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Dalla corrispondenza tra Dedekind e Lipschitz [Nel 1876 Lipschitz chiede a D da parte di Darboux un articolo sulla nuova teoria dei numeri basata sulla sua nozione di ‘ideale’, da pubblicare sul Bulletin des sciences mathematiques («Sur la theorie des nombres entiers algébriques», in Dedekind, Gesammelte mathema- tische Werke, vol. 3, Vieweg & Sohn, Braunschweig 1932, pp. 262-296). Nel mandargli il suo piano di lavoro, D chiede la sua opinione a Lipschitz, che gli risponde pregandolo di apportare alcune modifiche (rifiutate da D) e di scrivere un’introduzione (che D accetta); D, nel far pervenire a Lipschitz l’introduzione richiesta, che contiene in una nota a pie’ di pagina una rapida sintesi della teoria dei numeri reali di D, gli spedisce anche una copia di Continuita e numeri irrazionali. La corrispondenza si sviluppa in un breve scambio che ha come punti centrali la discussione del modo in cui D presenta la sua teoria degli ideali, che é di grande interesse [ v. p- 35], ma non si riferisce direttamente al nostro tema; e la discussione di Continuita, di cui traduciamo tutto il materiale contenuto nelle lettere.] Lipschitz a D 8 giugno, 1876 (J 3. Lei & stato cosi cortese da inviarmi il Suo lavoro sulla continuita e i numeri irrazionali, grazie al quale ho potuto conoscere in anticipo e con la massima precisione il contenuto della Sua nota a pie’ del testo®!. Voglio chiarire che non discuto la correttezza della Sua definizione; mi sembra, perd, che essa differisca solo formal- [?' Si veda il commento iniziale al presente scambio di lettere.] 130 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA mente, e non nella sostanza, da quella stabilita dagli antichi. Posso solo dire che la definizione fornita in Euclide, V, 5, e che riporto qui in latino: rationem habere inter se magnitudines dicuntur, quae possunt multiplicatae inter sese mutuo superare,* con quel che segue, a mio parere é perfettamente soddisfacente quanto la Sua definizione. Per questa ragione_mi piacerebbe che venisse espunta I’asserzione che teoremi quali V2 . ¥3=V6 non sono mai stati realmente dimostrati. Infatti penso che i lettori, e in particolare quelli francesi, saranno dell’opinione che il suddetto libro di Euclide contenga i principi necessari e sufficienti a dimostrare questo teorema. Non posso chiudere la presente osservazione senza dirLe quanto mi sia difficile scriverLe queste cose. Sono questioni che toccano, per usare l’espressione di Jacobi, un cuore analitico nel profondo, e io mi auguro solo che Lei non me ne voglia. [...] D a Lipschitz 10 giugno 1876 [1 3°. Circa la mia nota relativa ai numeri irrazionali Lei scrive: [qui D trascrive l’intero brano, tranne la prima frase, della lettera di Lipschitz da noi tradotta sopra]. Purtroppo ieri sera (venerdi) sono stato interrotto in questo punto da una visita, e cid ha ritardato la mia riposta. — In primo luogo, La prego ancora una volta di tener per certo che su questo punto non sono affatto suscettibile; non mi son mai figurato che la mia concezione dei numeri irrazionali avesse un qualche particolare valore, se no non I’avrei tenuta per me per circa quattordici anni; al contrario, sono sempre stato certo che se un qualsiasi matematico ben preparato oggi si proponesse per una volta seriamente di sistemare |’argomento in modo pit rigoroso, arriverebbe di sicuro allo scopo; d’altra parte, se un matematico non si pone affatto questo problema, non ho nessuna intenzione di fargliene una colpa; egli avra, giustamente, la netta impressione che, se solo volesse e se gli valesse la pena di dedicarci del tempo, ci riuscirebbe. Percid, sebbene io non sia completamente insensibile alla lode e alla critica, in questo caso certo non mi offenderd se qualcuno non mi riconosce neppure quel minimo di merito che io credo di avere nella faccenda. [La parola superare & sottolineata nel manoscritto. Cfr. pit sotto la rispo- sta di DJ DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E LIPSCHITZ 131 Piuttosto, poiché |’argomento mi interessa molto, mi permetto di esporLe le ragioni per cui non posso assolutamente accettare il Suo punto di vista. Dunque io assumo, come una base sulla quale naturalmente bisogna aver trovato accordo, che I’aritmetica dei numeri razionali sia ben fondata, e nient’altro; io mostro nel mio scritto, senza mescolarvi realta alcuna di natura estranea, che nel dominio stesso dei numeri razionali é possibile mostrare un feno- meno (la sezione) che pud essere utilizzato per completare quel dominio mediante una singola creazione di nuovi numeri, gli irrazionali, e dimostro che il dominio, cosi costituito, di tutti i numeri reali possiede quella proprieta nella quale io ho scorto Vessenza della continuita (§ 3) (se non si volesse introdurre nuovi numeri, non ho nulla in contrario; allora il teorema (§ 5, IV) da me dimostrato suonerebbe cosi: il sistema di tutte le sezioni nel domi- nio, in sé non continuo, dei numeri razionali rappresenta una molteplicita continua); pid oltre (§ 6) faccio vedere che si pud definire in modo del tutto rigoroso l’addizione di due numeri reali quasiasi, e asserisco che lo stesso é possibile per le restanti operazioni e che su queste basi si possono dimostrare del tutto rigorosamente anche i teoremi su cui poggia l’intero edificio dell’aritmetica. Naturalmente queste ultime asserzioni mi impegnano, qualora ancora si dubitasse della dimostrabilita di un teorema dai miei principi, a fornire io concretamente tale dimostrazione. Al tempo stesso, io sostengo che per la maggior parte (di fatto, quasi tutti) quei teoremi dell’aritmetica finora non sono mai stati dimostrati, e per mettere ancor pit in evidenza questa contraddizione dico che il teorema V2 . 5 V6 non é mai stato dimostrato prima d’ora. Se qualcuno vorra contraddirmi, cioé vorra sostenere che il teorema é gia stato dimostrato, ora é su lui che ricade l’onere della prova, ed egli deve nominarmi una dimostrazione realmente pubblicata di questo teorema o di uno che lo implica. Ora, Lei davvero ritiene che in qualche libro si trovi tale dimostrazione? Ovviamente ho esaminato, su questo punto, una quantita di libri di tutte le nazioni, e che cosa ho trovato? Nienv’altro che i pit grossolani ragionamenti circolari, qualcosa come: Vavb = Vab perché (Va . Vb)’ = (Va)? . (Vb)? = abs e prima, neanche il minimo accenno a una definizione del prodotto tra due numeri irrazionali, né il minimo scrupolo a utilizzare anche per i numeri irrazionali il teorema (mn)? = m?n*, dimostrato per i numeri razionali m e n. E allora, non é indecente che l’insegnamento della matematica nella scuola passi per uno strumento specifico per la formazione della facolta del ragionamento quando simili insulti alla 132 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA logica non sarebbero mai tollerati in alcun’altra disciplina (ad esempio, nella grammatica)? Se qualche volta non si ha la volonta, o il tempo, di procedere scientificamente, ¢ molto pil onesto confes- sarlo apertamente all’allievo, il quale, comunque, é dispostissimo a credere un teorema sulla parola dell’insegnante; ¢ meglio questo che mortificare con dei simulacri di dimostrazione la pura e preziosa sensibilita per le vere dimostrazioni. Ormai credo proprio di essermi giustificato abbastanza, e tutta- via non voglio cavarmela cosi a buon mercato, ma voglio esplorare la questione anche da un altro punto di vista, quello proposto da Lei; infatti, Lei non sostiene che da qualche parte si debba trovare una dimostrazione pi rigorosa del teorema sopra menzionato, ma esprime l’opinione che i principi necessari e sufficienti a dimostrare il teorema siano contenuti nella celebre e giustamente ammirata definizione euclidea del rapporto (ratio, A6yoc) tra grandezze omoge- nee, assieme al resto del quinto libro degli Elementi. A prescindere dal fatto che, come ho gia osservato sopra, non mi piace che si tiri in ballo la grandezza nella teoria pura dei numeri, debbo comunque dichiararmi decisamente contrario a questa opinione; quella base, secondo me, non é sufficiente se non ci si mette anche, oltre ai principi di Euclide, il punto cruciale del mio scritto, cioé |’essenza della continuita (§ 3), che in essi non é affatto contenuta. Nella terminologia attuale, la definizione di Euclide si esprimerebbe cosi: Le grandezze omogenee A, Be le grandezze omogenee Ai, By hanno il medesimo rapporto se per ogni coppia di numeri interi razionali m, no si ha insieme nAmB e nA,>mB. Se questa definizione deve avere un qualche senso, é necessario fare queste due sole assunzioni sulle cose chiamate grandezze: 1°. Tra due qualsiasi grandezze omogenee diverse ¢ sempre possibile riconoscerne una come maggiore e I’altra come minore. 2°. Se A é una grandezza e n un numero intero, esiste sempre una grandezza nA omogenea con A, il multiplo di A rispetto al numero 7. Per il resto, a parte queste tacite assunzioni e quelle contenute nelle parole che Lei cita in latino (La prego di scrivermi la ragione per cui sottolinea cos! il termine superare), nulla si sa sull’estensione o sulla molteplicita di un dominio di grandezze omogenee, e la definizione dice soltanto quando il rapporto tra due individui esistenti in un dominio di grandezze é il medesimo che sussiste tra altri due. Inoltre sono disposto a concedere che il rapporto possa valere come DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E LIPSCHITZ 133 lefinizione generale di un numero, anche se Euclide non tratta mai some sinonimi Adyog e &prOuds. Allora, per esempio, il complesso di tutti i multipli 2A, dove A é una grandezza data, rappresenta un dominio di grandezze che da solo gia soddisfa le assunzioni prece- denti, e in questo libro di Euclide non si trova la minima allusione alla possibile esistenza di domini di grandezze pit completi; ovvia- mente questo dominio di grandezze consentirebbe, mediante il rapporto tra due sue grandezze qualsiasi, di definire tutti i numeri razionali; e un dominio numerico simile non sarebbe suscettibile di ulteriori ampliamenti neppure passando a un dominio di grandezze a un livello di completezza immediatamente superiore, costituito da tutte le parti esatte (Definizione 1) di una grandezza determinata e dai suoi multipli, cioé da tutte le grandezze commensurabili con una grandezza data. Un dominio siffatto possiede gia una molteplicita pit che rispettabile di livelli di grandezze, e a nessuno verrebbe in mente tanto facilmente di chiedere dei domini ancora pit completi Percid il concetto di numero come rapporto fra grandezze omogenee non porterebbe mai al di 1a dei numeri razionali. Si dira: ma se Euclide non avesse voluto prendere in considerazione altro che quei domini di grandezze non avrebbe ritenuto necessario complicare cosi la sua definizione del rapporto; avrebbe potuto limitarsi a dire: il rapporto tra A e Bé uguale al rapporto tra Ai e By se esistono due numeri interi m, n tali che si ha, al tempo stesso, nA = mB e nA, = mB,. Dunque é evidente che Euclide aveva in mente domini di grandezze pit completi; e infatti nel Libro X vengono trattate anche grandezze incommensurabili, cioé nuovi rapporti a cui per- tanto corrispondono nuovi numeri, i numeri irrazionali. Ma né in Euclide né negli scrittori successivi si trova mai la chiusura di tale completamento, il concetto di domini di grandezze continui, cio’ i pit completi pensabili, la cui essenza risiede nella proprietd seguent «Se in un dominio di grandezze strutturato per gradi continui si ripartiscono tutte le grandezze in due classi tali che ogni grandezza della prima classe é minore di ogni grandezza della seconda, allora esiste o una grandezza massima nella prima classe, o una minima nella seconda». Se una proprieta simile non viene espressamente inclusa nel concetto del dominio di grandezze, allora anche il relativo dominio numerico resta incompleto, e di conseguenza diventa impossibile dare una definizione generale delle operazioni aritmetiche, perché in questi domini numerici lacunosi pud darsi che la somma, la diffe- renza, eccetera, di due numeri che sono nel dominio non esista in quel dominio. Se si é disposti a rinunciare a una definizione generale 134 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA di addizione, sottrazione, moltiplicazione e_divisione, allora_basta dire: col prodotto V2 . v3 intendo il numero V6, pertanto V2 . V3=v6, c.v.d.! Sarebbe solo un portare alle estreme conseguenze un modo di procedere concepibile, si, ma certo non raccomandabile, per cui un’operazione, poniamo la moltiplicazione, verrebbe sempre ridefi- nita ogni volta che si devono moltiplicare due nuovi numeri. Per tutte queste ragioni io rimango della mia idea che, senza il Principio di continuita, il quale non é contenuto nei principi euclidei, tali principi sono inadeguati a fondare una teoria completa dei numeri reali come rapporti tra grandezze; e la mia osservazione provocatoria che il teorema V2 . V3 = V6 non é dimostrato io la ritengo non solo vera, ma anche utile. Al contrario, invece, con la mia teoria dei numeri irrazionali si pud creare il modello perfetto di un dominio continuo, il quale é per l’appunto adeguato a caratterizzare un rapporto tra grandezze mediante uno degli individui numerici in esso contenuti. — E adesso, La prego di consentire al mio cuore analitico di domandarLe francamente se l’opinione da Lei espressa sotto il numero 3 circa il rapporto tra il mio Principio e gli Elementi di Euclide non fosse finora solo una congettura la cui validita Lei stesso non ha esplorato fino in fondo. Se cosi non é, Le sard estramamente obbligato se vorra farmi conoscere le motivazioni della Sua opinione. [...] Lipschitz a D 6 luglio, 1876” [1 IV. La mia opinione sul rapporto tra i Suoi principi e gli Elementi di Euclide io l’ho esplorata fino al limite delle mie possibilita. Secondo me, l’aver stabilito le basi concettuali dei numeri irrazionali é una delle grandi imprese dello spirito greco. I posteri hanno tutti goduto il frutto di quel lavoro, e non han potuto aggiungervi nulla di essenziale. Ho sottolineato la parola superare perché con essa Euclide apre la possibilita di trattare i rapporti tra quelle grandezze che non sono il rapporto di due numeri interi. La successiva definzione di ugua- glianza tra due rapporti, poi, definizione che io non ho trascritto per via della sua lunghezza, ma che Lei cita per esteso, taglia la testa al toro. Se Lei questo non lo riconosce, posso spiegarmelo solo [?Sinaceur, in «La méthode mathématique de Dedekind», Rev. Hist. Sci, 32 (1979), 2, p. 122, corregge questa data in: 27 giugno 1876.) DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E LIPSCHITZ 135 pensando che non considera che con quella definizione Euclide presuppone l’esistenza di rapporti che non sono uguali al rapporto tra due numeri interi. Il Suo intento é di assumere in partenza solo numeri razionali e grandezze misurabili mediante numeri razionali. Qui Euclide procede in modo diverso, e questo é il nocciolo della Sua differenza da Euclide. Euclide concepisce una grandezza come determinata dalla misura di un segmento ben definito, e da questo punto di vista egli pud mostrare segmenti il cui rapporto con un segmento dato non pud essere espresso con due numeri naturali. L’esempio della diagonale di un quadrato di cui é dato il lato é pid che sufficiente. Ponendo il lato = 1, Euclide dimostra che nessuna frazione razionale m/n pud avere un quadrato = 2, pertanto il rapporto tra la diagonale del quadrato e il lato non é quello tra due numeri interi. Dunque, una volta assunta l’esistenza di rapporti che non sono razionali, per eseguire le operazioni fondamentali del calcolo con tali rapporti é sufficiente la definizione euclidea di uguaglianza tra rapporti, e in sostanza é questo cid che Lei realizza col Suo Principio. Certo, Lei obiettera che per derivare |’esistenza di un rapporto non Le basta una costruzione geometrica. A cid rispondo cosi: lo spirito umano ha attinto la forza che oggi possiede soprattutto dalla pratica della geometria. Per millenni il rigor geometricus & valso come il criterio supremo. Se ora noi imponiamo altri criteri lo dobbiamo in gran parte alla pratica della geometria, e per ora tali criteri non sono materialmente diversi [da quello}. Chi non vuol dire che la diagonale di quel quadrato = b non pud neanche negare che (m/n) = 2 & impossibile per m ed n interi, e deve ammettere che le diseguaglianze (m/n -2>0 e (m/n)?-2<0 possono esser soddisfatte con qualsivoglia precisione. Anche questo ce Jo hanno insegnato gli antichi, e la Sua definizione di sezione ha forse un contenuto diverso? Io credo di no. Quanto alla completezza del dominio da Lei menzionata, che si deduce dai Suoi Principi, essa di fatto coincide con la proprieta fondamentale senza la quale nessun uomo pud rappresentarsi una retta. I Suoi teoremi esprimono unicamente cose che risultano necessariamente dal calcolo con le diseguaglianze e che sono state utilizzate da chiunque abbia calcolato con le diseguaglianze sapendo cid che faceva. Anche il calcolo coi logaritmi presuppone necessariamente che quei concetti siano stati chiariti nel modo pit completo, e devo 136 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA supporre che a tutti coloro che comprendono il calcolo coi logaritmi quei concetti siano chiari. Per concludere, mio stimato collega, voglio dirLe che sono assolutamente d’accordo con Lei sulle carenze che Lei denuncia nell’insegnamento della matematica, e che ho deciso di scrivere un manuale elementare di analisi* in due volumi, che inizi con i principi e arrivi al calcolo integrale. Ho gia ultimato la stesura delle parti su cui abbiamo qui discusso, fino al teorema fondamentale delle equazioni algebriche incluso, e, mentre Le scrivo, penso sempre a quanto sarei felice se quel lavoro potesse soddisfarLa. Suo R. Lipschitz D a Lipschitz 27 luglio 1876 [...] Sebbene abbia ormai poca speranza che io e Lei ci si possa trovare d’accordo, anche perché non abbiamo pit niente di nuovo da offrirci, e sebbene forse la cosa pid opportuna sia di differire ogni discussione finché la Sua opera non sara completata, ammesso che a quel punto ci sia ancora qualche motivo di discussione, purtuttavia La prego di consentirmi di tornare sulla Sua seconda lettera, perché ancora una volta vorrei cercare con la maggior chiarezza di cui sono capace di far risaltare la differenza tra il Suo punto di vista e il mio. Per prima cosa desidero difendermi da un’osservazione con cui Lei mi attribuisce ancora un’opinione errata circa il valore del mio scritto sulla continuita, nonostante io nella mia ultima lettera mi sia espresso su questo punto in un modo che ritenevo inequivocabile. Dopo aver menzionato l’esempio di V2 Lei aggiunge queste parole: «Anche questo ce lo hanno insegnato gli antichi, e la Sua definizione di sezione ha forse un contenuto diverso? Io credo di no. Quanto alla completezza del dominio da Lei menzionato, che si deduce dai Suoi Principi, essa di fatto coincide con la proprieta fondamentale senza la quale nessun uomo pud rappresentarsi una retta». Parlerd innanzi- tutto della prima meta di questo passo, nel quale Lei sembra proprio attribuirmi la convinzione di aver per primo osservato e messo in luce quel fenomeno che, essendo menzionato cosi spesso nel mio libro, esclusivamente per brevita io ho indicato con un nome specifico, la ‘sezione’. La prego di cancellare completamente questa Sua impressione; io non ho mai pensato di aver messo in luce nel mio [ Lipschitz, R., Lebrbuch der Analysis, Cohen, Bonn 1877-1880] DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E LIPSCHITZ 137 scritto neppure un solo fenomeno nuovo, né un qualsivoglia nuovo oggetto di indagine matematica. Il fenomeno della sezione é presen- tato praticamente in qualsiasi manuale di aritmetica quando si introduce la rappresentazione, con approssimazione quanto si voglia piccola, dei numeri irrazionali mediante i razionali (dove si com- mette sempre un fondamentale errore di logica). Tantomeno ho mai inteso creare, con la mia definizione dei numeri irrazionali, una nozione numerica che non fosse gid pi o meno chiaramente formulata nella mente di qualsiasi matematico; dalla mia definizione esplicita (pp. 10° e 30) | pp. 71 e 77 ]| risulta che la completezza o la continuita (A) del dominio dei numeri reali che si ottiene con la mia definizione dei numeri irrazionali é sostanzialmente equivalente con un teorema (B) noto e applicato da tutti i matematici: «Se una grandezza cresce costantemente, ma non oltre ogni limite, allora essa approssima un valore limite». Inoltre ho anche osservato espressa- mente (p. 18) [| p. 69] che non ritenevo di dire qualcosa di nuovo a chicchessia col teorema (C): «Se tutti i punti ... la retta in due parti». E infine, ancor meno reputo una novita il teorema (D) che ho introdotto nella mia ultima lettera indirizzata a Lei: «Se in un dominio ... nella seconda». Come credo di aver espresso chiaramente nell’Introduzione e nel § 3, tutto il mio scritto tende soltanto ad applicare il fenomeno della sezione, a tutti ben noto, per dimostrare (e questo, a quanto ne so, non era mai stato fatto) che é possibile definire immediatamente i numeri irrazionali sulla sola base dell’a- ritmetica dei numeri razionali, senza alcun riferimento al concetto, particolarmente oscuro e complicato, di grandezza, e soprattutto, cid che é pit difficile, definirli con quella completezza (continuita) che é sufficiente, non meno che necessaria, per edificare in modo assoluta- mente rigoroso e scientifico l’aritmetica dei numeri reali. Che lo scopo sia stato raggiunto, questo penso che Lei non lo metta in discussione (e lo stesso vale per la presentazione ad opera di Heine e Cantor, che differisce solo esteriormente dalla mia); la nostra divergenza, dunque, riguarda esclusivamente V’opinione da Lei espressa che questi Principi siano gia interamente contenuti, sia pure sotto diversa forma, negli Elementi di Euclide. Questo giudizio Lei lo ripete nella Sua ultima lettera sia esplicitamente, sia anche implicita- mente, quando, nella seconda parte del passo citato sopra, definisce come qualcosa di autoevidente la completezza o continuita, cioé appunto la proprieta su cui il mio scritto é e non poteva non essere [ Indicazione di pagina probabilmente errata.] 138 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA centrato se voleva raggiungere lo scopo che si era prefisso; sia infine quando Lei scrive: [qui D trascrive il secondo capoverso, tranne la prima frase, della lettera di Lipschitz del 6 luglio 1876 tradotta sopra]. Dopo di che Lei riporta l’esempio del rapporto tra la diagonale e il lato di un quadrato, che ho ricordato anch’io nel mio lavoro (p. 16) [| p. 68] come un rapporto irrazionale (nel senso moderno) gia noto ai greci antichi. E dall’eta di 13 0 14 anni che conosco e ammiro Euclide, e tuttora non vedo proprio in che cosa le mie opinioni divergano dalle sue; nella mia ultima lettera ho parlato ampiamente della sua trattazione delle grandezze incommensurabili senza muovere alcuna obiezione sul suo modo di procedere, sicché posso a buon diritto contestare il punto di vista che Lei sopra mi attribuiva. Euclide pud applicare. la sua definizione dell’uguaglianza tra rapporti a tutte le grandezze che si danno nel suo sistema, cioé la cui esistenza & manifesta per buone ragioni; e cid é tutto quanto basta a Euclide. Perd non basta affatto a chi volesse edificare I’aritmetica sul concetto di rapporto tra grandezze (cosa che Euclide non aveva in mente); infatti, in questo tipo di fondazione, la completezza del concetto di numero dipende interamente dalla completezza del concetto di grandezza, e dato che la completezza continua dei numeri reali é indispensabile per costruire scientificamente |’aritme- tica, é esigenza imprescindibile sapere per certo fin dall’inizio quanto il dominio delle grandezze ¢ completo, perché in matematica nulla & pit pericoloso di fare delle assunzioni esistenziali senza una dimostra- zione adeguata, soprattutto se spinti dalla necessita o da un bisogno occasionale. E come si distingueranno le assunzioni esistenziali lecite dalle infinite che lecite non sono, per esempio, |’assunzione che esiste una grandezza A che sia contemporaneamente il doppio di B e il triplo della meta di B? Bisognera basarsi solo sulle conseguenze, sull’individuazione contingente di una contraddizione interna? Ora, se Euclide avesse contemplato la possibilita di ricerche pit ampie di quelle che aveva in mente in realta, nelle quali, cio’, la continuita svolgesse un ruolo essenziale, e se nel manoscritto si trovasse, sotto le definizioni o gli assiomi del quinto libro, il contenuto del passo (D) citato sopra, dubito che qualcuno lo definirebbe superfluo 0 ovvio; piuttosto, credo che pid di un rappresentante di coloro che vogliono fondare l’aritmetica sul concetto di numero come rapporto tra grandezze avrebbe gia riconosciuto e dichiarato che «con questa definizione precisa della completezza del concetto di grandezza & data anche la completezza del concetto di numero necessaria e sufficiente alla costruzione rigorosa dell’aritmetica». E credo che DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E LIPSCHITZ 139 oggi avremmo dei manuali di aritmetica migliori di quelli che abbiamo. Ma Euclide tace completamente su questo punto cruciale per l’aritmetica, e percid non posso convenire con Lei che le basi complete della teoria dei numeri irrazionali sian da trovare in Euclide. Se nella definizione del quinto libro che Lei, nella Sua penultima lettera, ha riprodotto in latino, Euclide non ha ritenuto superfluo menzionare una proprieta delle grandezze cosi elementare, certamente avrebbe anche definito a suo modo, se l’avesse ritenuta necessaria nel suo sistema, la caratteristica (D) della continuita, che é molto pid complessa. Lei, perd, asserisce che questa completezza o continuita é autoevidente, per cui non va formulata esplicitamente, dato che nessuno pud pensare una retta senza di essa, né quindi senza la precedente proprieta (C). Anche se, come Lei supponeva, sono per natura contrario all’utilizzazione della geometria per fondare |’arit- metica pura, nondimeno, voglio assumere per un momento questa Prospettiva; ma anche cosi non posso consentire con Lei; come ho gia specificamente dichiarato alla fine del § 3 del mio lavoro, sotto (O), io posso rapresentarmi tutto lo spazio e tutte le rette in esso come assolutamente discontinui; un’altra persona di questo genere é il professor Cantor, di Halle, almeno a giudicare dal suo lavoro da me citato; e devo credere che ogni uomo possa farlo. Forse mi si obiettera che io mi inganno sulla mia facolta di rappresentazione spaziale, cioé che chiunque sia capace di pensare lo spazio come continuo dovra per forza essere incapace di rappresentarselo come discontinuo perché la rappresentazione della massima completezza concepibile é contenuta gia in partenza nel concetto di spazio. A questo perd devo assolutamente oppormi; per me, al contrario, il concetto di spazio é del tutto indipendente, del tutto staccato dalla rappresentazione della continuita, e la proprieta (C) serve solo a distinguere entro la nozione generale di questo spazio quella partico- lare di spazio continuo. E sotto questo aspetto come stanno le cose in Euclide? Si analizzino pure tutti i presupposti, sia espliciti che impliciti, su cui poggia lintero edificio della geometria euclidea, si assuma che tutti i suoi teoremi siano veri e tutte le costruzioni eseguibili (un metodo infallibile per una simile analisi secondo me é il seguente: sostituiamo tutti i termini tecnici con altre parole qualsiasi (fin qui prive di senso), e, se ¢ costruito bene, l’edificio non dovrebbe crollare; per esempio, io sostengo che la mia teoria dei numeri reali regge a questa prova): per quanto io abbia tentato, in questo modo non si perviene mai alla continuita dello spazio come una condizione inseparabilmente legata alla geometria euclidea; tutto il suo sistema 140 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA rimane in piedi anche senza la continuita —un risultato che sicuramente per molti é sorprendente, e percid mi é parso che valesse la pena di ricordarlo. Con queste osservazioni, che sono solo ulteriori conseguenze dei pensieri espressi nel mio lavoro, credo di aver delinato il mio punto di vista con tale esattezza che non mi resta altro da aggiungere. Piuttosto devo scusarmi con Lei se mi sono dilungato tanto nella mia discussione; ma Lei sa quanto tali questioni tocchino profondamente il mio cuore analitico, pertanto conto sulla Sua indulgenza. [...]

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