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Choosing Health 1st Edition Lynch Test Bank
Multiple Choice
1. Psychological health encompasses which of the following dimensions of health?
A. Spiritual
B. Mental
C. Emotional
D! All of the answers are correct.
ANS: D
DIF: 1
REF: 20
MSC: Understanding
5. Juanita is trying to improve her self-esteem. All of the following suggestions will help her except
A. relying on others to take care of her responsibilities.
B. learning something new.
C. practicing positive self-talk.
D. eating a healthy diet and exercising.
ANS: A
DIF: 2
REF: 22
MSC: Applying
8. James is practicing this technique when he enjoys the experience of fishing with his son instead of
thinking about his problems.
A. Mindfulness
B. Meditation
C. Solitude
D. Altruism
ANS: A
DIF: 1
REF: 23
MSC: Applying
9. Having an optimistic outlook has been associated with all of the following except
A. carrying less anger.
B. a decreased likelihood of getting sick with serious or minor illness.
C. a higher likelihood of developing diabetes.
D. a better ability to cope with the ups and downs of illness.
ANS: C
DIF: 2
REF: 24
MSC: Understanding
11. The practice of helping and giving to others out of a genuine concern for their well-being is called
A. shyness.
B. altruism.
C. mindfulness.
D. spirituality.
ANS: B
DIF: 2
REF: 25
MSC: Understanding
12. This question refers to Chase's Student Story in the chapter. What factor(s) is/are contributing to
Chase's feeling of homesickness?
A. Missing family and friends
B. Feeling disconnected from his dorm-mates
C. Missing his former routines
D! All of the answers are correct.
ANS: D
DIF: 1
REF: 26
MSC: Applying
13. Which of the following is the most effective way to deal with feelings of anger?
A. Express feelings of anger in a way that releases emotions without damaging relationships.
B. Hold the feelings inside.
C. Express anger impulsively and aggressively.
D. Refrain from expressing negative emotions.
ANS: A
DIF: 3
REF: 26
MSC: Applying
17. Which of the following statements is true regarding mental disorders and minorities?
A. The tendency toward depression is more inborn in minorities than in heterosexual Caucasians.
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miserabile spettacolo, Lobkowitz dovette sonare a ritirata, e mostrare i
laceri avanzi a quella Roma che dianzi avea insultata. Il conte Gages,
unito a un esercito che Francia spediva per Genova, incalzò gli Austriaci,
facendo orrida la via coi disertori che lasciava impiccati, mentre la peste
desolava i due campi.
Anche sul mare infuriavano le regie ire, mentre empivano di strage la
Germania. Morto il ministro Fleury, che sempre avea sollecitato la pace,
Francia caldeggiò la parte spagnuola contro Maria Teresa, e mandò un
esercito di qua dall’Alpi; grosse battaglie si combattono; altri Gallo-
Ispani coll’infante don Filippo e col principe di Conti, secondati dalla
flotta, prendono Nizza e la Savoja. I passi delle Alpi sono vigorosamente
protetti dai Piemontesi, e tra le fazioni più famose del secolo contansi la
presa di Demonte e l’assedio di Cuneo (7bre), ove le popolazioni
secondavano l’esercito, a differenza di ciò che avveniva nella restante
Italia; e sebbene il re fosse sconfitto, l’avversario dovette sgombrare il
Piemonte.
Ma ben presto don Filippo ritorna, Carlo Emanuele è sconfitto a
Bassignana (1745 27 9bre), lasciando pochi uccisi e moltissimi
prigionieri: e l’infante don Filippo entra coi Gallo-Ispani in Milano
trionfante, e la Farnese esulta del sapere la pingue città in pugno al suo
secondogenito. Ma la regina d’Ungheria raddoppia di sforzi, e avendo
dal terribile suo avversario Federico II comprata la pace col cedergli la
Slesia (1746), manda Lichtenstein con nuove truppe nel cuor
dell’inverno, sicchè ben presto i Gallo-Ispani devono lasciar Milano ai
Tedeschi, che mandano a saccheggio Parma, mentre i Gallo-Ispani si
rinforzano in Piacenza.
Appoggiato ai Tedeschi, Carlo Emanuele si rifà, vince Gages e
Maillebois (16 giugno), mentre rinterza trattati colla Francia per
conseguire maggiori vantaggi e l’ambito Milanese, semina zizzanie tra
Spagnuoli e Francesi; questi batte a Piacenza e obbliga a ripassar le Alpi;
e morto Filippo che ostinavasi alla guerra per suo capriccio e per stimolo
della Farnese, Ferdinando suo successore (luglio) richiamò d’Italia le
truppe spagnuole.
Maria Teresa, carattere virile, virtuosa in mezzo a tante Corti depravate,
altera dei diritti di regina e di austriaca, intendeva all’ingrandimento
della propria casa e dei proprj figli, senza intaccare i privilegi locali, che
formavano la costituzione storica de’ differenti suoi popoli. Avea sposato
Francesco, già duca di Lorena poi granduca di Toscana; e benchè di lui
amorosissima, e il facesse dodici volte padre, non gli lasciò ombra
d’autorità; sicchè egli dovette restringersi a cure parziali, e a guadagnare
sugli appalti fin con somministrare forniture ai nemici di sua moglie.
Maria Teresa inviò un corpo nel Ferrarese, che, per castigare il duca di
Modena, imponesse grossissime contribuzioni, e guastasse i beni
allodiali di Casa d’Este, benchè assegnati alle sorelle, e fin quelli di
Massa e Carrara, la cui duchessa Maria Teresa Cibo era moglie del
principe ereditario che fu poi duca. Vacando, per la morte dell’ultimo
Gonzaga, il ducato di Mantova, Maria Teresa l’occupò come appendice
del Milanese, protestandone fin suo marito, che qual imperatore di
Germania, lo credeva a sè ricaduto. Dopo la vittoria di Piacenza, gli
Austro-Sardi vogliono profittare del buon destro per ricuperare il
Napoletano: ma l’Inghilterra, per castigare Francia d’aver favorito il
pretendente, gli obbliga a volgersi contro la Provenza, lo perchè
occupano la più parte del Genovesato.
Il marchesato del Finale tra il Monferrato e la riviera genovese, dalla
famiglia Del Carretto, che lo teneva in feudo, era stato nel 1590 venduto
agli Spagnuoli che l’unirono al ducato di Milano; quando i Francesi
uscirono d’Italia nel 1707, gl’Imperiali se ne impadronirono, poi Carlo
VI nel 1713 lo vendette a Genova per un milione ducentomila piastre,
come feudo dipendente dall’Impero, e glielo confermò nel trattato della
Quadruplice alleanza nel 18, e in quel di Vienna nel 25. Eppure Maria
Teresa, come roba sua, nel 43 ne cedeva i diritti al re di Sardegna, per
l’unico titolo che al Piemonte importava avere comunicazione immediata
colle potenze marittime ad esso alleate.
Genova non era più la donna dei mari, ma quel popolo conservava
vigorosi caratteri, operosità, amore del franco stato; l’aristocrazia
dominante non escludeva il merito, e ricordavasi dell’origine sua
popolana; i suoi capitalisti possedeano per quattordici milioni di rendita
sui banchi di Francia. Protestò essa contro tale usurpazione, che poteva
costituire sulla Riviera un porto emulo del suo, fece armi; e aderendo a
Francia, Spagna e Napoli nel trattato d’Aranjuez, agevolò ai Borbonici il
passo per la Lombardia. Gl’Inglesi reclamarono perchè Genova cessasse
dall’armarsi, attesochè nemici non aveva, e dal molestare il loro alleato
di Savoja; e non ascoltati, predarono le navi (1746), e mandarono
l’ammiraglio Rowley a bombardar Genova, il Finale, San Remo,
sollecitati dal re di Sardegna, che istigava anche i Corsi. Ma dopo la
vittoria di Piacenza e la ritirata degli Spagnuoli, benchè avesse e armi e
viveri, Genova trovandosi incalzata per terra dagli Austriaci, per mare
dagli Inglesi, scontentò il popolo pel lavoro mancato nella lunga guerra e
pei difficoltati trasporti, sicchè temeva proclamasse Maria Teresa, e
dovette patteggiare col comandante degli Austriaci marchese Antonio
Botta Adorno, e cedergli una porta, raccomandandosi alla generosità
dell’imperatrice.
Se i soldati tedeschi in tutta quella campagna si erano mostrati brutali e
ingordi, massime a Parma e Piacenza, qui ancor peggio, quasi il Botta
s’invelenisse dell’averla per patria. Impose dunque condizioni come a
città vinta: consegnassero le porte, i forti, le munizioni da guerra e da
bocca, libero agli eserciti austriaci di traversare le terre della repubblica;
il doge e quattro senatori passassero fra un mese a chiedere perdono alla
clementissima sovrana di ciò che è sacrosanto diritto, il difendersi da
aggressori; detto fatto pagassero cinquantamila genovine (da cinque
franchi) per rinfresco ai soldati; poi determinava la contribuzione di
guerra a tre milioni di genovine entro quindici giorni, o il saccheggio;
tanto e non meno bisognando all’esercito per la spedizione in Provenza e
contro Napoli. Di tutto allora si cominciò a far denaro; gli argenti delle
case, i tesori sotto la fede pubblica depositati nel banco di san Giorgio,
andarono alla zecca, onde passar poi nelle tasche de’ soldati per stipendj
e per ricompense; molto ne fu mandato a Milano.
Il re di Sardegna si lamentò che del bottino non gli si facesse parte:
sostenuto dagli Inglesi ricuperava Nizza, e prendeva Savona, il Finale,
altri posti della Riviera, esclamando contro i Genovesi che osavano
difenderli; una nave inglese all’imboccatura del porto taglieggiava e
metteva a preda quanti vascelli capitassero a Genova. Per la paura più
non si portavano tampoco i grani, e pativasi di fame; fuggivano i
principali negozianti, i maggiori ricchi, i membri del piccolo consiglio.
Ad istanza di Benedetto XIV, Maria Teresa condonò il terzo milione; ma
il Botta non solo lo volle, ma ne aggiunse un altro pei quartieri
d’inverno. Tanto spoglio di città già esausta dalla lunga guerra di
Corsica! Eppure la brutalità nemica non n’era sazia; si arrivò a volere
che Genova somministrasse le proprie artiglierie per poter con queste
toglierle le sue città. E se, come i Romani ad Alarico, chiedeva — Cosa
ci lascerete?» il turpe Botta rispondeva: — Gli occhi per piangere». Vile!
qualcos’altro resta sempre al popolo ridotto alla disperazione.
Per favorire la decretata spedizione di Provenza, di cui il re di Sardegna
era destinato generalissimo, il Botta levò i cannoni anche di Genova; ma
nello strascinare un mortajo da Portória (5 xbre), si sfondò la strada e
gran fatica dura vasi a cavarnelo. I Tedeschi col bastone obbligarono
qualche popolano ad ajutarli: ma un Balilla, ragazzo vulgare, comincia a
resistere e rivoltarsi; i suoi lo secondano colle grida e le sassate; il
rombazzo ingrossa, e impetuoso si diffonde per la città; rapisconsi le
armi ove si trovano: da principio i popolani son più uccisi che uccisori, e
gli Austriaci li deridono, e al grido di Viva Maria rispondono Viva Maria
Teresa. Ma il furore cresce; si serragliano le vie; Croati, Panduri e quegli
altri feroci soccombono alle armi plebee; fanciulli e donne strascinano i
cannoni ove mai non sarebbesi creduto; improvvisati artiglieri,
improvvisati fucilieri mostrano che sanno vincere e frenar la vittoria:
frati e preti ispirano misericordia, ma non fiacchezza. Invano i nobili
suggeriscono prudenza, moderazione, e di non sonare a stormo; le
campane a martello chiamano i valligiani del Bisagno e della Polcévera;
quel Botta, che aveva sbraveggiato il popolo, sente che cosa il popolo
vaglia, e fremente e confuso è costretto andarsene. Viva Maria, Genova è
salva (10 xbre).
Un applauso universale salutò le cinque giornate; i Tedeschi dalla
Riviera si ritrassero di qua dell’Appennino; e accertata la vittoria, anche i
nobili parteggiarono colla plebe. Del tradimento fremette Maria Teresa, e
tacciando di lesa maestà un popolo indipendente, decretò il sequestro di
quanto possedevano i Genovesi ne’ suoi Stati, colpendo così e
gl’innocenti che trovavansi lontani da Genova, e la pubblica garanzia
delle casse pubbliche, e portando a inevitabili fallimenti [49]. Nè paga a
tanto, spedì rinforzi a punir il popolo di quella fedeltà che negli
Ungheresi ella aveva applaudita, e che qui chiamava ribellione. Lo Stato
di Milano fu obbligato dare cinquecento carrette con quattro cavalli e un
uomo ciascuna per condur le provvigioni, e migliaja di villani requisiti
per ispianare le strade all’artiglieria. E s’affollarono sul territorio le
truppe austriache, che rinomate per valore quanto per cattiva
amministrazione, riuscivano gravosissime ovunque stanziassero, e in
conseguenza indisciplinate.
Il generale Schulemburg, ripresa la Bocchetta (1747), mandò bande di
Croati, le cui fierezze fecero inorridire l’Europa, e indussero i Genovesi
a intimargli, se non cessava taglierebbero a pezzi gli uffiziali che
tenevano prigionieri. Il popolo sistemò la difesa, e armò le compagnie
secondo le varie arti, gridando Libertà o morte, e ascrivendo alla beata
Vergine ogni vantaggio che ottenesse sui nemici; si cessò dai vizj, si
faceano penitenze e processioni.
Quell’eroismo inaspettato tra la fiacchezza del secolo, mosse Spagna e
Francia a sostenerli, pentite e vergognate, d’aver in Italia lasciato cadere
ogni loro fortuna. Il cavaliere Bellisle, fratello del maresciallo, avendo
tentato passar il colle dell’Assietta, vi lasciò la vita (19 luglio) e la
vittoria, nè più i Francesi s’avventurarono su terre piemontesi. Il re di
Sardegna aveva potuto prendere Savona, sulla quale ostentava antichi
diritti: ma la spedizione di Provenza gli fu interrotta dai mancati
soccorsi; e gli Austro-Sardi, che vi aveano sofferto ogni specie di stento,
furono cacciati a maledizione dal devastato paese, de’ cui ulivi si
servirono a far fuoco, e dove lasciarono morto un terzo delle truppe e
quasi tutta la bellissima cavalleria. Mentre stringevano Genova con
fierezza per terra lo Schulemburg e per mare gl’Inglesi, il francese duca
di Boufflers sosteneva colla sperienza il coraggio popolano; tantochè
l’austriaco dovette levar il campo e ritirarsi verso la Lombardia. I
Genovesi usciti in festa per la campagna, deploravano desolate le loro
ville e dappertutto traccie dell’immanità dei Croati; ma esultavano
dell’essersi riscossi col proprio braccio.
Morto fra i compianti il Boufflers, al duca di Richelieu succedutogli
pochissimo rimase a fare, ma non ritirò le truppe sinchè non fu
ripristinato il governo dei pochi. Il popolo aveva redenta la patria, il
popolo vinti i nemici di essa; l’aristocrazia gli rimetteva il freno. Fu
quella forse la prima guerra alla moderna, ove si continuassero le
trattative insieme colle operazioni militari. E fra le proposte fatte alla
Sardegna, merita menzione il progetto di Francia, pel quale, cedendo
Nizza e la Savoja, Carlo Emanuele sarebbe ajutato a conquistar il
Milanese d’accordo con Spagna e Napoli: del ducato di Mantova
s’investirebbero Venezia o il Piemonte: in Italia dove straniero più non
rimaneva, si formerebbe una confederazione de’ principi per assicurarli
da attacchi esterni e da interne perturbazioni, allestendo all’uopo un
esercito di ottantamila uomini, comandato dal re di Sardegna, o in difetto
suo da quel di Napoli. Taciamo tutte le minuzie di che il bel concetto
nazionale era rinvolto dai lucri domestici e dalle ambizioni della Farnese:
ma Carlo Emanuele voleva anzitutto la fusione degli Stati
promessigli [50]; temeva che, coll’escludere l’Austria dall’Italia non
restasse senza contrappeso il protettorato della Francia, e tenne fermo
all’alleanza austriaca: onde Asti fu presa, sciolto l’assedio d’Alessandria,
e chiusa per cinquant’anni l’Italia ai Francesi.
A questi danni fatti dai re, venivano di conseguenza epidemie e strani
morbi, e un’epizoozia e dilagamenti de’ fiumi dell’alta Italia [51], e venti
furiosi a Genova. Alfine i principi, spossati di far tanto male, conchiusero
pace ad Aquisgrana (1748 15 8bre). Lo scopo di tanto sangue era
ottenuto: cioè Maria Teresa, tuttochè femmina, ereditava gli Stati di suo
padre, e alla grandezza della sua Casa dava il rinfianco dell’alleanza
inglese. Però, per quanto ella cercasse disdire il trattato di Worms,
allegando d’aver giurato conservare integra l’eredità paterna, e di non
dover desolare i Milanesi che vedeansi tolti i paesi dove teneano le più
pingui proprietà, dovette rassegnarsi cedendo al re di Sardegna l’alto
Novarese, il Vigevanasco, porzione del Pavese, il contado d’Angera,
sicchè il Ticino diventava arcifinio dal lago Maggiore sino al Po. Il
Finale fu tacitamente restituito a Genova coll’antico Stato, e tolto il
sequestro sui beni de’ Genovesi, nulla badando a Maria Teresa che
continuava a pretendere il milione imposto dal Botta. Elisabetta Farnese
fu paga nella materna ambizione, vedendo al suo Filippo assicurati non
solo il ducato di Parma e Piacenza, ma quelli di Guastalla, Sabbioneta e
Bozzolo, dov’erasi estinta la famiglia dritta dei Gonzaga [52]. Don Carlo
ebbe garantite le Due Sicilie, ed assenti al patto di famiglia, per cui tutti i
Borboni doveano avere gli stessi nemici e assicurarsi i possessi,
determinando i sussidj in evenienza di guerra. Francesco III di Modena
tornò nel dominio, e per le spese ebbe in compenso la signoria di
Novellara, estinti i Gonzaga che vi dominavano.
Come nella guerra, così nella pace il popolo italiano non era intervenuto
che per soffrire: pure la gelosia reciproca delle potenze fece che la
dominazione straniera non restasse più di qua dall’Alpi, se non nel
Milanese, scemato anch’esso di preziosi cantoni.
CAPITOLO CLXIV.
Assetto dell’Italia. Carlo III.