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II.
Atti del Tribunale di Sanità.
III.
Nuove particolarità sulla carestia e la peste.
Torna a me pure in acconcio quello che afferma in un passo della sua opera
il principe della Storia Romana, cioè che vediamo accrescere le pagine di
un volume il quale sul principio credevamo dovesse riuscire di piccola
mole; così, mettendo il piede nel mare, a misura che ci scostiamo dalla
spiaggia, ci troviamo in acque più alte.
Nè mi sarebbe agevole venire al termine di questa storia, se volessi
continuare a raccogliere da quel calamitoso triennio, qui riunendoli a fascio,
tutti i terribili casi degli uomini, le sciagure tutte di Milano, le cure dei
governanti, i nuovi editti ed i pubblici sforzi d’inesausta munificenza, i
rimedj svariatissimi che vennero suggeriti o usati; i doni, le elargizioni, la
divina potenza, dalle accecate menti non conosciuta, che preparava al
popolo questo flagello, riserbandosi di farlo cessare a suo beneplacito. Tutte
le quali cose allungherebbero fuor di modo il mio racconto, sicchè
accennerò solo le circostanze che mi sembrano preferibili, perchè servano
d’esempio ai posteri, ed anche per rallegrare alquanto l’animo attristato de’
leggitori.
Noterò prima di tutto, sul finire di questo doloroso racconto, un accidente
che servir potrebbe come esordio di una nuova opera. Oltre i segni celesti e
gli avvisi degli astri, non mai veduti fra noi, ma che ai conoscitori riescono
sempre formidabili, e le due comete apparse nel 1628 e nel 1630, orribili
entrambe a vedersi, corsero fatidiche predizioni intorno la carestia e la
peste. Nè mi vergognerò di citare quei versi, benchè storpiati, correndo per
la bocca di tutti gli sciocchi, giacchè da ogni bocca udivasi ripetere: