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UMBERTO SABA 1

Saba è nato a Trieste come Svevo, egli, a differenza di Svevo però crede nella possibilità di
guarigione della psicoanalisi. Fino all’ultimo, infatti, anche quando è in clinica, imbottito di
morfina, scrive questo romanzo splendido che lui stesso definiva impubblicabile, scrive in
triestino, la voce più spontanea del suo cuore e fino all’ultimo spera che questo male finisca.
Saba era un nevrotico, come moltissimi triestini, la sua nevrosi ossessiva la scopre da ragazzo,
già quando fa il servizio militare.
Se c’è un autore nel Novecento italiano che ci dà l’idea di sollievo è proprio Saba.
È il primo che incontriamo che scrive versi e lo fa per un motivo preciso, decide di
preoccuparsi della lirica e della poesia, non della prosa. Il “Canzoniere”, che è l’opera che
scrisse per tutta la vita e che raccoglie tutte le sue poesie, è definito da Saba stesso un
romanzo psicologico.
Senza dubbio fu utile per il suo stile poetico essere nato a Triste, perché Trieste rappresenta la
concretizzazione della frontiera, e se per Franco Rella, filosofo molto utile per chi vuole fare
critica letteraria, la soglia è la figura della modernità, Trieste è proprio la città della soglia, è
l’ultimo margine geografico dell’Italia e l’estremo baluardo dell’impero austroungarico, non
ha retroterra alle spalle, è tutta proiettata sul suo porto, attraversata dalla bora, vento
fortissimo che spazza via tutto, ed è tutta in salita.
E allora per una persona come Saba, che istintivamente tendeva ad arroccarsi, Trieste era la
città perfetta; anzi lui decise di abitare l’ultima casa sopra l’Erta, casa dove ancora Trieste si
poteva dire Trieste: in qualche modo si era ritagliato un cantuccio fuori da tutto.
Carattere difficilissimo, spigoloso, chiuso, e dolcissimo al tempo stesso. Contini diceva che a
Trieste (e in particolare Saba) si è nevrotici prima della psicanalisi e psicanalisti prima di
Freud; ed è vero, in qualche modo quando arrivò il dottor Weiss, allievo di Freud, a Trieste,
trovò un terreno ideale, erano quasi tutti nevrotici, mezzi imparentanti tra di loro. Tutti,
tranne Svevo, credevano nella possibilità di guarigione di questa nuova scienza. Saba
comincia a creare una sorta di dipendenza fisica dai colloqui con il dottor Weiss, e interrompe
la cura solo perché Weiss si trasferisce a Roma, ma quando comincia negli anni ’30 a fare
questa cura, per lui diventa fondamentale lavorare su questa nuova scienza, per cui noi
troveremo dei termini come per esempio il termine “scissione”, che sono tipicamente
freudiani. Il cuore di Saba (”cuore” è una parola presente quasi in tutte le sue poesie) è un
cuore scisso, un cuore in qualche modo fratturato al centro dalla nascita.
Saba nasce da un padre ariano con la testa tra le nuvole, don Giovanni, desideroso di non
impegnarsi mai, e invece una madre ebrea, severissima, che della vita tutti sentiva i pesi, dirà
nella sua poesia. La madre rimane incinta e il padre scappa prima ancora che Saba venisse al
mondo; infatti, Saba non si chiama così, sceglie lui di chiamarsi così, perché spesso i ragazzi
che vengono abbandonati dal padre decidono di cambiare nomi. Il padre si chiamava Ugo
Boli e Saba in realtà si chiama Umberto Boli. Saba era ebreo, poi dopo lui non accetterà mai di
farsi battezzare, anche durante le leggi razziali né però veramente seguirà la religione ebraica,
ma sicuramente a Trieste tutto l’ebraismo orientale arriva, anche Chagall ha queste correnti di
ebraismo orientale nella sua pittura.
Saba sceglie questo pseudonimo perché in ebraico voleva dire “pane”, e da qui già
comprendiamo quanto fosse per lui importante la semplicità, la chiarezza, parola
importantissima per Saba, voleva chiamare il “Canzoniere” chiarezza, ma soprattutto in
omaggio a quella che fu la sua “madre di gioia”, così la chiama, Peppa Sabaz, la balia che lo
aveva tenuto da zero a tre anni, in cui per Freud si attua la formazione caratteriale di un
individuo, infatti dopo i tre anni tutte le tendenze caratteriali sono ormai fissate. Il latte lo
aveva preso da Peppa, il primo sorriso era il suo, la prima volta che disse mamma fu a Peppa, è
fondamentale la presenza di questa donna. Allora, si usava affidare i figli, soprattutto appena
nati, a queste balie slovene, donne legate al confine nord-orientale dell’Italia. Arrivavano
piene di latte, perché avevano già altri figli loro, e in qualche modo diventavano cruciali per la
vita della famiglia. Questa madre di gioia diventa l’unica fonte di felicità perfetta per Saba. La
madre vera, quella severa, in realtà era andata in depressione per via dell’abbandono del
marito, subito capisce che sarebbe stata inaffidabile per il figlio, ma non è questo il trauma più
profondo di Saba. Egli non fu malato per tutta la vita ed ebbe questa ferita irrisarcibile perché
il padre lo abbandonò prima che lui nascesse o perché la madre si rifiutò di crescerlo e per tre
anni lo affidò ad un’altra donna, no, tanta era la bellezza di Peppa Sabaz nella sua vita che
sarebbe stato un risarcimento sufficiente a questi due traumi. Il trauma maggiore fu quando la
madre decise di riprendersi Umberto Saba.
La madre decise, arrivato al terzo anno, che sarebbe stata in grado di crescerlo. Vedremo la
descrizione esatta di questo momento, il fondo del trauma, cioè quando la madre si fa
riportare a casa il bimbo; Peppa Sabaz sale le scale di questa casa, consegna il bambino alla
madre e va via, in quel momento si crea la ferita più grande di tutte. Questo era il famoso
trauma che giace a fondo che per Freud va recuperato attraverso la teoria psicoanalitica.
(Sappiamo che la tecnica che Freud inventò, essendo ancora un medico positivista però
consapevole che stava aprendo con la sua scienza un nuovo secolo, tanto è vero che poi ha
pubblicato l’interpretazione dei sogni datata 1900 e non 1899) ebbene la tecnica di Freud era
ripercorrere tutte le età della vita fino a raggiungere quella infantile e recuperare il fondo del
dolore con il trauma legato all’infanzia.
(Anche Zeno Cosini parla nel preambolo del fantolino e di questo recuperare l’infanzia, solo
che lo fa con una matita in mano, un taccuino in poltrona e si addormenta.)
Invece che cosa succede? Che Saba davvero raggiunge il fondo di questo dolore e la
domanda più grave, ma come ha fatto la mia madre di gioia a fare questo? Perché lui si ricorda
il proprio urlo e incomincia a scrivere, e scrive queste tre poesie: Alla mia balia, in cui
recupera tutto questo percorso, siamo intorno al 1930; e nella terza poesia, che inizia infatti
con un grido, in quell’urlo del bambino si sente finalmente il pianto di Peppa, che non era
felice di lasciarlo. Quando mette il dolore di Peppa dentro il suo può risalire, può pensare di
salvarsi.
Pubblica in pochissimi esemplari, circa 33, queste 3 poesie alla balia, in libri piccoli da dare agli
amici, e poi comincia a costruire questo piccolo Berto, così si chiama è un insieme di testi che
pubblica sul Solaria, una rivista fondamentale, tutto passa infatti per qui, pubblica questo
famoso “piccolo berto” e capisce che è una sezione a parte, è un insieme di testi che in
qualche modo hanno a che fare con un poeta che attraverso la psicoanalisi ha toccato il fondo
e risale; a quel punto capisce che quello che sta facendo attraverso le poesie è qualcosa di
molto simile a quello che fa quando va dal dottor Weiss: è questo tentativo di guarire, di
alzarsi, di sollevarsi, e allora riscrive il Canzoniere.
La prima edizione è del ‘21, pochissime poesie, molto giovanile, però c’è Trieste e una donna,
che sono gli elementi più importanti della sua vita, ma è la seconda edizione quella più
importante, questa dopo la cura psicanalitica, l’anno è il 1945 usciamo dalla Seconda guerra
mondiale e Saba parla di Berto (cioè lui piccolino, Berto è il nome con cui la balia lo
chiamava), prende il piccolo Berto e lo inserisce dentro il Canzoniere, e ristruttura
completamente quest’opera.
Tutto quello che abbiamo tra le mani quando prenderemo il Canzoniere edizione Einaudi
economica di Nunzia Palmieri, si forma ora nel 1945. Dopo quella del 1945, ci saranno delle
correzioni, ci sarà quella del ’48 pure è importante perché pubblica “Storia e cronistoria del
canzoniere”, poi quella del ‘57 e ‘61, che è la definitiva, ma quella che veramente rende il
“Canzoniere” tale è la seconda, cioè quella dopo la cura psicoanalitica, dopo le famose 3
poesie dedicate alla balia, quando tocca il fondo. Studieremo che Saba tende a una struttura
tripartita, ci sono tre sezioni principali, e che spesso le poesie sono divise in tre parti e le tre
poesie “alla mia balia” sono già una cellula tripartita ma tutto questo è dopo l’edizione del
‘45,non solo,ma finalmente il “Canzoniere” è fino in fondo un romanzo psicologico, è
costruito secondo una trama romanzesca,dopo questa famosa edizione del
“Canzoniere”,perché se dobbiamo capire come approcciarci a queste poesie dobbiamo avere
in mente due immagini apparentemente contrastanti,una è quella della linearità
romanzesca,un percorso orizzontale,la prosa,una narrazione romanzesca topografica per di
più psicologica,e poi contemporaneamente il cerchio, la circolarità della lirica, intesa in
qualche modo anche come un cerchio magico, dove tutto si tiene e si salva.
Diceva Saba che è il tempo è così, è rotondo, gli orologi dovrebbero essere solo rotondi,
quindi doppia immagine: linearità orizzontale romanzesca e circolarità lirica.
Tutte le poesie non sono staccate e indipendenti come capita nei Canzonieri, ma sono tutte
collegate l’una all’altra, spesso troviamo puntini sospensivi che sono in conclusione di una
poesia e all’inizio della poesia successiva, per dirci che è una specie di cerniera (per esempio
nelle tre poesie “alla mia balia”, la seconda e la terza sono costruite in questo modo, ci sono
questi punti sospensivi, le parole spesso fungono da aggancio tra l’una e l’altra poesia.)
Saba non amava Petrarca, preferiva Dante, diceva chi fa di più sbaglia di più, Dante ha fatto di
più, non è perfetto come Petrarca ma gli piaceva molto di più; è un po’ un’abitudine quella di
dire che il Canzoniere ha a che fare con la grande tradizione petrarchesca, non è esattamente
così, Saba prende spesso le distanze.
Il termine Canzoniere in realtà viene dal “libro dei canti”, chiamato in Italia “Canzoniere”, di
un autore tedesco fondamentale per Saba, Heine, Pirandello, fino a Erri De Luca. Heine (hairic
pronuncia) ha scritto questo “libro dei canti”, poesie fulminanti, ha avuto influenza su questo
tipo di poesia.
Noi ci troviamo di fronte ad un vero nevrotico traumatizzato, esempio fondamentale fisico e
sanguinante di un cuore angosciato, che però, invece di scrivere un romanzo di questa sua
scissione, si mette a scrivere in versi, e tra l’altro è un fondamentalista del genere poetico:
scrive riutilizzando rime, endecasillabi, ballate, canzoni, sonetti.
La prima forma della scuola siciliana è il sonetto, due quartine e due terzine. Noi leggiamo
Saba e invece di trovare un romanzo di un io scisso nella grande novecentesca, troviamo
sonetti, rime baciate, assonanze.
Saba è triestino, l’italiano per lui è una specie di ancora, la tradizione della lingua italiana.
Ebbene la definizione che da Contini è “Il suo è un italiano eterno”, sono parole che hanno
abitato da sempre il linguaggio poetico, parole trite le definisce (dal verbo latino terere,
qualcosa che è passato attraverso il tempo); si è in qualche modo consumato ma non è stato
del tutto cancellato.
Saba prende le rime base, quelle più facili di tutte, fiore-amore, (Amai) e allora succede questo
corto circuito vertiginoso che fa chiamare Saba anti novecentista, secondo le grandi linee
dello sperimentalismo novecentesco. Saba va controcorrente perché appunto, sonetti e rime
baciate, ecc, quale è questo corto circuito?
Tra il più contemporaneo, moderno, avanzato, dei contenuti, l’angoscia, la scissione
novecentesca nevrotica, e la più antica e tradizionale delle forme della lingua italiana.
Dentro questo linguaggio fondato sulla chiarezza lui pone il più scandaloso e duro dei
contenuti, il suo essere inguaribilmente scisso. E allora partiamo da una delle sue ultime
poesie,” Amai” in cui lui rifà il percorso a ritroso di tutte queste sue scelte, usando il passato
remoto
“mai, sempre legato al cuore, scelsi questa strada”, e poi alla fine dice “amo”.
Ora c’è una domanda fondamentale prima di iniziare a leggere Saba: Noi abbiamo tutte le
caratteristiche di un romanziere, noi ci troviamo in una zona di frontiera, Trieste è proprio la
città della soglia, un triestino con il cuore scisso che fa pure la cura psicanalitica, chiama la sua
opera romanzo, ma perché non abbiamo un prosatore (una persona che scrive direttamente
in prosa)? Cosa accade con quella scelta di fare poesia?
La prima e unica differenza tra poesia e prosa, perché ormai già il verso libero di Leopardi con
tutto lo sperimentalismo novecentesco, ormai anche la metrica è completamente dissolta,
l’unica differenza vera tra una scrittura in prosa e una scrittura lirica è costituita dai versi,
dall’andare a capo, era proprio quello che serviva a Saba. Non lo troviamo scritto questo,
dobbiamo noi aver scritto dei versi per capirlo, perché invece di una prosa, a un certo punto
abbiamo scelto di andare un po’ troppo spesso a capo, e di ricominciare verso per verso di
nuovo.
In Saba sono fondamentali gli Enjambament. Quella penna che si solleva dal foglio e decide di
andare a capo, e ricomincia e poi decide di andare a capo, e poi di nuovo va a capo, ma che
gesto è questo? quando noi abbiamo una ferita al centro del cuore, che stiamo facendo?
Stiamo ricucendo la nostra ferita. Attraverso la scrittura lirica e la necessità di andare a capo
Saba tenta di ricucire questo suo cuore e tutto quello che abbiamo detto ora lo troviamo in
quasi ogni poesia, non ha fatto altro che fare questo, per potersi sollevare.
“Scorciatoie e raccontini” mentre, invece di fare romanzo scrive in poesia, “scorciatoie e
raccontini” dovrebbe essere una scrittura in prosa ma si spezza e crea gli aforismi, dei
frammenti, scorciatoie, lui le chiama “sentieri per...”, risalita come erano a Trieste, è una
scrittura di aforismi: è fondamentale per capire Saba, e poi mette tantissime pagine di “Storia
e cronistoria del canzoniere”, senza il quale non avremo capito le scelte di Saba.
Amai
Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
E’ una scommessa: Con queste scelte dovrei salvarmi, dovrei provare questo famoso sollievo
che dopo aver toccato il fondo mi porta su.
Amai trite parole, parole consumate, poesie fossili, e però io me le raccolgo tutte quelle che
nessuno più osa in pieno novecento, in un periodo di avanguardia, di ermetismo, la poesia
oscura ermetica,anche per questo Saba pensa alla chiarezza; quella di Saba la definisce lui
stesso così, è una poesia rasoterra che raccoglie le cose proprie umili dall’humus,della terra,
infatti hanno cittadinanza poetica parole che non vennero neanche usate,e anche animali da
cortile che non circolavano nelle poesie, come ad esempio la capra. (Porta, inoltre, in poesia
alcuni elementi nuovi, come gli elementi della fattoria.)

Ho amato la parola “fiore amore”, ma chi dice più in pieno Novecento fiore e amore?
Pensiamo quanto è bravo, lui lo dice è difficile perché come si fa a dire “fiore amore”in pieno
Novecento e non essere banali, e non stonare, porta in poesia fiore e amore, Pasolini diceva
che Saba non era facile, dobbiamo stare attenti, bisogna comprenderlo a fondo. Come l’Erta di
Trieste con quel sentiero che faceva da cammino, è in salita Saba.
“Amai la verità che giace a fondo” io ci credo che esiste una verità, non è come Svevo tutto
ambivalente; giace a fondo,doveva arrivare fino al fondo per recuperare,e infatti “sogno
obliato” è proprio Freud,una rimozione,il trauma maggiore quando la mia mamma di gioia,nel
passato mi portò di nuovo da mia madre,io l’ho rimosso,e con la cura psicoanalitica io
recupero quel grido e lo faccio attraverso il dolore,il dolore scopre la verità amica,la
conoscenza passa attraverso il dolore; ( il più grande romanziere,Carlo Emilio Gadda,del
novecento intitolerà il suo primo romanzo “la cognizione del dolore”.il Novecento si conosce
attraverso il dolore.)

“e il cuore si accosta alla verità con paura ma non l’abbandona più” La parola cuore c’è
sempre. Io ho recuperato la verità che giace a fondo e l’ho fatto attraverso le parole trite,
l’italiano eterno, il linguaggio della tradizione. La lingua italiana diventa una specie di bordo
dal quale sporgersi, vedere finalmente la verità, ma in qualche modo essere protetto, perciò
diciamo bordo. E poi il presente, e continuo a fare questa scelta, amo anche oggi tutto ciò, e
amo te che mi ascolti, e questa carta sulla quale scrivo le mie poesie è come un gioco, come
una scommessa di felicità.
In realtà questo te era una persona precisa, un ragazzo che si chiamava Guido Almansi, di cui
Saba parla, perché se c’è un poeta che insegna che siamo in grado di provare un unico
sentimento potentissimo nel quale si confondono tutte le definizioni, è Saba.
“Amo, amo te che mi ascolti”, dentro l’amore ci mettiamo l’amore coniugale, quello fraterno,
quello dato ai genitori, l’amicizia, il bene velle, Catullo, volere bene molto più che odi et amo,
la differenza in Catullo è tra amare che è bene velle e voler bene, quella è la grande
differenza,” tradito da Lesbia un ingiuria tale”, in questo tradimento lui costringe ad amare
ancora, forse di più. Il bene velle è qualcosa di straordinario e profondissimo che va oltre la
passione amorosa.
Ebbene tutti questi sentimenti sono dentro un’unica parola, io amo e questo ce lo insegno
Saba, e quel famoso libro impubblicabile “Ernesto” che scrive in triestino, sotto morfina, parla
di un amore omosessuale, Saba da ragazzo ebbe un grande amore con un uomo più grande
che in qualche modo lo aveva plagiato. Questo libro è di una potenza straordinaria perché lui
racconta ai posteriori tutto questo.
Grazia è una parola potentissima in Saba, ed è bello ritrovarla nella gratitudine che legava
Zeno ad Augusta. Con Saba le acque si confondono, egli dice anche che anche Guido Almansi
è dentro questo mondo, la poesia più bella per Nunzia Palmieri noi non la portiamo, si chiama
un Vecchio e un giovane, sempre dedicata a Guido.
Noi troviamo una delle donne più amate in assoluto della letteratura, la moglie, Lina.
Lina è una donna indimenticabile dopo il Canzoniere di Saba. Questo cuore in qualche modo
sceglie di ricucire la propria ferita attraverso la lingua eterna della poesia, scrive un romanzo
psicologico ma lo fa in versi, per poter andare a capo e ricucire la sua ferita. Il filo che usa è
l’autobiografia, ma dalla seconda edizione del Canzoniere in poi. Dice Lavagetto quando
ristruttura tutto “è come se volesse costruire una trama autobiografica”, e allora dice una frase
bellissima “incappuccia di buio certi episodi”, non li svela del tutto, altrimenti non si
costruisce bene la trama.
E’ proprio come se procedesse per capitoli, come per esempio l’arrivo di Lina nella sua vita (la
poesia più bella che una donna potrebbe desiderare in tutto il Novecento è “A mia moglie” di
Saba, “tu sei come una bianca pollastra.”, la chiama cagna, pollastra, le dice coniglia, la
trasforma nel più ricercato degli oggetti d’amore.)
Per visualizzare questo cuore di Saba dove amare è amare tutto, leggiamo “Secondo
Congedo”, aveva già scritto una poesia che si chiamasse “Congedo”, è praticamente un distico.
Secondo congedo
O mio cuore dal nascere in due scisso,
quante pene durai per uno farne!
Quante rose a nascondere un abisso!
E’ straordinario ma c’è tutto: “O mio cuore”, che è il centro del canzoniere, “scisso in due”, ma
io proprio ci sono nato così, scisso, mi hanno concepito così, mia madre severa ed ebrea e
quindi della vita sentiva i pesi, mio padre ariano e leggero, manipolatore, io sono nato
spezzato a metà.
“Quante pene durai”, la potenza di questo verbo “durai”, il dolore nel tempo, tutti i giorni,
ogni giorno. E le rose che in qualche modo sollevano dall’abisso sono le sue poesie.
“Quante pene durai”, questo tentativo ogni giorno di lavorare su questa pena, ora per farci
capire che cos’è questa riparazione del cuore, ecco come si fa a riparare un cuore a Saba?
Tra l’altro lui già era nato così, con quella frattura al centro. (Saba diceva che la felicità è
composta da gocce d’oro: delle gocce che cadono tutto il giorno,” gocce d’oro di felicità” così
le chiama, concetto ricavato un po’ da Nietzsche in realtà ma non è così bello, la felicità è una
goccia d’oro. E allora per capire cosa sono queste poesie che tentano di riparare la ferita,
dobbiamo pensare ad un’arte orientale che si chiama kintsugi, un vaso si rompe e loro lo
ricompongono mettendo nella frattura l’oro, perché quella frattura sia non solo visibile ma
punto di bellezza del vaso ricomposto. Quella frattura ricomposta ospita gocce d’oro e il
dolore diventa un contenitore della gioia: anche questo si dice nelle regioni orientali “il
dolore scava dentro il cuore e quanto più profondamente scava tanta più felicità potrà
entrare”. Kintsugi, è l’arte perfetta per capire la riparazione che Saba riesce a fare della sua
ferita, gocce d’oro dentro la frattura.)
AZZURRO DI SABA
Chagall è perfetto per capire Saba (un po’ come Morandi per capire le cose di Montale) il
rapporto tra pittura e letteratura è cruciale. L’azzurro e le figure di Chagall, sono le stesse che
compaiono nel canzoniere di Saba : capre, amanti, sposi, violinisti, non solo, ma compaiono
anche nella stessa identica posizione: A mezz’aria,tra cielo e terra, così dipinge Chagall dentro
l’azzurro, che viene chiamato azzurro Chagall, è straordinario, dentro quell’azzurro, sospesi a
mezz’aria troviamo queste figure, esattamente quello che incontriamo nel Canzoniere, sono
figure in carne ed ossa materiche, lo diceva anche Debenedetti, con Saba ritorna il
personaggio uomo che era scomparso nel Novecento, poi non parliamo dell’ermetismo dove
non compare più, con Saba ritorna fisicamente con tutto il suo peso il personaggio, il
Canzoniere pieno di figure dice: la più importante di tutte è Lina, ma è zeppo di figure,
Debenedetti dice “mi ricorda la stessa fisicità dei personaggi del melodramma di Verdi, con
quel peso, le figure del Canzoniere, e si trovano però sospese a mezz’aria, a metà tra cielo e
terra.”
Saba in “scorciatoie e raccontini” aveva parlato di che cos’è questo movimento di sospensione
e di salvezza. Santagata riporta tre scorciatoie molto importanti (PAGINA 155, FOTOCOPIE
SANTAGATA”):
“non esiste un mistero della vita o del mondo o dell’universo, tutti noi in quanto nati dalla vita
sappiamo tutto, ma lo sappiamo in profondità”
siamo tutto creature, il mondo di Saba è creaturale come quello di Chagall e la verità è in
fondo. Chi ha dove, come, quando e perché per tutto il contatto con la propria vita, chi non è
capace di vedere chiaro in se stesso, chiaro fino al più profondo delle viscere. Egli non poté
camminare, né saltare, né correre, egli solo svolazza: il movimento non è svolazzare, è toccare
il fondo chiaramente e risalire,
E allora dice “gli uomini infilzati in conflitti eterni, che neppure sospettano di portare in sé
procedono, verso abissi, che un bambino saprebbe loro indicare, infallibilmente precipitano,
anche tu e anche io, ma se tu, se io, potessimo portare a quegli inconsci conflitti alla luce della
coscienza proveremo un grande, un invincibile sollievo, e quelli scoppierebbero in aria come
bolle di sapone”
ecco questo è quello stare a mezz’aria tra terra e cielo, un movimento che viene dal toccare il
fondo, la verità che giace a fondo, e risalire (come pulle diceva Petronio, nel Satyricon, la
definizione di uomini è questa pulle, la fragilissima anima umana, né terreste né celeste, né
bestie né angeli).
Questo è il sollievo che Saba voleva provare. E allora come si fa a capire il movimento che fa
Saba per portare tutto questo suo mondo chagalliano a mezz’aria, nell’azzurro, attraverso
l’azzurra Trieste, città azzurra per eccellenza: il padre di Saba aveva gli occhi azzurri come lui,
la figlia che chiama con lo stesso nome della moglie, Linuccia, ha gli occhi azzurri, è proprio
l’azzurro di Chagall.
Allora è Trieste fondamentale, perché lui riesca a fare questa operazione, a creare questo
sollievo da bolla: ha bisogno di una città come Trieste e di un nevrotico, spigoloso, e
arroccato, che nella poesia che portiamo “Trieste” abita l’ultima casa in alto. (e però per forza,
fuori programma, città vecchia, il movimento contrario, in cui dall’alto lui scende nei borghi
della città vecchia, quella che poi avrebbe ispirato De Andrè.)
Trieste
Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Le parole ormai le conosciamo tutte. L’Erta, la città tutta in salita, all’inizio intorno al porto è
popoloso, man mano che si sale un muro comincia a dilatarsi la vita umana.
“Un cantuccio”, mi sono andato a prendere proprio la parte più arroccata e addirittura in quel
punto sembra che sia finita la città, terminata (il movimento è dal basso verso l’alto)
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.

È proprio la poesia cruda e dolcissima di Saba.


“Ingombrata spiaggia” cioè se porta invece alla spiaggia affollata.
“una casa, l’ultima s’aggrappa” è la sua casa, lui sta in alto e vede che la propria abitazione, in
realtà è l’ultima in alto a tutto di Trieste.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.
Ecco, si condensa questa atmosfera azzurra della sua città, è quasi cinematografica, è
un’inquadratura dal basso verso l’alto e quest’aria comincia a diventare una condensa azzurra
chagalliana.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
Saba è tutte e due le cose insieme, isolamento e tentativo di relazionarsi diceva Debenedetti: è
una poesia relazionale, cerca di comunicare, di creare una relazione, proprio perché è isolato,
i movimenti sono sempre contemporanei, si tira fuori e cerca di immergersi
(nella poesia “Borgo” dirà la calda vita di tutti, cercare di entrare nella calda vita di tutti, è
come non fare la continuazione del romanzo di Svevo.)

CITTA’ VECCHIA
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci e uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
Al contrario di Trieste, entro nel basso, nei sobborghi e trovo nell’umiltà l’infinito (che fa rima
con detrito, detrite parole.)
È ancora più potente di Trieste questa poesia per capire Saba, l’arroccato, scontroso,
nevrotico che tenta la relazione col basso, e con quell’umiltà in cui infinito fa rima con detrito.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
Questa è la religiosità creaturale di Saba, creature della vita e del dolore, dove capre, amanti,
spose, moglie, violinisti ecc, tutti abitano in quel mondo azzurro a mezz’aria tra cielo e terra.
Tra queste due immagini di Trieste si delinea lo spazio naturale della poesia di Saba, la
dimensione è intermedia,è lì che c’è la salvezza,le figure del suo Canzoniere sospese a
mezz’aria acquistano consistenza materica, fisicità, storia, destino, dal basso verso l’alto e
dall’alto verso il basso si forma una culla d’aria,dove restano sospesi i suoi personaggi : non
volano, gli animali volano, ma sono lì a metà con tutto il loro peso terrestre di essere viventi, la
moglie Lina con lo scialle rosso, la capra con il viso semita, e tutte le creature della vita e del
dolore, esattamente come nei quadri di Chagall, che è in piena avanguardia tra Campiski e
Novria, dipingeva anche lui nel cielo, in quella sua consistenza azzurra, ma con tutta la loro
radicale veste capre e spose.

La madre compare in via indiretta in una poesia chiamata “Eros”: eros è come lo intende
Freud, principio di piacere, non è l’eros classico; questa sfida vitale che muove nel rasoterra
descritto da Saba tutte le creature.
Saba parla di un ragazzo che sta guardando uno spettacolo di varietà al cinema, ma in realtà
parla di se stesso, si chiama transfer, lo facciamo anche nei sogni, dice Freud, sogniamo delle
persone ma in realtà siamo noi, è una specie di modo per attutire qualche cosa, che se troppo
diretta ci farebbe male, usiamo delle interposte persone;
quindi il ragazzo descritto nella poesia, alla terza persona singolare, in realtà è Saba stesso;
infatti, alla fine della poesia Saba dice “musica a me cara”: usa l’io, ed emerge il transfer.
Il cinema allora, aveva un palcoscenico dove si facevano spettacoli di varietà tra il primo e il
secondo tempo.
EROS
Sul breve palcoscenico una donna
fa, dopo il Cine, il suo numero.
Applausi, a scherno credo, ripetuti.

Questa donna è prosperosa come donna del varietà e viene un po’ presa in giro, in realtà,
dagli applausi del pubblico.
In piedi,
dal loggione in un canto, un giovanetto,
mezzo spinto all'infuori, coi severi
occhi la guarda, che ogni tratto abbassa.
Giovanetto Saba, guarda severamente, come severa è la madre, anzi si censura, abbassa anche
gli occhi, un po’ troppo prosperosa questa donna.
È fascino? È disgusto? È l'una e l'altra
cosa? Chi sa? Forse a sua madre pensa,
pensa se questo è l'amore.
Questo adolescente, turbato, il cui rapporto femminile della donna sul palcoscenico, pensa
alla madre e pensa anche “eros”, e questo, è quello che io ora sto provando, disgusto, fascino,
tutto insieme.
I lustrini, sul gran corpo di lei, col gioco vario
delle luci l'abbagliano. E i severi
occhi riaperti, là più non li volge.
Tutte le paillettes, i lustrini che ha, mettono in evidenza il gran corpo, quasi uno zoom che lui
fa sulle forme sensuali di questa donna, e allora si volta, gli occhi non li volge più, si censura,
non deve guardare quel corpo. il peso severo della madre gli impedisce di guardare la donna e
girato la musica gli arriva lo stesso. Siamo indifesi davanti all’ascolto, gli arriva questa musica e
gli resta dentro.
Solo ascolta la musica, leggera
musichetta da trivio, anche a me cara
ecco che viene svelato il transfert, questa musica ormai è cara, voglio bene a questa musica
che ha scandito la scoperta della sensualità, dell’eros, una legge di natura che è un principio
di piacere, non va condannata.
talvolta, che per lui si è fatta, dentro
l'anima sua popolana ed altera,
una marcia guerriera
Dentro l’anima di questo ragazzino, che poi è Saba, questa musica è diventata una marcia
guerriera: l’anima è popolata, sono ragazzo, è normale che mi piacciono le cose che piacciono
a tutti, però ho la mia dignità, di sentirmi creatura tra tutte le creature e assecondare quello
che è un principio naturale del piacere, e allora lascia uno spazio bianco, prima dell’ultimo
rigo, “una marcia guerriera”. Sta dicendo che marcia guerriera, questa spinta erotica ha a che
fare con l’eccitazione, ma sta facendo anche spazio, ancora una volta a Peppa. Scompare la
madre severa e la sua censura e ricompare Peppa Sabaz, lo sappiamo perché Saba racconta
che con Peppa nei primi tre anni felici giocava ai soldatini, erano dei giochi che lei aveva, che
lui ricorda.
FUNZIONA: trasfert, madre severa che compare in maniera indiretta, censura, e poi dal basso
musica, alla quale si affeziona, e il principio di piacere freudiano e quindi mi ricordo degli
anni felici, gli anni passati con Peppa.
Ma com’è che sappiamo tutte queste cose? Grazie a “Storia e cronistoria del canzoniere”.
Quando scrive la seconda edizione del 1945,quella in cui ristruttura il canzoniere per sempre
in tre parti e crea il romanzo psicologico, Saba si accorge che la complessità della sua poesia
non era stata colta, persino Debenedetti, triestino che tra l’altro mette in comunicazione Saba
con Montale,non aveva capito fino in fondo che cos’era questa scissione nel cuore di Saba, è
tutto doppio, scisso, madre -madre di gioia, padre-madre, ma anche adulto-bambino che è
fondamentale, forse è la più importante di tutti, se c’è un aspetto liberto che lo rende diverso
da tutti gli altri fanciullini della poesia, è che Berto ormai è adulto, le due cose sono insieme.
Lo dice proprio Saba:” non mi confondete con il fanciullino di Pascoli, non c’entra niente,
non sono quel fanciullino, il mio bimbo è adulto, somiglia più a quello che gli antichi
chiamavano il puer senix, il bimbo vecchio, saggio” e lo dice in quest’opera fondamentale che
esce nel 1948.
Fondamentale,per dire tutto quello che c’è da dire sulla propria poesia Saba finge di essere un
ragazzo, appena laureato,sull’ opera di Saba intitolata “il Canzoniere”,tesi di laurea con dignità
di pubblicazione questa è “Storia e cronistoria del Canzoniere”, così finalmente può dire tutto
quello che c’è da dire sulle sue scelte poetiche, finge che sia una tesi, ed è importante
quest’opera perché è la prima volta, dalla Vita Nova di Dante, che un poeta torna a
commentare i propri versi, la vita nuova era un po’ simile e lo stesso ragionamento, e da allora
dice Brugnoli, critico importante di Saba, nessuno si era messo a commentare la propria
poesia, dopo Saba lo farà anche Montale ed Ungaretti, troveremo delle opere più o meno
simili a “Storia e cronistoria del canzoniere”.
Ora a noi interessa quest’opera perché innanzitutto è anche una cronistoria, rientra in quella
datazione giorno per giorno, realistica , che è fondamentale nel Novecento, l’ultimo capitolo
della Coscienza di Zeno è un diario, tutte le continuazioni di Svevo sono un diario, diario del
‘71/’72 è l’ultima opera di Montale, “diario d’Algeria” è l’opera maggiore di Vittorio Sereni, e
anche “Storia e cronistoria” è una storia raccontata attraverso l’unica cadenza temporale
ancora possibile per l’uomo del 900,il giorno per giorno, è in questa conca temporale, in
questa sacca del tempo, legato al giorno, alla giornata che cadono le gocce d’oro.
È importante questa “Storia e cronistoria” perché abbiamo tre voci di Saba: una è quella che
incontriamo nel Canzoniere, Saba poeta, l’altra, ovviamente è quella per lui necessaria, una
buona voce critica che dicesse finalmente cose profonde sulla sua poesia, ma è sempre lui, e
la terza, veramente una pacchia per noi, Saba intervistato. Carimandrei fa un’intervista al
poeta vivente, gli chiede di raccontare proprio come sono nate certe poesie, ora capiamo
perché è necessaria quest’opera da tenere accanto al Canzoniere.
Santagata usa moltissimo le pagine recuperata di quest’opera,” storia e cronistoria del
canzoniere”, e per esempio lì,a parte che abbiamo la famosa definizione romanzo psicologico,
spiega perché “Mio padre è stato per me l’assassino”, perchè è una citazione,la parola
assassino lui lo diceva alla madre, la poesia più famosa di Saba “mio padre è stato per me
l’assassino”,nasce con la voce della madre, è una parola che la madre gli ha ripetuto per tutta
l’infanzia,”sei figlio di un assassino,mi ha abbandonato prima che nascessi, stai attento a non
somigliargli”.

1905, Saba ha 20 anni, e a Firenze incontra per la prima volta il padre; il padre è andato lì a
conoscerlo per un motivo bassissimo, è rimasto senza soldi. Il trauma c’era tutto, mio padre
che neanche mi ha visto nascere, che per 20 anni non sa che viso io abbia, mi viene a chiedere
i soldi e tutto questo passa attraverso l’andare a capo, qua la dicitura deve essere forte e allora
sceglie il sonetto, il più tradizionale delle strutture metriche, perché qua la ferita da ricucire è
devastata, e ricompone, ce la fa, proprio attraverso questa contrapposizione adulto-bambino,
rovescia il rapporto, è lui l’adulto che parla, ha tutta la leggerezza di un bambino.
MIO PADRE E’ STATO PER ME L’ASSASSINO
Mio padre è stato per me l'"assassino",
fino ai vent'anni che l'ho conosciuto.
Allora ho visto ch'egli era un bambino,
e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto.

Passo da un trauma tipicamente novecentesco, il rapporto con il padre. Rovescio: il bimbo è


lui, e proprio perché è lui il bambino io ho ereditato il dono della poesia e di fare versi da
questa sua leggerezza.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,


un sorriso, in miseria, dolce e astuto,
Andò sempre per il mondo pellegrino;
più d'una donna l'ha amato e pasciuto.

Ha gli occhi azzurri, nei suoi occhi io vedo il mio azzurro Chagall, vede anche la trasmissione
genetica di quella possibilità di sollevarsi a mezz’aria, è fatto così, è uno sciupa femmine, le
donne lo nutrono.
Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
Come poteva mia madre trattenere un padre così, lui era della consistenza di un pallone e le
mani di mia madre si sentivano solo pesi, ed è impossibile che restassero insieme.
"Non somigliare - ammoniva - a tuo padre".
Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
eran due razze in antica tenzone.

Erano proprio di razza diversa, non potevo che non nascere scisso.
La poesia, il sonetto, le rime baciate, sto ricucendo, metto sull’abisso rose, per sollevarlo,
salvare, e guarire, ma questa bolla irridescente di Saba ha un foro interiore, così chiama Carlo
Emilio Gadda l’anima umana, o anche Robert Musil dedica un capitolo dell’”uomo senza
qualità” all’anima chiamandolo così “quel gran buco dell’anima”,il movimento nostro sulla
terra è come quello di un tarlo, dice Musil, scaviamo secondo il percorso del nostro foro
interiore,e passiamo una vita allargando questo spazio vuoto e alle spalle restano i residui, i
truccioli di questo nostro movimento da tarlo,che è sempre la nostra polvere.
È bella l’immagine della gonna, del carbone, del sollievo, ma dobbiamo ricordare che Saba ha
questo foro che gli impedisce di salvarsi del tutto e infatti va dal dottore Weiss(Vais
pronuncia), e comincia a scavare, deve raggiungere il fondo altrimenti non può risalire, e non
riesce a trovare questo trauma, parla del padre che l’ha abbandonato, ma non basta,e la madre
è stata severa, gli ha detto non somigliare a tuo padre, gli ha raccontato questo padre
spaventoso, ma non è ancora quello il fondo; è quella mattina in braccio a Peppa, perché
dormiva, era un bambino di 3 anni addormentato sul seno della sua balia, il paradiso, e si
sveglia nel momento in cui Peppa lo ridà alla madre: è quello il grido che impedirà a Saba di
guarire del tutto.
Mette per iscritto tutto questo, glielo dice Weiss e cerca di ricucire, e quindi va a capo, e fa
questo nucleo fondamentale senza il quale non avremo avuto il Canzoniere, le tre poesie alla
balia. Saba parte da quello che in realtà è il punto di arrivo, lui padre, perché noi ci rendiamo
conto per un bambino abbandonato credere nella possibilità di essere lui padre, non è poco,
ed è il momento più importante di tutti, in cui più ti senti fondamentale da genitore, quando
tuo figlio ti si addormenta in braccio, e si affida completamente. Quello che si prova quando il
peso del bimbo che hai in braccia si abbandona, si addormenta e approda a te, da questa
sensazione parte Saba: lui padre con Linuccia in braccio.
Tre poesie alla mia balia. Prima.
Mia figlia
mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo;
ed io alla sua carezza m’addormento.

Le “tre poesie alla mia balia”, sono dedicate a Edoardo Weiss (chi ha il libro lo vede, c’è
proprio scritto, il piccolo Berto a Edoardo Weiss, il più famoso dedicatario) e sono costruite
secondo la logica simmetrica dell’inconscio, sto utilizzando la logica Matte Blanco, c’è la
logica aristotelica per cui ogni cosa è diversa dall’altra ed è la nostra razionalità, non esistono
due cose identiche, e poi c’è questa logica invece asimmetrica, in cui le cose si associano, che
è proprio quella dell’attività lirica, così funzionano le “tre poesie alla mia balia”, è un unico
sogno, in realtà, anche quando dice di svegliarsi, è sempre un solo sogno che lui fa, sogno
freudiano attraverso il quale recupera il trauma. Come si addormenta Saba? Si addormenta
perché si è addormentata Linuccia, e si addormenta anche lui, così c’è questo movimento di
regressione e di abbandono dentro l’attività lirica, il peso della bimba figlia affidata alle tue
braccia.
Divento
legno in mare caduto che sull’onda
galleggia. E dove alla vicina sponda
anelo, il flutto mi porta lontano.
Oh, come sento che lottare è vano!
Oh, come in petto per dolcezza il cuore
vien meno!

Si abbandona sempre di più, ritorna indietro nel tempo.


” Cuore”, questa parola comparirà in tutte e tre le poesie, sarà una specie di nodo interno, ora
partiamo da un cuore che sta degridendo e si sta abbandonando, terapia freudiana,
recuperando l’origine, l’infanzia.
Berto, chi lo chiamava Berto? Era Peppa, e qua compare (al seno...)

Al seno
approdo di colei che Berto ancora
mi chiama, al primo, all’amoroso seno,
ai verdi paradisi dell’infanzia.
SECONDA POESIA
Insonne
mi levo all’alba. Che farà la mia
vecchia nutrice? Posso forse ancora
là ritrovarla, nel suo negozietto?
Come vive, se vive? E a lei m'affretto,
pure una volta, con il cuore ansante.

Non è veramente sveglio, ma sogna di svegliarsi.


Negozietto, sempre in “Storia e cronistoria” racconta che lei con il marito aveva aperto, poi,
un negozietto in Slovenia.
Cuore ansante ecco che ricompare il cuore.
voglio rivederla, dov’è, che fine ha fatto? E sta correndo. Vediamo la bi-logica di Matte Blanco
non è razionale, lui ora sta correndo con un cuore bambino, come quando lo chiamava Berto,
sta andando a vedere se c’è ancora la sua Peppa
Eccola: è viva; in piedi dopo tante
vicende e tante stagioni. Un sorriso
illumina, a vedermi, il volto ancora
bello per me, misterioso
la vede, e cosa vede come prima immagina? Il sorriso che le illumina il volto perché lei sta
vedendo Berto, si illumina quel viso con tutto quel mistero. Quasi come uno scrigno, chiuso
dentro, incustodito dentro quel sorriso che lei faceva appena vedeva Saba.
È l'ora
a lei d'aprire. Ad aiutarla accorso
scalzo fanciullo, del nativo colle tutto
improntato, la persona china
leggera, ed alza la saracinesca
Peppa deve aprire il negozio, e questo scalzo fanciullo che ha preso l’impronta del colle,
improntato dal colle nativo, tutto in salita, anche io sono un po’ così, come il colle, la strada in
salita della terra in cui sono nato, mi chino e l’aiuto ad alzare la saracinesca, scalzo, e nessuno
lo commenta questo scalzo, però è importante, lo dice, è tutto una corsa che sta facendo
Berto verso il sorriso di Peppa, e quindi se sta correndo, conta che sia scalzo? Berto era scalzo
in quegli anni dei paradisi dell’infanzia, era un bimbo scalzato, che toccava terra come
facevano tutte le creature, senza scarpe, era veloce, correva anche in salita, su piccoli appigli,
come fanno le capre.
Così è la poesia di Saba, dobbiamo andare, scavare, proseguire, è quasi sempre un percorso in
salita, e capiamo perché era così attaccato agli animali del rasoterra, del mondo che vive al
piano terra, in “versi militari”, le sue prime poesie, che scrisse quando era chiamato per fare il
militare, diceva che lui era costretto a stare a terra, in tuta mimetica come fanno i militari, e
che però vedeva il mondo come non lo vedeva nessuno in quella posizione, forse solo i sereni
animali, così accovacciati a terra; quei paradisi dell’infanzia erano un tempo in cui Saba era
creatura tra le creature umane che poi avrebbe descritto, simile a una capretta che salgono su
appigli impensabili. Chiamerà “scorciatoie e raccontini” i sentieri per capre, perché noi non
vediamo la strada che fanno le capre, finché la capra non ci cammina sopra, per noi non è una
strada ma è una parete liscia, non c’è possibilità di salire, poi vediamo passare una capretta e
capiamo che quello era un sentiero.
Nella rosata in cielo e in terra fresca
mattina io ben la ritrovavo. E sono
a lei d'allora.
anastrofe, rosata va con mattina, e quindi diventa nella mattina rosata, cioè nell’alba, io la
ritrovavo.
Quel fanciullo io sono
che a lei spontaneo soccorreva; immagine
di me, d' uno di me perduto...
ecco il sogno, mi vedo sono io, sono un bimbo, scalzo, con una capra, che corre nei paradisi
dell’infanzia, è un’immagine, è una visione perduta. Poi ci sono i punti sospensivi che da
cerniera, ci collegano alla terza poesia
TERZA POESIA
La terza poesia comincia tutta spostata a destra
se uniamo questo “un grido” con il verso ultimo della seconda poesia e contiamo le sillabe,
abbiamo ottenuto un endecasillabo perfetto. Saba scrive in endecasillabi, vuole che noi
facciamo questa unione tra la seconda e la terza, è il suo tentativo di riserva.
...Un grido
s'alza il bimbo sulle scale. E piange
anche la donna che va via. Si frange
per sempre un cuore in quel momento.

Anche Peppa piange dentro il mio grido, è la cosa più importante per lui, per poter risalire.
Si frange per sempre un cuore in quel momento fu Peppa a portarlo a casa della madre; e
quella frattura in quel cuore già scisso, diventerà la frattura immedicabile, quell’abbandono è
il più pesante di tutti. Probabilmente era addormentato, perciò parte da Linuccia
addormentata.
Adesso
sono passati quarant'anni.
Il bimbo
è un uomo adesso, quasi un vecchio, esperto
di molti beni e molti mali. È Umberto
Saba quel bimbo.

sono tutti enjambement


È Umberto/Saba quel bimbo (enjambement, in quanto Saba è nel verso successivo) questa è la
prima e unica volta in tutto il Canzoniere in cui si firma, l’efais greca quando un poeta
dimentica la propria firma dentro il testo. Umberto Saba, il nome della crepa. Umberto Saba si
è firmato, è fondamentale questa poesia per tutto il canzoniere, quella radice di Saba del suo
dolore e della sua necessità di andare a capo comprendo l’abisso con le rose, è Umberto Saba
quel bimbo adulto.
E va, di pace in cerca,
a conversare con la sua nutrice;
che anch'ella fu di lasciarlo infelice
non volontaria lo lasciava.
Ecco l’argomento della conversazione nel sonno è stato un trauma anche per Peppa separarsi
da Berto, questo è il centro della conversazione con Peppa.
Il mondo
fu a lui sospetto d'allora, fu sempre
(o tale almeno gli parve) nemico.
perciò sono spigoloso, scontroso, arroccato, me ne sono andato ad abitare sopra a Trieste
nell’ultima casa. C’è una poesia bellissima rivolta a Linuccia, la bimba, che adorava; “Cose
leggere e vaganti” che è un’opera a parte che lui pubblica come sezione del Canzoniere, è
proprio la voce di Linuccia. C’è una poesia in cui lui dice che per questo suo caratteraccio
arroccato, non riesce ad andare veramente incontro quando lei torna da scuola e va verso la
mamma, la mamma con lo scialle rosso, Saba non ci riesce c’è questa distanza, questo spazio
che non riesce a colmare, che neanche tutta una vita a scrivere poesie si sana, da allora da
questa terza poesia.
Qui ci prova il bimbo adulto a salvarsi, e allora il primo passo è il passo di adulto, di marito, e
come si salva? Amando, amando una donna, facendo coppia, trovando la donna che possa
dargli finalmente tutto quell’amore che gli era stato tolto dai paradisi dell’infanzia. Allora
come compare questo passaggio alla vita adulta di uomo di 40 anni che sposa? Attraverso la
figura del balio, il marito della balia, chi amava molto questo passaggio fu Elsa Morante, che
nell’ “Isola di Arturo” troviamo questo ragazzo, Silvestro, che alleva nei primi anni Arturo, il
bambino, e lo chiama balio proprio per questa poesia e infatti tra i vari esempi che mette, c’è
proprio il canzoniere di Saba, il bimbo adulto, Arturo di Elsa Morante, viene direttamente dal
Canzoniere di Saba.
Appeso al muro è un orologio antico
così che manda un suono quasi morto.
Lo regolava nel tempo felice
il dolce balio; è un caro a lui conforto
regolarlo in suo luogo Anche gli piace
a sera accendere il lume, restare
da lei gli piace, fin ch'ella gli dice:
"È tardi. Torna da tua moglie, Berto".
ecco ora Berto adulto, ci pensa lui a fare il gesto del balio, marito: ecco, dovrebbe essere tutto
sanato, il piccolo Berto ha recuperato il trauma, sa che la balia dentro il suo grido piangeva
anche lei, ed è Peppa stessa a dirlo “ma ora c’è la tua Lina, pesante”; Lina che forse è la più
grande di tutti.

Lo stesso padre di Saba va a conoscerlo per chiedergli i soldi, in quello stesso anno incontra
Lina, ma non è stato un rapporto facile. Si sposano, anche abbastanza presto, hanno Linuccia,
Saba ha 26 anni quando diventa padre, e Lina lo tradisce, e poi anche Saba la tradisce, e poi si
separano, e poi gocce d’oro, ricomposizione, un capolavoro della memoria, ma bisogna
proprio passarci attraverso le fratture e i cocci. Lina l’ha tradito, l’ha lasciato per un altro
uomo, Saba non ci riesce proprio più a tornare da lei, come ha potuto tra altre braccia. Danno,
offesa e attesa descrive questa poesia, ci fa capire che cos’è l’amore.
DICO AL MIO CUORE
Cord, cordis è la radice del ricordo, solo noi usiamo la mente nella lingua italiana per dire
ricordare, nelle altre lingue si usa il cuore, è dentro il cuore che noi tratteniamo e ricordiamo,
e allora scordala, lasciala scivolare da questo cuore.
Dico al mio cuore, intanto che t'aspetto:
scordala, che sarà cosa gentile.
Ti vedo, e generoso in uno e vile,
a te m'affretto.
ricorda il loro incontro, vigliacco e generoso, entrambe le cose insieme.
“So che per quanto alla mia vita hai tolto,
e per te stessa dovrei odiarti
hai fatto qualcosa di così grave, di irreparabile, che anche per quello che sei stata che ora ti
dovrei odiare, ma poi altro che un bacio non so darti.
Ma poi altro che un bacio non so darti
quando t’ascolto
io che sono poeta questo bacio, con la mia bocca ti bacio, come tutte le creature della vita e
del dolore, questo istintivamente scompare. Tu Lina parli, io solo ti ascolto, e con la mia bocca
ti bacio.
Quando t’ascolto parlarmi d’amore
sento che il male ti lasciava intatta
proprio questo che si prova, c’è il mare, l’hai compiuto, l’hai fatto tu, ma sei rimasta intatta da
quel male se mi parli d’amore. Lina è lì, mi parla e lui se la bacia, perché è rimasta la sua Lina
malgrado il male compiuto da lei stessa perché questo succede, le fratture, i tradimenti
passano sopra le nostre teste, restiamo noi e chi amiamo e ci baciamo
Quando t'ascolto parlarmi d'amore
sento che il male ti lasciava intatta;
sento che la tua voce amara è fatta
per il mio cuore.

Lina aveva una voce chioccia, come le galline. Perciò pollastra,” a mia moglie”, e perciò quel
soprannome “coccodè”. È il vertice dell’amore di Saba per Lina, che è una lettera scritta il
giorno dopo che Lina è morta.

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