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Collection de la Maison de

l'Orient méditerranéen ancien.


Série philologique

Sora e Soratte: impronte fenicie nella toponomastica del Lazio


Vittorio Ferraro

Abstract
It often happens that onomastics becomes a powerful instrument in order to find and recover “lost” events of the past,
even remote. In the Mediterranean area, for example, the Phoenician-Punic toponyms can become the first clue or
evidence of Phoenician-Carthaginian mercantile or military settlements.
In this paper, two modern geographical names, original names of ancient Latium and still without a clear etymology, are
traced back to the Phoenician vocabulary; they are the oronym Soracte and the toponym Sora, words without any visible
link with the Italic languages. In both these words there is here emphasized the perfect correspondence, in form and
meaning, with the original name of Tyre, the ancient Phoenician metropolis founded on a rock, which gave the name to the
city. From this arises the hypothesis of a derivation of Sora and the first component (sor) of Soracte from the Phoenician
name of Tyre, supported by several physical analogies between the rock of Sora, the one of Tyre and Mount Soratte,
beside the wellknown penetration of Phoenician commerce in Latium at least up until the whole 6th century BC.

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Ferraro Vittorio. Sora e Soratte: impronte fenicie nella toponomastica del Lazio. In: Latin vulgaire – latin tardif IX. Actes
du IXe colloque international sur le latin vulgaire et tardif, Lyon 2-6 septembre 2009. Lyon : Maison de l'Orient et de la
Méditerranée Jean Pouilloux, 2012. pp. 549-560. (Collection de la Maison de l'Orient méditerranéen ancien. Série
philologique, 49);

http://www.persee.fr/doc/mom_0184-1785_2012_act_49_1_3273

Document généré le 07/02/2017


Sora e Soratte:
Impronte fenicie nella toponomastica
del Lazio

Vittorio Ferraro
Università Roma Tre

abstract

It often happens that onomastics becomes a powerful instrument in order to find


and recover “lost” events of the past, even remote. In the Mediterranean area, for
example, the Phoenician-Punic toponyms can become the first clue or evidence of
Phoenician-Carthaginian mercantile or military settlements.
In this paper, two modern geographical names, original names of ancient Latium
and still without a clear etymology, are traced back to the Phœnician vocabulary;
they are the oronym Soracte and the toponym Sora, words without any visible link
with the Italic languages. In both these words there is here emphasized the perfect
corres­pondence, in form and meaning, with the original name of Tyre, the ancient
Phœnician metropo­lis founded on a rock, which gave the name to the city. From
this arises the hypo­the­sis of a derivation of Sora and the first component (sor) of
Soracte from the Phœnician name of Tyre, supported by several physical analogies
between the rock of Sora, the one of Tyre and Mount Soratte, beside the well-
known penetration of Phœnician com­merce in Latium at least up until the whole
6th century BC.

Premessa

È prerogativa dell’onomastica costituirsi come insostituibile strumento di lettura e


di recupero di momenti «sommersi» del passato, anche remoto, e ciò per «la sua alta
con­ser­vatività nel tempo (soprattutto per i nomi di elementi geografici e naturali) e per
l’am­pia documentazione che ha […] già nelle fonti più antiche1». Si pensi alle nume­
rose stratigrafie toponomastiche registrate in area mediterranea, dove «la fre­quenza e

1. De Felice 1987, p. 173.

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la distribuzione di toponimi fenicio-punici può indiziare o confermare la pres­enza di


Fenici e Cartaginesi in empori e approdi non altrimenti emergenti2». Un caso da non
sottovalutare, peraltro non ancora bene esplorato sotto questo profilo, è l’oronimo
it. Soratte, dal lat. Soracte, il nome del monte che sorge a non più di 45 km da Roma
e a meno di 5 dalla sponda destra del Tevere. Il lat. Soracte non appare né radicato nei
voca­bolari antichi della penisola né interamente riconoscibile come voce straniera; si
pre­senta piuttosto come avanzo isolato di un mondo remoto, impenetrabile, dunque
per nulla propizio al suo recupero etimologico. Ciò non toglie che qui si progetti
proprio questo recupero, da cui ricavare indicazioni utili, eventualmente, anche per la
sto­ria del Lazio preromano.
Isolato al centro di una grande distesa pianeggiante, il monte Soratte si alza in
forma di cresta lunga quasi 5 km, larga appena un km e alta meno di 700 m. Le sue
pen­dici rocciose e scoscese dovettero dare in passato la sicurezza di una roccaforte
naturale; non senza ragione Virgilio (Aen. VI, 696) parlò di Soractis arces, celebrando
il manipolo di giovani sceso giù dal monte per difendere il Lazio dallo sbarco troiano
di Enea. Visibile sulla destra per chi viaggia in autostrada o in treno da Milano a
Roma, il Soratte presenta un profilo unico e immediatamente riconoscibile anche da
lunga distanza. Orazio ammirava la sua cima innevata, durante una gelida mattinata
invernale, addirittura da Roma, carm. I, 9, 1 sq.:
Vides ut alta stet niue candidum / Soracte
«vedi bene come il Soratte sia tutto un candore di neve»

Al momento di entrare nella storia il Soratte sorgeva in agro falisco, non


lontano dal confine con gli Etruschi ad Ovest e con gli Umbri a Nord, mentre a Est
si affacciava sulla sponda destra del Tevere, dominando al di là di quella sinistra
anche l’agro sabino. Le sue pendici perciò rappresentavano qualcosa di familiare per
diverse popo­lazioni, anche più distanti; s’aggiunga tra l’altro la grande devozione
che tutte queste popolazioni sentivano per il locale dio Apollo, meglio conosciuto
come Apollo Sorano e venerato come protettore del monte3. Il suo tempio, edificato
sulla cima più alta (avanzano le fondamenta), svettava sull’intera pianura circostante,
fino ai monti sabini. È probabile che dopo l’arrivo dei Romani4 il Soratte rimanesse
emar­ginato come luogo impervio e inospitale, se ancora Catone, verso la metà del
ii secolo  a. C., segnalava in Sauracti uno degli ultimi, rarissimi residui di habitat

2. Ibid., p. 176.
3. Vergilius, Aen. XI, 785: sancti custos Soractis Apollo; Plinius, nat. VII, 19: (sacrificium
annuum) quod fit ad montem Soractem Apollini; altri testimoni v. con Di Stefano Manzella
1992, p. 159‑167.
4. Esattamente l’anno dopo la presa di Veio nel 396, quando «senza perdere tempo … Roma
s’impos­sessa di Capua, di Nepi e di Sutri e penetra così, per cinquanta km, in territorio etrusco»
(Bloch 1955, p. 36).

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primitivo, infestato da capre selvatiche, abili a muoversi tra le rupi con salti lunghi
fino a 60 piedi, circa 18 m5.

Il nome del monte e l’attuale etimologia

Accanto al neutro Soracte, -is, in uso dalla poesia di Orazio in poi, non tarda a
com­parire il maschile Sorax, -ctis (Plinius, nat. VII, 19: ad montem Soractem), che
però secondo Porfirione, antico commentatore di Orazio, sarebbe forma meno colta6.
Scompare invece la forma iniziale, dittongata e oggi rappresentata unicamente dall’
abl. Sauracti di Catone.
Durante il Medioevo il Soratte godette di una certa celebrità come luogo di ritiro
spi­rituale e di preghiera, soprattutto in virtù della leggenda che lì avesse trovato
rifugio il pontefice Sivestro I (314-335) in fuga da Roma davanti alla persecuzione
anti­cris­tiana di Costantino7. Proprio allora però il suo nome patì diversi sconciamenti;
i più comuni:
(secus montem) Serapten8; (in monte) Seraptin abl.9; (relicto monte) Serapti10;
(in) Sirapti (monte)11; (in monte) Syraptin abl.12; (in) Zirapti (monte)13; (in monte)
Serapi14; (ad montem) Syrapti15.

Sorprendono soprattutto l’acc. Syrapti e gli abl. Seraptim e Zyraptin, tre forme che in
qualche modo confermano una certa difficoltà di chi scrive a ripetere questo nome,
quasi fosse nome non latino, cioè una di quelle voci cosiddette integrate che più di
altre rischiano di subire danni proprio per mano del letterato. In realtà il suo nome
andava perdendo terreno tra gli abitanti stessi del luogo, se è vero che almeno dal ix s.
in poi gli venne preferito il nuovo mons sancti Silvestri, che appunto ricordava il

5. Apud Varro, rust. II, 3, 3: in Sauracti et Fiscello caprae ferae sunt, quae saliunt e saxo pedes
plus sexagenos.
6. Porphyrio, in Hor. carm. I, 9, 1: notandum … quod neutro genere Soracte dixerit, cum uulgo
Sorax dicatur.
7. Gesta episcoporum Neapolitanorum I, p. 404, 27.
8. Epistolae codicis Carolini, p. 556, 6.
9. Ibid., p. 527, 2.
10. Pauli historiae Langobardorum continuatio tertia, p. 208, 32.
11. Ibid., p. 208, 27.
12. Liber Pontificalis. Pars prior, p. 47, 2
13. Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Gargano, p. 542, 31 sq.
14. Gesta episcoporum Neapolitanorum, I, p. 404, 27.
15. Lib. imp., in Il Chronicon di Benedetto…, p. 73, riga 8.

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periodo di esilio trascorso lì dal pontefice Silvestro I (quem – scil. montem – incolae
sancti Silvestri cognomine vocant, eo quod et ipse ibi quondam exulaverat)16.

L’etimologia prospettata fino a questo momento supera già il secolo e mezzo di


età17 e distingue in Soracte due componenti
sor e acte

per leggere nel primo un’improbabile variante del lat. sol «sole», da una stessa
radice skr. svar-, significante qualcosa come «splendore, sole, cielo» («Glanz, Sonne,
Himmel»); nel secondo un calco dal gr. ἀκτή «rupe, promontorio, costone di roccia».
Pertanto, Soracte signi­fi­cherebbe qualcosa come «cima lucente», «monte del sole»
(«Glanzspitze»)18. Il monte in effetti condivide con l’ἀκτή dei Greci vari tratti
distintivi, a cominciare della posizione isolata al centro della pianura e a ridosso di
un fiume navigabile come il Tevere19; s’aggiungano le pendici rocciose e scoscese,
per quanto addolcite oggi dall’accumulo in basso di enormi quantità di materiale di
risulta, sospinti o caduti dai livelli superiori. Del resto, la circolazione di questa voce
nell’entroterra laziale non sarebbe né sorprendente né scontata, in quanto essa poteva
essere stata introdotta da coloni greci stanziati nelle adiacenze del monte, oppure dai
mer­canti che, com’è noto, risalirono il Tevere fino a tutta l’età regia e oltre, in pratica
fino a che il fiume non passò sotto il pieno controllo politico e militare di Roma20.
In assenza di riscontri testuali plausibili, rimane aleatoria invece la spiegazione
di sor come gemello di sol 21. Contro il preteso significato etimologico di «cima

16. Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Gargano, p. 542, 31 sq.


17. Corssen 1868, p. 485; 1870, p. 64 e 79.
18. Ibid., p. 64.
19. Plinius, nat. III, 53 sq.; è risaputo che una delle principali cause dei conflitti tra Roma e Veio
furono proprio gli ostacoli che questa città poneva alla navigazione romana sul Tevere verso
l’Umbria e la Sabina; v. Pallottino 1984 (rist. 2006), p. 227 ss.
20. Un nudo elenco degli abitanti del Lazio arcaico in Plinio, nat. III, 53 sq.; non trascurabile poi
la vicinanza del Soratte a Falerii, capitale dei Falisci e probabile colonia argiva (v. Semeraro
2003, p. 55), e neppure le notizie sull’arrivo di colonizzatori euboici, verso il 700 a. C., i quali
avreb­bero insegnato la scrittura agli Etruschi; v. Pallottino 1978, p. 451 ss.; soprattutto poi
fanno riflet­tere le numerose tracce di lingua greca rinvenute nei dialetti del Lazio arcaico;
v. Peruzzi 1973, in particolare il cap. i (Romolo e le lettere greche), p. 9-43; Id. 1978, p. 496 ss.,
con la mappa di vari grecismi arrivati nel Lazio, verosimilmente, già in età micenea; con nuovi
argo­menti a sostegno, Campanile 1991, p. 14 ss.
21. Risulterebbe oltremodo azzardato ipotizzare una discendenza isolata e lunga fino al Soratte dal
vedico sur(i)yah «sole», dove il sole oltretutto era chiamato in questo modo in quanto era visto
«comme une personne qui agit»; Ernout, Meillet 1979, s.v. «sol». In realtà, in Italia il fenomeno
l > r è tipico di alcuni dialetti moderni, come il ligure e il romano (v. gora per «gola» e scara
per «scala») e qualcun altro del Nord e Centro Italia; il fenomeno è presente anche in Calabria
e in Sicilia, ma solo in area di colonie gallo-italiane; v. suri per «sole» a Bronte; per altri casi
v. Rohlfs 1966, p. 310; per il caso specifico di «sole», poco aggiunge il moderno plur. rumeno
sori (sing. sore e soare), registrato, ad es., da Tagliavini 1964, p. 191.

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lucente», «monte del sole» milita sia la densa vegetazione che arriva a coprire, anche
sotto forma di macchia, l’intera superficie del monte sia la zona d’ombra che nei
giorni di sole copre a rotazione almeno una delle sue fiancate22.

Analogie con il toponimo Sora

La scomponibilità dell’oronimo Soracte in due elementi distinti, sor e acte, chiama


in causa Sora, il nome dell’antica roccaforte dei Volsci, distante in linea d’aria un
cen­tinaio di km. Essa stava raccolta in cima a una rupe che s’allungava, come ancora
fa oggi, in forma di promontorio con fronte e fianchi molto ripidi, e stava protetta a
sua volta dal fiume Liri, che scorreva a fianco, aggirandola con un’ansa. Non fu per
caso, insomma, che nel 345 a. C. i Romani avessero assediato inutilmente per diversi
mesi questa roccaforte, espugnandola poi solo con l’inganno ordito da un transfuga23.
Per il nome Sora, oggi acquisito ragionevolmente come «formazione prelatina di
ori­gine oscura»24, qui si apre la possibilità di un legame con l’iniziale sor di Soracte,
data pure l’evidenza di alcune affinità fisiche tra il monte falisco e la rupe sorana:
profilo da promontorio, fianchi a picco, affaccio su fiume navigabile, imponenza da
grande roccaforte naturale; tutte affinità, queste, che consigliano di valu­tare la possi­
bi­lità che l’antica Sora derivasse il nome dalla rupe stessa, anzi dalla sora sulla
quale essa stava arroccata. Derivazioni del genere sono abbastanza nor­mali nella
topo­nomastica, e non solo antica, come Ancon / -ona, oggi Ancona, dal gr. Ἀγκών
«gomito», con riferimento alla forma dell’ insenatura utilizzata inizialmente come
approdo (Mela, II, 64); anche Drepanum, l’odierna Trapani, dal gr. Δρέπανον
«falce», con riferimento alla forma di falce del promontorio che chiudeva l’insenatura
portuale25, e Barium, l’odierna Bari, città di origine peucetica ma già insediamento
nell’età del bronzo, se è vero, come spiega il bizantino Esichio, che questo nome
significa, tra l’altro, «luogo fortificato, mercato protetto da recinto»26.
In un quadro simile, un sost. finora sconosciuto come sora inizia a delinearsi
come cor­rispettivo del lat. arx e del gr. ἀκτή, prefigurando in Soracte un composto

22. Da escludere l’eventualità di un riferimento al dio Apollo, in quanto dispensatore di luce, iden­
ti­ficato con il sole (Vergilius, Aen. VIII, 720: candentis … Phœbi; Horatius, carm. saec. 1 sq.:
Phœbe … lucidum caeli decus) e considerato patrono del monte (v. nota 3); si tratterebbe di
meta­fora troppo ardita, inconcepibile nell’entroterra laziale arcaico.
23. Livius, IX, 24, 1 sq.; quanto a Sora preromana, è ancora valida la monografia del Nissen 1902,
p. 672 s.
24. Gasca Queirazza et al. 2006, s.v.; questa deri­va­zione e altre ancora, comprese le due successive,
in Pellegrini 1978, p. 83 ss.
25. Significa «falce» anche ζάγκλη, da cui l’omonima città antica, oggi Messina, appunto dalla
forma di falce dell’insenatura portuale sulla quale essa venne edificata.
26. Hesychius, B 232 Latte = B 37 Schmidt, s.v. «βᾶρις»; inoltre, Gasca et al. 2006, s.v. «Bari».

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tautologico formato appunto da sor(-a) e acte, vale a dire una formazione che unisce
due nomi comuni da lingue diverse e per lo più di età diversa, dove il più antico, una
volta uscito dal vocabolario corrente, o passa a funzionare, come accade spesso, da
nome proprio –  v. oggi l’it. Monte Cacùme, nel Lazio, dal lat. cacumen «monte»,
e il fr. Châteaudun, dal lat. castellum + gall. dunum «castello, borgo fortificato»  –
oppure si porta al seguito il nome nuovo che di fatto lo traduce, come nel caso del
fr. Aix‑les‑Bains, dal locat. lat. aquis «bagni» + les Bains.
Anche di questo sora però non sono visibili altre tracce né tra le voci del voca­bo­
lario latino né tra gli avanzi dialettali italici; rimane perciò da esplorare l’eventualità
di una sua origine straniera.

Sora e Tiro

L’antica Tiro, il maggiore dei centri commerciali fenici, oggi Sur, stava arroccata in
cima a un’isoletta costituita da un grande costone di roccia, una rupe enorme situata
a circa un km dalla costa. Così posizionata, Tiro si era guadagnato fama di fortezza
inespugnabile. È noto che nel 332 a. C. Alessandro Magno smentì questa fama, solo
per dopo sette mesi di assedio e la costruzione di un imponente terrapieno con il
quale venne cancellata l’intera striscia di mare che separava la città dalla terraferma27.
Il greco Τύρος, da cui il lat. Tyrus, è traduzione dal fenicio ṣr che appunto signi­
fica «rupe, costone di roccia, promontorio» e da cui per metafora di contuiguità prese
il nome la città edificata sulla rupe. È risaputo infatti che nel fenicio la sibilante
iniziale ṣ era pronunciata / percepita o come sibilante pura (ṣ), per cui l’intera parola
veniva pronunciata sor, oppure come interdentale (ṭ), per la pronuncia ṭur(r), da cui
appunto Τύρος e Tyrus; e ciò a prescindere dalle rispettive varianti: sir(r), sur(r),
sar(r), saur, sour da un lato; ṭir(r), ṭar(r), ṭor(r) dall’altro28.
L’antico sora, ipotizzato qui alle spalle di Sora e all’interno di Soracte, si configura
per­tanto come ripetizione del fenicio ṣr, nella forma, nella pronuncia e nel passaggio
da sostantivo a nome proprio della città: tutti argomenti utili per domandarsi se non
si tratti di voce importata nel Lazio proprio da mercanti fenici o fenicio-cartaginesi
durante i secoli di maggiore attenzione commerciale di quella gente per questa
regione, più o meno tra viii e vi s.29.

27. Una striscia larga 700 passi, circa un Km, secondo Plinio, nat. V, 76: Tyros, quondam insula
praealto mari DCC passibus divisa, nunc vero Alexandri oppugnantis operibus continens.
28. Per brevità, Rinaldi 1954, p. 48 ss.; per maggiori dettagli e informazioni aggiuntive, Garbini
1960, p. 26 ss.
29. Contro altre periodizzazioni, in sintesi, Moscati 1987, p. 104 ss.; su tempi e modi della colo­
niz­za­zione commerciale fenicio punica in Occidente, con utili osservazioni anche Mossé 1970,
p. 16 ss.; sulla facilità di convivenza dei Fenici con altri popoli in terra straniera, soprattutto con
Greci e indigeni, in sintesi, Bonnet 2004, p. 86 ss.

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Nelle regioni mediterranee raggiunte dall’espansione commerciale semitica in


quell’arco di tempo sopravvivono altri toponimi e oronimi acquisiti finora come
avanzi di origine oscura o incerta ma che adesso, alla luce del caso sora / Sora,
mostrano di ripetere ugualmente il nome fenicio di «rupe» e di certificare così una
filo­sofia insediativa coerente con l’espansione e la tutela del commercio in terre
straniere, adeguata in primo luogo alla necessità di creare avamposti in luoghi
elevati, più difficili da attaccare e preferibili come osservatòrî per il controllo delle
aree circostanti30.
Tra i casi meno aleatori spicca l’oronimo, di nota origine punica, che concorre a
for­mare il tautologico Monte Sirai (fen. ṣr > sir?), in Sardegna: «Si eleva a controllo
della costa e delle vie di penetrazione verso il Campidano ed ha le caratteristiche della
roc­ca­forte naturale con pareti a picco. […] la collina conobbe un insediamento fenicio
(metà dell’viii s. a. C.) […]. In seguito alla penetrazione cartaginese l’insediamento fu
dis­trutto (fine del vii s.); ne seguì uno nuovo e dal iv sec. lo sviluppo di un articolato
sis­tema fortificato da parte di una guarnigione cartaginese31.»
Sempre in Sardegna non appare meno interessante Monte Sarri, nell’Oristanese,
in eccellente posizione strategica su due mari, né in Sicilia Monte Soro(-i), la
più alta cima dei Nebrodi (h. 1847 m), di fronte al fiume Rosmarino. Oggi anche
quest’oronimo è considerato di origine dubbia; lo si ipotizza derivato «forse dal
greco medievale σορός «bara, feretro» nel senso di «tumulo», «tomba» comune
nell’oronimia»32; dove in realtà questo «senso […] comune nell’oronimia», sarebbe
tutto da dimostrare. Ma soprattutto non va trascurata una città-fortezza come Tharros
(fen. ṣr > ṭarr > tharr) il più imponente centro fenicio-punico della Sardegna, tra
i maggiori punti di riferimento del commercio internazionale dei Fenici e poi di
Cartagine nel Mediterraneo; maestoso il suo arroccamento sopra un costone di roccia,
dove peraltro numerosi reperti di materiale edile e di oreficeria presuppongono stretti
rapporti con l’Etruria33.

Appare tutt’altro che remota perciò la possibilità che altri toponimi ed oronimi,
finora considerati di origine oscura o incerta, possano riservare analoga sorpresa.

30. Opportunamente sottolineata questa scelta insediativa da Moscati 1987, p. 107: «In ambiente
feni­­­cio basta guardare al tipo di insediamenti, che preferiscono ovunque i promontori e le isolette,
per rendersi conto che il commercio è non solo prevalente, ma addirittura carratterizzante»;
poi 112: «L’urbanistica delle città fenicie offre le testimonianze più evidenti di una comune
“cultura dell’insediamento”, i cui caratteri si ripetono da Oriente a Occidente. come luoghi in
cui insediarsi vengono privilegiate le isole antistanti alle coste […] e i promontori».
31. Touring Club Italiano 2002, p. 344 s.
32. Gasca Queirazza et al. 2006, s.v. «Soro, Monte»; fa riflettere pure il calabrese Montesoro
(m. 318 s.l.m.), frazione del comune di Filadelfia (VV), distante appena una decina di km dalla
costa tirrenica.
33. Già sottolineato comunque il richiamo linguistico di Tharros a Tiro, da Pellegrini 1978, p. 83,
il quale rinvia soltanto all’ebr. zar «roccia, scoglio» e alla forma latina Sarra, da cui l’etnico
Sarranus «Tirio».

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Uno può essere Tarracina, il nome antico dell’odierna Terracina, cittadina costiera un
cen­tinaio di km a sud di Roma. Il nome di quest’antico centro ausonio, passato prima
sotto gli Etruschi e poi, verso i primi del s. v a. C., sotto i Volsci, sarebbe di origine
etrusca secondo il Devoto34; secondo altri, i più, risalirebbe invece «ad una base del
sos­trato *tar(r)- di oscuro significato, che si ripete in diversi nomi locali antichi tra
cui Tarraco dell’Iberia»35. Diventa naturale perciò domandarsi se per caso anche in
questa base apparentemente sostratica e già ipotizzata dal Battisti36 non sia invece da
leggere proprio quel ṭarr fenicio, variante di ṭurr, che appunto vuol dire «rupe».

Preme chiudere questa breve campionatura con una finestra su Sarroch, il nome
di un altro centro costiero, situato in altura di fronte al golfo di Cagliari, a non più di
10 km dalle rovine di Nora, celebre sito di resti monumentali punici sottostanti quelli
romani, e a meno di 20 km dalla stessa Cagliari, città di note origini fenicio‑puniche.
Registrato fin dal 1341, anche Sarroch viene classificato come toponimo di «origine
incerta»37. Alla luce dei dati esaminati sopra, pare invece molto più ragionevole,
addirittura scontato, leggere in esso una formazione composta proprio dalla variante
semitica sar38 e da roch, lat. volg. rocha, con varianti roca, -cca, -ccha39. La presenza
del nome doppio qui già si evince, peraltro, dalla pronuncia regionale dell’accento
acuto sull’ultima vocale40, segno di consapevolezza, almeno in origine, che le voci
erano due, sar e roch41.

Conclusione

L’antico toponimo Sora, da cui l’it. Sora, si lascia spiegare senza difficoltà come
deri­vazione da un comune sost. sora, forma italica di ṣr, pronuncia sor, il nome

34. Devoto 1940, p. 76: «i nomi tirrenici di Velitrae (Velletri) e di Tarracina (derivato da Tarkina) …
ricordano le città etrusche di Volterra e Tarquinia».
35. Gasca Queirazza et al. 2006, s.v. «Terracina».
36. Battisti 1932, p. 330 s.
37. Gasca Queirazza et al. 2006, s.v.; male argomentata, comunque, l’ipotesi di un’origine fenicia
del toponimo nel vecchio Spano 1872, s.v.
38. Donde il lat. Sarra; Ennius, ann. 220 V.2: Pœnos Sarra oriundos e Gellius, XIV, 6, 4: quod
Tyros Sarra … ante … dicta sit; quindi l’etnico latino Sarranus; Vergilius, georg. II, 506:
Sarrano … ostro; Silius, III, 256: Sabratha … Sarranaque Leptis.
39. Arnaldi, Smiraglia 2001, s.v. «rocca».
40. Gasca Queirazza et al. 2006, s.v.
41. Nello stesso modo Linguaglossa, comune siciliano sulle pendici dell’Etna; già Lingua grossa
(in un privilegio del re Ruggero, a. 1145): «verosimilmente, da una grossa lingua di lava»;
Gasca Queirazza et al. 2006, s.v.; contro l’ipotesi di una tautologia con il gr. γλῶσσα «lingua»,
De Felice 1956, p. 166 s.; è sbagliato per­ciò accentare Sàrroch (invece che Sarróch), come
adesso nell’Autoatlante turistico-stradale dell’Istituto Geografico De Agostini, tav. 317.

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fenicio di «rupe». Sora sorgeva sopra una rupe, non diversamente da Tiro, l’antica
metro­poli fenicia chiamata poi con il nome stesso di «rupe». In fenicio infatti questo
nome godeva di doppia pronuncia, e ciò in virtù della costituzionale oscillazione
della sua con­sonante iniziale tra la sibilante pura (ṣ) e l’interdentale (ṭ); in un caso il
nome si pronunciava sor, con le varianti saur, sour, sur(r), sir(r), sar(r); nell’altro,
esso diventava ṭor(r), con le varianti ṭar(r), ṭir(r) e ṭur(r), da cui appunto il gr. Τύρος
e il lat. Tyrus.
Sora, dunque, si propone come esito diretto della pronuncia sor, e non si può dire
che la perfetta sovrapposizione strutturale, semantica e di percorso dei due toponimi,
Τύρος / Tyrus e Sora, non giochi un ruolo determinante in favore dell’origine linguis­
tica comune.
La composizione dell’oronimo latino Soracte non fa che ribadire quest’origine del
topo­nimo Sora da un comune sora, di significato equivalente al lat. rupes, saxum,
arx, certificando in via definitiva la sua equivalenza semantica con il gr. ἀκτή.
Più che una coppia tautologica formata da sost. comune e nome proprio, tipo
Monte Cacùme o Châteaudun, l’oronimo Soracte mostra di costituire proprio un
abbi­namento paritario di due nomi comuni, nato per l’uso contemporaneo di tutti
e due, dove il primo rappresenterebbe solo il più antico, come nel sardo Sarroch42,
sempre che Soracte non preveda il rapporto inverso43; ma questo è un problema che
oggi ancora la linguistica, da sola, non può risolvere.

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42. Analogo fenomeno di bilinguismo, anzi di plurilinguismo, dovuto a contemporaneo uso di


lingue diverse, per il nome del fiume Tevere; accanto al più comune e poi definitivo lat. Tiberis,
anche Alba, Albula, Rumon, Serra, nomi spettanti verosimilmente a più lingue del Lazio
arcaico, come nel caso di altri idronimi; in sintesi, v. Pellegrini 1991, p. 36 ss.
43. Caso opposto, in Sardegna pure questo, nell’iscrizione frontonale del tempio sardo-punico di
Antas dedicato (probabilmente tra v e iv s. a. C., quindi restaurato dai Romani nel iii d. C.) a
Sardus Pater Babai, dove Babai sarebbe il nome punico del dio eponimo dei Sardi, poi lati­
nizzato Pater; v. Lilliu 2003, p. 651 s. e, con foto, Angiolillo 1987, p. 58. Tutto questo per
gentile segna­lazione del mio allievo Dr Marco Fressura, al quale rimango grato.

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