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PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE

SEZIONE SAN LUIGI


SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE DI ARTE E TEOLOGIA
NAPOLI

Analisi di un’esperienza

Relazione nell’ambito di studio su


“Approccio all’Arte dall’Antropologia”

Relatore: Candidato:
Prof.ssa G. De Simone Angelo Nocilla
Matr.: SAFAT20.0065

ANNO ACCADEMICO 2020/2021


Premessa
Uno dei munus del ministero diaconale, all’interno di una Liturgia, è la
proclamazione della Parola, ossia di tutto ciò che riguarda il Vangelo e il mistero di Cristo.
A questa proclamazione è intrinsecamente collegata la vita del fedele che partecipa alla
Liturgia, poiché è dalla Parola, che è Cristo stesso, che scaturisce la risposta alla domanda
di fondo e di senso, ancora incessante e inquietante per ogni discepolo, sulla propria vita di
fede. Il momento dell’ascolto è dunque fondamentale e, perché è tale, non può essere
relegato ad un luogo qualunque, ad uno spazio “anonimo”. Proprio perché all’interno di
una Liturgia, la proclamazione della Parola e il suo ascolto devono poter essere
“riconosciuti” come luogo privilegiato.
Nell’evento della proclamazione della Parola di Dio quello spazio, quei suoni,
quelle luci, quei materiali utilizzati diventano sacri. Tutti i sensi vengono chiamati ad
essere protagonisti di questo dialogo Dio/uomo. È un evento coinvolgente e per il ministro
e per il fedele e l’ambone ne è via, attraverso la sua fattura, la sua bellezza che dice, che
riporta, nella sua simbologia, all’origine di tutto: la misericordia di Dio, il Suo farsi
prossimo, il Suo chinarsi passando dal materiale per smaterializzarsi, per fare eterno
l’evento celebrativo.
Dunque l’ascolto della Parola si visibilizza e si fa evento che coinvolge l’altro nella
sua totalità: lo chiama all’attenzione, lo fa riflettere, lo mette in crisi; lo fa gioire, ma anche
intristire, lo fa vivere e questo non rimane lì, in quel momento. Questo coinvolgimento
deve diventare esistenza, come promanazione del Verbo che prende carne nella carne di
ogni fedele. Tutta la persona, dunque, viene interessata, viene emozionata, i suoi
sentimenti si muovono perché quel luogo e quel suono sono divenuti strumento di quella
comune-unione che ha il massimo della manifestazione nell’eucaristia.
Alla luce di tutto questo cercherò di tracciare una breve analisi sull’esperienza che
coglie il fedele nel rapporto con l’ambone e il suo “spazio” e l’evento e l’avvento della
Parola di Dio che scende e parla, si fa ascoltare, si fa vedere e che si fa conoscere
muovendo il cuore dell’ascoltatore che, a sua volta, viene trasformato, plasmato da quel
dialogo fatto di versi, canti, poemi, e di silenzi che muovono il pathos. A tal fine proverò a
cogliere, attraverso l’approccio antropologico zubiriano, il senso di questa esperienza.

Esperienza: il senso della parola


Credo sia essenziale porre attenzione al concetto di esperienza perché il nostro
discorso può essere sicuramente aiutato dal suo contenuto.
Secondo il Tagliapietra il termine italiano esperienza può essere fatto risalire sia al
termine greco peîra sia a quello latino experientia accomunati da un’unica radice “per-”
che indicherebbe tutta una serie di termini legati alla sfera della precarietà: «rischio,
pericolo, tentativo, prova»1. Dello stesso tenore è il verbo latino experior, un transitivo
deponente, che nella sua particolarità indica sia un’azione passiva si un’azione attiva. Nella
fattispecie può essere tradotto con tentare, provare, mettere alla prova, misurarsi con un
significato che entra nella sfera militare, ma anche imparare a conoscere, sino a soffrire.
Della stessa radice “per-” è il verbo greco peráo, io passo attraverso, sempre legato alla
sfera della precarietà in quanto indicherebbe l’esporsi al pericolo che all’infinito perire
indica, appunto, il passaggio finale, il trapassare, il morire. In questo caso l’esperienza non
solo sarebbe un incamminarsi nell’insicurezza, ma uno spegnersi definitivo. E ancora
péras, legame e limite, che indicherebbe come l’esperienza comporterebbe un legame e un
tessere, cioè un formare un tessuto. È proprio in questo legame, in questa trama veniamo
stretti nella tela della vita. Anche per questo l’esperienza non può essere semplicemente
attraversata, ma deve essere vissuta ed è qui che diventa “limite”. In relazione a questo
significato del concetto di esperienza è legato anche il termine ápeiron, il non limitato,
l’illimitato, la spazialità, «ciò che non può essere passato da parte a parte» 2, di questo
infinito, una certa filosofia antica, ne indicherebbe il principio di tutto, l’origine.

Esperienza: una prima soluzione antropologica


L’esperienza è dunque da rintracciare all’interno di questo vastissimo orizzonte di
significati. Cercherò allora di fare sintesi per tentare di cogliere una definizione, un
significato che possa giustificare la mia tesi.
Posso subito affermare che ciò che si fa presente ed emerge con forza dalle parole
indagate è il concetto di “Erfahrung”, un uscire da sé, cioè porre il soggetto di fronte a sé
stesso e a ciò che lo circonda. Così l’uscire da sé e porsi di fronte a sé stessi ci pone al
rischio, al pericolo di mettersi in gioco, del misurarsi con l’altro da sé, appunto con la
realtà. Questa non è solo fuori da me, ma anche dentro me. In questo viaggio l’uomo, posto
in sé e fuori di sé, vive la doppia dimensione della passività e dell’attività, cioè
dell’accogliere e del rispondere. Ad extra accoglie l’altro che si dà e risponde attraverso
un’elaborazione di senso; ad intra vive il dramma della precarietà soggettiva perché
l’esperire lo pone nella condizione di “passare” sino al limite di sé, sino a toccare il fondo
1
A. TAGLIAPIETRA, Esperienza. Filosofia e storia di un’idea, Cortina, Milano 2017, 74. Sono tratte da questo
testo le indicazioni etimologiche del termine in questione.
2
Ib., 78.
della stessa esistenza. In questa doppia dimensione, che non è certo una dicotomia, l’uomo
impara a conoscersi “essere per” nelle trame che l’esperienza stessa crea in un dare e in un
ricevere, in un continuo divenire. Per questo dell’esperienza possiamo dire che è il darsi di
qualcosa, che colpisce, che sorprende, ma anche ciò che di quella cosa si può conoscere per
mezzo di un percorso, un cammino in cui si può ricostruire l’itinerario: questo è il
significato. Il conoscere, ma anche il riconoscere e il riconoscersi è superamento del limite
posto dall’esperienza, che essendo inattraversabile, sposta il suo confine in un continuo
andare avanti, in un’estenuante lotta dell’esistenza. Il “mettersi alla prova” è un vero e
proprio provarsi, ma anche essere provocati uscendo dal ripiegamento su sé stessi.

Esperienza alla luce dell’antropologia di Zubiri


Cercherò, adesso, di spiegare, dal punto di vista dell’antropologia zubiriana, come
vive l’uomo l’esperienza partendo proprio da ciò che il filosofo spagnolo dice dell’uomo,
dai concetti chiave del suo pensiero.
Zubiri supera la fenomenologia husserliana e l’esistenzialismo heideggeriano
sviluppando un’antropologia fondata su di una «metafisica intramondana» 3 che si basa nel
«prendere il reale così come è presentato nell'apprensione, [cioè] il mondo nella sua realtà
attuale»4 sino a superare lo stesso concetto di “intramondano” parlando di «realtà divina,
dell'uomo come “esperienza di Dio”, oltre che di Dio come esperienza dell'uomo, e
[analizzando] l'incontro tra Dio e l'uomo dal punto di vista di Dio» 5 il che non deve far
pensare ad una certa idea di fideismo da cui muove il filosofo, anzi. Nella filosofia
zubiriana vi è una certa «gradualità che parte dalla descrizione delle cose reali come si
presentano nell'apprensione, passa per l'analisi della realtà mondana in quanto tale, e
giunge alla realtà fondamentale o divina»6.
Dunque che cosa è per Zubiri l’esperienza? È l’incontro tra l’uomo e la realtà, di
cui fa parte, nel quale incontro vi è una conoscenza, un’apprensione, appunto, come si
diceva, ovvero una presa di coscienza della cosa che è posta di fronte all’uomo:
l’esperienza è «prova fisica della realtà»7. Questa conoscenza non è solo di tipo
intellettuale, ma è data anche da un “sentire”, da uno stimolo che è reso dalla proprietà che
la cosa ha in sé e per sé. Il cogliere questo “di suo” della cosa non è frutto di

3
G. FERRACUTI (ed) «X. Zubiri: Sulla nascita, la morte e l’enigma della vita», in www.ilbolerodiravel.org,
Aprile 1998.
4
Ib
5
Ib.
6
Ib.
7
X. ZUBIRI, L’uomo e Dio, a cura di A. SAVIGNANO, Marietti, Milano 20031, 262.
un’interpretazione dell’uomo, ma della cosiddetta apprensione intellettiva¸ cioè da quella
conoscenza della realtà dovuta dal sentire. L’apprensione intellettiva e l’apprensione
sensibile non sono due modi distinti con cui l’uomo conosce, come se esistesse una doppia
modalità di conoscenza, una dicotomia. Zubiri parla invece di «intellezione senziente […],
un sentire intellettivo»8.
Cosa conosce della realtà l’uomo? Di ogni cosa l’uomo conosce le sue proprietà,
dunque, che il nostro filosofo chiama note e che si differenziano tra di loro sebbene siano
un’unità inscindibile: ogni cosa è un sistema di note. Si va dalle note più superficiali delle
cose sino a giungere alle note, proprietà, più profonde che determinano l’essenza della cosa
stessa. In questo insieme di note l’uomo ne è intrinsecamente unito: l’uomo è unito alle
note delle altre cose, alla realtà che domina su tutto ciò che esiste. È il cosiddetto potere
della realtà al quale l’uomo è relegato, ossia, legato profondamente.

«Este carácter fundante hace que el hombre en sus actos no sea solo una realidad
actuante en una u otra forma, sino una realidad religada a la ultimidad. Es el
fenómeno de la religación. La religación no es sino el carácter personal absoluto de
la realidad humana actualizado en los actos que ejecuta. El hombre está religado a la
ultimidad porque en su propia índole es realidad absoluta en el sentido de ser algo
“suyo”»9

L’uomo e le cose vivono il loro sé e per sé, e il sé e per l’altro nella rispettività,
concetto zubiriano con il quale indica la relazione tra le cose e l’uomo: «è il fatto che ogni
cosa reale è costitutivamente una parte dell'universo ed è fatta come parte, per essere parte.
La rispettività di tutte le cose è dunque il mondo, l'unica realtà veramente sostantiva»10.
Queste cose sono il veicolo che indicano la possibilità, l'ultimità e l'impellenza di qualcosa
che è reale e l’uomo si realizza vivendo questa interazione nella rispettività con le cose.
L’uomo vive la realtà, è nella realtà non come relazione tra cose poste una di fronte
all’altra che provano a comunicare tra loro, ma come parte dell’insieme fatti per essere e
vivere quella relazione: un darsi come l’una cosa nell’altra perché fatti già l’una per l’altra.

G. FERRACUTI (ed) «X. Zubiri: Sulla nascita, la morte e l’enigma della vita»
9
X. ZUBIRI, Naturaleza, Historia, Dios, Alianza, Madrid 199410, 411 citato in P. PONZIO, «Re-legazione e
volontà di verità: lo spazio della libertà di fronte al “Potere del Reale” nel pensiero di X. Zubiri», in
Pensamiento, 75 (2019) 286, 1169-1187 «Questo carattere fondante significa che l'uomo nei suoi atti non è
solo una realtà che agisce in un modo o nell'altro, ma una realtà ricollegata all'ultimo. È il fenomeno della
religazione [religione]. La religazione non è altro che il carattere personale assoluto della realtà umana che si
attualizza negli atti che essa compie. L'uomo è relegato all'ultimo perché nella sua stessa natura è realtà
assoluta nel senso di essere qualcosa di "suo"».
10
G. FERRACUTI (ed) «X. Zubiri: Sulla nascita, la morte e l’enigma della vita»
E ancora: l’uomo «non solo non è niente senza cose e senza far qualcosa con esse, ma per
sé solo non possiede la forza di farsi»11.

Dio e l’uomo: l’esperienza dalla Parola


Dove sta Dio in tutto questo? Devo prima precisare che l’uomo fa esperienza ed è
esperienza della realtà, del suo potere perché, come avevo su accennato, ad essa l’uomo è
relegato: «nella mia relegazione […], si manifesta nell’esperienza ciò che è la realtà e il potere
del reale»12. L’uomo, dunque, conosce il reale proprio attraverso il reale. La sua stessa
realizzazione non è altro che l’agire, l’operare nella realtà perché sta nella realtà. L’uomo non è
però padrone-fondamento della realtà, anzi. La realtà, il suo potere, il suo dominio trascende
l’uomo che viene dalla realtà e non viceversa. Ma questa realtà non è assoluta, è fondata essa
stessa su di un fondamento che è, esso, assoluto, e che è Dio. Per Zubiri non può esserci una
realtà senza il fondamento e se questo fondamento è Dio, Dio è presente in tutta la realtà: «Dio
è la realtà-fondamento, la realtà assolutamente assoluta rispetto alla quale la mia realtà
personale, fatta in base al potere del reale, è re-legata ad esso, [ed] è una realtà solo
relativamente assoluta»13. L’uomo per il fatto di essere re-legato alla realtà è rimandato a
questa realtà fondante, realtà fondamento. Non è l’uomo ad andare verso Dio, ma è Dio che
viene all’uomo perché è già presente nel mondo come realtà fondante, origine originante, ma
non semplicemente come causa efficiente. Dio non trascende le cose così da pensarLo
distaccato dalle cose stesse. Dio trascende nelle cose e quindi nella persona umana «in virtù del
donarsi ad esse»14. Qui Dio, partecipa in un certo qual modo alla realizzazione dell’io
dell’uomo. Dio «è qualcosa che sta costituendo il mio rimando al fondamento divino nella mia
propria realtà personale nella configurazione dell’Io»15. Per questo Zubiri afferma che l’uomo è
esperienza di Dio, cioè egli sperimenta, nella sua personeità16, la realtà di Dio. Allora l’uomo
sperimenta Dio come donazione che non è un semplice atto caritativo «è precisamente Dio a
dare alla persona umana in dono proprio la sua verità reale» 17
11
Ib, 17.
12
X. ZUBIRI, L’uomo e Dio, 253.
13
Ib, 254.
14
Ib, 259.
15
Ib, 255.
16
È un concetto che si riferisce alla differenza interna all’individualità umana. Per Zubiri «la diversità umana
si configura non solo nella diversità, ma anche nella personeidad (personeità) e nella personalidad
(personalità) […] la personeidad è il carattere strutturale della persona, e quest’ultimo è il presupposto di
tutto il sistema. La personalidad invece è il punto di arrivo della persona umana. Questo è ciò che la persona
diventa in un lungo cammino fino alla morte. Solo all’ultimo istante si potrà dunque capire quale sia la
nostra personalidad. La differenza essenziale dunque è che la prima è presente dalla fecondazione alla morte,
la seconda è presente in potenza, ma solo alla fine della vita sarà in atto» in F. Puliga, L’unità della persona
in Zubiri, in www.pensierofilosofico.it/articolo/Lunita-della-persona-in-Zubiri/65/ [Ultimo accesso:
23.01.2022].
17
X. ZUBIRI, L’uomo e Dio, 260.
Ma in che cosa consiste questa verità? In ultima analisi la verità di Dio consiste in Gesù
Cristo che è la verità di Dio in persona. Gesù Cristo è «Verbum caro factum est. Caro, carne
[è] la forma di esperienza nella persona della verità reale di Dio. […] Il factum est [è] il farsi
appunto esperienza: lo stesso Cristo va facendo sé stesso in un certo modo umano e più che
umanamente, sebbene non come Verbo», tutto ciò è il darsi di Dio nell’incarnazione.
Detto questo: come l’uomo può fare esperienza di Dio nell’esperienza dell’ascolto
della Parola, liturgicamente data, in un luogo/spazio dedicato, direi anche artistico? Se la
Parola proclamata è quel Cristo, il Verbo incarnato, la Verità di Dio, Verità in persona il suo
ascolto non è altro che un incontro con il divino e questo è arricchito dallo spazio in cui questo
avviene. In termini zubiriani la realtà tutta è coinvolta in questo “dramma” del suo fondamento
che si dona, che si rivela assolutamente assoluto. È l’Inattraversabile di cui l’uomo non può
disporre, ma a cui si trova legato, re-legato: l’uomo è l’esperienza di Dio vissuta
nell’esperienza religiosa che supera la stessa religione e quindi che coinvolge l’essere stesso
dell’uomo.
Lo spazio di questo incontro, l’ambone, qui, diventa luogo privilegiato in quanto
amplifica, attraverso questo riconoscimento emozionale, emotivo, attraverso questo sentire
intellettivo dell’opera d’arte, l’esperienza dell’ascolto. Ma questo rimarrebbe solo un luogo
come un altro se non vi fosse l’uomo e il libro: «esso per sé solo attesta la trascendenza,
l’origine alta della Parola. La attesta nel libro, che è più del semplice testo, è un corpus visibile
e oggettivo. La attesta attraverso la frontalità, che segnala la singolarità della testimonianza, la
quale dà anche ordine allo spazio e genera il luogo. La attesta nel tono, nella vocalità singolare
di un atto di parola»18. L’ambone, nel suo essere estensione dello spazio celebrante, è
estensione di quella Parola, di quella voce, di quell’evento «atto di comunicazione che spicca
come elemento di concentrazione, [che genera] appunto per necessità un luogo pronunciato,
[…] alto, distinto, attorno al quale e in direzione del quale vengono sollecitate le forme
dell’adesione e del responso»19. Inoltre con la sua profonda simbologia l’ambone comunica,
trasmette, il fatto che l’origine di ciò che si ascolta, la Parola, è altro e alto, assolutamente
assoluto che si dona nella forma del reale ed essendo l’uomo relegato a questo potere del reale
è aperto intrinsecamente ad accogliere, in questo luogo e attraverso questo luogo, il Verbo che
si dà. L’esperienza artistica è funzionale all’esperienza religiosa che nell’essere relegato e,
quindi, partecipante di quel Verbo, si fa esperienza spirituale.

18
C. DECHESNEAU, Parole du Seigneur. Guide pour la liturgie de la parole, Paris 1981citato in G. ZANCHI,
L’Ambone nella drammaturgia liturgica: elementi di teologia e criteri di estetica, a cura di G. BOSELLI, Atti
del III Convegno liturgico internazionale, Qiqaion, Bose 2005, 206.
19
Ib.
 
Piccola Bibliografia
DECHESNEAU C., Parole du Seigneur. Guide pour la liturgie de la parole, Paris 1981citato
in G. ZANCHI, L’Ambone nella drammaturgia liturgica: elementi di teologia e criteri di
estetica, a cura di G. BOSELLI, Atti del III Convegno liturgico internazionale, Qiqaion,
Bose 2005, 206

FERRACUTI G. (ed) «X. Zubiri: Sulla nascita, la morte e l’enigma della vita», in
www.ilbolerodiravel.org, Aprile 1998.

Puliga F., L’unità della persona in Zubiri, in www.pensierofilosofico.it/articolo/Lunita-


della-persona-in-Zubiri/65/ [Ultimo accesso: 23.01.2022].

PONZIO P., «Re-legazione e volontà di verità: lo spazio della libertà di fronte al “Potere del
Reale” nel pensiero di X. Zubiri», in Pensamiento, 75 (2019) 286, 1169-1187.

TAGLIAPIETRA A., Esperienza. Filosofia e storia di un’idea, Cortina, Milano 2017.

ZUBIRI X., L’uomo e Dio, a cura di A. SAVIGNANO, Marietti, Milano 20031.

ZUBIRI X., Naturaleza, Historia, Dios, Alianza, Madrid 199410.

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