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Dunque, rifiuta tutto ciò che è leggendario e mitologico.

Tucidide nell’archeologia riassume la più antica


storia greca, cercando di dire ciò che di sicuro può esser detto in merito: dunque fa un breve resoconto della
storia greca dalle origini fino all’epoca contemporanea, affermando che molte di quelle vicende sono
oscure, affidate alla tradizione orale e non possono essere verificate, e cerca di dare una sua visione della
storia greca facendo un resoconto più verosimile possibile, (logicamente viene eliminato il passato più
remoto dalla sua indagine). Dopo di che indaga le cause che hanno portato allo scoppio della guerra: gli
antefatti. Tucidide è ben consapevole che nonostante i diversi casus belli che portarono poi alla
dichiarazione di guerra tra Sparta e Atene, in realtà le origini del conflitto risalgono a un tempo precedente
e in sostanza hanno come causa il fatto che dopo la fine delle guerre persiane, Atene aveva assunto un ruolo
politico- militare che prima non aveva e che metteva in discussione l’egemonia di Sparta sul mondo greco:
prima delle guerre persiane, Sparta era la polis egemonica del mondo greco e nulla si muoveva senza il suo
consenso, anche perché aveva l’esercito più forte di tutti. Con le guerre persiane e la vittoria navale di
Salamina, Atene rivendica un ruolo pari a quello di Sparta e mette in discussione l’egemonia spartana sul
mondo greco, creando inevitabilmente un attrito con Sparta. Per Tucidide è questo il vero motivo dello
scoppio della guerra, e per questo secondo lui per capire lo scoppio della guerra bisogna capire cosa fosse
successo negli anni precedenti.

Tutta questa ampia spiegazione dà l’occasione a Tucidide per inserire all’interno dell’analisi degli antefatti
della guerra, la così detta Pentecontaitia: il racconto dei 50 anni che intercorrono tra la fine delle guerre
Persiane, (479) e l’inizio della guerra del Peloponneso, (431). In realtà essa è per Tucidide un'occasione per
ricollegare la sua opera storica direttamente alla fine delle “Storie” di Erodoto, e colmare il vuoto che
altrimenti ci sarebbe stato se avesse iniziato dal 431. La Pentecontaitia fa da raccordo tra il I libro e il II, che
si apre con lo scoppio della guerra nel 431. È assai probabile che tanto l’archeologia che la Pentecontaitia,
contengano del materiale che Tucidide aveva scritto prima dello scoppio della guerra del Peloponneso,
nell'ottica di pubblicare un’opera di natura erodotea. Il I libro è un’ampia premessa che probabilmente
recupera un materiale storiografico su impianto erodoteo tradizionale che Tucidide aveva già preparato. Dal
II libro inizia il racconto della guerra con l’impianto annalistico e tutto ciò fila liscio fino al V libro. Dal II libro
al libro V (paragrafo 24), c’è il racconto della guerra Archidamica fino alla pace di Nicia); dal VI all’VIII libro
c’è il racconto della spedizione in Sicilia, (413, anche se le premesse sono del 416) e poi il colpo di stato del
411 in seguito al fallimento della spedizione; il V libro, che è un libro chiaramente non del tutto completato
e rivisto, si presenta dal punto di vista formale in modo meno curato e rifinito, rispetto agli altri libri, e
vengono riassunti gli anni che intercorrono tra il 421 al 416 che sono anni di apparente pace, (sembra che la
pace di Nicia regga).

Nel V libro, nei paragrafi 25-26, c’è il cosiddetto “secondo proemio” che è la chiave di volta per
comprendere in che modo il testo di Tucidide è stato pubblicato e divulgato. (Il secondo proemio sta a
pagina 440). Chiaramente ci dice che Tucidide ha scritto la sua opera fino alla fine della guerra nel 404,
anche se sappiamo che l’opera finisce nel 411, (primo problema); da alcune righe del proemio, molti hanno
pensato che Tucidide fosse stato in esilio, ma è impossibile perché Tucidide racconta la guerra del
Peloponneso fino al 411, avendo informazioni di prima mano di chi necessariamente si trova ad Atene
quando racconta quelle cose, dato che il punto di vista della guerra del Peloponneso è quello Ateniese;
racconta giorno per giorno cosa succede, quali sono i protagonisti, cosa dicono in assemblea e considerando
che all’epoca non esisteva la tecnologia, significa che quelle cose le ha viste in prima persona. Dunque, è
assolutamente impossibile che Tucidide abbia abbandonato Atene per vent'anni durante la guerra del
Peloponneso.

Tucidide quando parla di sé nelle Storie, parla sempre in terza persona, qui chi parla, parla in terza persona,
quindi con uno stile diverso da quello di Tucidide. Noi sappiamo che c’è uno storico che è stato in esilio per
vent'anni ad Atene, (nel Peloponneso), e che quindi ha anche avuto la possibilità di conoscere il punto di
vista dei peloponnesiaci degli eventi della guerra: Senofonte. L'unico dato che non torna in questa frase
rispetto a Senofonte è dopo la strategia di Anfipoli, ma è possibile che Anfipoli sia una glossa che hanno
inserito i grammatici nel testo per ricondurre queste parole a Tucidide invece che a Senofonte. In realtà il
secondo proemio è scritto da Senofonte, perché noi sappiamo che Diogene di Laerzio quando scrive la
biografia di Senofonte, dice che Senofonte, è entrato in possesso degli scritti di Tucidide e li ha pubblicati e
che oltre a pubblicarli, li ha anche completati, e prima che Senofonte facesse ciò le “Storie” di Tucidide
erano rimaste totalmente ignote. Dunque, il cosiddetto secondo proemio, non va riferito a Tucidide, perché
i dati biografici presenti non sono compatibili con ciò che Tucidide ha vissuto e ha scritto, ma va riferito a
Senofonte che non è colui che ha scritto l’opera, ma è colui che l’ha pubblicata, (è l’editore dell’opera di
Tucidide). Lui scrive in prima persona per distinguersi da Tucidide. Evidentemente il lettore già sapeva che
si trattava di Senofonte perché egli è il primo autore greco che dà i titoli, con il nome dell’autore ai libri, (fino
a Tucidide i libri non avevano un titolo e l’autore non era nemmeno menzionato). Tucidide prima dello
scoppio della guerra nel Peloponneso, aveva scritto già un po' di brani storiografici nello stile erodoteo e
voleva pubblicare delle storie Erodotee. Però scoppia la guerra e capisce che di fronte all’evento più
significativo della storia greca e della sua vita, cambia progetto e decide di scrivere la storia della guerra del
Peloponneso, e tutto ciò che ha scritto prima lo usa come premessa.

Tucidide per tutta la sua vita, (finché non muore di morte improvvisa e violenta, motivo per cui non ha
modo di rivedere la sua opera), si dedica alla stesura di quest’opera. Tucidide all’inizio, come tutti, pensa
che la guerra finisca nel 421 e quindi scrive e rifinisce la sua opera fino al 421, poi la guerra riprende.
Tucidide capisce che si tratta dello stesso evento storico e ricomincia a scrivere la storia della guerra a
partire dalla spedizione siciliana, fino alla fine. Quando poco dopo il 404 muore, ha scritto i libri 1 fino al 4, e
ha scritto i libri 6 e 8, (che si interrompe però nel 401); però aveva appunti da rielaborare anche per gli anni
di tregua, (pace di Nicia che occupa il 5 libro), e soprattutto il materiale che va dal 411 al 404. Dunque,
quando muore ha completato la scrittura del primo blocco e dell’ultimo blocco; doveva rivedere tutto ciò
che è inserito nel 5 libro, e la parte che va dal 411 al 404. Senofonte entra in possesso degli appunti di
Tucidide, e lo pubblica non appropriandosene, ma con il nome di Tucidide. Pubblica il libro dall’1 all’8 libro
e il V libro lo rielabora. Dopo la pace di Nicia dice “queste cose le ha scritte lo stesso Tucidide e io sono stato
in esilio per vent'anni”, quindi a parlare è Senofonte.

Il materiale 411-404 sono i cosiddetti paralipomeni cioè la prosecuzione di Tucidide, pubblicati però da
Senofonte, e una volta erano stati pubblicati insieme all’opera di Tucidide. (Senofonte pubblica i libri 1-8 + i
paralipomeni che includono i libri 1-4 e 6-8 di Tucidide, e il V libro e i paralipomeni scritti da Senofonte, sulla
base di materiale di Tucidide).

Senofonte, con la fine della guerra, scrive un’opera storica: le Elleniche di Senofonte. Tutto ciò non ci risulta
chiaro perché, per come ci è giunta l’opera, i paralipomeni non sono più attaccati a Tucidide, ma sono
attaccati alle Elleniche. Il I libro delle elleniche più il libro 2 fino a 3,10 sono i paralipomeni. Il problema è
che i paralipomeni, si riconosce che non sono l’inizio dell’elleniche perché iniziano “metà tauta”, (dopo
queste cose), senza dire tutto quello che era successo prima. (storie di Tucidide e paralipomeni a cura di
Senofonte). È molto probabile che il primo proemio sia una delle ultime cose che ha scritto Tucidide, perché
egli passò tutta la sua vita a rivedere la sua opera, riscrivendola e modificandola anche in base a ciò che
sapeva che sarebbe successo.

È tipico dello stile di Tucidide l’inserimento di discorsi diretti: l’inserimento di discorsi pubblici contrapposti
all’interno di un’opera storica è un tratto tipico delle Storie di Tucidide. Tutta l’opera è piena di discorsi
diretti ad eccezione del V libro, perché è basato sugli appunti, e l’VIII libro (interrotto a causa della morte).

Tucidide elimina dalla storiografia tutto ciò che non è attinente alla sfera politica e militare. Egli era in
primo luogo, uomo d’azione politico e soldato: aveva una visione ben precisa di quelli che erano gli aspetti
importanti degli eventi storici, (lui faceva parte della classe diligente, che era quella che aveva il compito di
fare la guerra e di governare la città e per lui le uniche cose interessanti erano queste). C'è chiaramente una
visione fortemente influenzata dal suo stato sociale e dalla sua personalità. Tucidide ha un’enorme cultura e
dalla sua opera emerge che conosce perfettamente Omero, conosce bene la filosofia, (il fatto che
concepisce la storia come ricerca della verità è molto vicino all’operazione storica di Tucidide, la ricerca
filosofica), chiaramente conosceva bene la lezione dei sofisti, (l’idea di contrapporre dei discorsi che
spiegano dei punti di vista opposti è frutto della lezione sofistica dei dissoi logoi).
Tucidide dimostra anche di conoscere i trattati medici di Ippocrate: lo capiamo dal modo dettagliato con cui
racconta nel II libro la peste di Atene nel 430, dovuta al fatto che gli spartani invadevano l’Attica, (cioè la
regione di campagna intorno ad Atene, e i contadini si proteggevano rifugiandosi all’interno delle mura di
Atene. Questo sovraffollamento peggiora le condizioni igienico-sanitarie della città e scoppia questa
epidemia, (lo stesso Pericle muore a causa della peste). La peste di Atene è anche descritta da Lucrezio, il
quale si ispira a Tucidide.

Tucidide per spiegare le cause della guerra spiega gli antefatti, perché solo conoscendo gli affetti ereditari
della storia (anamnesi), si può capire qual è il problema (diagnosi). Il problema per Tucidide è che Atene
vuole sostituire Sparta come potenza egemone, e Sparta non lo vuole permettere. Poi c’è la prognosi, ossia
la previsione dello scoppio della guerra che non si potrà concludere se non con la sconfitta di una delle due.
Da questa analisi, gli storici moderni parlano di trappola di Tucidide: la trappola in cui cadono due potenze
che vogliono l’egemonia, e che chiaramente alla fine si scontrano. (Pagina 465 ci sono degli estratti sulla
trappola di Tucidide, spiega come Stati Uniti e Cina sono destinati allo scontro).

Tucidide per raccogliere le sue fonti non può aver visto e sapere tutto, per cui è stato ipotizzato che proprio
poiché si trattava di un uomo dell'élite ateniese, aveva degli informatori, persone di cui si fidava a cui
chiedeva resoconti delle battaglie, degli eventi, dei discorsi fatti dai politici che non aveva potuto ascoltare
in prima persona. Poi come Erodoto, si avvale di tradizioni orali, di documenti scritti, (che a volte cita nel
testo), e della lettura di epigrafi che riportavano testi legislativi.

Per quanto riguarda l’inserimento dei discorsi, Tucidide stesso afferma che non sono riportati alla lettera,
ma dice di rispettare lo spirito e i contenuti. La funzione dei discorsi non è solo quella di far capire quali
erano le idee che si animavano in un dibattito pubblico, ma anche quella di drammatizzare il racconto, di
renderlo più vivace e dare voce ai protagonisti che in questo modo diventano più vicini al lettore, e più
umani perché vengono trasmesse anche le passioni che animano i protagonisti. Poiché è consapevole di
aver eliminato tutto ciò che provoca edonè nel racconto storico, (quindi di aver eliminato tutte le parti
piacevoli, divertenti, di intrattenimento, che erano invece presenti in Erodoto), sa perfettamente che lo
scopo della sua opera è diverso: Erodoto voleva insegnare attraverso il piacere dell’ascolto, Tucidide si
rivolge ad un pubblico più ristretto, selezionato, (fatto di uomini come lui: politici, militari e comandanti). Si
rivolge all'élite della polis che storicamente governava la città, quindi alla classe diligente che ha una cultura
elevata e non ha bisogno dell’intrattenimento, (un pubblico che leggerà le Storie di Tucidide per apprendere
qual è la storia recente e per trarne degli insegnamenti).

Proprio alla luce del principio che la storia serve per trarne degli insegnamenti per il futuro, (Cicerone:
“historiae magistrae vitae), Tucidide dà alla sua opera una delle più belle definizioni che sia mai stata data
ad un’opera letteraria: concepisce la sua opera come κτημαες αιει (guadagno-possesso - ottenimento per
l’eternità; un bene per l’eternità). Tucidide non si rivolge solo ai contemporanei: l’opera inizia ad essere
divulgata solo dopo la morte di Tucidide, quindi probabilmente pochissime persone avevano iniziato a
leggere le parti completate da Tucidide stesso: pensa soprattutto alla posterità, si rende conto che la sua
operà sarà letta e apprezzata soprattutto nel futuro.

Inoltre, Tucidide è convinto che pur nella differenza degli accadimenti che si susseguono nel corso della
storia dell’uomo, quello che rimane uguale e costante nel susseguirsi dei secoli e delle generazioni è la
natura dell’uomo, φυσις των ανθροπων. All'interno di alcuni incisi Tucidide sottolinea che la natura umana
è sempre uguale a sé stessa, e quindi lo studio della storia può aiutare a comprendere il presente e
prevedere il futuro, proprio perché l’uomo rimane uguale a sé stesso. Dunque, il racconto della guerra del
Peloponneso è in qualche modo paradigmatico, ossia è un evento talmente importante nella storia greca
che aver presente quello che è successo all’epoca può aiutare a convivere nei secoli seguenti.

Uno dei principi cardini della visione storica di Tucidide è la distinzione tra cause occasionali (αιτιαι) e cause
profonde, (αλεθεστατη προφασις = ragione profonda). La maggior parte dei suoi contemporanei ritiene
che lo scontro tra Sparta e Atene sia dovuto ai contrasti che insorgono tra Atene e Corinto, (che era alleata
di Sparta), e il fatto che Atene si fosse impicciata degli eventi di Corcira e cose così. Invece Tucidide spiega
che la vera ragione è il timore che Sparta e i suoi alleati avevano, ossia che Atene diventasse più potente e
quindi che fosse stabilito un nuovo ordine all’interno del mondo greco.

Leggi che regolano la storia: il comportamento umano; Tucidide ha una visione totalmente laica della storia
degli uomini, mentre Erodoto mostrava di credere fermamente nell’intervento divino e nella veridicità degli
oracoli. Tucidide non nomina mai gli déi, non parla mai di un intervento divino sulla storia: la storia degli
uomini è determinata dagli uomini e dalle loro azioni. Quando cita qualche oracolo, lo fa per ridicolizzarlo e
fa mettere alla berlina il popolo e chi ci crede, non dà alcun peso a queste chiacchiere religiose. L'unico
elemento non umano che determina gli eventi, è la sorte (τυχη), vista come eventi imprevisti e causati da
una concatenazione di altri eventi.

La legge che governa il rapporto tra gli uomini è la legge del più forte: è naturale, secondo la legge della
natura, che il più debole soccomba al più forte. Questo non vuol dire che approva ciò, ma in modo molto
oggettivo osserva che nei rapporti di forza tra le polis, sin da sempre la polis più forte tende ad imporre la
propria egemonia sulle polis più deboli, e questo è un dato di fatto che non più essere negato per ragioni
moralistiche, anzi va assunto come legge universale che regola la storia.

Questa legge viene espressa in modo più chiaro in una delle sezioni più celebri delle Storie di Tucidide: il
dialogo tra i Meli e gli Ateniesi, che è stato poi inserito nel V libro da Senofonte. È particolare perché è
inserito all’interno delle Storie nel V libro come dialogo drammatico, come se fosse un testo teatrale.
Questo dialogo avviene nel momento in cui Melo vuole rimanere neutrale tra Atene e Sparte, gli ateniesi
non glielo permettono e la obbligano a schierarsi, (Troiane di Euripide), altrimenti li ammazzano tutti. In
questo dialogo Tucidide mette in luce come la legge del più forte determini il rapporto tra le polis, (in questo
caso i Meli non cedono, gli ateniesi dichiarano guerra a Melo, uccidono tutti gli uomini e deportano come
schiavi donne e bambini). Ovviamente questo brano è una critica apertissima nei confronti
dell’imperialismo ateniese: uno storico che avesse sentimenti patriottici, propagandistici o comunque di
esaltazione del potere della propria città, non racconterebbe in modo così esplicito, crudo e privo di
finzione, in che cosa realmente consiste la vita ateniese, (consiste nel più forte e quindi in una forma di
imposizione tirannica di atene nei confronti delle altre città).

Questo ci dice anche qual è la posizione politica di Tucidide, che come tutti gli intellettuali ateniesi del V-IV
secolo, era benestante e ricco e di conseguenza era estremamente critico verso la democrazia radicale, una
democrazia in cui tutto il potere è in mano al demos. L’areopago è ormai solo un tribunale per i diritti di
sangue, e quindi qualunque decisione viene presa da tribunali formati dalla gente comune; l’unica carica
che è riservata all’aristocrazia è la carica di stratego. Tucidide cerca di apparire imparziale, equanime e di
raccontare la verità però, come è inevitabile che sia, non ci riesce completamente. Tucidide inserisce dei
commenti di natura personale in cui critica aspramente il popolo, perché lo considera volubile, di votare
per alcune cose e poi di non rendersi conto delle conseguenze di ciò che vota, (di prendere delle decisioni
sbagliate sulla spinta della massa e non per mezzo di decisioni ponderate e ragionate). Il popolo è
incompetente perché il popolo di Atene è fatto per lo più da gente che ha attività come il fabbro o
l’artigiano; la gente competente è la gente che, potendosi permettere di non lavorare perché è ricco, sin da
piccolo assiste alle lezioni di Socrate, di Platone, partecipa alla vita politica, assiste alle lezioni dei sofisti,
(questo poteva permetterselo solo chi faceva parte dell’aristocrazia). Inciso sul libro: parla del popolo che
per i primi anni di guerra dà la colpa a Pericle e lo condanna a pagare un’ammenda perché Pericle ha fatto
devastare le campagne di Atene, ma l’anno dopo viene eletto stratega Pericle; esempio di incoerenza della
democrazia).

Tucidide può essere considerato un moderato: non critica in modo esplicito il sistema democratico però è
contrario alla sua degenerazione, cioè alla democrazia radicale. Il modello di governo da seguire viene
esposto da Tucidide nell’VIII libro, in cui c’è il racconto del colpo di stato del 411, che è la conseguenza del
fallimento della spedizione in Sicilia, e quindi 400 tra i membri dell’aristocrazia decidono di fare un colpo di
stato che prevede l’abolizione della democrazia, così che il potere venga consegnato tutto a questi 400.
Tucidide sicuramente conosceva molto da vicino questi 400: nel libro riporta dialoghi privati, il dietro delle
quinte del colpo di stato, (per cui è evidente che lui era molto vicino all’ambiente che partorì questo colpo di
stato, perché altrimenti quelle informazioni non le avrebbe potute ottenere). Il colpo di stato dura poco
perché poi c’è una ribellione da parte dell’esercito popolare che era fuori Atene, che quando torna ribalta
questo governo. Tra il governo dei 400 e la restaurazione della democrazia radicale, c’è una fase transitoria
chiamata governo dei cinquemila. Mentre i 400 erano quattrocento uomini ricchi appartenenti
all’aristocrazia, il governo dei 5000 era un governo democratico in cui però il diritto di cittadinanza, e quindi
il diritto di partecipare all’assemblea non era universale, ma era ristretto ai 5000 uomini che avevano il
reddito più alto. Tucidide dice che il governo dei 5000 è stato il governo migliore che Atene abbia mai avuto.
Dunque Tucidide è un democratico moderato che non è contrario al sistema delle elezioni, voti e decisioni,
ma ritiene che la cittadinanza attiva politicamente, debba essere ristretta su base censitaria, in modo tale da
eliminare dall’agone politico il popolino, (il popolo incompetente e volubile che prendeva le decisioni che ha
poi portato Atene a fare 30anni di guerra con Sparta). Da questa visione politica di Tucidide, deriva anche il
giudizio che dà di Pericle. Pericle in realtà è stato il fautore della democrazia radicale, quindi in teoria
dovrebbe avere un giudizio negativo. In realtà, quando Pericle muore nel 430, Tucidide scrive un epitaffio e
ne fa un elogio perchè Pericle non è mai stato guidato dal popolo, ma al contrario ha guidato il popolo.

Tucidide scrive in attico e non in ionico, il che è una importante novità perché il dialetto della logografia era
lo ionico. Erodoto, che pure trasforma la logografia in storiografia, continua a scrivere in ionico, da Tucidide
in poi anche la prosa viene scritta in attico e questo già per noi è un bel vantaggio. Tuttavia, Tucidide
predilige un attico con qualche sfumatura arcaica soprattutto da un punto di vista fonetico, (ad esempio:
αίει invece di α ει, usa il doppio ζ sigma invece del doppio τ tau, τασσω invece che ταττω, usa
costantemente la preposizione “con” χιυν), quindi laddove può, predilige forme arcaiche da un punto di
vista fonetico. Il suo stile è particolarmente complesso: dal punto di vista lessicale predilige termini astratti,
(quindi spesso per indicare dei concetti usa l'astratto, invece del concreto), e questo probabilmente è anche
frutto delle sue frequentazioni filosofiche, (tipico della prosa filosofica). Più in generale la prosa di Tucidide è
una prosa estremamente tecnica: il linguaggio di Tucidide è un linguaggio preciso che fa riferimento ai
termini propri del lessico politico, giuridico e militare.

Inoltre quella di Tucidide è una prosa molto complessa, perché in qualche modo potremmo applicare alla
prosa tucididea e allo stile tucidideo, il termine di inconcinnitas: Tucidide ama variare le strutture
sintattiche, quindi è poco prevedibile. Mentre Erodoto è stato paragonato a un fiume che scorre placido e
quindi comunque è una prosa scorrevole, e anche piacevole, la prosa di Tucidide è complessa, ricca di
subordinate che servono anche a spiegare i rapporti di causa-effetto, le implicazioni di tutto ciò che viene
raccontato. Queste subordinate, spesso sono correlate in modo asimmetrico, quindi c'è inconcinnitas, non
c'è prevedibilità. Spesso quindi è disarmonica ed è anche una cosa molto sintetica: ci sono frasi nominali
perché comunque Tucidide, (data la ricchezza di materiali che vuole raccontare), cerca di essere di
esprimere con meno parole possibile più concetti. A volte si può trattare di una prosa ellittica e concisa, il
che può non aiutare soprattutto per chi traduce poche righe di una versione e quindi non conosce bene il
contesto.

La natura di questa prosa deriva direttamente dalla destinazione di quest'opera. La prosa scorrevole, in
qualche modo prevedibile, e ricca di ripetizioni di Erodoto, era dovuta al fatto che Erodoto leggeva in
pubblico a un pubblico di ascoltatori, quindi doveva essere una prosa piana, chiara, e con tante ripetizioni,
perché l'ascoltatore non può tornare indietro per dire “oddio, mi sono perso, fammi rileggere l'ultima frase”.
La prosa di Tucidide invece, ci dice chiaramente che Tucidide concepiva la sua opera per la lettura. È la
prima opera della prosa greca che chiaramente è immaginata per la lettura o al massimo per essere
ascoltata, ma da un pubblico ristretto che riusciva a seguire una prosa complessa come quella. Però, è più
facile immaginare che Tucidide, così come ha abbandonato il modello erodoteo da un punto di vista
metodologico e contenutistico, (anche se si era ispirato inizialmente al I libro di Erodoto), nell'abbandonare
il metodo di erodoteo abbia abbandonato anche il tipo di fruizione erodoteo, e quindi abbia concepito la
sua opera per la lettura. Nel momento in cui un'opera è concepita per essere letta, anche la prosa si adegua
a un tipo di fruizione diverso, (più concettuale, più complesso, come la lettura rispetto all'ascolto).

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