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Concept Checks
5.1. c 5.2. b 5.3. d 5.4. a) True b) False c) True
Multiple-Choice Questions
5.1. c 5.2. d 5.3. a 5.4. d 5.5. e 5.6. e 5.7. c 5.8. b 5.9. b 5.10. c 5.11. e 5.12. d 5.13. b 5.14. a
Conceptual Questions
5.15. If the net work done on a particle is zero, then the net force on the particle must also be zero. If the net
force is zero, then the acceleration is also zero. Hence, the particle’s speed is constant.
5.16. If Paul and Kathleen both start from rest at a height h , then, by conservation of energy, they will have the
same speed when they reach the bottom. That is, their initial energy is pure potential energy mgh and
their final energy is pure kinetic energy (1/ 2 ) mv 2 . Since energy is conserved (if we neglect friction!) then
mgh = (1/ 2 ) mv 2 v = 2gh . Their final velocity is independent of both their mass and the shape of
their respective slides! They will in general not reach the bottom at the same time. From the figure,
Kathleen will likely reach the bottom first since she will accelerate faster initially and will attain a larger
speed sooner. Paul will start off much slower, and will acquire the bulk of his acceleration towards the end
of his slide.
5.17. No. The gravitational force that the Earth exerts on the Moon is perpendicular to the Moon’s displacement
and so no work is done.
5.18. When the car is travelling at speed v1 , its kinetic energy is (1/ 2 ) mv12 . The brakes do work on the car
causing it to stop over a distance d1 . The final velocity is zero, so the work Fd1 is given by the initial
kinetic energy: (1/ 2 ) mv 2 = Fd . Similarly, when the car is travelling at speed v , the brakes cause the car
1 1 2
to stop over a distance d2 , so we have (1/ 2 ) mv = Fd2 . Taking the ratio of the two equations, we have
1
2
2
→ d = d 2 =2d 1 2
(1/ 2 ) mv2 2 =Fd2 (1/ 2 ) mv = Fd
2 1
v2 v
223
Bauer/Westfall: University Physics, 2E Chapter 5: Kinetic Energy, Work, and Power
( 2v )
2
= 4d1 .
v2
1 1 1 1
Thus the braking distance increases by a factor of 4 when the initial speed is increased by a factor of 2.
Exercises
5.19. THINK: Kinetic energy is proportional to the mass and to the square of the speed. m and v are known
for all the objects:
(a) m = 10.0 kg, v = 30.0 m/s
(b) m = 100.0 g, v = 60.0 m/s
(c) m = 20.0 g, v = 300. m/s
SKETCH:
1
RESEARCH: K = mv 2
2
1 2
SIMPLIFY: K = mv is already in the right form.
2
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Bauer/Westfall: University Physics, 2E Chapter 5: Kinetic Energy, Work, and Power
CALCULATE:
1
(a) K = (10.0 kg)(30.0 m/s)2 = 4500 J
2
1
(b) K = (100.0 10 −3 kg)(60.0 m/s)2 = 180 J
2
1
(c) K = (20.0 10 −3 kg)(300. m/s)2 = 900 J
2
ROUND:
(a) 3 significant figures: K = 4.50 103 J
(b) 3 significant figures: K = 1.80 102 J
(c) 3 significant figures: K = 9.00 102 J
DOUBLE-CHECK: The stone is much heavier so it has the greatest kinetic energy even though it is the
slowest. The bullet has larger kinetic energy than the baseball since it moves at a much greater speed.
5.20. THINK: I want to compute kinetic energy, given the mass ( m = 1900. kg ) and the speed ( v = 100. km/h ).
I must first convert the speed to m/s .
1 h 1 min = 100. 10 m = 27.778 m/s
3
km m
100. 103
h km 60 min 60 s 3600 s
SKETCH:
RESEARCH: K = mv 2 / 2
SIMPLIFY: No simplification needed.
CALCULATE: K = (1 / 2 ) mv 2 = (1/ 2 )(1900. kg )( 27.778 m/s ) = 7.3302 105 J
2
ROUND: 100. km/h has three significant figures. Round the result to three significant figures:
K = 7.33 105 J .
DOUBLE-CHECK: This is a very large energy. The limo is heavy and is moving quickly.
5.21. THINK: Since both cars come to rest, the final kinetic energy of the system is zero. All the initial kinetic
energy of the two cars is lost in the collision. The mass ( m = 7000. kg ) and the speed
km 103 m 1 h
v = 90.0 = 25.0 m/s of each car is known. The total energy lost is the total initial
h km 3600 s
kinetic energy.
SKETCH:
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Bauer/Westfall: University Physics, 2E Chapter 5: Kinetic Energy, Work, and Power
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Bauer/Westfall: University Physics, 2E Chapter 5: Kinetic Energy, Work, and Power
1 1
RESEARCH: K lost = mv 2 + mv 2
2 2
1
SIMPLIFY: K =2 mv 2 = mv 2
lost
2
CALCULATE: K lost = 7000. kg ( 25.0 m/s ) = 4.375 106 J
2
With this information, I can compute the kinetic energy and compare the results.
SKETCH:
1
RESEARCH: K = mv 2
2
SIMPLIFY: b) The change in kinetic energy is the difference of the kinetic energies.
CALCULATE:
1
(a) K = (1500. kg)(15.0 m/s)2 = 1.688 105 J
2
1
(b) K = (1500. kg)(30.0 m/s)2 = 6.750 105 J , so the change is 6.750 105 J −1.688 105 J = 5.062 10 5 J.
2
ROUND: Three significant figures:
(a) K = 1.69 105 J
(b) K = 5.06 105 J
DOUBLE-CHECK: Such large energies are reasonable for a car. Also, when the speed doubles, the kinetic
energy increases by a factor of 4, as it should since K v 2 .
5.23. THINK: Given the tiger’s mass, m = 200. kg , and energy, K = 14400 J , I want to determine its speed. I
can rearrange the equation for kinetic energy to obtain the tiger’s speed.
SKETCH:
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promesso il loro aiuto all’imperadrice di Costantinopoli, ch’era fuggita
col figliuolo nel reame di Salonicco, parendo per questa cagione la loro
levata dall’assedio fosse con meno vergogna, ed entrando nell’imperio
aveano più sicuro vernare, si partirono di là e dirizzarono loro viaggio
verso Salonicco; e giunti a Malvagia, intendeano levare l’imperadrice e
’l figliuolo, e fare loro podere di rimetterli in Costantinopoli con la loro
forza e della parte che amava il loro vero signore. L’imperadrice
sentendo l’armata di presso, come femmina mutevole, non avendo piena
confidenza del figliuolo, cominciò a sospettare: e il giovane medesimo
non avendo avuto più maturo consiglio all’impresa, convenendo la sua
persona mettere nelle mani dell’altrui forza, dubitò, e non lo volle fare, e
forse fu più da biasimare il cominciamento della folle impresa che ’l
cambiamento del femminile e giovanile animo, i quali non si vollono
abbandonare alla non provata fede de’ Genovesi; per la qual cosa
l’ammiraglio col suo consiglio presono sdegno, e rivolta la loro armata,
desiderosi di rapina e di preda, vennero all’isola di Tenedo, piena di
gente e d’avere, sottoposta all’imperio, i quali de’ Genovesi non
prendeano alcuna guardia, ed elli la presono e rubarono d’ogni sustanza.
E quivi feciono dimoro gran parte del verno prendendo rinfrescamento, e
ragunando la preda di quella e dell’altre terre di Grecia, della quale data
a catuno la parte sua, si trovarono pieni di roba e di danari, sicchè a loro
non fece bisogno altro soldo, e la loro vita tutta ebbero per niente delle
ruberie del paese. E ivi stettono fino al Natale senza mutare porto.
CAP. XXXV.
Come i Veneziani e’ Catalani s’accozzarono in Romania con
l’altra armata.
CAP. XXXVI.
Come i Brandagli si vollono fare signori d’Arezzo.
CAP. XXXVII.
Di quello medesimo.
CAP. XXXVIII.
Come il re Luigi mandò il gran siniscalco ad accogliere gente in
Romagna.
CAP. XXXIX.
Come il re Luigi accolse i baroni del Regno e andò in Abruzzi.
CAP. XL.
Come il re Luigi sostenne gli Aquilani che pasquavano con lui.
CAP. XLI.
Come papa Clemente sesto fe’ la pace de’ due re.
CAP. XLIII.
Come i Perugini arsono intorno al Borgo e sconfissono de’
nimici.
CAP. XLIV.
D’una cometa ch’apparve in oriente.
In questo anno 1351, del detto mese di dicembre, si vide in prima in cielo
a noi verso levante una cometa, la quale per li più fu giudicata Nigra, la
quale è di natura saturnina. Il suo apparimento fu a noi all’uscita del
segno del Cancro, e alcuni dissono ch’ella entrò nel Leone: ma innanzi
che per noi si vedesse fuori del Cancro, fu fuori del verno, sicchè
approssimandosi il Sole al Cancro se ne perdè la vista. Alcuni
pronosticarono morte di grandi signori, ovvero per decollazione, e
avvenimento di signorie. Noi stemmo quell’anno a vedere le novità che
più singolari e grandi apparissono onde avere potessimo novelle, e in
Italia e nel patriarcato d’Aquilea furono molte dicollazioni di grandi
terrieri e cittadini, che lungo sarebbe a riducere qui i singulari
tagliamenti. E mortalità di comune morte in questo anno non avvenne:
ma per la guerra de’ Genovesi, e Veneziani e Catalani avvennono
naufragii grandi, e mortalità di ferro grandissima in quelle genti e ne’
loro seguaci, e per i difetti sostenuti in mare non meno ne morirono
tornando che combattendo. Avvenne in Italia singolare accidente al
grano, vino e olio e frutti degli alberi, che essendo ogni cosa in speranza
di grande ubertà, subitamente del mese di luglio si mosse una sformata
tempesta di vento, che tutti gli alberi pericolò de’ loro frutti, e i grani e le
biade ch’erano mature battè e mise per terra con smisurato danno.
Dappoi a pochi dì fu il caldo sì disordinato, che tutte le biade verdi
inaridì e seccò. Per questo accidente avvenne, che dove s’aspettava
ricolta fertile e ubertosa, fu generalmente per tutta Italia arida e cattiva. E
avvennono in questi anni singulari diluvi d’acque, che feciono in molte
parti gran danni, e gittò per tutta Italia generale carestia di pane e
sformata di vino. In questo medesimo mese di dicembre apparve la
mattina anzi giorno, a dì 17, un grande bordone di fuoco, il quale corse
di verso tramontana in mezzodì. E in questo medesimo anno all’entrare
di dicembre morì papa Clemente sesto, e alcuno de’ cardinali. Al nostro
lieve intendimento basta di questi segni del cielo e delle cose occorse
averne raccontato parte, lasciando agli astrolaghi l’influenza di quello
che s’appartiene alla loro scienza, e noi ritorneremo alla più rozza
materia.
CAP. XLV.
Come fu preso il castello della Badia de’ Perugini, e come si
racquistò.
Essendo i Perugini imbrigati nelle rubellioni delle loro terre per gli
assalti de’ loro vicini, con la forza dell’arcivescovo di Milano, la quale di
prima, come addietro narrammo, nel tempo che si cercò di fare lega con
la Chiesa e co’ Lombardi, dicevano che non si potea stendere a loro, due
conestabili di fanti a piè cittadini sbanditi di Firenze, partendosi dal soldo
del tiranno d’Agobbio co’ loro compagni, di furto entrarono nel castello
della Badia, grosso castello, il quale era de’ Perugini, e cominciarono a
correre e predare le villate vicine con l’aiuto di Giovanni di Cantuccio
signore d’Agobbio. I Perugini vi mandaro certe masnade di cavalieri che
aveano di Fiorentini e altra gente a piè: costoro vi si puosono a oste del
mese di gennaio. Giovanni di Cantuccio con la cavalleria ch’avea
dell’arcivescovo di Milano e co’ suoi fanti a piè, essendo tre cotanti di
cavalieri e di fanti che quelli de’ Perugini, andarono per levarli da campo
e fornire il castello. Un conestabile tedesco delle masnade de’ Fiorentini
valente cavaliere, ch’avea nome M... si fece incontro a’ nimici a un ponte
onde conveniva ch’e’ nimici venissono, e francamente li ritenne, tanto
che l’altra cavalleria de’ Perugini ch’era alla Città di Castello venne al
soccorso del passo: e giunti, valicarono il ponte, e per forza cacciarono
l’oste di Giovanni di Cantuccio in rotta, e presono cento e più de’
cavalieri del Biscione: e tornati al castello, i masnadieri che ’l teneano,
vedendosi fuori di speranza di avere soccorso, il renderono a’ Perugini,
salvo le persone e l’arme, a dì 6 del detto mese di gennaio.
CAP. XLVI.
Come i Fiorentini cercarono lega co’ comuni di Toscana, e
accrebbono loro entrata.
CAP. XLVII.
Come i Romani feciono rettore del popolo.
In questo anno essendo per lo corso stato a Roma del general perdono
arricchito il popolo, i loro principi e gli altri gentilotti cominciarono a
ricettare i malandrini nelle loro tenute, che facevano assai di male,
rubando, e uccidendo, e conturbando tutto il paese. Senatore fu fatto
Giordano dal Monte degli Orsini, il quale reggeva l’uficio con poco
contentamento de’ Romani. E per questa cagione gli fu mossa guerra a
un suo castello, per la quale abbandonò il senato. Il vicario del papa
ch’era in Roma, messer Ponzo di Perotto vescovo d’Orvieto, uomo di
grande autorità, vedendo abbandonato il senato, con la famiglia che
aveva, in nome del papa entrò in Campidoglio per guardare, tanto che la
Chiesa provvedesse di senatore. Iacopo Savelli della parte di quelli della
Colonna accolse gente d’arme, e per forza entrò in Campidoglio e
trassene il vicario del papa, e Stefano della Colonna occupò la torre del
conte, e la città rimase senza governatore, e catuno facea male a suo
senno perocchè non v’era luogo di giustizia. E per questo il popolo era in
male stato, la città dentro piena di malfattori, e fuori per tutto si rubava. I
forestieri e i romei erano in terra di Roma come le pecore tra’ lupi: ogni
cosa in rapina e in preda. A’ buoni uomini del popolo pareva stare male,
ma l’uno s’era accomandato all’una parte, e l’altro all’altra di loro
maggiori, e però i pensieri di mettervi consiglio erano prima rotti che
cominciati: e la cosa procedeva di male in peggio di dì in dì.
Ultimamente non trovando altro modo come a consiglio il popolo si
potesse radunare, il dì dopo la natività di Cristo, per consuetudine d’una
compagnia degli accomandati di Madonna santa Maria, s’accolsono
avvisatamente molti buoni popolani in santa Maria Maggiore, e ivi
consigliarono di volere avere capo di popolo: e di concordia in quello
stante elessono Giovanni Cerroni antico popolare de’ Cerroni di Roma,
uomo pieno d’età, e famoso di buona vita. E così fatto, tutti insieme
uscirono della chiesa e andarono per lui, e smosso parte del popolo, il
menarono al Campidoglio ov’era Luca Savelli. Il quale vedendo questo
subito movimento non ebbe ardire di contastare il popolo, ma dimandò di
loro volere: ed e’ dissono che voleano Campidoglio, il quale liberamente
diè loro; ed entrati dentro sonarono la campana: il popolo trasse al
Campidoglio d’ogni parte della città senza arme, e i principi con le loro
famiglie armati, ed essendo là, domandarono la cagione di questo
movimento e quello che ’l popolo volea: il popolo d’una voce risposono
che voleano Giovanni Cerroni per rettore, con piena balía di reggere e
governare in giustizia il popolo e comune di Roma. E consentendo i
principi all’ordinazione del popolo, di comune volontà fu fatto rettore; e
mandato per lo vicario del papa che lo confermasse, come savio e
discreto volle che prima giurasse la fede a santa Chiesa, e d’ubbidire i
comandamenti del papa, e ricevuto di volontà del popolo il saramento dal
rettore, il confermò per quell’autorità che aveva: e tutto fu fatto in quella
mattina di santo Stefano, innanzi ch’e’ Romani andassono a desinare. E
lasciato il rettore in Campidoglio, catuno si tornò a casa con assai
allegrezza di quello ch’era loro venuto fatto così prosperamente.
CAP. XLVIII.
Di una lettera fu trovata in concistoro di papa.
CAP. XLIX.
Come il re d’Inghilterra essendo in tregua col re di Francia
acquistò la contea di Guinisi.
CAP. L.
Il piato fu in corte tra’ due re per la contea di Guinisi.
CAP. LI.
Come l’arcivescovo di Milano ragunò i suoi soldati per rifare
guerra a’ Fiorentini.
CAP. LII.
Come i Fiorentini, e’ Perugini, e’ Sanesi mandarono
ambasciadori a corte.
CAP. LIII.
Come l’ammiraglio di Damasco fece novità a’ cristiani.
CAP. LV.
Come la Scarperia fu furata e racquistata.
CAP. LVI.
Come messer Piero Sacconi cavalcò con mille barbute infino in
su le porte di Perugia.
Del mese di febbraio del detto anno, cresciuta gente d’arme a messer
Piero Sacconi de’ Tarlati dall’arcivescovo di Milano, trovandosi
baldanzoso per la presa del Borgo a san Sepolcro e delle terre vicine, e
trovando i signori di Cortona ch’aveano rotta pace a’ Perugini, ed eransi
collegati col Biscione, se n’andò a Cortona con mille cavalieri, e da’
Cortonesi ebbono il mercato e gente d’arme, con la quale cavalcò sopra
il contado di Perugia, ardendo e predando le ville d’intorno al lago; e per
forza presono Vagliano e arsonlo, e combatterono Castiglione del Lago e
non lo poterono avere; e partiti di là se n’andarono fino presso a Perugia
facendo grandissimi danni. E non essendo i Perugini in concio da potere
riparare a’ nemici, fatta grande preda, senza contasto si ritornarono a
Cortona sani e salvi, e di là al Borgo a san Sepolcro, onde partirono e
venderono la loro preda. Per questa cagione grande sdegno presono i
Perugini contro a’ signori di Cortona, ma la baldanza dell’arcivescovo
gli aveva sì gonfiati di superbia, che non si curavano rompere pace nè
fare ingiuria a’ loro vicini, per la qual cosa poco appresso ricevettono
quello che aveano meritato per la loro follia, come ne’ suoi tempi
racconteremo.
CAP. LVII.
Come i Chiaravallesi di Todi vollono ribellare la terra e furono
cacciati.
Questa sfrenata baldanza de’ ghibellini di Toscana e della Marca per la
forza del Biscione facea gravi movimenti, tra’ quali, mentre che messer
Piero Sacconi guastava e predava il contado di Perugia, i Chiaravallesi
grandi cittadini di Todi, d’animo ghibellino, feciono venire il prefetto di
Vico con trecento cavalieri subitamente per metterlo in Todi, e cacciarne
i caporali guelfi che s’intendeano co’ Perugini; ed essendo il prefetto con
la detta cavalleria già presso alla città di Todi, il popolo e’ guelfi
scoperto il trattato de’ Chiaravallesi, di subito presono l’arme e corsono
sopra i traditori: i quali essendosi più fidati alla venuta del prefetto che
provveduti d’aiuto dentro all’assalto del popolo, non ebbono forza a
ributtarlo, ma francamente sostennono la battaglia, consumando il
rimanente del dì nella loro difensione. I Perugini che tosto sentirono la
novella vi cavalcarono prestamente, sicchè la notte furono alla porta. Il
popolo per metterli nella terra spezzarono una porta, che già non erano
signori d’aprirla, ed entrati i Perugini in Todi, e fatto giorno, i
Chiaravallesi furono costretti d’uscire della città co’ loro seguaci, e
fuggendo trovarono assai di presso il prefetto colla sua gente che veniva
a loro stanza, i quali co’ cacciati insieme vituperosamente si tornarono
indietro, e la città rimase a più fermo stato di popolo e di parte guelfa col
favore de’ Perugini in suo riposo.
CAP. LVIII.
Come que’ da Ricasoli rubellarono Vertine a’ Fiorentini.
Era in questi dì questione non piccola tra’ consorti della casa da Ricasoli
per cagione della pieve di san Polo di Chianti, che essendo il piovano in
decrepita età ammalato, temendo i figliuoli d’Arrigo e il Roba da
Ricasoli, che per maggioranza dello stato messer Bindaccio da Ricasoli
e’ figliuoli non occupassono la detta pieve, pervennono ad accuparla
contro la riformagione del comune di Firenze, onde furono condannati
nella persona a condizione; il Roba ubbidì, e fu prosciolto: i figliuoli
d’Arrigo, avvegnachè restituissono al comune la possessione, non
essendo loro attenuto quello che però fu loro promesso dal comune,
rimasono in bando; e sdegnati di questa ingiuria, sapendo che molta roba
de’ loro consorti era ridotta nel castello di Vertine, accolsono
centocinquanta fanti masnadieri, ed entrarono nel castello, che non si
guardava, e di presente l’afforzarono: e corsono per le villate d’attorno, e
misono nel castello molta roba, e gli abituri e case de’ loro consorti
arsono e guastarono. Il comune di Firenze vi feciono cavalcare il podestà
con certe masnade di cavalieri e di pedoni, stimando che contro al
comune non facessono resistenza: ma i giovani trovandosi in luogo forte
e bene guerniti, e la forza del Biscione di presso, di cui il comune forte
temeva, e favoreggiati da Giovanni d’Ottolino Bottoni de’ Salimbeni di
Siena, pensarono di tenere il castello per forza, tanto che il comune di
Firenze per riaverlo farebbono la loro volontà: e però si misono a
ribellione. E alla loro follia aggiunse il tempo aiuto, che all’entrata di
febbraio caddono nevi grandissime l’una dopo l’altra, che stettono sopra
la terra oltre all’usato modo tutto il detto mese per tale maniera, che tale
era a cavalcare il contado di Firenze come le più serrate alpi. Lasceremo
Vertine tra le nevi nella sua ribellione, traendoci altra maggiore materia
in prima a raccontare.
CAP. LIX.
Come i Veneziani e’ Catalani furono sconfitti in Romania da’
Genovesi.
CAP. LX.
Di quello medesimo.