientifica", cominciasse il prorio
intervento - che, proprio per questo motivo è stato definito una "messinscena
memorabile" dallo storico della scienza Stanley Jaki [143] - affermando:

Prof. Wheeler has asked me to say something for the record about some ideas that I once
suggested (at the Clifford Memorial meeting in Princeton in 1970) and to which Hawking
and Collins have referred ... . This concerns a line of thought which I believe to be
potentially fertile, but which I did not write up at the time because I felt (as I still feel) that
it needs further development.

However, it is not inappropriate that this matter should have cropped up again on the
present occasion, since it consists basically of a reaction against exaggerated subservience
to the 'Copernican principle' [144].

Il "principio copernicano" a cui si fa qui riferimento ha comunque ben poco a che fare
con le idee dell'autore del De revolutionibus orbium caelestium. Riguarda piuttosto quel
criterio, accettato "da tutti gli uomini di scienza", che invita a non assumere, in maniera
antropocentrica, che la Terra si trovi "in una posizione centrale e favorita" [144a].
Carter aveva ripreso la denominazione dal manuale di Bondi, Cosmology, dal quale - fra
l'altro - sono estratte le parti fra virgolette delle righe precedenti.
Negli anni settanta il problema della relazione fra le osservazioni della struttura di larga
scala dell'universo e il ruolo empiricamente non controllabile degli assunti ideali che
erano alla base dell'usuale approccio alla cosmologia assunse via via un'importanza
sempre maggiore. Il congresso di Cracovia costituì a tale proposito una tappa
importante.
Si stava infatti gradualmente acquistando una sempre maggiore consapevolezza del
problema della verificabilità in cosmologia. Le osservazioni di regioni lontane sono
necessariamente effettuate da una sola postazione all'interno dell'universo e limitate
esclusivamente a quello che, in relatività generale, è detto il nostro "cono di luce
passato" e da altri tipi di orizzonti. L'esistenza di limiti intrinseci alle nostre

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osservazioni comportano che qualsiasi modello cosmologico (che specifica anzitutto la


geometria di uno spazio-tempo e le linee d'universo che descrivono il moto medio della
materia) risulti, in ultima analisi, "alla mercé degli assunti che facciamo" [144b].
George Ellis, forse più di ogni altro, ha insistito sul fatto che tali assunti sono "principi
filosofici" o "miscele ideologiche" (admixtures of ideology) e ha promosso un
programma di cosmologia osservativa che ha lo scopo di bilanciare, su basi strettamente
descrittive, l'usuale approccio teorico di costruzione di modelli [144c].
Se l'inosservabilità di regioni lontane determina la "non verificabilità" degli assunti
cosmologici, la disomogeneità osservata dell'universo su scale inferiori a cento
megaparsec propone tutta una serie di problemi aperti divenuti centrali nel dibattito
cosmologico più recente. Domande del tipo "Come conciliare la disomogeneità e
l'anisotropia rivelata dalle surveys sulla distribuzione delle galassie con l'isotropia della
radiazione cosmica?", "Su quale scala l'assunto di omogeneità spaziale comincia a
rappresentare un'adeguata idealizzazione?" sono diventate sempre più importanti negli
ultimi anni e si configuravano come cruciali già nel 1973 [144d].
L'intervento di Carter a Cracovia va pertanto letto anche in questa prospettiva, ed è
anzitutto necessario comprendere l'accezione del termine "principio" al quale egli fa
riferimento. Carter infatti tende a sottolineare che la validità di un principio, al contrario
di quella di una legge, non può essere decisa "a posteriori, su una base empirica" [144e].
A proposito del "principio copernicano" - a parere di Carter - vi era "sfortunatamente"
stata una "forte (e non sempre subcosciente) tendenza" a estendere in maniera
dogmatica il contenuto fondamentale della lezione di Copernico [144f].
La rottura con l'antropocentrismo propugnata da quest'ultimo, scriverà
retrospettivamente Carter:

was entirely justified by the goal of scientific objectivity, but it soon came to be carried
unduly far as people came to the point of advocating the opposite extreme point of view,
consisting in the assumption that our own situation in the Universe is not in any part
privileged, but is typically representative in a Universe that is entirely homogeneous apart
from minor local fluctuations. This extreme antithesis of the anthropocentric outlook was
most dangerous as a source of biased thinking when it was adopted subconsciously [144g].

La versione "più estrema" del dogma copernicano era consistita nel principio
cosmologico perfetto di Bondi e Gold; ovvero nell'"ipotesi" secondo la quale "l'universo
presenta lo stesso aspetto da ogni luogo in ogni tempo" [144h]. L'enunciato di Bondi e

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Gold ampliava l'usuale principio cosmologico (cioè l'assunto che l'universo è


spazialmente omogeneo) e conduceva a postulare un universo "omogeneo e stazionario
nella sua costituzione di larga-scala così come nelle sue leggi fisiche" [144i].
Con in mente l'argomento di Dicke sull'"epoca dell'uomo", Carter notava che l'adesione
incondizionata al dogma copernicano promossa dai cosmologi della scuola razionalista
diveniva "chiaramente insostenibile" se si considerava: "a) che condizioni
particolarmente favorevoli (di temperatura, ambiente chimico, ecc...) sono prerequisiti
per la nostra esistenza, e b) che l'universo evolve e non è in alcun modo omogeneo su
scala locale" [144j].
Tutto ciò lascia intendere che il pericolo di cadere nel dogmatismo, quantomeno in
nuce, è presente ogniqualvolta ci accingiamo a semplificare un problema tramite un
"principio di omologia" che ci invita a non introdurre "asimmetrie inutili".
Sulla base di un criterio di semplicità si può essere infatti spinti a compiere un abuso
pregiudiziale dell'ipotesi di omologia e a ritenere che la nostra posizione
spazio/temporale, oltre a non essere centrale, non debba essere considerata in alcun
modo particolare o privilegiata. L'appello a un principio razionale di estrema simmetria
può condurre, come nel caso dei cosmologi dello stato stazionario, a gravi errori.
Su queste basi Carter propone quindi il WAP come un principio metodologico che vale
per tutta l'attività scientifica e che - come in seguito ebbe modo di scrivere - costituisce:

a warning to astrophysical and cosmological theorists of the risk of error in the


interpretation of astronomical and cosmological information unless due account is taken of
the biological restraints under which the information was acquired [145].

Diversi anni dopo il congresso di Cracovia, l'autore sosterrà che considerare gli effetti di
selezione che influenzano le osservazioni è di fondamentale importanza se si vuole
avere un'idea chiara di cosa significhi giudicare, in accordo con il rasoio di Occam, la
relazione fra le osservazioni e le opzioni teoriche a disposizione. In particolare: un
principio di simmetria o di omologia non deve costituire un pregiudizio "contro la
possibilità di un'asimmetria intrinseca fra ciò che è osservato o osservabile e ciò che non
lo è" e, pertanto, va bilanciato con un criterio supplementare come il WAP [146].
Nel 1973 Carter afferma che Dicke aveva fornito una "buona illustrazione" dell'uso del
WAP, mostrando come la teoria "convenzionale" [147] (cioè: "la teoria fisica standard
in connessione con il modello dell'universo ortodosso del big bang caldo" [147a]), dove

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G non varia, è appropriata e in grado di "predire" la coincidenza fra αG-1 e


[(mpc2H0-1)/h)].
Il fisico di Princeton aveva però trascurato un'"alternativa anch'essa possibile a priori".
Ovvero l'eventualità secondo la quale, nel caso di un universo chiuso, l'età dell'universo
adesso potrebbe già essere paragonabile, in ordine di grandezza, alla "durata totale della
sua vita" [148].
Siccome quest'ultima doveva ovviamente risultare maggiore o paragonabile all'ordine di
grandezza caratteristico dei due termini αG-1 e [(mpc2H0-1))/h)] diveniva possibile
avanzare un esempio di "predizione basata su quello che può essere denominato il
principio antropico 'forte'" e indicare:

... a fairly severe restriction not merely on our location within the Universe but on one of
the fundamental parameters of the Universe itself (in this case its lifetime τ) [149].

Carter concentra la propria attenzione su due parametri cosmologici che, secondo il


modello standard, costituiscono delle costanti in ogni universo chiuso che sia uscito
dalla fase dominata dalla radiazione. Questi sono: η ≡ nb/T3 (il rapporto fra il numero
dei barioni e la terza potenza della temperatura di corpo nero) e K/T2 (dove K è la
curvatura scalare delle sezioni spaziali omogeneee).
Fra questi due parametri, l'età dell'universo e il valore delle costanti fondamentali esiste
una relazione che consente di porre dei v incoli. L'ipotesi di chiusura impone un limite
superiore a K/T2 (che si riflette nella relazione K/T2 ≤ (η2/mp)1/3mp3) [150]. Per ottenere
un limite inferiore Carter invoca il fatto che le "galassie (la cui esistenza è
presumibilmente necessaria per la formazione delle stelle e quindi della vita) sono
formate da condensazioni, a partire da fluttuazioni di densità relativamente piccole di
uno sfondo altrimenti omogeneo" [151].
Poiché il disaccoppiamento fra materia e radiazione richiede nel modello standard un
abbassamento di T sotto la soglia fissata dall'energia di ionizzazione di Rydberg [152], è
fissata una condizione stringente che conduce alla disuguaglianza
[-(K/T2) « (e4me)(nb/T3)mp] e dipende dalla grandezza assegnata alle fluttuazioni
iniziali.
Seguendo queste argomentazioni, Carter conclude che la "famosa relazione di
Eddington" fra la radice quadrata del "numero delle particelle dell'universo visibile" e il

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valore di αG-1 è "prevedibile" nell'ambito della "teoria ortodossa". Ciò è ancora una volta
interpretato come una testimonianza contraria all'"introduzione di teorie fortemente non
convenzionali come quelle di Dirac e Eddington" [153].
Tale conclusione comporta però di accettare (almeno per quelle coincidenze che già nel
'70 Carter aveva definito di categoria III) l'idea di un Universo "confezionato su
misura", con valori dei parametri fondamentali adatti a consentire la "creazione di
osservatori" ad un certo stadio del suo sviluppo.
Neppure lo stesso Carter ritiene che il ricorso al SAP (al quale associa il motto: Cogito
ergo mundus talis est [154]) sia "completamente soddisfacente dal punto di vista di un
fisico". Mentre una "predizione" basata soltanto sul WAP può infatti condurre ad una
"spiegazione fisica completa", una predizione basata sul SAP, anche se "del tutto
rigorosa", non esclude la possibilità e la "desiderabilità" di "una teoria fondamentale più
profonda" (ad esempio: la teoria della "struttura machiana ... sottostante l'ordinaria
teoria gravitazionale" prospettata da Sciama e da Dicke) in grado di render conto delle
relazioni predette [155].
Il SAP rimanda insomma a un approccio molto più speculativo del WAP e Carter
insisterà sempre nel non dirsi pronto, nonostante l'"entusiasmo" provocato "in certi
ambienti", a difendere il principio forte "con lo stesso grado di convinzione meritato dal
suo analogo 'debole'" [156].
È importante sottolineare, ad ogni modo che né Carter, né Collins e Hawking,
propongono una "spiegazione" di tipo teleologico. L'uso del principio antropico in ogni
sua forma da parte di questi autori rimanda, nonostante l'uso insistente del termine
"spiegazione", al "desiderio di preservare la cosmologia standard del big bang tramite
l'impiego di un effetto di selezione" [157].
Almeno nelle varie applicazioni proposte negli anni settanta, il principio antropico -
come ha notato John Earman - non ha mai preteso di sostituirsi ad una spiegazione,
anche quando il termine "spiegazione" è stato, malgrado tutto, chiamato in causa.
Va inoltre notato che, dagli esempi di predizioni basate sul SAP forniti da Carter a
Cracovia, è possibile riconoscere due versioni non coincidenti del SAP: un "SAPa", che
non chiama in causa una variazione delle costanti che regolano le interazioni
fondamentali e un "SAPb" che - come sarà esposto in seguito - invece è incentrato

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proprio sul confronto del nostro universo con mondi in cui alcune delle costanti
d'accoppiamento possiedono valori differenti [157a].
Il "SAPa", a cui anche fanno riferimento anche Collins e Hawking, implica una
collezione di universi teorici possibili, di esiti alternativi delle equazioni di Einstein
legati a condizioni iniziali diverse e manifestantisi in proprietà espresse da parametri
cosmologici caratteristici; ma non prende in considerazione la modifica di una
caratteristica che, come αG-1, è da considerarsi immutabile in relatività generale.
L'idea di "un insieme di universi" caratterizzati non solo "da tutte le possibili
combinazioni di condizioni iniziali" ma anche delle costanti fondamentali è, d'altra
parte, presentata da Carter proprio allo scopo di "promuovere" una "predizione" basata
sul SAP "allo status di una spiegazione" [158].
In momenti diversi, Carter tratterà la concezione secondo la quale "possono esistere
molti universi, dei quali solo uno può essere da noi conosciuto", come un'ipotesi "non
particolarmente plausibile", un'idea "filosoficamente indesiderabile" o un'"ultima
risorsa" filosoficamente possibile ma da considerarsi solo in mancanza di un
"argomento fisico più forte" [159]. Nel '73, una volta ribadito che l'esistenza di
osservatori può essere possibile solo in un particolare sottoinsieme conoscibile di una
collezione di mondi, egli aggiungerà che:

A prediction based on the strong anthropic principle may be regarded as a demonstration


that the feature under consideration is common to all members of the cognizable subset
[160].

Come accennato in precedenza, Carter aveva messo sin dal 1967 in evidenza la criticità
del valore della costante gravitazionale nei confronti di quella di struttura fine a ai fini
della divisione qualitativa fra stelle giganti blu (in cui l'energia è trasportata
radiativamente) e nane rosse (in cui domina il trasferimento convettivo). Dalla
connessione fra quella sua analisi e l'idea di cognizability risultavano scenari in cui una
piccola variazione di αG-1 comportava o universi in cui la gravità è di poco più forte e le
stelle sono tutte giganti blu che consumano velocemente le loro riserve di idrogeno
morendo prima che la vita possa nascere; oppure universi dove, viceversa, la gravità è
più debole e le stelle sono tutte nane rosse, troppo piccole e fredde per consentire la vita.

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Questi mondi alternativi non godono della proprietà di essere conoscibili. Negli universi
che godono di tale proprietà (e il nostro Universo ne gode) DEVE esserci una vita che
conosce. In altre parole: la nostra esistenza impone vincoli alla struttura dell'universo.
Carter, ad ogni modo, diffida da interpretare il SAP come un "principio di realtà",
polemizzando apertamente con chi - come il "filosofo Gale" - ha a suo avviso frainteso
che "la scienza non è interessata alla verità sottostante, ma più modestamente (e, per i
propri criteri, più felicemente) a fornire la descrizione dell'apparenza più semplice,
coerente e comprensiva possibile" [161].
In tempi recenti Carter ha poi affermato di avere, con l'introduzione del SAP, ceduto
alla tentazione di immergere un sistema tipicamente "confinitivo" come l'Universo, la
cui unicità contraddistingue il carattere peculiare della cosmologia, in un sistema
"infinitivo" di livello "puramente teorico". Da questo punto di vista il SAP aspira alla
ricerca di una comprensione teorica più generale tramite il riferimento a un "sistema
concettuale di universi", ma non consente di ottenere "alcuna informazione generale di
tipo sperimentale e osservativo" [162].
La pubblicazione dell'intervento di Carter nel 1974 apre (o meglio consolida) la strada a
una lunghissima serie di lavori di "fisica qualitativa". Fra questi quelli di Victor F.
Weisskopf nel '75, Joseph Silk nel 1977, Bernard Carr e Martin Rees nel 1979, Euan J.
Squires nel 1981, William Press e Alan Lightman nel 1983 [163].
Già lo stesso Carter, d'altra parte, propose di considerare "restrizioni a priori sui
parametri fondamentali della fisica nucleare" [164]. Nel '70 a Princeton egli si soffermò
su una serie di coincidenze che coinvolgono (oltre alla carica elementare e alla massa
delle particelle) parametri importanti in fisica nucleare (quali: la costante
d'accoppiamento pseudo-scalare gS delle interazioni forti e il parametro ∆n, che
rappresenta l'eccesso della massa del neutrone su quella protonica) [164a]. Nel '73
appuntò quindi come, con una costante d'accoppiamento dell'interazione forte più
debole, non vi sarebbe stato altro elemento chimico che l'idrogeno, incompatibilmente
"con l'esistenza della vita". In conclusione del suo intervento a Cracovia, Carter si
sofferma sull'utilità (almeno momentanea in assenza di spiegazioni "basate su una
struttura matematica più profonda") di procedere in un'"esplorazione sistematica dei
limiti a priori" che, sulla base del SAP, possono essere assegnati ai parametri fisici
fondamentali. Inoltre insiste nel sostenere che accettare le predizioni basate sul SAP

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come spiegazioni implica una certa attitudine nei confronti del concetto di una
collezione di universi.
Egli ritiene che l'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica possa
adattarsi "in modo molto naturale" alla "filosofia" che ha tentato di descrivere. La
"filosofia di una collezione di mondi", infatti, non "va in realtà molto oltre la dottrina di
Everett" che Carter continua a ritenere un prodotto della "logica interna della meccanica
quantistica" [165].
In ultima analisi comunque, per Carter il SAP consiste nella:

combination of the ordinary weak anthropic principle with a hypothesis of the existence of
an ensemble of connected or disconnected branches of the universe over which
'fundamental constants' would have an extended range of values. In such an ensemble the
familiar observed values of the parameters would be interpretable as deriving from
anthropic selection [166].

A partire dal 1983, Carter - seguito in questo da altri teorici antropici [167] - esprimerà
in maniera esplicita la relazione fra la selezione antropica e la "struttura del paradigma
bayesiano" [168]. Così facendo, punterà soprattutto a distinguere l'accortezza familiare
a "tutti gli scienziati empirici in attività" (che sanno molto bene di dover trattare
probabilità a priori "rinormalizzate" attraverso la considerazione dei diversi effetti di
selezione) dall'attitudine di alcuni "teorici puri" che preferiscono "lavorare
esclusivamente al livello ab initio" della teoria astratta, dimenticandosi "facilmente" "la
totalità di tutte le condizioni di selezione che sono implicate dall'ipotesi di applicazione
della teoria a una situazione sperimentale o osservativa concreta" [169].
In quest'ottica il WAP rappresenta un'"applicazione del teorema di Bayes" il cui unico
"elemento nuovo" consiste nel riferimento alle "nostre limitazioni in quanto organismi
viventi" [170]. Il SAP invece contempla non solo le restrizioni alla nostra situazione
particolare, ma al livello globale del nostro universo. Per il SAP "l'esistenza della vita" -
come hanno scritto Garrett e Coles - diviene "essa stessa una legge di natura" e un
universo conoscibile (cognizable) deve rispettare tale legge [171].
Il riferimento alle procedure dell'inferenza induttiva bayesiana (che Carter considera, in
pratica, "la strategia fondamentale del metodo scientifico" [172]) rimanda a un
approccio di fondo verso la cosmologia e, in genere, verso l'attività e la metodologia
scientifica. In lavori recenti sia Carter che Garrett e Coles si soffermano in maniera
specifica sui caratteri salienti di questo atteggiamento, sottolineandone le differenze sia

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con l'approccio frequentista e logicista alla probabilità, sia con la scuola popperiana e
post popperiana in filosofia della scienza.
Questi autori considerano l'attività scientifica come un "esercizio di verifica di ipotesi
induttive" e ritengono la prospettiva bayesiana l'unica in grado di costituire un sistema
coerente per formulare ipotesi sull'universo come un tutto, superando il noto problema
dell'unicità dell'oggetto di studio. I dati osservativi sono considerati in quest'ottica
semplicemente dei numeri che possono essere incorporati, in qualità di proposizioni, in
qualsivoglia teoria.
Da qui il dissenso che Carter, Barrow, Garrett e Coles esprimono nei confronti del
punto di vista di Popper sia a proposito dell'influenza della teoria sui dati osservativi, sia
nei confronti della tesi secondo la quale le teorie scientifiche sono falsificabili [173].
Contro Popper (e naturalmente anche contro Kuhn o Feyerabend) questi teorici
antropici ritengono che disporre di prove favorevoli renda inevitabilmente più probabile
una determinata ipotesi o teoria. Essi sostengono quindi che:

The disparaging implication that scientists live only to prove themselves wrong comes from
concentrating exclusively on the possibility that a theory might be found to be less probable
than its challenger. In fact evidence does not confirm, or discount, a theory; it either makes
the theory more probable (supports it) or makes it less probable. For a theory to be useful, it
must be capable of having its probability altered by incoming data, and the appropriate
criterion is therefore testability. Bayes theorem tells us, by inverse reasoning, that a testable
theory will not predict all things with equal facility [174].

Su queste basi non c'è da stupirsi dell'antipatia mostrata da alcuni teorici antropici verso
cosmologie "razionaliste" come quelle dello stato stazionario o la stessa LNH.

10 WAP e SAP II: DA BARROW A LINDE

Nel 1983, John Barrow torna ad occuparsi della distinzione fra WAP e SAP. Suo scopo
dichiarato è quello di chiarire la confusione che, a proposito del principio antropico, si
era nel frattempo venuta a creare nella letteratura astronomica.
Ho già riportato gli enunciati forniti da Barrow; è molto importante però soffermarsi
sulle osservazioni che fanno seguito alla sua definizione del WAP (vedi la definizione 2
del paragrafo 2) [175]. Il WAP:

- riguarda soltanto vincoli a parametri cosmologici come "l'età, le dimensioni, la densità o il


livello di inomogeneità dell'Universo" (tutte quantità che variano col tempo e la storia
evolutiva dell'universo) e non quei parametri considerati costanti fondamentali di natura

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- non introduce alcuna collezione di universi

- come corollario, rimanda al tentativo di isolare il sottoinsieme delle proprietà


cosmologiche necessarie per l'evoluzione e l'esistenza della vita.

Passando al SAP e alle sue "sfumature metafisiche" [176], Barrow espone le possibili
interpretazioni e propone, come alternativa all'idea dei molti mondi, il tradizionale
"argomento del progetto" [177].
L'interpretazione teleologica del SAP, che è fra l'altro collegata a quella idealistica della
meccanica quantistica dovuta a Wheeler, diverrà oggetto di notevoli controversie
interdisciplinari. Questo motivo non sarà però approfondito in questa sede. Mi preme
infatti sottolineare piuttosto come le definizioni di Barrow indicassero un modo
esplicito per discriminare fra WAP e SAP: solo il primo non contempla una "variabilità"
delle costanti fondamentali e non implica l'introduzione di un insieme di universi.
A questo punto la mia domanda è: sono davvero ben distinti WAP e SAP?
la risposta pare essere SI se si considera il WAP come effetto di selezione rispetto a una
scala temporale e lo si associa alla teoria standard; ma è NO se si considera il WAP
come negli esempi di Boltzmann e Idlis: perché negli scenari descritti da questi ultimi si
compie una selezione fra la nostra regione dell'universo e altre regioni non collegate
causalmente.
Non a caso la definizione del WAP di Barrow (analoga a quella di BARROW/TIPLER
1986. Vedi la definizione 3 del paragrafo 2) è stata giudicata, proprio perché collegata
in maniera specifica a un argomento basato su scale temporali, "considerevolmente più
restrittiva del necessario" da parte di G. F. R. Ellis. Quest'ultimo ha aggiunto di trovare
preferibile la definizione molto più generica data in BARROW/TIPLER 1986 a pagina
3 [178].
Anche il WAP pare quindi poter essere inteso secondo due modalità diverse:
WAPa: è una versione più restrittiva che si applica quando si considera
- in accordo con il principio cosmologico
- indifferente la collocazione spaziale ma non l'epoca cosmica in cui si compiono le
osservazioni. Con il WAPa è fondamentale un tempo cosmico universale ed è assunta
una teoria evolutiva dell'intero universo (in cui parametri come l'età, il fattore di scala,
la densità media assumono un significato preciso); è inoltre in genere assunta
un'uniformità della natura tale che le leggi della fisica locale sono le stesse ovunque e

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vale l'ipotesi di una distribuzione uniforme della materia/energia anche su scale più
grandi dell'universo osservabile.
WAPb) è una versione meno restrittiva in cui, in genere, sono contemplate scale
temporali che non possiedono un significato globale e un universo che può essere eterno
e infinito.
L'intero universo osservabile, in questa prospettiva, costituisce un'evenienza di carattere
locale [178a]. Oltre il raggio di Hubble vi sono regioni ove la distribuzione della
materia, se non le stesse leggi fisiche locali, possono essere profondamente diverse. In
quest'ultimo caso devono esserci meccanismi fisici che soprintendono al
comportamento delle varie regioni e la differenziazione fra quest'ultime può dipendere
da motivi statistici o stocastici.
In questa versione il WAP giustifica la particolarità dell'universo osservabile tramite un
effetto di selezione, per quanto improbabile "a priori" la nostra regione possa risultare
nel contesto teorico considerato. Il WAPb, pertanto, rappresenta sia un espediente per
evitare il problema delle condizioni iniziali che un'opzione importante di cui tener conto
quando si affronta l'interrogativo "perché il mondo è così com'è?" [179].
È importante notare come, in tempi recenti, Barrow abbia più volte notato un
progressivo allargamento di consensi verso il WAPb. Si pensi a una definizione del
WAP che compare nel volume scritto con Tipler e precedentemente non riportata:

The Weak Anthropic Principle asserts that our Universe is 'selected' from amongst all
imaginable universes by the presence of creatures - ourselves - which asks why the
fundamental laws and the fundamental constants have the properties and values that they
are observed to have

oppure al seguente enunciato:

The Anthropic Principle in each of its various forms attempts to restrict the structure of the
Universe by asserting that intelligent life, or at least life in some form, in some ways selects
out the actual Universe from among the different imaginable universes: the only 'real'
universes are those which can contain intelligent life, or at the very least contain some form
of life [180].

Se si confrontano queste definizioni con quella data nel 1983 (o con la definizione 3 del
paragrafo 2), è evidente un notevole cambiamento di prospettiva. Cambiamento che è
sancito esplicitamente nel volume del 1986 dove si parla di una ensemble interpretation
del WAP [181].

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Il motivo sottostante a tale mutamento di prospettiva va ricercato in una trasformazione


che ha coinvolto gli stessi "modelli di spiegazione scientifica" richiesti dalla ricerca
cosmologica di punta [182].
Nel corso degli anni ottanta, infatti, dal connubio fra cosmologia teorica e fisica
fondamentale è emersa la possibilità che certe caratteristiche della struttura dell'universo
(ad esempio: le dimensioni dell'universo osservato, la densità media, l'asimmetria
materia/antimateria) siano esiti particolari di rotture di simmetria o a processi "pseudo-
casuali" avvenuti nei primissimi istanti dell'universo.
La questione della relazione logica fra caratteristiche intrinseche delle leggi di natura e
la particolare struttura dell'universo osservato (inclusa la possibilità stessa, richiesta da
certe teorie caotiche di gauge e già accennata da Barrow nel 1983, che non vi siano
affatto leggi di natura) costituisce uno dei motivi di fondo che hanno spinto a
riconoscere e sottolineare come, in certi contesti, una "spiegazione scientifica nel senso
usuale" non sia più possibile [183]. Infatti:

... if there is any random element in the initial evolutionary history of the universe then a
correct appraisal of the truth or falsity of cosmological theories must take our existence into
account [184].

Mentre le diverse teorie stabiliscono con quali "probabilità assolute" possano realizzarsi
certi particolari esiti, bisogna interessarsi soltanto alle probabilità condizionate dalle
condizioni necessarie all'evoluzione degli osservatori.
Un grande problema è, a tale proposito, posto dall'origine dei particolari valori delle
costanti fondamentali. Vi sono infatti contesti teorici secondo i quali tali valori
potrebbero essere determinati da elementi "intrinsecamente casuali" contenuti nella
struttura dell'universo primordiale o da processi avvenuti in prossimità dell'origine
stessa dell'universo.
In certi modelli inflazionari, ad esempio, processi del genere possono aver determinato
l'esistenza di domini diversi dell'universo dove almeno alcune costanti fisiche
possiedono un valore diverso da quello che hanno nella regione osservata.
Questo tipo di considerazioni consente un'ulteriore distinzione fra due tipi di approccio
a quello che si è qui definito WAPb:
- un approccio del tipo Boltzmann/Idlis in cui vi è un universo infinito ma non è presa in
considerazione la possibilità di una variazione delle costanti fondamentali (le costanti

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fondamentali sono le stesse ovunque ma dobbiamo rinunciare a confidare negli assunti


che descrivono appropriatamente la nostra regione al di là dei confini dell'universo
osservabile)
- un approccio sul tipo del modello di inflazione di Andrei Linde, in cui è fornito anche
un meccanismo fisico (la rottura spontanea di simmetria di certe grandi teorie unificate)
per generare "domini" o regioni con valori diversi delle costanti fondamentali.
Le distinzioni appena viste, così come quella precedentemente osservata a proposito
dell'introduzione del SAP da parte di Carter, suggeriscono che la confusione fra il WAP
e il SAP è riconducibile in larga misura a quella esistente intorno al tema dei molti
universi. Non c'è accordo infatti su cosa si debba intendere per universi diversi e
persiste una confusione sottostante fra actual e possible, fra necessità e possibilità
realizzate [185].
John Leslie, dal canto suo, ha scritto che la differenza fra WAP e SAP è "vaga" [186] e
"spesso puramente verbale", poiché:

The Strong Principle concerns our universe; the Weak, our region or location; but ... there
is just no single correct way of counting universes and thus of distinguishing them from
mere regions or locations. And when one speaker's universe is another's large spatio-
temporal region, the first's Strong Principle matter can be the second's Weak Principle affair
[187].

Garrett e Coles hanno giudicato l'idea dei molti universi come una fonte di confusione
ispirata dall'approccio frequentista alla probabilità. Non per questo hanno però respinto
scenari come quello di Linde, in cui ha senso parlare di regioni diverse dell'unico
Universo.
A loro avviso alcune applicazioni del SAP (e fra esse il "SAPa" di Carter ma anche - in
genere - le "predizioni" che giustificano con una teoria fondata dal punto di vista
bayesiano la considerazione di una variazione spazio/temporale delle costanti
fondamentali nell'Universo) non sono altro che argomenti deboli mascherati e vanno
considerate, a pieno merito, "applicazioni del metodo induttivo".
Altre versioni del SAP (in particolare quelle che necessitano dei molti mondi di Everett)
invece non possiedono né potere esplicativo, né capacità predittiva e vanno relegate
nella categoria delle "speculazioni senza freno" [188].

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Si aprono qui problemi molto controversi, che diventano via via più complessi quanto
più ci si spinge a considerare le primissime fasi dell'universo. Nuovi problemi di natura
fondamentale rendono infatti inevitabilmente la fisica speculazione fisica.
Al livello delle grandi teorie unificate e dell'universo inflazionario, diviene così naturale
pensare che:

The search for theories in which the part of the world that surrounds us can have the
properties that we observe is still a difficult problem, but it is much easier than a search for
theories in which the whole world is not permitted to have properties different from those in
the part where we now live [189].

Speculazioni sempre più lontane dagli ambiti caratteristici delle teorie standard della
cosmologia e delle particelle elementari (e che coinvolgono energie dell'ordine di
almeno 1019 GeV, il quesito stesso dell'origine delle leggi della fisica e la ricerca di una
"teoria del tutto") hanno prodotto un interesse crescente verso l'idea di universi
alternativi e per le argomentazioni antropiche.
Molti lavori dedicati al grande problema della costante cosmologica o, in generale, a
questioni poste da scale temporali e energetiche prossime a quelle di Planck, hanno fatto
ricorso, negli ultimi anni, al principio antropico [190].
Steven Weinberg e George Efstathiou, ad esempio, hanno indipendentemente dichiarato
che, mentre si hanno motivi di ritenere che una teoria del tutto sarà in grado di
prevedere i valori di tutte le altre costanti di natura, la costante cosmologica potrebbe
essere determinata solo attraverso argomentazioni antropiche [191]. Weinberg,
comunque, non rinuncia a sperare in una teoria finale capace di predire anche la
costante Λ [192]. A suo parere infatti:

... most physicists would regard the anthropic principle as a disappointing last resort to fall
back only if we persistently fail to explain the constants of nature and other properties of
nature in a purely microscopic way [193].

Nel campo delle speculazioni recenti, d'altra parte, l'idea che le proprietà del nostro
universo siano casuali, o comunque non "particolarmente speciali", ha portato Sciama a
sostenere che l'esistenza dell'intera collezione di tutti gli universi logicamente possibili
potrebbe essere, in linea di principio, sottoposta a verifica osservativa [194].
Gli anni ottanta e novanta sono stati cruciali per il modello standard del big bang. Negli
ultimi quindici anni si sono infatti moltiplicate sia le "sfide empiriche" [195] dovute a

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tecnologie sempre più sofisticate nell'osservazione astronomica che gli interrogativi


teorici. Da una parte così sono sorti i dubbi sull'effettiva linearità del flusso di Hubble o
sulla distribuzione degli ammassi di galassie su scale effettivamente cosmologiche;
dall'altra sono diventate di primaria importanza questioni come l'origine delle
disomogeneità locali, la natura della materia oscura o la costante cosmologica. Tutto ciò
ha portato alla proposta di molte teorie "sussidiarie" al modello standard che, per
rispondere agli interrogativi aperti, rimandano alle situazioni estreme dei primissimi
istanti di vita dell'universo e contemplano spesso il ricorso al WAP come un ingrediente
importante o, quantomeno, come una via d'uscita.
La situazione attuale pare diversa da quella in cui Carter intendeva fornire un sostegno
alla teoria gravitazionale classica standard contro le tesi "esotiche" di Dirac. Mi sembra
infatti che la tendenza oggi principalmente in atto consista soprattutto nella ricerca di
schemi concettuali più potenti, in grado di ampliare gli orizzonti teorici del modello
standard piuttosto che di porvisi in alternativa [196].
Certo è che, negli ultimi tempi, l'appello a una qualche forma del principio antropico è
divenuto più frequente nella letteratura di stampo fisico fondamentale che non in quella
di carattere astrofisico.
A tale proposito, è semplicemente curioso notare come, ancora nel 1983, Carter
insistesse, nello spirito del WAPa, nel prendere le distanze dall'idea dell'inflazione, da
lui giudicata una versione "più sofisticata" dello stato stazionario e un'applicazione del
"concetto perennemente ingannevole" del principio cosmologico perfetto [197].
Nonostante la proposta di una cosiddetta "inflazione antropica" [197a], era comune,
ancora in quel periodo, interpretare il modello inflazionario come un'alternativa al
principio antropico; come una di quelle teorie più profonde in grado di dare risposte ai
problemi insoluti del modello standard su basi fisico-matematiche.
A distanza di pochi anni il WAP (il WAPb), anche a causa dei problemi intrinseci ai
primi modelli dell'universo inflazionario, fece il suo ingresso nei lavori di Linde
divenendo un ausilio importante del modello di inflazione caotica [198].
L'ultima versione del modello di Linde costituisce un'esplicita riabilitazione del
programma dello stato stazionario. Lo sviluppo recente della cosmologia ha portato
infatti a rompere il "cordone ombelicare" che legava i primi modelli inflazionari alla
teoria del big bang e a dare, tramite lo scenario dell'inflazione eterna, una "nuova

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formulazione della cosmologia stazionaria, senza la perdita di alcuno dei risultati


acquisiti dalla cosmologia standard [199].
Pertanto, secondo Linde:

Now it seems more likely that the universe is an eternally existing, self-producing entity,
that is divided into many mini-universes much larger than our observable portion, and that
the laws of low energy physics and even the dimensionality of space-time may be different
in each of these mini-universes. This modification of our picture of the universe and of our
place in it is one of the most important consequences of the inflationary scenario.

We have even gained a new understanding of why it was necessary to write a scenario
when the performance is already over. The answer is that the performance is still going on,
and it will continue eternally. In different parts of the universe different observers see its
endless variations. We cannot see the whole play in all its greatness, but we can try to
imagine its most essential parts, and perhaps ultimately understand its meaning [200].

11 Il Principio della Vita Eterna

Sebbene non sia in contraddizione con la credenza di una grande diffusione della vita
nell'universo (diffusione che comunque deve essere avvenuta in infiniti luoghi se
l'universo è infinito [201]) il principio antropico è stato usato più volte a sostegno
dell'idea che l'evoluzione della specie Homo Sapiens costituisce un evento raro, se non
unico, quantomeno al livello dell'universo osservabile [202].
Il primo ricorso esplicito al WAP e al SAP nell'ambito del dibattito sulla vita
extraterrestre è contenuto in appendice a uno degli articoli scritti - nei primi anni ottanta
- da Frank Tipler contro il programma SETI e in difesa dell'idea dell'inesistenza degli
alieni [203].
Le posizioni di Tipler sull'unicità della civiltà terrestre e sul principio antropico, sono
andate evolvendosi di pari passo nel corso degli anni successivi, per maturare nella
proposta del FAP e nella messa a punto di una teoria fisica in grado di garantire la "vita
eterna".
Tipler ha sempre distinto nettamente fra il WAP e il SAP in ogni sua versione. Egli ha
considerato quest'ultimo "MOLTO speculativo" e "indubbiamente, non un principio
fisico ben stabilito" [204]. Ha però anche favorito un accostamento fra il WAP come
principio di auto-selezione e la concezione di un insieme di universi.
In alcuni suoi lavori si ha l'impressione di un contrasto fra quello che qui ho chiamato
WAPb (ad esempio il WAP applicato nel contesto di Linde) e un'interpretazione

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teleologica del SAP. In aperto contrasto con la definizione di Barrow del 1983, Tipler
avverte infatti che [205]:

In contrast to the self-selection aspects of Man's Place in Nature, consider the possibility
that in some way, intelligent life is essential to the Universe. This idea is called The Strong
Anthropic Principle (SAP). Note that there is no ensemble in SAP! In fact, the existence
(or lack of) an ensemble is the basic difference between WAP and SAP.

Il fisico di New Orleans parte dal suggerimento di Carter di considerare il SAP più un
"postulato" o una "proposta" che un principio fisico per avanzare una serie di
considerazioni fortemente speculative.
Il FAP si configura così come una particolare versione del SAP da assumersi come
ipotesi di lavoro e da seguire fino alle sue estreme conseguenze. Tale ipotesi conduce a
una teoria sul lontano futuro dell'universo che rientra in quell'ambito di speculazioni
futurologiche ed "escatologiche" che è divenuta "un ramo della fisica" [206] dopo le
pubblicazioni di Martin J. Rees e, soprattutto, di Freeman J. Dyson e Steven Frautschi
[207].
Tipler si chiede in che modo può essere concepibile la sopravvivenza della "vita" nel
lontano futuro e prospetta uno scenario "miglioristico" [208] del cosmo, in cui alla vita
stessa spetta un ruolo di straordinaria importanza: non una semplice comparsa in un
remoto e insignificante pianeta, ma bensì il compito di "colonizzare" l'intero universo e
di intervenire addirittura sul suo comportamento dinamico al fine di prevenirne
l'autodistruzione [209].
IL FAP, l'idea che la vita durerà per sempre, pare in aperta contraddizione con il WAP
di Dicke. Questa constatazione va però vista secondo una duplice prospettiva, poichè se
da una parte è evidente che vi è un atteggiamento di fondo del tutto inconciliabile;
dall'altra non vi è, da parte di Tipler, nessuna intenzione di violare il WAP, ma solo un
tentativo di mostrare come una specie intelligente potrebbe superare le limitazioni
astrofisiche e i vincoli antropici di Dicke riguardanti il futuro.
Il punto nodale della questione concerne il significato da attribuirsi ai termini "vita
intelligente". Tipler avvalora e fa ricorso alle tesi dell'intelligenza artificiale forte e a
una definizione puramente funzionale della vita in cui gli aspetti legati a un particolare
substrato chimico sono irrilevanti. Egli afferma:

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I claim that a "living being" is any entity which codes 'information' (in the sense this word
is used by physicists) with the information coded being preserved by natural selection. ...
Thus 'life' is a form of information processing, and the human mind - and the human soul -
is a very complex computer program. Specifically, a 'person' is defined to be a computer
program which can pass the Turing Test [210].

Nella prospettiva di Tipler il WAPa pone dei vincoli esclusivamente alla vita basata sul
carbonio. Per quel che riguarda il passato dell'universo questi valgono per la vita in
genere, ma lo stesso non può dirsi per il futuro.
Ad esempio il momento in cui il Sole abbandonerà la sequenza principale, diventando
una gigante rossa e distruggendo il nostro pianeta, non rappresenta che la prima di una
serie di "scadenze improrogabili" a cui la vita va incontro in un universo evolutivo
[211]. Nell'ottica di Tipler non solo gli esseri umani dovranno abbandonare il pianeta
prima che sia troppo tardi, ma dovranno pensare molto più in grande e provvedere per
tempo a garantirsi una "discendenza" in grado di sopravvivere all'estinzione di tutte le
stelle e agli avvenimenti sempre più catastrofici previsti per il futuro remoto.
I "discendenti intellettuali" dell'uomo saranno in una prima fase degli automi intelligenti
in grado di replicarsi da soli e capaci di colonizzare la galassia in tempi relativamente
brevi su scala cosmologica [212]. Ma a un certo punto anche questi robot dovranno
provvedere a trasferire i programmi che costituiscono le loro menti su hardware
adeguati alle condizioni sempre più inospitali che l'universo riserva; e a preoccuparsi
così di un'ulteriore espansione della biosfera.
La "teoria del Punto Omega" di Tipler è una proposta speculativa sul lontano futuro
dell'universo fondata su due postulati praticamente equivalenti: il FAP e l'assunto che il
flusso di informazione non si interromperà mai, ma si espanderà continuamente fino a
occupare l'intero universo. Pertanto:

The basic problem of physical eschatology is to determine if the forms of matter which will
exist in the far future can be used as construction materials for computers that can run
complex programs, if there is sufficient energy in the future environment to run the
programs , and if there are other barriers to running a program [213].

Le tesi di Tipler rimandano a problemi di grande rilevanza (come quelli legati alle
limitazioni fisiche della computazione o ad alcune questioni classiche di filosofia della
matematica) e hanno un loro interesse intrinseco anche come versione estrema
dell'immagine dell'universo come calcolatore su cui girano i programmi che
costituiscono le leggi fisiche [214].

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Tipler sostiene che la sua teoria fornisce delle "previsioni verificabili", pur riconoscendo
talvolta che esse non sono "molto forti né utili" [215]. Queste si presentano come
conditio sine qua non della teoria.
Le più evidenti sono due caratteristiche globali del modello. L'universo di Tipler è
chiuso e quello che - nel linguaggio usuale dei diagrammi di Penrose dello spazio/tempo
- si chiama il suo confine-c futuro consiste in un unico punto che è appunto il Punto
Omega che da il nome alla teoria [215a].
Le altre previsioni "classiche" riguardano la relazione fra la "densità degli stati delle
particelle" e l'energia (che deve essere tale da garantire sempre l'utilizzazione
dell'energia per immagazzinare le informazioni [216]), i vincoli posti alla massa di certe
particelle (come il quark top e il bosone di Higgs) e ad alcuni importanti parametri
cosmologici (come Ω0, H0 e il contrasto di densità ∆ρ/ρ0 che regola l'ampiezza delle
disomogeneità della struttura di larga scala dell'universo).
Questi vincoli alle proprietà attuali dell'universo sono imposte dall'esistenza stessa del
Punto Omega. Cosicché si può parlare non solo di vincoli antropici richiesti dal FAP,
ma anche - prendendo in considerazione gli aspetti quantistici della teoria del Punto
Omega - di una condizione al contorno per la funzione d'onda dell'universo.
Tipler dice di essere costretto dalla matematica e dalla natura deterministica della
funzione d'onda ad assumere l'interpretazione a molti mondi della meccanica
quantistica. Su tali basi egli figura uno scenario nel quale, al raggiungimento del Punto
Omega

life will have gained control of all matter and forces not only in a single universe, but in all
universes whose existence is logically possible; life will have spread into all universes
which could logically exist, and will have stored an infinite amount of information,
including all bits of knowledge which is logically possible to know [217].

Nella sua analisi del modello di Tipler, Willem B. Drees insiste molto nel sottolineare il
duplice approccio di Tipler, il quale da una parte, sulla base del FAP, illustra in che
modo la "vita" può condurre l'universo al Punto Omega; dall'altra pone il Punto Omega
come condizione al contorno che determina e contiene l'intero svolgimento evolutivo
dell'universo [218].
Nella prima accezione vi è un progresso continuo testimoniato dall'incremento
progressivo della biosfera e dell'informazione. La seconda accezione pone invece

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l'accento sul fatto che il Punto Omega, che dal punto di vista classico corrisponde alla
singolarità finale del big crunch, è un istante "trascendente e tuttavia immanente rispetto
a ogni punto dello spazio/tempo" [219].
Il Punto Omega non contempla progresso perché include già tutto lo spazio/tempo (e
quindi ogni istante presente, passato e futuro della storia universale) pur essendo fuori
dal tempo. È un concetto che rimanda "all'idea di Aeternitas della filosofia tomista"
[220] e al "tempo di Dio" di Wolfhart Pannenberg.
Tipler afferma che la teologia può essere ridotta, da un punto di vista epistemologico,
alla fisica. Infatti la sua proposta:

...leads naturally to a model of a God Who is evolving in His/Her immanent aspect (the
events in spacetime) and yet is eternally complete in His/Her trascendent aspect. This
trascendent aspect is the Omega Point, which is neither space nor time nor matter, but is
beyond all these [221].

I rimandi alle questioni tradizionali della filosofia e della teologia rappresentano gli
aspetti più intriganti, ma anche più sconcertanti, delle pubblicazioni recenti di Tipler
[221a]. A mio avviso, l'operazione di cucire insieme tesi, speculazioni e credenze fra le
più disparate, costituisce un difetto congenito di fondo dell'intero edificio messo su dal
fisico di New Orleans.
Questa è in sostanza una critica analoga a quella mossa in molte recensioni del volume
The Anthropic Cosmological Principle, ove è soventemente rilevata la disinvoltura con
la quale gli autori si spostano attraverso le "barriere disciplinari", producendo un
"poutpourri unico di aneddoti storici, argomenti filosofici, derivazioni matematiche e
gergo fisico" e accreditando le loro tesi tramite una "fusione di materie scientifiche con
articoli di fede individuale e credenze" [222].
William Press, in particolare, ha accusato Barrow e Tipler di "disonestà intellettuale" ed
è apparso chiaramente irritato per come i due autori abbiano fatto ricorso al principio
antropico come ad un "tappeto magico intellettuale" capace di condurli nelle più ardite
speculazioni [223].
Questo vale, anche a maggior motivo, per la produzione recente del solo Tipler e
legittima il dissenso e il biasimo manifestato dalla maggioranza dei suoi colleghi. Per
molti di essi infatti egli si è spinto troppo oltre! Fino a proporre "considerazioni

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puramente metafisiche" per spiegazioni scientifiche e a produrre un "capolavoro di


pseudoscienza" [224].
Il fisico di New Orleans, d'altra parte, non solo ha rivendicato il diritto di ridurre la
teologia a una branca della fisica e di far rientrare il libero arbitrio, la resurrezione dei
morti e l'aldilà nell'ambito della sua "teoria fisica e sperimentabile di un Dio
onnipresente, onnisciente e onnipotente" [225]; ma ha anche stigmatizzato la scarsa
profondità rivelata da altri autori che hanno recentemente rivolto la loro attenzione alle
connessioni fra la fisica moderna e le questioni religiose [226]. Caso emblematico, la
sua recensione del volume The fire in the equations: Science, Religion and the Search
for God di Kitty Ferguson, apparsa su Nature nel 1994, in cui Tipler specifica:

For scientists to take God-talk seriously, a book on science and religion would have to
contain statements such as: "If God exists, then the top quark must have a mass of 185 ± 20
GeV; if God is a Person, then the Higgs boson must have a mass of 220 ± GeV; and if She
will one day raise us all to live forever in Heaven, then the temperature fluctuations T/T0 of
the cosmic background radiation must be less than 6 X 10-5 " [227].

A proposito del FAP, Tipler ha anche adottato un criterio estetico di giustificazione.


Egli ha scritto che i "fisici" sanno che "è più probabile che sia corretto un bel postulato
che uno brutto" e ha affermato che "il FAP è basato sul più bello fra i postulati fisici":
quello secondo il quale "la morte totale non è inevitabile" [228].
Ciò mi riporta alla lettera di Dicke a Nature e alla reazione di Dirac, il quale fece
seguire una breve nota di commento alla missiva del fisico di Princeton.
Contro l'assunto di Dicke che "i pianeti abitabili potrebbero esistere soltanto per un
periodo limitato di tempo" e a difesa della sua ipotesi, Dirac scrisse:

With my assumption they [i pianeti abitabili] could exist indefinitely and life need never
end.

There is no decisive argument for deciding between these assumptions. I prefer the one that
allows the possibility of endless life [229].

A quasi tre decenni di distanza, Carter continuava ancora a chiedersi come mai Dirac
potesse essersi appellato a motivi extrascientifici contro gli "inattaccabili" argomenti di
Dicke; e come avesse fatto il fisico di Cambridge a cadere e perpetrare "in un così
evidente errore a causa di un pio desiderio" [230].

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Carter trovava tutto ciò "sbalorditivo" e l'unica risposta che sapeva darsi riguardava
l'impreparazione mentale, tipica dei teorici puri, di confrontarsi adeguatamente con un
"sistema scientificamente confinitivo" come l'universo.
Carter giunge a scrivere che, non accettando il WAP, Dirac non si è dimostrato certo
irrazionale, ma semplicemente unempirical.
Tipler, per contro, invoca Dirac fra i precursori della teoria del Punto Omega e lo
ricorda come "il primo fisico ad addurre argomenti a favore del postulato della vita
eterna" [231]. Egli propone anche un modo alternativo di chiamare il FAP: il "principio
di Dirac - Dyson della vita eterna" [232].

12 Conclusione: che cos'è il principio antropico?

Si sono visti sinora enunciati differenti accomunati dalla terminologia antropica e si


sono incontrate argomentazioni che sembrerebbe più giusto assumere come principi
diversi piuttosto che forme e versioni di un medesimo principio.
Una prospettiva storica ha contribuito a chiarire l'evoluzione delle argomentazioni e
delle prospettive elaborate dai teorici antropici. In particolare ha consentito di constatare
il passaggio dall'idea secondo la quale la nostra presenza seleziona un'epoca non casuale
dell'universo (il WAPa) a quella che estende la selezione a luoghi causalmente disgiunti
dello spazio/tempo. Questo WAPb, sebbene come argomentazione preceda storicamente
il WAPa, entra a pieno diritto nel dibattito antropico solo con quegli sviluppi recenti
della speculazione cosmologica in cui l'Universo (il "Tutto Assoluto" [233]) è concepito
come un insieme di sistemi separati che a, seconda dei casi o degli autori, sono detti
regioni, domini, bubbles o - semplicemente - universi.
Per quel che riguarda poi le forme forti del principio, penso che si possa essere
fondamentalmente d'accordo con Ellis, il quale ha sostenuto che il "ruolo" del SAP
"assomiglia molto a quello del principio di Mach" [234]. Entrambi infatti "sono difficili
da formulare o sostenere", pur costituendo "la fonte di molte idee e indagini
interessanti".
Lo stesso Ellis, commentando insieme a Marek Abramowicz il convegno sul principio
antropico tenutosi a Venezia, mise in grande rilievo la discordanza di opinioni fra i
partecipanti:

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Some partecipants maintained that the whole issue is not a real scientific question; others
that it is a key issue in cosmology. It was clear, particularly during informal discussions,
that this controversy has a philosophical as well as a scientific nature: opinions are based
not only on the speakers' scientific knowledge or extrapolations thereof, but also to a great
extent on their Weltanschauung [235].

L'esame di una sterminata letteratura, in cui forme e versioni diverse sono


frequentissimamente equivocate o reinterpretate per l'occasione, consente di prendere
atto di come la confusione attorno al principio antropico sia grande, persistente e
praticamente ineliminabile [236].
Ciononostante, malgrado le tante differenze, è cosa comune riferirsi al "principio
antropico" come a quella "collezione di idee" che, al di là delle sue specifiche
espressioni e in ognuna delle sue varie forme, stabilisce un rapporto fra la struttura
dell'universo e la vita intelligente [237].
Così John Wheeler, nella prefazione al volume di Barrow e Tipler, usa il singolare e
chiede:

What is the status of the anthropic principle? Is it a theorem? No. Is it a mere tautology,
equivalent to the trivial statement, "the universe has to be such as to admit life, at some
point in its history, because we are here?" No. Is it a proposition testable by its predictions?
Perhaps. Then what is the status of the anthropic principle? [238]

Wheeler lascia libero il lettore di dare una risposta a quest'ultima domanda. Da parte
mia credo che un qualsiasi tentativo di risposta debba spingersi a contemplare
globalmente una situazione che coinvolge attitudini e ambizioni dell'intera ricerca fisica
e cosmologica più avanzata e che ha radici nel problema profondo della relazione fra
necessità e possibilità.
A seconda dei casi le argomentazioni antropiche sono state viste come una sterile
riproposta di idee obsolete e come un vuoto gioco di prestigio fatto per stupire [239],
come un sussidio per problemi che non riusciamo a spiegare, come stimoli "per fare un
po' di utile ginnastica mentale" [240], come sintomi di un sentimento di "disperazione"
che pare pervadere certi ambiti della fisica fondamentale [240a], come metaprincipi di
natura extrascientifica con una loro (autentica o presunta tale) utilità euristica o come
enunciati che rivelano la loro importanza fondamentale quando è richiesto di giudicare
opzioni teoriche concorrenti nell'ambito straordinario della cosmologia.
Spesso il principio antropico è stato messo in alternativa a spiegazioni più profonde ma
mancanti. Hawking, fra gli altri, ha detto che per evitare l'appello al principio occorre

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una "teoria di unificazione che dia conto delle condizioni iniziali dell'universo e dei
valori delle costanti fisiche" [241].
Il grande problema sottostante all'intera discussione resta quello del significato di
termini come statistica o probabilità in cosmologia dove ci si deve confrontare con il
problema dell'unicità dell'Universo o, in maniera ancora più esplicita, quello della
natura "peculiare" della cosmologia come scienza [242].
Tale problema è divenuto ancora più delicato dopo l'avvenuto connubio con la fisica
fondamentale. Se infatti la concezione dell'universo come "acceleratore di particelle dei
poveri" [243] ha condotto lo studio della cosmologia a un grado di dignità scientifica
molto più elevato rispetto agli anni in cui McCrea, Bondi, Sciama, Whitrow, Munitz e
altri si occupavano dei problemi filosofici di tale scienza; le questioni irrisolte hanno,
d'altra parte, indirizzato la speculazione fisico-cosmologica verso schemi
matematicamente consistenti ma estremamente lontani dalle energie disponibili alla
pratica sperimentale.
A proposito della grande questione dell'apparente "sintonia fine" (fine tuning) fra le
diverse costanti di natura o fra le proprietà dell'universo osservato, alcuni fisici sono
rimasti incerti fra considerare una qualche forma del principio antropico come la miglior
"spiegazione" possibile o come un "tappabuchi momentaneo" [244]. Alcuni hanno
riconosciuto al principio antropico principalmente (e forse esclusivamente) la capacità
di "alleviare" lo stato di perplessità e sorpresa sollevato dalle molte strane coincidenze
che si manifestano nello studio della natura [245]. Altri hanno interpretato tali
coincidenze come la testimonianza di un universo fatto a misura d'uomo e hanno
considerato l'eventuale "rilevanza" o essenzialità della mente per l'esistenza stessa del
cosmo [246].
Nella prima pagina del loro saggio Barrow e Tipler hanno scritto che il principio
antropico è "un mezzo per collegare direttamente la Mente e l'osservazione ai fenomeni
tradizionalmente compresi entro le scienze fisiche".
Ciò porta inevitabilmente a entrare nel tema della metafisica e dell'eventuale aspirazione
alla trascendenza rivelata in generale dalla fisica più recente e, in particolare, proprio
all'interno del dibattito sul principio antropico.
Occorre comunque fare grande attenzione a non confondere fisica, metafisica e
metafisiche personali che, su vari livelli, contraddistinguono le proposte dei fisici.

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A tale proposito, Joe Rosen ha scritto che si può considerare "sostanzialmente


metafisica" l'intera cosmologia [247]. Questa affermazione è però comprensibile solo se
è anche precisato che, per metafisica, è qui inteso tutto ciò che non rientra nel dominio
della scienza sperimentale usuale e che viene da lui considerato filosofia della fisica.
Rosen nega che ci sia una ricerca di trascendenza nell'attitudine dei teorici antropici e ha
la sua parte di ragione. Sicuramente infatti non c'è un contrasto fra una
Lebensphilosophie e una visione deterministica della natura [248]. Nonostante alcune
interpretazioni di senso opposto, i teorici antropici sono, almeno in una prospettiva
ontologica, dichiaratamente dei riduzionisti convinti!
Tipler, così come Weinberg, sostiene che "le forze e le particelle studiate dalla fisica
sono la 'sostanza' che costituisce la realtà, al livello più elementare" [249] e aggiunge
che "la verità della metafisica si saggia con le prove sperimentali della fisica" [250].
Tipler e Weinberg, su un altro livello, manifestano d'altra parte credenze profondamente
diverse. Si pensi ad esempio all'ottimismo cosmico di Tipler e alla nota indifferenza
dell'uomo nel piano cosmico dichiarata da Weinberg in una celebre pagina de I Primi
Tre Minuti [251].
Il dibattito sul principio antropico implica una presa di posizione personale su molti
temi in qualche modo collegati (considerare la vita essenziale all'Universo o, al
contrario, un epifenomeno; assumere una credenza sull'esistenza di vita extraterrestre;
credere o meno in una qualche "spiegazione ultima" ad un livello ontologico ecc...) ed
alcuni fisici abbandonano ogni cautela e manifestano apertamente la loro aspirazione
alla trascendenza. Si pensi ad esempio a Nicola Dallaporta, il quale ritiene che la
cosmologia debba liberarsi dalle prevenzioni materialistiche e indirizzarsi anche in una
prospettiva "verticale" che lasci intravedere "i piani non materiali" [252].
Di fronte a questo ampio spettro di posizioni, talvolta palesemente contraddittorie, è
importante ricordare (o, per meglio dire: riadattare) la distinzione indicata da Kragh fra
una filosofia DELLA cosmologia (l'analisi filosofica e metodologica del campo di
studio del cosmologo da parte del filosofo professionista) e la filosofia NELLA
cosmologia (tutta la serie di considerazioni filosofiche che i ricercatori che si occupano
dello studio dell'universo hanno introdotto o ancora introducono nelle loro indagini).
In parte della speculazione cosmologica più recente le due aree sopra indicate spesso si
confondono o vengono confuse [253]. Tant'è che molti cosmologi tendono, se non a

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reclamare il diritto a occuparsi in esclusiva dell'analisi filosofica della loro disciplina,


quantomeno a rivendicare il loro diritto a fornire sensate risposte a domande
tradizionalmente di competenza della filosofia.
Si pensi ad esempio a come molti interrogativi del tipo "perché ..." siano divenuti ormai
abituali nella letteratura specialistica.
Ora, la stessa evoluzione delle argomentazioni antropiche può essere messa in relazione
con un percorso segnato da tre tipi di interrogativi cosmologici. I primi riguardano le
evidenze osservative che non trovano soluzione nel modello standard e propongono
questioni "tecniche" come: "perché Ω0 ≈ 1?", "perché l'espansione è così isotropa?",
"perché vi sono nell'universo circa 108 fotoni per ogni barione?". Da questo tipo di
interrogativi si passa a domande, magari non formulate come dei "perché", che però
invocano meccanismi e scenari estranei al modello standard:

1 What exist before the inflationary stage;

2 can one imagine the creation of our universe from "nothing";

3 does the possibility exist of the eternal (without any beginning) creation of "universes",
tied together in a topological sense but totally unobservable to us;

4 are there different universes characterized by different physical laws; and

5 connected with the previous question, is our Universe (or our part of the Universe)
distinguished by conditions conductive to life and human civilization (the anthropic
principle)? [254]

In questa lista, dovuta a Zel'dovich e Starobinskii, il principio antropico è lasciato


significativamente per ultimo, come un preludio a domande ancora più profonde che
nuovamente coinvolgono il termine "perché". Queste sono le domande classiche della
metafisica trasportate nell'ambito della cosmologia scientifica.
Interrogativi come "perché il mondo è così com'è?", o la grande questione di Leibniz e
Heidegger: "perché c'è qualcosa anzichè niente?" non sono nuovi per i fisici. È abituale
ricordare, ad esempio, che fu Einstein (in una conversazione con Straus spesso citata) a
porre la domanda "Dio potrebbe creare diversamente il mondo?".
Il punto è che tale questione, chiamata spesso il "problema dell'unicità" [255], è
divenuta un problema della fisica (espresso, ad esempio, nel contesto di certe GUT)
piuttosto che di alcuni fisici. Nel percorso è coinvolta la dicotomia fra principio
antropico e esigenza di una spiegazione più profonda.

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Le vicende storiche attraversate dai modelli inflazionari consentono di illustrare tre fasi
in cui si svolge tale dicotomia: nella prima vi è l'alternativa rigida fra la selezione
antropica e una "soluzione possibile" (più profonda) dei problemi dell'orizzonte e della
piattezza [256]; nella seconda - dpo aver "trascinato" i vecchi enigmi "oltre l'orizzonte"
[257] - sorge il problema di un certo parametro (il potenziale del campo scalare che
regola le transizioni di fase) che: o rimanda al WAP o a una spiegazione ancora più
profonda; nella terza fase, infine, il WAP "spiega" perché siamo qui, mentre gli esiti
delle leggi comportano un universo caotico.
Il fatto che oggi "nelle ricerche cosmologiche ci si imbatte in un interrogativo insistente
e non facilmente eliminabile" come quello dell'unicità costituisce quantomeno un
sintomo delle aspirazioni e delle ambizioni dei cosmologi contemporanei [258]. Essi
molto spesso, anche se in modi diversi, hanno avvertito la necessità di "superare il
confine" che sancisce la distinzione fra la cosmologia fisica e il tradizionale significato
di Cosmologia. Quest'ultima (della quale la cosmologia fisica rappresenta un aspetto)
"fa riferimento" - come scrive Ellis - "a una visione globale del mondo" in cui le
domande sul significato del mondo non solo hanno diritto di cittadinanza ma sono il
motore stesso che guida l'indagine [259].
Nel dibattito sul principio antropico si confrontano e si confondono prospettive
radicalmente diverse. Accanto alle forme più estreme del riduzionismo militante (in cui
l'ambizione a una teoria del tutto coincide con la dimostrazione dell'irrilevanza di
immotivate creature quali noi siamo [260]) trovano spazio la concezione di osservatore
partecipante di Wheeler e quella di "osservatore cosmico universale" di Zabierowski, la
Boundless Existence di Munitz, il "requisito etico" di Leslie, la dimensione verticale di
Dallaporta e la "sintesi più profonda" a cui allude Ellis [261]. Il materialismo ortodosso
di Idlis convive con l'idealismo assoluto insito nell'immagine dell'universo come
Programma Universale Astratto [262]. Le risposte agli interrogativi che si incontrano in
questo intricato labirinto possono essere e sono molteplici, i punti di vista possono
essere e sono divergenti e molto lontani l'uno dall'altro, ma è la considerazione stessa di
certi interrogativi entro l'ambito comune della ricerca cosmologica che rappresenta un
dato saliente con il quale è divenuto indispensabile confrontarsi.

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare: Silvio Bergia, Giovanni Boniolo, Alberta Rebaglia, Arcangelo


Rossi, Michael Stöltzner per aver letto una prima versione del manoscritto e per aver ad
esso contribuito con critiche e suggerimenti; Cesare Bardaro per avermi aiutato nelle
traduzioni dal russo; Tommaso Tozzi, Matteo Abbate e Marco Salmoiraghi per la loro
pazienza e competenza nell'uso dei computer; Pina Basile e Antonella Gasperini, della
biblioteca dell'Osservatorio astrofisico di Arcetri, per la loro insostituibile
collaborazione; Yuri Balashov, John Barrow, Brandon Carter, Freeman Dyson, John
Ellis, George Gale, Alex Gurshtein, Dominique Lambert, Martin Rees, Dennis Sciama,
Miroslaw Zabierowski, per aver gentilmente risposto ad alcuni miei interrogativi.
Chiudo con alcuni ringraziamenti particolari. Il primo va a Luciano Floridi e Roberto
Miraglia per il loro lavoro editoriale e per aver consentito la pubblicazione di questo
mio lavoro. Il secondo va a George F. R. Ellis per la sua disponibilità e per aver messo a
mia disposizione fonti che, come i preprint inediti di Carter, parevano altrimenti essere
stati perduti o dimenticati da tutti.

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POSTILLA (2001)
Questo lavoro è stato scritto nel 1997. Originariamente destinato a una rivista che nel
frattempo pare aver sospeso le pubblicazioni, è stato oggetto di varie traversie ed ha
seriamente rischiato di cadere nell'oblio.
A distanza di quasi quattro anni ho avuto finalmente la possibilità di pubblicarlo sul sito
dello SWIF.
Come spesso avviene, oggi avrei certamente scritto in modo diverso alcune parti del
testo. Ho comunque preferito attenermi alla stesura originale, limitandomi
semplicemente ad apportare alcune minime correzioni stilistiche o ortografiche in
occasione della ri-scrittura del testo in formato html.
Naturalmente, in questi quattro anni sono avvenute varie cose attorno ai "principi
antropici" e agli altri temi discussi. Fra le altre cose, agli argomenti antropici sono stati
dedicati vari siti web molto ben curati e facilmente raggiungibili a partire dal sito
http://www.anthropic-principle.com/ Anche la letteratura si è espansa e, in questa
postilla, cercherò di fornire una rassegna generale di alcuni dei lavori realizzati negli
ultimi quattro anni.
Preliminarmente, ritengo però necessario notare come la rete abbia introdotto delle
novità sostanziali per quel che riguarda la comunicazione fra gli scienziati e la
comunicazione del sapere in genere. Gran parte dei preprint dei fisici e degli astrofisici
sono infatti oggi disponibili in rete e spesso accade che i suggerimenti o le critiche dei
colleghi comportino revisioni dei testi originari in una sorta di continuo work in
progress.
Una simile interazione e la facilità di acquisizione di molti documenti rappresenta
senz'altro una situazione senza precedenti della quale lo storico o il sociologo della
scienza non può che prendere atto.
Proprio in rete (o, se non altro, in prima istanza in rete) è possibile così prendere visione
di una nutrita serie di lavori in cui sono state invocate o comunque discusse le
applicazioni dei principi antropici alla cosmologia.
Uno dei temi centrali discussi in questi ultimi anni da astronomi e cosmologi è stato
quello delle anisotropie del fondo di radiazione cosmica. Non stupisce perciò che una
delle più rilevanti applicazioni recenti del ragionamento antropico in cosmologia sia
consistita nella determinazione dei vincoli imposti dalla nostra esistenza ai valori di

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parametri quali l'ampiezza Q delle fluttuazioni di densità del fondo di radiazione


cosmica, il parametro di curvatura Ω e la costante cosmologica Λ.
Le osservazioni del satellite COBE nei primi anni novanta [263], le più recenti surveys
sulla struttura di larga scala dell'universo osservabile e vari altri esperimenti, hanno
mostrato che (assumendo che esso sia indipendente dalla scala considerata) il numero
adimensionale Q = ∆T/T ha un valore molto piccolo: circa 10-5 [264].
Allo stato attuale delle conoscenze tale numero non è in alcun modo derivabile da
principi primi ed è di fatto considerato come puramente casuale. Di conseguenza è stato
praticamente inevitabile considerare gli effetti di selezione antropica su Q e porsi la
domanda "perché il livello di fluttuazione del fondo di radiazione cosmica è 10-5?"
In particolare, Max Tegmark e Martin Rees sollevarono tale interrogativo in un lavoro
congiunto che apparve sul numero dell'1 giugno 1998 dell'Astrophysical Journal. Essi
mostrarono che con Q ≤ 10-6 si sarebbero formati "oggetti cosmologici" con
temperature viriali troppo basse per consentire la condensazione delle galassie, la
formazione delle stelle e degli elementi pesanti necessari alla "vita planetaria"; mentre
con Q ≥ 10-4 si sarebbero formate "galassie dense supermassive" che avrebbero reso
instabili le orbite planetarie o addirittura provocato (per valori di Q molto maggiori di
10-4) il collasso in buchi neri supermassivi di gran parte delle strutture legate
gravitazionalmente [265].
Come fondamento per i loro calcoli Rees e Tegmark hanno assunto Ω = 1 e Λ = 0.
Naturalmente però fra i valori dei tre parametri Q, Ω e Λ vige un'interconnessione molto
delicata. Valori diversi del parametro di densità e della costante cosmologica
impongono pertanto una serie di considerazioni ulteriori [266] e un ulteriore appello a
quegli "scenari cosmologici controfattuali" [267] ai quali Rees si è significativamente
rivolto come alla fabric of other universes [268].
I particolari valori di Ω e Λ sono stati d'altra parte a loro volta al centro di varie
indagini, sorte il più delle volte nel contesto di una qualche proposta di cosmologia
inflazionaria e spesso in qualche modo connesse con i principi antropici.
A proposito delle speculazioni più recenti concernenti l'inflazione [269], occorrono
comunque alcune considerazioni preliminari; considerazioni che non smentiscono, ma
vanno anzi intese come complementari a quelle qui svolte nei paragrafi 10 e 12.

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Negli ultimi anni si è avuta infatti un'enorme proliferazione di scenari inflazionari e


sono state messe a punto idee e concezioni che non solo hanno pochi punti di contatto
con le originarie proposte di Starobinsky, Sato o Guth [270], ma risultano per molti
aspetti anche assai diverse fra loro.
Una disamina critica del "programma di ricerca" che accomuna la "grande famiglia di
teorie e modelli" inflazionari proposti è stata recentemente messa a punto in un lavoro
di John Earman e Jesus Mosterin al quale rimando [271]. Qui mi limiterò a segnalare
che gran parte dei più recenti modelli inflazionari sono caratterizzati da un campo
scalare, chiamato "campo inflaton" [272], che non ha più niente a che vedere con il
campo di Higgs (associato ai bosoni supermassivi X e Y di certe Grand Unified
Theories) a suo tempo invocato da Guth [273].
Il campo inflaton è infatti oggi fondamentalmente concepito come un meccanismo che
ha semplicemente lo scopo di far svolgere il periodo inflazionario e implica di solito il
ricorso ad una fisica fondamentale sostanzialmente nuova. I caratteri specifici di tale
meccanismo variano di modello in modello [274] e - in certi casi - implicano per di più;
la presenza di due distinti campi scalari e/o di due fasi inflazionarie.
A dispetto delle ambizioni della teoria dell'inflazione nelle sua forma originaria, le
opzioni teoriche attualmente in discussione vedono ripresentarsi il problema delle
condizioni iniziali. Sebbene infatti una delle principali attrattive della "vecchia
inflazione" fosse quella di cancellare la dipendenza dello stato attuale dell'universo
osservato da condizioni iniziali molto peculiari, oggi si è costretti a tener presenti i
vincoli sul potenziale scalare [275] e a non sottovalutare la questione delle condizioni
iniziali della fase pre-inflazionaria. Non paiono infatti esservi spiegazioni prive di
ambiguità o di aspetti ad hoc del perché il campo inflaton si trovasse inizialmente
lontano dal minimo autentico del suo potenziale effettivo.
L'inflazione "eterna", da questo punto di vista, rappresenta un tentativo di rendere
superflua una teoria delle condizioni iniziali, ma va nondimeno incontro a una serie di
problemi (la cosiddetta "predictability crisis") legati alla trattazione probabilistica di
quantità infinite.
Le novità e le difficoltà peraltro non si esauriscono qui.
Un aspetto notevole delle ricerche più recenti consiste ad esempio nell'esistenza di una
classe di modelli inflazionari che non richiedono al valore di Ω di approssimare

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necessariamente l'unità al termine della fase di espansione accelerata. Questa


caratteristica, condivisa da varie proposte teoriche, da una parte lascia aperta la
possibilità di un accordo con quelle osservazioni che sembrano implicare un universo
aperto di bassa densità dall'altra, sembra però inesorabilmente implicare l'accettazione
di "una qualche manovra antropica" [276].
Un'altra caratteristica notevole delle più recenti speculazioni riguarda poi i "problemi"
[277] legati alla "costante cosmologica"; problemi che continuano a presentarsi come
fondamentali e, allo stesso tempo, ineffabili.
La costante Λ parrebbe infatti costituire non un semplice parametro libero della teoria
cosmologica, ma una delle quantità autenticamente fondamentali della fisica teorica
[278].
Il "vecchio" grande problema della costante cosmologica consiste nella comprensione
del meccanismo con il quale si passa da un valore estremamente elevato di Λ durante
l'era inflazionaria ad un valore assai prossimo a 0 al termine di tale era. In altre parole,
consiste nel chiarire perché l'energia del vuoto sia attualmente qualcosa come 120 ordini
di grandezza più piccola di quello che ci si aspetterebbe che fosse.
A questo problema ormai annoso, si è aggiunto un "nuovo" interrogativo, legato in gran
parte al responso di una serie di osservazioni relative alle supernovae di tipo Ia lontane
[279].
Tali osservazioni sembrano infatti implicare un universo in accelerazione (un universo
cioè in cui il parametro di decelerazione q è negativo [280]) e sembrano
necessariamente richiedere la presenza di un piccolo valore positivo della costante
cosmologica [281]. Ciò che intriga di più i fisici è la particolare sintonia fra l'ordine di
grandezza che pare così doversi assegnare alla densità d'energia del vuoto e l'attuale
densità di massa dell'universo.
Per affrontare i "problemi" della costante cosmologica sono state elaborate varie linee
d'azione, una delle quali - come già notato nel capitolo 10 - è incentrata
sull'applicazione dei principi antropici.
Negli ultimi quattro anni la questione delle soluzioni antropiche dei problemi della
costante Λ è stata affrontata in numerosi lavori [282]. Uno degli argomenti centrali
discussi in tali lavori è stato quello della distribuzione di probabilità a priori dei valori
della costante cosmologica in una varietà di domini distinti dell'universo o, più

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esplicitamente, di sub-universi. Non entrerò qui nei dettagli perché ciò porterebbe
lontano dalle prerogative di questa postilla. Gran parte degli articoli segnalati nella nota
282 sono comunque accessibili in rete e il lettore può scaricarseli senza problemi in
formato PDF disponendo di Acrobat Reader.
Tornando al contesto della cosmologia inflazionaria, e in particolare a quegli scenari
che implicano Ω ≠ 1, sono a sua volta da segnalare una serie di lavori che - per un
motivo o per l'altro - hanno contribuito ad alimentare il dibattito sui principi antropici e
sulle loro applicazioni. Anche in questo caso il tema ricorrente riguarda la distribuzione
di probabilità delle costanti di natura (inclusa ovviamente Λ).
Un dibattito di una certa rilevanza si è ad esempio svolto a proposito dello scenario di
inflazione aperta (dalla quale cioè può emergere un universo aperto con Ω ≠ 1) proposto
da Hawking e Neil Turok nel febbraio del 1998 [283].
Sfruttando l'approccio di Hartle e Hawking alla cosmologia quantistica [284] e alle
condizioni iniziali dell'universo (approccio, detto "privo di confini" [no boundary], che
presume il ricorso ai metodi euclidei per quantizzare la gravità e fa corrispondere ad un
integrale di percorso la probabilità della creazione dal nulla di un universo con
determinate proprietà) Hawking e Turok hanno costruito un modello inflazionario
caratterizzato da un potenziale piuttosto semplice e che non richiede la presenza di uno
stato di "falso vuoto".
Tale modello consente l'evoluzione di un universo aperto creato dal nulla attraverso una
regione finita in cui la coordinata temporale diviene immaginaria (tecnicamente
l'instanton [285]). Questa regione si evolve nello spazio/tempo con sezioni spaziali di
geometria iperbolica e finisce per essere raffigurabile come l'interno di una bolla che
appare però di estensione infinita a un osservatore in essa collocato.
Il punto è che l'instanton proposto da Hawking e Turok possiede una singolarità [286],
la cui presenza è risultata assai controversa [287]. Solo in un secondo tempo Turok e
collaboratori hanno infatti dimostrato che la singolarità in questione può essere
eliminata con una particolare scelta del sistema di coordinate [288].
Già in precedenza, ad ogni modo, Hawking e Turok erano riusciti - attraverso gli
instanton da loro proposti - a calcolare la probabilità che un universo inflazionario
avesse inizio con un particolare valore del campo scalare. In maniera piuttosto

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sconcertante, essi avevano però trovato che gli universi più probabili generati attraverso
la loro proposta erano caratterizzati da un valore assai basso di Ω.
Per ovviare al problema i due autori hanno allora fatto ricorso (sia pur "con una qualche
riluttanza") a un approccio bayesiano fondato su un "argomento antropico" [289].
Anche in questo caso hanno però calcolato che il valore attuale più probabile di Ω deve
essere prossimo a 0,01; un valore decisamente troppo basso [290] per accordarsi con
quello dell'universo osservabile [291].
Lo scenario di inflazione aperta presentato da Hawking e Turok e la loro "stima
antropica di Ω0" [292] sono state al centro di un intenso scambio di vedute che ha
coinvolto autori quali Alexander Vilenkin, Andrei Linde, Jaume Garriga e Vitaly
Vanchurin. Tali autori hanno messo in discussione sia l'approccio di Hartle/Hawking
alla funzione d'onda dell'universo, che alcuni degli assunti da loro adottati nella stima di
Ω 0.
In particolare, Vilenkin si è fatto portavoce di un modello di inflazione eterna in cui
nuovi domini inflazionari aperti vengono continuamente a crearsi attraverso un effetto
tunnel quantistico [293]. Nello scenario da lui proposto non solo vi è un numero infinito
di bolle inflazionarie, ma ogni bolla (pur possedendo ovunque i medesimi valori delle
costanti fondamentali e di altri parametri cosmologici) contiene a sua volta "un numero
infinito di regioni con valori differenti di Ω" [294].
Un tale approccio è globale poiché figura un'immagine del "metauniverso" in cui
l'inflazione non rappresenta semplicemente una breve fase di espansione accelerata
avvenuta nei primi istanti dell'evoluzione di una certa bolla, bensì un processo che si
ripresenta continuamente nelle regioni che presentano le opportune condizioni (quelle
regioni, cioè, in cui il campo scalare assume valori sufficientemente elevati).
Su queste basi, Vilenkin ha da una parte sottolineato che l'instanton di Hawking e Turok
implica "conseguenze fisiche inaccettabili" [295] e - dall'altra - ha suggerito il ricorso ad
una versione del principio antropico differente da quella usata dai suoi due colleghi.
Secondo il cosmologo russo, infatti, il "fattore antropico" che fa la sua comparsa nei
calcoli non deve essere proporzionale alla densità spaziale (come richiesto da Hawking
e Turok), ma piuttosto "al numero di osservatori che misurano il corrispondente valore
di Ω [296].

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Questa richiesta è una conseguenza di quella che lo stesso Vilenkin ha definito la sua
"versione favorita del principio antropico" e chiamato "principio di mediocrità [297]. Si
tratta, come accennato in chiusura del paragrafo 3 (nella parte I del presente lavoro), di
una versione del principio antropico che costituisce un'"estensione del principio
copernicano" [298] e che vine presentata come "molto più quantitativa" [299] di quella
adottata da Hawking e Turok e da altri autori in circostanze analoghe [300].
Nel '98 Vilenkin ha riformulato il principio di mediocrità richiedendo che "i valori dei
parametri cosmologici che stiamo andando a misurare non [siano] speciali" [301] (in
altre parole: assumendo che "siamo osservatori tipici che devono osservare ciò che
osserverebbe la grande maggioranza degli osservatori" [302]) ed ha quindi ridiscusso le
caratteristiche del "fattore antropico" che entra nella stima del parametro Ω [303].
Nello scenario proposto da Vilenkin la probabilità di trovare un certo valore di Ω in un
certo intervallo dΩ deve essere "proporzionale al numero delle civiltà che misureranno
Ω in quell'intervallo" [304]. Ne consegue che non dobbiamo stupirci di vivere in
un'epoca in cui, nella nostra regione di un universo aperto, il parametro Ω differisce
"sostanzialmente" sia da 0 che da 1 e in cui, allo stesso tempo, il contributo della
curvatura sta per assumere un ruolo dominante.
Fra le altre cose Vilenkin nota che, nel contesto del suo modello, non si può fornire
un'ulteriore spiegazione della coincidenza antropica fra l'ordine di grandezza dell'epoca
attuale, il tempo necessario alla formazione delle galassie tG (compreso fra 109 e 1010
anni e dipendente dal valore del parametro Q) e l'arco di vita caratteristico di una stella
della sequenza principale tS (tempo di circa 1010 anni che dipende dai valori delle
costanti fondamentali [305]). Sulla base del principio di mediocrità egli mette quindi in
evidenza che vi è invece un'alta probabilità di osservare una coincidenza fra il tempo tG
(che è fisso nel contesto del suo modello) e l'epoca in cui la curvatura sta per divenire
dominante (che risulta una variabile nel modello proposto).
Aggiungo che Vilenkin è tornato sul calcolo della distribuzione di probabilità di Ω nel
contesto dell'inflazione aperta in un lavoro scritto insieme a Garriga e Takahiro Tanaka.
In quest'ultimo saggio i tre autori hanno precisato che la probabilità ricercata dipende da
almeno tre fattori: un fattore legato all'effetto tunnel del campo scalare che determina la
formazione di una bolla; un fattore legato all'entità del periodo inflazionario in diverse

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regioni dell'interno della bolla e un "fattore antropico che determina il numero di


galassie che si svilupperanno per unità di volume termalizzato" [306].
Nel 1999, Vanchurin, Vilenkin e Winitzki hanno quindi riconsiderato la questione
generale delle predizioni probabilistiche dei valori osservabili delle costanti di natura
nel contesto dell'inflazione eterna ricorrendo al principio di mediocrità [307]. In questa
circostanza, affidandosi ad una serie di metodi matematici che esulano dal contesto di
questa rassegna, essi hanno ripreso una linea di ricerca già precedentemente sviluppata
in numerose occasioni [308].
Non voglio aggiungere altro sulle speculazioni legate all'inflazione aperta o alla
cosmologia quantistica. In linea di massima risulta comunque evidente che questi settori
di studi sono necessariamente caratterizzati dall'appello a una collezione di universi e
che, in tali ambiti, la pratica di condizionare la misura della probabilità imponendo agli
universi i vincoli antropici di un universo osservato o osservabile può rivelarsi un utile
strumento di lavoro.
Cionostante, l'uso di un principio antropico è il più delle volte riconosciuto come una
sorta di ultima spiaggia o "un ripiego" [309] al quale si spera di poter trovare
un'alternativa puramente teorica [310]. Tant'è che alcuni autori, non nascondendo la
consueta preoccupazione per i pericoli delle interpretazioni teleologiche, hanno
sostenuto che la teoria delle stringhe potrebbe rivelarsi capace di rendere del tutto
superflua qualsiasi argomentazione antropica [311].
Un'autorevole voce a favore di questa tesi è stata senz'altro quella di Brian Greene, il
quale ha scritto - nel suo The Elegant Universe - che l'idea del principio antropico (e
quella del multiverso con essa) è "diametralmente opposta al sogno di una teoria rigida,
unificata, con un potere di previsione senza limiti, secondo la quale le cose sono come
sono perché l'universo non potrebbe essere differente" [312].
Per contro, Craig Hogan di Washington ha invece sottolineato che gli "argomenti
antropici" formano "una parte importante della teoria cosmologica".
In un'estesa rassegna dello status attuale del "ragionamento 'antropico'" apparsa sulla
Reviews of Modern Physics [313] quest'ultimo autore ha formulato esplicitamente la
domanda "quali cose del mondo sono accidentali, quali cose sono necessarie?"e ha
suggerito che una serie di proprietà fisiche potrebbero essere irriducibili a simmetrie ed
eludere così una "spiegazione matematica elegante".

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L'età attuale dell'universo, la scala temporale caratteristica dell'evoluzione biologica, la


sintonia fine dei parametri cosmologici e le coincidenze che coinvolgono una sempre
più lunga serie di combinazioni fra i parametri del modello standard delle particelle
elementari sono state presentate da Hogan (in un'analisi che amplia quelle precedenti di
Carter, Carr e Rees ecc.) come proprietà "selezionate da un insieme di possibilità" e
discusse "alla luce di recenti sviluppi in astrobiologia, cosmologia e fisica
dell'unificazione".
In particolare, Hogan ha avanzato la predizione secondo la quale le masse dei quark up
e down e di una costante d'accoppiamento potrebbero essere, persino in una teoria del
tutto, determinabili solo attraverso l'appello ad "una scelta fra un insieme grande o
continuo".
Di fronte a queste conclusioni, Kane, Perry e Zytkow hanno replicato che le tesi di
Hogan e qualsiasi argomento antropico risulteranno irrilevanti "se la teoria delle
stringhe è l'approccio corretto alla comprensione della/e legge/i di natura e dell'origine
dell'universo" [314].
Al di là delle usuali diatribe fra sostenitori e avversari dei principi antropici, resta
comunque un fatto che molti fisici ammettono di trovarsi in una situazione un po'
paradossale. Non a caso, Steven Weinberg ha paragonato il rischio a cui va incontro un
fisico che discute del principio antropico con quello a cui si sottopone un prete che parla
di pornografia. In entrambi i casi, anche di fronte a posizioni di esplicita ostilità, vi sarà
sempre qualcuno che continuerà a biasimare il fisico o il prete attribuendogli un
eccessivo interesse per l'argomento considerato [315].
I filosofi e gli scienziati di inclinazione più filosofica hanno d'altra parte continuato a
sostenere che, più che le singole "predizioni antropiche", sono la connessione fra l'uomo
e l'universo e la possibilità di un "ruolo cosmico dell'Uomo" a costituire il motivo
centrale del dibattito sui principi antropici [316].
La summenzionata rassegna di Hogan consente in ogni caso di mettere in evidenza
come le applicazioni dei principi antropici in ambito astrofisico e/o cosmologico non si
siano limitate - anche nel corso degli ultimi quattro anni - ai valori dei parametri Q e Ω
o della costante Λ.
In qualche modo in controtendenza con gli scenari dell'inflazione eterna, l'astronomo
serbo Milan M. Cirkovic ha ad esempio rielaborato i ragionamenti antropici di Tipler e

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Davies contro le cosmologie stazionarie "che postulano un universo eternamente


esistente" [317].
Vorrei poi segnalare un paio di saggi (risalenti entrambi al '97) di V. Agrawal, S. M.
Barr, J. F. Donoghue e D. Seckel dove "argomenti antropici" e l'idea di una collezione
di universi sono stati sfruttati per "spiegare" come mai il valore del parametro di massa
µ2 che determina la scala dell'interazione debole sia più prossimo alla scala caratteristica
della cromodinamica quantistica che a quella di Planck [318].
Rifacendosi a questa conclusione Tesla E. Jeltema e Marc Sher hanno a loro volta
indagato gli effetti del parametro µ2 sul triplo processo α nelle stelle [319]. Il significato
antropico di tale processo (che era stato a suo tempo messo in rilievo da Salpeter e -
come si è visto [320] - da Hoyle) è stato quindi nuovamente analizzato dagli austriaci
Heinz Oberhummer e Rudolf Pichler e dall'ungherese Attila Csoto [321].
Una miscellanea di altri lavori recenti include inoltre:
- Una memoria di Barrow in cui è presa in esame la questione della piccolezza
dell'entropia di radiazione rispetto a quella di Bekenstein-Hawking entro il raggio di
Hubble negli universi isotropi in espansione [322].
Barrow ha considerato i vincoli antropici sui valori dell'entropia di materia e radiazione
negli universi FLRW e sull'entropia di Bekenstein-Hawking nell'universo osservabile
(un valore, quest'ultimo, che rappresenta la massima entropia possibile che può essere
posseduta dalla parte osservabile del cosmo) ed ha messo in risalto che la nostra
esistenza non sarebbe possibile se non si presentasse un sostanziale divario fra i due
valori in questione.
- La formulazione di un principio antropico di curvatura (curvature anthropic principle)
che suggerisce di considerare la curvatura negativa come una condizione necessaria per
un universo asimmetrico rispetto al tempo abitato [323].
- Alcune considerazioni antropiche nell'ambito della cosmologia degli assioni [324].
- Un'analisi di John F. Donoghue in cui sono considerati i possibili effetti sui vincoli
antropici di una variazione delle masse fermioniche in regioni diverse di un universo
inflazionario [325].
Negli ultimi anni sono state proposte anche nuove applicazioni del principio antropico
alla biologia. Fra queste ricordo qui una serie di articoli che riconsiderano alcuni dei
punti toccati da Carter nell'83.

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Mario Livio ha ad esempio concluso che, contrariamente a quanto allora sostenuto da


Carter, la prossimità "fra l'arco di vita del sole e la scala temporale dell'evoluzione
biologica sulla terra non implica necessariamente che le civiltà extraterrestri [siano]
eccessivamente rare" [326].
Gli argomenti sui passi cruciali dell'evoluzione, anch'essi discussi da Carter nell'83,
sono invece stati ridiscussi in un lavoro di Robin Hanson [327] e in una memoria di A.
Feoli e S. Rampone dell'Università di Salerno. I due autori di quest'ultima memoria
hanno anch'essi avanzato una revisione della formula di Carter sui passi critici
dell'evoluzione umana e (una volta tenuto conto della "quantità di posti in cui
l'evoluzione può aver luogo") suggerito infine una "versione più forte" del SAP
denominata Mediocrity Anthropic Principle (MAP) [328].
Sul tema delle speculazioni futurologiche in generale e sulla discussione attorno alla
teoria del Punto Omega in particolare vi sarebbe ancora molto da dire. Su questo tema si
passa infatti dalle prese di posizione di scienziati allarmati dal "pericolo assai reale che
la speculazione incontrollata rappresentata dalla teoria del Punto Omega" getti
discredito sia sulla "ricerca scientifica seria" che sulla "seria ricerca teologica" [329],
alle Frequently Asked Questions poste ai collaboratori dell'Extropy Institute [330].
Gli appartenenti alla corrente di pensiero transumanista, pur essendo talvolta pronti a
sottoscrivere che le idee di Tipler vanno al più considerate come "stravaganze" [331] (e
sebbene mostrino talvolta di preferire l'approccio di Dyson all'escatologia cosmica
[332]), condividono con l'autore della "fisica dell'immortalità" la prospettiva di una
sopravvivenza "postumana" nel futuro remoto.
Il lontano futuro dell'universo e delle civiltà tecnologiche è comunque un'area di ricerca
che ha ottenuto un suo spazio nell'ambito della speculazione cosmologica. Molti autori
si sono infatti soffermati negli ultimi tempi sulla questione della sopravvivenza di una
qualche forma di civiltà intelligente nel lontano futuro di un universo aperto [333].
Lawrence Krauss e Glenn Starkman hanno ad esempio sentenziato che in un universo
infinito che si espande per sempre (e in assenza di effetti gravitazionali "esotici") la
"vita non può essere eterna" [334].
Bostrom e Cirkovic hanno rivolto la loro attenzione alla "strategia di sopravvivenza" nel
caso di molti universi, considerando l'eventuale fallimento dell'ipotesi di Tipler nel caso
del futuro di universi con costante cosmologica positiva [335]. I due autori hanno

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preferito l'espressione "ipotesi antropica finale" (FAH) a FAP ed hanno distinto quindi
fra un'interpretazione "individualistica" ("Vi è almeno una razza intelligente
nell'universo che continuerà indefinitamente ad esistere") e un'interpretazione "olistica"
("Ogni particolare razza intelligente potrebbe infine estinguersi, ma la vita intelligente
nella sua interezza esisterà indefinitamente") della FAH.
Dopo aver riformulato la FAH stessa in modo da renderla applicabile al contesto di una
collezione di universi, Bostrom e Cirkovic hanno quindi mostrato che essa potrebbe
avverarsi solo se: a) un modello di inflazione caotica fornisse una "descrizione
soddisfacente della realtà"; b) fosse possibile "la migrazione fra domini non
causalmente connessi del multiverso"; c) il tempo a disposizione prima dell'inizio della
futura fase inflazionaria risultasse sufficiente allo sviluppo di una tecnologia adeguata al
viaggio fra i differenti domini (inter-domain travel) del multiverso.
In un lavoro congiunto di Garriga, Mukhanov, Olum e Vilenkin sono state invece
affrontate le implicazioni per la sopravvivenza di lungo termine nel contesto
dell'inflazione eterna e il problema dell'eventuale trasmissione di informazioni da parte
di una civiltà destinata all'estinzione a civiltà collocate in altre regioni del metauniverso
[336].
Tale tema è stato quindi elaborato in un recentissimo contributo di Garriga e Vilenkin,
dove i due autori hanno ribadito che la sopravvivenza indeterminata di una civiltà è
estremamente improbabile. Ancora una volta i due autori hanno considerato
l'eventualità di perpetuare "la nostra eredità inviando messaggi a nuove regioni
termalizzate nel nostro futuro" [337].
Il tema più discusso degli ultimi anni è stato però il cosiddetto "argomento del giorno
del giudizio" (Doomsday Argument) al quale si è qui già accennato nella nota 34.
All'argomento probabilistico reso celebre dal libro di Leslie The End of The World sono
state dedicate svariate analisi e numerose obiezioni [338]. Non mi soffermerò però su di
esse poiché è già disponibile in rete, sul sito http://www.anthropic-principle.com/,
un'ampia documentazione sul tema.
Curato dal filosofo della scienza Nick Bostrom, il sito in questione mette a disposizione
molti dei principali saggi dedicati al Doomsday Argument e contiene inoltre alcune
rassegne curate dallo stesso Bostrom sulle questioni probabilistiche sollevate da Carter,
Gott III e Leslie e sul "ragionamento antropico" in generale [339].

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Bostrom si è rivelato negli ultimi anni come uno degli autori più prolifici sia per quel
che riguarda i temi legati al principio antropico (al quale ha fra l'altro dedicato la sua
dissertazione di dottorato, titolata Observational Selection Effects and Probability) che
alle questioni legate all'intelligenza artificiale e ad un futuro "postumano". Non a caso è
stato nel 1998 fra i fondatori della World Transhumanist Association [340]:
un'associazione (alla quale aderiscono attualmente oltre mille iscritti) che promuove lo
sviluppo di un'intelligenza superumana e l'avvento di una specie "postumana" libera
dalla sofferenza, dall'invecchiamento e dalle malattie.
Naturalmente questi temi porterebbero qui troppo lontano. Grazie ala rete il lettore
interessato ha però a disposizione la possibilità di un ulteriore approfondimento.
Tornando all'argomento del giorno del giudizio, vale la pena di constatare come esso sia
stato uno degli aspetti del dibattito sul principio antropico che più ha interessato i
filosofi.
La cosa non suona affatto strana se si considera che i paradossi legati alla teoria della
probabilità sono da sempre uno dei temi che più intrigano i filosofi della scienza.
In molti degli scritti dei filosofi sul Doomsday Argument, d'altra parte, la cosmologia (e
spesso la stessa espressione "principio antropico") è soventemente del tutto ignorata.
Questo è un segno che un principio di selezione fondato sul teorema di Bayes ha ormai
una sua autonomia al di là delle sue applicazioni cosmologiche.
Non a caso, in occasione di un'intervista da lui concessami presso l'osservatorio di
Meudon (Parigi) il 9 novembre 1998, Brandon Carter sottolineò [341] che, a dispetto
delle molte applicazioni cosmologiche del principio antropico e del titolo del volume di
Barrow e Tipler (The Anthropic Cosmological Principle), il principio antropico non
andava considerato un principio cosmologico ma un principio della scienza con (fra
l'altro) le sue applicazioni in cosmologia.

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IL LABIRINTO ANTROPICO

NOTE

1: NANOPOULOS 1980

2: BARROW 1988a, p. 355

3: ELLIS 1988a, p. 497

4: TIPLER 1989b, p. 27

5: BALASHOV 1990, p. 19

6: ABRAMOWICZ/ELLIS 1989, p. 411

7: KRAGH 1987, p. 191. Cfr. KRAGH 1996a, p. 400.

8: L'espressione explicit precept è usata ad es. in CARTER 1988, p. 187

9: Cfr. ad es. ELLIS 1988a, p. 510. BARROW/TIPLER 1986 ricorrono spesso al


plurale per riferirsi alle diverse forme del principio (ad es.: p. 274 e titoli dei capitoli 3 e
6) e così pure GARRETT/COLES 1993 p. 24 e BARROW 1993c. Nel volume di
Barrow e Tipler è invocata la possibilità di "determinare sperimentalmente" quali delle
diverse forme del principio si applicano al nostro universo (v. ad es. p. 496).

10: DELTETE 1993, p. 285. Cfr. anche: BALASHOV 1992.

11: EARMAN 1987, p. 307

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12: McMULLIN 1995

12a: REES 1997, cap. 15

13: WEINBERG 1989, p. 6

14 EARMAN 1987, p. 309. Cfr. KIRSCHENMANN 1992 e 1994.

15: LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 46

16: Come in EARMAN 1987 o in DELTETE 1993.

17: Dfn. 1: CARTER 1974, p. 293; dfn. 2: BARROW 1983, p. 147; dfn. 3:
BARROW/TIPLER 1986, p. 16; dfn. 4: TIPLER 1989b, p. 27; dfn. 5: McMULLIN
1993, p. 372/3; dfn. 6: ELLIS 1993b, p. 93; dfn. 7: HAWKING 1988, tr. it. p. 146. Tutti
i corsivi sono degli autori.

18: LESLIE 1989, p. 132; corsivi e maiuscole di Leslie. Anche in LESLIE 1986a, p.
113.

19: Cfr. rispettivamente CARTER 1988, p. 184; CARTER 1993, p. 38. Si noti che in
WESSON 1978 è usato sempre il termine anthropomorfic anziché anthropic mentre in
una delle traduzioni di ZEL'DOVICH 1981 è usato anthropogenic. ZABIEROWSKI
1988a, p. 191, afferma che in alcune traduzioni è talvolta preferito il termine
anthropological per esprimere il trasferimento di caratteristiche umane (ad es. la
percezione o anche la volontà) alla Natura 'esterna'".

20: CARTER 1983, p. 348

21: Dfn. 1: CARTER 1974, p. 294; dfn. 2: TIPLER 1982, p. 37; dfn. 3: BARROW
1983, p. 149; dfn. 4: BARROW/TIPLER 1986, p. 21; dfn. 5: TIPLER 1989b, p. 32; dfn.
6: ELLIS 1993b, p. 93. Tutti i corsivi sono degli autori. Sulla presenza in queste

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citazioni del problematico termine "dovere" vedi: MUNITZ 1986, cap. 7; SMART
1987, LESLIE 1986b, KIRSCHENMANN 1992, GALE 1997.

22: LESLIE 1982, p. 144; CARTER 1983, p. 352. Si noti inoltre che in GALE 1997, p.
207, è proposta una definizione del SAP applicata a un "dominio super-Universale"
denominata super-SAP: "The ensemble of all universes must have those properties
which allow life to develop within it at some stage in its history".

23: Cfr. rispettivamente: ROZENTAL 1981, p. 296 e ROZENTAL 1988. Un'altra


denominazione alternativa è proposta in GELL-MANN 1994, tr. it. p. 246. Gell-Mann
dice che la migliore versione del principio antropico "né banale né assurda" da lui
trovata potrebbe essere chiamata "principio IGUS-ico", dove IGUS sta per "sistemi di
raccolta e uso dell'informazione". Il contesto in cui si muove Gell-Mann è quello di una
ramificazione dell'universo nell'ambito della cosmologia quantistica e in cui gli IGUS
hanno la funzione di "osservatori dei risultati di ramificazioni quantomeccaniche".

24: BARROW 1983, p. 150; anche BARROW/TIPLER 1986, p. 22. Si noti che Barrow
denota qui come un "precetto esplicito" l'idea di genesis through observership che Jonn
A. Wheeler [WHEELER 1977, p. 7/8] aveva posto in forma interrogativa, come una
possibilità e non come una proposta. Su questo cfr. EARMAN 1987, p. 312/313.
Si confronti anche BLODWELL 1985 dove è discussa la distinzione fra WAP e PAP in
relazione al problema dell'esistenza di una collezione di mondi che coesistono in un
superspazio. Blodwell propone una "versione alternativa del PAP" (p. 271) basata
sull'idea di una pregeometria antecedente alla costruzione di un qualsiasi spazio-tempo.
Un'altra peculiare elaborazione del PAP è proposta in ZABIEROWSKI 1988b, 1993 e
GRABINSKA 1993, 1996. Miroslaw Zabierowski, dell'Università di Breslavia, ha
definito "sensualistica" l'interpretazione di Wheeler e ha suggerito di rimandare il
concetto di partecipazione a un "osservatore globale" a cui spetterebbe la funzione di
preservare l'unità e la continuità del nostro mondo e dell'intera collezione di universi che
discendono dall'"interpretazione dendrologica del vettore di stato dell'universo".

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25: BARROW/TIPLER 1986, p. 23. ABRAMOWICZ/ELLIS 1989, p. 411, sostennero


che durante il convegno sul principio antropico di Venezia del 1988 Barrow aveva
apparentemente "abbandonato" il FAP. L'autore ribadì però di essere sorpreso per tale
fuorviante affermazione. Cfr. BARROW 1989a.

26: TIPLER 1989b, p. 32; corsivo di Tipler. Nota che nel loro saggio Barrow e Tipler
figurano anche la possibilità di interpretare il PAP come FAP tramite l'introduzione del
concetto di "Osservazione Finale" da parte di un Ultimate Observer cfr.:
BARROW/TIPLER 1986,p. 471. Cfr. questa tesi con l'idea di "superosservatore" di
Zabierowski a cui si é fatto riferimento sopra.

27: Cfr.: GOULD 1983; ROWAN ROBINSON 1983 e 1993; PAGELS 1985a;
GRATTON 1987

27a: PAGELS 1985b, tr. it. p. 343

28: Cfr. KANITSCHEIDER 1985a, 1985b e 1988; LEWIS 1986 (in part. § 2.7); Mc
MULLIN 1981; WILSON 1991. Tipler [TIPLER 1983, p. 222] ha scritto che
l'incapacità di fornire predizioni non è dovuta tanto allo "stile di ragionamento
antropico" quanto alla cattiva volontà generale" di andare alla ricerca di tali predizioni.

29: Per una varietà di punti di vista su questi temi v. ad es.: LESLIE 1982, 1983a,
1983b, 1986a, 1986b, 1989, 1994a, 1994b, 1997; GALE 1986a, 1986b, 1997;
EARMAN 1987; CRAIG 1988; HESSE 1988; KATZ 1988; KIRSCHENMANN 1992,
1994; DELTETE 1993; DEMARET/LAMBERT 1994; BERGIA 1994, 1995, 1997;
AGAZZI 1995; GHINS 1995; REBAGLIA 1996.

30: Hoyle ha messo in evidenza che il C12 possiede un livello energetico di poco più
alto della somma dell'energia della massa a riposo del Be8 e del nucleo dell'atomo di
elio. Ciò comporta che l'abbondanza osservata di C12 dipende dall'esistenza di una
reazione di risonanza particolarmente favorevole (che accelera la combustione dell'elio
negli interni stellari, compensando l'instabilità caratteristica del Be8) e dalla

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contemporanea assenza di una risonanza che avrebbe potuto favorire la conversione del
C12 in O16 per cattura di una particella α. Vedi: HOYLE 1965a, cap. VI; cfr. HOYLE
1975, p. 400 e ss. e, per una ricostruzione autobiografica, HOYLE 1997, cap. XVIII.
Cfr. inoltre DAVIES 1982; JAKI 1990; DEMARET/LAMBERT 1994, p. 127 e s..
I contributi di Hoyle vanno inquadrati, da un punto di vista storico, nelle ricerche sulla
nucleosintesi dei primi anni cinquanta. Su tale argomento si può vedere ad es. KRAGH
1996a, p. 295 e ss. e riferimenti bibliografici lì riportati. L'annuncio di un livello di
risonanza del C12 attorno a 7,68 MeV fu fornito per la prima volta in
DUNBAR/PIXLEY/WENZEL/WHALING 1953. Gli autori in questione riferirono di
aver avuto notizia del "significato astrofisico" di quel livello del C12 attraverso una
"comunicazione privata" di Hoyle. Tre di loro trattarono quindi l'argomento
congiuntamente con Hoyle in occasione del meeting dell'American Physical Society
tenutosi ad Albuquerque nei primi giorni del settembre 1953
(HOYLE/DUNBAR/WENZEL/WHALING 1953).

31: Cfr. ad es. BARROW 1981; BARROW/TIPLER 1986; DAVIES 1982; REEVES
1993; LESLIE 1989 e 1994; JAKI 1990; per un'analisi specifica dell'argomento di
Hoyle v. LIVIO/HOLLOWELL/WEISS/TRURAN 1989.

32: Hoyle ha infatti ritenuto tale principio un "problema autocontraddittorio" [HOYLE


1983, tr. it. p. 220], un "trucco" [HOYLE/WICKRAMASINGHE 1993, p. 32] o,
quantomeno la sua forma forte, un "ragionamento a vicolo cieco" di sapore teologico.
Va comunque notato che, in almeno un'occasione [HOYLE 1988], più che il SAP,
Hoyle ha attaccato il presunto sostegno da esso offerto a quella che egli chiama la
"religione del big bang". Cfr. anche: HOYLE/WICKRAMASINGHE 1991.

33: CARTER 1983; cfr. anche CARTER 1982; MADDOX 1984. BARROW/TIPLER
1986; DAVIES 1994. Per una critica radicale degli argomenti di Carter v. WILSON
1994.
Carter sottolinea che sebbene il corso seguito dall'evoluzione sulla terra sia
estremamente improbabile se lo si considera come una genuina "combinazione di

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sviluppi casuali", il WAP ne rende conto senza giustificare l'introduzione di forze


evolutive non darwiniane.
Con l'intento di dimostrare che il WAP è in grado di condurre a predizioni, l'autore si
chiede quindi quanto tipica sia da considerarsi la nostra particolare storia evolutiva.
L'argomentazione sviluppata nell'83 viene così suddivisa in due parti, la prima delle
quali (che è alla base di entrambe) verte su una coincidenza "osservativa" fra due scale
evolutive indipendenti:
- la scala dell'evoluzione dell'intelligenza sulla terra, cioè l'età attuale tev del sistema di
vita terrestre, che Carter identifica con l'età stessa del nostro pianeta (circa 4,5 109 anni)
- la scala temporale di abitabilità della terra, il cui limite superiore è dato dalla stima del
tempo τ durante il quale il sole si manterrà sulla sequenza principale, mantenendo
stabilmente le attuali caratteristiche di luminosità, temperatura ecc. (circa 1010 anni)
La coincidenza fra l'ordine di grandezza di tev e τ è giudicata ancora più notevole di
quella considerata nella controversia fra Dicke e Dirac.
Oltre alle suddette scale temporali Carter ne chiama quindi in causa una terza:
- l'intervallo di tempo medio T "intrinsecamente più probabile per l'evoluzione di un
sistema di osservatori intelligenti".
Una stima diretta di T è avvolta nella più totale ignoranza, ma l'autore sostiene che il
WAP aiuta a comprendere come la coincidenza fra tev e τ diventi attendibile quando
T >> τ. In tale eventualità, infatti, "l'auto-selezione assicura che il nostro deve essere
uno di quei casi eccezionali in cui l'evoluzione è proceduta molto più rapidamente
dell'usuale" (CARTER 1983, p. 353).
Se la conclusione T >> τ è attendibile, la coincidenza fra le scale temporali tev e τ (così
come lo stesso ordine di grandezza di tev) diviene meno sorprendente, poiché "non vi è
alcuna ragione particolare" di supporre che il nostro sia uno di quei "casi ancora più
eccezionali in cui l'evoluzione procede ancor più rapidamente" (Ibid., p. 353/354).
Carter, da parte sua, esclude la possibilità che T << τ sostenendo che, a posteriori,
abbiamo una testimonianza del fatto che tev non è piccolo rispetto a τ. Esclude inoltre il
caso T ≈ τ in quanto implausibile a priori. L'autore ammette comunque che l'argomento
probabilistico qui sfruttato non è "assolutamente inconfutabile" ma, al tempo stesso,
sostiene che esso rappresenta "un'evidenza piuttosto forte" in favore della conclusione

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T >> τ e - conseguentemente - dell'estrema rarità di civiltà extraterrestri anche in


presenza di ambienti planetari particolarmente adatti.
Nella seconda parte dell'articolo dell'83 Carter considera quindi la "predizione antropica
meno triviale e più interessante" (Ibid., p. 361) a cui si arriva accostando la
"coincidenza dell'età del sole" ad un semplice modello per l'evoluzione a lungo termine
di un grande numero di specie "ecologicamente interagenti".
L'autore parte qui dall'idea di fondo secondo la quale la "scala evolutiva" e il
"progresso" che hanno condotto all'intelligenza umana sono il risultato di un processo
non mirato che procede, attraverso una serie di "passi", in maniera irregolare e
discontinua.
Per semplificare la questione decide quindi di distinguere, in prima approssimazione, fra
"passi facili" - che avvengono in maniera praticamente deterministica nel tempo messo
a disposizione - e "passi difficili". Egli si propone quindi di stabilire la probabilità
intrinseca del verificarsi di ogni passo rispetto ad una scala temporale connessa con la
conservazione delle "proprietà geofisiche di fondo" (cfr. CARTER 1988).
Nel nostro caso, in cui la scala temporale esterna ha come limite superiore , un passo è
difficile se la sua realizzazione nel tempo messo a disposizione dalla permanenza del
sole sulla sequenza principale è intrinsecamente improbabile; è "critico" se costituisce
una condizione necessaria per la comparsa dell'Homo Sapiens.
La parte più interessante dell'argomentazione consiste quindi nel considerare
l'evoluzione dell'intelligenza umana come il prodotto di n passi critici.
Considerando che la probabilità che si realizzi un particolare passo difficile crescerà
linearmente rispetto al tempo e, in generale, la probabilità che si realizzino n passi
difficili sarà proporzionale a tn, si deduce che: più grande è il numero n dei passi critici,
più probabile diviene che l'n-simo passo avvenga in prossimità del limite superiore τ.
Sulla base di questa considerazione Carter stabilisce una "relazione antropica" fra tre
quantità: n, τ, e il valore "statisticamente atteso" per la realizzazione di tutti gli n passi
critici; valore che - a suo avviso - risulta ben approssimato da tev . Tale relazione, che
può essere scritta nella forma (CARTER 1983, formula 6.2, p. 361):
τ - tev ≈ τ/n
è sfruttata per "predire" ciascuna delle tre quantità implicate quando le altre due sono
note.

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In pratica, la relazione sopra riportata è usata da Carter per fornire una valutazione di n;
mentre Barrow e Tipler - dopo aver fissato una stima di n sulla base di certe ipotesi - vi
ricorrono per fornire una stima della scala temporale esterna inferiore a τ.
Piuttosto sorprendentemente Carter trova che, inserendo nella formula i valori da lui
indicati di tev e τ solo i valori n = 1 e n = 2 risultano "del tutto consistenti", mentre quelli
"da n = 3 in avanti divengono rapidamente più difficili da conciliare con il periodo
comparativamente lungo durante il quale le condizioni terrestri sembrano rimanere
favorevoli" (Ibid., p. 361).
Se si accetta questa conclusione per il suo valore testuale (e si esclude inoltre, come fa
Carter, il caso n = 0), se ne deduce che - secondo il modello stocastico adottato - vi sono
al massimo due passi "critici" nell'evoluzione che ha condotto all'Homo Sapiens. Come
candidati l'autore indica: la formazione originaria del codice genetico e lo sviluppo
cerebrale. Altri passi sebbene apparentemente molto importanti (ad esempio: lo
sviluppo della placenta) sembrano invece da considerarsi o "meno difficili di quanto si
potrebbe supporre oppure soltanto secondari e non così essenziali com'è ampiamente
supposto" (Ibid., p. 362).
In quest'ottica molti degli sviluppi salienti della nostra evoluzione parrebbero
semplicemente incidentali e inessenziali per lo sviluppo dell'intelligenza, la quale
sembrerebbe così poter essere l'esito di molti percorsi evolutivi alternativi.
Ciò contrasta con l'opinione comune dei biologi, secondo i quali (in accordo col fatto
che i fossili testimoniano un "trend consistente in direzione di un'evoluzione a lungo
termine verso il nostro stato presente") n è invece un numero piuttosto grande.
Proprio per questo motivo, Barrow e Tipler suggeriscono che il valore di n sia compreso
fra 10 a 110000 e propongono di utilizzare tale stima per fissare l'adeguata scala
temporale esterna da inserire al posto di τ nella formula di Carter.
I dieci passi critici indicati per il caso del limite inferiore dell'intervallo sopra riportato,
rispondono tutti a tre criteri che stabiliscono una definizione: un "passo critico può
accadere una sola volta in tutta la storia evolutiva; ha carattere poligenetico; ed è
essenziale per l'esistenza di una specie intelligente". Secondo un'evidente gerarchia i
dieci candidati indicativamente proposti da Barrow e Tipler sono: lo sviluppo del codice
genetico, la respirazione aerobica, la glicolisi negli eucarioti, la fotosintesi autotropica,
l'origine dei mitocondri, la formazione del complesso centriole/kinetosome/undolipodia,

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l'evoluzione di un precursore dell'occhio, lo sviluppo dell'endoscheletro, lo sviluppo dei


cordati, lo sviluppo dell'Homo Sapiens.
Accettando n ≈ 10, si trova che la biosfera potrà continuare in futuro ad esistere per un
intervallo di tempo che ha un limite superiore di circa 4,5 108 anni.
Al crescere di n naturalmente il "tempo di abitabilità rimasto" diminuisce.
Alla luce di questi argomenti anche Carter si è dimostrato incline ad accettare l'idea che
n, pur essendo "molto piccolo in rapporto al numero dei cambiamenti genetici coinvolti
a livello microscopico", possa essere "forse grande in confronto all'unità" (CARTER
1988).
L'edificio costruito nell'articolo dell'83 si è dimostrato in ogni caso discutibile da molte
angolazioni e sia per motivi specifici che per ragioni molto generali. Wilson, ad
esempio, ha dato forma rigorosa a varie obiezioni suggerite dal buon senso ed è giunto
alla conclusione che il WAP abia un ruolo del tutto triviale e ininfluente nel
ragionamento di Carter.
Wilson ha obiettato, fra le altre cose, che non ci sono motivi convincenti per escludere i
casi T ≈ τ e T << τ nella trattazione della coincidenza dell'età del sole; ha preso di mira
il concetto stesso di "passi evolutivi" (aggiungendo che è sbagliato ignorare la
possibilità di gradazioni intermedie fra passi facili e passi difficili); ha inoltre ritenuto
l'argomentazione di Barrow e Tipler fondata, nella sua interezza, su una connessione del
tutto indebita fra n e la scala temporale.

33a: CARTER 1983, citazioni rispettivamente da p. 358 e 357.


I problemi dela trattazione statistica dell'evoluzione su lunghissimo periodo sono
probabilmente molto più complessi e indecisi di quanto Carter lasci intendere nella sua
memoria. Quello che lui chiama "neodarwinismo standard", al di là di un nucleo
fondamentale ben consolidato, rappresenta infatti una collezione di opzioni teoriche
ancora molto controverse. Mentre su quella che Carter chiama "scala microscopica" la
teoria sintetica è assai ben definita e stabilita, sulla cosiddetta "scala ipermacroscopica",
la questione è ancora largamente aperta e vi sono diversi modelli alternativi che
ambiscono al ruolo di teoria standard.
Carter collega fra loro alcune tesi (come la teoria della neutralità di Kimura o quella
degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge) che possono senz'altro costituire uno

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sviluppo della teoria sintetica ma sulle quali il giudizio dei biologi evoluzionisti non è
unanime.
In risposta a Carter, Paul Davies ha proposto addirittura un allontanamento consapevole
dalla "tesi darwiniana della contingenza" (DAVIES 1994, p. 80), invocando a sostegno
delle proprie idee le tesi di Stuart Kauffman sull'organizzazione dei polimeri catalitici.

34: Questi argomenti avvalorano l'idea, solo accennata in CARTER 1983, che le
condizioni geofisiche che continueranno a consentire la presenza della vita sulla Terra
potrebbero essere "incredibilmente brevi" rispetto agli standard astronomici o geologici
[cfr. BARROW/TIPLER 1986, p. 566; LESLIE 1996, p. 192/197]. Mentre il fine
principale di Barrow e Tipler è però quello di mettere in dubbio la conclusione di Carter
sui "passi critici", Gott e Leslie propongono invece - fondandosi sul teorema di Bayes -
un drastico "argomento del giorno del giudizio" (Doomsday Argument) secondo il quale
la fine della specie umana potrebbe essere questione di pochi secoli.
Tale argomento è divenuto un tema frequentemente discusso nella letteratura di matrice
filosofica specialmente dopo la pubblicazione del libro di John Leslie The End of the
World. Proprio nelle pagine iniziali di quel saggio Leslie presenta il Doomsday
Argument con le seguenti parole:

"Suppose that many thousand intelligent races, all of about the same size, had been more or
less bound to evolve in our universe. We couldn't at all expect to be in the very earliest,
could we? Very similarly, it can seem, you and I couldn't at all expect to find ourselves
among the very first of many hundred billion humans - or of the many trillions in a human
race which colonized its galaxy. We couldn't at all expect to be in the first 0.1 per cent, let
alone the first 0.001 per cent, of all humans who would ever have observed their positions
in time. While technological advances encourage huge population explosions, they also
bring new risks of sudden population collapse through nuclear war, industrial pollution, etc.
If the human race came to an end soon after learning a little physics and chemistry, what
would be remarkable in that? Suppose we were extremely confident that humans will have
a long future. You and I would then simply have to accept that we are exceptionally early
among all humans who would ever have been born. But mightn't it make more sense to
think of ourselves as living at the same time as, say, 10 per cent of all humans? And
shouldn't this consideration magnify any fears which we had for humanity's future, making
our risk-estimates rather more pessimistic? The doomsday argument aims to show that we
ought to feel some reluctance to accept any theory which made us very exceptionally early
among all humans who would ever have been born."

Sul tema vedi ad es. ad es. GOTT 1993, 1994; LESLIE 1990, 1992a, 1992b, 1994a (p.
132/139), 1996 e cfr. NIELSEN 1989, p. 454/459.

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Per una critica v. GARRETT/COLES 1993, p. 39 e ss.; DIEKS 1992;


KOPF/KRTOUS/PAGE 1994; ECKARDT 1993, 1997; BUCH 1994; GOODMAN
1994; MACKAY 1994; TÄNNSJÖ 1997.

35: CARTER 1974, p. 295; cfr. KANITSCHEIDER 1993 e le conclusioni di


CARR/REES 1979.

36: CARTER 1993, p. 36

37: ELLIS 1991, p. 589 e 1993, p. 143, nota 2; cfr. anche EARMAN 1987 p. 313.

38: GARDNER 1986, p. 25

39: Ad es.: KANITSCHEIDER 1991 p. 381; COVENEY/HIGHFIELD 1990, tr. it. nota
84, p. 395/396.

40: In DEUTSCH 1992, p. 61, l'autore chiama la tesi di Church-Turing "una specie di
principio antropico senza l'esplicito riferimento antropico".

41: MOSS 1995, p. 277

42: ELLIS 1994, p.115

42a: PAGE 1987; cfr. DREES 1990, p. 277, nota 8. Secondo Page il SWAP richiede
che la vita deve evolversi non in tutti ma almeno in uno degli universi che fanno parte di
una qualche collezione di mondi. Con questo l'autore intende precisare che, entro gli
ambiti caratteristici dell'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica e
della cosmologia quantistica, l'accezione del SAP di Barrow e Tipler - secondo la quale
"sono inesistenti mondi possibili senza vita intelligente" - comporta una condizione
troppo "restrittiva sullo stato dell'universo (cioè, sull'insieme di probabilità per tutti i
mondi possibili)". Drees ritiene però che non vi sia alcuna distinzione fondamentale fra
il SWAP e il SAP.

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Il FWAP è una variante del SWAP secondo la quale "la vita deve svilupparsi e
persistere senza fine" in almeno uno dei molti universi (e non in ciascuno di essi come
pare richiedere il FAP di Tipler).

43: CRANE 1993

44: SMOLIN 1992; cfr. ROTHMAN/ELLIS 1993; HARRISON 1994; BYL 1996;
DAVIES 1992, tr. it. p. 274/276, REES 1997, p. 261 e ss.

44a: KIRSCHENMANN 1992, p. 29. La sigla TAP è usata in DREES 1990, p. 85,
come abbreviazione di un Theistic Anthropic Principle che rimanda ad "una prospettiva
metafisica, che ben si adatta con la credenza in un Creatore a cui piacciono gli esseri
viventi e che perciò creò uno o più 'universi'".

45: Con beneficio di inventario fornisco alcune espressioni e definizioni raccolte ai


margini del dibattito in corso. Navigando in Internet mi sono, ad esempio, imbattuto in
un Individual Anthropic Metaprinciple (IAM), proposto da Michael Perry, ("The
universe that I as an observer perceive is so structured that I am immortal") e in un
Holistic Anthropic Principle (HAP).
Sull'IAM cfr. PERRY 1995.

45a: GOTT 1993, p. 316. A questa definizione fa eco quella, rintracciabile in rete fra le
tante pagine web dedicate al principio antropico, che afferma:
Observers must assume (as far as is possible) that they occupy an unexceptional
location in the Universe and may infer statistical properties of like observers from this
assumption.
Per questa definizione v. PROVENZANO/PROVENZANO 1996 (gli autori usano
l'acronimo CAP per Copernican Anthropic Principle).
Si noti comunque che un'interpretazione "copernicana" del WAP è suggerita in
BARROW/TIPLER 1986, p. 4 ed è implicita già nell'accostamento con un "principio di
mediocrità" a cui si fa cenno in TIPLER 1981b.

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45b: VILENKIN 1995a, citazioni da p. 847.

45c: V. ad es. VILENKIN 1995b, p. 3365, Cfr. LINDE 1988; VILENKIN 1995a,
1995c). Cfr. anche BALASHOV 1992, in part. nota 2, p. 130 e PAGE 1997.

45d: VILENKIN 1995a, p. 846

45e: Nella sua comunicazione apparsa sul numero del 6 febbraio 1995 delle Physical
Review Letters, Vilenkin ha ad esempio "predetto" che le caratteristiche più probabili
degli universi osservabili sono (Ibid., p. 848): possedere "potenziali inflaton molto
piatti, termalizzazione e bariogenesi alla scala elettrodebole, fluttuazioni di densità
disseminati di difetti topologici e un [contributo alla densità dovuto alla costante
cosmologica] non trascurabile".

46: citazioni da BARROW/TIPLER 1986 p. 16 e 17

47: BARROW/TIPLER 1986, p. 3; corsivi degli autori; cfr. la nota 178 sotto

48: BARROW 1988a, p. 354

49: CARTER 1988

50: CARTER 1983, p. 137/138; corsivi di Carter.

51: BARROW 1988a, p. 355

51a: Cfr.: BARROW 1987, p. 488

52: BARROW 1988a, p. 357

53: Ibid p. 369/370; corsivi di Barrow.

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54: EARMAN 1987, p. 308; vv anche DREES 1990, p. 81 e ss.

55: BARROW/TIPLER 1986, p. 15, cfr. BARROW 1988a.

56: EARMAN 1987, p. 308

57: BARROW/TIPLER 1986, p. 23

58: Ibid p. 4. Il prof Arcangelo Rossi ha richiamato la mia attenzione su come, non
molto diversamente, anche Kant avesse già interpretato la "rivoluzione copernicana"
come presa in considerazione del punto di vista del soggetto conoscente per la
conoscenza dei fenomeni. Un approfondimento della relazione fra il criticismo kantiano
e l'attuale dibattito sul principio antropico elude dai limiti del presente lavoro, ma è
affrontato, ad es., in: BALASHOV 1992, HALLBERG 1988 e McLAUGHLIN 1985.

59: ad es.: BARROW/TIPLER 1986; BARROW 1988a; DAVIES 1982, 1986, 1991;
BALASHOV 1991; KANITSCHEIDER 1991; McCALL 1994. Cfr. anche
ZABIEROWSKI 1988a, p. 337/338.

60: BOLTZMANN 1898, prefazione e § 89; in particolare p. 256.

61: Cfr BLACKMORE 1995, p. 21

62: Cfr. Boltzmann in BRUSH 1966, p. 188 e ss. (in particolare p. 192).

63: CULVERWELL 1890. Si noti che occorre tenere distinti i termini "paradosso" e
"obiezione"; cfr. BRUSH 1983, p. 92.

64: BRYAN 1894. Cfr: CULVERWELL 1894 e FITZGERALD 1895. Il dibattito su


Nature ha luogo dopo la partecipazione di Boltzmann al meeting della British
Association a Oxford nel 1894. È lì che Fitzgerald solleva per la prima volta la
questione in esame.

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65: BOLTZMANN 1895, p. 207

66: Ibid p. 208

67: BLACKMORE 1995 (nota 16, p. 48) riferisce che la corrispondenza esistente
mostra come Boltzmann fosse "piuttosto critico" riguardo alle capacità di Schütz

68: BOLTZMANN 1895, p. 208/209

69: L'espressione è di Brush. Cfr.: BRUSH 1974, p. 53. Per la citazione v.


BOLTZMANN 1898, p. 257; tr. inglese p. 446.

70: Vedi ad es. BRUSH 1966 (che contiene la traduzione inglese dei due articoli di
Zermelo e delle due risposte di Boltzmann) 1974 e 1983; STECKLINE 1983; KLEIN
1970 e riferimenti bibliografici forniti da questi testi e in BLACKMORE 1995.

71: ZERMELO 1896b, p. 793; cfr. BRUSH 1966, p. 230.

72: Per l'enunciazione di Zermelo del teorema di Poincaré v. ZERMELO 1896a, p. 485;
cfr. BRUSH 1966, p. 208/209.

73: BOLTZMANN 1897, p. 396; cfr. BRUSH 1966, p. 242.

74: BOLTZMANN 1898, p. 257; tr. inglese p. 446/447.

75: Ibidem. Boltzmann usa qui il termine Sternenraum che Brush traduce, piuttosto
impropriamente, come la "nostra galassia". In precedenza Boltzmann aveva parlato
delle "dimensioni del nostro cielo di stelle fisse" (Fixsternhimmel).

76: BOLTZMANN 1898 p. 257; cfr. BOLTZMANN 1896, p. 396.

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77: BOLTZMANN 1898, p. 258; cfr. a proposito REICHENBACH 1956, p. 139 e ss..

78: BOLTZMANN 1896, p. 396

79: BOLTZMANN 1898, p. 257/258

80: BOLTZMANN 1898, p. 258/259

81: Un sostegno alle tesi di Boltzmann è dato ad es. in REICHENBACH 1956.


Hawking [HAWKING 1993, p. 559] ha scritto di essere rimasto molto deluso in
gioventù dal libro di Reichenbach; volume che trovò "piuttosto oscuro", viziato da una
logica apparentemente circolare e incapace di cogliere la concezione fisica di "leggi che
determinano in maniera unica la direzione del tempo dell'universo" per via di una
cattiva utilizzazione del concetto di causa.

82: Ad es.: Von WEIZSÄCKER 1939; FEYNMAN 1965, tr. it. p. 130 e ss.; ZANSTRA
1968, p. 33; Popper in SCHILLP 1974, p. 127/128. Cfr. inoltre DAVIES 1986 per una
connessione esplicita con il principio antropico e LESLIE 1989, p. 99/100, per una
critica della concezione di Boltzmann nella prospettiva delle teorie cosmologiche che
ricorrono a una collezione di universi. Si noti inoltre che argomenti antropici contro
l'idea di universi dove la direzione del tempo è rovesciata sono invocati in HARRISON
1981, p. 139/140.

83: BRONSTEIN/LANDAU 1933, p. 117, tr. ing. p. 72. È interessante notare che una
critica analoga è fondata, in ZANSTRA 1968 p. 42/43, su un argomento che chiama in
causa "l'influenza dell'Osservatore" e che fa riferimento al confronto fra l'abbondanza di
idrogeno in diversi universi osservabili.

83a: EDDINGTON 1935, p. 65, corsivi miei. La posizione di Eddington e la sua


nozione di anti-chance come espressione di organizzazione sono esposte, oltre che nel
testo citato, ad es. in EDDINGTON 1928 e 1931. Si noti che, nell'ambito della
cosmologia relativistica, l'ipotesi delle fluttuazioni fu accreditata come una "possibilità

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importante" ad esempio in TOLMAN 1931, p. 1642. In quel lavoro l'autore riferisce di


aver appreso da una conversazione avuta con Tatiana Ehrenfest che l'"esistenza di esseri
senzienti", in grado di osservare il "raro fenomeno" ipotizzato da Boltzmann, costituiva
un "valido argomento" contro coloro che facevano appello all'"enorme improbabilità"
della fluttuazione richiesta. Tolman avanzava anche alcune riserve alle quali, a suo
stesso giudizio, andava assegnata una validità più "emotiva" che "intellettuale". Se si
segue l'ipotesi di Boltzmann, infatti, si è costretti a concludere che l'umanità stessa sia
"un fenomeno transitorio e improbabile, che i nostri dintorni siano ora diretti con
certezza quasi completa verso una condizione almeno prossima a quella di massima
entropia, e che le condizioni per le quali è possibile la vita così come la conosciamo non
sono quasi mai presenti".
Anche John B. S. Haldane si soffermò a lungo sulla plausibilità della tesi di Boltzmann
nel capitolo dedicato ad "alcune conseguenze del materialismo" di HALDANE 1932. Su
Haldane come precursore del WAP, relativamente a questo e ad altri argomenti, v.
BARROW 1981; BARROW/TIPLER 1986, p. 176/177 - 244/245 e riferimenti
bibliografici lì riportati; GRABINSKA 1996, p. 52.

84: HAWKING 1988, cap. 9; Hawking in HAWKING/PENROSE 1996, p. 118 e ss.;


HAWKING 1993, p. 562 e ss.; HAWKING/LAFLAMME/LYONS 1993. Per un'analisi
critica v. COLLIER 1995 e Penrose in HAWKING/PENROSE 1996. Si noti che
Penrose, oltre ad aver affermato di trovarsi a disagio con il principio antropico così
come con l'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica [cfr.:
LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 433], ha usato l'idea di entropia gravitazionale come
argomento contro il SAP [cfr.: BARROW/TIPLER 1986, p. 448].

85: Il ricorso al WAP è presentato generalmente come sostegno del modello del big
bang. Grazie al WAP, infatti, si ha una "spiegazione" naturale della coincidenza fra
l'ordine di grandezza dell'età dell'universo e quello dell'età tipica delle stelle più antiche.
Su queste basi, Barrow - seguendo un'idea di Martin J. Rees [REES 1972] - ha sostenuto
che il WAP avrebbe potuto essere usato come argomento contro il modello dello stato
stazionario anche prima che questo venisse smentito su basi osservative [BARROW
1983 p. 147; BARROW/TIPLER 1986, p. 17].

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Questa opinione è però convincentemente refutata da Earman, il quale ha fatto notare


che nella cosmologia dello stato stazionario, al contrario di quella del big bang, non vi è
un'età comune all'intero universo e possono esservi un'immensa pluralità di regioni in
cui, prima o poi, possono stabilirsi le condizioni adatte all'evoluzione della vita
[EARMAN 1987, p. 308]. Si noti che non sto qui considerando obiezioni allo stato
stazionario basate sul SAP (come quelle sollevate in DAVIES 1978, e discusse in
BARROW/TIPLER 1986, p. 601 e ss., e in TIPLER 1982).

86: In una comunicazione personale l'ex vicedirettore dell'Istituto per la storia della
scienza e della tecnologia di Mosca, Alex Gurschtein, ha affermato che a Idlis stesso
"piace dichiarare di essere stato il primo a formulare il principio antropico". Cfr ad es.
anche IDLIS 1985, p. 58.
Ho trovato tracce di IDLIS 1958 nella letteratura "occidentale" solo in:
BARROW/TIPLER 1986 (che dedicano a Idlis sette righe a p. 16, quattro righe nella
nota 27 di p. 451 e sorprendentemente non considerano il suo lavoro nel capitolo
dedicato alla "riscoperta del principio antropico"); LESLIE 1989, p. 32; FRACASSINI
et al 1988; oltre naturalmente alla traduzione di ZEL'DOVICH 1981 a cui si fa
riferimento nel testo. Un'ulteriore citazione è in IDLIS 1987 (abstract dell'intervento al
congresso internazionale di logica, metodologia e filosofia della scienza tenutosi a
Mosca nell'87) che, pur essendo in inglese, è una fonte per lo più sconosciuta.
È molto strano che l'articolo di Idlis non sia ricordato nella "guida alla letteratura sul
principio antropico" stilata dal russo Yuri Balashov in BALASHOV 1991. Balashov mi
ha comunque personalmente assicurato che la sola ragione di tale omissione fu dovuta
alla necessità editoriale di citare un "minimo ragionevole" di materiale con la preferenza
per le voci più facilmente accessibili al pubblico americano. Particolare è anche notare
come Zel'dovich associ il principio antropico, oltre a Idlis, a Carter, Wheeler e Rees -
tutti autori in cui il principio è associato all'idea di una collezione di universi - ma non a
Dicke.

87: GRAHAM 1987

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87a: Naturalmente sarebbe fuorviante anche sopravvalutare la valenza del materialismo


dialettico nel lavoro dei fisici o degli astronomi.

88: Cfr. IDLIS 1970, p. 3

89: Le due citazioni sono prese rispettivamente da MERLEAU PONTY 1965, tr. it. p.
369 e MIKULAK 1958 p. 49.

90: Citato in GRAHAM 1987, p. 385.

91: Maxim W. Mikulak [MIKULAK 1958] ha sostenuto che l'infinità e l'eternità del
mondo rappresentano dei cardini di un punto di vista che offre pochi "contributi
positivi" alla modellistica cosmologica. Nella sua analisi, che prende in esame i lavori di
natura cosmologica apparsi sull'Astronomicheskii Zhurnal dal 1930 agli inizi del 1957,
egli constata che "l'infinità dello spazio e del tempo" non veniva mai negata. L'universo
finito era infatti ovviamente associato all'idealismo e respinto al pari dell'idea di un
origine dell'universo. Helge Kragh ha comunque sottolineato che nei lavori di Mikulak,
ove è espresso un atteggiamento antisovietico che riflette il clima della guerra fredda,
sono deliberatamente ignorati molti lavori di cosmologia relativistica apparsi in URSS
fra gli anni trenta e gli anni cinquanta [KRAGH 1996a, p. 259 e ss. e nota 198, p. 432].
Gli anni successivi alla morte di Stalin, e in particolare quelli in cui si ebbero le riforme
di Kruscev, furono contrassegnati da un certo "liberismo" e da una certa apertura verso
temi culturali non discussi in precedenza, nuove pubblicazioni e numerose traduzioni di
autori occidentali. Nei primi anni sessanta, in particolare con le pubblicazioni di
Novikov e Zel'dovich, fecero comunque il loro ingresso sulle principali riviste
scientifiche sovietiche anche modelli di universo finito. È interessante inoltre notare che
le pubblicazioni di SOVIET ASTRONOMY - AJ in inglese cominciano, col corrispettivo
del vol. 34, nel 1957.

91a: IDLIS 1956

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92: La non uniformità della materia che negli anni precedenti qualche autore aveva
interpretato nell'ambito dei modelli gerarchici di Lambert e di Charlier, pareva inoltre
un assunto necessario per sfuggire, nell'ambito di un universo infinito, sia al paradosso
di Olbers che alla sua versione gravitazionale [cfr. ad es.: MIKULAK 1958, p. 43 e ss.;
BRONSHTEN/McCUTCHEON 1995, p.334 e ss.]. Fra gli autori sovietici che presero
parte all'elaborazione del modello gerarchico vi furono Fesenkov, Idlis [IDLIS 1956],
Eigenson [cfr. ad es. EIGENSON 1939, che contiene anche una pagina riassuntiva in
lingua inglese] e Zel'manov.

92a: Cfr. ad es. BAKULIN/KONOKOVICH/MOROZ 1984, in part. tr. it. p. 181 e 512.
Il termine "metagalassia", a suo tempo introdotto da Lundmark e Shapley, è
caratteristico di alcuni modelli cosmologici in cui compare una concezione gerarchica
della struttura di larga scala. Alcuni di tali modelli, come quelli proposti da Oskar Klein
e da Hannes Alfven, ebbero una certa notorietà - a cavallo fra gli anni cinquanta e
sessanta - come proposte di spiegazione dell'asimmetria fra materia e antimateria
nell'universo conosciuto [cfr. ad es. ALFVEN 1966]. Anche in precedenza il termine in
questione fu comunque sporadicamente adottato nella letteratura di lingua inglese. Vera
Rubin, ad esempio, lo usò in sostituzione della troppo impegnativa parola "universo" nel
celebre RUBIN 1951 [Cfr. LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 291].

93: Per un'analisi delle idee di Fock v.: GRAHAM 1981 e 1982. Graham nota che la
posizione di Fock fu, negli anni cinquanta, di isolamento anche rispetto agli altri fisici
sovietici; in particolare per lo "status preferenziale" assunto nella sua interpretazione da
un sistema di coordinate armoniche contro l'idea di covarianza generale.

94: IDLIS 1958, p. 51

95: "La vita è il modo d'esistenza delle sostanze proteiche" cfr.: OPARIN/FESENKOV
1956, tr. it. p. 20/21 e p. 55; IDLIS 1958, p. 40; i termini Eiweiß o Eiweißkörper usati
da Engels sono tradotti come sostanze albuminose o proteiche. È importante ricordare
che la definizione di Engels era mirata a sostenere il ruolo dei corpi proteici come

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portatori materiali della vita contro l'idea di Liebig di una vita eterna e antica come la
materia stessa.

96: La collaborazione fra Fesenkov e Idlis fu molto stretta. Nel 1941 - durante la
seconda guerra mondiale - Fesenkov fu estradato nell'allora capitale del Kazakinstan,
Alma Ata. Lì riuscì a organizzare un nuovo istituto d'astronomia del quale fu direttore
fin quando, giunta la possibilità di far rientro a Mosca, non lasciò l'incarico al suo
giovane collaboratore Idlis. Più tardi anche quest'ultimo si trasferì a Mosca dove entrò a
far parte del personale dell'Istituto per la storia della scienza e della tecnologia. Fra le
altre cose, Fesenkov e Idlis presentarono un lavoro comune al X simposio della IAU
tenuto a Mosca nell'agosto del 1958 e proprio Idlis curò poi la biografia di Fesenkov per
la grande enciclopedia sovietica (edizione inglese vol. 27, p. 169/170, 1981, Mac
Millan, New York). Ringrazio A. Gurshtein per le preziose informazioni biografiche.

97: Le due citazioni sono rispettivamente in: OPARIN/FESENKOV 1956, tr. it. p. 23 e
p. 237. Nel volume in questione il primo capitolo è dovuto a Oparin, mentre gli altri
sono scritti da Fesenkov. Cfr. anche OPARIN 1964.

98: IDLIS 1958, p. 48

99: LESLIE 1989, p. 32; cfr. IDLIS 1958, p. 47

100: IDLIS 1958, p. 39

101: Ibid., p. 52

102: WHITROW 1955 e 1959. WHITROW 1959 è la seconda edizione di un volume


originariamente pubblicato nel '49 e contiene un'appendice sul problema della
dimensionalità dello spazio (p. 199/201). Tale appendice manca nella traduzione italiana
del libro che è basata sulla prima edizione. Per una critica dell'argomento di Whitrow v.
SMART 1987 e LESLIE 1982.

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103: MASCALL 1956, cfr. BARROW 1981, p. 411; BARROW 1983;


BARROW/TIPLER 1986, p. 247 e ss. È stato fatto notare che la connessione fra
dimensioni ed età dell'universo e la vita, notata da Whitrow nell'ambito della
cosmologia evolutiva relativistica, era stata anticipata nel contesto newtoniano da Edgar
Allan Poe nel suo "poema in prosa" sulla cosmogonia dell'universo "Eureka" [POE
1848]. Per questo si è sostenuto [CAPPI 1994] che si deve a Poe la "prima applicazione
moderna" del principio antropico.

103a: Sull'atteggiamento epistemologico di Whitrow v. ad es. MERLEAU PONTY


1965, tr. it. p. 166 e ss..

103b: Occorre notare che anche Abram Leonidovich Zel'manov (un altro studente di
Fesenkov) ha espresso idee che sono state considerate anticipazioni del principio
antropico [v. ad es. SHKLOVSKIJ 1985; LINDE 1990a, p. 309]. Anch'egli si è
soffermato in particolare sulla "predisposizione" delle proprietà della metagalassia nei
confronti dello sviluppo della vita.
A causa delle sue origini ebraiche Zel'manov ebbe grandi difficoltà a pubblicare sulle
usuali riviste astronomiche sovietiche ma, ciononostante, esercitò una grande influenza
su molti dei cosmologi russi contemporanei. Negli anni cinquanta sfruttò le tesi del
materialismo dialettico sull'"inesaustibilità della materia" e sull'"infinita multiformità
della natura" per respingere il principio cosmologico. In quegli anni figurò quindi lo
scenario di un "metauniverso" in cui sono realizzate tutte le condizioni e i fenomeni
possibili ammessi dalle teorie note di fisica fondamentale. Zel'manov parlò, inoltre, di
aree "qualitativamente differenti" dell'universo notando che altri universi "(se esistono)
si evolvono 'senza testimoni'". Cfr: GRAHAM 1987, p. 416/421; KAZUTINSKI 1971,
p. 343/346 e riferimenti bibliografici lì riportati.

104: IDLIS 1958, p. 53

105: Ibidem

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105a: Negli anni ottanta Idlis è tornato a parlare del suo lavoro del 1958 interpretando il
"principio antropico cosmologico-cosmogonico dell'armonia dell'universo" [così
chiamato in IDLIS 1987] entro un progetto più ampio di unità delle scienze della natura.
Si possono vedere i due volumi in russo IDLIS 1985 e 1986. Ringrazio Y. Balashov per
avermi segnalato queste fonti.

106: DIRAC 1937a, 1937b, 1938. Per una trattazione storica dell'argomento v. ad es.:
KRAGH 1982; MERLEAU PONTY 1965; BARROW 1981, 1990; BETTINI 1990. Per
gli sviluppi della cosmologia di Dirac, v.: WESSON 1978

107: Sulle speculazioni di Eddington su N e sui diversi atteggiamenti tenuti


storicamente di fronte alle coincidenze fra grandi numeri adimensionali v. BETTINI
1990 e i riferimenti bibliografici lì riportati. Indipendentemente dalle tesi di Eddington,
N può comunque essere espresso come (ρ0c3H0-3)/mp.

107a: Dirac è interessato al fatto che, comunque si scelga la massa fondamentale, i


numeri adimensionali (o i loro reciproci) che si incontrano in natura si ammassano
attorno a tre poli: uno che comprende i numeri piccoli (come la costante di struttura fine
o mp/me), uno nelle vicinanze di 1039 e uno nelle vicinanze di 1078. Per quel che riguarda
l'unità di tempo, Dirac nel '38 propose e2/mec3 come "media geometrica fra tutte le unità
di tempo costruibili" a partire dalle costanti atomiche (ad es.: e2/mpc3; h/mec2; h/mpc2).
Tale unità è stata battezzata dai fisici francesi "les tempon" [cfr. GAMOW 1967].
Annoto inoltre che in DICKE 1961a c'è un errore di stampa che riguarda l'esponente di
c in [(mpc2H0-1)/h].

108: Ciò vale anche nella cosmologia di Dirac in cui è assunto il principio cosmologico,
Λ = 0 e sono presenti, dal punto di vista dinamico, molti caratteri in comune con il
modello di Einstein/de Sitter con k = 0 e Ω = 1. Dirac non abbandonò mai la LNH e
ripropose più volte un modello cosmologico basato su tale ipotesi durante gli anni
settanta, specialmente fra il 1972 e il 1975 [ad es.: DIRAC 1972a, 1972b, 1973a, 1973b,
1974, 1975] e fra il 1978 e il 1979 [ad es.: DIRAC 1978a, 1978b, 1979; v. anche
DAVIES 1974, GAUTREAU 1985 e cfr. BETTINI 1990.]. Il suo principio

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fondamentale escludeva sia la cosmologia dello stato stazionario, sia un universo in


evoluzione con sezioni spaziali chiuse. Contro la LNH, infatti, l'età di massima
espansione di un universo chiuso espressa in unità atomiche è una costante.

109: DIRAC 1938, p. 201

110: La versione finale della teoria di Jordan è in JORDAN 1959 che segue a una
nutrita serie di articoli (cfr. BETTINI 1990)

111: BONDI 1961 cfr: CARTER 1974, p. 291 e CARTER 1988, p. 186

112: cfr: DICKE 1957a, 1957b , 1959a, 1959b

113: DICKE 1957b, p. 363

114: DICKE 1961a, p. 440

115: Cfr. DICKE 1957a. Com'è noto, Dicke mise a punto insieme a Carl Brans
[BRANS/DICKE 1961] una teoria gravitazionale in cui erano sviluppate le tecniche
matematiche di Jordan ed era prevista la variabilità spazio/temporale di G tramite
l'introduzione di un campo scalare determinato dalla distribuzione della materia/energia.
Un confronto fra le scale temporali tipiche della cosmologia standard e quelle del
modello di Brans-Dicke è dato in DICKE 1961b.

116: SCIAMA 1953, 1959. Sciama [SCIAMA 1959, tr. it. p. 114] riporta l'equazione
data nel testo. Se in essa poniamo (a prescindere da fattori numerici non significativi)
ρ0 = M/V = M/R3 e H0-2 = (c/R)-2 = R2/c2, si ottiene Gr0H0-2 = G (M/R3) (R2/c2) =
(GM/c2R) ≈ 1, che è la forma data in BRANS/DICKE 1961, p. 926.

117: DICKE 1961a, p. 441

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118: DICKE 1957b, p. 375/376. ε è qui la permittività (una costante che si incontra
nella descrizione delle proprietà dielettriche dei materiali) ed è introdotta da Dicke per
essere in grado (trascurando gli effetti quantistici) di trattare il vuoto come un medium
dielettrico classico. Cfr. anche BARROW/TIPLER, nota 20, p. 282; KRAGH 1996a, p.
347.

118a: DICKE 1959b. Il testo fu però originariamente pubblicato nel volume 48 del 1958
del Journal of the Washington Academy of Sciences.

118b: DICKE 1959b, p. 33; corsivi di Dicke.

119: BARROW/TIPLER 1986, p. 246; cfr. REES 1972.

120: DICKE 1961a, p. 440. Si noti ad ogni modo che, nella lettera del 1961, Dicke
presenta il proprio argomento senza collegarlo a quello della natura delle interazioni
atomiche. L'indipendenza dalla posizione spazio/temporale della costante
d'accoppiamento dell'interazione forte e la questione di un'eventuale variabilità
temporale della costante d'accoppiamento dell'interazione debole avevano ricevuto
grande rilievo nei suoi scritti di fine anni cinquanta (ad es.: DICKE 1957a e 1959a).

121: È inutile soffermarsi qui nei dettagli quantitativi di questa parte dell'argomento
(che furono approfonditi da Martin J. Rees e Freeman J. Dyson [REES 1972; DYSON
1972, p. 232/235; v. anche DEMARET/BARBIER p. 467 e ss.; WESSON 1978 p. 94 e
ss.]) e dei quali mi sono occupato altrove [BETTINI 1990, vol. 1, p. 317 e ss.].

122: DICKE 1961a, p. 440

123: Dicke in LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 21.0

124: Ibid. p. 211

125: Ibidem

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126: MISNER/THORNE/WHEELER 1973, p. 1217

127: Dicke in LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 211. Si noti che Heinz Pagels


[PAGELS 1985a] ricorda un incontro con Dicke, avvenuto nei primi anni ottanta, in cui
quest'ultimo avrebbe sostenuto che il principio antropico è degno di considerazione solo
se un elemento di arbitrarietà irriducibile alle leggi fisiche gioca un ruolo fondamentale
nel fissare il valore delle costanti fondamentali durante i primissimi istanti dell'universo.
Questa posizione, come si vedrà nel seguito, è oggi molto accreditata e rimanda in
maniera naturale alla concezione di una collezione di universi.

128: DICKE/PEEBLES 1979, p. 514

129: MASANI 1984a, 1984b.

130: Rispettivamente: CARR/REES 1979 p. 605 e 612; HALL 1983, p. 447;


WHEELER 1980, p. 59

131: MASANI 1984a, p. 101

132: CARR/REES 1979; HALL 1983; KANITSCHEIDER 1985a, 1985b; SMART


1987; DE SABBATA 1984. Quest'ultimo autore suggerisce che una spiegazione delle
coincidenze di Dirac va ricercata nell'idea di un momento angolare intrinseco
dell'universo piuttosto che nel principio antropico. Cfr. DE SABBATA/GASPERINI
1983.

133: SALMON 1990, tr. it. p. 20; corsivi dell'autore.

134: MISNER/THORNE/WHEELER 1973, p. 1216/1217; corsivi miei. La


responsabilità di queste righe è di Wheeler; un passo analogo è, ad es., in WHEELER
1977, p. 18. Cfr. anche WHEELER 1974 e ECCLES 1979.

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135: DICKE/PEEBLES 1979, nota a p. 514.

136: REES 1972, p. 181. Cfr. sotto, paragrafo 9.

136a: CARTER 1970, p. 6, sottolineature di Carter. La parte fuori dalle parentesi si


ritrova con le stesse identiche parole in CARTER 1974, p. 296. Barrow [BARROW
1981, p. 413; BARROW 1983, p. 149; BARROW/TIPLER 1986, p. 19 e 250]
suggerisce che la connessione fra osservatori e universi conoscibili fu discussa per la
prima volta dal biologo di Cambridge Charles Pantin. Cfr. PANTIN 1965. Rees [REES
1997, p. 259] ricorda di aver assistito, assieme a Carter, a una conferenza tenuta da
Pantin a Cambridge "nei primi anni sessanta" in cui si sarebbe stata illustrata l'idea di
una sorta di "principio di selezione naturale" in grado di favorire gli universi che
presentano le condizioni adatte all'esistenza della vita.

136b: DYSON 1972, p. 235. Edward Harrison, ancora ignaro della terminologia usata
da Carter a Cracovia, criticò il principio di conoscibilità per la sua natura metafisica e
per la "concezione antropomorfica dell'intelligenza" a cui dava adito. in HARRISON
1974, p. 30/31.

137: Cfr.: MISNER 1968 e 1969; Misner in LIGHTMAN/BRAWER 1990; DICKE


1970.

137a: Per una ricostruzione di questi avvenimenti v. ad es. BARROW 1982,


BARROW/SILK 1983, BARROW/TIPLER 1986.

138: COLLINS/HAWKING 1973, citazioni dalle p. 319 e 334.

138a: CARTER 1967. Riferimenti a questo lavoro sono rintracciabili ad es. in: REES
1972, nota a p. 183; MISNER/THORNE/ WHEELER 1973, p. 1216; WHEELER 1974,
nota 42, p. 691; BARROW/TIPLER 1986, p. 452, nota 48; CARR 1982. La descrizione
di Carter data nell'inciso è in OVERBYE 1991, tr. it. p. 122.

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138b: È stata scarsamente notata l'influenza delle idee di Hoyle sulla concezione di
Carter. Quest'ultimo, già nell'aprile del 1966, accennò alle idee ancora non pubblicate da
Hoyle e Narlikar concernenti "una catena infinita di universi connessi successivamente
nel tempo da wormholes" (CARTER 1966, p. 424). Una simile concezione derivava
dalla "nuova teoria della gravitazione" esposta in HOYLE/NARLIKAR 1964 e fu
all'origine del modello proposto in HOYLE/NARLIKAR 1966. In quest'ultimo lavoro i
due autori, al fine di ottenere una spiegazione delle altissime energie delle quasar,
proposero una "deviazione radicale" dall'usuale concezione dello stato stazionario
fondata su un processo non omogeneo di creazione della materia e risultante appunto
nello scenario di una serie di regioni isolate (bubbles) in cui si alternavano fasi di
espansione e contrazione.

139: Wheeler nel 1972 attribuirà tale idea a Carter stesso [MEHRA 1973, p. 58], ma la
concezione di un universo chiuso ciclico è tipica del fisico di Princeton. Si vedano ad
es.: MISNER/THORNE/WHEELER 1973; PATTON/WHEELER 1975; WHEELER
1977; DICKE in LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 205. Cfr. anche BARROW 1981, p.
412; BARROW/TIPLER 1986, p. 248 e ss.. Si noti che la concezione di un universo
chiuso ciclico è stata abbandonata da Wheeler per motivi fisici ed è stata criticata dal
punto di vista logico in HACKING 1988. Le tesi di quest'ultimo sono state, a loro volta,
al centro delle critiche di WHITAKER 1988, McGRATH 1988 e LESLIE 1986b e
1988.

139a: CARTER 1970. Di questo lavoro non pubblicato riferiscono ad es.: DYSON
1972; CARR 1982; GREENSTEIN/KROPF 1989, p. 747.

139b: Jordan aveva esposto le sue tesi ad esempio in JORDAN 1949; v. BETTINI 1990
per una prospettiva storica. Il limite superiore caratteristico delle masse stellari (circa
1060 protoni) appariva connesso alla potenza 3/2 dell'età dell'universo espressa in unità
elementari di tempo. Come sottolineato da Bondi [BONDI tr. it. p. 172], Jordan ritenne
di aver ricondotto l'esistenza di tale limite superiore "alle operazioni della cosmologia
piuttosto che alle leggi astrofisiche", sebbene quelle leggi offrissero "eccellenti
spiegazioni della distribuzione osservata della massa". Stimolato dalla lettura del libro

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di Bondi, Carter concluse già nel 1967 [CARTER 1967, p. 3] che la coincidenza notata
da Jordan è problematica solo se non si prende atto del fatto che l'ordine di grandezza
1060 è anche quello del numero di nucleoni caratteristici della cosiddetta "massa di
Landau", ben nota nell'usuale teoria della struttura stellare come limite superiore della
massa che spetta a un corpo sferico freddo in grado di opporsi, per via del principio di
esclusione, al collasso gravitazionale [cfr.: CARTER 1970]. Cfr. anche CARTER 1974,
p. 292; CARTER 1973; SALPETER 1966, WEISSKOPF 1975, p. 610/612;
CARR/REES 1979, p. 607; REES 1983.

139c: CARTER 1970, p. 2

139d: Ibid. p. 4.
In chiusura del suo intervento a Princeton, Carter si chiede se con l'assunzione di ipotesi
specifiche sul vettore di stato fondamentale non sia possibile giungere anche a una
quarta categoria di "spiegazioni". Egli immagina di poter anche escludere, seguendo
questa via e considerando che αG possiede il "minimo valore estremo compatibile con
l'esistenza di osservatori", che la costante di struttura fine gravitazionale possa assumere
un valore ancora più piccolo.

139e: Ibid. p. 5

139f: Ibid. p. 10

139g: Ibid. p. 11

140: DYSON 1972 (citazione da p. 235); cfr. CARTER 1970, p. 3/4.

140a: REES 1972 e in "Il lontano futuro" (saggio contenuto in: LAURIE 1973, tr. it.: p.
175/197), in part. p 195 e ss.

140b: WHEELER 1968, che è un adattamento di una comunicazione presentata a New


York il 29 dicembre 1967 per l'American Association for the Advancement of Science.

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140c: MISNER/THORNE/WHEELER 1973, p. 1216

140d: Cfr. la discussione che fa seguito a DIRAC 1973a, in MEHRA 1973, p. 58.

140e: Misner in LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 239; corsivi di Misner.

140ee: Ho preso qui spunto da una conversazione avuta con Dennis Sciama il 18
novembre 1997, e ho citato, su Sciama, parole riferite da M. Rees in
LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 156. Ho inoltre fatto riferimento a BREUER 1981.

140f: Non si può fare a meno di ricordare fra le grandi personalità di Cambridge anche
Eddington: nonostante il suo influsso sulla nuova generazione di astrofisici dei primi
anni settanta sia relativo, la sua influenza sulla formazione della generazione di Hoyle e
Sciama è enorme ed è naturalmente riconosciuta dagli autori in questione (cfr. ad es.
Sciama e Hoyle in LIGHTMAN/BRAWER 1990 e HOYLE 1997). Hoyle, da parte sua,
si è soffermato su alcune delle tematiche caratteristiche del dibattito sul principio
antropico in diverse occasioni. Ad es. in: HOYLE 1965b e HOYLE 1975, un manuale
quest'ultimo in cui l'autore espone "strani pensieri" [cfr. p. 603] su alcune delle peculiari
coincidenze che si incontrano in astrofisica.
Hoyle favorisce una visione in cui le costanti di natura possono assumere valori diversi
in altre regioni dell'universo e immagina l'esistenza di "un'infinita varietà di chimiche"
e, quindi, di forme di vita.
Rilevanza alle idee di Dicke, di Carter e di Rees fu attribuita, ad esempio, anche in
ELLIS 1975 (in part. p. 258 e ss.). Gale [GALE 1990, p. 194 e ss. e nota 26, p. 204]
congettura inoltre un'interessante relazione storica fra le idee di Carter e quelle analoghe
contenute in TRYON 1973. Anche Tryon, dell'Hunter College di New York, associava
l'idea di "universi multipli contemporanei" con un "principio di selezione biologica"
che, a tutti gli effetti, costituisce una versione del principio antropico. Su quest'ultimo
punto cfr. anche: LESLIE 1989, p. 79.

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140g: Comunicazione personale di M. J. Rees all'autore datata 29 luglio 1997. I


riferimenti riguardano RINDLER 1956 (lavoro con il quale fu per la prima volta
"unificato e generalizzato" il problema dell'esistenza di orizzonti nei modelli
relativistici) e DICKE/PEEBLES 1979. Si noti che Sciama (in LIGHTMAN/BRAWER
1990, p. 146) afferma però di non aver avuto coscienza del problema dell'orizzonte fino
alla pubblicazione di GUTH 1981. Si noti inoltre che, nei primi anni settanta, Rees
adottò una prospettiva "caotica" (cfr. ad es. la discussione avvenuta al meeting della
Royal Astronomical Society l'8 ottobre 1971 in The Observatory vol. 92, 1972, in part.
p. 6/8).

140h: DICKE 1970, p. 62. Si noti che Hawking [in LIGHTMAN/BRAWER 1990, p.
397] ha detto di essere stato consapevole del problema della piattezza sin dal 1967,
indicando Misner come il primo ad averlo reso noto. Lo stesso Misner però ritiene che
la prima esposizione del problema sia da rintracciarsi nel passo riportato di Dicke.
Hawking comunque afferma chiaramente che "a quel tempo, la sola spiegazione
sembrava essere il principio antropico" discusso da Carter nel '70.
In tempi recenti l'argomentazione antropica di Dicke è stata riconsiderata in TRIAY
1997. Triay ha messo in discussione l'intera impostazione tradizionale del problema
della piattezza e ha suggerito che i punti sollevati da Dicke e i vincoli osservativi paiono
favorire un universo chiuso.

140i: LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 208

140j: L'espressione è usata da Misner in LIGHTMAN/BRAWER 1990, p. 240.

141: COLLINS/HAWKING 1973, p. 319

142: Ibid. p. 334. Supporre l'universo "giovane" comporta un'alternativa alla


conclusione che esso sia membro di un insieme di misura nulla. Anche se l'anisotropia
dell'universo sta crescendo, un effetto sull'isotropia della radiazione di fondo potrebbe
divenire notabile solo in un lontano futuro. Questa eventualità è approfondita da
Barrow, il quale suggerisce che un argomento di selezione antropica costituisce una

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"buona base" anche per una conclusione di questo genere. L'argomento di Dicke impone
infatti al fisico di osservare l'universo prima che siano trascorsi 1012 anni dall'inizio
dell'espansione. Cfr. ad es.: BARROW 1982, 1984; BARROW/SONODA 1985, 1986;
BARROW/TIPLER 1986. Barrow cominciò ad interessarsi del problema dell'isotropia
già negli anni settanta. In BARROW 1976, p. 369 egli concluse che la soluzione del
problema dell'isotropia dipendeva o da qualche "processo quantistico esotico" avvenuto
alle scale di Planck, oppure da "una qualche forma di effetto di selezione antropico o
machiano".

142a: HAWKING 1974, citazioni rispettivamente da p. 286 e 285. Per un'analisi e una
ricostruzione storica dei problemi delle singolarità e degli orizzonti in cosmologia v.
TIPLER/CLARKE/ELLIS 1980, dove è riportata anche un'ampia bibliografia che
include gli studi di Hawking e di Carter.

142b: Cfr. LONGAIR 1974, p. 287/288.

143: JAKI 1990, tr. it. p. 105. L'altra citazione riportata nel testo è tratta dall'Inaugural
Address rivolto ai partecipanti al congresso da Ya. B. Zel'dovich [v. LONGAIR 1974, p.
IX/XI]. Dal discorso di Zel'dovich si avverte che la comunità degli astrofisici e dei
cosmologi sentiva di stare attraversando, grazie alla "struttura definita" fornita dal
modello dell'universo caldo, un "punto di svolta".

144: CARTER 1974, p. 291

144a: BONDI 1961, tr. it. p. 13

144b: ELLIS 1975, p. 246. Ellis ha fornito dei notevoli contributi sul ruolo degli assunti
filosofici e non verificabili in cosmologia. Le sue analisi sono assai rilevanti anche per
altri punti toccati nel presente lavoro, dove sono presi in considerazione modelli e
scenari in cui la struttura dell'universo è profondamente diversa al di là dell'orizzonte
dell'universo osservabile. Cfr. ad es. ELLIS 1978, 1979, 1984, 1987, 1991, 1993b;
ELLIS/MAARTENS/NEL 1978.

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144c: Le citazioni sono tratte, rispettivamente da ELLIS 1984, p. 259 e


HAWKING/ELLIS 1973, p. 134. Per una rassegna delle idee del programma di
cosmologia osservativa, vedi ad es. MATRAVERS/ELLIS/STOEGER 1995.

144d: Due rassegne, che coprono aspetti diversi, sono ad es.: BARROW 1989b e
TRIMBLE 1992.

144e: CARTER 1988, p. 184

144f: CARTER 1974, p. 291

144g: CARTER 1983, p. 347

144h: BONDI 1961, tr. it. p. 12

144i: BONDI/GOLD 1948, p. 254

144j: CARTER 1974, p. 291

145: CARTER 1983, p. 347

146: CARTER 1988, p. 184

147: CARTER 1974, citazioni rispettivamente a p. 293 e 291.

147a: CARTER 1970, p. 1

148: CARTER 1974, p. 293. Un'estensione del genere dell'argomento di Dicke era stata
implicitamente suggerita anche in HARRISON 1972. Harrison (a p. 32) aveva
comunque notato che l'"ingegnosa spiegazione" di Dicke lo lasciava con "un sentimento
vago e spiacevole che fosse forse ancora in agguato una qualche relazione fondamentale

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sconosciuta" fra i due grandi numeri adimensionali considerati da Dirac. Parte


dell'argomentazione di Carter era comunque già presente in CARTER 1970.

149: CARTER 1974, p. 293; corsivi di Carter.

150: Vale la relazione t ≈ [(hmp K)/T2]-3/2 con t maggiore o uguale a H0-1. Carter fa
ricorso al sistema di unità di Planck con c = G = h/(2π) = 1. Per le temperature sono
usate le unità corrispondenti, ponendo anche la costante di Boltzmann K = 1.

151: CARTER 1974, p. 294

152: Cfr. ad es. MISNER/THORNE/WHEELER 1973, cap. 28.

153: CARTER 1974, p. 295. Per dei controargomenti vedi WESSON 1978, p. 96 e ss..

154: CARTER 1974, p. 293

155: Ibid., p. 295

156: CARTER 1983, p. 351

157: EARMAN 1987, p. 309

157a: Nel 1970 Carter aveva annotato che la distinzione fra condizioni iniziali e costanti
fondamentali risultava poco chiara per via del fatto che le prime facevano "riferimento a
caratteristiche essenzialmente locali e le seconde a caratteristiche essenzialmente
globali". In tale occasione Carter aveva giudicato che l'obiettivo di ridurre tutte "le
principali costanti globali da uno stato fondamentale a uno derivato tramite la
costruzione di teorie fisiche e cosmologiche più profonde" avrebbe anche potuto non
essere mai soddisfacentemente raggiunto proprio a causa "della mancanza di una
distinzione rigida e salda (hard and fast) fra parametri globali e locali" [CARTER 1970,
p. 5/6].

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158: CARTER 1974, p. 295. Una posizione contraria è sostenuta in


DEAKIN/TROUP/GRANT 1983. Secondo questi autori (p. 6) "la via più sicura è
scartare il concetto di collezione di mondi, o considerarlo come un mero congegno
computazionale". Cfr. anche SMITH 1985 e 1986.

159: citazioni da CARTER 1974, p. 295 e 298; CARTER 1983, p. 352.

160: CARTER 1974, p. 296; cfr. la nota 136a sopra.

161: CARTER 1983, p. 352. Cfr. GALE 1981, tr. it. p. 68; GALE 1990. Vedi però
ELLIS 1993b, p. 96. Considerando l'idea che un insieme di universi si realizzerà "nella
realtà", perché "tutto ciò che è possibile, si verificherà" (cfr. SCIAMA 1993), Ellis
distingue il SAP ("se si verifica tutto ciò che è possibile , allora deve verificarsi anche la
vita") da quello che qui chiamerò WAPb ("la vita si verificherà soltanto in alcune delle
possibilità che si sono realizzate"). Su questo punto v. anche BARROW/TIPLER 1986,
p. 503 e cfr. EARMAN 1987, p. 310, PAGE 1987.

162: CARTER 1988, p. 190. Alla conferenza di Venezia sul principio antropico,
tenutasi nel novembre 1988, Carter ha considerato "antiquata" la posizione da lui tenuta
negli anni settanta. Ha usato questo termine nella discussione successiva all'intervento
di Sciama che non è riportata negli atti, ma il suo cambiamento di prospettiva risulta
evidente sia dal suo contributo, che dal suo intervento nella discussione di ELLIS
1993a.

163: v. le rispettive voci in bibliografia; v. anche: REEVES 1982 e 1988;


GREENSTEIN/KROPF 1987 (pubblicato in forma ridotta come
GREENSTEIN/KROPF 1989); KREUZER et al 1985; CARR 1991; MURDIN 1991;
DALLAPORTA/SECCO 1993; NAKAMURA/UEHARA/CHIBA 1997. Fra i pionieri
di questo tipo di indagini, centrate sul delicato equilibrio fra la presenza della vita e la
"sintonia fine" fra i valori delle costanti fondamentali, vanno ricordati: John B. S.
Haldane [cfr. ad es. HALDANE 1928] e, in tempi più recenti, Freeman Dyson. [cfr.

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DYSON 1971], E. E. Salpeter [SALPETER 1966] e il già citato V. F. Weisskopf


[WEISSKOPF 1970 e 1975]. A quest'ultimo si deve, fra l'altro, l'espressione "fisica
qualitativa" usata nel testo.
Si noti che studi di questo tipo sono stati condotti anche da biologi, ad es.: DAVIES R.
E./KOCH 1991. Le affinità fra quest'ultimo lavoro e quelli dei teorici antropici sono
sottolineate in MADDOX 1992.

164: CARTER 1974, p. 298. Cfr. CARR 1982, p. 148/149.

164a: Nel 1970 Carter sviluppò alcuni temi affrontati nel preprint del '67. Egli
concentrò la propria attenzione su quattro coincidenze quali:
- a): gS2 ≈ (2mN)/mπ
che mette in evidenza l'"uguaglianza aprossimativa" fra la cosiddetta "course structure
constant", gS2 ≈ 15, e il rapporto fra una grandezza caratteristica dello stato legato di due
nucleoni e il raggio tipico del'intervallo massimo d'azione effettiva dell'interazione forte
(che è determinato dalla massa del mesone π.
- b): ∆n/me ≈ 2
dalla quale discende che, sebbene i neutroni isolati siano instabili poiché decadono
tramite il decadimento β, possono esistere neutroni in presenza di un gas degenere
relativistico di elettroni.
- c): α ≈ ∆n/mπ
dove α è la costante di struttura fina e la coincidenza in questione illustra come l'energia
elettrostatica nei nuclei leggeri (pari a circa αmπ) sia paragonabile alla differenza di
massa fra un neutrone e un protone ∆n.
- d) gS ≈ (1/3)α1/2
che, alla luce della coincidenza a), mostra come l'energia elettrostatica sia piccola a
confronto di quella di legame nucleare per i nuclei leggeri. Il fatto che la parte destra
del'equazione sia di poco inferiore a 1 implica anche che l'energia elettrostatica assume
un ruolo rilevante nei nuclei degli atomi con numero atomico Z > 30, i quali divengono
instabili rispetto a una scissione elettromagnetica.
Nel '70 Carter affermò che queste quattro coincidenze comportano "restrizioni
necessarie" sulle costanti coinvolte in ogni universo conoscibile. In particolare, dalla a)

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segue che se gS fosse di poco più debole esisterebbe "soltanto idrogeno"; mentre se
fosse di poco più forte "probabilmente ... potrebbero esistere nuclei stabili di una
dimensione quasi illimitata" (CARTER 1970, p. 6a del preprint. Su questo cfr. anche
CARR/REES 1979, p. 611).
A Cracovia l'autore dedicò quindi solo poche righe alle "restrizioni a priori" che
possono essere imposte sui "parametri fondamentali dalla fisica nucleare". Come riferito
nel testo egli ribadì ad ogni modo che se gS fosse stata "più debole" non sarebbe stato
possibile altro elemento che l'idrogeno.
Ulteriori coincidenze legate a gS furono discusse ad es. in SALPETER 1966 e in
CARR/REES 1979. Sull'argomento cfr. anche BARROW/TIPLER 1986, p. 398/400.

165: CARTER 1974, p. 298

166: CARTER 1993, p. 54

167: CARTER 1983. Vedi anche: BARROW/TIPLER 1986, p. 17; GARRETT/COLES


1993.

168: CARTER 1993, p. 33. Per un punto di vista critico v. KIRSCHENMANN 1992, p.
79 e ss. e 1994, p. 478 e ss.; HACKING 1987.

169: CARTER 1983, p. 348

170: BARROW/TIPLER 1986, p. 17. Si noti che, affrontando il tema delle applicazioni
antropiche del teorema di Bayes, Demaret e Lambert hanno parlato esplicitamente di
una "formula di Carter-Bayes". V. DEMARET/LAMBERT 1994, p. 292.

171: GARRETT/COLES 1993, p. 37

172: CARTER 1993, p. 33

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173: Cfr: GARRETT/COLES 1993, p. 3o e ss.; CARTER 1983, p. 352; CARTER 1993,
p. 51 e ss.; BARROW 1988a, p. 4; Barrow dissente comunque soprattutto da Kuhn
[BARROW 1988a, p. 334 e ss.] e rivendica un approccio whig alla storia della scienza
[cfr. BARROW/TIPLER 1986, p. 9 e ss.]. Per una presa di posizione di Popper sul
problema dell'induzione in cosmologia v. SCHILLP 1974, in particolare p. 1027.
È curioso ad ogni modo notare che in ZABIEROWSKI 1995 si è tentata una
connessione fra l'interpretazione popperiana della meccanica quantistica e una
particolare prospettiva antropica.

174: GARRETT/COLES 1993, p. 32; corsivi degli autori.

175: BARROW 1983, p. 147

176: Ibid, p. 148

177: La considerazione del contesto quantistico conduce Barrow a due ulteriori possibili
interpretazioni del SAP. La prima è l'elaborazione dell'idea di genesis through
observership di Wheeler; l'altra implica "un'intera classe di altri mondi reali", che va
ricercata nel contesto dell'interpretazione a molti mondi di Everett o in approcci del tipo
"somma sulle storie" alla gravità quantistica. È in questo contesto che Barrow introduce
le definizioni di PAP e di FAP.

178: ELLIS 1988a, p. 508. La definzione a cui si fa riferimento è quella data qui nella
prima citazione del par. 4 (Human bodies ...).

178a: Vale la pena a proposito ricordare che in BARROW 1983 l'autore dedica parte
della trattazione a quella che lui chiama (p. 146) "una nuova base per l'esistenza di
'molti mondi'"; base che definisce "puramente fisica" e "verificabile, in via di principio,
tramite esperimenti di fisica delle alte energie".
Ciò a cui fa riferimento è lo scenario delle cosiddette "teorie caotiche di gauge" o
"teorie stocastiche di gauge". Ovvero: quelle teorie secondo le quali le leggi e le

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simmetrie osservate rappresentano caratteristiche accidentali del nostro mondo di basse


energie.
Tali teorie sono state proposte, ad esempio, da autori quali Förster, Ninimiya, Shenker,
Brene e Chadha. Il caso forse più noto è però quello del danese H. B. Nielsen.
Secondo quest'ultimo (v. ad es. NIELSEN 1983) a temperature prossime a 1032° K,
qualsiasi tipo di simmetria scompare e non vi sono affatto leggi di natura. Le regolarità
che noi percepiamo come tali sono perciò, in un certo senso, semplici illusioni legate ad
un'origine puramente casuale.
In un simile contesto alcune delle costanti fondamentali hanno un'origine che è statistica
in via di principio e possono assumere valori diversi in regioni diverse del cosmo.
Barrow, nella sua nota del'83, introduce idee analoghe e mette in antitesi lo spirito del
programma delle teorie caotiche di gauge e la "completa anarchia microscopica" che
esso comporta con la ricerca di una teoria finale e con quella prospettiva (sostenuta ad
esempio da Hawking) che ambisce ad individuare una sola legge logicamente possibile
(su quest'ultimo punto cfr. anche BARROW/TIPLER 1986, p. 257).
Al tempo stesso Barrow giustifica la rilevanza di un insieme di universi possibili come
quello generato dalla dinamica casuale delle teorie caotiche di gauge e - a dispetto
dell'antipatia di Carter per il termine "realtà" - sostiene (BARROW 1983, p. 152) che un
simile insieme mette in evidenza "universi alternativi reali [real] come possibilità senza
associare la simultanea presenza di un numero infinito di molti mondi".

179: Cfr. il capitolo 12 sotto.

180: Le due definizioni sono contenute, rispettivamente, in BARROW/TIPLER 1986, p.


523 e 510. Nella seconda i corsivi sono miei.

181: Ibid. p. 19. Cfr. anche McCALL 1994, p. 62 dove si sostiene che il WAP e l'idea di
una collezione di universi eliminano la necessità del SAP in cosmologia. Si noti però
che altri autori [ad es. ZABIEROWSKI 1993 e GRABINSKA 1996] in pratica
sostengono che l'esistenza di una collezione di universi è tacitamente assunta in
qualsiasi forma del WAP.

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182: BARROW 1993a. Cfr. ad es. LESLIE 1989, cap. IV.

183: BARROW 1988a, p. 15. Cfr. BARROW 1993b; Barrow nel meeting della Royal
Astronomical Society del 9/10/1992 (in: Observatory 113, p. 105/114).

184: BARROW 1993b, p. 131

185: Cfr. DREES 1990, p. 83; su questi temi v. DALLA CHIARA/TORALDO 1988.

186: LESLIE 1994a, p. 117

187: LESLIE 1989, p. 135

188: GARRETT/COLES 1993, p. 34 e ss.. Gli autori includono in tale categoria gran
parte delle proposte attuali nell'ambito della cosmologia quantistica.

189: LINDE 1990a, p. 310 corsivi di Linde.

190: Sull'interpretazione antropica di Λ vedi: DAVIES/UNWIN 1981 (dove si sostiene


[p. 147] che "forse l'eccessiva piccolezza di Λ è un aspetto che caratterizza soltanto la
nostra particolare regione dell'universo"); HAWKING 1982 (un intervento di Hawking
tenuto al Nuffield Workshop dell'Imperial College di Londra nell'agosto 1981. Sia il
lavoro di Hawking che quello di Davies e Unwin fanno appello a quello che si è qui
definito WAPb) e HAWKING 1983; BARROW/TIPLER 1986; EFSTATHIOU 1995,
1996; LINDE 1989, 1989a, 1990a, 1990b; SAKHAROV 1984; SHEVCHENKO 1993;
TANGHERLINI 1989; TIPLER 1989b; WEINBERG 1987a, 1989, 1993, 1997. Per
altre recenti applicazioni del principio antropico v. DOWRICK/McDOUGALL 1988;
BALASHOV 1990; GARCIABELLIDO et al 1994; PAGE 1997;
RUBIKOV/SHAPOSHNIKOV 1989; SHAPOSHNIKOV/TKACHEV 1990;
TEGMARK 1997; VILENKIN 1995a, 1995b.

191: EFSTATHIOU 1996; WEINBERG 1993, tr. it. p. 230.

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192: WEINBERG 1993, tr. it. p. 237.

193: WEINBERG 1987b, p. 436

194: SCIAMA 1993; cfr. SCIAMA 1980 (in part. p. 395), 1995 e 1996;
ABRAMOWICZ/ELLIS 1989 195: OLDERSHAW 1990. Cfr. ad es.: PEEBLES/SILK
1990; KASHLINSKY et al 1991; sullo stato attuale del modello standard, vedi ad es.
PEEBLES/SCHRAMM/TURNER/KRON 1991; BARROW 1987.

196: Cfr. MUNITZ 1986, in particolare cap. 5.

197: CARTER 1983, p. 347

197a: Nel 1983 J. Ellis, Nanopoulos e Steigman progettarono un modello di "inflazione


antropica" per giustificare, sulla base dell'"esistenza dei cosmologi", un valore attuale di
Ω = 100±1 contro la predizione di molti modelli inflazionari che predicevano Ω = 1. Il
lavoro non fu mai completato, ma le idee di fondo sono menzionate ad es. in: ELLIS J.
1984, in particolare p. 444.

198: Confronta i lavori di Linde citati in bibliografia. Vedi anche BARROW 1988b e
1993a. Per un'esauriente panoramica dei problemi dell'universo inflazionario nelle sue
verie versioni v. OLIVE 1990.

199: citazioni da LINDE/LINDE/MEZHLUMIAN 1994, rispettivamente: p. 1784 e


1824.

200: LINDE 1987a, p. 68

201: ELLIS/BRUNDRIT 1986

202: Vedi CARTER 1983. Cfr. nota 34 sopra.

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203: TIPLER 1981b. Altrove [BETTINI 1991] mi sono occupato da vicino della
polemica fra Tipler e i sostenitori di SETI, ma è curioso notare in questa sede come uno
dei più autorevoli fra i promotori della ricerca di messaggi di civiltà extraterestri, Carl
Sagan, ritenesse il principio antropico più un ostacolo che un sostegno per la posizione
di Tipler. Cfr.: Sagan comunicazione personale a F. Tipler citata in TIPLER 1981b p.
288.

204: Rispettivamente: TIPLER 1989b, p. 32 maiuscole di Tipler; BARROW/TIPLER


1986, p. 23.

205: TIPLER 1989b, p. 32 maiuscole e neretto di Tipler.

206: BARROW/TIPLER 1986, p. 658; cfr.: TIPLER 1989a, in part. p. 222.

207: REES 1969 (cfr. anche Rees in LAURIE 1973); DYSON 1979a, 1979b;
FRAUTSCHI 1982. Per una rassegna sul problema del futuro dell'universo v.
ADAMS/LAUGHLIN 1997. Il tema della vita (sebbene considerato dagli autori
"seducente") non è però considerato in tale lavoro. Si veda anche PAGE/McKEE 1983:
a p. 23 i due autori chiamano biotic principle quell'"estensione fortemente speculativa
del principio antropico" secondo la quale "poiché le condizioni dell'universo sono tali
che la vita può esistere adesso, la vita deve continuare per sempre".

208: BARROW/TIPLER 1986, p. 675

209: Ibid., p. 674

210: TIPLER 1989b, p. 32

211: Cfr.: DEUTSCH 1997, tr. it. p. 318.

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212: Tempi dell'ordine di centinaia di milioni di anni, se si assume l'attuale tecnologia


missilistica. Cfr: TIPLER 1981a; BARROW/TIPLER 1986, cap. 9.

213: BARROW/TIPLER 1986, p. 659

214: Cfr. ad es. BARROW/TIPLER 1986, p. 154 e ss.; DAVIES 1992, cap. 5. In
particolare si veda TIPLER 1986: qui Tipler non usa esplicitamente il termine "vita" ma
si limita a far riferimento a computer o, in altre parole, a "un'autentica macchina di
Turing universale" che "in via di principio potrebbe essere costruita" se si accetta che il
nostro universo sia chiuso e abbia una singolarità finale del tipo Punto Omega.

215: TIPLER 1994a, tr. it. p. 140.

215a: Cfr. in particolare TIPLER 1986. Oltre che a Teilhard de Chardin, Tipler rimanda,
con questa scelta terminologica, alla concezione di Schelling di una divinità che evolve
insieme al cosmo. Cfr.: BARROW/TIPLER 1986, p. 156/157.

216: TIPLER 1989b, p. 35, 1994a, tr. it. p. 139.

217: BARROW/TIPLER 1986, p. 677; corsivi degli autori.

218: DREES 1990, p. 128 e ss..

219: TIPLER 1994a, tr. it. p. 149

220: TIPLER 1989b, p. 35. Cfr. TIPLER 1988, 1989a.

221: TIPLER 1989a, p. 231

221a: A fare le spese del carattere sconcertante dei temi toccati da Tipler sono stati ad
esempio G. F. R. Ellis e D. H. Coule, i quali si sono visti rifiutare un loro articolo di
risposta a Tipler sia dalle Physics Letters B che da un'altra rivista di fisica teorica della

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quale i due autori preferiscano non fare il nome. ELLIS/COULE 1994 fu infine
pubblicato su General Relativity and Gravitation. Una delle tesi centrali di quel lavoro
fu che nessun tipo di computer fisico o di sistema di immagazzinamento delle
informazioni potrebbe continuare a operare alle energie caratteristiche di una fase di
estrema contrazione dell'universo. Gli autori posero seri dubbi sul meccanismo
suggerito da Tipler per ammettere l'esistenza di una "vita" intelligente "incorporata"
nella materia a simili energie e aggiunsero che, vista la difficoltà nel distinguere le idee
di Tipler su questo punto dalla fantascienza o dalla fantasia, sarebbe stato più opportuno
se il fisico di New Orleans avesse evitato di pubblicare simili tesi su una rivista
scientifica.

222: Citazioni rispettivamente da: SILK 1986 e PRESS 1986.

223: Citazioni rispettivamente da: PRESS 1986, p. 316 e 315. Cfr. anche le conclusioni
tirate in GALE 1987, p. 490/491.

224: Citazioni rispettivamente da: SKLAR 1989, p. 50 e ELLIS 1994, p. 115. Cfr. però
BIRTEL 1995 ove è proposta una "critica delle critiche del lavoro di Tipler" [p. 315] e
che, comunque, ritiene TIPLER 1994a "il miglior tentativo sinora offerto di integrare
scienza e religione" [p. 327].

225: TIPLER 1994a, tr. it. p. 3.

226: Cfr. ad es. TIPLER 1985.

227: TIPLER 1994b, p. 198; si noti che i recenti risultati del Tevatron Collider Project
accreditano una massa del top quark di 175 ± 8 GeV. Cfr. CAMPAGNARI/FRANKLIN
1997, p. 198.

228: TIPLER 1989b, p. 32; cfr.: TIPLER 1989a, nota 2, p. 250.

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229: DIRAC 1961, p. 441. Si noti che, secondo Overbye [OVERBYE 1990, tr. it. p.
110], anche Sciama - negli anni sessanta - avrebbe affermato di preferire la teoria dello
stato stazionario perché era "l'unica" a incarnare "un ideale così bello" come quello
secondo il quale "la vita sarà sempre possibile da qualche parte".

230: CARTER 1988, p. 188

231: TIPLER 1994a, tr. it. rispettivamente p. 4 e 13.

232: Ibid. p. 284

233: Cfr: LESLIE 1994a, p. 117

234: ELLIS 1988a, p. 511

235: ABRAMOWICZ/ELLIS 1989, p. 411. Cfr. ad es. ORTOLAN/SECCO 1996.

236: Le bibliografie più cospicue sono in: BARROW/TIPLER 1986; BALASHOV


1991; BETTINI 1990.

237: Citazione da BARROW/TIPLER 1986, p. 1.

238: BARROW/TIPLER 1986, p. VII/VIII, corsivi di Wheeler.

239: PAGELS 1985a e 1985b, GOULD 1983, MEROPE 1989, GRATTON 1987.

240: SOSIO 1988

240a: James Cushing, citato in GALE 1986c, p. 396.

241: HAWKING 1981, p. 4; cfr. ad es. REES 1987, p. 47.

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242: BERTOTTI 1979; v. anche ad es.: SCIAMA 1959; WHITROW/BONDI 1954;


McCREA 1962, Sciama e McCrea in LAURIE 1973, tr. it. p. 76/95 e 119/134.

243: OVERBYE tr. it. ad es. p. 250. Cfr. LINDE 1987a, p. 61. Per una panoramica
recente sull'intima connessione fra fisica delle particelle e cosmologia v. ad es.: KOLB
et al 1996.

244: KIRSCHENMANN 1994; cfr.: REES 1981, p. 123 e PAGE 1987.

245: EARMAN 1987, p. 315/316. Vedi anche LESLIE 1989.

246: Ad es. BARROW/TIPLER 1986, p. 125. Un punto di vista diverso è reperibile nei
lavori di Miroslaw Zabierowski e Teresa Grabinska [ZABIEROWSKI 1986, 1988b e
1993; GRABINSKA 1993]. Costoro affrontano anzitutto la questione della relazione fra
soggetto e oggetto nella fisica contemporanea e, quindi, interpretano il principio
antropico - associato apertamente all'idea di una collezione di universi - come uno dei
motivi che - insiemi a quelli provenienti da certe interpretazioni della meccanica
quantistica e della termodinamica dei processi irreversibili - conducono a una critica e a
un'emancipazione del concetto "newtoniano/cartesiano" della relazione fra soggetto e
oggetto. Zabierowski ha indicato nella "modificazione antropica della cognizione fisica
oggettiva" un "punto di svolta" sia della cosmologia che della filosofia. A mio avviso,
comunque, la tendenza assai diffusa di accostare le argomentazioni antropiche con la
critica mossa in certi ambienti verso l'intero "paradigma cartesiano/newtoniano" [questa
traspare ad es. in HARRIS 1991 e MORIN 1988] può essere assai fuorviante. Non è
possibile affrontare in questa sede tale questione poiché essa necessita di un'indagine
profonda sul ruolo giocato, nelle scienze fisiche, dalla metafisica nelle sue varie
accezioni.

247: ROSEN 1985, 1986, 1988. Per altri punti di vista v.: GALE 1986c, 1997;
PACHOLCZYK 1984; POLLARD 1984; JAKI 1987; KANITSCHEIDER 1991;
BALASHOV 1992.

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248: Com'è illustrato ad es. nel "classico" FORMAN 1971.

249: TIPLER 1994a, tr. it. p. 280. Tipler chiama "riduzionismo ontologico" quello che
Weinberg chiama "riduzionismo oggettivo". Altrove (TIPLER 1988, p. 315) Tipler ha
affermato chiaramente di credere nel riduzionismo ontologico e nell'anti-riduzionismo
epistemologico.

250: Ibid., p. 198/199

251: WEINBERG 1977, tr. it. p. 170. Forman ha scritto di recente, citando K. Knopp,
che "per gli scienziati la trascendenza è inseguita considerando l'umanità 'soltanto un
effimero abbellimento che ravviva per un momento il grande paesaggio del cosmo'".
Questo può essere associato alla "dignità di una tragedia" di cui parla Weinberg. Cfr:
FORMAN 1991, p. 84.

252: DALLAPORTA 1986, 1993, 1997.

253: KRAGH 1996b

254: ZEL'DOVICH 1992, p. 98

255: Cfr.: LINDE 1987a, p. 62, 1987b, p. 169. Cfr. ad es. DAVIES 1992, cap. VII. Per
una prospettiva filosofica v. ad es.: RESCHER 1984; NOZICK 1981; un volume
quest'ultimo di cui Barrow e Tipler significativamente sconsigliano la lettura
[BARROW/TIPLER 1986, p. 121, nota 244].

256: GUTH 1981

257: BARROW 1988b, p. 106. Su questi punti v. le osservazioni di Leslie in LESLIE


1989, p. 79.

258: HARRISON 1985, tr. it. p. 330

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259: ELLIS 1993b, p. 1

260: ATKINS 1981

261: WHEELER 1977; ZABIEROWSKI 1988b, 1993; MUNITZ 1986; LESLIE 1970,
1978, 1979, 1986a; DALLAPORTA 1986; ELLIS 1993b, cap. 9.

262: BARROW/TIPLER 1986, p. 154

263: V. ad es. SMOOT et al 1992; SMOOT 1993 e il saggio "divulgativo" SMOOT


1993b. Per una rassegna recente v. BARREIRO 2000.

264: Questi temi sono stati già accennati sopra nel cap. 11, in particolare in
corrispondenza della nota 227.

265: TEGMARK/REES 1998; citazioni da p. 526

266: Svolte da Tegmark e Rees alle p. 530/531 del lavoro nominato nela nota
precedente.

267: Ibid., p. 531

268: REES 1997, p. 137

269: Delle quali è stato scritto che consentono all'immaginazione di "vagare


liberamente". V. BARTUSIAK 1986, p. 249.

270: Due recenti ricostruzioni dell'evoluzione della cosmologia inflazionaria sono


fornite in LINDE 1996 e WATSON 2000. Una raccolta dei primi lavori sull'inflazione è
disponibile in ABBOTT/PI 1986.

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271: EARMAN/MOSTERIN 1999; citazioni da p. 1 e 10. Più avanti (p. 35) Earman e
Mosterin parlano di "zoo di modelli cosmologici che incorporano l'inflazione".

272: Per tradurre "inflaton field" ho adottato l'espressione "Campo inflaton". In questo
seguo, ad esempio, la traduzione italiana di BUCHER/SPERGEL 1999.

273: Fra le altre cose, una simile identificazione comporterebbe infatti un valore del
parametro Q troppo elevato per essere accettabile.

274: Per una rassegna v. WATSON 2000, p. 50 e ss., e riferimenti bibliografici lì


riportati.

275: Presumibilmente tali vincoli furono considerati per la prima volta in


ADAMS/FREESE/GUTH 1991.

276: Espressione usata in EARMAN/MOSTERIN 1999, p. 38.

277: Il plurale è qui usato da Weinberg che, come si vedrà sotto, distingue un "vecchio"
e un "nuovo" problema della costante cosmologica. V. WEINBERG 2000b. Un'analoga
terminologia è adottata ad es. anche in GARRIGA/VILENKIN 2000b. Per una rassegna
generale sullo status delle ricerche concernenti la costante cosmologica v.:
CARROLL/PRESS/TURNER 1992 e SAHNI/STAROBINSKY 2000.

278: Alla stregua ad esempio delle costanti d'accoppiamento di gauge.

279: V. ad es. RIESS et al 1998; PERLMUTTER et al 1999, ZAHAVI/DEKEL 1999;


RIESS 2000. Per un sommario v. HOGAN/KIRSHNER/SUNTZEFF 1998. Ulteriori
informazioni sono reperibili presso i siti http://www-supernova.lbl.gov/ http://cfa-
www.harvard.edu/cfa/oir/Research/supernova/HighZ.html

280: In presenza di una costante cosmologica si ha: q0 = [(Ωmat./2) - ΩΛ].

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281: Fra le altre cose, è stata suggerita una connessione fra l'accelerazione dell'universo
implicata dale supernovae e una variabilità del valore della costante di struttura fina α
dipendente dai redshift. V. ad es. BARROW/MAGUEIJO 1999.
Barrow e Maguejio poggiano le loro idee sull'eventualità che la luce potesse propagarsi
più velocemente nelle fasi iniziali dell'universo. Una teoria che propone una simile
"velocità della luce variabile" (Varying Speed of Light, VSL) è stata sviluppata da
Andreas Albrecht e dallo stesso Maguejio (ALBRECHT/MAGUEIJO 1999).
Barrow, Bean e Magueijo hanno anche avanzato la possibilità che l'accelerazione
dell'universo sia un fenomeno che, sebbene oggi dominante, non durerà per sempre
(BARROW/BEAN/MAGUEIJO 2000).
Per una rassegna generale sullo status delle teorie che invocano una variazione di α
come soluzione di vari problemi cosmologici v. BARROW/MAGUEIJO 1998 e
riferimenti bibliografici lì riferiti.

282: Ad es.: ARKANI-HAMED/HALL/KOLDA/MURUYAMA 2000;


BANKS/DINE/MOTTL 2000; BLUDMAN 2000a, 2000b, 2001; DONOGHUE 2000a,
2000b, 2001; GARRIGA 1997; GARRIGA/LIVIO/VILENKIN 2000;
GARRIGA/VILENKIN 2000a, 2000b; HAWKING/TUROK 1998b;
MARTEL/SHAPIRO/WEINBERG 1998; SIVARAM 1999; WEINBERG 2000a.

283: HAWKING/TUROK 1998a. In precedenza "lo scenario naturale per ottenere un


universo aperto ... attraverso l'inflazione" era stato presentato in
BUCHER/GOLDHABER/TUROK 1995 e BUCHER/TUROK 1995 mantenendo però
l'idea di uno stato di falso vuoto per l'universo e ricorrendo a due fasi inflazionarie. La
possibilità di universi inflazionari che conducono a Ω0 < 1 è del resto più volte apparsa
nella letteratura a partire da GOTT III 1982.
La questione dell'ammissibilità di modelli inflazionari con Ω0 ≠ 1 fu in particolare
discussa in ELLIS 1988b, ed è stata nuovamente sottoposta ad indagine critica in
COLES/ELLIS 1997, p. 29 e s..
Occorre notare infineche un tentativo di riconciliare un universo aperto di bassa densità
con l'inflazione "senza contare né sul principio antropico né su condizioni iniziali

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speciali fu avanzato nel '95 da Luca Amendola, Carlo Baccigalupi e Franco Occhionero
(AMENDOLA/BACCIGALUPI/OCCHIONERO 1995).

284: Presentato originariamente in HARTLE/HAWKING 1983. Turok ha precisato che


la proposta no boundary è particolarmente "attraente" in cosmologia quantistica "perché
è basata su idee semplici e generali che hanno una giustificazione al di là della
cosmologia". V. TUROK 2000, p. 2 del preprint.

285: Gli instanton sono soluzioni delle equazioni della relatività generale e della materia
che descrivono le condizioni iniziali dell'universo (o, per meglio dire, la probabilità che
si formino certi universi). Hawking e Turok hanno da parte loro sfruttato una serie di
soluzioni instanton che hanno la forma della proposta di Hartle e Hawking.
Come ammesso dai medesimi autori tali instanton sono peculiari sotto diversi aspetti (v.
la nota successiva).
In ogni caso Hawking e Turok hanno esteso, nel loro lavoro del 1998, un concetto
inizialmente presentato in COLEMAN/DE LUCCIA 1980 (anche se il nome instanton
non compare in quel lavoro), escludendo però dalla loro trattazione la presenza del falso
vuoto che caratterizzava l'instanton di Coleman e de Luccia.
Anche Vilenkin, nel 1982, ricorse ad un instanton per illustrare la creazione dal niente
di uno spazio/tempo di de Sitter (cioè: di un universo in espansione esponenziale).
Nell'ottica di Vilenkin però l'universo doveva essere chiuso. V. VILENKIN 1982.

286: Gli instanton di Hawking e Turok riescono ad evitare il ricorso al falso vuoto solo
al prezzo dell'introduzione di singolarità in cui la curvatura e il campo scalare
divengono infiniti. Secondo gli autori, ad ogni modo, ciò non pregiudica il modello
perché la singolarità risulta integrabile e l'azione dell'instanton finita.

287: La singolarità dell'instanton di Hawking e Turok è discussa criticamente in


particolare in UNRUH 1998 e VILENKIN 1998a. Sono state invece ulteriormente
indagate d es. in TUROK 1999; GRATTON/TUROK 1999, 2000. Per una
presentazione dei vari problemi in gioco v. in particolare TUROK 2000.

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288: KIRKLIN/TUROK/WISEMAN 2000. Gli autori di questo lavoro hanno mostrato


come rimuovere la singolarità attraverso una modifica delle variabili del campo. Il
processo "regolarizza" gli instanton (rendendo le singolarità, singolarità di coordinata
nel superspazio) ma non sembra dissolvere tutte le difficoltà.

289: HAWKING/TUROK 1998a, p. 7 del preprint. 290: In un universo del genere le


galassie sarebbero attualmente separate da distanze dell'ordine di 10100000000 anni luce e
l'"universo sarebbe praticamente privo di struttura". Sulla base di questa constatazione
Linde ha concluso che "la funzione d'onda di Hartle/Hawking non descrive la
probabilità di creazione dell'universo", concordando con Vilenkin sulla necessità di
ricorrere invece all'effetto tunnel quantistico. V. LINDE 1998. Hawking e Turok hanno
replicato a Linde in HAWKING/TUROK 1998c.
Un tentativo di mediare fra la proposta "no boundary" di Hartle/Hawking e l'effetto
tunnel suggerito da Linde e Vilenkin è stato presentato in PAGE 1997. Quest'ultimo ha
sottolineato (p. 2066) che il WAP non riguarda soltanto la nostra collocazione spaziale e
temporale nell'universo, ma anche la nostra collocazione "nello stato quantistico
dell'universo (ad es. dove siamo all'interno della distribuzione di probabilità per
configurazioni differenti dell'universo)".

291: Nel '98 essi suggerirono il ricorso a "più campi o dimensioni extra" per risolvere il
problema.

292: HAWKING/TUROK 1998a, p. 7 del preprint.

293: Per un primo approccio all'inflazione eterna (o più propriamente "semi-eterna") v.


GUTH 2000. In VILENKIN 1999, l'autore prende comunque in considerazione vari
modelli di inflazione aperta. In particolare: modelli con un solo campo scalare, modelli
con due campi e - in particolare - i cosiddetti modelli di inflazione "quasi-aperta". Su
questi si v. ad es. LINDE 1998; VILENKIN 1998a, 1998b;
GARRIGA/TANAKA/VILENKIN 1999; GARCIA-BELLIDO 1998 e GARCIA-
BELLIDO/GARRIGA/MONTES 1997.

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294: VILENKIN 1999, p. 3 del preprint.

295: VILENKIN 1998a

296: VILENKIN 1999, nota 2, p. 8 del preprint.

297: Ibid., p. 2. Cfr. VILENKIN 1995a, 1995c (in particolare p. 3/4 del preprint) e
l'articolo "divulgativo" VILENKIN 1998b.

298: VILENKIN 1999, p. 4 del preprint.

299: Ibid., p. 3

300: Ad es. WEINBERG 1987a.

301: VILENKIN 1999, p. 4 del preprint.

302: GARRIGA/TANAKA/VILENKIN 1999, p. 2 della versione 2 del preprint.

303: VILENKIN 1999, p. 4/6 del preprint; GARRIGA/TANAKA/VILENKIN 1999, p.


10 e s. della versione 2 del preprint.

304: VILENKIN 1999, p. 3

305: Cioè il grande numero adimensionale notato a suo tempo da Dicke.

306: GARRIGA/TANAKA/VILENKIN 1999, p. 23 della versione 2 del preprint.

307: VANCHURIN/VILENKIN/WINITZKI 2000. Questo lavoro segue una linea di


ricerca già perseguita con VILENKIN 1995b, 1999 e WINETZKI/VILENKIN 1996. Il
problema è sostanzialmente quello di definire quali eventi o proprietà sono probabili e
quali improbabili per un universo che comincia ad evolversi nel contesto dell'inflazione

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eterna (dove, nel metauniverso, ogni cosa che puà accadere accadrà in effetti infinite
volte. Per avvicinare questi problemi e i metodi di Vilenkin e collaboratori si può vedere
ad es. GUTH 2000, TUROK 2000 VILENKIN 2000.

308: In particolare: un metodo basato sull'equazione di Fokker/Planck dell'inflazione


stocastica e un metodo basato sulla simulazione diretta dello spaziotempo inflazionario.

309: Turok, ad esempio, ha scritto che una formulazione del principio antropico
rappresenta "per molti fisici un passo indietro dall'obiettivo di spiegare l'Universo da
principi matematici fondamentali" (v. TUROK 2000, p. 15 del preprint).
Si tenga presente inoltre la posizione di Lee Smolin, il quale - nel capitolo titolato "al di
là del principio antropico" di SMOLIN 1997 - ha affermato che il principio antropico (o,
meglio, quello che ho qui chiamato WAPb) è una di quelle "idee sbagliate eppure utili e
necessarie in certi stadi di sviluppo della scienza". Secondo Smolin, è necessario da una
parte riservare "grande rispetto" nei confronti degli inventori del principio antropico
poiché esso ha "fino ad oggi giocato un ruolo utile nello sviluppo della cosmologia", ma
- dall'altra - è nondimeno giunto il momento di lasciare le argomentazioni antropiche
"alle spalle". Questo sia perché il WAP non è in grado di produrre una predizione che
possa essere falsificata dall'osservazione"; sia perché - forse - nei contesti delle teorie
fondamentali che "postulano l'esistenza di un gran numero di universi alternativi" si può
"far di meglio" che limitarsi (ricorrendo al ragionamento antropico) a tentare di "salvare
le sorti della battaglia".

310: BARVINSKY 1998. Barvinsky aggiunge che il principio antropico "può spiegare
praticamente qualsiasi cosa senza essere in grado di prevedere alcunché" (p. 2 del
preprint). V. anche BARVINSKY 1999.
Si noti che un'alternativa agli argomenti antropici per spiegare l'eventualità di un
universo attualmente in espansione accelerata è stata avanzata in ARMENDIRAZ-
PICON/MUKHANOV/STEINHARDT 2000 ricorrendo al concetto di "essenza-k".

311: KANE/PERRY/ZYTKOW 2000

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312: GREENE 1999, tr. it. p. 346. Ad onor del vero Greene ammette comunque che il
"concetto di multiverso ... ci mette in guardia dal rischio di pretendere troppo da una
[teoria del tutto]". Auspica in ogni caso che qualora la teoria ultima non fosse in grado
di spiegare "le specifiche proprietà delle masse delle particelle, delle cariche di gauge e
delle forze", si potrebbe comunque ottenere una "'teoria ultima estesa' in grado di
spiegare come e perché i valori dei parametri fondamentali si distribuiscano nella
moltitudine di universi che costituiscono" (p. 347).
Il rapporto fra teorie del tutto e il WAP come principio di selezione è indagato anche in
TEGMARK 1998. Tegmark si è chiesto se il mondo fisico può essere considerato
"isomorfo a una qualche struttura matematica" e ha discusso la tesi estrema secondo la
quale "tutte le strutture che esistono in senso matematico ..., esistono anche in senso
fisico". Le idee di Tegmark sono discusse ad es. in STENGER 2000 e in STANDISH
2000a, 2000b.
Infine, l'opposizione fra tendenze riduzioniste e antropiche negli scienziati
contemporanei è considerata in KING 1999.

313: HOGAN 2000

314: KANE/PERRY/ZYTKOW 2000, p. 11 del preprint.

315: Weinberg cit. in BANKS/DINE/MOTL 2000, nota 1, p. 2 del preprint.

316: V. ad es. GRANDPIERRE 1999

317: CIRKOVIC 2000

318: AGRAWAL/BARR/DONOGHUE/SECKEL 1998a, 1998b.

319: JELTEMA/SHER 2000

320: V. il capitolo 3 del presente lavoro (in particolare, la nota n. 30.

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321: OBERHUMMER/PICHLER/CSOTO 1999

322: BARROW 1999

323: ALLAHVERDYAN/GURZADYAN 1999

324: Ad es.: SHELLARD/BATTYE 1998a e 1998b.

325: DONOGHUE 1998. Ai lavori nominati nel testo aggiungo qui: - una memoria
degli estoni Palgi e Kaanik dedicata all'applicazione del principio antropico al
rompicapo dei neutrini solari (PALGI/KAANIK 1999);
- un tentativo di fornire una risposta antropica di alcune proprietà del sole (incluse la sua
massa e la sua età) firmato dallo svedese B. Gustafsson (GUSTAFSSON 1998);
- la proposta di un modello cosmologico in cui l'introduzione di una particolare funzione
per la creazione di materia è accompagnata da considerazioni antropiche (JOHRI 1999).

326: LIVIO 1998. Cfr. anche BARROW 1998.


Livio avanza una dimostrazione del fatto che T ≈ τ rappresenta, contrariamente a quanto
asserito da Carter nell'83, un'eventualità assai probabile.
Per gli argomenti di Carter e il significato dei simboli riportati v. la n. 33 sopra.

327: HANSON 1998b

328: FEOLI/RAMPONE 1998. Per motivi diversi, fra gli scritti dedicati alla
connessione fra principi antropici e biologia v. anche: HOYLE/WICKRAMASINGHE
1999 e AKIFIEV/DEGTYAREV 1999.

329: STOEGER/ELLIS 1995

330: The Transhumanist FAQ (di Nick Bostrom et al) è disponibile presso il sito
http://www.transhumanist.org/; I principi extropiani e le relative frequently asked

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questions sono disponibili ad es. presso il sito dell'Extropy Institute o presso il portale
www.extrodot.org/eo/.

331: Espressione usata ad es. da George Johnson in JOHNSON 1994.

332: Ciò si deduce ad es. dalla bibliografia consigliata sul testo degli Extropian
Principles reperibile sul sito dell'Extropy Institute ed è in un certo senso piuttosto
autoevidente viste le posizioni sulle "illimitate potenzialità dell'universo" tipiche
dell'autore di "infinito in ogni dirrezione". Cfr. DYSON 1988 (citazione da p. 119 della
traduzione italiana).
Colgo l'occasione per notare che il tema della "resurrezione scientifica" ha una sua
storia alle spalle; storia che affonda nella corrente filosofica del cosmismo russo e negli
scritti di Nikolai Federovich Fedorov. Purtroppo la letteratura non in cirillico
sull'argomento è assai esigua. Si v. ad es. LYTKIN/FINNEY/ALEPKO 1995; PERRY
1995 e i riferimenti bibliografici riportati in tali lavori.

333: Oltre alle fonti già citate nel cap. 11 del presente lavoro, v. ad es.
ADAMS/LAUGHLIN 1999 e i lavori citati nella nota successiva.

334: KRAUSS/STARKMAN 2000a, 2000b

335: CIRKOVIC/BOSTROM 2000

336: GARRIGA/MUKHANOV/OLUM/VILENKIN 2000

337: GARRIGA/VILENKIN 2001

338: Inter alia: GOTT 1997; LESLIE 1997*; BOSTROM 1998a, 1998b, 1999a, 1999b,
2000a, 2000b, 2001b, 2001c, 2001d, 2001e; BARTHA/HITCHCOCK 1999, 2000;
HANSON 1998a; FERRIS 1999; GROSMANN/LIPTON 1999; FRANCESCHI 1999;
GREENBERG 1999; KORB/OLIVER 1999; CAVES 2000; OLUM 2000; SOBER
2001.

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339: Alle voci citate nella nota precedente va aggiunta ad es. la rassegna BOSTROM
2001a.

340: I lavori di Bostrom dedicati alla filosofia analitica e al futuro sono reperibili sul
sito www.nickbostrom.com dove sono anche disponibili i link con la World
Transhumanist Association e il Journal of Transhumanism.

341: Come aveva d'altra parte già fatto in occasione della conferenza di Venezia sul
principio antropico.

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