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La Storia Del Calcio
La Storia Del Calcio
Le origini
Ricco di fascino è un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca di
attendibili antenati di quello che è oggi definito il più grande
spettacolo del mondo. Anche in una ricostruzione breve e
sommaria, appare però fondamentale, nonché storicamente
corretto, procedere a una suddivisione preliminare. Non
prenderemo sistematicamente in considerazione tutti i giochi
con la palla in uso nell'antichità, ricerca che risulterebbe senza
fine, bensì soltanto quelli che presentano sostanziali e
indiscusse analogie con il calcio attuale.
Cronologicamente, le prime manifestazioni di quello che
potremmo definire protocalcio si ebbero in Estremo Oriente,
come dimostrò il francese Jules Rimet, al quale si deve la
creazione e il lancio, nel 1930, del primo Campionato del
Mondo di calcio. Già nel 25° secolo a.C., l'imperatore cinese
Xeng Ti obbligava gli uomini del suo esercito a praticare, fra i
vari esercizi di addestramento militare, un gioco imperniato sul
possesso di un oggetto sferico, molto simile a un pallone di
oggi, formato di sostanze vegetali, tenuto insieme e
ammorbidito in superficie da crini annodati (secondo una
versione più poetica, da soffici capelli di fanciulla). Il gioco era
chiamato Tsu-Chu. Un millennio più tardi, in Giappone aveva
largo seguito il Kemari, finalizzato non più all'avviamento alle
armi, ma al diletto delle classi nobili. Si giocava su un campo
segnalato, agli angoli, da quattro tipi diversi di albero: un pino,
un ciliegio, un mandorlo e un salice. Il pallone, il cui strato
esterno era di pelle, misurava 22 cm di diametro ed era
manovrato con le mani e con i piedi, una sorta di rugby ante
litteram. Peraltro, molto gentile: il gioco, infatti, veniva spesso
interrotto per scambi di scuse e complimenti.
Attorno al 1000 a.C., nella Grecia era in auge l'epískyros (il
nome derivava da sk´yros, la linea centrale che divideva in due
parti il campo) che, insieme a tanti altri e più importanti usi
ellenici, fu trapiantato a Roma dove prese il nome
di harpastum e assunse connotazioni decisamente più brutali.
L'arpasto consisteva nel rubarsi la palla, senza troppi
complimenti, e divenne il passatempo preferito dell'esercito. Lo
praticavano con grande soddisfazione i legionari di Giulio
Cesare, suddivisi in squadre regolari, e furono quindi
probabilmente loro a farlo conoscere ai britanni durante
l'invasione dell'isola, gettando così un seme destinato a
germogliare copioso nella terra destinata a dare ufficialmente i
natali al calcio moderno.
Le fortune di tutti i giochi con la palla declinarono poi
bruscamente nel Medioevo, per un generale deprezzamento
delle attività ludiche. Il divieto di praticarli riguardò dapprima i
soli religiosi. In seguito progressivamente questi giochi furono
messi al bando per tutti, anche perché causa di incidenti e di
violenze che originavano veri e propri tumulti e sottraevano i
soldati alle attività militari.
Anche in altre civiltà, come in quella maya, si praticarono
forme di protocalcio. Nell'antico Messico, per esempio, il gioco
consisteva nel far passare il pallone, che non poteva essere
toccato con le mani, attraverso un piccolo foro nel muro. Il
pallone era di caucciù massiccio e pesava tre chili e mezzo.
Evidente la simbologia erotica, un connotato che, secondo
Desmond Morris autore del fortunato saggio La tribù del
calcio (1981), è presente anche nella versione attuale del gioco.
Il calcio fiorentino
In Europa fu il Rinascimento, con la rivalutazione del mondo
classico e il ritrovato culto per la bellezza e la forza, a favorire il
ritorno alle attività ludiche e agonistiche. Nel pieno splendore
dell'età medicea, Firenze ne divenne la capitale. Già nel 1410
un anonimo poeta fiorentino, cantando le glorie e le bellezze
della città, accennava a una popolarissima forma di
divertimento che veniva espressamente chiamata 'gioco del
calcio'. Piero de' Medici, appassionato cultore di questa attività
agonistica, chiamò alla sua corte i più abili giocatori, dando così
vita al primo esempio di mecenatismo applicato al calcio. I
Medici furono anche i primi a capire che il gioco costituiva una
formidabile valvola di sfogo per il malcontento popolare (alla
stessa guisa dei circenses romani) e quindi si impegnarono a
incoraggiarlo e a diffonderlo.
Le regole prevedevano la contrapposizione di due squadre
formate da un numero variabile di giocatori: 20, 30 o 40 a
seconda delle dimensioni del terreno. La formazione standard
era composta da 27 giocatori: 15 attaccanti (corridori), 4
centrocampisti (sconciatori), 4 terzini o trequarti (datori
innanzi), 4 difensori (datori indietro). Sei arbitri controllavano e
dirigevano il gioco da una tribunetta laterale. Il pallone poteva
essere colpito con i piedi o afferrato con le mani, con le quali
non era però consentito lanciarlo. L'obiettivo di entrambe le
squadre era di collocare il pallone in una porta custodita da uno
dei difensori, il solo che potesse utilizzare le mani, come
l'attuale portiere; il gol era chiamato 'caccia'. Si trattava di
autentiche battaglie, di grande violenza, che si protraevano per
una giornata intera.
Esaminato con la mentalità attuale, il calcio fiorentino mostra
alcune affinità con il calcio moderno e altre con il rugby. Come
osserva Antonio Ghirelli nella sua Storia del calcio in
Italia (1954), nel ventennio fascista al calcio fiorentino fu
attribuito il ruolo di autentico e unico precursore del football,
nell'intento di negare una gloria inglese e sottrarre così alla
'perfida Albione' il merito, oggettivamente indiscutibile, di aver
dato i natali nel 19° secolo al calcio come viene oggi inteso,
nello spirito e nelle regole. È comunque un fatto che anche il
celebre Vocabolario della Crusca (edito per la prima volta nel
1612) annotasse questa definizione: "È calcio anche nome di un
gioco, proprio, e antico della città di Firenze, a guisa di battaglia
ordinata, con una palla a vento, rassomigliantesi alla
sferomachia, passato da' Greci a' Latini e da' Latini a noi".
Riservato in un primo tempo ai nobili, il calcio fiorentino si aprì
presto alla ricca borghesia dei mercanti e dei banchieri, e in
seguito ai più abili giocatori di tutte le contrade, oltre ai veri
professionisti reclutati dai Medici. In declino a partire dal 18°
secolo, il calcio fiorentino viene ora tenuto in vita
essenzialmente come spettacolo tradizionale e folcloristico, un
modo di ritrovare le proprie radici con infiammate sfide in
Piazza della Signoria, a memoria degli antichi campanilismi.
Il calcio e le Olimpiadi
Dopo Parigi, anche Saint Louis, sede delle Olimpiadi del 1904,
aveva ospitato a titolo ufficioso un torneo calcistico, ma si era
trattato di un evento assai modesto e limitato all'area
nordamericana, nel quale il Canada aveva prevalso sugli Stati
Uniti. La linea britannica, tesa a fare del torneo olimpico un
vero confronto mondiale, si affermò, com'era logico, nei Giochi
del 1908, ospitati a Londra, che segnarono l'ingresso ufficiale
del calcio nel programma del CIO. Ormai si giocavano regolari
campionati nazionali in tutta Europa e in Sud America e si
stavano moltiplicando, sia pure in modo spontaneo e caotico, i
confronti internazionali. Le Olimpiadi, però, esigevano dai
partecipanti lo status di dilettante puro e questo si rivelò presto
un ostacolo. Non tutti i paesi, infatti, potevano godere
dell'esemplare organizzazione del calcio inglese, dove, a livello
di prima divisione, dilettanti e professionisti erano in grado di
coesistere senza traumi di sorta. Così il giocatore più forte,
famoso e rappresentativo della nazionale olimpica inglese (che
vinse, ovviamente, la medaglia d'oro, battendo in finale la
sorprendente Danimarca) era Vivien Jack Woodward (architetto
di successo), autentico dilettante, ma allo stesso tempo un
tiratore formidabile, in grado di ricoprire tutti i ruoli d'attacco.
Alle successive Olimpiadi del 1912, a Stoccolma, prese parte
anche l'Italia, che era entrata nella FIFA nel 1905 e aveva
iniziato la sua attività internazionale nel 1910 con una netta
vittoria sulla Francia. Ben 11 furono le nazioni partecipanti, ma
la competizione restava confinata in ambito europeo, senza
poter svolgere, come invece era in programma, il ruolo di un
Campionato del Mondo, perché le fortissime rappresentative
sudamericane erano penalizzate dalle difficili comunicazioni del
tempo. Infatti, fra il viaggio di andata e ritorno in piroscafo e la
durata del torneo, per Argentina, Uruguay e Brasile si trattava di
un impegno di due mesi abbondanti, eccessivo per un dilettante,
vero o presunto che fosse. L'Inghilterra vinse ancora, e ancora
in finale sui danesi. Il suo asso era Ivan Sharpe, degno erede di
Woodward. Il riscontro storico è importante, perché fu questa
l'ultima competizione internazionale vinta dagli inglesi sino ai
Mondiali di Londra del 1966, ben 54 anni più tardi. Quanto
all'Italia, affidata al giovane Vittorio Pozzo, fu eliminata dalla
Finlandia, ma batté i padroni di casa svedesi nel torneo di
consolazione, ottenendo nella circostanza il primo successo
all'estero della sua storia. Abbandonata la divisa bianca delle
origini, la squadra già indossava la maglia azzurra divenuta poi
tradizionale. Pochi giorni dopo il successo sulla Svezia, la
nazionale italiana fu però battuta dall'Austria con il netto
punteggio di 5-1. Secondo la poco ortodossa spiegazione fornita
da Pozzo, l'esito non esaltante della spedizione era da imputare
allo scarso impegno negli allenamenti dei calciatori italiani,
distratti dai 'liberi costumi' del Nord Europa. Fu, questa, l'ultima
Olimpiade prima che la grande guerra imponesse un lungo
arresto all'attività sportiva nel Vecchio Continente.
La 'rivoluzione olandese'
Con il trionfo messicano del Brasile (che si aggiudicava
definitivamente la Coppa Rimet, destinata alla nazione che
avesse per prima conquistato tre titoli mondiali) si apriva la
stagione del calcio degli anni Settanta, straordinariamente ricca
di novità epocali. Già sul finire del decennio precedente non
erano sfuggiti, agli osservatori più attenti, i primi annunci di un
fenomeno che avrebbe costituito un vero spartiacque nella storia
del calcio: nel 1969, alla finale della Coppa dei Campioni, era
imprevedibilmente approdata una formazione olandese, l'Ajax
di Amsterdam, che il tecnico Rinus Michels aveva costruito
basandosi su canoni assolutamente innovativi rispetto alla
tradizione. Composta da un nucleo di giovani talenti allevati
con cura nel vivaio del club, quindi abituati da anni a giocare
con un grande senso del collettivo, l'Ajax esprimeva sul campo
un tipo di gioco che non si era mai visto. La sua autentica
rivoluzione consisteva nell'abolizione dei ruoli: i difensori si
sganciavano in attacco e gli attaccanti rientravano in copertura
nell'ambito di una manovra ad alto ritmo, che non concedeva
agli avversari né punti di riferimento fissi, né, di conseguenza,
la possibilità di adottare efficaci contromisure. Il suo uomo di
maggior talento, Johan Cruijff, si muoveva con una rapidità
impressionante, abbinata a una tecnica di primissimo ordine.
Quasi a significare la sua rottura con il passato, portava sulla
maglia il numero 14, non identificandosi in nessuno degli
undici ruoli tradizionali. In realtà era un attaccante completo,
con un grande senso del gol, ma che variava di continuo la sua
posizione sul campo e aggrediva la porta partendo da lontano,
con micidiali accelerazioni.
Alla finale europea ‒ dove era arrivato dopo una serie di vittorie
rocambolesche, di sensazionali rimonte, di punteggi nettissimi ‒
l'Ajax incontrò l'avversario peggiore che potesse capitargli: il
Milan. Impostato dall'allenatore Nereo Rocco sui canoni più
avanzati del calcio all'italiana, animato in campo da Gianni
Rivera, bloccato in difesa su rigorose marcature individuali e
con la regia del grande Cesare Maldini, il Milan riuscì, infatti, a
disattivare con estrema facilità i rivoluzionari meccanismi di
gioco olandesi. Cruijff fu subito escluso dalla manovra e la
difesa in linea dell'Ajax, che applicava in modo sistematico la
trappola del fuorigioco (avanzando simultaneamente a ranghi
compatti per lasciare le punte rivali in posizione irregolare),
venne neutralizzata dal tempismo di Rivera, in grado di cogliere
l'attimo giusto per lanciare a rete, in una zona del campo
praticamente deserta, il cannoniere Pierino Prati. La sconfitta
dell'Ajax fu quasi un massacro e lì parve chiudersi quel
tentativo di inventare un gioco nuovo e di imporlo come
modello vincente. Il trionfo milanista si rivelò, invece, il canto
del cigno del calcio tradizionale. L'Ajax era stato tradito dalla
sua inesperienza e, forse, da una certa dose di presunzione, ma a
partire dalla stagione seguente i club olandesi, prima con il
Feyenoord e poi, per tre anni di seguito, con lo stesso Ajax,
furono i dominatori delle competizioni europee riservate ai
club.
Più laboriosa si rivelò, invece, la trasposizione nella
rappresentativa nazionale di quel modulo. L'Olanda aveva
collezionato una lunga serie di sconfitte, conoscendo proprio
negli anni Cinquanta e Sessanta il suo periodo più oscuro. Un
anno dopo che l'Ajax, pur sconfitto in finale, aveva stupito e
incantato la critica internazionale, la nazionale olandese fu
esclusa dai Mondiali messicani, perché eliminata in fase di
qualificazione, come già era successo nelle tre edizioni
precedenti. I giocatori erano praticamente gli stessi che
giocavano nell'Ajax, ma va anche detto che non erano troppo
sensibili allo spirito di bandiera, a cominciare proprio da
Cruijff, che nel corso della sua lunga e straordinaria carriera
antepose sempre l'interesse personale all''amor di patria'. Il
modello olandese, comunque, ebbe un immediato impatto su un
calcio che già avvertiva forte l'esigenza di un cambiamento. Il
gioco 'totale' (con figure inedite come il pressing, cioè
l'aggressione sistematica e in forze dell'avversario in possesso
di palla, in ogni zona del campo; la già citata tattica del
fuorigioco, con spettacolari e sincrone avanzate dell'intera linea
difensiva; il tourbillon determinato dai continui scambi di
ruolo), se applicato da interpreti di valore, si rivelava altamente
spettacolare. Tornavano di moda gli alti punteggi, che il
pragmatico, seppur efficacissimo, calcio all'italiana aveva
invece contribuito a congelare, privilegiando la fase difensiva e
rarefacendo la fase d'attacco.
Il calcio olandese, cui si ispirarono tecnici d'avanguardia di ogni
paese, era in effetti diverso da tutti i precedenti tipi di gioco,
anche se, ovviamente, non poteva non riproporre alcune
soluzioni già sperimentate. La linea difensiva a quattro, per es.,
si rifaceva al 4-2-4 brasiliano, che però non prevedeva il ricorso
alla trappola del fuorigioco.
In precedenza, l'interscambio dei ruoli era già stata adottato con
successo dalla Grande Ungheria, ma su ritmi meno frenetici e
con una chiara prevalenza dell'abilità tecnica sul vigore atletico.
La vera originalità del modulo olandese fu di giocare un calcio
fisico con la proprietà tecnica tipica dei campioni sudamericani.
Come era già capitato all'Ungheria degli anni Cinquanta, anche
l'Olanda chiuse la sua grande stagione senza aver colto allori: fu
seconda in due Campionati del Mondo consecutivi, sempre alle
spalle della nazionale padrona di casa (la Germania Ovest nel
1974 e l'Argentina nel 1978), e quest'ultima circostanza
costituisce qualcosa di più di un'attenuante, se si tiene conto
della rilevanza che in quel periodo, come abbiamo visto,
assumeva il fattore campo.
L'addio di Cruijff
Il ferreo duopolio Germania Ovest-Olanda, secondo ogni
ragionevole previsione, era destinato a confermarsi nel
Campionato d'Europa del 1976, considerati come una concreta
possibilità di rivincita rispetto al Mondiale tedesco di due anni
prima. In effetti, le due squadre favorite giunsero senza
problemi nel quartetto delle finaliste, completato dalla
Iugoslavia, paese ospitante, e dalla solida Cecoslovacchia,
squadra di scarsa fantasia ma di robusto collettivo, provvista di
sufficiente cinismo tattico per opporsi alle formazioni più
quotate senza il minimo timore reverenziale. Il duello tra
Beckenbauer e Cruijff si spostava su ribalte diverse, senza
tuttavia perdere il suo ruolo di principale attrattiva del
cartellone calcistico.
Proprio in quegli Europei, disputatisi in proibitive condizioni
atmosferiche, si verificarono due fatti importanti: la
Cecoslovacchia batté prima l'Olanda in semifinale e poi la
Germania Ovest in finale e la perenne conflittualità all'interno
della squadra olandese, lacerata da rivalità insanabili, determinò
la rottura definitiva di Cruijff con la propria nazionale. Cruijff,
che pure in campo rappresentava il perno del gioco totale, si
faceva guidare nelle scelte e negli atteggiamenti da un assoluto
individualismo. Aveva già lasciato l'Ajax per il Barcellona,
cedendo alle lusinghe economiche di un favoloso contratto
proprio alla vigilia dei Mondiali 1974: una decisione che la
federazione olandese aveva dovuto subire, senza mai accettarla
del tutto. Per partecipare alle finali del Campionato d'Europa,
poi, aveva preteso un compenso straordinario, il che gli aveva
del tutto inimicato la maggioranza degli altri giocatori. La
sconfitta fece precipitare la situazione. Cruijff lasciò l'Olanda,
chiudendo la sua carriera in nazionale senza quei successi che la
sua classe e il suo talento naturale avrebbero sicuramente
meritato. In questo, fu costretto a invidiare il suo rivale
Beckenbauer, vero e proprio collezionista di trofei.
L'abbandono di Cruijff e dei giocatori a lui più legati, parve così
chiudere la breve ma esaltante stagione della Grande Olanda.
Invece, una formazione olandese di minore qualità, ma solida e
unita più che in passato sotto il profilo morale, riuscì a
raggiungere ancora la finale nel Mondiale del 1978, anch'essa,
come la precedente, giocata contro la nazionale di casa: questa
volta al posto della Germania Ovest c'era l'Argentina e il fattore
campo si fece sentire in modo ben più pesante. L'Argentina
aveva organizzato il Mondiale con la ferma determinazione di
vincerlo per offrire evasione e sfogo alla popolazione oppressa
dalla dittatura militare e per dare all'opinione pubblica mondiale
‒ che la guardava con giustificato sospetto ‒ una dimostrazione
di alta efficienza organizzativa. Il trionfo finale, che sotto il
profilo sportivo fu anche un meritato, e persino tardivo,
riconoscimento per una delle scuole calcistiche più forti di ogni
tempo, lasciò aperti molti interrogativi su quell'esito scontato.
Oltre all'Olanda, altre due squadre si dimostrarono all'altezza
del titolo: il Brasile, forse vittima di una combine tra Argentina
e Perù, e l'Italia, uscita dal periodo di crisi e ammirata come la
miglior nazionale, in chiave tecnica e tattica, di quel Mondiale.
Le fasi principali
L'elevata qualità tecnica del calcio odierno, soprattutto ai
massimi livelli, è tutt'altro che un dato scontato, in quanto è
stata raggiunta gradualmente nel corso di una storia lunga e
travagliata. Il successivo evolversi dei sistemi di gioco e della
tattica è stato sempre strettamente congiunto allo sviluppo delle
capacità tecniche dei calciatori, che sono andate continuamente
progredendo in virtù di un'applicazione sempre più assidua e
intensa e di un insegnamento sempre più efficace e razionale. Il
football nacque nel 1863 in Inghilterra, quando i calciatori si
separarono dai giocatori di rugby proprio per prendere le
distanze dallo svolgimento rude di quel gioco in cui sono
consentiti l'aggressione e il placcaggio dell'avversario.
Introducendo regole che punivano l'uso della violenza, il calcio
metteva in primo piano l'abilità più specificatamente tecnica.
Nei primi anni ai calciatori era consentito 'stoppare' il pallone
anche con le mani, mentre solo il passaggio e il tiro in porta
dovevano essere eseguiti con il piede. Queste 'azioni di mano',
sia pur limitate, erano necessarie a garantire un buon flusso di
gioco, dato che l'abilità dei calciatori nel controllare il pallone
con il corpo e con il piede era ancora molto poco sviluppata.
Soltanto nella stagione sportiva 1871-72 fu introdotta la regola
che proibiva a tutti i calciatori, tranne il portiere, di toccare la
palla con le mani. Ciò determinò la necessità di apprendere
nuovi modi per controllare il pallone e di migliorare tutto il
repertorio della tecnica individuale.
All'epoca delle origini, comunque, quando il regolamento
prevedeva il fuorigioco totale (era in fuorigioco, cioè, chiunque
si trovasse davanti alla linea della palla in qualsiasi zona del
campo) e gli allenamenti si svolgevano saltuariamente,
l'impostazione tecnica individuale lasciava molto a desiderare.
L'unico elemento tecnico in cui i calciatori mostravano una
certa abilità era il dribbling, perché il gioco si sviluppava in
forma essenzialmente individualista: colui che di volta in volta
era in possesso del pallone puntava direttamente verso il
portiere avversario e, in dribbling, tentava di andare in gol da
solo. Gli 'stop' erano approssimativi, i pochi passaggi che era
inevitabile eseguire erano per lo più imprecisi, i tiri in porta e i
calci al pallone venivano effettuati prevalentemente con la
punta del piede. Si trattava, in definitiva, di una tecnica
rudimentale, grossolana e improvvisata.
Successivamente, nel periodo di applicazione del 'sistema
piramidale' e del 'metodo', si sviluppò una tecnica che
rispondeva ai più importanti principi di gioco collettivo e
consentiva d'altra parte alle individualità di notevole rilievo di
emergere. Il tocco della palla divenne più leggero e più
morbido, il repertorio degli 'stop' e delle finte si arricchì
enormemente, le preziosità stilistiche e acrobatiche divennero
patrimonio di molti giocatori e l'impostazione tecnica
individuale divenne mediamente di buon livello, con inevitabili
riflessi sul miglioramento del gioco collettivo e dell'aspetto
spettacolare. Nel secondo dopoguerra, con l'affermazione del
'WM' in tutto il mondo, tranne che nei paesi del Sud America, si
ebbe la fase della specializzazione della tecnica in relazione al
ruolo che i giocatori ricoprivano in gara. Nel 'WM', infatti, i
ruoli erano ben distinti e definiti sia per la posizione dei
giocatori in campo sia per i compiti da svolgere. Le funzioni di
difensori, centrocampisti e attaccanti erano completamente
differenti e circoscritte a zone del campo ben delimitate: mentre
i difensori si occupavano di respingere l'offensiva avversaria, i
loro compagni di attacco, a circa 40 m di distanza, assistevano
passivamente all'esito dello scontro; allo stesso modo si
comportavano da spettatori i difensori quando la palla si trovava
nelle vicinanze della porta avversaria. Non esisteva
collaborazione tra giocatori di reparti diversi e ognuno era
responsabile soltanto di ciò che avveniva nella sua zona di
competenza. Anche da un punto di vista tecnico,
l'addestramento era differente per difensori e attaccanti. Ai
primi, per lo più giocatori alti, robusti, vigorosi, venivano
proposte prevalentemente esercitazioni per le varie forme
di tackle, per il colpo di testa, per i rinvii lunghi al volo di collo-
piede; l'allenamento dei secondi era invece finalizzato al tiro in
porta, al dribbling, al cross da fondo campo con conclusione a
rete di testa o di piede. Una tecnica particolare, messa a punto
negli anni Cinquanta dai difensori del 'WM' e consacrata a
livello internazionale nel 1954 quando la Germania divenne per
la prima volta, in modo clamoroso, campione del mondo, è stata
quella del 'tackle scivolato', diffusasi in seguito in Italia
soprattutto sull'esempio di un calciatore straniero che la
praticava in modo magistrale: il difensore tedesco Schnellinger.
Nel 1974, ai Campionati del Mondo in Germania Ovest,
l'Olanda inaugurò il cosiddetto 'calcio totale'; questo tipo di
gioco allargava notevolmente il raggio d'azione di ogni
giocatore, che si alternava ininterrottamente fra attacco e difesa
non rimanendo più ancorato a una sola zona del campo. Di
conseguenza, cominciò a diffondersi (affermandosi poi
definitivamente) un tipo di addestramento tecnico non più
legato alle particolari e differenti funzioni di ciascun ruolo, ma
caratterizzato dal principio dell'eclettismo mirato alla
formazione di calciatori di elevata tecnica generale, capaci di
eseguire con il pallone, in maniera corretta e disinvolta, tutto il
repertorio dei gesti previsti dalla tecnica calcistica individuale e
di agire, con efficacia, in ogni zona del campo e nelle diverse
situazioni di gioco. Anche per il portiere ‒ non più relegato per
tutta la durata della partita sulla linea di porta, ma costretto a
intervenire anche fuori dell'area di rigore per svolgere la
funzione di libero nei momenti in cui, lontano dalla propria
porta, scattava il fuorigioco dei compagni del reparto difensivo
‒ si cominciò ad avvertire l'esigenza di un addestramento più
generale, tendente, in altri termini, a sviluppare non solo le
abilità specifiche all'uso delle mani, ma anche quelle richieste
agli altri giocatori in campo. È da precisare, comunque, che una
sostanziale evoluzione tecnica del ruolo del portiere, soprattutto
per quanto riguarda la maggiore frequenza del gioco di piede, si
è avuta dal 1996 in poi, da quando cioè è stata introdotta la
nuova norma che vieta al portiere l'uso delle mani in caso di
retropassaggio volontario di un compagno.
La 'piramide' di Cambridge
Lo sviluppo delle strategie di gioco fu senza dubbio agevolato
dal fatto che il calcio di fine secolo si giocasse soprattutto in
ambiente universitario: l'evento agonistico, infatti, divenne
oggetto di studio, in vista di un suo progressivo
perfezionamento. Il college di Cambridge, uno dei più
prestigiosi d'Inghilterra, ideò una formula rimasta fondamentale
nella storia del calcio e alla quale, in ultima analisi, vanno fatti
risalire tutti gli schemi moderni. Il passing game, come si è
visto, aveva introdotto il concetto della collaborazione fra i
compagni di squadra, anche di reparti diversi. Per ottenere una
più razionale occupazione del terreno di gioco, Cambridge
adottò e diffuse uno schema a piramide: davanti al portiere si
collocavano due difensori (backs); poco più avanti si posiziona
un'altra linea, formata da tre giocatori (definiti half-backs, e poi
semplicemente halfs), che dovevano raccogliere le respinte dei
difensori e tramutarle in suggerimento per la linea degli
attaccanti (forwards), composta da cinque uomini che
occupavano l'intera larghezza del campo.
Quando fu introdotta in Italia, questa impostazione a 2-3-5,
portò a definizioni ancora in uso: 'prima linea' (a partire
dall'alto) per gli attaccanti, 'linea mediana' per quella intermedia
(e mediani furono definiti i suoi interpreti), 'terza linea' per gli
ultimi difensori, chiamati quindi terzini. La rappresentazione
grafica di questo schieramento, comprendente un portiere, due
terzini, tre mediani, cinque attaccanti, assume la forma di una
piramide rovesciata, e col nome di 'piramide' questo schema si
diffuse in tutta Europa. Si tratta di un sistema di gioco già
completo, cui manca però un elemento: la marcatura, cioè
l'abbinamento di un proprio difensore a uno specifico attaccante
avversario, e proprio per questa caratteristica, in un certo senso,
la piramide di Cambridge può essere considerata un antecedente
della 'zona'. È comunque da questa formula che partono i due
schemi gioco destinati alla massima diffusione nel periodo fra
le due guerre: il 'metodo' e il 'sistema'.
Il 'metodo' e il centromediano
Chiaramente ispirato alla piramide, il metodo venne anche
chiamato 'modulo a W', perché la disposizione dei giocatori in
campo disegnava due W poste l'una sull'altra. Come nella
piramide, davanti al portiere prendevano posizione i due terzini,
chiamati a presidiare la propria area di rigore senza specifiche
funzioni di controllo nei confronti degli avversari. La linea
mediana veniva però diversamente articolata: i due mediani
laterali si allargavano sulle due opposte fasce di campo e
finivano per controllare direttamente gli attaccanti esterni
avversari, cioè le 'ali', mentre il mediano centrale, detto
'centromediano', diventava la figura dominante della squadra.
Lievemente arretrato rispetto ai due laterali, aveva il doppio
compito di opporsi al centravanti avversario e di capovolgere il
fronte del gioco con precisi e potenti rilanci che mettevano in
moto la controffensiva. In genere, il suo rinvio veniva raccolto
dalle mezzali, che impostavano la manovra sulle ali, i cui cross
chiamavano in causa, per la conclusione a rete, il centravanti.
Perno del metodo, il mediano centrale venne indicato anche
come 'centromediano metodista', ruolo che assommava le
funzioni svolte attualmente dal 'libero' difensivo e dal regista di
centrocampo. In sintesi, il mediano centrale era l''uomo-
squadra'.
Rispetto alla piramide, inoltre, gli attaccanti non erano più
disposti tutti e cinque su una medesima linea: i due interni, o
mezzeali, erano più arretrati rispetto alle ali e al centravanti. In
tal modo, passando dal 2-3-5 della piramide a un più articolato
2-3-2-3, il metodo raggiunse il perfetto equilibrio numerico fra
giocatori di difesa e di attacco.
Questo schema tattico venne esaltato dalla scuola danubiana, la
cui squadra più rappresentativa fu il Wunderteam austriaco, e
raggiunse i risultati migliori con l'Italia di Vittorio Pozzo, che
proprio grazie al metodo vinse due titoli mondiali consecutivi,
nel 1934 e nel 1938, inframmezzati dalla medaglia d'oro ai
Giochi Olimpici del 1936. Deve essere però precisato che
l'Italia diede del metodo classico un'interpretazione particolare,
potenziando la fase difensiva e adottando l'efficacissima arma
offensiva del contropiede, cioè invogliando la squadra
avversaria all'attacco in massa, al fine di coglierla sguarnita
mediante improvvisi contrattacchi.
Le tecniche di allenamento
di Gianni Leali
Le regole
di Mario Valitutti
Le origini
Le regole del calcio sono state codificate gradualmente nel
corso degli anni, in un percorso non sempre univoco. Per il
periodo delle origini accade, quindi, che siano pervenute a noi
versioni contrastanti sia per quanto concerne le date della loro
adozione sia per ciò che attiene ai loro contenuti.
Le prime regole risalgono al 1848 quando un gruppo di studenti
si riunì a Cambridge per tracciare un codice di comportamento,
nel tentativo di introdurre nella pratica del gioco un minimo di
uniformità. Secondo tale codice: "una rete è valida quando la
palla viene calciata attraverso i pali della porta e sotto il nastro
che unisce i pali"; "quando un giocatore riceve la palla deve
calciarla senza correre con essa, trattenendola. In ogni caso la
palla non può mai essere toccata con le mani se non per
fermarla"; "in nessun caso è consentito abbracciare un
avversario, colpirlo con le mani oppure ostacolarlo. Nessun
giocatore deve impedire agli altri di catturare il pallone in una
di queste maniere".
Seguono nel 1857 le 'regole di Sheffield' emanate dal primo
club di calcio non universitario, lo Sheffield Club: "ogni
giocatore deve essere dotato di un cappellino di flanella di
colore rosso oppure blu scuro e indossare il cappellino a
seconda della squadra di appartenenza"; "la palla può essere
colpita con la mano ma è vietato portarla sotto braccio"; "un gol
non può essere segnato con la mano e neppure con un calcio
libero dopo una presa".
Pochi anni dopo, nel 1862 le regole redatte da J.C. Thring della
Uppingham School sanciscono che: "un gol è valido quando la
palla attraversa la porta sotto la sbarra eccetto quando viene
portata con la mano"; "la palla non può essere calciata se è in
aria"; "un giocatore è considerato fuorigioco quando si trova
davanti alla linea del pallone".
Infine, il 26 ottobre 1863 i rappresentanti di 11 club e
associazioni sportive londinesi si riunirono presso la Free
Mason's Tavern di Londra per dare vita a una struttura unitaria,
la Football Association. Il loro scopo primario era quello di
codificare in maniera organica e omogenea il gioco del calcio,
concordando modalità comuni di azione e procedendo alla
stesura di un regolamento ufficiale cui avrebbero dovuto
attenersi tutte le società aderenti. Le prime riunioni della
Football Association furono caratterizzate da un'accesa
dialettica. Si fronteggiavano due opposte tendenze,
rappresentate da un lato dal segretario dell'Associazione, E.C.
Morley, deciso a eliminare la matrice rugbystica del nuovo
gioco (lo hacking, lo scalciare gli stinchi dell'avversario,
l'aggredirlo con durezza), e dall'altro dal tesoriere
dell'Associazione nonché presidente del Football Club
Blackheath, F.M. Campbell, rigido difensore di quella
impostazione. Prevalsero le ragioni di Morley e l'8 dicembre fu
varato il regolamento, secondo il quale nessun giocatore
avrebbe potuto correre con la palla tra le mani o caricare
l'avversario. Il calcio, come oggi lo intendiamo, aveva
finalmente intrapreso la sua strada.
Le regole del 1863, pur avendo il pregio di portare a unità le
norme in precedenza emanate da più parti e di imporle a tutti gli
associati alla Federazione, non erano ancora sufficienti a gestire
e regolare un gioco che era venuto assumendo importanza e
dimensioni non trascurabili nella società e nel costume
dell'epoca. Basti pensare che non si faceva cenno alla durata
dell'incontro, al numero dei giocatori da schierare in campo, ai
giudici di gara, al punteggio da assegnare per la vittoria e il
pareggio, all'altezza delle porte e così via.
Nel regolamento figuravano, invece, le dimensioni massime del
campo di gioco (200 yard, pari a 182 m, di lunghezza; 100 yard,
pari a 91 m, di larghezza), l'ampiezza delle porte, la validità del
gol ("un gol viene segnato quando la palla passa attraverso i pali
o sopra lo spazio tra i pali a qualsiasi altezza, a meno che essa
non vi sia stata fatta passare con le mani"), la disciplina del
fuorigioco ("quando un calciatore ha calciato la palla, qualsiasi
appartenente alla stessa squadra è considerato in fuorigioco se si
trova più vicino della palla stessa alla linea della porta
avversaria"), le distanze su calcio d'inizio o su calci piazzati (10
yard pari a 9,15 m), i comportamenti in campo ("nessun
giocatore potrà correre tenendo bloccata la palla o passare la
palla a un compagno con le mani o prendere la palla con le
mani mentre essa è in gioco"; "non è consentito ostacolare,
abbracciare, spingere o colpire un avversario; portare protezioni
in ferro o legacci di cuoio sulla superficie delle scarpe").
Negli anni seguenti l'applicazione delle regole non fu univoca,
in quanto inizialmente aderirono alla Football Association
soprattutto le squadre studentesche e una parte dei 'club
calcistici' che erano considerati dei circoli al pari di quelli
culturali o del bridge. Un momento decisivo fu rappresentato
nel 1886 dalla creazione dell'IFAB (International football
association board), costituito da due membri per ciascuna delle
quattro Federazioni britanniche (Inghilterra, Scozia, Galles,
Irlanda) e finalizzato all'armonizzazione e all'univoca
interpretazione delle regole del gioco. Le tappe principali
dell'evoluzione subi-ta negli anni da tali regole sono riportate in
tab. 1.
Tabella 1
Le regole principali
Terreno di gioco. Nel 1897 vennero precisate le dimensioni del
campo: lunghezza da 90 a 120 m, larghezza da 45 a 90 m; per
gli incontri internazionali lunghezza da 100 a 110 m, larghezza
da 64 a 75 m. Nel 1875 sui pali comparve la traversa e le misure
delle porte vennero fissate in 7,32×2,44 m. Nel 1891 furono
installate le reti e fu abolito il giudice di porta.
Durata dell'incontro
Anche da questo punto di vista, inizialmente ci si rimetteva alle
intese raggiunte sul campo. Per lo più si dava luogo a sfide
interminabili la cui conclusione dipendeva dalla segnatura di un
certo numero di gol. La durata dell'incontro venne fissata in 90
minuti, secondo alcune fonti, nel 1877, secondo altre nel 1896.
Dal 1995, in Italia, è prevista, allo scadere dei due tempi di
gara, la segnalazione da parte del 'quarto uomo' dei tempi di
recupero. L'innovazione è stata adottata dalla FIFA in occasione
del Mondiale del 1998.
Punteggio
Nel 1881 si decise di assegnare due punti per la vittoria e un
punto per il pareggio. Nel 1994, seguendo l'esempio
dell'Inghilterra e di numerosi altri paesi, anche in Italia la
vittoria viene premiata con tre punti (rimane un punto per il
pareggio).
Fuorigioco
Il regolamento del 1863 prevedeva il fuorigioco totale: si
trovava in tale posizione il giocatore che, in qualsiasi zona del
campo, fosse più vicino al limite di fondo campo avversario
rispetto alla palla nel momento in cui questa veniva calciata in
avanti da un compagno. Successivamente la regola ha subito tre
variazioni: nel 1866 era ritenuto in fuorigioco, in qualunque
zona del campo, chi non avesse davanti a sé almeno tre
giocatori avversari; nel 1907 si considerava in fuorigioco chi,
nella sola metà campo avversa, non avesse davanti a sé almeno
tre giocatori avversari; nel 1925 era in posizione di fuorigioco
chi, sempre nella sola metà campo avversa, non avesse davanti
a sé almeno due giocatori avversari. Questa ultima regola è
tuttora in vigore con una sola variante introdotta nel 1990: non è
considerato in fuorigioco il calciatore in linea con il penultimo
avversario (in genere l'ultimo è il portiere). Le decisioni del
1925 comportarono rilevanti conseguenze tattiche che,
inizialmente, furono avvertite solo in Inghilterra dove
l'allenatore Herbert Chapman rivoluzionò lo schema di gioco
con l'adozione del cosiddetto 'sistema'. Nel continente si dette
importanza alla nuova regola molti anni più tardi.
Giudici di gara
Ai primordi del calcio anglosassone l'etica del fair play riteneva
superflua la figura dell'arbitro e per dirimere le situazioni di
gioco controverse intervenivano i capitani delle due squadre.
Tuttavia, il gentlemen's agreement, non fu più in grado di
governare l'andamento degli incontri quando essi si fecero
altamente competitivi e il pubblico divenne più numeroso e
sovente tumultuoso. Emerse quindi l'esigenza di affidare la
conduzione della gara a soggetti terzi. Dagli atti risulta che nel
1871 il controllo della gara venne affidato a due giudici di
campo (umpires) scelti dalle parti e a un terzo giudice (referee)
seduto fuori campo con compiti di appello. Il fischietto non
esisteva ancora e pertanto i giudici di campo erano muniti di
bandierina per sospendere il gioco. Nel 1891 il referee ebbe in
dotazione fischietto e taccuino e fece il suo ingresso in campo;
gli umpires furono dislocati lungo le linee laterali con il solo
compito di segnalare il punto in cui il pallone usciva dal campo.
Nel 1894 le decisioni dell'arbitro sono diventate inappellabili.
Nel 1989 in Italia, limitatamente alle serie A e B e alla Coppa
Italia, viene ammesso un quarto ufficiale di gara che si colloca
all'altezza della linea mediana del campo. Nel 1996 i
guardalinee diventano assistenti dell'arbitro.
Sanzioni
Le sanzioni, integrazioni e modifiche alle regole del gioco
furono introdotte a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento.
Si fa risalire agli anni 1872-73 l'istituzione dei calci liberi o di
punizione, mentre nel 1903 compare il calcio di punizione
diretto. Nel 1951 viene punito il fallo di ostruzione intenzionale.
Nel 1992 viene sanzionato con un calcio di punizione indiretto
il retropassaggio di piede al portiere che tocchi la palla con le
mani.
Il calcio di rigore compare nel 1891 (v. tab. 2). Inizialmente si
poteva calciare da qualsiasi punto del terreno di gioco purché a
distanza di 11 m dalla porta (si tracciava un semicerchio dal
centro della porta con un raggio di 12 yard e il pallone poteva
essere posto su un punto qualsiasi del semicerchio). La porta era
difesa solo dal guardiano (così veniva chiamato a quei tempi il
portiere). Successivamente (1902) vennero delimitate con le
attuali misure le aree di porta e di rigore e si stabilì che il calcio
di rigore dovesse essere battuto sempre dallo stesso punto, a 11
m dalla porta sulla linea perpendicolare di questa (la cosiddetta
'lunetta'). Nel 1931 si decretò che il portiere non potesse
muoversi prima che la palla fosse calciata dal dischetto. Una
disposizione del 1997 consente al portiere di muoversi solo
lungo la linea di porta.
Il calcio d'angolo fu introdotto nel 1873. Nel 1913 fu deciso che
il calciatore che batteva il corner non potesse toccare il pallone
una seconda volta prima che esso fosse stato giocato da un
compagno o da un avversario. Nel 1924 (secondo alcune fonti
nel 1927) divenne regolare il gol realizzato direttamente dal
calcio d'angolo.
La rimessa laterale con entrambe le mani è una regola risalente
al 1882.
Le espulsioni vennero regolamentate per la prima volta nel
1874, concedendo ai giudici di gara di espellere un giocatore
recidivo nell'inosservanza delle regole di gioco. Nel 1927 è
riconosciuta all'arbitro la facoltà di espellere un giocatore che
usi nei suoi confronti un linguaggio grossolano o ingiurioso.
Nel 1990 viene sancita l'espulsione del difensore che commette
fallo sull'attaccante che si trovi in una chiara azione da rete; nel
1991 l'espulsione del giocatore che interrompe con la mano
un'azione da gol e del portiere che interviene con le mani fuori
dell'area di rigore; in occasione del Mondiale 1994, la FIFA
raccomanda di sanzionare con l'espulsione il fallo commesso da
tergo (la decisione viene codificata nel 1998).
Tabella 2
Le regole attuali
Attualmente assicurano solide fondamenta e assoluta precisione
al gioco del calcio 17 Regole, promulgate per la prima volta nel
1939. I loro contenuti essenziali possono essere così sintetizzati:
1. Terreno di gioco
Deve essere rettangolare, lungo almeno 90 m (100 m per le gare
internazionali) e largo almeno 45 m (64 m per le gare
internazionali), e delimitato da linee. Ciascun lato del campo
comprende un'area di rigore all'interno della quale è segnato il
punto, posto a 11 m dalla linea di porta ed equidistante dai pali,
da cui tirare il calcio di rigore. A ciascun angolo del terreno
deve essere infissa un'asta con bandierina. Le porte consistono
di due pali verticali infissi a uguale distanza dalle bandierine
d'angolo e congiunti alla sommità da una sbarra trasversale. La
distanza che separa i due pali è di 7,32 m e il bordo inferiore
della sbarra trasversale è situato a 2,44 m dal suolo.
2. Pallone
Deve essere di forma sferica, di cuoio o altro materiale
approvato, con una circonferenza minima di 68 cm e massima
di 70 cm. Il suo peso all'inizio della gara deve essere compreso
fra i 410 e i 450 g.
3. Numero dei calciatori
Ogni gara è disputata da due squadre composte ciascuna da 11
calciatori al massimo, uno dei quali giocherà da portiere.
Nessuna gara potrà aver luogo se l'una o l'altra squadra dispone
di meno di sette calciatori. In panchina potranno sedere altri
calciatori: secondo il tipo di competizione, da un minimo di tre
a un massimo di sette. Nelle gare ufficiali è consentita la
sostituzione di non più di tre calciatori. Nelle altre gare si può
superare questo limite, se c'è accordo fra le parti.
4. Equipaggiamento dei calciatori
L'equipaggiamento e l'abbigliamento dei calciatori non devono
in alcun caso risultare pericolosi. Ciò vale anche per i monili di
qualsiasi genere. L'equipaggiamento completo di un calciatore
comprende: maglia, calzoncini (gli eventuali scaldamuscoli
devono essere dello stesso colore di quello dominante dei
calzoncini), calzettoni, parastinchi, scarpe. Il portiere deve
indossare una maglia di colore diverso da quello di tutti gli altri
calciatori, dell'arbitro e degli assistenti dell'arbitro.
5. Arbitro
Ogni gara si disputa sotto il controllo di un arbitro, le cui
decisioni sui fatti relativi al gioco sono inappellabili. L'arbitro
può ritornare su una sua decisione soltanto se ritiene che essa
sia errata o, a sua discrezione, su segnalazione di un assistente,
sempre che nel frattempo il gioco non sia stato ripreso.
6. Assistenti dell'arbitro
È prevista la designazione di due assistenti dell'arbitro, che
avranno il compito di coadiuvarlo nel vigilare sul rispetto delle
regole del gioco durante la gara. Il regolamento attuale prevede
anche la figura del 'quarto ufficiale' (o 'quarto uomo'), che può
sostituire uno dei tre ufficiali di gara (arbitro e suoi assistenti)
che fosse impossibilitato a svolgere le sue funzioni. Inoltre il
'quarto ufficiale' coadiuva l'arbitro, su richiesta dello stesso, in
tutte le funzioni burocratiche prima, durante e dopo la gara, e
infine lo assiste nella procedura delle sostituzioni dei calciatori
durante la partita.
7. Durata della gara
Salvo diversi accordi, la gara si compone di due periodi di
gioco di 45 minuti ciascuno, intervallati da una sosta che non
deve superare i 15 minuti. Ciascun periodo deve essere
prolungato per recuperare tutto il tempo perduto per le
sostituzioni, l'accertamento degli infortuni dei calciatori e il loro
trasporto al di fuori dal terreno di gioco, le manovre tendenti a
perdere deliberatamente tempo, ecc. La durata del recupero per
interruzioni è a discrezione dell'arbitro. Per le gare che
terminano con il risultato di parità, i regolamenti delle
competizioni possono prevedere disposizioni relative ai tempi
supplementari o ad altre procedure accettate dall'IFAB, che
consentono di determinare la squadra vincitrice della gara. Una
gara sospesa definitivamente prima del suo termine deve essere
rigiocata, salvo disposizioni contrarie previste nel regolamento
della competizione.
8. Calcio d'inizio e ripresa del gioco
La scelta della parte del campo viene stabilita con sorteggio per
mezzo di una moneta. La squadra che vince il sorteggio sceglie
la porta contro cui attaccherà nel primo perio--do di gioco.
All'altra squadra verrà assegnato il calcio d'inizio della gara.
Nel secondo tempo le squadre invertono le rispettive metà del
campo.
9. Pallone in gioco e non in gioco
Il pallone non è in gioco quando ha interamente superato la
linea di porta o la linea laterale, sia a terra sia in aria, o quando
il gioco è stato interrotto dall'arbitro.
10. Segnatura di una rete
Una rete è considerata valida quando il pallone ha interamente
superato la linea di porta tra i pali e sotto la sbarra trasversale,
sempre che nessuna infrazione alle regole sia stata
precedentemente commessa dalla squadra in favore della quale
la rete è concessa.
11. Fuorigioco
Un calciatore si trova in posizione di fuorigioco quando è più
vicino alla linea di porta avversaria sia rispetto al pallone sia al
penultimo avversario. La posizione di fuorigioco di un
calciatore deve essere punita solo se, nel momento in cui il
pallone è toccato o giocato da uno dei suoi compagni, il
calciatore, a giudizio dell'arbitro, prende parte attiva al gioco,
intervenendo nel gioco stesso, oppure influenzando un
avversario, oppure traendo vantaggio da tale posizione. Non vi
è infrazione di fuorigioco quando un calciatore si trova nella
propria metà del terreno di gioco; si trova in linea con il
penultimo avversario; riceve direttamente il pallone su calcio di
rinvio oppure su rimessa dalla linea laterale, oppure su calcio
d'angolo. Per tutte le infrazioni alla regola del fuorigioco,
l'arbitro accorda alla squadra avversaria un calcio di punizione
indiretto, che deve essere eseguito nel punto in cui l'infrazione è
stata commessa.
12. Falli e comportamenti antisportivi
I falli e i comportamenti antisportivi devono essere sanzionati
con: a) calcio di punizione diretto, accordato alla squadra
avversaria del calciatore che, a giudizio dell'arbitro, commetta
per negligenza, imprudenza o vigoria sproporzionata uno dei
falli seguenti: dare o tentare di dare un calcio a un avversario,
fare o tentare di fare uno sgambetto a un avversario, saltare su
un avversario, caricare un avversario, colpire o tentare di
colpire un avversario, spingere un avversario. Viene accordato
calcio di punizione diretto anche per le seguenti altre azioni
fallose: contrastare un avversario per il possesso del pallone,
venendo in contatto con lui prima di raggiungere il pallone,
trattenere un avversario, sputare contro un avversario, giocare
volontariamente il pallone con le mani (a eccezione del portiere
quando si trova nella propria area di rigore); b) calcio di rigore,
accordato quando uno dei suddetti falli sia commesso da un
calciatore entro la propria area di rigore, indipendentemente
dalla posizione del pallone, purché lo stesso sia in gioco;
c) calcio di punizione indiretto, accordato alla squadra
avversaria quando il portiere, trovandosi nella propria area di
rigore, trattenga per più di sei secondi il pallone con le mani, o
tocchi nuovamente il pallone con le mani, dopo esserne entrato
in possesso, prima che lo stesso sia stato toccato da un altro
calciatore, o tocchi con le mani il pallone passatogli
deliberatamente con il piede da un calciatore della propria
squadra, o tocchi con le mani il pallone passatogli direttamente
da un compagno su rimessa dalla linea laterale, o compia
manovre che, a giudizio dell'arbitro, siano dettate unicamente
dal proposito di perdere tempo. Un calcio di punizione indiretto
è parimenti accordato quando un calciatore giochi in modo
pericoloso, o impedisca la progressione a un avversario (senza
contatto fisico), od ostacoli il portiere nell'atto di liberarsi del
pallone che ha tra le mani, o commetta altri falli, per i quali la
gara è stata interrotta per ammonire o espellere un calciatore.
Per quanto riguarda le sanzioni disciplinari, un calciatore deve
essere ammonito (cartellino giallo) quando si renda colpevole di
uno dei falli seguenti: comportamento antisportivo, esplicita
disapprovazione con parole o gesti, trasgressione ripetuta delle
regole del gioco, ritardo nella ripresa del gioco, disattesa della
distanza prescritta nei calci d'angolo e nei calci di punizione,
entrata o rientro nel terreno di gioco senza il preventivo assenso
dell'arbitro, abbandono deliberato del terreno di gioco senza il
preventivo assenso dell'arbitro. Un calciatore deve
essere espulso (cartellino rosso) dal terreno di gioco nel caso in
cui si renda colpevole di un fallo violento di gioco o di condotta
violenta (l'IFAB ha assimilato al fallo violento il tackle da
dietro che metta in pericolo l'integrità fisica di un avversario),
nel caso in cui sputi contro un avversario o qualsiasi altra
persona, quando impedisca alla squadra avversaria di segnare
una rete o la privi di una chiara occasione da rete toccando
volontariamente il pallone con le mani, quando annulli una
chiara occasione da rete a un calciatore diretto verso la porta
avversaria commettendo su di lui un fallo punibile con un calcio
di punizione o di rigore, nel caso in cui usi un linguaggio
offensivo, ingiurioso o minaccioso, nel caso in cui riceva una
seconda ammonizione nel corso della stessa gara. Gli Organi di
giustizia sportiva possono utilizzare quale mezzo di prova, al
solo fine dell'irrogazione di sanzioni disciplinari, riprese
televisive o filmati sia per correggere errori di persona sia per
punire episodi di condotta violenta avvenuti a gioco fermo o
estranei all'azione di gioco, sfuggiti al controllo degli ufficiali di
gara. Contro le sanzioni irrogate le parti possono produrre
immagini televisive che dimostrino che il tesserato non ha
commesso l'infrazione.
13. Calci di punizione
Nel calcio di punizione indiretto la rete viene convalidata
soltanto se il pallone entra in porta dopo aver toccato un altro
calciatore; nel calcio di punizione diretto il calciatore può tirare
direttamente nella porta avversaria.
14. Calcio di rigore
Un calcio di rigore è assegnato contro la squadra che commette,
nella propria area di rigore e con il pallone in gioco, uno dei
falli punibili con un calcio di punizione diretto. Il pallone deve
essere posizionato sul punto contrassegnato all'interno dell'area
di rigore. Il portiere deve restare sulla propria linea di porta fino
a quando il pallone è stato calciato. Il calciatore incaricato di
battere il calcio di rigore non può giocare o toccare una seconda
volta il pallone prima che lo stesso sia stato giocato o toccato da
un altro calciatore
15. Rimessa dalla linea laterale
È accordata quando il pallone ha interamente superato la linea
laterale sia a terra sia in aria. Il calciatore incaricato di eseguirla
deve fare fronte al terreno di gioco, avere, almeno parzialmente,
i due piedi sulla linea laterale, tenere il pallone con le mani e
lanciarlo da dietro la nuca e al di sopra della testa. Una rete non
può essere segnata direttamente su rimessa dalla linea laterale.
16. Calcio di rinvio
È accordato quando il pallone, giocato per ultimo da un
calciatore della squadra attaccante, ha interamente superato la
linea di porta, sia a terra sia in aria, senza peraltro entrare in
porta.
17. Calcio d'angolo
È accordato quando il pallone, giocato per ultimo da un
calciatore della squadra difendente, ha interamente superato la
linea di porta, sia a terra sia in aria, senza peraltro entrare in
porta.
Oltre a queste norme fondamentali, fanno altresì parte
integrante del regolamento altre istruzioni supplementari
dell'IFAB che si riferiscono alle modalità di esecuzione dei tiri
di rigore per la determinazione della squadra vincente; alla
definizione dell'area tecnica (che si estende lateralmente 1 m
per parte oltre le panchine e in avanti fino a 1 m dalla linea di
fondo) e al 'quarto ufficiale' di gara. Un'altra norma introdotta
nelle competizioni ufficiali organizzate dalla FIFA (Campionati
Mondiali) e dalla UEFA (Campionati Europei) è quella del
'golden gol', in base alla quale la squadra che segna per prima
una rete nei tempi supplementari vince la partita. Tale regola ha
trovato applicazione anche nei Mondiali del 2002, ma se ne
studiano modifiche.
L'arbitraggio
di Angelo Pesciaroli
Tabella 1
Le organizzazioni internazionali
di Salvatore Lo Presti
Aspetti legislativi
di Marco Brunelli
Doping
di Leonardo Vecchiet, Luca Gatteschi, Maria Grazia Rubenni
Tabella 1
Aspetti economici
di Marco Brunelli
Tabella 1
Tabella 2
I soli diritti televisivi generano oltre il 60% del giro d'affari del
Campionato nazionale brasiliano. Per un club come l'Arsenal, il
peso del botteghino è passato dal 93% del fatturato nel 1974 al
42% nel 1994. Nel caso della Roma, l'incidenza dei ricavi da
gare è scesa dal 63% del valore della produzione nel 1988 al
21% nel 2001.
Tabella 3
Il calcio-mercato
di Franco Ordine
Tabella 1
Il calcio e la televisione
di Marco Brunelli
Tabella 1
Calcio e Sponsor
di Marco Brunelli
Tabella 1
Il Tifo
di Ruggiero Palombo
Tabella 2
Tabella 3
Tabella 4
Tabella 1
Tabella 1