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COLLAGENE

Le cellule si trovano immerse in una matrice extracellulare che le circonda, riempie gli spazi fra di loro e le mantiene
unite, contribuendo a determinare la forma e le funzioni dei tessuti stessi. Il volume occupato dalla matrice
extracellulare è variabile, a volte scarso, come negli organi parenchimatosi quali il fegato, a volte invece molto
consistente e maggiore di quello rappresentato dalle cellule che avvolge, come nel caso dei tessuti connettivi, quali
le ossa, le cartilagini, i tendini e lo strato dermico della pelle. I tessuti connettivi prevedono una parte cellulare e una
di matrice extracellulare; quest’ultima comprende la sostanza amorfa (GAG, proteoglicani, glicoproteine) e la
componente fibrillare (f.collagene, f.reticolari, f.elastiche). La matrice extracellulare fornisce un supporto fisico e
svolge un ruolo importante nella regolazione di molti processi fisiologici e patologici delle cellule con cui è in
contatto, influenzandone, fra l'altro, la sopravvivenza, lo sviluppo, la proliferazione, il differenziamento, l'adesione e
la capacità di migrazione. Il termine "collagene" indica una famiglia di proteine fibrose, sintetizzate da diversi tipi
cellulari, ma soprattutto da fibroblasti, cellule epiteliali e cellule muscolari. È presente in tutti gli organismi
pluricellulari ed è la proteina più abbondante dei tessuti dei mammiferi, costituendo circa un quarto delle loro
proteine totali. Tali proteine sono le molecole non minerali più rappresentate, seconde solo all’acqua e in un uomo
adulto sano determinano circa il 6% del peso corporeo. Le fibre collagene vengono sintetizzate ed escrete dalle
cellule residenti fisse di tali tessuti, ad esempio dai fibroblasti (connettivo), dai condroblasti (cartilagine), dagli
osteoblasti (osso) e dagli odontoblasti (denti). A seconda della localizzazione tissutale e dell’organizzazione
strutturale che in sede assume, il collagene acquisisce svariate proprietà e svolge diverse funzioni. Conferisce ai
tessuti due caratteristiche
fondamentali: resistenza meccanica alla trazione ed elasticità.

Per quanto riguarda la resistenza del collagene, spesso viene paragonata a quella dell’acciaio. Si consideri che
alcune varianti di fibre collagene si organizzano intrecciandosi fra loro a formare fascetti e fasci di notevole spessore
che possiamo paragonare schematicamente a delle funi (es. Collagene di tipo I). Con questa rigida organizzazione,
una fibra dello spessore di 1 mm è in grado di sostenere un peso di 10-40 kg senza rompersi. Questo rende i tessuti
molto resistenti alle forze applicate su più punti e ad esempio nei tendini, costituiti da tessuto fibroso a fasci
paralleli, riconosciamo l’importanza di tale proprietà.

Se invece le fibre collagene si organizzano a formare delle strutture reticolari più fini ma estese in termini di
superficie, possono garantire ai tessuti una certa elasticità, chiaramente ridotta, però, rispetto alla distensibilità dei
tessuti elastici veri e propri, in cui riconosciamo in prevalenza delle fibre elastiche, ricche in elastina. Questa
proprietà si descrive, ad esempio, nello stroma di organi parenchimatosi come la milza.

La disposizione delle fibre nel connettivo non è casuale, infatti oggi si stanno facendo degli studi in particolare sul
derma, in modo che in caso di intervento chirurgico il taglio fatto sia disposto secondo un’orientazione tale da
favorire la cicatrizzazione.

Nei tessuti dell'organismo umano sono stati identificati almeno 27 tipi diversi di collagene, costituiti da più di 30
differenti catene polipeptidiche, ciascuna codificata da un diverso gene. L'inserimento di una molecola nella
famiglia dei collageni richiede che essa contenga tre catene polipeptidiche, avvolte almeno per un tratto a tripla
elica. La fibra collagene rappresenta già un livello di organizzazione piuttosto avanzato e spesso si associa ad altre
fibre collagene a costituire fascetti e fasci. Ma la formazione di una fibra collagene prevede l’assemblaggio di
numerose unità glicoproteiche fondamentali di tropocollagene. Più molecole di tropocollagene neosintetizzate
dalle cellule residenti fisse dei connettivi si associano in tal modo a costituire delle microfibrille di dimensioni
nell’ordine dei nm, poi
delle fibrille e poi delle fibre che, a seconda del tipo di collagene, possono raggiungere uno spessore di qualche µm.
La molecola di tropocollagene, a sua volta, è una glicoproteina fibrosa e trimerica data dall’organizzazione
sovrastrutturale di tre catene polipeptidiche a struttura secondaria ad α-elica sinistrorsa che associandosi
costituiscono una tripla elica destrorsa. Vengono definite “catene α” le catene polipeptidiche a struttura secondaria
ad αelica sinistrorsa che polimerizzano andando a formare triple eliche destrorse, ossia le molecole di
tropocollagene.
Ogni catena polipeptidica ha un peso molecolare di circa 100kDa e in una catena α riconosciamo 3 domini:
• Coda N-terminale
• Dominio intermedio (circa 1400 aa)
• Testa C-terminale (globulare, definita anche dominio non collagenico NC-1)
A partire dalle teste NC-1 e a seguire con tutto il dominio intermedio 3 catene interagiscono e si assemblano a
formare una molecola di tropocollagene. Il tropocollagene ha un peso molecolare di circa 300kDa, una lunghezza
compresa fra i 280 e i 300 nm e uno spessore di circa 1,5 nm. Ha una composizione in amminoacidi tipica: glicina
33%, prolina più idrossiprolina 27%; il resto è rappresentato da tutti gli altri amminoacidi, esclusa cisteina e
triptofano che sono assenti. Da segnalare la presenza di idrossilisina. La molecola del tropocollagene consta di tre
catene polipeptidiche di composizione simile e di PM 47.000 ciascuna. Si distinguono tre famiglie di catene, a1, a2 e,
più raramente, a3, che caratterizzano diversi tipi di collagene.

A seconda del tipo di collagene, il tropocollagene è formato da triplette (a1)3, (a2)3, (a1)2(a2)1, (a1)1(a2)1(a3)1 con
possibili differenze di composizione all'interno di ciascuna famiglia di catene. ln tutte le catene la sequenza
aminoacidica più frequente è: gly-X-pro- ecc., dove X è un amminoacido qualsiasi. La predominanza delle proline e
della glicina non consente né la conformazione alfa né quella beta (NB. La glicina avendo un gruppo R piccolo
costituito da un solo idrogeno ha elevata flessibilità che impedisce il rispetto degli angoli di legame standard della
struttura alfa-elica, la prolina non può formare legami idrogeno poiché è un amminoacido ciclico che usa l’H per il
legame peptidico), ma solo la tripla elica allungata, detta elica C, avente un passo di 9,4 A, scarsamente flessibile ed
inestensibile. Le tre catene, avvolte fra loro in senso sinistrorso sono tenute insieme da legami idrogeno fra gruppi
— CO di una catena ed —NH delle catene adiacenti.

La compattezza e la resistenza tensile delle fibre di collagene derivano dalla presenza ripetitiva nelle subunità di
collagene della glicina. È fondamentale che vi sia sempre un residuo di Gly ogni 3 aa. Lo scopo di questa
organizzazione è quello di esercitare il minor ingombro sterico possibile, che garantisca la stabilizzazione della
struttura secondaria ad α-elica. La conseguente mancanza di ingombro compatta la struttura definitiva e consente la
stretta adesione fra le tre catene nella superelica, agevolata ancor più dalla esposizione dei residui più ingombranti
di prolina ed idrossiprolina verso l'esterno ad interagire con le circostanti subunità di tropocollagene. I residui di Pro
con i gruppi pirrolici tendono a respingersi per impedimento sterico determinando una scarsa flessibilità
conformazionale della catena polipeptidica, in modo che complessivamente la struttura si irrigidisca e determini la
notevole rigidità del collagene.

I diversi tipi di collagene possono essere distinti in: collageni fibrillari, e collageni non fibrillari.

I collageni fibrillari (tipo I, II, III, V, XI, XXIV, XXVII) si organizzano nella matrice in grandi fibre insolubili e la struttura a
tripla elica si estende per quasi tutta la loro molecola. Presentano numerosi livelli di organizzazione:

• Catene α (singole catene polipeptidiche a elica sinistrosa)


• Tropocollagene (glicoproteina trimerica a elica destrorsa)
• Microfibrille (dimensioni nell’ordine dei nm, date dall’organizzazione testacoda e latero-laterale
delle molecole di tropocollagene)
• Fibrille
• Fibre collagene (spessore nell’ordine dei µm)

• Fascetti e fasci di fibre collagene (dallo spessore fino a circa 10-12 µm, ben visibili in microscopia ottica)

Tale elevata organizzazione di queste fibre collagene conferisce loro una notevole rigidità e rende piuttosto
resistenti i tessuti in cui si sviluppano.

- COLLAGENE DI TIPO I (a1(I))2(a2(I))1


Il più importante è il collagene tipo I, che è la proteina più abbondante dei mammiferi e rappresenta il componente
maggiore dei loro tessuti connettivi. La sua molecola matura è costituita da una lunga struttura rigida a tripla elica
lungo circa 300 nm e del diametro di 1.4 nm ed è costituita da tre catene polipeptidiche, due a1(1) ed una a2(1), per
un totale di circa 1000 aminoacidi, disposti secondo la sequenza periodica [Gly-X-Y], dove X è spesso prolina e Y
idrossiprolina. Ciascuna delle tre catene assume una struttura ad elica sinistrorsa e si avvolge con le altre due per
formare la tripla elica. Le fibre sono particolarmente resistenti al carico e alla trazione e tendono a formare fascetti e
fasci di notevoli dimensioni. È molto abbondante nei tendini, nei legamenti, nel derma e nel tessuto osseo.

- COLLAGENE DI TIPO II (a1(II))3


Le fibre sono meno robuste, ma l’organizzazione fibrillare le rende piuttosto resistenti. Le ritroviamo nella
cartilagine ialina e nella cartilagine elastica.

- COLLAGENE DI TIPO III (a1(III))3

Si tratta di fibre collagene di tipo tre comunemente chiamate “fibre reticolari”. Le molecole di tropocollagene, in
questo caso, tendono a formare delle strutture reticolari estese in superficie ma piuttosto fini. Si tratta di fibre
altamente rappresentate nel nostro organismo. Costituiscono lo stroma reticolare degli organi parenchimatosi
(tessuto connettivo reticolare a sviluppo tridimensionale) nonché in parte la lamina reticolare delle membrane
basali (tessuto connettivo reticolare sviluppo bidimensionale). Sono fibre molto presenti anche a livello di
endonevrio, endomisio ed endostio, all'interno dei parenchimi ghiandolari dove le fibre reticolari demarcano gli
adenomeri e i condotti escretori e nei linfonodi costituendo l'impalcatura del tessuto linfoide.

I collageni non fibrillari sono caratterizzati da interruzioni della tripla elica, con segmenti della proteina che sono
privi della tripletta ripetitiva [Gly-X-Y] e che determinano la comparsa di domini con struttura globulare ed una
conseguente maggiore flessibilità della molecola rispetto ai collageni fibrillari. Mantengono i loro propeptidi (C-
terminale ed N-terminale), che non vengono tagliati da proteasi dopo la loro secrezione. Svolgono diverse funzioni
biologiche e possono essere suddivisi in:
— collageni che formano reticoli (tipo IV, VIII, X). Il più importante è il tipo IV, il principale costituente delle
membrane basali, nelle quali è organizzato in una struttura reticolare a maglie flessibili; il collagene IV ha
sequenza amminoacidica diversa dal collagene I, II e III. Questa alterata sequenza amminoacidica provoca
delle interruzioni della regolarità di alcune regioni, distruggendo le strutture a triplice elica. Inoltre, i domini
terminali della molecola non vengono escissi e favoriscono la formazione di una struttura tridimensionale
reticolare pluristratificata stabilizzata da legami covalenti (struttura delle lamine basali cellulari).
— collageni che formano fibrille di ancoraggio (tipo VII), strutture specializzate che aiutano l'attacco di
membrane basali di epiteli pluristratificati al tessuto connettivo sottostante e sono quindi abbondanti nella
pelle;
— collageni associati alla superficie di fibrille (FACIT, Fibril-Associated Collagens with Interrupted Triple Elix) (tipo
IX, XII, XIV, XXI, XXII), che, pur non formando fibrille, si associano alla superficie di altre fibre collagene,
contribuendo a legarle fra di loro e con altri componenti della matrice extracellulare;
— collageni che costituiscono proteine transmembrana (tipo XIII, XVII, XXIII) e rappresentano elementi con i
quali la cellula si lega a componenti della matrice extracellulare dei connettivi circostanti.
— collageni che, per taglio proteolitico, possono formare endostatina (tipo XV, XVIII), molecola che è in grado di
bloccare l'angiogenesi (formazione di nuovi vasi sanguigni), inibendo la migrazione delle cellule endoteliali;
— collageni che formano filamenti "a collana di perle", come il tipo VI, che forma microfibrille con domini globulari,
associate al collagene tipo I.

FIBRILLOGENESI

Vediamo in particolare la sintesi di collagene di tipo I, dal momento che è il più rappresentato nella
matrice extracellulare del tessuto osseo.

1) TRASCRIZIONE GENICA

Nel nucleo vengono trascritti i geni relativi alle catene α che devono essere sintetizzate. Si formano molecole di mRNA
che raggiungono l’ambiente citosolico grazie ai pori nucleari.
2) SINTESI PROTEICA

Ad opera dei ribosomi liberi o adesi alla superficie del REG, le molecole di mRNA vengono tradotte in sequenze
amminoacidiche specifiche che rappresenteranno dei precursori delle catene α. Si parla, infatti, di sintesi delle pre-
pro-catene α. Oltre alla sequenza che costituisce la catena α vera e propria, in esse riconosciamo un propetdice N-
terminale di 150 aa che fungerà da segnale di ingresso nel lume del REG e un altro propetdide C-terminale costituito
da 250 aa. Entrambi hanno una struttura globulare e non sono organizzati a tripla elica. La loro presenza è
fondamentale in ambiente intracellulare perché contengono residui di cisteina grazie ai quali formano ponti di
solfuro che allineano correttamente le tre catene e impediscono che alla formazione delle molecole di
tropocollagene queste si organizzino a formare microfibrille, fibrille e fibre, perché questo comporterebbe uno stato
di sofferenza cellulare e anche un’impossibilità di esocitare tali proteine fibrose che fisiologicamente si devono
trovare nella matrice extracellulare.

3) MODIFICHE POST-TRADUZIONALI

Grazie alla sequenza segnale N-terminale, le pre-pro-catene α vengono riconosciute e introdotte nel lume del REG
dove questa stessa estremità verrà rimossa da una proteinasi. In questo modo si ottengono le pro-catene α (es.
Nel collagene di tipo I, sono necessarie 2 proα1 e 1 proα2).

Nel REL, invece, si svolge l’idrossilazione dei residui di prolina e di lisina ad opera di enzimi che necessitano, come
cofattori, di Fe2+, 2-ossoglutarato (un acido carbossilico) e acido ascorbico, il principale vitamero della vitamina C
che, comportandosi da agente riducente mantiene il ferro allo stato ferroso. L'idrossiprolina si ottiene da una
idrossilazione co-traduzionale di residui di prolina, già inseriti nella catena polipeptidica, catalizzata dall'enzima
prolil-idrossilasi.
Anche i residui di lisina possono essere idrossilati, grazie ad una reazione co-traduzionale catalizzata dall'enzima
lisil- idrossilasi. Mediante la formazione di legami idrogeno intercatena, 3 pro-catene α si associano e costituiscono
il procollagene: una tripla elica destrorsa ancora dotata del telopeptide globulare all’estremità C-terminale.

Nel Golgi, alcuni dei residui di idrossilisina possono poi essere glicosilati (la glicosilazione inizia già nel REL!!) ad opera
degli enzimi galattosiltransferasi e glucosiltransferasi, per aggiunta di galattosio o di galattosio-glucosio, legati con
un legame 0-glicosidico specifico del collagene; infatti, il collagene è l’unica proteina che viene glicosilata
sull’idrossilisina poiché in generale le glucolosiltransferasi hanno come target la serina e l’asparagina. Avvenute
queste modificazioni post-trasduzionali, tre pro-catene tendono ad avvolgersi fra di loro, limitatamente alla parte
centrale, costituendo una tripla elica, mentre a livello delle porzioni globulari N-, e C-terminali si stabiliscono ponti
disolfuro (solo intracatena nella porzione N-terminale; anche intercatena nella porzione C-terminale).

4) GEMMAZIONE ED ESOCITOSI

Dalla faccia trans del Golgi gemmano delle vescicole contenenti le molecole di procollagene ma anche alcuni
enzimi fondamentali per la prosecuzione del processo di fibrillogenesi. Queste devono migrare verso la zona di
secrezione delle cellule secernenti per poter consentire l’esocitosi delle sostanze che contengono.

5) FIBRILLOGENESI EXTRACELLULARE

Nella matrice extracellulare, il procollagene diviene substrato dell’enzima procollagene peptidasi che catalizza la
rimozione del propeptide C-terminale formando il vero e proprio tropocollagene. A questo punto le molecole di
tropocollagene potranno liberamente organizzarsi in senso testa-coda e latero-laterale (sfasatura nell’allineamento)
andando a formare delle microfibrille, riconoscibili già al microscopio elettronico per la bandeggiatura trasversale. In
ambiente extracellulare, le molecole di tropocollagene si organizzano in senso testa-coda senza legarsi, ma
lasciando fra di loro uno spazio di 68 nm, e in senso latero-laterale (o per “giustapposizione”). Quest’ultima
organizzazione è sfalsata. Questo significa che le molecole di tropocollagene sono disposte l’una sotto l’altra in
modo sfalsato di una lunghezza costante e corrispondente a circa ¼ della lunghezza del tropocollagene stesso.
Questa sfasatura periodica e regolare si riflette anche in una sfasatura tra i vuoti testa-coda che conferiranno alle
microfibrille la
tipica bandeggiatura, ben evidenziata in microscopia elettronica. Saranno riconoscibili delle zone elettrondense
alternate periodicamente e ordinatamente a delle zone elettrontrasparenti. Con questa organizzazione si può già
parlare di microfibrille (dimensioni nell’ordine dei nm). Nell’osso in via di calcificazione i vuoti sono la sede di
deposito dell’idrossiapatite, il costituente minerale.

Le fibre vengono ulteriormente stabilizzate dalla formazione di legami crociati covalenti, basati sulla reattività di
gruppi aldeidici originati dall'azione dell’enzima lisil-ossidasi, è un’ossidasi Cu e PLP dipendente che deamina in
modo ossidativo il gruppo epsilon-amminico della catena laterale di alcuni residui di lisina e idrossilisina
producendo NH3 e H2O2. Questi derivati aldeidici (allisina e idrossiallisina) sono altamente reattivi e formano
derivati per condensazione aldolica con gruppi aldeidici vicini. Un residuo di allisina può reagire con un residuo di
lisina per formare una base di Schiff oppure due residui di allilisina possono reagire tra loro per condensazione
aldolica. I legami crociati, trasversali e longitudinali, conferiscono al collagene resistenza meccanica ed elevata
stabilità strutturale. Un particolare tipo di legame crociato è l’idrossipiridinio: si forma per condensazione delle
catene laterali di una Lisina e di due Idrossilisine. Tale struttura si forma tra la regione N-terminale di una molecola
di tropocollagene e quella C-terminale di un’altra.

La loro quantità varia con l’età e secondo molti studi, l’aumento di tali legami nelle fibre collagene nel derma
sarebbe alla base del processo di invecchiamento cutaneo. La generazione dei legami crociati ed il loro
riassemblamento da parte della lisil-ossidasi è alla base della capacità di alcune cellule tumorali, dotate un fenotipo
particolarmente aggressivo e maligno, di invadere i tessuti circostanti e disseminare la neoplasia anche in organi
molto distanti. Tale diffusione metastatica dipende dalla espressione de novo della lisil-ossidasi nelle cellule
tumorali, che modifica la componente di collagene della matrice extracellulare e facilita la motilità delle cellule,
guidandole fino alla sede secondaria di crescita tumorale (homing metastatico).

La fibrillogenesi continua e per associazione di miofibrille si formano le fibrille e poi le fibre collagene, queste ultime
continueranno ad associarsi fra loro andando a costituire fascetti e fasci, altamente rappresentati anche nel tessuto
osseo.
PATOLOGIE A CARICO DEL COLLAGENE

Il numero elevato di geni che codificano per le diverse proteine collageniche e per quelle enzimatiche, che
catalizzano i numerosi passaggi co- e post-traduzionali previsti dalla biosintesi della molecola, giustificano la
comparsa di numerose forme morbose, dovute a mutazioni a carico dei geni.
Mutazioni dei geni che codificano per le catene pro-alfa1 e pro-alfa2 sono responsabili di più del 90% dei casi di
Osteogenesis imperfecta, un gruppo eterogeneo di malattie genetiche caratterizzate da una estrema fragilità ossea,
che non permette in certi casi nemmeno la sopravvivenza ("malattia dalle ossa fragili"), pelle sottile, dentatura
anormale e tendini poco resistenti. È dovuta alla sostituzione di un residuo di Gly con una Cys: in questo modo è
impedito il compatto avvolgimento delle tre eliche che hanno difficoltà ad assemblarsi nella tripla elica destrorsa del
tropocollagene compromettendo la resistenza dell’intera struttura.
Altre mutazioni coinvolgono i processi di maturazione del mRNA, provocando nella maggior parte dei casi una
sostituzione di residui di glicina, presenti nei tratti periodici [Gly-X-Y], con quelli di altri aminoacidi più ingombranti,
che impediscono la corretta formazione della tripla elica. Queste mutazioni provocano di solito una riduzione
dell'espressione delle molecole collageniche o la produzione di catene pro-alfa con alterazioni strutturali, che
portano alla formazione di fibrille anomale e ad un indebolimento della struttura ossea, dove l'espressione del
collagene tipo I è predominante.

Mutazioni a carico del gene che codifica per le pro-catene del collagene tipo II, caratteristico della cartilagine,
sono responsabili della maggior parte delle condrodisplasie, che colpiscono in particolare questo tessuto,
provocando una forma di nanismo e deformità scheletriche.

Alterazioni genetiche che si ripercuotono sul collagene tipo IV provocano alterazioni strutturali e funzionali della
lamina basale. La sindrome di Alport è dovuta a queste mutazioni e si manifesta con alterazioni delle funzioni visive
e danno renale, che può condurre anche alla sua completa insufficienza funzionale.
Alterazioni di alcune delle tappe post-traduzionali della biosintesi del collagene sono responsabili della sindrome
di Ehlers-Danlos, che si presenta in diverse forme, caratterizzate soprattutto da iperestensibilità della cute,
abnorme fragilità tessutale e aumentata mobilità articolare. La forma classica presenta alterazioni per i geni che
codificano per il collagene di tipo V causando variazioni nella forza tensile e nella regolarità delle fibre. Si
manifesta con iperestensibilità cutanea, ipermobilità articolare, cicatrici sottili ed estese. La forma ipermobile ha
una causa sconosciuta e i sintomi sono iperestensibilitè cutanea, ipermobilità articolare, lussazioni frequenti e
disturbi cardiaci. La forma vascolare provoca alterazioni a carico del collagene tipo III e si manifesta con fragilità
della parete vascolare che può subire rotture, emorragie, aneurismi e lividi frequenti. La forma cifoscoliotica è
causata da un difetto della lisil-idrossilasi e si manifesta con scoliosi gravi, ipotonia muscolare, incapacità di
deambulare, lassità articolare e fragilità della sclera oculare. La forma artroclasica è causata da alterazioni delle
catene del collagene di tipo I e si manifesta con ipermobilità articolare, frequenti lussazioni, fragilità tissutale,
cifoscoliosi e ipotonia muscolare.
La forma dermatosparassica è causata dalla mancanza del procollagene N-terminale peptidasi nel collagene di tipo I
e causa fragilità della cute, ernie e lividi. Molti degli "uomini di gomma", che lavorano come artisti circensi, sono
affetti da una di queste sindromi.

L'ingestione prolungata di semi del pisello odoroso, che contiene β-amminoproprionitrile, un inibitore irreversibile
della lisil-ossidasi, provoca un blocco della formazione dei legami covalenti crociati che stabilizzano le fibre collagene,
con la comparsa del latirismo, malattia che compare più di frequente nei maiali e nei conigli e che è caratterizzata da
deformità vertebrali, lussazioni articolari, demineralizzazione ossea, aneurismi aortici ed emorragie articolari. Lesioni
sovrapponibili a quelle del latirismo si verificano nella omocistinuria, una malattia genetica caratterizzata dal blocco
dell’utilizzazione metabolica dell’omocisteina e del suo prodotto di ossidazione, l’omocistina. Si ritiene che l'eccesso di
omocistina, reagendo con l’allisina, impedisca le reazioni di formazione dei legami crociati.
Il metabolismo alterato del collagene con conseguente indurimento della pelle e degli organi interni dà origine a
un gruppo di condizioni generalmente denominate sclerodermia. La maggior parte degli studi si è concentrata su
lesioni accertate e i fattori scatenanti della sclerodermia rimangono sconosciuti. Le prime lesioni sembrano essere
vascolari e infiammatorie, portando a un'intensa sintesi di collagene nelle aree colpite simile alla guarigione delle
ferite. Fibroblasti del derma profondo mostrano una sintesi di collagene elevata, quindi l'accumulo di collagene è
attribuito alla sintesi e non a un aumento della proliferazione cellulare . I fibroblasti sclerodermici perdono la loro
capacità di regolare il metabolismo del collagene. La sclerodermia è progressiva e si diffonde attraverso il derma e in
altri tessuti, ad esempio, un'estesa fibrosi del cuore, dei polmoni e dei reni, che può portare alla morte. Ci sono
cambiamenti temporali nell'espressione del collagene di tipo III nella sclerodermia. Le fasi iniziali della malattia sono
caratterizzate da livelli elevati di questo tipo di collagene, ma con l'avanzare della condizione si verifica una riduzione
del collagene di tipo III a livelli paragonabili a quelli della pelle normale. Le lesioni sclerodermiche maturano in modo
simile a quello delle ferite: una riduzione del collagene di tipo III, aumento delle concentrazioni di legami crociati del
collagene maturo e calo complessivo del turnover. Questi cambiamenti metabolici si traducono in una pelle indurita
ispessita.
Alterazioni a carico del collagene possono comparire anche se l'espressione dei geni che codificano per le
proteine collageniche e per le proteine enzimatiche coinvolte nel loro metabolismo è del tutto corretta. Tale
eventualità si verifica nello scorbuto, malattia che colpisce soggetti che non si nutrono per lungo tempo di cibi
freschi, come avveniva un tempo nei lunghi viaggi per mare. Lo scorbuto è dovuto ad una carenza di vit.C, che
impedisce il normale funzionalmento della prolil- e della lisil-idrossilasi. In particolare, la riduzione del contenuto di
idrossiprolina riduce la stabilità termica del collagene, provocando fragilità dei piccoli vasi, con sanguinamento alle
gengive ed emorragie sottocutanee, anemia e debolezza muscolare. Si ha inoltre difficoltà a formare legami
idrogeno e legami crociati nel processo di fibrillogenesi. Il risultato è una scarsa rigidità strutturale delle fibre
collagene che provoca danni a livello dei tessuti connettivali. La vitamina C è, infatti, essenziale per la formazione del
collagene e aiuta a mantenere l'integrità del tessuto connettivo, del tessuto osseo, della dentina dei denti. Essa è
indispensabile per la guarigione delle ferite e facilita quella delle ustioni oltre che l'assorbimento del ferro non-eme
nell'intestino. Sintomi della patologia sono: disturbi digestivi a causa di lesioni di tipo ulcerativo della mucosa
intestinale, ossa fragili (denti traballanti predisposti alla caduta), emorragie multiple e ritardo nella guarigione delle
ferite (aumentata permeabilità dei vasi sanguigni), anemie per diminuito assorbimento intestinale di ferro, iper-
pigmentazioni cutanee, sintomatologia neuropsichiatrica che include depressione, isteria ed ipocondria.

VITAMINA C

L’acido ascorbico viene sintetizzato da vari animali a partire dal gluconolattone (derivante dal glucosio). L’uomo
può sintetizzare gluconolattone ma non ha l’enzima gluconolattone ossidasi che trasforma questo in acido
ascorbico per cui deve assumerlo con la dieta (60 mg/die). Ha varie proprietà:
− antiossidante, la vit.C è un sistema redox che comprende ascorbato, radicale ascorbile e deidroascorbato
nella forma ossidata. L’ascorbato è un riducente monoelettrico e si ossida ad AFR che è un radicale stabile
che previene la formazione di radicali più dannosi. La coppia AFR/ascorbato ha un potenziale redox molto
basso.
− pro-ossidante, in presenza di ascorbato lo ione ferrico Fe3+ diventa ione ferroso Fe2+ e l’ascorbato si
trasforma in deiroascorbato. Lo ione ferroso reagisce con l’ossigeno molecolare con formazione di radicali
e stress ossidativo.
− interviene nelle reazioni di idrossilazione di prolina e lisina indispensabili per la formazione di lagami
crociati nel collagene.
TURNOVER DEL COLLAGENE

Nei tessuti degli animali adulti, il collagene ha un turnover molto lento, dell'ordine di mesi o di anni a seconda del
tessuto. Invece, in quelli embrionali, fetali e in fase di rigenerazione il suo ricambio diventa molto più rapido, grazie
all'attivazione di collagenasi tessutali, che sono in grado di degradare il collagene in modo specifico. Questo si
verifica ad es. nell'utero, dopo una gravidanza, e nel callo osseo, durante il processo di riparazione di una frattura.

La degradazione delle unità di collagene di tipo I presenti nell'osso può essere attualmente valutata rivelando con
anticorpi specifici una piccola parte non a tripla elica delle sue estremità, in particolare quella N-terminale che
rappresenta quindi un buon marker di riassorbimento osseo. La degradazione del collagene è inoltre fondamentale
nel processo fisiologico di rimodellamento osseo.

Collagenasi sono anche prodotte da microrganismi patogeni, come il Clostridium histolyticum, che provoca la
gangrena gassosa, facendosi strada nei tessuti dell'ospite grazie alla demolizione delle barriere difensive del suo
connettivo. I batteri non contengono collagene e non vengono quindi attaccati dall'enzima degradativo che
producono.

METALLOPROTEASI (MMP)

Le metalloproteasi (MMP) sono gli enzimi più importanti e costituiscono una famiglia eterogenea di proteasi, zinco
e calcio dipendenti, attive a pH neutro e capaci di degradare tutti i componenti della matrice, compresi il collagene
ed i proteoglicani. Le MMP sono prodotte in modo tessuto-specifico e intervengono nel turnover fisiologico e in
numerose patologie. Vengono sintetizzate e rilasciate rapidamente in risposta ad opportuni stimoli. Hanno un peso
molecolare variabile tra 28 e 92 kDa, un'omologia di sequenza aminoacidica primaria del 50% e alcune particolari
caratteristiche strutturali:
(a) una sequenza segnale N-terminale (predominio), che ne regola la compartimentazione nel corso della sintesi
e le destina alla secrezione;
(b) un propeptide, che permette di mantenerle nello stato di zimogeno inattivo, grazie ad un residuo di cisteina
(cystein switch attiva e inattiva l’enzima), che maschera il sito catalitico legandosi con un legame di coordinazione
all'atomo di zinco;
(c) un dominio catalitico, con ione zinco per la catalisi e ione calcio per il mantenimento dell'integrità strutturale;
(d) un dominio aggiuntivo transmembrana per quelle localizzate sulla superficie cellulare (MMP di membrana).
Tutte le MMP sono prodotte come zimogeni e necessitano per essere attive del distacco proteolitico del
propeptide (cystein switch). L’enzima è inattivo quando la cisteina del cystein switch, contenuto nel propetide, è
legata allo zinco nel sito catalitico; l’enzima è attivo quando avviene il taglio del propetide per cui viene eliminato il
legame cisteina- zinco e quest’ultimo può catalizzare la reazione.
Le MMP sono comunemente classificate in relazione alla specificità per il substrato su cui agiscono e sono suddivise
in diversi gruppi.
Collagenasi, che degradano prevalentemente le fibre di collagene tipo I, II e III, ma attaccano anche il collagene
denaturato e l'aggrecano. La loro specificità permette di salvaguardare l'integrità della matrice, ma è sufficiente per
la riparazione dei tessuti o la migrazione cellulare. Fra di esse sono comprese la collagenasi interstiziale (MMP-1),
prodotta da macrofagi e fibroblasti e responsabile della degradazione del collagene I; la collagenasi neutrofila
(MMP-8), secreta da neutrofili e condrociti; la collagenasi 3 (MMP-13), inizialmente isolata da cellule tumorali e
identificata anche nella cartilagine articolare umana e nella membrana sinoviale in corso di artrosi e di artrite
reumatoide.

Gelatinasi, possiedono attività di substrato molto simili per vari tipi di collagene (IV, V, VII, VIII, IX, XI) e per il
collagene denaturato (gelatina), ma degradano anche l'elastina, la proteina "core" dei proteoglicani, la fibronectina
e l'aggrecano. Comprendono la gelatinasi A (MMP-2) e la gelatinasi B (MMP-9). Sembrano coinvolte nel processo di
diapedesi (extravascolarizzazione) delle cellule e nella neoangiogenesi. [Procurando traumi celebrali su topi wild-
type e knock- out per MMP-9, si osserva che la lesione nei topi ko è meno grave poiché la metalloproteasi influisce
sugli effetti dovuti al trauma: le metalloproteasi sono quindi coinvolte in processi fisiopatologici]

Stromelisine

MMP di membrana (MT-MMP), localizzate sulla superficie della membrana cellulare.

Matrilisine
Per evitare che un eccesso di attività delle MMP provochi un collasso dell'impalcatura del tessuto, la loro attività è
regolata ad almeno tre livelli.
Controllo della sintesi delle MMPs Alcuni fattori sono in grado di stimolare la sintesi delle MMPs, come le
citochine proflogogene (TNF-α, IL-1β, IL-6), che inducono in numerose cellule la produzione di collagenasi e
stromelisine, alcuni fattori di crescita (TGF-α, FGF, EGF e PDGF) e microcristalli di urato e pirofosfato. Alcuni fattori
inibiscono invece la sintesi delle MMP ed i più noti sono il TGF-β, IGF, INFγ, alcuni ormoni e farmaci come le
tetracicline.
Attivazione locale delle MMPs L'attività delle MMP è modulata in sede cellulare ed extracellulare, dove vengono
secrete come zimogeni inattivi e possono essere attivate per proteolisi solo al momento opportuno. Il processo
proteolitico attiva le MMP mediante la rimozione del propeptide e avviene per opera di proteasi specifiche.
Secrezione di inibitori delle MMPs L'attività delle MMP è controllata anche da specifici inibitori tissutali, i TIMP
(Tissue Inhibitor of Metallo Proteinases). I TIMP sono di viversi tipi TIMP-1, TIMP-2, TIMP-3 e TIMP-4, vengono
secreti nella matrice e confinano le attività proteolitiche in aree delimitate, permettendo di proteggere le zone che
non devono essere coinvolte nei processi degradativi. I TIMP inibiscono le MMP formando con il dominio catalitico
un legame non covalente ad alta affinità, la loro espressione è controllata da una serie di citochine e fattori di
crescita.

AGE E COLLAGENE
Il rimodellamento del collagene è più lento dopo la maturazione e recenti studi hanno dimostrato che i tessuti
con collage sono suscettibili a reazione avventizia con il glucosio, una serie di reazioni
denominate glicosilazione non enzimatica o, più in generale, glicazione. Queste reazioni complesse portano a
prodotti finali di glicazione avanzata (AGE); alcuni di questi modificano le catene laterali degli amminoacidi, mentre
altri creano reti di fibrille, con conseguente malfunzionamento dei tessuti e aumento della resistenza al
rimodellamento. Le proteine della matrice extracellulare (ECM) sono state considerate una delle principali strutture
bersaglio per la glicazione. La glicazione del collagene altera la sua funzione in vari modi. I legami incrociati
intermolecolari delle fibre di collagene adiacenti cambiano le sue proprietà biomeccaniche portando a rigidità e
ridotta flessibilità, aumentando così la sua suscettibilità agli stimoli meccanici. Il cambiamento della sua carica e la
formazione di AGE sulle catene laterali del collagene influenzano i suoi siti di contatto con le cellule e altre proteine
della matrice e ne inibiscono la capacità di reagire con esse. La precisa aggregazione dei monomeri nella tripla elica
può essere influenzata. Il collagene modificato resiste alla degradazione da parte delle MMP, inibendo così la sua
rimozione e sostituzione con quella di nuova sintesi e funzionale. Pertanto, la permeabilità dei tessuti e il turnover
sono compromessi.
TESSUTO OSSEO

Il tessuto osseo e una particolare varietà di connettivo e, in quanto tale, e costituito da cellule e matrice
extracellulare (fibrillare e amorfa). Esso si differenzia nettamente da tutti gli altri tessuti connettivi per il
fatto che la sua matrice (detta anche sostanza fondamentale o matrice ossea) presenta un elevato grado di
mineralizzazione che gli conferisce una notevole resistenza e durezza.

Il tessuto osseo non e un tessuto statico, ma plastico e dinamico: e soggetto a continuo rimodellamento per
l’intera durata della vita (e stimato che all’incirca ogni 10 anni lo scheletro e completamente rinnovato)

Esempi:

 gli effetti sullo scheletro degli astronauti, il cui corpo viene a trovarsi in condizioni di microgravità
 bambini che passano dal gattonare ad assumere una posizione eretta: lo scheletro si adatta per
resistere alle nuove forze a cui deve resistere

NB: In casi patologici, tessuto osseo può formarsi in sedi ectopiche per metaplasia da altri connettivi. Una
sua varietà, filogeneticamente più antica, e rappresentata dalla dentina.

Funzioni:

 Supporto e protezione: il tessuto osseo forma le ossa (vedi dopo) che nel loro insieme
costituiscono un'impalcatura che sostiene tutto il corpo e ne protegge gli organi più delicati (es.
gabbia toracica). Esso assolve a questa funzione grazie all’elevata resistenza alla pressione (15 kg
per mm2), alla trazione (10 kg per mm2), inoltre possiede un discreto grado di elasticità che
conferisce anche resistenza alla flessione.
 Le ossa forniscono superfici per inserzioni tendinee (quindi inserzioni muscolari) e ligamentose,
permettendo così i movimenti: ossa muscoli e articolazioni infatti rientrano nella costituzione
dell’apparato locomotore.
 Accoglie gli elementi emopoietici del midollo: il midollo osseo presente all’interno di alcune ossa,
soprattutto quelle lunghe, produce le cellule del sangue.
 Omeostasi del Ca: non ha solo funzioni meccaniche ma svolge un importante ruolo anche dal punto
di vista metabolico regolando la calcemia (= livelli di Ca ematico), cui sono molto sensibili anche il t.
muscolare e nervoso. Mediante la secrezione di GFs e vari ormoni “dialoga” con numerosi altri
tessuti (t. adiposo, rene, cellule di Leydig, ecc.)

Tipologie di t. osseo:

 osso compatto, molto denso (compatto per l’appunto), perché privo di cavità macroscopicamente
evidenti. È molto resistente alla compressione in senso longitudinale (resistenza al carico dovuto
alla forza di gravità, quindi il peso corporeo), ma una pressione laterale può essere facilmente
causa di fratture. È organizzato in osteoni e al loro interno piccoli canali sono riservati al passaggio
di vasi e nervi. Sedi: riveste principalmente la diafisi delle ossa lunghe (robusto manicotto esterno),
lo strato superficiale delle ossa brevi, piatte (dove forma tavolati)
 osso spugnoso, composto da una rete di trabecole ossee, più o meno spesse, intrecciate tra loro
(disposte secondo le linee di forza contro cui si oppongono), poste a delimitare spazi
intercomunicanti, denominati cavità midollari in quanto occupati da midollo osseo, vasi e nervi.
Grazie all’equilibrio di queste due tipologie è possibile ottenere contemporaneamente resistenza e
leggerezza.

Nell’adulto il tessuto osseo è lamellare a fibre parallele sia nell’ambito dell’osso compatto che in quello
dell’osso spugnoso o trabecolare. In particolare, le lamelle sono costituite da fibre di collagene
(principalmente di tipo I) parallele e le lamelle contigue sono connesse da matrice mineralizzata
attraversata da fibre collagene a disposizione irregolare. Gli osteociti possono avere sede inter- o
intralamellare e si dispongono col loro asse maggiore (hanno forma ellissoidale) parallelo alle ff collagene.

Le lamelle seguono una differente disposizione dando origine al tessuto osseo spugnoso o compatto:

 osso compatto: le lamelle (in genere da 8 a 15) si organizzano in cilindri concentrici con asse
parallelo a quello dell’osso e in modo da circoscrivere un canale centrale. Questa struttura prende il
nome di osteone o sistema di Havers ed è considerata l’unità funzionale dell’osso compatto
maturo.
 osso spugnoso: le lamelle si dispongono parallelamente e si intersecano a formare trabecole dello
spessore di circa 0,2 mm che descrivono uno spazio: la cavità midollare.

COMPOSIZIONE DEL T. OSSEO

Il tessuto osseo è un particolare tipo di tessuto connettivo, caratterizzato dalla prevalenza della matrice
extracellulare (97%) rispetto alla componente cellulare (3%).

Il tessuto osseo si differenzia nettamente dai restanti connettivi per la presenza di una matrice
mineralizzata. La matrice ossea, infatti, e rappresentata da una piccola frazione organica (fibrillare o
amorfa) contro un’abbondante componente inorganica (~ 70% dell’intera matrice) responsabile delle
proprietà meccaniche e metaboliche di questo tessuto.

Componente organica

1) componente collagenica: ~ il 90-95% collagene di tipo I e, in minor quantità, “collageni accessori”,


principalmente di tipo II (utile a dare elasticità) e V.

2)proteine non collageniche:

 PROTEOGLICANI:

I proteoglicani sono de3lle macromolecole biologiche costituite da un asse (o core) proteico a cui si
legano covalentemente lunghe catene polisaccaridiche costituite dall’elevata ripetizione di unità
disaccaridiche oppure glicosamminoglicani. Perciò complessivamente, nella molecola prevale la
componente glucidica rispetto a quella proteica. Il punto di attacco fra catene laterali e core proteico è
dato da residui di Sere ponti tetrasaccaridici. La serina si trova in genere compresa nella sequenza -OOC-
---Gly-X-Gly-Ser----NH3+ dove X rappresenta un amminoacido qualunque.

Per quanto riguarda i proteoglicani rappresentati nel tessuto osseo, ricordiamo il biglicano, la decorina
e la fibromodulina. Tutti sono accomunati dall’essere costituiti da GAGs solforati (condroitinsolfato e
cheratansolfato) oppure acido ialuronico legaticovalentemente a un asse proteico centrale. Essendo dei
polianioni, espongono numerose cariche negative grazie alle quali possono formare delle interazioni di
natura elettrostatica con cationi e interagire anche con l’acqua, conferendo al tessuto osseo (entro i
limiti) una certa elasticità e un sufficiente grado di idratazione.

PG legano poche unità di GAGs (una o due catene di GAGs) e si trovano localizzati nei pressi delle
cellule nelle zone non mineralizzate dell’osso, dove da un lato favoriscono la fibrillogenesi e dall’altro
legano il TGF-beta, induttore della proliferazione e del differenziamento delle cellule osteo-progenitrici
in osteoblasti.

 GLICOPROTEINE MULTIADESIVE
Queste macromolecole sono delle proteine con residui oligosaccaridici laterali. Perciò, in questo caso,
la componente proteica è prevalente rispetto a quella glucidica. Vengono sintetizzate dalle cellule
residenti fisse dei tessuti connettivali (gli osteoblasti nel tessuto osseo) e per modifica post-
traduzionale a carico del Golgi vengono glicosilate, per poi essere esocitate.

Nel tessuto osseo si parla di “glicoproteine multiadesive” per via della loro capacità di legare sia
componenti organiche che componenti inorganiche minerali, mediando sostanzialmente i contatti fra i
cristalli di idrossiapatite e la componente collagenica della matrice extracellulare.

1) OSTEOCALCINA: è un ormone peptidico (49 aa) sintetizzato dagli osteoblasti e in grado di


chelare gli ioni Ca2+ grazie a residui di acido glutammico 𝛾𝛾-carbossilati (enzima gamma-
carbossilasi, che ha come cofattore la vitamina K) e regolare il processo di mineralizzazione del
tessuto osseo inibendo la deposizione di cristalli di idrossiapatite e rallentando la
calcificazione. Stesso comportamento ha la proteina GLA della matrice. Topi KO per il gene
dell’osteocalcina mostrano ossa più corte date dalla calcificazione precoce della matrice. La
sua emivita è piuttosto breve, e dopo aver svolto la sua funzione, viene rilasciata neltorrente
ematico e metabolizzata dal fegato e dai reni. Degli studi hanno dimostrato che la sua sintesi è
favorita e incrementata dalla vitamina D, specialmente nella fase di crescita del tessuto osseo
e che circa il 20% di osteocalcina sintetizzata viene costitutivamente rilasciata nel sangue.
Queste molecole hanno altri destini, fra i quali stimolare la
produzione di insulina da parte delle cellule β del pancreas nonché la sintesi di
testosterone da parte delle cellule del Leydig nel testicolo.
È molto interessante il fatto che durante il rimodellamento osseo venga liberata nel sangue una
certa quantità di osteocalcina non carbossilata, la quale agisce come un segnale endocrino
andando a stimolare la produzione di adiponectina nel t. adiposo, la proliferazione delle cellule
beta del pancreas con conseguente aumento della secrezione di insulina. La stessa osteonectina
decarbossilata e l’adiponectina agiscono sul muscolo scheletrico stimolando la sensibilità
all’insulina (ricordiamo che nel muscolo scheletrico l’adiponectina stimola l’assunzione di
glucosio e a.g. e favorisce la beta-ox, mentre sul
fegato agisce stimolando la glicolisi, diminuendo la gluconeogenesi e diminuendo la sintesi di
a.g. . Tutto ciò avviene attraverso la via che coinvolge l’AMPK). A sua volta l’insulina agisce sul
t. osseo stimolando la produzione e secrezione di osteocalcina decarbossilata, in un
meccanismo a feedback positivo e forse questo circuito è coinvolto nell’insorgenza del diabete.
Topi KO per il gene codificante per l’osteocalcina decarbossilata mostrano una
alterazione del metabolismo glucidico e la tendenza ad accumulare tessuto adiposo.
L’osteocalcina non carbossilata agisce anche sulle cellule di Leydig nell’uomo, stimolando la
produzione del testosterone e ciò mostra un suo coinvolgimento sia nella fertilità maschile che
nello sviluppo dei caratteri sessuali secondari, in maniera ovviamente indiretta.
2) OSTEONECTINA: è una glicoproteina secreta dagli osteoblasti durante il processo di
osteogenesi. Ha una funzione strutturale e favorisce la mineralizzazione del tessuto osseo.
Mostra affinità sia per il collagene che per i cristalli di idrossiapatite, quindi media i contatti
fra queste due componenti nella matrice. È fosforilata quindi in grado di fissare il calcio. Topi
KO per il gene Spp1, che codifica per l’osteonectina, presentano fibre collagene I più sottili,
dimostrando come questa proteina non sia solo responsabile di una integrazione tra le
diverse componenti della matrice, ma intervenga anche nella promozione della maturazione
della componente fibrillare.

3) OSTEOPONTINA: fa parte della famiglia delle sialoproteine e ha anch’essa una funzione


strutturale, conferendo al tessuto osseo la possibilità di organizzarsi a formare osteoni e
trabecole. Sono glicoproteine multiadesive, caratterizzate dalla sequenza R-G-D, ovvero
arginina-glicina-aspartato, con cui interagiscono con recettori integrinici. Le sialoproteine
dell’osso (BSP I e II) appartengono alle proteine-SIBLING, ovvero proteine coniugate con
residui glucidici contenenti acido sialico, che permette l’interazione con gli ioni calcio e le
integrine. Nell’ambito delle glicoproteine multiadesive dell’osso rientrano anche le
fibronectine, che favoriscono il legame degli osteoblasti alla superficie ossea, mentre
l’osteopontina risulta fondamentale per l’adesione degli osteoclasti alla componente
fibrillare.

4) TROMBOSPONDINA: glicoproteina presente all’interno dei granuli α delle piastrine e


coinvolta nel processo di aggregazione piastrinica, essendo capace di legarsi al fibrinogeno.
Viene in parte sintetizzata anche dagli osteoblasti e nel tessuto osseo ha la funzione di
ancorare le cellule alla matrice minerale.

 PROTEINE MORFOGENETICHE DELL’OSSO (BMPs):

Sono responsabili della differenziazione delle cellule mesenchimali staminali a cellule della
linea osteocitaria nel processo di osteogenesi diretta (o membranosa) oppure delle cellule
della linea condrocitaria nel processo di osteogenesi indiretta (o endocondrale).

Componente inorganica

 20-25% Ca2+
 10% Fosfato inorganico (PO32-)
 2-4% Carbonato (CO32-)
 Altri ioni (tra cui Na+, Mg2+, Cl-, F-)
 H 2 O legata ai proteoglicani
 Cristalli di Idrossiapatite avente formula chimica Ca5(PO4)3OH

In particolare, i cristalli di idrossiapatite sono stabili e non idrosolubili; essi presentano una struttura
peculiare. L’idrossiapatite ha una struttura cristallina ed è prevalentemente costituite da ioni Ca2+ e ioni
fosfato e gli ioni idrossile.
Gli ioni Ca2+ e gli ioni P si dispongono a circoscrivere un esagono (da cui struttura prismatica) il cui centro è
occupato da Ca2+ e ioni idrossile. Questa struttura, quindi, presenta dei margini taglienti ed affilati, cosa
importante nel processo di mineralizzazione vero e proprio.

Componente cellulare del t. osseo


Il t. osseo consta di: osteociti, osteoblasti ed osteoclasti. I primi 2 hanno origine comune, infatti derivano
dalle cellule mesenchimali staminali e la loro differenziazione come BMP (bone morphogenic protein) e
TNPa1, mentre gli osteoclasti derivano dalla linea ematopoietica (sono cellule del sistema monocito-
macrofagico).

Osteociti
Sono la componente principale (oltre il 90%) e sono cellule di profondità che non vanno incontro a mitosi.
La matrice per le sue proprietà e il suo elevato grado di mineralizzazione non consente la diffusione delle
sostanze, quindi gli osteociti scavano nella matrice ancora non mineralizzata (quindi appena depositata,
osteoide, che sarà mineralizzata successivamente: biomineralizzazione) dei sottilissimi canalicoli ossei in cui
estendono i loro prolungamenti citoplasmatici, più o meno lunghi e ramificati. I canalicoli si anastomizzano
con quelli provenienti dalle lacune (quindi dagli osteociti) circostanti; alcuni di essi si aprono sulle superfici
vascolarizzate del tessuto osseo (canali di Havers e spazi midollari). Tramite questo complesso sistema di
canalicoli e prolungamenti, gli osteociti possono effettuare scambi metabolici tra di loro e con il sistema
circolatorio. Gli scambi sono inoltre favoriti dalla presenza di giunzioni comunicanti (gap junctions) tra le
estremità dei prolungamenti degli osteociti che permettono di far arrivare il giusto apporto di sostanze
nutritive anche agli osteociti più distanti dai vasi.
Per la loro disposizione, gli osteociti sono classificati come cellule di profondità e derivano da osteoblasti
(che invece sono cellule di superficie) che rimangono inglobati nella matrice prodotta da essi stessi e dagli
altri osteoblasti posti più esternamente con un meccanismo apposizionale. Una volta diventati osteociti,
essi non saranno più coinvolti nei processi di rimodellamento dell’osso che prevedono lo smantellamento e
ricostruzione (turnover) degli osteoni e sono a carico di osteoblasti e osteoclasti; si tratta infatti di cellule in
stato di quiescenza osteoformativa, cioè prive di attività secretrice.

In realtà gli osteociti non sono cellule del tutto quiescenti ma sono responsabili di:
 regolazione della calcemia: si distinguono in osteociti
-quiescenti (non variano la calcemia)
-riassorbenti (assorbono il Ca2+ dalla matrice ossea immettendolo nel sangue innalzando la
calcemia)
-formativi (assorbono il Ca2+ dal sangue e lo utilizzano per formare matrice ossea, quindi
abbassano la calcemia)
turnover delle componenti della matrice ossea

Osteoblasti
Sono cellule di superficie e si occupano della deposizione di una matrice osteoide, cioè non mineralizzata, e
che poi sarà successivamente mineralizzata in una fase di cosiddetta biomineralizzazione del tessuto osseo.
Gli osteoblasti, una volta sintetizzata la matrice, sono inglobati da essa e diventano osteociti.

Osteoclasti
Questi sono responsabili del riassorbimento della matrice ossea in risposta a stimoli locali o
sistemici. Sono anch’essi cellule di superficie. Essi hanno un’origine molto distante rispetto agli
altri citotipi del tessuto osseo che abbiamo analizzato. Derivano infatti dalle cellule staminali
mieloidi multipotenti (CFU-GEMM: Colony forming unit – ganulocyte, erithrocyte, monocyte-
macrophage;) che si differenziano in cellule staminali emopoietiche mononucleate (CFU-GM),
anche dette GMP, cellule progenitrici dei granulociti-macrofagi. Gli osteoclasti derivano quindi da cellule
con grandi capacità di fagocitosi (granulociti e monociti).
Dal punto di vista ultrastrutturale, si tratta di sincizi (= cellule derivanti dalla fusione di
cellule preesistenti) di grandi dimensioni (20-100 µm).
Dal punto di vista funzionale, si distinguono:
 Osteoclasti a riposo: sono liberi, mobili, non aderiscono cioè a una superficie; hanno una forma
indefinita e irregolare per la presenza di pseudopodi lamellari; gli organuli citoplasmatici hanno una
distribuzione casuale
 Osteoclasti attivi: quando gli osteoclasti raggiungono una superficie ossea e entrano in contatto con
essa e acquistano una ben definita polarità: retraggono gli pseudopodi, sviluppano un riffled border a
livello della zona di riassorbimento e qui, nell’osso, si forma una fossetta detta lacuna di Howship.
Questo ambiente e caratterizzato da pH acido (~ 4,5) per la presenza di pompe protoniche che
permettono l’azione ottimale degli enzimi idrolitici (idrolasi acide) qui liberati, tra cui: collagenasi,
metalloproteasi (MMP) e proteasi lisosomiale. E importante che questo spazio rimanga perfettamente
confinato ad una precisa regione.

Marker di attività osteblastica ed osteoclastica


Importanti informazioni derivano dalla ricerca dei marcatori sierici dell’attività osteoblastica ed
osteoclastica utili a scopo diagnostico es. di fratture, diversi tipi di tumori ossei ecc.

Processo di biomineralizzazione
È un processo fisiologico tipico del tessuto osseo. Consiste nella fissazione e deposizione di minerali della
matrice organica. Si formano dei nuclei di mineralizzazione perché la formazione diretta di cristalli di
idrossiapatite è termo dinamicamente sfavorevole, quindi la cellula produce dei precursori metastabili che
poi, con una successiva aggiunta di ioni, si assemblano a formare i cristalli di idrossiapatite.
L’inizio della mineralizzazione richiede una combinazione di eventi come:
 aumento della [ioni precipitanti] locale;
 formazione di nuclei di calcificazione;
 rimozione degli inibitori della calcificazione.

Il processo di calcificazione dell’osso è preceduto dalla formazione di una rete di collagene prodotta dagli
osteoblasti. Questa rete di collagene, infatti, tende a intrappolare gli osteoblasti stessi, che perdono la loro
capacità migratoria. In questa situazione le cellule sono sensibili alla variazione di [Ca2+]: degli specifici
recettori per il Ca2+, una volta attivati, favoriscono l’attività di mineralizzazione mediata dagli osteoblasti
1. Gli osteoblasti producono gli elementi della MEC fibre collagene, glicosamminoglicani, proteine dei
proteoglicani, e altre proteine calcio fissatrici (osteonectina, trombospondina) e li riversano nell’ambiente.
2. L’osteoblasta comincia a esocitare vescicole contenenti ioni, infatti perché la mineralizzazione inizi, è
fondamentale che:
 [Ca2+] extracellulare > 1.4 mM; sembra che i mtc partecipino essendo dei depositi di Ca2+
 [Pi] extracellulare > 1.9 mM
 pH = 7,58
(esistono inibitori che abbassando il pH inibiscono la mineralizzazione, vedi dopo)
3. A queste condizioni, le membrane plasmatiche degli osteoblasti producono VME = vescicole della
matrice extracellulare originate per evaginazioni della membrana plasmatica degli osteoblasti contenenti
Ca2+, Pi, alcuni enzimi come la fosfatasi alcalina (idrolasi che catalizza la rimozione di gr P) lipidi acidi (cioè
carichi -) che favoriscono l’accumulo di Ca2+, catione attratto dalle loro cariche negative.
Il professore suggerisce che le vescicole e il calcio in esse contenuto possono provenire anche dai mitocondri
che in questo caso servono a fornire ioni e membrane.
In queste vescicole si formano e iniziano a depositarsi i primi cristalli transienti (CaHPO4; CaHPO4 x 2H2O),
soprattutto subito sotto la membrana delle vescicole e probabilmente quando le VME (vescicole della MEC)
sono ancora distanti dal collagene.
L’inizio della cristallizzazione avviene quindi fuori della cellula e questo è importante perché se avvenisse
all’interno, questi cristalli provocherebbero la lisi della cellula oltre ad attivare le fosfolipasi (vedi dopo).
4. All’interno delle VME si accumulano altri ioni come altro calcio, fosfato, magnesio, sodio, potassio, ecc.
grazie all’azione di pompe e carrier, in particolare, ricordiamo:
 Scambiatrice di ioni Na+/K+
 Scambiatrice di ioni Na+/Ca2+
 Simport di ioni fosfato e Na+
 Vari enzimi che fanno sì che gli ioni possano entrare nella VMP, es. Fosfatasi Alcalina degrada il PPi
(e altri composti fosforilabili) internalizzando il Pi, cosa importante perché i PPi è un inibitore della
mineralizzazione.
NB. gran parte di questi ioni (soprattutto Ca2+ e fosfato) sono chelati da proteine tampone che
impediscono che la mineralizzazione avvenga già a livello della vescicola della matrice extracellulare (calcio
e fosfato infatti potrebbero associarsi a formare i Sali di calcio e fosfato). In particolare, le proteine che
legano il fosfato sono capaci di legare anche altri anioni organici.
5. All’esterno, i precipitati di calcio con i fosfolipidi acidi favoriscono la formazione di idrossiapatite che può
a sua volta causare la lisi di vescicole adiacenti, da cui l’interno di queste vescicole è riversato nella matrice.
Alla luce di questi avvenimenti si può affermare che le vescicole della MEC sono il sito iniziale di formazione
dei cristalli, che diventano centri di nucleazione su cui successivamente si accresce il minerale di
idrossiapatite. L’idrossiapatite poi attiverebbe delle fosfolipasi (si trovano fuori dalle vescicole), inducendo
la lisi della VME e il rilascio del loro contenuto.
La lisi della cellula può essere indotta da formazione di cristalli al suo interno o formazione di piccoli cristalli
all’esterno della cellula che attivano le fosfolipasi inducendo la lisi della cellula.

È stato osservato che il collagene I contribuisce alla bio-mineralizzazione perché possiede delle vere e
proprie lacune nella sua struttura determinate dalla distanza tra un legame crociato e l’altro. Questi spazi
favoriscono l’annidamento delle vescicole della MEC (proprietà pro-mineralizzate), quindi i cristalli di
idrossiapatite crescono per continua apposizione di Ca2+ e Pi secondo un processo di propagazione che è
vettorialmente orientato dalle fibre collagene.
Inoltre, in queste lacune possono trovarsi anche delle glicoproteine, come l’osteonectina e la
trombospondina che favoriscono la nucleazione, dal momento che legano il Ca2+.

IPOFOSFATASIA
Si tratta di una malattia metabolica legata alla mutazione del
gene che codifica per la ALP (fosfatasi alcalina). Questo
implica che:
 non si riesca a idrolizzare il PPi che quindi agisce come inibitore della biomineralizzazione
 si accumulino Ca2+ e Pi che non vengono utilizzati nella biomineralizzazione sia nel sangue che
nelle urine (e possono determinare insufficienza renale) e in sedi ectopiche (possono determinare
situazioni infiammatorie)
Si osserva quindi un quadro di difetti di mineralizzazione di ossa e denti e alterazioni metaboliche quali
ipercalcemia, iperfosfatemia, ipercalciuria.
(N.B. La funzione dell’irisina è stata già spiegata del professore al termine del tessuto muscolare)

RIMODELLAMENTO OSSEO
La formazione e il riassorbimento del tessuto osseo sono processi regolati dall’attività di osteoblasti
(osteogenesi) e osteoclasti (osteolisi). Si stima che annualmente ~ 10% del t. osseo sia rinnovato. Si tratta di
un equilibrio dinamico:
 Prevalenza della fase osteogenica durante la crescita e la riparazione tissutale;
 Equilibrio in età adulta;
 Prevalenza della fase di riassorbimento in età avanzata.
Il Rimodellamento osseo dipende da:
 Calcemia, per la matrice

 Aa, per il collagene (se la qtà degli aa utili nel sangue è troppo bassa, è frenata la sintesi del
collagene)
In generale la secrezione del collagene è stimolata da:
 sforzi muscolare (impulso mediato da irisina che ha la funzione di trans-differenziare gli adipociti
bianchi in beige e qui permette la secrezione di maggiore matrice collagenica ed aumentare la
massa ossea)
 ormone della crescita, secreto dall’adenoipofisi che ha effetti diretti metabolici diretti che indiretti
mediati dal fegato che produce somatomedine
Inoltre, è importante considerare la qtà di estrogeni (se aumentano, inibiscono gli osteoclasti).

RIASSORBIMENTO OSSEO
Avviene ad opera degli osteoclasti, tuttavia in vitro si è visto che la loro azione non può procedere in
mancanza di osteoblasti i quali:
 rivestono l’osso formando una pellicola sinciziale
 Espongono recettori in grado di attivare il riassorbimento osseo (recettori calcio-mobilizzanti,
assenti negli osteoclasti) che legano i fattori calcio mobilizzanti, quali:
 paratormone (PTH)
 vitamina D
 Interleuchina 11 (IL-11)
 Prostaglandina E2 (PGE2)
Processo:
1. Gli osteoblasti legano i fattori calcio-mobilizzanti e producono i cosiddetti fattori paracrini che sono in
grado di stimolare le cellule osteoclastiche, in particolare li attivano, ne aumentano la proliferazione e
ne inibiscono l’apoptosi. I fattori paracrini sono detti anche fattori RANKL (RANK-L = RANK ligando;
RANK è il recettore) che appartengono a una famiglia di citochine definite TRANCE (TNF- related
activation induced cytokine) o ODF (osteoclast differentiation factor).
NB. Gli steroidi (dexametasone) oppure i glucocorticoidi aumentano l’espressione dei RANKL stimolando
l’osteolisi.
2. I RANKL legano i recettori sulla membrana dei pre-osteoclasti e ne stimolano la differenziazione e
fusione a formare gli osteoclasti latenti. In particolare, la via di segnalazione di RANKL: un pre-
osteoclasto lega RANKL, poi si attiva la proteina TRAF-6 che lega i fattori di trascrizione nucleari: NF-Kß
e JNK e agisce sul sistema c-Src). Questi promuovono il differenziamento dei pre-osteoclasti in
osteoclasti e ne promuovono la sopravvivenza modificandone il citoscheletro in una conformazione più
idonea per favorire l’azione osteolitica.
3. Gli osteoclasti latenti possono essere attivati se entrano a contatto con la matrice ossea e in particolare
con l’osteopontina. Diventano quindi osteoclasti attivati che si attaccano alla superficie dell’osso e
diventano cellule polarizzate: sono caratterizzati da un riffle coat e delle pompe protoniche utili al
riassorbimento osseo in quanto permettono di acidificare l’ambiente e attivare enzimi lisosomiali (es.
anidrasi carbonica). Questi osteoclasti possono quindi agire nel riassorbimento osseo, in particolare:
 Dissoluzione della componente minerale: solubilizzazione dell’idrossiapatite mediante l’azione della
pompa protonica ATPasica, che rilascia H+ acidificando l’ambiente e che quindi attiva diversi enzimi
a livello della lacuna di Howship tra cui l’anidrasi carbonica.
 Dissoluzione della matrice organica ad opera di:
-Catepsina K: attività collagenasica, è più espressa negli osteoclasti
-Metallo proteasi: di origine sia osteoblastica sia osteoclastica;
-Serine-proteasi: come il plasminogeno attivatore e la plasmina.
Il materiale organico e inorganico degradato dagli osteoclasti viene da essi endocitato, accumulato
in vescicole e infine secreto a livello della membrana baso-laterale.
NB. avverrà prima il riassorbimento della parte minerale e poi quello della matrice organica.

Una funzione simile ai fattori RANKL è svolta da M-CSF (macrophage colony stimulating factor) che
potenziano la formazione delle cellule pre-osteoclastiche (cioè ne favoriscono la proliferazione) a partire
dalle cellule staminali del midollo osseo.

Ruolo del sistema immunitario


Quando è in corso un’infezione, i linfociti T producono una serie di interleuchine (vedi foto) e il TNF-α, che
alimentano la via dei RANKL incentivando il riassorbimento osseo e l’attività osteoclastica.

Sclerostina
In caso di riduzione del carico, gli osteociti rilasciano la sclerostina, glicoproteina esclusiva degli osteociti
prodotta a partire dai geni SOST. La sclerostina agisce sul recettore LRP5/6 degli osteoblasti, andando a
inibire l’attivazione del segnale WNT, così da impedire la secrezione di RUNX2, il quale è essenziale per il
differenziamento e l’attività
degli osteoblasti.

Osteoprotegerina
Tra i fattori che invece inibiscono l’azione degli osteoclasti, ricordiamo l’osteoprotegerina (OPG), proteina
di 55 kDa secreta dagli osteoblasti (quindi gli osteoblasti regolano il processo di riassorbimento osseo anche
in senso negativo) in forma omodimerica (di 110 kDa) anche detta decoy receptor in quanto lega i fattori
RANKL al posto degli osteoclasti impedendone la differenziazione e “proteggendo l’osso” (è anche detta
“proteina protettrice dell’osso”).

La sintesi di osteoprotegerina è:
 Attivata da: estrogeni e TGF-ß
 Inibita da: fattori calcio-mobilizzanti (che hanno effetto opposto in quanto come già visto,
incentivano il riassorbimento osseo)

Esiste un’omeostasi tra secrezione di osteoprotegerina, fattori RANKL e M-CFS e alterazioni di questa
provocano condizioni patologiche.

Osteoporosi
È una perdita di tessuto osseo, dovuta a un eccessivo riassorbimento. Sopraggiunge quando, a causa di un
calo ormonale, non viene stimolata a sufficienza la sintesi di osteoprotegerina. Infatti è molto frequente tra
le donne in menopausa, che non producono più abbastanza estrogeni. Può anche essere dovuta a uno
stress ossidativo per eccesso di ROS, che stimolano la via dei RANKL causando riassorbimento osseo. Per
questo motivo spesso può essere curata o trattata con antiossidanti, per controllare la produzione di ROS.
È stato da poco approvato anche il trattamento con irisina che, come già detto, favorisce la
mineralizzazione.

Osteopetrosi
Malattia ereditaria del tessuto osseo che comporta un aumento di densità ossea associata ad una
diminuzione degli osteoclasti (dovuta a un aumento degli OPG) o ad una mutazione del gene che codifica
per l’anidrasi carbonica, fondamentale nel riassorbimento osseo.
Le forme gravi possono portare a un restringimento delle cavità midollari con conseguenti alterazioni
dell’attività emopoietica, anemia, infezioni frequenti ed epato-splenomegalia, calcificazione dei grandi vasi,
con formazione di ateromi.
Si è pensato di poter curare l’osteogenesi imperfetta, dovuta ad un’anomalia genica che porta ad una
minor densità ossea, somministrando OPG. Si è visto che tuttavia l’esposizione a varie [OPG] sia in individui
sani che affetti da osteogenesi imperfetta, si aveva uno sviluppo dei classici sintomi dell’osteopetrosi.
L’osteogenesi imperfetta è data infatti dalla sostituzione della Gly con la Cys nel gene per le catene a del
collagene (cioè mutazioni per matrice organica ossea), la OPG invece protegge l’osso dalla de-calcificazione
(agisce quindi sulla matrice inorganica).
I metabolismi del calcio e del fosfato

Il calcio
Un uomo adulto normopeso (70 kg) possiede una massa compresa t ra 1.1e 1.5 kg di calcio. Il calcio si
distribuisce all’interno del nostro organismo:
- per il 98% a livello del tessuto osseo a formare sali di calcio (cristalli di idrossiapatite)
- per l’1% a livello plasmatico
- per l’1% a livello cellulare (sia a livello dei fluidi extracellulari, sia a livello citosolico)
Il fabbisogno giornaliero di calcio raccomandato per un uomo adulto è pari a circa 800 mg. Questo valore è
variabile a seconda dell’et à o delle condizioni in cui si trova la donna (gravidanza, allattamento…). E’
interessante notare come una donna senile debba assumere una quantità di calcio quasi doppia (1500 mg)
rispetto a un uomo adulto.
Le principali fonti alimentari di calcio sono il latte e i suoi derivati perché contengono la caseina, una proteina
presente sotto forma di sali di calcio.
Nello stomaco, a causa dell’ambient e fortemente acido (pH compreso tra 1e 3), il calcio si trova in forma
ionizzata, mentre a livello duodenale, in cui l’ambiente è più basico (pH compreso tra 6 e 8), si
ricompongono i sali di calcio. E’ proprio a livello duodenale che avviene gran parte del riassorbimento di
calcio.

Il calcio può essere assorbito mediante due vie:


- Tr anscel l ul ar e (Attraverso la cellula): è un t ipo di assorbimento vitamina D- dipendente.
Il calcio, presente nel lume intestinale, viene t rasportato all’int erno del citosol degli
enterociti mediante il trasportatore TRPV6 (Transient Receptor Potential Cation Channel
subfamily V member 6). Qui il calcio si lega alla calbindina, proteina legante il calcio che
impedisce che quest’ultimo possa precipitare sottoforma di sali nel citosol e di
conseguenza formar e
calcificazioni a livello enterocitario. Il calcio viene rilasciato dalla calbindina e può passare dal
citosol all’ambiente interstiziale mediante due pompe: NCX1, la quale fa uscire un ione calcio in
antiport con tre ioni sodio, oppure mediante una pompa che fa uscire uno ione calcio in
antiport con un protone. A livello interstiziale, il calcio può diffondere nei capillari ed entrare nel
flusso ematico.
- Par acel lul are: Il calcio diffonde direttamente dal lume all’ambient e interstiziale. Questo t
ipo di t rasporto è vitamina D- indipendente: dipende dalla concentrazione di calcio nel
lume.
Nelle donne senili si ha una riduzione dell’espressione del gene che codifica per TRPV6: di conseguenza, per
ottenere lo stesso effetto sistemico, esse devono assumere una quantità di calcio maggiore rispetto ad uomo
adulto.
Effettuando il knock- out del gene che codifica per TRPV6 nei topolini, è stato dimostrato come in questi si ha
non solo un assorbimento di calcio molto meno efficiente rispetto ai topolini wild- type, ma anche una maggiore
espressione del gene che codifica per TRPV5, un altro trasportatore per il calcio sempre presente a livello
enterocitario, per compensare la mancanza di TRPV6.
Il trasporto di Ca2+ viene regolato dalla vitamina D. Nello specifico, in condizioni di ridotte concentrazioni di Ca2+
esogeno o in condizioni di ipocalcemia, vi è l’aumento della “biosintesi” di calciotriolo (forma attiva della vitamina
D3) che produce un effetto stimolante nella sintesi di proteine in grado di legare calcio (calcium-
binding proteins) che faciliteranno trasporto e ingresso di calcio all’interno delle cellule, provocando un
aumento a lungo termine dell’assorbimento intestinale di Ca2+. In condizioni invece di elevate concentrazioni di
calcio esogeno o in condizioni di ipercalcemia, avviene l’esatto opposto. L’assorbimento, inoltre, viene
accentuato dal Paratormone, mentre viene inibito dai glucocorticoidi (cortisolo).

Ci sono altri fattori che influenzano l’assorbimento di calcio:

Cont enuto net t o di calci o nei past i : l’asso rb im ento è p iù efficace se l’ap porto di
calcio vie ne dilazionato nel corso della giornata piuttosto che essere assunto in un
unico pasto
- Sodi o: L’assu nzio ne di 1 g di sod io comporta la perdita ur in aria di 26.3 mg di calcio
- Ossalat i, Acido Fi ti co e Fi t ati (Inibit ori): sono agenti chelan t i che formano sali le gando il
calcio .
Il calcio non può né dissociare, né essere assorbito a livello intestinale .
- Pept i di caseinici e del si er o (Promotor i): imped isco no che il calcio prec ip it i
sottoforma di sali, favorendone l’assorbimento.

A livello sierico, la concentrazione di calcio ottimale è pari a 9- 11 mg/ d L (2.2- 2.6 m M). Nel sangue il
calcio può trovarsi in t re forme:
- diffusibile (49%): io ni libe r i
- diffusibile legat a: calcio complessato a citrato, lat tato, fosfato e bicarbonato
- non diffusibile (47%): calc io comp le ssato ad albu mina (1 g di albumina le ga 0 .9 mg di calc
io )
il p H ematico influisce sulla forma in cui il calcio può trovarsi: l’aumento di 0 .1 unità di p H ematico comporta la
diminuzione del 4% della concentrazione di calcio in forma libera. E’ importante dunque che sia il pH
ematico, sia la calcemia siano valori strettamente regolati.
Si ha ipocalcemia quanto la concentrazio ne di calcio sie r ica è m in ore di 8.8 mg/ d L (minore di 2.2 m M)
Si ha ip ercalcemia quando la concentrazione di calcio sierica è maggio re di 10 .4 mg/ d L (maggio re di
2.6 m M). I segni di Chvostek e di Trousseau possono essere utilizzati per capire se un soggetto è
ipocalcemico: il segno di Chvostek consiste nella st imo lazio ne del nervo al davanti del meato
acustico esterno a cui il paziente ipocalcemico reagisce con uno spasmo facciale. Il segno di Trousseau
consiste nel d iminuire l’afflusso di sangue al braccio mediante sfigmomanometro, a cui il paziente reagisce con
uno spasmo carpale.

A li vello citosolico, la concentrazione di calcio ottimale è compresa tra 10 e 10 0 n M: il valore è mantenuto


costante grazie a pompe per il calcio ATP- dipendenti:
- SERCA (Sarco/ Endop lasm atic Reticu lum Calcium ATPase ): presente sulla m embrana
del RE, questa pompa sequestra calcio dal cit osol all’in terno de lle cist erne del RE
- PM CA (Plasmatic Membrane Calcium ATPase): presente sulla membrana plasmatica,
questa pompa espelle io ni calcio dalla cellu la
Il fosfato
Rappresenta ‘1% del nostro peso corporeo. La concentrazione ematica ottimale di fosfato è di 3- 4.5 mg/ dL e
il rapporto ottimale tra la concentrazione di calcio e di fosfato è pari a 2:1. Il fosfato si trova per l’80% in forma
divalente (HPO4 2- ) e per il 20% in forma monovalente (H2PO4- ). Esso, oltre a formare cristalli di
idrossiapatite assieme al calcio a livello osseo, è un costituente di acidi nucleici, proteine e fosfolipidi.
- In condizioni di ipofosfat emia (concentrazione di fosfato infer iore a 2.5 mg/ dL)
intervengono due fattori per riportare la fosfatemia ai valori normali: la Vitamina D e la
demolizione della componente mineralizzata dell’osso (rompendo i cristalli di idrossiapatite,
il fosfato può essere immesso in circolo).
- In condizioni di iper fosf at emi a (concentrazione di fosfato maggiore di 4.5 mg/ dL)
intervengono due fattori per riportare la fosfatemia ai valori normali: la formazione dei cristalli di
idrossiapatite (il fosfato in circolo viene riassorbito a livello osseo per formare sali) e
un’aumentata escrezione urinaria (tuttavia l’85% di fosfato viene riassorbito a livello dei tubuli
prossimali e distali: solo il 15% può essere escreto).
Il fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23) interviene nella regolazione dell’omeostasi del fosfato ematico.
Esso è prodotto da osteoblasti e osteoclasti in risposta ad un aumento della concentrazione ematica di
vitamina D, e quindi, in risposta ad un aumento della concentrazione ematica di fosfato.
Esso ha due effetti:
- inibi sce l ’enzi ma 1- i dr ossi lasi e at t i va l ’enzi ma 24- i dr ossi l asi : 1- idrossilasi
contribuisce alla sintesi della forma attiva della vitamina D (calcitriolo), mentre 24-
idrossilasi può inattivare la forma attiva oppure può bloccare il processo di attivazione del
precursore della forma attiva. Si verifica dunque una diminuzione della concentrazione di
vitamina D in forma attiva e un aumento della concentrazione di vitamina D in forma inattiva. Il
risultato sarà un ridotto assorbimento intestinale di fosfato.
- Ri duce l ’espr essi one dei geni che codi f i cano per i t r aspor t at or i di fosfat o pr esent i a
l i vello renal e (I Ia, I Ic e NPT2). L’effetto sarà un r idotto r iassorbimento renale di fosfato
e di
conseguenza, un’aumentata escrezione urinaria.
In entrambi i casi, si ottiene lo stesso risultato: la diminuzione della concentrazione ematica di fosfato. Nella
malattia renale cronica, a causa di un danno funzionale a livello renale, vengono compromessi i meccanismi
di regolazione dell’omeostasi e di escrezione di fosfato e di calcio: si può avere infatti una condizione di
iperfosfatemia e questo comporta un aumento della sintesi di FGF23. Come visto
precedentemente, si ha una diminuzione della concentrazione di vitamina D in forma attiva per riportare la
fosfatemia ai livelli normali, ma questo comporta un ridotto assorbimento intestinale e osseo di calcio,
nonché una diminuzione della concentrazione ematica di calcio.
FGF23 agisce anche sulle paratiroidi riducendo la produzione di PTH, andando anche in questo caso a ridurre
l’assorbimento di calcio.

I trasportatori di fosfato possono essere di due tipi:


- tipo II (IIa e IIc a livello renale, IIb a livello intestinale). Prediligono il fosfato in forma divalente
e possono essere inibiti da PFA (Acido Fosfonoformico).
- tipo III (PiT1a livello intestinale, PiT2 a livello renale). Sono localizzati a livello delle membrane
basolaterali delle cellule dei tubuli prossimali/ enterociti. Permettono l’ingr esso nelle cellule
del fosfato proveniente dall’ambiente interstiziale. Prediligono il fosfato in forma
monovalente e non vengono inibit i da PFA.
Il calcio nel plasma deve essere in equilibrio con il calcio nel liquido interstiziale. La sua omeostasi viene
accuratamente modulata da tre ormoni:

• PTH
• Calcitonina (contrasta l’azione del PTH e della vitD)

• 1,25 diidrossicolecalciferolo (1,25 DHCC) (vit D attiva)

PARATORMONE

Il PTH (paratormone) è un ormone peptidico (84 amminoacidi) secreto da 4 ghiandole poste nel collo,
dietro la tiroide. La sua biosintesi prevede la formazione di un precursore iniziale, pre-pro- PTH, dotato
di una sequenza di 115 aa. La lunghezza maggiore della sequenza aa rispetto all’ormone finale è dovuta
ad una coda idrofobica aggiuntiva. Questa coda permette al pre-pro- PTH di penetrare nel RE, all’interno
del quale viene convertito in pro-PTH (90 aa) attraverso un’attività peptidasica, la quale stacca 25aa di
questa coda idrofobica. Successivamente avviene un’altra escissione di 6 aa a livello dell’apparato di
Golgi, e viene accumulato in vescicole di secrezione in prossimità della membrana plasmatica.
La secrezione è stimolata da bassi livelli di Ca2+ ed è invece soppressa da alti livelli di Ca2 La

produzione di PTH viene controllata a diversi livelli:

-Calcemia → si osserva che il rilascio di PTH è tanto maggiore quanto minore è la [Ca2+]
plasmatico, il Ca2+ quindi risulta essere il principale regolatore del rilascio del PTH
Il riconoscimento della [Ca2+] sierica è data da uno specifico recettore di membrana delle cellule
paratiroidi, il recettore CASR*.

(precisare che la concentrazione plasmatica a cui rispondono le variazioni di PTH si riferisce ai valori di
calcio in forma diffusibile, libera, nel sangue, Ca2+ ,che varia dai 4.4 ai 5.4mg/dl.)

→→ [Ca2+] > 5,5 mg/dl → min secrezione PTH


→→ [Ca2+] < 3,5 mg/dl → max secrezione PTH

-Controllo della produzione del PTH tramite velocità di sintesi e degradazione → In condizioni di
calcemia normale, l’80% del PTH prodotto viene degradato dalle vescicole lisosomiali. A seguito
dell’abbassamento dei livelli di calcemia, poi, la quota di PTH degradato si abbassa del 50%, pertanto
aumenta la quota di ormone rilasciato. Inoltre aumenta anche la velocità di sintesi del pre-pro-PTH;
-Controllo attraverso la vitamina D → La vitamina D controlla i livelli di produzione di mRNA
codificanti per il pre-pro-PTH, inibendo la sintesi nel caso di calcemia normale o ipercalcemia

-Controllo della secrezione del PTH attraverso Mg2 → In caso di ipomagnesemia si ha una
diminuzione della secrezione dell’ormone.
*RECETTORI CASR
I recettori CASR (calcium sensing receptor) delle paratiroidi percepiscono la Δ[Ca2+] plasmatico e
regolano di conseguenza il rilascio di PTH. Si tratta di recettori dimerici associati a proteine G
di 2 tipi:
- Gq coinvolta nella via dei fosfoinositidi
- Gi che inibisce l’adenilato ciclasi
Processo (recente scoperta): In condizioni di ipercalcemia → è inibita sia la sintesi che il rilascio di
PTH. In particolare, sono attivate:
- La Gq che attiva la PLC (fosfolipasi C), da cui si ottengono Fosfoinositolo-3,4,5-trifosfato il quale
apre i canali del Ca2+a livello del REL; il DAG
L’aumento del Ca2+ e il DAG vanno ad attivare la PKC la quale, con meccanismi ancora ignoti, va ad
attivare dei fattori di trascrizione (MEK ed ERK1/2) che inibiscono la sintesi del paratormone agendo a
livello nucleare
- La Gi che inibisce l’adenilato ciclasi , da cui minori cAMP e questo inibisce il rilascio di PTH
In condizioni di ipocalcemia → in questo caso il recettore CASR non è attivato e quindi l’adenilato
ciclasi non è inibita, quindi si ha un aumento del [cAMP] ed è possibile il rilascio del PTH.
NB. In realtà l’aumento del cAMP non dipende solo dall’ipocalcemia, ma può essere dovuto anche ad altri
fattori ( basse [Ca2+]; catecolammine ad azione β-adrenergica; dopamina; PGE1(prostaglandina E1);
l’cAMP diminuisce a seguito dell’intervento degli agonisti α- adrenergici.

Patologia: ipercalcemia ipocalciurica familiare → è causata da un’alterata struttura del recettore CASR che
lo rende insensibile al Ca2+, per cui si ha un rilascio del PTH che induce un’ipercalcemia cronica ([Ca2+]
ematica ~ 11mg/dl) e una minor secrezione di Ca2+ con le urine (quindi è colpito il rene in quanto il PTH
determina un maggior riassorbimento di Ca2+ a livello dei tubuli renali).

Trasduzione del segnale

Il PTH esercita diverse funzioni nell’organismo , anche se il ruolo centrale è ovviamente quello di
ristabilire i valori normali di Ca2+ nel caso in cui l’organismo incorra in condizioni di ipocalcemia. si lega a
specifici recettori di membrana costituiti da 7 eliche transmembrana che coinvolgono il metabolismo di
IP3 e DAG come secondi messaggeri.

Il PTH esplica le sue azioni attraverso il legame con un recettore specifico (PTH-R), della famiglia dei
recettori accoppiati a proteine G che può agire attraverso la via dell’cAMP (mediante proteine G s) o la via
dei fosfoinositidi (mediante proteina Gq). Ci sono due isoforme:
-PTH1R: espresso sugli osteoblasti, cellule del tubulo renale;
-PTH2R: espresso sulle cellule del pancreas e del SNC

L’ormone agisce direttamente sul tessuto osseo e sul rene e indirettamente sull’intestino, agendo sulla
sintesi dell’1,25(OH)2D. L’azione combinata su rene ,osso e intestino porta all’aumento della calcemia con
riduzione della fosfatemia
EFFETTI SISTEMICI del PTH:

A livello dell’OSSO grazie all’intervento dell’cAMP, la cui sintesi aumenta per effetto
dell’ormone stesso. La sua azione porta a:

- promozione del riassorbimento del tessuto con la dissoluzione della componente organica e
mineralizzata. Questo processo vede il PTH come un fattore calcio-mobilizzante che attiva gli
osteoblasti, impedendo l’apoptosi degli stessi così da aumentare la produzione di matrice ossea,
gli osteoblasti rilasciano i fattori paracrini RANKL necessari ad attivare gli osteoclasti.

- La dissoluzione dell’idrossiapatite è favorita anche da un altro intervento del PTH, ovvero


dall’aumento della glicolisi anaerobia che porta alla produzione di lattato e H+, che favorisce la
formazione di un microambiente acido in cui l’idrossiapatite può essere degradata. L’azione del
PTH avviene in maniera tardiva a questo livello (ore).

- Nel TUBULO RENALE il PTH induce un maggior riassorbimento di Ca2+dalla pre-urina


principalmente a livello dell’ansa di Henle e del tubulo contorno distale;
- un aumento della secrezione (nell’urina) di [cAMP] e Pi, in particolare la maggior secrezione di
fosfato è funzionale in quanto avere alte concentrazioni sia di Ca2+che di Pi a livello ematico
porterebbe alla formazione di Sali di Calcio e fosfato che precipiterebbero con conseguenti
danni;
- aumento della clearance (secrezione) di ioni Na+, K+ e HCO3- e diminuzione di quella di ioni
Mg2+ e H+;
- stimolazione della sintesi del calcitriolo mediante attivazione della idrossilasi che lo
idrossila in posizione 1.

- Nell’INTESTINO il PTH ha azione indiretta (mediata dalla vitamina D). Il PTH, infatti, attiva
l’enzima 1-idrossilasi, il quale sintetizza la forma finale della vitamina D. Questa sostanza, poi,
aumenta il trasporto intestinale di Ca2+ ed il riassorbimento osseo, l’azione del PTH avviene in
maniera molto tardiva a questo livello, sortisce i suoi effetti nel giro di giorni.
CALCITONINA

La calcitonina (CT) è un altro importante ormone che regola la calcemia e risulta avere un ruolo
antagonista al PTH. La calcitonina è un ormone costituito da un polipeptide di 32 amminoacidi che viene
prodotto, negli esseri umani, dalle cellule parafollicolari della tiroide (note anche come cellule C, da clear,
chiaro, per la loro scarsa colorabilità al microscopio ottico rispetto ai tireociti).

. La calcitonina viene codificata dal gene CALC1 che codifica per la pre-pro-calcitonina.
La produzione di CT, tuttavia, è possibile anche da alcune cellule del SNC, che sintetizzano principalmente
un peptide simile a questo ormone. l’mRNA che codifica per la CT ha un peso molecolare molto alto,
quindi possiede ben più codoni di quelli necessari alla sintesi della CT. Questa discrepanza si spiega col
fatto che l’mRNA va incontro a fenomeni di splicing, che porta alla formazione sia dell’mRNA della CT vera
e propria che alla sintesi di un peptide simile alla CT (CGRP, Calcitonin Gene-Related Peptide che, sebbene
simile alla calcitonina nella sequenza N- terminale, differisce in quella C-terminale. Questi due mRNA
vengono prodotti preferenzialmente a seconda della sede: le cellule C parafollicolari privilegiano la sintesi
dell’mRNA per la CT, mentre le cellule del SNC preferiscono sintetizzare l’mRNA della CGRP.

Le cellule C parafollicolari immagazzinano grandi quantità di CT, che secernono con regolarità in
condizioni di normale calcemia. Nel caso in cui, invece, la calcemia aumenti o diminuisca, la
secrezione di CT aumenta o diminuisce rispettivamente.

Mediatori rilascio CT

Il rilascio di CT viene mediato dall’azione di diversi fattori, come alcuni ormoni gastrointestinali (gastrina,
colecistochinina), il glucagone e le catecolammine β-agoniste. Queste sostanze hanno lo scopo di alzare
i livelli di cAMP nelle cellule C parafollicolari, in modo da innescare il processo di rilascio.
La somatostatina, invece, regola negativamente il rilascio di CT, probabilmente agendo da fattore
paracrino inibitore a livello delle cellule C parafollicolari.

EFFETTI (opposti al PTH) :


La calcitonina abbassa i livelli sierici di Ca2+ e Pi, esercitando il suo meccanismo d’azione a due livelli:
-
Nel RENE è capace di inibire il riassorbimento di Ca2+ e Pi nel nefrone, la cui espulsione quindi
aumenta, andando al operare un azione ipocalcemizzante ed ipofosfatemizzante; Riduce
l’eliminazione urinaria di idrossiprolina (utile per la sintesi di collagene).

-
Nell’OSSO si riconosce la sua azione principale: La CT interagisce con degli specifici recettori
presenti sugli osteoclasti, andando a far ridurre l’attività demolitiva osteoclastica sull’osso, che
invece viene stimolata dal PTH e dalla vitamina D. Blocca il differenziamento degli osteoclasti e
accelera la formazione degli osteoblasti. Tutte queste azioni della CT favoriscono la formazione
dei cristalli di idrossiapatite, che quindi sottraggono Ca2+ e Pi dal torrente ematico. Questo accade
soprattutto negli individui in fase di accrescimento e che hanno subito il processo di
riassorbimento osseo.
VITAMINA D

Per vitamina D si intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili che comprende 5 vitamine, tra cui
-
Ergocalciferolo (D2), di originevegetale
-
Colecalciferolo (D3), di origine animale (di cui cioccuperemo)
La vitamina D3 può essere sintetizzata dall’organismo ma può essere anche assunta con la dieta;
cibi particolarmente ricchi sono l’olio di fegato di merluzzo, pesci grassi, formaggi grassi, burro,
tuorlo d’uovo ecc.

È un composto di natura steroidea (simile alla struttura del colesterolo). In realtà la forma attiva della
vitamina D (1,25-diidrossicolecalciferolo) origina proprio da un precursore molto simile al colesterolo :
il 7-deidrocolesterolo.

Biosintesi di vitamina D
nell’uomo avviene a livello dei cheratinociti degli strati più profondi della cute, quello basale e quello
spinoso.
1. Si parte da un precursore contenuto nei cheratinociti : il 7-deidrocolesterolo, che presenta un
doppio legame in più al C7 rispetto al colesterolo, questo intermedio viene accumulato a livello
cutaneo, dove viene convertito in colecalciferolo a seguito della rottura del legame tra il C9 e il
C10 indotta dai raggi UVB (ʎ ~ 290-315 nm) , tramite una reazione di fotolisi, causa una rottura
dell’anello steroideo. Questo intermedio , in seguito, viene trasportato nel torrente ematico
attraverso una proteina trasportatrice specifica e poi viene rilasciato a livello epatico, dove subisce
una prima parte del suo metabolismo (la seconda parte avviene a livello renale).

Assunzione di vitamina D3

1. A livello intestinale, al pari delle altre vitamine liposolubili, essa viene inglobata nelle micelle
formate dall’incontro dei prodotti dell’idrolisi dei lipidi e degli acidi biliari. Il contenuto delle micelle
entra per diffusione passa attraverso l’epitelio della mucosa intestinale, dove viene complessato con i
chilomicroni e veicolato tramite il circololinfatico.
2. A livello epatico, a differenza delle altre vitamine liposolubili, la vitamina D non viene
immagazzinata ma qui subisce una reazione di mono ossigenazione sul C25 da parte del 25-
colecalciferolo idrossilasi, un cyp450 (CYP2R1) che utilizza NADPH e O2, formando calcidiolo o
25(OH) D3 (= 25-idrossi-colecalciferolo).
Colecalciferolo + NADPH + O2 → 25-idrossi-colecalciferolo + H2O + NADP+
3. Il 25-idrossi-colecalciferolo viene immesso nel circolo ematico dove è veicolato da un’α- globulina, la
Vitamin D Binding Protein (VDBP) e arriva ai tubuli prossimali del rene. (Si noti che trattandosi di una
molecola liposolubile, è essenziale che essa sia veicolata in ambiente acquoso da una proteina)
4. A livello renale ed in particolare dei tubuli prossimali, il 25-idrossi-colecalciferolo subisce ancora
idrossilazione, in particolare può alternativamente essere idrossilatosul:
− C1 da 25-idrossicolecalciferolo-α1-idrossilasi, tramite l’enzima CYP27B1 e formare calcitriolo o
1,25(OH)2D3, intermedio attivo.
Mutazioni a carico di questo gene possono determinare importanti patologie come il rachitismo. [vedi
dopo]
− C24 ad opera di 25-idrossicolecalciferolo-24-idrossilasi catalizzato da CYP24A1, e formare un
intermedio inattivo, il 24,25 (OH)2 D3.
NB. L’idrossilazione su C24 inattiva sempre la vitamina: l’idrossilazione in posizione diversa da 1 e 25
disturba il legame con il recettore VDR.
Dopo di che il calcitriolo può essere nuovamente riportato a livello ematico dove è veicolato dalle VDBP

Regolazione

La funzione principale della vitamina D è l’aumento dei livelli serici di Ca2+ e Pi. La sintesi della vitamina D
è regolata a feedback in base ai livelli ematici di questi ioni: bassi livelli ematici di Ca2+ e Pi inducono la
produzione del metabolita attivo, alti livelli degli stessi invece inducono la sintesi di quello inattivo

Ca2+ → L’ipocalcemia porta ad ottenere grandi concentrazioni di paratormone. Il PTH, a sua volta,
favorisce CYP27B1 (responsabile della formazione del metabolita attivo) e inibisce CYP24A1 (responsabile
della produzione del metabolita inattivo con idrossilazione sul C24).
L’ipercalcemia inibisce la secrezione di paratormone e quindi agisce favorendo la sintesi del
metabolita inattivo
Fosfato → l’iperfosfatemia attiva il Fibroblast Growth Factor 23 (FGF 23), che favorisce la sintesi
dell’intermedio inattivo. Al contrario, ipofosfatemia attiva il CYP27B1 permettendo la produzione del
metabolita attivo.

Recettore VDR

Il recettore VDR (vitamin D receptor) è espresso in cellule di intestino, ossa, reni, gh.
paratiroide, pelle, gonadi, gh. Mammaria, linfociti, cellule dendridiche e macrofagi.
La vitamina D è lipofilica e quindi è capace di attraversare le membrane. Il recettore VDR infatti si trova
all’interno del citoplasma e, una volta legata la vit D, cambia conformazione e il complesso vit D-
recettore trasloca nel nucleo dove si associa al recettore X degli ac retinoici (RXR) formando un
eterodimero (complesso VDR-RXR) che può quindi agire sulla trascrizione di specifici geni agendo, a
seconda del tessuto, da enhancer o da silencer. Es. a livello intestinale sono attivati i geni della proteina
TRPV6 (utile ad assorbire più calcio) e delle calbindina (proteina chelante del calcio, utile a evitare che il
Ca2+ in ingresso, quindi a più alte concentrazioni, precipiti)
Effetti della vitamina D

 A livello intestinale→ stimola l’assorbimento di Ca2+ e Pi, attraverso la sintesi di proteine leganti il calcio
(CBP, Calcium Binding Protein) e di una ATPasi Ca-dipendente, che si concentrano nel citoplasma
dell’enterocita. In particolare, qui induce l’ espressione di TRPV6 e Calbindina che permettono un maggior
assorbimento del Ca2+, da cui aumento calcemia
 Nell’osso:
⇀ stimola il riassorbimento osseo e la mobilizzazione di Ca2+ e Pi
⇀ aumenta la produzione di osteocalcina e RANKL da parte degli osteoblasti, da cui maggior numero di
osteoclasti che agiscono a livello osseo degradandone la matrice e permettendo un aumento della
calcemia
⇀ Inibisce la sintesi di collagene di tipo 1
 Nel rene→ aumenta il riassorbimento dal filtrato urinario di Ca2+ e Pi e ne riduce l’escrezione tramite
l’aumentata sintesi di NPT2, cotrasportatore sodio-fosfato localizzato nel tubulo prossimale.

 Sulla produzione di CT e PTH → Inibisce la trascrizione dei geni che codificano per la sintesi dei PTH nelle
paratiroidi e della calcitonina nelle cellule C della tiroide. In quest’ultima azione la vitamina D esercita
probabilmente un controllo a feedback negativo sui livelli di PTH . Avendo azione di aumento della
calcemia, da parte della vitamina D, non è necessario up-regolare la sintesi di ulteriore PTH, che avrebbe
lo stesso effetto, e che quindi viene inibita dalla vitamina D che agisce a livello nucleare delle cellule
delle paratiroidi.

[approfondimento citato mediante schema sulla dispensa]


INTERAZIONE CON IL TESSUTO ADIPOSO, OBESITA’ E DIABETE

FATTORI DI CORRELAZIONE TRA OBESITA’ E IPOVITAMINOSI:


 Inibizione dell’acido grasso sintasi da parte della vitamina D
 Inibizione dell’adipogenesi da parte della vitamina D

- Carenza di Vit D → +sintesi lipidica adipocitaria → +massa adipocotaria → infiammazione da TNF-α


- Carenza di Vit D → - secrezione di insulina → correlazionidiabetiche

È maggiormente presente la 24-idrossilasi negli adipociti dei soggetti obesi, (che forma la vit D inattiva).
L'obesità predisporrebbe dunque a carenza di vit D e ad anomalie del metabolismo del glucosio. La
supplementazione di vit D potrebbe modulare la sensibilità all'insulina favorendo la stimolazione di
adiponectina (che favorisce minore insulino resistenza, minore TAGemia, minore secrezione di TNFα) ,
migliorando a sua volta il rapporto con la leptina.

Diabete di tipo 2
Recentemente è stato individuato nelle cellule β del pancreas un recettore citosolico del calcitriolo . Quindi il
calcitriolo sarebbe necessario per la normale secrezione insulinica.
La carenza di vitamina D provoca, probabilmente, un’alterazione del metabolismo glucidico incrementando
l’insulino-resistenza, riducendo l’espressione di PPARγ nel tessuto adiposo e portando le cellule β del pancreas a
deterioramento

La somministrazione di vitamina D in soggetti pre-diabetici o insulino-resistenti potrebbe migliorare la sensibilità


all’insulina. Tuttavia, è da sottolineare, che l’ipovitaminosi non è necessariamente strettamente correlata
all’insorgenza di diabete ma si tratta di modulazioni secondarie ancora oggetto di studio, ricordando la presenza di
tutti gli altri fattori, genetici e ambientali, che contribuiscono primariamente allo sviluppo patologico di obesità e
diabete di tipo 2.
Ipovitaminosi da vit D
All'origine della carenza di vitamina D, le cause principali comprendono:

 Età (a parità di esposizione alla luce solare un soggetto anziano, rispetto ad un soggetto giovane, è in grado
di convertire circa il 30% in meno di 7-deidro-colesterolo in colecalciferolo )
 Gravidanza (le riserve di vitamina D della madre sono utilizzate per lo sviluppo del feto)
 impossibilità di esporsi al sole
 assunzione di farmaci che alterano l’assorbimento o il metabolismo della vitamina D (lassativi,
antibiotici ecc.) che interagiscono con il legame tra vit D e recettore (glucocorticoidi, corticosteroidi e
rifampicina) o che causano fotosensibilizzazione e conseguente necessità di limitare l'esposizione ai
raggi solari;
 presenza di insufficienza renale epatica severe, patologie intestinali croniche associate a
malassorbimento (per esempio, colite ulcerosa o malattia di Crohn);
 dieta vegetariana o vegana;
 obesità;

Patologie da ipovitaminosi:
Una carenza di vitamina D determina la riduzione dell’assorbimento intestinale e renale di calcio, con
conseguente abbassamento della calcemia e aumento della secrezione di PTH. Questo stimola il
riassorbimento osseo, con un’alterazione dei processi di mineralizzazione, causando
diverse patologie tra cui rachitismo, osteoporosi e osteomalacia.

RACHITISMO: patologia tipica dell’età pediatrica causata da un difetto di ossificazione della matrice
osteoide neoformata a livello delle cartilagini di coniugazione. In stadio avanzato causa una curvatura delle
ossa a livello metafisario delle ossa lunghe degliarti, e si ha una condizione caratterizzata da ossa fragili,
molli e deformità scheletriche (gambe incurvate a sciabola, anomalie costali ecc.),
Una delle forme di rachitismo è associata a desensibilizzazione del recettore della vit D, oppure a
ipovitaminosi causata dalla carenza di CYP24A1 a livello renale.

OSTEOMALACIA: patologia associata a insufficiente mineralizzazione dell’osso per carenzadi calcio e vit D,
nell’età adulta

OSTEOPOROSI: condizione caratterizzata da perdita di massa ossea e resistenza nello scheletro e


alterazioni della microarchitettura del tessuto osseo, con aumento del rischio difratture.

Vi sono poi, in casi meno gravi di ipovitaminosi:


alterazioni dentali, dolore alle ossa e alle articolazioni ,fragilità, maggiore propensione alle fratture, dolori e
debolezza muscolari

Tossicità
Un introito eccessivo di vitamina D3 (che viene smaltita molto lentamente) risulta tossico: aumentati livelli sierici di
calcio che nei casi più gravi porta a calcificazione anomala di tessuti molli (rene, cuore)
[approfondimento]

Va, tuttavia, ricordato che questo deficit non colpisce soltanto l’apparato scheletrico: negli anni, è emerso infatti
che la carenza di vitamina D si associa anche ad altre condizioni.

sintomi neurologici e neuromuscolari, come contrazioni muscolari involontarie, difficoltà di concentrazione e


confusione mentale, debolezza e stanchezza ( miastenia) , ansia e disturbi del sonno: la vit D stimola la produzione
del fattore di crescita dei nervi e promuove lo sviluppo delle connessioni nervose. Interviene nei processi di
mielinizzazione ed è coinvolta nei fenomeni depressivi :
E’ in grado di attivare il gene che produce l’enzima TPH2 per produrre SEROTONINA
,fondamentale neurotrasmettitore nel SNC. Pertanto, un’insufficiente produzione di serotonina predispone
maggiormente allo sviluppo dell’autismo e/o di fenomeni depressivi.
• patologie gastrointestinali: malattie infiammatorie intestinali, epatite cronica, cirrosi epatica,
pancreatite;
• patologie metaboliche: sindrome metabolica, diabete mellito, nefropatia diabetica
• malattie croniche (autoimmuni, infezioni respiratorie, immunodeficienza, malattie cardiovascolari e
ipertensione arteriosa, diabete di tipo 1, cancro, morbo di Alzheimer, ecc

Sistema immunitario e proliferazione tumorale


 la vit D esplica la sua funzione stimolando la produzione dei macrofagi a partire dalle cellule
mieloidi staminali.
 In presenza di un agente patogeno, il linfocita T espone il recettore specifico per la vitamina D (VDR).
Funge da attivatore dei linfociti T che riconoscono i corpi estranei e li inattivano rendendoli innocui,
regolando la risposta immunitaria e riducendo quelle infiammatorie
 promuove la sintesi di peptidi antimicrobici: catelicidina,(hCAP)

La vit D è in grado di controllare alcuni geni responsabili della proliferazione cellulare, della differenziazione e
dell'apoptosi. CDKN1A codifica per la proteina p21, un inibitore delle chinasi-ciclina dipendenti, che induce la
morte cellulare in caso di danno o invecchiamento.
Una carenza di vit D provoca una mancata attivazione del gene che codifica per p21, e ciò potrebbe
rappresentare causa d' insorgenza di un processo tumorale

Inoltre aiuta a regolare la produzione di E-caderina. Quando è scarsa, le cellule perdono adesione reciproca,
alcune di esse migrano al di fuori della loro sede fisiologica e cominciano a moltiplicarsi senza controllo dando
luogo alle prime fasi della trasformazione cancerosa
Le principali patologie cancerose sono a carico di seno, colon-retto, ovaio, polmone, prostata

Sono stati studiati 1610 pazienti affetti da carcinoma del colon retto metastatico. Di questi, solo 1495 sono
stati trattati con chemioterapia di prima linea.
RISULTATI : è stata dimostrata una ritmicità circa annuale, cioè la malattia si manifestava in maniera
accentuata durante i mesi di Gennaio e Febbraio.
CONCLUSIONI : bassi livelli sierici di vitamina D, potrebbero essere responsabili di una prognosi peggiore in
pazienti affetti da carcinoma del colon retto metastatico
FATTORI DI CRESCITA ED ORMONI
Il rimodellamento osseo, la quantità di osteoblasti ed osteoclasti differenziati, ecc. dipendono da un
equilibrio tra l'attività osteoblastica e quella osteoclastica che a sua volta dipende da peptidi definiti "fattori
di crescita", prodotti in risposta a ormoni o a citochine rilasciate dalle cellule del sistema immunitario o
dallo stesso microambiente osseo. I termini Fattore di crescita e Citochina vengono spesso usati
indifferentemente per questioni storiche; oggi si vuole indicare come fattore di crescita una molecola che
ha effetti positivi sulla divisione cellulare, mentre le citochine hanno un effetto diverso sulla proliferazione:
alcune la stimolano, altre la inibiscono o addirittura inducono la morte cellulare. In particolare, i fattori di
crescita e gli ormoni si distinguono i sistemici e locali:
FATTORI DI CRESCITA SISTEMICI
Estrogeni; Paratormone; Vitamina D; Calcitonina; OPG/RANKL
FATTORI DI CRESCITA LOCALI
BMP (bone morphogenic protein); FGF (fibroblast growth factor); IGF (insulin growth factor); PDGF (platelet
derived growth factor); VEGF (vascular endotelial growth factor)
I fattori di crescita e gli ormoni possono essere inoltre classificati in base alle cellule su cui
agiscono:
OSTEOBLASTI
Attivatori: TGF-B; FGF (fibroblasti growth factor) sia acido che basico; IGF-1 ed IGF-2 (insulin growth
factor 1 e 2); PDGF (platelet-derived growth factor, fattore di crescita derivato dalle piastrine)
estrogeni.
OSTEOCLASTI
Attivatori: TGF forte stimolatore di crescita delle cellule progenitrici degli osteoclasti e stimolazione
dell'attività degli osteoclasti maturi, quindi questo fattore
determina ipercalcemia. Può essere responsabile anche della demolizione dell'osso provocato dai tumori
solidi; M-CSF (macrophage colony-stimulating factor, una citochina) e ODF (fattore di differenziamento
degli osteoclasti) i quali sono sintetizzati a loro volta da citochine, IL-1, TNF (Tumor Necrosis Factor,
fattore di necrosi tumorale) EGF (epidermal growth factor) coinvolto principalmente nella crescita
epiteliale e nella tumorigenesi RNAKL prodotti da linfociti T attivati.

TGF-ß (transforming growth factor-ß)


Il TGF-ß è un omo-dimero che presenta ponti disolfuro inter-catena; è un fattore locale di cui 3 almeno
3 diverse isoforme, di cui le prime due (TGF-ß1 e TGF-B2) sono quelle maggiormente rappresentate
nella matrice ossea. I recettori del TGF-ß sono presenti in quasi tutte le cellule; questi fattori, tra le
altre cose, sono coinvolti nella risposta al riassorbimento osseo
svolto da osteoclasti (processo dopo il quale l'osso deve essere riformato).
Il TGF-ß ha un ruolo principalmente nella formazione dell'osso in risposta al suo riassorbimento; infatti, la
maggior quantità di questo fattore è prodotta quando è stimolato il riassorbimento osseo (es. da PTH, Vit
D3, IL-1) e/o sotto stimolazione di estrogeni. Il TGF-ß è secreto in risposta a specifici stimoli sotto forma di
precursore inattivo ed è legato ad una proteina della MEC. Il dimero è attivato quando rilascia la proteina
della MEC cui è legato, cosa che può accadere:
quando si abbassa il pH (azione svolta dall'attività osteoclastica) dalla plasmina: durante il
riassorbimento osseo gli osteoblasti sono in grado di produrre l'attivatore del plasminogeno (tPA)
che converte il pasminogeno in plasmina. La plasmina così attivata ha
un'attività collagenasica quindi pro-assorbimento, ma è anche in grado di attivare il precursore inattivo
del TGF-ß.
Quest'azione, a sua volta, stimola gli osteoblasti a produrre una maggior quantità di precursori inattivi
del TGF-ß ed anche un inibitore di tPA, chiamato PAI-1, che può andare ad inibire a lungo termine la
formazione di plasmina e quindi anche del TGF-ß (processo di retroinibizione).
Azioni: in particolare, questo fattore ha azione sia su osteoblasti che su osteoclasti:
osteoblasti: stimola produzione collagene I, fosfatasi alcalina ed osteopontina.
osteoclasti: inibizione della replicazione e della fusione delle cellule che poi formano il sincizio e
induzione dell'apoptosi.
La produzione di tPA, a lungo termine, stimola un meccanismo a feedback che, tramite il PAl-1
(inibitore del tPA-1), inibisce l'attività di tPA, riportando il TGF-ß in forma latente.

BMP (bone morphogenic proteins)


Le BMP sono presenti in molteplici classi. Tutte (ad eccezione della BMP1) appartengono alla
superfamiglia del TGF-B, e
sono immagazzinate nella ECM. Sono capaci di indurre il differenziamento degli osteoblasti in osteociti
sono in grado di stimolare la sintesi di altri fattori di crescita quali IGF e VEGF, e di indurre il rilascio di
fattori che promuovono l'osteoclastogenesi. Il tessuto osseo consta di: osteociti, osteoblasti ed osteoclasti.
I primi 2 hanno origine comune, infatti derivano dalle cellule mesenchimali staminali e la loro
differenziazione come BMP* (bone morphogenic protein) e TNPa1, mentre gli osteoclasti derivano dalla
linea ematopoietica (sono cellule del sistema monocito-macrofagico).
VIA DI TRADUZIONE DI BMP
Questa via di traduzione si avvale di recettori Serin-Treonin chinasi costituiti da un tetramero
composto da un dimero di recettori di tipo I e un dimero di recettori di tipo Il
1. BMP si lega alle subunità Il
2. Le subunità Il fosforilano le subunità I
3. Le subunità di tipo I hanno un'attività chinasica intrinseca e fosforilano Smad 1/5/8 (detta Smad R in
quanto associata al recettore)
4. La Smad 1/5/8, una volta fosforilata, lega la Smad 4 e questo complesso può entrare nel nucleo e agire
sulla trascrizione.

IGF-I e 2 (insulin-lIke growth factor)


I fattori di crescita insulino-simili, noti anche come IGF (sigla di insulin-like growth factor) o
somatomedine, sono un gruppo di ormoni peptidici dalle proprietà anaboliche, prodotti
principalmente dal fegato e in minor quantità dai condroblasti differenziati, sotto lo stimolo
dell'ormone della crescita (GH) prodotto dall'ipofisi. Ne esistono due isoforme: IGF-1
(somatomedina C o SM-C) è massimo in pubertà e diminuisce con la vecchiaia; è
prodotta dagli osteoblasti, su stimolo degli ormoni sessuali (estrogeni) ed è strettamente
GH dipendente. Questo potente ormone viene prodotto soprattutto a livello epatico, ma anche nei
condrociti che regolano la sintesi di cartilagine, nei fibroblasti e in altri tessuti.
Una volta prodotto, L'IGF-1 viene liberato in circolo, dove si lega a speciali proteine chiamate IGF-BP
(IGF-binding proteins o proteine di trasporto dell'IGF1). Queste sei proteine ne aumentano l'emivita
plasmatica (da 10 minuti a 3-4 ore) prolungando così il tempo di permanenza dell'ormone in
circolo. Molte azioni del GH sono mediate dall'IGF-1 e
viceversa. IGF-2 (somatomedina A o SM-A) è presente soprattutto nella vita fetale, è presente in forma
latente nella matrice ed è attivata durante il riassorbimento; è solo parzialmente
GH dipendente.
I fattori di crescita simili all'insulina (IGF) sono proteine con un'alta somiglianza di sequenza all'insulina
(anche il recettore ha struttura ~ a quello dell'insulina: è un recettore ad attività tirosin- chinasica intrinseca
che utilizza l'asse JAK-STAT*). L'interazione tra IGF-1 e il suo recettore IGFIR determina un cambio
conformazionale del recettore, che viene attivato. A seguito dell'attivazione recettoriale diverse proteine
citoplasmatiche vengono attivate, tra cui IRS-1 (insulin receptor substrate-1) e SHC (Src homology and
collagen protein). IRS-1 attiva il fosfatidil inositolo 3 fosfato (IP3) che agisce con PDK-1 (3-pi-Dependent
kinase) attivando Akt. Tale pathway risulta coinvolto nello sviluppo scheletrico e nella crescita L'IGF fanno
parte di un sistema complesso che le cellule usano per comunicare con il loro ambiente fisiologico. Questo
complesso sistema (spesso chiamato "asse" IGF) è costituito da due recettori di superficie cellulare (IGF1R e
IGF2R), due ligandi (fattore di crescita insulino-simile 1 IGF-1 e fattore di crescita insulino-simile 2 IGF-2),
una famiglia di sei proteine leganti I'IGF ad alta affinità (IGFBP-1 a IGFBP-6), nonché gli enzimi degradanti
associati all'IGFBP, definiti collettivamente come proteasi.
A livello osseo, stimolano l'attività osteoblastica e la sintesi del collagene di tipo I.
La IGF-1 stimola la condrogenesi, la sintesi proteica, lo sviluppo scheletrico, la diffenenziazione e la
proliferazione degli osteoblasti e la crescita cellulare in genere. Le somatomedine sono i mediatori
dell'ormone della crescita (GH) sull'osso, cartilagine, muscolo scheletrico, pelle, cervello, midollo osseo e in
generale stimolano la proteosintesi. A livello dell'osso stimolano la sintesi di aggrecano, collagene di tipo VI
e IX, proteine di legame e la proliferazione cellulare; a livello di altri organi o tessuti stimolano la
proteosintesi, la sintesi di DNA e RNA, l'aumento del numero e della dimensione cellulare.

FGF acido e FGF basico (Fibroblast Growth Factor, fattore di crescita dei fibroblasti)
Questi fattori sono capaci di stimolare la proliferazione delle cellule endoteliali; pertanto, vengono
riconosciuti come fattori angiogenici. Quando, però, sono presenti in quantità elevate nell'osso e vengono
attivati, essi possono stimolare anche la proliferazione osteoblastica attraverso un'azione mitogena. FGF1
induce la maturazione dei condrociti; FGF2 induce proliferazione e differenziamento osteoblastico, inibisce
l’apoptosi degli osteoblasti immaturi mentre stimola l'apoptosi degli osteociti, stimola il riassorbimento
osseo.

PDGF (Platelet-Derived Growth Factor, fattore di crescita di origine piastrinica).


È caratterizzato da due peptidi tenuti insieme da ponti disolfuro. È il fattore mitogeno delle cellule
mesenchimali. Questo fattore è presente in molti tessuti e ha diverse funzioni, tutte di tipo anabolico; è
normalmente coinvolto nell'attività chemiotattica e mitogena del sangue. Si sono però rilevate sue tracce
nella matrice ossea (qui è presente a concentrazioni 50 ng/g), che lo vedrebbero coinvolto nella
fibrillogenesi (con stimolazione della sintesi del collagene I) e nell'osteblastogenesi.
Uno degli effetti principali della stimolazione con PDGF è l'induzione alla proliferazione
cellulare, questa riposta coinvolge in gran parte l'attivazione della via
delle MAPK. L'attivazione di Ras è il principale meccanismo di attivazione della cascata delle MAPK,
questa proteina è perciò di grande importanza per la stimolazione alla crescita.
L'attivazione di Ras da parte del PDGF-R ß può avvenire tramite interazione diretta di Grb2/Sos con la Tyr"1
fosforilata del recettore o tramite il legame di Grb2/Sos a molecole fosforilate che a loro volta legano il
recettore, come Shc o SHP-2. L'attivazione di Ras da parte del PDGF-R è strettamente controllata, infatti,
insieme all'attivazione diretta o indiretta di Grb2/Sos si ha parallelamente il legame di GAP al recettore, che
inattiva Ras; perciò, l'attivazione netta di Ras
È determinata dall'equilibrio fra segnali di attivazione e di inattivazione. Un altro meccanismo di attivazione
della cascata delle MAPK indipendente da Ras è l'attivazione indotta da PDGF della PLC fosfatidilcolina-
specifica; il DAG rilasciato in seguito all'azione di tale enzima attiva una PKC-5 che a sua volta attiva Raf-1

Il VEGF, come PDGF, è prodotto dalle cellule endoteliali e dagli osteoblasti e, nelle fasi precoci della
rigenerazione ossea, è anche rilasciato dagli a-granuli piastrinici. Sebbene 'induzione dell'angiogenesi sia
l'effetto più conosciuto del VEGF, esso permette la conversione della cartilagine in osso; proliferazione e
differenziamento osteoblastico; induzione dell'espressione di RANK nei precursori osteoclastici.

Ormoni sessuali
Questi ormoni agiscono prevalentemente durante la crescita puberale e hanno un'attività
generale volta all'attivazione degli osteoblasti ed all'inibizione degli osteoclasti.

Estrogeni e progesterone sono i principali ormoni sessuali femminili. Sono ormoni steroidei: il primo è
prodotto dai follicoli ovarici, dalla placenta e in minima parte dal fegato, il secondo dal corpo luteo. La loro
sintesi parte dal colesterolo, trasformato in testosterone e poi grazie all’enzima aromatasi, in estrogeni
(l’estrone in menopausa, l’estradiolo in età fertile) e progesterone. Nella donna determinano lo sviluppo dei
caratteri sessuali primari (organi genitali, fertilità) e secondari (distribuzione pilifera; distribuzione del
grasso su anche, natiche cosce e addome sotto-ombelicale, crescita della mammella, produzione delle
lipoproteine HDL (che proteggono l’apparato cardiovascolare).
Sull’apparato muscolo-scheletrico gli estrogeni hanno un’azione indiretta: riassorbimento di calcio a livello
renale, b) attivazione finale della vit. D, c) aumento della sintesi di calcitonina;
e un’azione diretta: 1) riduzione dell’attività degli osteoclasti, 2) induzione della chiusura delle cartilagini di
accrescimento, fermando l’accrescimento staturale, 3) risparmio del glicogeno muscolare ottenendo
energia dai grassi contenuti nel muscolo stesso. La sua carenza determina il quadro della osteoporosi post-
menopausale. Il progesterone differenzia e attiva gli osteoblasti; a livello periferico una parte di esso è
trasformata in estrogeno amplificando l’informazione per la crescita-rigenerazione ossea.
Inducono l'espressione di geni che codificano per fattori di crescita e citochine, in particolare aumenta la
sintesi di IGF-1, TGF-B, OPG, BMP-6 e inibisce la sintesi di interneluchine (in particolare IL-1, IL-6 ed IL-11)
che stimolerebbero l'attività osteoclastica. Inibisce la sintesi di protesi e fosfatasi acida; inducono la sintesi
da parte degli osteoblasti del TGFß, IGF-1 OPG, collagenene 1, fosfatasi alcalina. In casi di deficit di
estrogeni (es. in menopausa), una diminuzione degli estrogeni femminili è spesso causa di osteoporosi,
condizione in cui si ha una riduzione progressiva della massa e della mineralizzazione ossea, facilitando
fratture, soprattutto a carico della testa del femore. In questo caso, infatti, l'equilibrio tra sintesi e
demolizione del t. osseo è più spostata verso la demolizione (riassorbimento osseo)

Androgeni (testosterone, DHT, ecc.) hanno ruoli simili agli estrogeni: inibiscono l'attività
osteoclastica e inducono l'ostebolastica.

GH
Le cellule acidofile sono le somatotrope e le mammotrope, che producono rispettivamente l'ormone della
crescita e la prolattina, mentre le cellule basofile sono le tireotrope, le gonadotrope
e le corticotrope, che producono rispettivamente ormone tireotropo, le gonadotropine e l'ormone
adrenocorticotropo.
Ha funzione anabolizzante nell’infanzia e nell’adolescenza e regola l’aumento della statura determinando
l’accrescimento lineare dell’apparato muscolo-scheletrico. In età adulta, influenza la rigenerazione
cellulare ma è soprattutto un ormone iperglicemizzante. Il suo picco massimo di increzione si ha durante il
sonno profondo, tra la 1 e le 4 del mattino è il periodo della giornata in cui il parasimpatico è nella massima
attività, ma anche nel sonno profondo del riposo pomeridiano. La placenta ne produce una variante che
regola l’accrescimento del feto (HPL – ormone lattogeno placentare). Il GH agisce direttamente sul
tessuto muscolare, mentre sul tessutoosteocartilagineo e su altri organi\tessuti utilizza le somatomedine
(IGF – Fattore di Crescita Insulino simile), prodotte prevalentemente dal fegato. Indipendentemente
dall’effetto anabolico indiretto del GH dovuto all’IGF-1, il GH è anche in grado di legarsi direttamente a un
recettore che si trova a livello dei miociti – le cellule del tessutomuscolare – attivando così specifici enzimi
(denominati Janus chinasi 2 o JAK2).
Indipendentemente dall’effetto anabolico indiretto del GH dovuto all’IGF-1, il GH è anche in grado di
legarsi direttamente a un recettore che si trova a livello dei miociti – le cellule del
tessutomuscolare – attivando così specifici enzimi (denominati Janus chinasi 2 o JAK2). GH e IGF-I hanno
però effetti metabolici opposti:

 il GH ha un effetto lipolitico, ovvero scinde i trigliceridi, aumentando gli acidi grassiliberi a livello
sierico, che a loro volta inibiscono l’assorbimento del glucosio nei muscoli e in altri organi, Questo
meccanismo può indurre iperglicemia e insulino-resistenza;
 l’IGF-1 ha effetti lipogenici – ovvero è coinvolto nella formazione dei trigliceridi – e inoltre ha effetti
ipoglicemizzanti.

In giovane età la sindrome da deficit di GH e l’ipogonadismo sono associati a minore massa muscolare,
minore forza muscolare e ridotte prestazioni fisiche, rispetto a controlli sani. In età avanzata si può
presentare la cosiddetta somatopausa, ovvero uno dei cambiamenti endocrini associati all’invecchiamento,
stadio in cui si assiste a un significativo declino della concentrazione plasmatica di GH e IGF-1. Questa
diminuzione della secrezione di GH contribuisce alla sarcopenia, ovvero la perdita di massa muscolare. Il GH
è in grado di stimolare direttamente l’osteoblastogenesi la formazione ossea. GH e IGF-1 stimolano la
crescita lineare, ovvero l’aumento di statura nei bambini, agendo sul piatto di crescita, un sottile strato di
cartilagine che si trova nella maggior parte delle ossa, comprese le ossa lunghe e le vertebre. Nella “piastra
di crescita”, i condrociti, ovvero le cellule del tessuto cartilagineo, proliferano e secernono la matrice
extracellulare (sostanza che sta fra le cellule) della cartilagine. Questi processi generano nuovo tessuto
cartilagineo, che viene successivamente rimodellato in tessuto osseo. Il risultato netto è che il nuovo osso
viene progressivamente creato sulla “piastra di crescita”, facendo crescere le ossa. Stadi di deficit di GH
portano, infatti, a una riduzione del turnover osseo, a una crescita ritardata nei bambini, a minori
dimensioni delle ossa e a una riduzione della BMD nonché un aumentato rischio di fratture negli adulti. Gli
adulti ipopituitari con deficit di GH possono presentare anche un ridotto turnover osseo, come valutato
dall’istomorfometria ossea, condizione che provoca una riduzione riduzione della BMD.

L’impatto del deficit di GH sullo scheletro è correlato a tre fattori:

1. il momento in cui si instaura il deficit di GH (infanzia o età adulta);


2. l’età in cui si manifesta il deficit;
3. la gravità del deficit.

Sia il deficit in età adulta sia quello a insorgenza nell’infanzia sono associati a una riduzione della BMD.
Mentre i pazienti con GHD a esordio infantile possono avere una seria osteopenia, correlata probabilmente
al fallimento nel raggiungere il fisiologico picco di massa ossea, i pazienti con deficit di GH a insorgenza
adulta hanno un grado meno profondo di osteopenia. Anche l’acromegalia, uno stato di eccesso di GH e
IGF-1, è associata ad anomalie a carico del sistema scheletrico, come un aumento del turnover osseo e la
riduzione della BMD nella colonna lombare, in particolare nei pazienti con ipogonadismo. Infine,
l’ipercalciuria è comune nell’acromegalia attiva e può derivare dall’aumentata sintesi di calcitriolo, come
conseguenza degli effetti indipendenti del GH e dell’IGF- 1 sui reni.

I bambini con deficit di GH possono riportare lievi deficit in termini di rendimento scolastico, umore e
stabilità e una maggiore incidenza di disturbi comportamentali (in particolare la cosiddetta fobia
sociale). I bambini con deficit di GH possono presentare anche un concetto di sé immaturo, che può in parte
riflettere il fatto che sono trattati come se fossero più giovani della loro età effettiva a causa delle loro
piccole dimensioni e delle caratteristiche del viso immaturo. La carenza di GH è, infine, spesso associata
anche a un ritardo nel raggiungimento della pubertà. Tra gli adulti COGHD si è riscontrata una minore
frequenza di autonomia (ad es. essere sposati, avere un lavoro, avere la patente di guida). Questi soggetti
percepiscono che la loro salute interferisce con lavoro, hobby, vita sessuale e compiti domestici e spesso
hanno un livello di istruzione inferiore. Questi indici sociali si riflettono anche in indici quantitativi, in
particolare nelle aree dei problemi del sonno, dell’isolamento sociale e della mobilità fisica.

I recettori del Gh sono associati a enzimi con attività tirosin-chinasica estrinseca. Sono un'ampia ed
eterogenea superfamiglia di recettori per alcuni ormoni, come l'ormone della crescita (GH), la prolattina
(PRL), la leptina ecc. Tutti i recettori di questa superfamiglia comprendono catene prive di intrinseca attività
enzimatica, ma in grado di associare al dominio GRB2 citosolico e attivare tirosin-chinasi citoplasmatiche
della famiglia JAK. Tali famiglie si attivano per trans/auto fosforilazione e fosforilano a loro volta il recettore
stesso e diversi substrati cellulari, fra i quali i fattori di trascrizione della famiglia delle STAT e proteine
adattatrici come i substrati dei recettori per l'insulina (IRS) o la proteina Shc implicata nella via di traduzione
Ras-Raf-MAPK. In questo modo le JAK possono creare siti di legame per proteine con domini SH2. In seguito
all'attivazione del recettore e delle JAK, le proteine STAT, presenti in forma inattiva nel citoplasma, sono
reclutate attraverso il loro dominio SH2 nel complesso recettore-]AK e sono successivamente fosforilate in
tirosina dalle stesse JAK, Ciò porta alla dimerizzazione delle STAT, mediante la reciproca interazione fra i
domini SH2 e le fosfotirosine di ciascuna subunità. Le STAT migrano quindi nel nucleo, dove si legano a
specifici promotori di geni che rispondono alle citochine, modulando così l'espressione genica. L'attività
trascrizionale ottimale della STAT può richiedere anche la fosforilazione in Ser (ad esempio via MAPK). Sono
state identificate nei mammiferi 7 differenti proteine STAT e un dato ligando può attivare una o più
proteine STAT in relazione al tipo di cellula, allo stadio di differenziamento e alla [] del ligando stesso.

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