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L’essere si distingue, secondo la bipartizione logica ed ontologica di Leibniz in verità di ragione e verità di fatto.

Se la verità di fatto è caratterizzata dal principio della ragione sufficiente, di conseguenza ne deriva che Leibniz
identifica la sostanza con la monade. Il termine “monade” deriva dal greco monas, “unico”. Tutti gli enti per
Leibniz o sono monadi o sono unioni di monadi. Le monadi leibniziane non sono altro che il corrispondente degli
atomi nella filosofia atomistica. Qual è la differenza fra le monadi e gli atomi della filosofia atomistica? Da un lato
Leibniz identifica la sostanza con la monade: aggiunge cioè alla monade la definizione della sostanza (si inserisce
dunque il termine sostanza nell’ambito della discussione sulla sostanza che era avvenuta nella filosofia di
Cartesio e in quella di Spinoza), dall’altro lato, se in Cartesio si individuavano tre sostanze (la sostanza divina, la
res cogitans e la res extensa), in Leibniz si individuano tante sostanze quante sono le monadi: alle infinite monadi
corrispondono infinite sostanze.
Qual è la caratteristica della monade? Essa è un ente unico che possiede in sé stesso sia la determinazione
aristotelica dell’energheia (nel senso di atto dinamico in quanto la monade è un centro di attività) che della
entelecheia (esistono i cosiddetti enti imperfetti creati da Dio, la monade delle monadi, e saranno distrutte da Dio
per annichilazione). Di qui le monadi costituiscono centri di vita e di attività: Leibniz riunisce e congiunge in una
monade sia la dimensione fisica della physis che la dimensione della psyché o la dimensione cartesiana della res
cogitans. Nella monade le dimensioni spazio-temporali risultano congiunte ed inseparabili: in ciascuna
monade risulta presente tutto ciò che spazialmente la costituiva sin dalla sua origine (risulta dunque presente lo
spazio universale espresso individualmente nell’unità della monade) e risulta presente la dimensione universale
del tempo nel senso che in ciascuna monade si afferma il tempo passato, il presente il futuro poiché ciascuna
monade contiene in sé stessa queste tre determinazioni temporali: il passato, il presente ed il futuro (che altro
non è che la teorizzazione delle potenzialità intrinseche della monade stessa). Poiché le monadi appetiscono e
poi percepiscono, se la percezione costituisce la componente attraverso la quale le monadi assorbono quanto gli
appartiene intrinsecamente, la percezione costituisce il passaggio, la metabasis inconsapevole alla dimensione
conscia propria delle monadi. Le monadi, poi, secondo Leibniz, non si individuano attraverso lo sguardo e le
componenti del corpo, ma attraverso gli “occhi della mente”, attraverso l’attività della mente, che a sua volta non
è altro che monade.

QUADRO SINOTTICO A PAG. 337

• Forza deriva dal latino “vis”, attività è intesa nel senso di energheia
• Atomi immateriali: “immateriali” significa che hanno significati e componenti che possono essere
ricercati solo con la mente;
• Inestesi perché l’estensione costituisce un derivatum rispetto alla natura delle monadi;
• Principio dell’identità degli indiscernibili: secondo Leibniz non esistono monadi completamente
coincidenti poiché si parte dal fatto che due enti sono sempre differenti l’uno rispetto all’altro;
• Autonome: possiedono la propria vitalità interna e la propria perfezione interna. Ciascuna monade
possiede la capacità in sé stessa di realizzarsi senza rapportarsi ad un’altra monade;
• Specchi dell’universo: secondo la particolarità di ciascuna monade in ogni monade si rispecchia la
dimensione universale;
• Centri di vita psichica: la parola “psichica” corrisponde al termine greco psyché

IL CAMOROSO ERRORE DI PARTENZA DI CARTESIO


Cartesio è stato indubbiamente un importantissimo filosofo, ma anche i grandi filosofi possono sbagliare: “chi
pensa in grande sbaglia in grande” scriverà Haegel, un filosofo vissuto fra il 1770 ed il 1831.
In che consiste, secondo Leibniz, il memorabile errore di Cartesio? Esso consiste nella identificazione della forza
con il movimento, laddove un ente anche fermo ed immobile possiede la sua forza, ossia la capacità di resistenza
rispetto ad un altro ente: sia il movimento che la quiete, dunque, si identificano con la componente della forza o
di “vis” leibniziana.

CONFRONTO FRA LA GNOSEOLOGIA LEIBNIZIANA E LA GNOSEOLOGIA LOCKIANA


Fra le opere di Leibniz vanno annoverati i Nuovi saggi sull’intelletto umano, in cui Leibniz critica la gnoseologia
lockiana basata sulla concezione della mente umana come un foglio bianco su cui si imprimono le conoscenze ed
il sapere attraverso i sensi. All’empirismo lockiano, dunque, Leibniz sostituisce il natismo virtuale (in Leibniz
prevale una componente razionalistica rispetto a quella empiristica: secondo il filosofo le impressioni risultano
oscure e confuse senza le nozioni presenti nell’intelletto): è vero che noi percepiamo le sensazioni, ma per Leibniz
le sensazioni sono confuse se non vengono poi chiarite da nozioni che la nostra mente possiede: nella nostra
mente esistono delle strutture e coordinate spazio-temporali (identità, diversità, ecc.) che si riempiono di
contenuto attraverso l’esperienza. Questa concezione del natismo virtuale è sintetizzata dalla frase latina nihil
est in intellectu, quod non fuerit in sensu, excipe: nisi ipse intellectus. Ciò vuol dire che niente è nell’intelletto
che non derivi dai sensi eccetto lo stesso intelletto attraverso le sue facoltà mentali, come la concezione del
tempo, dello spazio, che noi possediamo sin dalla nascita che si riempiono di contenuto con l’esperienza.

IMMANUEL KANT
Kant nasce a Königsberg (che vuol dire “montagna del re”) il 22 aprile 1724 da una famiglia di modeste condizioni
economiche. Per i suoi meriti riuscirà a laurearsi in filosofia (la laurea in filosofia allora implicava un tipo di
sapere completo: matematica, fisica, astronomia, ecc.) seguendo le lezioni nella nativa Königsberg, nella quale
morirà il 12 febbraio 1804. Tra i maestri di Kant va ricordato Martin Knutzen, che riuscì a collegare interessi
filosofici con interessi fisici e matematici. Nel 1755 Kant consegue la libera docenza con la dissertazione del libro
“Nuova delucidazione dei primi princìpi della conoscenza metafisica”: che significa libera docenza? Egli avrebbe
potuto insegnare varie discipline senza usufruire di uno stipendio da parte dello stato prussiano, ma solamente
retribuito dagli studenti che si iscrivevano ai suoi corsi.
La svolta nel percorso filosofico di Kant avviene nel 1770, quando presenterà, per ottenere la cattedra di
ordinario di filosofia, la dissertazione De mundi sensibilis De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et
principiis (“Dissertazione sulla forma e i princìpi del mondo sensibile e intelligibile”). Essa segna il superamento
della cosiddetta fase precritica, che da un punto di vista cronologico precede il cosiddetto periodo di interessi
fisici e naturalistici e che invia la fase critica.
Una volta ottenuto l’ordinariato con quest’opera, per undici anni il filosofo non scrive nulla fino a quando nel
1781 scriverà Kritik der reinen Vernunft, la “Critica della ragione pura”. Siccome nessuno aveva capito
quest’opera, molto innovativa e scritta in un linguaggio molto impegntivo, allora nel 1783 il filosofo scrive
un’opera molto più accessibile, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza.
Anche quest’opera, però, non venne compresa. Nel 1787 scrive e pubblica la Zweite Ausgabe, la seconda edizione
della Critica della ragione pura, nella quale riscrive completamente una parte fondamentale, la Deduzione dei
progetti puri dell’intelletto.
Un anno dopo, nel 1788, Kant pubblica la Kritik der praktischen Vernunft, la “Critica della ragione pratica”. Se
la “Critica della ragione pura” risponde alla domanda “che cosa posso sapere?”, la “Critica alla ragione pratica”
risponde alla domanda “che cosa devo fare?”.
Nel 1790 Kant pubblicherà la Terza Critica, la Kritik der Urteilskraft, approssimativamente è tradotta come
Critica del giudizio, ma “Urteilskraft” è tradotto come “forza di giudicare”.
Ancora va ricordata l’opera pubblicata nel 1793, la Religione entro i limiti della semplice ragione: la religione
privata di qualsiasi forma di superstizione o di dogma riportata alle componenti originare che contribuiscono
alla tutela delle differenze fra le varie religioni.
Altra opera importante è Per la pace perpetua, pubblicata nel 1795. Per quanto riguarda la storia della filosofia
e del pensiero politico, è il primo pacifista. Tale trattato è infatti di argomento politico: Kant indica quali regole
debbano essere rispettate ed attuate per garantire la pace a tutti i popoli.
Negli ultimi anni della sua vita Kant soffre di demenza senile. Muore infine il 12 febbraio 1804: le ultime parole
che avrebbe pronunciato in base alle cronache del tempo sarebbero Es ist gut: “Va bene”.

Quadruplice domandare kantiano


La prima domanda che Kant pone è “che cosa posso sapere?” laddove la domanda implica l’individuazione della
possibilità (in tedesco Moglichkeit), ma l’individuazione della possibilità implica anche l’esclusione della
impossibilità. L’individuazione della possibilità produce come conseguenza l’individuazione del feld (campo
dentro al quale si possono costituire delle conoscenze fondate e legittime) und grenze (granz) (che significa
invece limite che non si deve superare: se si supera questo limite si producono delle conoscenze infondate, cioè
che non hanno un grund, una base o un sostegno su cui essere costituite e riconosciute universalmente. La prima
domanda che Kant pone, dunque, implica l’individuazione delle possibilità conoscitive, ma l’esclusione delle
impossibilità poiché queste impossibilità trascendono le limitate capacità conoscitive umane. Di qui, come
termini chiave per la domanda riguardante la prima critica si hanno il termine possibilità, impossibilità, feld e
grenze.
La seconda domanda è che cosa devo fare? Se la prima domanda implicava la possibilità, ma la possibilità
implica l’impossibilità, nella seconda domanda si passa al dovere, qualcosa che si deve compiere
necessariamente: si passa dalla dimensione conoscitiva alla dimensione del prattein, dell’agire. Come devo agire
per garantirmi l’eudaimonia, la felicità? Se la prima domanda riguardava la dimensione aristotelica delle scienze
teoretiche, la seconda domanda riguarda la dimensione del prattein, dell’agire.

La terza domanda è che cosa posso sperare (was kann hoffen)), Cosa posso sperare dopo la morte? A questa
domanda Kant risponde nella parte conclusiva della critica della ragione pratica, nei Postulati della ragione
pratica.

La quarta ed ultima domanda è che cos’è l’uomo (was ist der Mann).), Qual è il senso di questa quarta domanda?
Gli elementi per rispondere a questa domanda non sono altro che presenti nelle tre domande precedenti.
Rispondere alla domanda che cos’è l’uomo vuol dire rispondere alla domanda “che cosa posso conoscere?”, “che
cosa devo fare?” e “che cosa posso sperare?”. Avendo risposto a queste tre domande si può rispondere anche alla
quarta domanda: l’uomo non è altro che quell’ente che individua le condizioni attraverso le quali raggiunge
conoscenze, individua le regole da applicare per garantirsi l’eudaimonia, individua in che senso può sperare
nell’eventuale immortalità dell’anima (alla domanda “che cosa posso sperare?” Kant risponde nella Seconda
Critica e nei Postulati della Ragione Pratica)

CHE COSA POSSO SAPERE?


Già nella dissertazione del ‘70 De mundi sensibilis De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis
Kant individua nella definizione di mundus, del mondo, due componenti: la componente sensibile e la
componente intellegibile. La prima riguarda la conoscenza fenomenica (la parola “fenomenica” deriva da
phainomenon, ciò che appare), mentre la conoscenza intellegibile riguarda la conoscenza nomenica (da noein, ciò
che è oggetto ed attività del pensiero). Nella dissertazione del ‘70 Kant ripensa al dibattito fra empirismo e
razionalismo che era stato sviluppato prima nella filosofia di John Locke e poi nell’opera di Leibniz: mentre
Leibniz individua una differenza di grado fra mondo sensibile e mondo intellegibile (mentre il mondo sensibile è
spuro e quello intellegibile chiaro e distinto), Kant ne individua una differenza di genere. Secondo Kant nel mondo
sensibile l’uomo è passivo nel senso che subisce i rumori, gli odori, i colori, ecc., mentre nel mondo intellegibile
esso è attivo ed elabora attraverso delle condizioni quanto è stato individuato attraverso la conoscenza sensibile.
Nella conoscenza sensibile Kant individua una iule (“materia”) e un eidos (“forma”). La materia deriva dalle
impressioni esterne (voci, suoni, odori ecc.), mentre l’eidos che Kant individua nella conoscenza sensibile è
identificato nelle dimensioni spazio-temporali corrispondenti alla conoscenza sensibile stessa: noi percepiamo i
fenomeni entro determinate coordinate spaziali, ma anche all’interno di coordinate temporali.
Per quanto concerne la dissertazione intellegibile, Kant nella dissertazione del ‘70 non elabora il modo in cui
questa poi corrisponda o si attivi sulla base del materiale della conoscenza sensibile; occorreranno molti anni
perché il filosofo giunga a trovarne una spiegazione filosofica: la testimonianza di tale giustificazione filosofia è
la prima edizione della Critica della Ragione Pura.
La ripartizione della Critica della Ragione Pura si pone in questi termini:
• Dottrina trascendentale degli elementi; a sua volta suddivisa in estetica trascendentale (analisi della
conoscenza sensibile e delle sue componenti costitutive, lo spazio ed il tempo) e logica trascendentale;
• Dottrina trascendentale del metodo.

3 maggio
La dottrina trascendentale degli elementi è suddivisa in:
• Estetica trascendentale: per “estetica trascendentale” Kant intende l’analisi della conoscenza sensibile;
analisi nel senso greco di analyo, scomporre la conoscenza sensibile nelle componenti che la
costituiscono, che sono, in base alla dissertazione del ‘70;
• Logica trascendentale: se nell’estetica trascendentale Kant si subiscono le impressioni esterne secondo
le coordinate spazio-temporali, nella conoscenza intellettuali questi dati vengono rielaborati e si
stabiliscono dei collegamenti fra di essi. Nella logica trascendentale, dunque, Kant individua i metodi
attraverso cui si stabiliscono i collegamenti e le relazioni fra i due dati sensibili. Tali modalità sono
costituite da due facoltà: se la facoltà dell’estetica trascendentale è la nnlichkeit, ossia la “sensibilità”, le
facoltà della logica trascendentale sono il Verston (“intelletto”) e la Vermunlt (“ragione”). La quarta
facoltà analizzata da Kant nella Logica Trascendentale è l’Einbildungskraft, che vuol dire “facoltà di
immaginazione”. Kant suddivide anche la logica trascendentale in Analitica Trascendentale e
Dialettica Trascendentale. L’analitica trascendentale tratta dell’intelletto e del modo attraverso cui
l’intelletto elabora i contenuti provenienti dalla sensibilità. Il filosofo affronta anche la Dialettica
Trascendentale, la cui facoltà non è più l’intelletto ma la ragione, che viene analizzata criticamente da
Kant nella Dialettica Trascendentale nella sua pretesa di condurre conoscenze incondizionate, cioè
conoscenze che vanno oltre i limiti della sensibilità. Per Dialettica Trascendentale Kant intende la Pars
Destruens, ossia la parte critico-negativa, nell’ambito della Logica Trascendentale. Attraverso la Dialettica
Trascendentale Kant dimostra l’infondatezza e le contraddizioni dell’uso della ragione incondizionato,
che trascende le nostre capacità conoscitive. Kant usa il termine “dialettica” con un significato
completamente diverso rispetto a quanto avveniva in Platone: se in Platone la dialettica costituiva la
componente mediante cui si individuava il meghiston matema (la conoscenza suprema), da cui derivava
la synopsis, in Kant la dialettica assume un significato elemtico (da elenchos)di confutazione alla ragione
di produrre conoscenze infondate. In Kant dunque la dialettica non assume alcun ruolo fondati o, ma
solamente un ruolo di critica delle pretese della ragione di produrre delle conoscenze incondizionate ed
indipendenti.

TEORIA KANTIANA DEL GIUDIZIO


Kant definisce il giudizio. Che cosa vuol dire secondo il filosofo giudicare? Giudicare significa stabilire un
collegamento fra soggetto e predicato: se si dice “la giornata è soleggiata” non si fa altro che esprimere un giudizio
ed un collegamento fra il soggetto “la giornata” e l’aggettivo “soleggiata”.
Kant distingue tre tipi di giudizio:
• Giudizi analitici;
• Giudizi sintetici a posteriori;
• Giudizi sintetici a priori.
Nel giudizio analitico a priori il predicato esprime una qualità già insita nel soggetto. Se si dice “i corpi sono
pesanti” non si fa altro che, attraverso il predicato, esprimere una qualità insita nel soggetto, quindi nella natura
dei corpi. Secondo Kant, dunque, il giudizio sintetico a priori è necessario, universale, però non allarga e non
amplia le conoscenze perché il predicato esprime qualità già insite nel soggetto.
Nel giudizio sintetico a posteriori si esprime un giudizio in cui la qualità del soggetto deriva dall’esperienza e
dunque è conseguenza di un giudizio che estende la nostra conoscenza. Di conseguenza tale tipo di giudizio, pur
allargando le conoscenze, non risulta né universale né necessario: non c’è una legge che lo giustifica da tutti
riconosciuta e dunque fondata.
Kant, infatti, si pone come obiettivo di fondazione quello relativo al giudizio sintetico a priori: bisogna fondare
un giudizio che allarghi le conoscenze e che al contempo sia universale e necessario (da nessuno messo in
discussione). La formazione di un giudizio critico a priori costituisce l’obiettivo che Kant realizza nella prima
critica.
Nella seconda edizione del 1787, per chiarire il cambiamento radicale introdotto da lui stesso nella Critica della
Ragione Pura, egli scrive la prefazione nella quale, in riferimento ai cambiamenti intervenuti nella matematica
(attraverso quello che egli stesso definisce come il “meraviglioso popolo dei greci”) e nella fisica, propone tale
cambiamento radicale: come Copernico capovolse la prospettiva per quanto riguarda il rapporto fra Terra e Sole,
così Kant propone un rovesciamento di prospettiva anche in filosofia.

TESTO PAG. 193


• R. 2: che intende Kant per “scienza” (in tedesco wissenschaft)? Intende il senso greco di epistheme, un
sapere saldo ed incontrovertibile;
• R. 7: “...a priori”: qui Kant utilizza, per il cambiamento intervenuto nella matematica ad opera del
“meraviglioso popolo dei Greci”, la metafora della “gran luce”: prima ci si muoveva nella nebbia e
nell’oscurità riguardo le proprietà delle figure, finché poi accendendosi la luce si comprese che occorreva
prima definire le proprietà delle figure e poi riportarle attraverso delle esemplificazione empiriche e
sensibili che costituirono comunque null’altro che una imitazione delle proprietà originarie e definite
delle figure; nel percorso intellettuale di Kant, inoltre, la gran luce si accese (metaforicamente) nel 1769,
quando comprese che non era necessario indagare gli elementi sensibili, ma individuare la componente
che costituisce la base dei fenomeni sensibili.
5 MAGGIO
• R. 25 “per così dire, con le dande”. Qui l’argomentazione di Kant è molto chiara ed esplicita: la ragione
genera e produce delle leggi e poi cerca nella natura una conferma a queste ipotesi e leggi. La ragione,
dunque, nella sua componente ipotetica, costituisce il prius e la natura costituisce il posterius.
• Fine testo: il rapporto fra il filosofo e la natura non deve essere quello di uno scolaro quanto la natura gli
detta e gli suggerisce in base ai suoi fenomeni, ma quello di uno scolaro che distingue nei fenomeni naurali
l’alethes dallo pseudos.
Kant aggiunge che “occorre che anche in filosofia la stessa rivoluzione compiuta sia in matematica che in fisica
ponendo al centro il soggetto ed individuandone le sue facoltà e capacità conoscitive e poi, una volta individuate
le facoltà presenti nel soggetto, dimostrare come queste facoltà si attivino o intervengano in rapporto ai dati
sensibili producendo conoscenze fondate ed universali”. Sulla base di questo capovolgimento, se in un primo
momento il prius era costituito dall’oggetto, dal mondo esterno, ed il posterius dal soggetto, con la rivoluzione
copernicana secondo Kant il prius è costituito dal soggetto e dalle sue facoltà conoscitive (sensibilità, Sinnlickeit,
intelletto, Verston, ragione Vermunlt e la capacità di immaginazione, Einbildungskraft).

ESTETICA TRASCENDENTALE
Con “Estetica trascendentale” si intende l’analisi della conoscenza sensibile e delle sue forme a priori, cioè
precedenti alla conoscenza sensibile e connaturate a quest’ultima.
Già nella Dissertazione del ‘70 Kant individuava nella conoscenza sensibile la iule (materia) e l’eidos, la forma,
laddove l’eidos non è altro che la componente presente nell’attività pensante e nel modo attraverso cui questa
componente si attivi o intervenga nell’elaborazione dei dati sensibili. Queste componenti della sensibilità (che si
propongono come delle intuizioni pure (in tedesco reine Anschauung), sono lo spazio (Raum) ed il tempo (Zeit):
noi percepiamo le nostre impressioni sensibili mediante delle coordinate spaziali e coordinate temporali secondo
la scansione del prima e del poi.
Kant sviluppa ulteriormente nella Estetica Trascendentale questa concezione della sensibilità suddividendola in
due parti:
• Deduzione metafisica: Kant si confronta criticamente con la concezione dello spazio e del tempo nella
filosofia a lui contemporanea o precedente; in particolare si confronta con la concezione dello spazio
newtoniana, leibniziana e lockiana. Newton aveva trattato dello spazio e del tempo nell’opera del 1687
Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, laddove egli aveva individuato una componente dello
spazio e del tempo assoluti (“assoluto” è un termine derivante dal latino ab solutus, “sciolto” da qualsiasi
condizionamento). Se Newton poneva le concezioni dello spazio e del tempo in senso assoluto ne
derivava, secondo Kant, l’impossibilità che l’assolutezza dello spazio e del tempo producesse o generasse
dei rapporti con lo spazio ed il tempo relativi, che si pongono cioè in corrispondenza del mondo sensibile
e che possono cambiare in base alla determinatone fenomenica. Di qui il limite di Newton è avere
individuato spazio e tempo assoluti che implicano il chorismos (“separazione”) fra spazio e tempo assoluti
e spazio e tempo relativi: pertanto la concezione dello spazio e del tempo di Newton risulta, secondo Kant,
infondata. Per quanto riguarda la critica alla concezione lockiana dello spazio e del tempo si articola in
questi termini nella “Deduzione metafisica”: Locke intende lo spazio ed il tempo come determinati dalla
sensibilità. Secondo Locke, infatti, alla nascita la nostra mente è come un foglio bianco su cui si imprimono
le conoscenze e dunque le coordinate spazio-temporali. Secondo Kant risolvere lo spazio-tempo
esclusivamente nella dimensione empirica significa individuare la componente a priori, giacché essa
preesiste ai dati empirici. Se Newton aveva privilegiato la componente dello spazio e del tempo assoluti,
Locke privilegia la componente fenomenica, ma ciò vuol dire ridurre lo spazio ed il tempo a componente
empirica, laddove lo spazio ed il tempo costituiscono la condizione dell’esperienza. La concezione
leibniziana dello spazio e del tempo si risolveva nella monade: per Leibniz infatti tutti gli enti o sono
monadi o sono associazioni di monadi (l’ente uomo, ad esempio, altro non è che aggregazione della
monade corpo e della monade anima). Secondo Leibniz ciascuna monade contiene in sé stessa tutte le
coordinate spaziali, e dunque tutte le coordinate dell’Universo, ma declinate nell’ambito dell’individualità
di ciascuna monade. Tutte le monadi possiedono in sé stesse le tre componenti del passato, del presente
e del futuro: la monade uomo, per esempio, contiene in sé stessa tutto il passato, ma anche il presente e
tutte le possibilità del futuro. Kant critica la concezione leibniziana dello spazio e del tempo sostenendo
che lo spazio ed il tempo non vanno intesi nel senso universale, ma all’interno della loro costruzione
nell’ambito della conoscenza sensibile.
• Deduzione trascendentale: Kant individua il dominio e la prevalenza della dimensione spaziale nella
geometria e la prevalenza della dimensione temporale nell’aritmetica, in quanto essa studia i numeri
secondo la loro successione del prima e del poi.

LOGICA TRASCENDENTALE
Se nell’Estetica trascendentale la dimensione conoscitiva secondo Kant è passiva (subiamo i dati sensibili
secondo le coordinate spazio-temporali), nella Logica Trascendentale (“logica” nel senso del termine greco
leghein, ossia effettuare dei nessi fra i dati sensibili) la dimensione conoscitiva è attiva: stabiliamo dei nessi e
delle relazioni fra i dati sensibili derivanti dalle impressioni. Kant sottolinea comunque la stretta correlazione (in
tedesco Zusammengehorigkeit) di intuizioni e concetti, nel senso che le intuizioni senza concetti sono cieche
(cieche nel senso che non hanno l’orientamento e la direzione che la dimensione concettuale assicura), mentre i
concetti senza le intuizioni sono vuoti poiché non hanno il materiale sensibile che assicura la dimensione
dell’estetica e dunque la conoscenza sensibile.
Qual è la differenza fra logica trascendentale e logica aristotelica? Mentre la logica aristotelica riguardava i nessi
del discorso indipendentemente dal contenuto, la logica trascendentale riguarda l’individuazione delle forme a
priori dell’attività pensante, in particolare delle due facoltà attraverso cui si struttura l’attività pensante, il
Verston (“intelletto”) e Vermunlt (“ragione”). Nella logica trascendentale invece Kant individua in che modo le
due facoltà attive, l’intelletto e la ragione, si relazionano con i dati sensibili. In particolare, nella prima parte della
Logica Trascendentale, riguardante la facoltà dell’intelletto, Kant definisce l’ ANALITICA TRASCENDENTALE
(la parola “analitica” deriva dal greco analyo, “scomporre il complesso in tante parti semplici”). In essa sono
individuati i presupposti attraverso cui viene esercitata l’attività pensante condizionata dai dati sensibili.
Nell’Analitica Trascendentale sono dunque individuate le condizioni a priori dell’intelletto attraverso cui questo
individua le relazioni fra i dati sensibili, ed in particolare le forme pure dell’intelletto vengono individuati da Kant
nei Concetti Puri e nelle Categorie. Il termine “Categoria” fu anche trattato da Aristotele. La differenza fra Kant
ed Aristotele è data dal fatto che mentre Aristotele elenca le dieci categorie nel trattato omonimo, capitolo 4, lo
fa in quello che Kant definisce come una maniera “rapsodica” e disordinata. Ciò accade perché secondo Kant
Aristotele non individua il Leitfaden, il “filo conduttore” che accomuna tutte queste categorie. Secondo Kant il
“filo conduttore” fra tali categorie è la capacità di giudicare: giudicando noi stabiliamo delle relazioni (se dico
che “la giornata è nuvolosa” stabilisco una relazione fra il soggetto, “la giornata”, ed il predicato, “nuvolosa”).
Inoltre, se in Aristotele le Categorie erano leges entis, in Kant esse diventano leges mentis: mentre in Aristotele
le Categorie riguardavano la dimensione dell’ente (hanno dunque un senso ontologico), in Kant esse hanno un
significato psicologico (riguardano la mente e la sua capacità di pensare).

12 maggio
Per quanto concerne la definizione di “trascendentale”, Kant scrive: “Intendo per trascendentale non gli oggetti,
ma il nostro modo di concepirli, o le condizioni che sono alla base della conoscenza degli oggetti”.
Aristotele individua le forme pure dell’intelletto identificandole nelle Categorie.

Kant passa poi alla deduzione delle Categorie: che intende Kant per “deduzione delle Categorie”? Intende la
dimostrazione della pretesa delle Categorie di intervenire in relazione ai dati sensibili. In particolare, Kant
utilizza alcune parole latine, nel senso che con la deduzione avviene la metabasis dalla Quaestio facti alla
Quaestio iuris. Quaestio facti (“Questione di fatto”) significa che dal riconoscimento del fatto che le Categorie
costituiscono le forme a priori dell’intelletto dimostrare il diritto delle Categorie di produrre delle conoscenze
fondate e legittime mediante la relazione col molteplice empirico (deduktion). Per Quaestio iuris (questione di
diritto) si intende il diritto avanzato dalle Categorie di valere come forme a priori dell’intelletto sul molteplice
attribuendogli un significato che, se lasciato a sé stesso, risulta vuoto: egli scrive infatti che concetti senza
intuizioni risultano vuoti perché manca loro la componente derivante dalle intuizioni, e le intuizioni senza
concetti risultano vuote poiché manca loro l’orientamento fornito dall’attività dell’intelletto attraverso i concetti
puri o categorie.
Kant suddivide la deduzione (Deduktion) in Analitica dei concetti e analitica dei principi.
Alla base dell’Analitica dei concetti si pone l’individuazione come principio unitario l’unità sintetica
dell’appercezione o “io penso” (io penso; unità sintetica dell’appercezione; appercezione trascendentale). La
parola “appercezione” è tratta da Leibniz, laddove egli aveva scritto, nella Monadologia, che le monadi
percepiscono ed appercepiscono. Percepiscono in maniera passiva ed inconscia, mentre appercepiscono in
maniera attiva e consapevole. L’io penso non genera il materiale conoscitivo, ma sintetizza i dati o i materiali
provenienti dal mondo esterno. Mentre un filosofo tedesco successivo a Kant, Johann Gottlieb Fichte (1762 –
1814), intende l’io penso come generatore del materiale e della forma conoscitiva, in Kant l’io penso è inteso
come unità sintetica della concezione, laddove il materiale deriva dai sensi.
Nell’Analitica dei principi Kant dimostra come le Categorie vengano applicate attraverso l’individuazione degli
schemi. Qual è il problema che Kant risolve nell’Analitica dei principi? Il problema è costituito dalla domanda in
base alla quale ci si chiede come si passi dalla eterogeneità tra intuizioni e concetti alla loro omogeneità. Le
intuizioni sono ricettive, ossia derivano dal mondo esterno, mentre i concetti sono attivi (li elaboriamo attraverso
la nostra capacità pensante). Occorre individuare il termine medio che consenta il passaggio dalla eterogeneità
alla loro omogeneità. Il termine medio individuato da Kant è lo schema, che costituisce l’elemento di
congiunzione fra intuizione e concetti; esso contiene sia la componente sensibile o ricettiva che la componente
attiva. Egli fa l’esempio del piatto. Quando ci riferiamo al piatto, il riferimento contiene sia un riferimento
sensibile al piatto che usiamo per mangiare, ma contiene anche delle caratteristiche proprie del piatto che
distinguono il piatto dalla pentola, dal bicchiere e così via.
Gli schemi consentono in questo modo il passaggio, la metabasis, dalla eterogeneità alla omogeneità e sono
elaborati e prodotti dalla quarta facoltà, Einbildungskraft (“capacità di immaginazione”). Tale facoltà produce
gli schemi secondo la determinazione del tempo, ossia secondo il prima o il poi, in base alla definizione del tempo
individuata in Aristotele, Fisica, libro IV, capitolo 11.

15 maggio
Per Kant l’unica conoscenza legittima è quella che si basa sui dati sensibili, e dunque è una conoscenza limitata
dai limiti che la nostra sensibilità ci impone. Kant associa alla conoscenza sensibile e limitata anche un tipo di
conoscenza che implicherebbe l’intuizione intellettuale. Poiché l’uomo non possiede l’intuizione intellettuale dal
momento che l’unica intuizione accessibile è quella sensibile, l’intuizione intellettuale produce quella che Kant
definisce noumeno. Tale termine deriva dal greco noein, che vuol dire “ciò che è pensato ma non trova una
corrispondenza sensibile”: posso pensare di essere onnisciente ma in realtà non lo sono. Il noumeno costituisce
dunque un tipo di conoscenza generata dall’attività pensante che non trova una corrispondenza sperimentale.
Esso viene inteso da Kant con due significati: da un lato il significato positivo per conoscere ciò che è pensato
dall’intelletto: siccome noi possediamo però solo l’intuizione sensibile, allora l’intuizione intellettuale risulta
illegittima ed infondata. Il secondo significato del noumeno è quello negativo, dato dal fatto che il noumeno
dovrebbe costituire un tipo di conoscenza completa ed esauriente: tale conoscenza esauriente però non può
essere raggiunta perché la nostra conoscenza è sensibile e illimitata. Il significato negativo del noumeno si
identifica allora con il riconoscimento da parte di Kant degli Schranke (“confini”) e Grenze (“limiti della nostra
capacità conoscitiva”).
Kant precisa, dunque, che le nostre conoscenze sono condizionate: esclude quindi l’incondizionamento delle
nostre conoscenze: per dimostrare l’infondatezza della pretesa da parte della ragione di produrre conoscenze
incondizionate, egli dedica l’ultima parte della Prima Critica alla cosiddetta Dialettica Trascendentale.
L’uso incondizionato della ragione si riferisce al fatto che si utilizzi la ragione per rispondere a determinate
domande, ad esempio se l’anima sia mortale o immortale; “incondizionato” significa che si trova al di là delle
nostre capacità conoscitive e delle prove che possiamo acquisire.
Attraverso le idee l’intelletto produce tre tipi di conoscenza:
• Psicologia razionale: i modi in cui viene trattata la questione dell’anima mediante la ragione e l’uso
incondizionato;
• Cosmologia razionale: il modo in cui viene trattata la questione del mondo;
• Teologia razionale: il modo n cui viene trattata la questione di Dio. Kant esamina le prove tradizionali
nella dimostrazione dell’esistenza di Dio.

Le idee sono prodotte dalla ragione senza alcun tipo di riferimento alle prove sensibili. Kant, dunque, nell’
utilizzare il termine idea, non fa altro che intendere il senso platonico. Mentre peró Platone intendeva le idee in
senso ontologico, come enti separati dal mondo sensibile, Kant attribuisce alle idee un senso mentale e
psicologico, cioè individuato e prodotto dall’attività pensante. Tali idee sono:
• Idea dell’anima: scaturisce dalla psicologia razionale e dall’esame della questione dell’anima da parte
della ragione;
• Idea del mondo: scaturisce dalla cosmologia razionale, ossia la trattazione della questione del mondo
attraverso la ragione;
• Idea di Dio: scaturisce dalla teologia razionale, in cui Kant esamina le varie prove addotte dalla teologia
tradizionale che dimostrerebbero l’esistenza di Dio. Si ricordi che secondo Pascal qualsiasi prova
razionale dell’esistenza di Dio risulta infondata: occorre ricorrere all’argomento del pari o della
scommessa.

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